Ho diviso il mio intervento in quattro parti. Ognuna di esse contiene ottime ragioni per votare NO al referendum su questa riforma.
Nella prima parte parlerò del metodo e del contesto. Ovvero del modo in cui si è arrivati alla approvazione di questa riforma e delle parole che ne hanno accompagnato l’iter.
Nella seconda parte cercherò di dimostrare come la riforma realizzi effettivamente un indebolimento delle garanzie di autonomia e di indipendenza della magistratura.
Nella terza parte segnalerò alcune aporie e incongruenze interne alla riforma, che da sole basterebbero per votare NO al referendum.
Nella quarta parte farò un accenno alla figura del PM e al destino che l’aspetta con questa riforma.
Sommario: 1. Il metodo – 2. Il contesto - 3. L’indebolimento delle garanzie di autonomia e di indipendenza. - 4. Le aporie e contraddizioni – 5. Il destino del pubblico ministero
1. Il metodo
L’art.138 della Costituzione, come sapete, prevede una procedura rafforzata per la revisione della Costituzione. Un doppio voto di entrambe le Camere sullo stesso testo a distanza di tre mesi l’una dall’altra. E il referendum in caso di approvazione con maggioranza inferiore ai due terzi.
Quali sono lo scopo, lo spirito, la ratio di questa disposizione?
In primo luogo, assicurare un dibattito e un confronto approfonditi nel Parlamento e nel paese. Il doppio voto a distanza di tre mesi serve appunto a questo: pensateci bene, sembra dire il Costituente ai suoi posteri, rifletteteci, confrontatevi tra voi. Parlatene ai cittadini e con i cittadini.
E poi, attraverso il dibattito e il confronto, cercare convergenze, punti di incontro. Perché la Costituzione è di tutti e non di una parte sola. E per cambiarla sarebbe meglio avere il consenso di tutti o, almeno, di una maggioranza più ampia di quella di governo. Per questo se non si raggiunge il voto dei due terzi del Parlamento si può procedere a referendum. Un referendum che, attenzione, non è corretto definire, come pretende di fare qualcuno, confermativo. Al contrario il referendum costituzionale è uno strumento che la Costituzione affida alla minoranza per chiedere ai cittadini di dire NO ad una riforma votata solo dalla maggioranza.
Con questa riforma lo spirito e la ratio dell’art.138 della Costituzione sono stati traditi. La forma è stata rispettata. I due rami del Parlamento hanno votato due volte a distanza di tre mesi. Ma la sostanza è stata calpestata. La proposta del Governo è stata approvata dal Parlamento senza alcuna modifica. La maggioranza non ha presentato nessun emendamento. Gli emendamenti dell’opposizione sono stati tutti respinti. La discussione è stata praticamente inesistente. Nessun dialogo, nessun confronto sulle ragioni della riforma, sugli obiettivi da raggiungere, sulla congruenza delle norme proposte con quelle ragioni e quegli obiettivi. Sono stati ascoltati magistrati, avvocati, giuristi. Ma nessuna delle tantissime obiezioni raccolte ha trovato il minimo ascolto. Il testo è stato blindato, come si usa dire con un gergo militare che tanto piace in questa epoca di negazione della pace, sin dall’inizio. Anche i dubbi di alcuni settori interni alla maggioranza sono stati messi a tacere.
Nemmeno per un decreto-legge si procede così. In sede di conversione il Governo spesso si confronta con il Parlamento, e a volte accoglie gli emendamenti sia della maggioranza che dell’opposizione.
Qui, invece, è stata negata ogni possibilità al confronto. Anche alcuni errori marchiani, alcune insuperabili aporie (di alcune di queste ne parlerò più avanti), sono state lasciate così.
2. Il contesto
La volontà del legislatore, come sapete, è uno strumento fondamentale per la interpretazione della legge.
E questo vale ancor di più per le Costituzioni che sono sovente una legislazione per principi.
I lavori della Assemblea costituente sono ancora oggi uno strumento preziosissimo per l’interprete per comprendere lo spirito e il senso delle norme costituzionali. Noi riusciamo a leggere e a comprendere la Costituzione attraverso le parole di giuristi del calibro di Calamandrei, Mortati, Jemolo o di politici come Einaudi, Gronchi, Lelio Basso.
In assenza di una reale discussione in Parlamento sui contenuti della riforma, sui suoi obiettivi e sui suoi scopi, l’interprete del futuro dovrà accontentarsi delle parole dei membri del Governo che hanno accompagnato l’iter della riforma.
E queste parole sono tutte chiare e univoche nel dirci che l’obiettivo della riforma è quello di ridurre l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.
Il Ministro Nordio ha parlato espressamente della necessità di un riequilibrio dei poteri tra magistratura e politica, aggiungendo: “…Il governo Prodi cadde perché Mastella, mio predecessore, fu indagato per accuse poi rivelatesi infondate. Mi stupisce che una persona intelligente come Elly Schlein non capisca che questa riforma gioverebbe anche a loro, nel momento in cui andassero al governo”
La Presidente del Consiglio on. Meloni nel commentare una decisione della Corte dei Conti sul ponte sullo stretto ha parlato della necessità di approvare la riforma costituzionale per ridurre l'invadenza del potere giudiziario sulle scelte della politica.
Della necessità della riforma costituzionale per riequilibrare i rapporti tra politica e magistratura ha parlato anche il Presidente del Senato on. La Russa.
L’intenzione del legislatore costituente sembra dunque molto chiara: la riforma è necessaria per stabilire un nuovo equilibrio nel rapporto tra magistratura e politica.
3. L’indebolimento delle garanzie di autonomia e di indipendenza.
Ora, la domanda da porsi è se e in che misura questa riforma raggiunge questo dichiarato obiettivo di riequilibrio nel rapporto del giudiziario con la politica.
A me pare evidente che sia così.
E’ vero, come ripetono spesso molti dei promotori della riforma, che nel nuovo testo dell’articolo 104 della Cost. resta non modificata l’affermazione della indipendenza della magistratura da ogni altro potere, ma i giuristi sanno bene che la declamazione di un principio non è di per sé garanzia sufficiente per la sua effettività, per la quale è invece necessario apprestare articolati strumenti di garanzia.
Faccio un esempio per far capire cosa intendo. L’articolo 13 della Costituzione dice che la libertà personale è inviolabile. Avrebbero potuto fermarsi qui, ma non l’hanno fatto. Conoscendo la distanza che spesso separa l’affermazione di un principio dalla sua realizzazione effettiva, i padri costituenti hanno fissato norme di dettaglio, direi di estremo dettaglio, per assicurarsi che quel diritto fosse effettivamente inviolabile. Una riserva di legge e una riserva di giurisdizione (atto motivato dell’autorità giudiziaria, nei casi previsti dalla legge). La possibilità, in via eccezionale e solo nei casi tassativamente previsti dalla legge, di una limitazione della libertà come atto di polizia, che deve essere sottoposto alla immediata approvazione della autorità giudiziaria.
Ora che diremmo se il legislatore modificasse l’articolo 13 della Costituzione lasciando invariato il primo comma: “la libertà personale è inviolabile”, ma eliminando la riserva di legge e la riserva di giurisdizione con una formula del tipo: “sono consentite limitazioni della libertà personale solo in base ad un atto motivato dell’autorità”?
Diremmo che non è cambiato nulla? Che il primo comma è chiaro nel sancire l’inviolabilità della libertà personale e che quindi non c’è nessun problema? Non credo.
Non basta dunque affermare un principio. Occorre renderlo effettivo.
I padri costituenti lo sapevano. E per questo avevano accompagnato l’affermazione di principio della autonomia e indipendenza della magistratura con un sistema di strumenti di garanzia, primo fra tutti un organo costituzionale di governo autonomo presieduto dal Presidente della Repubblica, cui sono affidate tutte le competenze in materia di governo dei magistrati, ivi compresa la competenza in materia disciplinare.
Ed è questo apparato di garanzie che viene significativamente eroso dalla riforma.
Andiamo con ordine.
a) La riforma prevede la creazione di due organi di governo autonomo, uno per la magistratura giudicante e uno per la magistratura requirente, entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica.
In questo caso, a differenza del gelato, due non è meglio di uno.
Il Consiglio Superiore della Magistratura voluto dal Costituente non è solo l’ufficio del personale di magistratura. È un organo costituzionale, o di rilievo costituzionale, che ha poteri di indirizzo e di orientamento, sulla organizzazione degli uffici, sulle priorità nella trattazione degli affari, sulla professionalità e sulla deontologia dei magistrati. Ed è organo di garanzia della indipendenza dei magistrati. Per questo il Costituente ne ha affidato la presidenza al Presidente della Repubblica. E per questo ha previsto la presenza di una componente laica eletta dal Parlamento in seduta comune, con una maggioranza qualificata. Sarebbe stato decisamente troppo per un ufficio del personale.
È chiaro che con la separazione i due organi avranno meno autorevolezza e meno peso. Su molte questioni comuni potrebbero anche esprimere orientamenti diversi. Il che, di fatto, indebolirà anche la funzione di garanzia della indipendenza e della autonomia.
Ma, si dice, la separazione è resa necessaria dalla esigenza di rafforzare l’imparzialità del giudice, che oggi sarebbe compromessa dalla presenza dei pubblici ministeri nel comune organo di governo autonomo.
A me pare che questo argomento sia solo suggestivo, ma del tutto privo di fondamento. I giudici italiani hanno dato ampia prova, nella storia repubblicana, di saper resistere alle minacce della mafia e del terrorismo. Alcuni hanno pagato con la vita il prezzo della loro imparzialità. Molti sono costretti a vivere sotto scorta. Ma nessuno ha mai piegato la testa, nessuno ha rinunciato al proprio dovere di imparzialità e si è arreso alla paura.
Ma se questo è vero, come si può pensare che un giudice che non ha paura della mafia, che non si piega di fronte a concrete e reali minacce, possa poi subire l’influenza di una parte del processo solo perché nel suo organo di governo autonomo su trenta componenti (dico 30) ci sono anche sei (dico 6) pubblici ministeri? Non mi pare che abbia senso.
E poi, aggiungo, se davvero pensiamo che un giudice possa perdere la sua imparzialità e subire l’influenza di una parte del processo perché nel suo organo di governo autonomo ci sono alcuni esponenti di quella categoria, perché mai allora lasciamo la possibilità di eleggere nell’organo di governo autonomo dei giudici ben dieci (dico 10) avvocati? Perché in questo caso il giudice non dovrebbe subire l’influenza derivante da una così massiccia presenza di una parte del processo nel suo organo di governo autonomo. E perché in questo caso non sarebbe compromessa la sua imparzialità?
b) Con la riforma i componenti togati dei due organismi saranno scelti mediante sorteggio. Anche i componenti laici saranno sorteggiati, ma all’interno di un elenco compilato dal Parlamento.
Anche questa previsione ha il chiaro obiettivo di indebolire la funzione del Consiglio Superiore di garanzia della indipendenza della magistratura.
La selezione per sorteggio snatura completamente la funzione di governo autonomo affidata al Consiglio superiore. Governo autonomo significa “governarsi da sé”. Governarsi da sé significa governarsi direttamente da soli o per il tramite di propri rappresentanti.
Con il sorteggio i magistrati non si governano da soli, ma sono governati da alcuni loro colleghi scelti a caso. È una cosa completamente diversa.
Ma, soprattutto, con il sorteggio gli organi di governo autonomo si trasformeranno in uffici del personale di magistratura e perderanno la capacità di esercitare quella funzione di garanzia della indipendenza, di indirizzo e di orientamento sulla organizzazione degli uffici, sulla professionalità e deontologia dei magistrati, che oggi caratterizza la funzione costituzionale del CSM.
Quelle funzioni richiedono, infatti, che la rappresentanza sia fondata sulla base di idee e di valori, e non solo sulla comune appartenenza ad una corporazione.
Non è qui in discussione la capacità tecnica di qualunque magistrato di interpretare e di applicare le norme di ordinamento giudiziario, ma è chiaro che l’assenza di qualsiasi collegamento con la base degli amministrati e con i corpi intermedi, all’interno dei quali si formano idee collettive e valori condivisi renderà oggettivamente impossibile lo svolgimento di funzioni ulteriori rispetto a quelle di amministrazione del personale.
A ciò si aggiunga che a fronte di 20 monadi selezionate con sorteggio, prive di qualsiasi collegamento tra loro e con la base degli amministrati, ci saranno ben 10 componenti scelti dal Parlamento in seduta comune (sorteggiati in un elenco compilato dal parlamento, il che significa di fatto scelti dal parlamento), e quindi in gran parte, o anche nella loro totalità, scelti dalla maggioranza di governo.
A me pare evidente che, pur restando inalterata la proporzione laici/togati all’interno dei due CSM, il “peso” della componente politica sarà decisamente dominante.
Peraltro, la diversa modalità di selezione dei componenti dei due CSM, sorteggio “puro” per i togati e sorteggio previa selezione per i laici, potrebbe essere oggetto di censura sul piano costituzionale (la Corte Costituzionale ha riconosciuto ormai da molto tempo la possibilità di un sindacato di compatibilità costituzionale anche per le norme approvate con la procedura rafforzata di cui all’art.138), stante la assenza di qualsiasi ragionevole giustificazione di tale disparità di trattamento.
Ma, si dice, il sorteggio è l’unico rimedio possibile al correntismo, cioè a quella degenerazione nell’esercizio delle funzioni di governo autonomo che sono venute agli onori (direi ai disonori) delle cronache negli ultimi anni.
Qui il discorso sarebbe assai lungo e articolato, essendo articolate e complesse le ragioni di questo fenomeno. Mi limito a dire che, come ho già detto più volte in molte occasioni, anche ben prima che si avviasse l’iter di questa riforma, io penso che il correntismo nelle sue due forme tipiche del clientelismo e del corporativismo sia un male gravissimo del governo autonomo che rischia di metterne in discussione la stessa legittimazione. Che poi è quello che è successo con questa riforma.
Io credo, però, che il rimedio proposto non solo non sia idoneo a risolvere il problema, ma rischi di aggravarlo. È facile prevedere che i magistrati sorteggiati, privi di qualsiasi collegamento tra loro, con la base dei magistrati, con i luoghi nei quali si elabora un pensiero collettivo, privi di esperienze di confronto con il mondo della accademia, delle professioni e della politica, saranno tendenzialmente più corporativi dei magistrati eletti (che, come detto, già lo sono fin troppo). Così come è facile prevedere che le aspirazioni di carriera dei magistrati troveranno terreno fertile anche tra i sorteggiati (che comunque non saranno mai privi di legami, amicizie, collegamenti), ma soprattutto nella componente laica, che in particolare nelle ultime consiliature ha mostrato sempre maggiore attenzione al tema delle nomine per gli incarichi direttivi.
Altri sarebbero gli interventi possibili per ridurre i mali del correntismo.
Ad esempio, una riforma della dirigenza degli uffici che introduca una effettiva temporaneità negli incarichi, così riducendo l’ansia di carriera di molti magistrati.
Una riforma della legge elettorale che aumenti la possibilità per gli elettori di scegliere i propri rappresentanti e riduca il potere degli organismi dirigenti delle correnti di individuare gli eletti.
c) Con la riforma la competenza disciplinare sui magistrati viene affidata ad una Alta Corte composta da 9 magistrati (6 giudici e 3 pubblici ministeri), sempre estratti a sorte, e da 6 laici (3 nominati dal Presidente della Repubblica e 3 estratti a sorte da un elenco compilato dal Parlamento in seduta comune).
Le osservazioni svolte sopra con riferimento alla composizione dei due CSM valgono anche per la composizione dell’Alta Corte disciplinare i cui componenti sono sorteggiati per la parte magistrati, scelti direttamente per i laici nominati dal Presidente della Repubblica, sorteggiati in un elenco per quelli scelti dal Parlamento.
Piccolo dettaglio, anche questo però segno della impostazione complessiva della riforma, il rapporto laici/togati nell’Alta corte si modifica a favore dei laici (6 componenti su 15 è infatti più di 1/3).
L’elemento più rilevante è dato, però, dalla separazione della Corte disciplinare dal CSM. La scelta del costituente di affidare al CSM anche il sindacato disciplinare sui magistrati si iscrive, infatti, in quella complessiva articolazione di strumenti di garanzia della indipendenza dei magistrati.
La leva disciplinare è, infatti, un potenziale strumento di pressione sul magistrato e ne mette a rischio l’indipendenza.
Al riguardo basti considerare che nell’attuale sistema disciplinare qualunque condanna ad una sanzione più grave della censura può essere accompagnata dalla sanzione accessoria del trasferimento di ufficio. Ed è evidente che l’attribuzione della potestà disciplinare ad un organismo diverso dal CSM finisce per avere un impatto diretto su una delle più importanti garanzie di indipendenza dei magistrati, quella della inamovibilità.
La separazione dal CSM e la selezione dei membri togati fondata esclusivamente sulla appartenenza al “corpo” e senza una scelta degli amministrati rischia di compromettere gravemente la funzione di garanzia di indipendenza che è insita nella cd. “giustizia domestica”.
4. Le aporie e contraddizioni
Si è già detto sopra delle diverse modalità di accesso al CSM per laici e togati con una disparità di trattamento priva di qualsiasi razionale giustificazione.
Ma le aporie e le contraddizioni del testo sono anche altre e peggiori.
A volte leggendo questa riforma si ha l’impressione che siano davvero pochi quelli che l’abbiano effettivamente letta. E ancora meno quelli che l’abbiano davvero compresa.
Abbiamo parlato prima, ad esempio, della scelta di separare i due CSM per evitare che l’imparzialità del giudice possa essere pregiudicata dalla presenza nell’organo di autogoverno di una delle parti del processo. E abbiamo già detto che inspiegabilmente questa premura per la imparzialità del giudice non valga per l’influenza derivante dalla possibile presenza di ben 10 avvocati, cioè l’altra parte del processo, nell’organo di governo autonomo.
Ma c’è di più. Nella Alta Corte disciplinare, separata dai due CSM, giudici e pubblici ministero siedono insieme e giudicano, unitamente ai laici, sia i giudici che i pubblici ministeri.
Quindi il legislatore della riforma separa i due Consigli per sottrarre il giudice dalla possibile influenza di una parte, ma da un lato lascia la possibile influenza dell’altra parte del processo (l’avvocato) e dall’altro affida il giudizio disciplinare sul giudice ad un organo composto, in maggioranza, da esponenti delle parti (pubblici ministeri e avvocati) e solo in minoranza da giudici.
Ma non finisce qui. La riforma non dice nulla sulla iniziativa disciplinare, che oggi la Costituzione affida come facoltativa al Ministro (e sul punto non ci sono modifiche) e la legge affida come obbligatoria al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione.
Cosa ne sarà, dopo la riforma della iniziativa disciplinare?
Sarà lasciata come facoltativa solo in capo al Ministro (che oggi la esercita in pochi casi, perlopiù in materia di ritardi) o la si lascerà anche in capo al Procuratore Generale?
E quindi questo povero giudice, alla cui terzietà rispetto al pubblico ministero è finalizzata l’intera riforma, si troverà stretto tra un titolare dell’azione disciplinare che è il vertice della magistratura requirente e un giudice disciplinare composto in maggioranza dalle parti del processo.
Ancora, sempre sulla Corte disciplinare, mi pare vi sia una palese violazione dell’art.111 della Costituzione, il quale prevede che tutte le sentenze possono essere impugnate davanti alla Corte di Cassazione. Le sentenze dell’Alta Corte, di questo nuovo giudice speciale introdotto dalla riforma, invece, saranno impugnabili solo davanti allo stesso giudice.
In questo modo ci si priva della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione su una materia così delicata come il disciplinare.
Il rischio principale è quello di uno scivolamento del controllo disciplinare sul merito delle decisioni giudiziarie.
5. Il destino del pubblico ministero
Il tema del futuro del Pubblico Ministero dopo la riforma è al centro del dibattito pubblico di questi giorni. Alcuni commentatori hanno rilevato una apparente contraddizione negli argomenti dei sostenitori del NO al riforma, laddove da una parte paventano un rischio di sottomissione del Pubblico Ministero al potere politico e dall’altra esprimono preoccupazione per la trasformazione del ruolo del pubblico ministero in una sorta di superpoliziotto, che ha come unico obiettivo quello di ottenere la condanna dell’imputato e per la eccessiva concentrazione di potere in capo ad un ristretto corpo di funzionari che non risponde a nessuno, si amministra da solo, dispone della polizia giudiziaria e che ha poteri molto ampi sulla vita delle persone.
In realtà sono vere entrambe le cose e non c’è contraddizione tra le due affermazioni.
Il rischio di una trasformazione culturale del pubblico ministero esiste davvero. È vero che già oggi pochi cambiano funzione e che quindi abbiamo già perso quella che secondo me era una ricchezza, cioè la possibilità di sperimentare funzioni diverse. In un mio intervento di molti anni fa io sostenevo (e continuo a pensarlo) che l’alternativa migliore alla separazione delle carriere sarebbe quella della unificazione di tutte le carriere, includendo anche gli avvocati e prevedendo come obbligatoria una esperienza come avvocato prima di accedere in magistratura.
Però l’unità della magistratura e l’unità del Consiglio Superiore con il suo ruolo di indirizzo e di orientamento sul piano professionale e deontologico, secondo me, contribuisce a mantenere fortemente ancorato il pubblico ministero ad un ruolo giurisdizionale, che rischia di perdersi o di diminuire con un CSM separato.
Esiste inoltre un rischio serio di eccessiva concentrazione di potere. Con un CSM di sorteggiati avranno un peso molto forte i procuratori della Repubblica, soprattutto quelli delle grandi procure, dalle quali, per la legge dei grandi numeri proverranno in prevalenza i sorteggiati. Questo aumenterà il carattere fortemente gerarchico e verticistico della organizzazione del pubblico ministero.
Si illude, infine, chi pensa che con la separazione avremo un giudice più “forte”. In realtà il peso mediatico della fase delle indagini preliminari dipende da ragioni strutturali, molte delle quali esterne al processo, come ad esempio le regole che governano l’informazione e i suoi tempi, e ogni tentativo di modificare questa realtà si è sempre rivelato vano.
E sarà così anche dopo la riforma.
Questo, però, finirà per creare una situazione di squilibrio che porterà inevitabilmente a ragionare sulla necessità di prevedere forme di responsabilità politica degli uffici del pubblico ministero.
Perché nessuna democrazia può tollerare un potere troppo ampio privo di controlli e di responsabilità.
Di questo si sono avveduti anche alcuni esponenti della attuale maggioranza di governo, i quali hanno espressamente affermato che la sottoposizione del pubblico ministero al potere esecutivo rappresenta il necessario completamento di questa riforma.
E io, purtroppo, sono d’accordo con loro.
* Intervento al Convegno "Il Nodo delle Carriere nella magistratura italiana", tenutosi presso l'Università La Sapienza, facoltà di giurisprudenza, il 21 novembre 2025.
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