Non ho letto il libro, ma ho visto il film
Sono ancora tra noi. Recensione a M il figlio del secolo
di Morena Plazzi
Non ho ancora letto M il figlio del secolo di Antonio Scurati, il primo dei quattro libri che ricostruiscono, con grande capacità narrativa, la vita di Benito Mussolini dai primi anni del ventesimo secolo fino a piazzale Loreto.
Ho visto, anzi sto seguendo la serie televisiva attualmente in onda su Sky che tratta dal primo di questi quattro libri, e di questo voglio parlare. Sono arrivata a metà di quella che, più che serie televisiva sarebbe da definire una lunga opera cinematografica che si svilupperà in 8 puntate; ne scrivo ben sicura che non vi siano rischi di “spoilerare” il tragico finale che a tutti è ben noto.
Probabilmente meno nota o meglio meno raccontata è la nascita del fascismo, a partire dai Fasci Italiani di combattimento: un pezzo della nostra storia narrata da Antonio Scurati attraverso la persona di Benito Mussolini e ora tradotta, con un lavoro di regia di qualità decisamente notevole, nelle mirabolanti scene della serie televisiva.
Vengo al punto: non ho letto i libri forse perché li avevano già letti in tanti e quindi ne avevo sentito già tanto parlare, rinviando quindi il momento in cui mi ci sarei impegnata ed anche per questa serie televisiva, pure preceduta da recensioni estremamente positive dopo la proiezione al Festival del Cinema di Venezia, nutrivo qualche dubbio per una campagna promozionale molto incentrata su dichiarazioni di Luca Marinelli, l’attore che interpreta Mussolini, sulla sua difficoltà o chiamiamola così sofferenza nell’affrontare quel ruolo; sentendolo ripetere tante volte mi dava l’idea di una manovra pubblicitaria, un po’ esasperata, che mi induceva più ad allontanarmi che avvicinarmi al prodotto.
Riserve e dubbi che sono stati impetuosamente superati dall'impatto con una esperienza visiva e sonora assolutamente diverse dal solito, non solo perché decisamente superiori nella qualità tecnica ma perché capaci di condurre, attraverso lo strumento tecnico, dritti al pensiero.
E così, pur con la difficoltà che deriva dalla visione di scene esplicitamente violente, ci si ritrova, o almeno è andata così per me, in una rappresentazione della nascita del fascismo impregnata di sangue e scandita dal passo militare delle camice nere; tutto questo accompagnato da un'ambientazione visivamente davvero particolare, con un uso di colori e scenari molto scuri, ma di un nero che vira al giallo, di ombre che prevalgono sulla luce, di inserzioni e di immagini che sembrano d'epoca ma non lo sono, ed altre che sono proprio spezzoni originali, e si sovrappongono perfettamente all’attuale, con un montaggio serrato nell’avvicendarsi di momenti privati e pubblici, a catturare inesorabilmente l'attenzione di chi è spettatore, ma anche risucchiato nel procedere della storia.
Infine, alla fine di tutto, sei per necessità costretto a fermare il pensiero su quello che hai visto, ti vedi forzato a ragionare su quanto davvero sai della nascita del fascismo. Non si può fare altro perché quello che hai appena visto narrare, lo sai, è riproduzione pirotecnica della storia del tuo Paese. I miei nonni abitavano l’Italia, in quegli anni, e ben presto seppero chi erano i fascisti. È la storia delle condizioni che hanno creato e favorito quel regime, di chi ha scelto, pensando fosse tale, il quieto vivere, e di quelli, pochi, che opponendosi caddero.
La serie è in 8 episodi, e si concluderà, tra due settimane, con l’omicidio Matteotti ed il discorso in Parlamento di Mussolini del 3 gennaio 1925[1], la data di nascita del regime fascista. Seguirò questi episodi fino alla fine, non c’è dubbio: assistere alla nascita del regime puntando su figure e personaggi che nella loro eccessività ci spingono a riflettere, seriamente, su quello che accadde, è il filo conduttore di questa serie televisiva.
È impossibile ignorare, in questo racconto, la parola come incitamento alla violenza, l'indifferenza ai destini delle vittime, la spinta ad avanzare, a qualsiasi costo.
Rifulgono, nel racconto, la debolezza, la miopia e l'incapacità della politica ufficiale di leggere e comprendere fino in fondo quello che il movimento fascista stava preparando, benché esso fin dal primo ingresso in Parlamento manifestasse senza censure l’insofferenza per ogni regola democratica, l’avversione per le istituzioni nelle quali era entrata con l’aiuto di Giolitti, immediatamente sfiduciato.
L’ambizione e la sfrontatezza della persona, la carambolesca capacità di dire qualunque cosa ed il suo contrario, il sostegno di un capitale spaventato dai socialisti, la falsa rassicurazione per i timori sorti nella “pancia” piccolo borghese italiana.
Tutto questo, con ritmo incalzante, sottolineato da una colonna sonora che porta la firma di Tom Rowlands (Chemical Brothers) ci arriva attraverso lampi tra luce e buio, attraverso frenetiche conversazioni, nel passaggio dall'italiano forbito, agli inni fascisti, alle espressioni dialettali tra Mussolini e la moglie Rachele.
E poi, quella che i tecnici chiamano “la rottura della quarta parete”, espressione derivata dal teatro dove la quarta parete è immaginata come il confine invisibile tra gli attori sul palco ed il pubblico. Nel cinema questa barriera una volta che viene rotta crea un'interazione diretta fra il protagonista e lo spettatore che viene così investito del pensiero, dei retroscena, dei dubbi financo del protagonista.
Se fosse una storia di sola fantasia (come non pensare al cattivissimo Frank Underwood di House of Cards?) si potrebbe anche correre il rischio di creare un rivolo di simpatia per il protagonista; non è così, non può essere così con il dittatore fascista. Al contrario, è solo l’ulteriore svelarsi del progetto di scalata al potere assoluto, dittatoriale, di Benito Mussolini e questo rende impossibile ogni forma di empatia con l’istrionico Marinelli.
Forse perché lui stesso ti avvisa: «Mi avete amato follemente. Per 20 anni mi avete adorato e temuto come una divinità, e poi mi avete odiato follemente perché mi amavate ancora. Mi avete ridicolizzato. Scempiato i miei resti perché di quel folle amore avevate paura. Anche da morto. Ma ditemi a che cosa è servito. Guardatevi intorno. Siamo ancora tra voi.»
[1] Su questa rivista, nell’anniversario: 3 gennaio 1925. Un triste ricordo che deve illuminare il presente di Enrico Manzon.