Il 30 ottobre 2025 il Senato ha approvato in ultima lettura, a maggioranza assoluta, il disegno di Legge costituzionale di proposta governativa - "Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare" – e nel 2026 ci sarà così il referendum, che non prevede quorum, per dire sì o dire no alla modifica della Costituzione del 1948.
10 domande e 10 risposte per fare chiarezza sulla riforma costituzionale della magistratura.
1. COSA PREVEDE LA RIFORMA COSTITUZIONALE?
La riforma frammenta in tre organi l’attuale CSM - ovvero l’organo di “autogoverno” volto a garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura - ed elimina il sistema elettivo dei suoi componenti.
2. LA RIFORMA MIGLIORERÀ L’EFFICIENZA DELLA GIUSTIZIA E DEI PROCESSI?
No. La riforma riguarda la magistratura, non riguarda la giustizia.
La riforma mina e compromette esclusivamente la struttura costituzionale che garantisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura ordinaria e quindi l’autonomia e indipendenza dei singoli giudici e PM.
3. LA RIFORMA INCIDE SULLA VITA DEI CITTADINI?
Sì, perché indebolisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e quindi indebolisce il cittadino, fiacca la giustizia.
La riforma rende il giudice più fragile e isolato e spinge il PM verso l’assoggettamento ai partiti che di volta in volta guideranno il potere esecutivo.
La riforma rompe alcuni argini della Costituzione sino ad ora considerati inscalfibili: rompe il divieto di istituzione di giudici speciali; elimina un sistema di elezione e quindi il voto. Una volta passato il limite per una categoria di soggetti, i magistrati, perché non rifarlo per altre?
4. LA COSTITUZIONE OGGI COME GARANTISCE L’AUTONOMIA E L’INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA?
La Costituzione affida al C.S.M. l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Il C.S.M. attualmente è un organo di rilevanza costituzionale:
1. Unitario nella composizione e nelle competenze. La Costituzione prevede un unico CSM, composto per 2/3 da giudici e PM e per 1/3 da avvocati e professori in materie giuridiche, dotato di tre principali poteri: normativo, amministrativo, disciplinare di primo grado.
2. Elettivo, rappresentativo e pluralista. La Costituzione prevede che i componenti magistrati del C.S.M. siano eletti dai magistrati stessi e che avvocati e professori siano eletti dal Parlamento in seduta comune (come avviene per il Presidente della Repubblica). Gli avvocati e i professori vengono eletti dal Parlamento, con voto a maggioranza qualificata, cercando un equilibrio utile a soddisfare le forze di maggioranza e quelle di minoranza. I magistrati sono tendenzialmente eletti tra gli appartenenti ai diversi gruppi associativi – le c.d. “correnti”, espressione delle differenti idee su come debba atteggiarsi l’indipendenza e l’autonomia della magistratura - interni all’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M. che riunisce quasi tutti i PM e giudici, nata nel 1945 dopo lo scioglimento ad opera del fascismo dell’Associazione generale fra i magistrati d’Italia).
3. Inclusivo delle diverse professionalità della giustizia. La Costituzione prevede la partecipazione nell’unico C.S.M. delle maggiori professionalità e competenze della giustizia: giudici di merito (tribunale, corte d’appello), magistrati di legittimità (Cassazione), avvocati, professori di materie giuridiche, pubblici ministeri.
5. LA RIFORMA COME INDEBOLISCE L’AUTONOMIA E L’INDIPENDENZA DEI GIUDICI E DEI PM ORDINARI?
La riforma svilisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura spezzettando l’autogoverno e privandolo delle sue caratteristiche fondamentali.
1. Frammentazione della composizione e delle competenze. La riforma “spezzetta” il C.S.M. in tre distinti organi: 1) un C.S.M. per i giudici; 2) un C.S.M. per i pubblici ministeri; 3) una Alta Corte disciplinare che sottrae ai C.S.M. il potere disciplinare di primo grado e che acquista anche il potere disciplinare di secondo grado.
2. Eliminazione delle elezioni, della rappresentatività e del pluralismo. La riforma prevede la abrogazione del sistema elettivo e la sua sostituzione con un sistema d’estrazione a sorte che affida al puro caso l’individuazione dei componenti dei C.S.M. L’estrazione a sorte, nel paradosso, potrebbe condurre al sorteggio di tutti o quasi tutti giudici/p.m. vicini o iscritti ad una singola corrente oppure quasi tutti giudici/p.m. provenienti dallo stesso territorio o da uno stesso ufficio (1/6 dei PM sono ad esempio in servizio in 3 uffici: Roma, Milano, Napoli). Potranno esser sorteggiati tutti avvocati e professori vicini alla medesima idea e area culturale.
3. Esclusione delle competenze. La riforma esclude soltanto la professionalità dei giudici dal C.S.M. dei PM e la professionalità dei PM dal C.S.M. dei giudici mentre in entrambi resteranno gli avvocati e i professori.
6. È VERO CHE IL SORTEGGIO GIÀ ESISTE?
Non per un organo importante come il C.S.M. Il C.S.M. è organo di rilevanza costituzionale ed è dotato di uno speciale potere normativo volto a garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.
Il potere di emanare le regole per il funzionamento concreto della magistratura è così importante che la Costituzione lo protegge con una riserva di legge relativa che impedisce allo stesso legislatore di invadere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura espressa con gli atti normativi del C.S.M. Questi non deve fare solo nomine ed emanare atti amministrativi ma scrivere le regole che tutelano l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.
Il sorteggio esiste per alcune corti giudicanti (ad esempio i cittadini nell’Assise) o per organi semplicemente amministrativi (ad esempio le commissioni per l’abilitazione scientifica nazionale per i professori), ma non per organismi costituzionali dotati di speciali poteri normativi.
7. L’AUTONOMIA E INDIPENDENZA DEI GIUDICI È SVILITA ULTERIORMENTE?
Sì. La riforma squilibra il giudizio disciplinare in sfavore dei giudici.
Oggi l’unico PM e i 2 laici rappresentano quasi il 50% della sezione disciplinare del C.S.M. e non partecipano alla decisione sull’impugnazione (il cui giudizio si svolge ad oggi davanti alle Sezioni Unite della Cassazione, quale organo supremo della giurisdizione italiana).
Con la riforma i giudici saranno sottoposti per il disciplinare ad una Corte speciale - di soli 15 componenti - che sarà composta per 2/3 da PM, avvocati e professori universitari (c.d. laici) e per 1/3 da giudici di legittimità. I PM e i laici rappresenteranno il 60% della Corte speciale disciplinare e parteciperanno anche alla decisione in sede di impugnazione, che si svolgerà dinanzi alla stessa Alta Corte.
Se rimarrà, come è probabile, l’attuale assetto, l’accusa disciplinare sarà esercitata dal vertice del potere dei PM (Procuratore generale della Cassazione) e quindi da un potere esterno ai giudici.
8. LA RIFORMA COME PORTA IL PM SOTTO L’ESECUTIVO?
Distaccandolo dalla figura del giudice.
L’art. 101 Cost. dice “I giudici sono soggetti soltanto alla legge” e non indica il PM. L’art. 107 Cost. dice invece che “Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario”.
Sino ad oggi la differenza letterale tra le due norme della Costituzione non ha mai avuto un peso ed il PM – in quanto magistrato al pari del giudice, sottoposto allo stesso C.S.M. del giudice e alla stessa legge dell’ordinamento giudiziario del giudice - è stato sempre considerato soggetto soltanto alla legge e non al potere esecutivo.
Con la riforma la differenza letterale diventerà differenza sostanziale perché il PM sarà un magistrato costituzionalmente diverso dal giudice, sottoposto ad un C.S.M. diverso da quello del giudice e ad una legge dell’ordinamento giudiziario diversa da quella del giudice. Il PM quindi non sarà più “soggetto soltanto alla legge” come il giudice ma potrà essere assoggettato anche alle regole imposte dall’esecutivo.
9. IN CHE MODO LA RIFORMA TOCCA LE FONDAMENTA DELLA COSTITUZIONE?
La riforma incide sulla magistratura e incide per la prima volta la Costituzione in almeno quattro punti sino ad ora inviolati.
1. Divieto di istituzione di giudici speciali. In contrasto con il divieto espresso previsto dall’art. 102 Cost., la riforma istituisce per la prima volta nella storia costituzionale un giudice speciale, l’Alta Corte, destinato a giudicare una categoria specifica di soggetti (PM e giudici ordinari).
2. Abrogazione del sistema elettivo e del voto. In contrasto con i principi della democrazia, per la prima volta nella storia costituzionale è prevista l’abrogazione del sistema elettorale (e quindi del diritto di voto) per un importantissimo organo di rilevanza costituzionale avente funzioni normative e di “governo” e la sua sostituzione con un sistema di estrazione a sorte.
3. Divisione e moltiplicazione degli organi costituzionali. Per la prima volta viene diviso un organo di rilevanza costituzionale. In discontinuità con passati tentativi di riforma costituzionale, in parte naufragati, volti alla riduzione degli organi costituzionali o di rilievo costituzionale, la riforma prevede una moltiplicazione degli organi di rilievo costituzionale con tutte le conseguenze in tema di costi e di complessità dei rapporti.
4. Disuguaglianze tra magistrature. La riforma prevede una insolita “autonomia e indipendenza differenziata” tra le magistrature. Quale è quella autentica? Le magistrature amministrativa, contabile, militare e tributaria non sono incise dalla riforma e mantengono le loro caratteristiche di unitarietà, elettività e inclusività. L’Alta Corte, nonostante il nome altisonante, sarà destinata a giudicare solo giudici e PM ordinari. La Corte dei conti è comunque interessata da una riforma di legge ordinaria volta ad un suo indebolimento.
10. LA RIFORMA SEPARA LE CARRIERE DI PM E GIUDICI?
Attenzione: nessuna disposizione della riforma vieta il passaggio dalla magistratura requirente alla magistratura giudicante e viceversa.
La riforma dell’art. 106 Cost. prevede, al contrario, la possibilità per i PM di diventare giudici di Cassazione e quindi di passare alla magistratura giudicante e l’art. 104 continuerà a riferirsi alla magistratura ordinaria come ad un ordine unico.
La legge ordinaria in vigore già limita i passaggi da una funziona all’altra (è concesso solo una volta in carriera) e già prevede percorsi professionali distinti per PM e giudici. Meno dello 0,5 % dei 10mila magistrati ha infatti effettuato il passaggio di funzioni negli ultimi anni.

 
	