Paradossi normativi, contrasti ermeneutici, componimenti nomofilattici.
Brevi note sulla sentenza della Sezioni Unite penali 4 giugno 2021 n. 22065
di Irene Ambrosi
Sommario: 1. Premessa - 2. La fattispecie - 3. Il quadro normativo - 4. Il contrasto - 5. L’antefatto: l’orientamento della III Sezione civile - 6. La composizione del contrasto sul problema dell’individuazione del giudice del rinvio - 7. La compatibilità della soluzione prescelta rispetto al diritto vivente sovranazionale e costituzionale - 8. Notazioni conclusive.
1. Premessa
È tornata all’esame delle Sezioni unite penali l’enigmatica norma contenuta nell’art. 622 c.p.p., con cui è stato codificato uno spazio di transizione processuale tra giudizio penale e quello civile che, da autorevolissima dottrina è stato ritenuto frutto di un “lapsus normativo” [1] in quanto all’interno della disposizione convivono due ipotesi eterogenee: l’annullamento dei capi civili (ad esempio, perché i danni risultano male liquidati) e l’accoglimento del ricorso dalla parte civile contro il proscioglimento dell’imputato.
L’art. 622 c.p.p. anche in questo secondo caso stabilisce infatti che, «quando occorre», la Corte di cassazione rinvii alla sede civile d'appello.
La stessa dottrina, con il consueto caustico rigore, nota al riguardo “Ovvio se avesse annullato qualche provvedimento sui danni: ma qui l'organo a quo non ha giudicato al riguardo, né poteva; l'art. 538 esclude giudizi simili rispetto al prosciolto; e l'art. 578 li ammette, in appello o cassazione, solo quando, esistendo condanna ai danni, sia sopravvenuta l'estinzione del reato; né, su appello o ricorso dalla parte civile, l'art. 576 contempla decisioni su an e quantum debeatur. Sappiamo cos'avvenga: assolto l'imputato con una formula a effetti extra penali (art. 652), l'impugnante mira a eliderli; e siccome dipendono dal proscioglimento, tale è la res in iudicium deducta” [2]. Sarebbe, pertanto, “norma non applicabile: i codificatori vi hanno trasposto una massima avulsa dal sistema; e siccome le ruote della procedura girano da sole, dal "pastiche" nascono dei paradossi.” [3].
Nella fattispecie in esame, la norma va applicata e, per accenno, va rammentato che i noti paradossi sono frutto del recepimento, da parte del legislatore del 1988, dell’ampliamento dell’ambito applicativo dell’ art. 541 c.p.p. abrogato, a seguito dell’introduzione della possibilità di ricorso per cassazione della parte civile avverso le sentenze di proscioglimento ai sensi dell’art. 576 c.p.p., sull’abbrivio, nel sistema previgente, delle decisioni n. 1 del 1970 e n. 29 del 1972 della Corte costituzionale. Gli stessi paradossi costituiscono il fondo della questione affrontata dalla sentenza della Corte di cassazione, resa a Sezioni Unite penali, n. 22065, depositata il 4 giugno 2021, imp. Cremonini.
2. La fattispecie
In prime cure, l’imputato era stato assolto dal Tribunale ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p. perché il fatto non sussiste, in relazione al reato di cui all'art. 590 commi 2 e 3 c.p. (lesioni personali colpose dovute alla caduta di un operaio da un’impalcatura).
La Corte di appello aveva accolto l'appello della parte civile e ritenuto sussistente, senza lo svolgimento di alcuna attività istruttoria, la responsabilità del datore di lavoro sulla base di una diversa valutazione delle acquisizioni istruttorie (in particolare, valorizzando la deposizione della persona offesa, assunta nel giudizio penale, ritenuta attendibile perché riscontrata da una testimonianza e dagli accertamenti medico-legali) ai sensi dell'art. 2087 c.c. e del d. lgs. 81 del 2008 in tema di sicurezza sul lavoro.
Ha proposto ricorso per cassazione il datore di lavoro il quale ha lamentato la violazione di legge e il vizio di motivazione per l’omessa rinnovazione, nel giudizio d’appello, della prova dichiarativa decisiva ai fini del ribaltamento, ai soli effetti civili, del giudizio di responsabilità operato dal giudice di prime cure, mediante la quale la Corte di appello è pervenuta alla valutazione della colpevolezza dell'imputato, sia pure ai soli effetti civili, senza aver, doverosamente, rinnovato l'istruttoria dibattimentale.
3. Il quadro normativo
Come già accennato, l’art. 622 c.p.p. detta la regola in tema di “annullamento della sentenza ai soli effetti civili” e prevede che «fermi gli effetti penali della sentenza, la Corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile».
Il fondamento della norma è comunemente individuato in quello di evitare ulteriori interventi del giudice penale ove non vi sia più nulla da accertare agli effetti penali.
“Fermi gli effetti penali”, il rinvio al giudice civile competente in grado di appello è prescritto “quando occorre” e può avvenire nelle seguenti ipotesi:
- a seguito di ricorso dell’imputato sia per i capi penali sia per quelli civili (art. 574 c.p.p.);
- se il giudice abbia dichiarato estinto il reato per amnistia o per prescrizione (art. 578 c.p.p.);
- a seguito di ricorso della parte civile contro il proscioglimento dell’imputato (art. 576 c.p.p.).
La norma è ritenuta una eccezione alla regola sia rispetto all’art. 538 c.p.p. secondo cui il giudice penale decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno soltanto nel caso in cui pronunci sentenza di condanna sia rispetto all’art. 573 c.p.p., secondo cui l’impugnazione per i soli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale.
Nella fattispecie in esame, la Corte di appello, in accoglimento dell’impugnazione della parte civile ex art. 576 c.p.p., ha riformato la sentenza di primo grado ai soli effetti della responsabilità civile, condannando l’imputato al risarcimento dei danni da liquidarsi dinanzi al giudice civile.
Rileva peraltro, nel caso in esame, il dettato dell’art. 603, comma 3 bis c.p.p. (introdotto dall’art. 1, comma 58, della legge 22 giugno 2017, n. 103), che individua una specifica ipotesi eccezionale di ammissione delle prove, limitandone l’obbligo al caso in cui l’impugnazione sia stata proposta dal pubblico ministero.
4. Il contrasto
L’ordinanza di rimessione della IV Sezione penale n. 30858 del 20 ottobre 2020 ha ritenuto l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza della Corte in ordine all’individuazione del giudice civile o penale del rinvio e ha rimesso il ricorso al Primo Presidente per l’assegnazione all’esame delle Sezioni unite affinché si pronuncino sulla seguente questione:
«Se, in caso di annullamento ai soli effetti civili da parte della Corte di cassazione, per la mancata rinnovazione in appello di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, della sentenza che, in accoglimento dell’appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l’imputato al risarcimento del danno, il rinvio per il nuovo giudizio vada disposto dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello o al giudice penale».
Segnala l’ordinanza interlocutoria che l’obbligo di rinnovazione istruttoria discende letteralmente dalla disposizione di cui all'art. 603, comma 3-bis, c.p.p. (introdotto dall'art. 1, comma 58, legge 23/06/2017, n. 103) che sembra renderlo applicabile al solo caso in cui l'appello sia proposto dal pubblico ministero, obbligo che va ritenuto applicabile anche al caso in cui il rovesciamento della decisione sia stato sollecitato nella prospettiva degli interessi civili, a seguito dell'impugnazione della parte civile (come affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 27620 del 28 aprile 2016, Dasgupta, Rv. 267489)[4].
Due gli orientamenti giurisprudenziali delle Sezioni penali della cassazione che si fronteggiano in tema di individuazione del giudice del rinvio.
Da una parte, quello maggioritario, che ritiene necessario il rinvio al giudice civile e si fonda su un arresto delle Sezioni Unite penali che hanno stabilito come - nel caso in cui il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato (o per intervenuta amnistia) su ricorso dell’imputato ex art. 578 c.p.p., senza motivare in ordine alla responsabilità dell'imputato ai fini delle statuizioni civili, l'eventuale accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall'imputato, impone l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell'art. 622 c.p.p. (Sez. U, Sentenza n. 40109 del 18 luglio 2013, Pres. Santacroce Est. Conti, Imp. Sciortino). La ratio della norma si ravvisa nel “principio di economia che vieta il permanere del giudizio in sede penale in mancanza di un interesse penalistico alla vicenda” [5].
Questa rilevante decisione ritiene non percorribile la via dell'annullamento con rinvio al giudice penale (d'appello, che se avesse correttamente osservato la disposizione di cui all'art. 578 c.p.p., attraverso il pieno accertamento dei fatti ai fini della responsabilità civile, poteva pervenire ad escludere oltre alla responsabilità civile, anche quella penale, e anche ai sensi del comma 2 dell'art. 530 c.p.p., in applicazione dei principi espressi dalle Sezioni Unite 28 maggio 2009, n. 35490, Pres. Gemelli, Est: Romis, imp. Tettamanti,), né nell'ipotesi (oggetto del ricorso portato all'attenzione delle stesse Sezioni Unite “Sciortino”) di un ricorso dell'imputato che investa solo il capo relativo alla responsabilità civile “restando preclusa, in virtù del principio devolutivo, ogni incidenza sul capo penale, su cui è stata espressa una decisione irrevocabile”, né nell'ipotesi in cui l'imputato con il suo ricorso ritenga di investire formalmente anche il capo penale, dovendosi in tal caso ritenere inammissibile quest’ultimo ricorso in virtù del principio, in particolare affermato dalle citate Sezioni Unite “Tettamanti”, secondo cui “in presenza dell'accertamento di una causa di estinzione del reato non sono deducibili in sede di legittimità vizi di motivazione che investano il merito della responsabilità penale”, pena lo stravolgimento delle finalità e dei meccanismi decisori della giustizia penale, “in dipendenza da interessi civili ancora sub iudice che devono essere invece isolati e portati all'esame del giudice naturalmente competente ad esaminarli”. “In definitiva, in caso di accoglimento del ricorso per cassazione ai soli effetti civili, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., l'annullamento della sentenza va disposto con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, perché la ratio della suddetta previsione è quella di evitare ulteriori interventi del giudice penale ove non vi sia più nulla da accertare agli effetti penali”. Tale orientamento maggioritario delle sezioni penali è rimasto immutato sino al 2019.
Dall’altra parte, l’orientamento minoritario che, attraverso un'interpretazione restrittiva dell'art. 622 c.p.p., ritiene necessario il rinvio al giudice penale anche nel caso di annullamento dei capi civili ove non vi sia stato un accertamento sull’an della responsabilità penale dell’imputato ovvero l'annullamento senza rinvio, in luogo dell'annullamento con rinvio al giudice civile previsto dalla disposizione citata.
Tale drastica soluzione si giustificherebbe sulla base del diritto costituzionalmente presidiato dell'accusato a ottenere una decisione che, anche in caso di assoluzione irrevocabile, esamini tutti gli aspetti della vicenda anche ai fini dell'accoglimento o del rigetto della domanda civile, secondo i canoni interpretativi e le regole processuali propri del diritto penale, prime fra tutte le regole, di rango costituzionale, del giusto processo, nelle sue diverse declinazioni[6]. L’interpretazione sarebbe compiuta con la valorizzazione dell’inciso “fermi gli effetti penali” e nell’attribuire alla dizione “quando occorre” un’ampia accezione volta ad escludere cioè i casi in cui non vi sia stato il definitivo accertamento sull’an della responsabilità.
In tal modo, dall’ambito dell’art. 622 c.p.p. resterebbero esclusi: l’annullamento delle sole statuizioni civili contenute in una sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di appello ex art. 578 c.p.p.; l’annullamento della condanna al risarcimento pronunciata dal giudice di appello in accoglimento dell’impugnazione della parte civile proposta avverso la sentenza di proscioglimento di primo grado ai sensi dell’art. 576 c.p.p. e, infine, l’annullamento delle disposizioni civili contenute in una sentenza di condanna annullata senza rinvio anche agli effetti penali per sopravvenuta prescrizione del reato.
5. L’antefatto: l’orientamento della III Sezione civile
Il contrasto in esame presuppone la conoscenza di un recente disallineamento determinatosi tra gli orientamenti delle sezioni civili e penali della Corte di cassazione in ordine alle regole processuali e probatorie da applicare in caso di rinvio innanzi al giudice civile competente per valore in grado d'appello ex art. 622 c.p.p..
Alcune decisioni delle sezioni penali, nel rinviare al giudice civile agli effetti civili, avevano ritenuto quest’ultimo vincolato alle regole proprie del giudizio penale; emblematico il caso in cui, rinviando al giudice civile, la pronunce della Corte di cassazione penale dettavano il principio di valutazione della sussistenza o meno del nesso causale cui questi si sarebbe dovuto conformare cioè la regola penalistica dell’ “oltre il ragionevole dubbio” enunciata dalle Sezioni unite penali [7] e accadeva, invece, che il giudice civile, disattendendo il principio, giudicasse secondo la regola civilistica del “più probabile che non”, enunciata dalle Sezioni unite civili [8].
La III Sezione civile della Corte di cassazione con la sentenza n. 25918 del 15 ottobre 2019, Pres. Travaglino Est. Tatangelo, ha in proposito chiarito che il fondamento della scelta compiuta dal legislatore ex art. 622 c.p.p. nel rimettere le parti dinanzi al giudice civile, ben può essere ravvisato nella presa di coscienza del dissolvimento delle ragioni che avevano originariamente giustificato il sacrificio dell’azione civile alle ragioni dell’accertamento penale, a seguito della costituzione di parte civile. In tal modo, la scelta legislativa ha privilegiato il ritorno dell'azione civile alla sede sua propria.
Scelta che, del resto, aveva già trovato concorde consonanza nella interpretazione datane in passato dalle Sezioni Unite penali e civili; sul versante penale, con la citata sentenza “Sciortino” come veduto e, su quello civile, con una precedente pronuncia (a Sezioni Unite civili n. 1768 del 26 gennaio 2011, Pres. Vittoria, Est. Spirito) con la quale era stata già affrontata la questione dei limiti del sindacato del giudizio civile in tema di giudicato penale, affermando che la disposizione di cui all'art. 652 c.p.p. (così come quelle degli artt. 651, 653 e 654 del codice di rito penale) costituisce un'eccezione al principio dell'autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e come tale, soggetta ad un'interpretazione restrittiva e non applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti. In tale ottica, la sola sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima), pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, mentre alle sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non va riconosciuta alcuna efficacia extra penale, benché, per giungere a tale conclusione, il giudice abbia accertato e valutato il fatto (nella specie, il giudice penale, accertati i fatti materiali posti a base delle imputazioni e concesse le attenuanti generiche, per effetto dell'applicazione di queste ha dichiarato estinto il reato per prescrizione); in quest'ultimo caso, il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, ha il dovere di rivalutare, interamente ed autonomamente, il fatto in contestazione (nella specie, il giudice civile, aveva proceduto ad un riparto delle responsabilità diverso da quello stabilito dal giudice penale).
Ripercorso l’iter decisorio delle due pronunce rese a Sezioni unite in materia, la III sezione civile del 2019 ha affermato che l’esegesi dell’espressione “rinvio” contenuta nell'art. 622 c.p.p., sebbene evochi i principi propri del giudizio di rinvio, non può tuttavia in alcun modo configurare una fase di “prosecuzione” del processo penale (ogni interesse penalistico dovendosi ritenere ormai definitivamente dissolto).
Il giudizio si presenta autonomo (benché sui generis), “sia in senso strutturale che funzionale”, essendosi realizzata la definitiva scissione tra le materie sottoposte a giudizio, mediante la “restituzione” dell'azione civile all'organo giudiziario cui essa appartiene naturalmente[9]. Ha ritenuto, inoltre, che detta restituzione si configura come una definitiva ed integrale translatio iudicii dinanzi al giudice civile, con la conseguenza che rimane del tutto estranea all'assetto del giudizio di rinvio la possibilità di applicazione di criteri e regole probatorie, processuali e sostanziali, tipiche della fase penale esauritasi a seguito della pronuncia della cassazione, atteso che la funzione di tale pronuncia, al di là della restituzione dell'azione civile all'organo giudiziario a cui essa naturaliter appartiene, è limitata a quella di operare un trasferimento della competenza funzionale dal giudice penale a quello civile, essendo propriamente rimessa in discussione la res in iudicium deducta, nella specie costituita da una situazione soggettiva ed oggettiva del tutto autonoma (il fatto illecito) rispetto a quella posta a fondamento della doverosa comminatoria della sanzione penale (il reato), attesa la limitata condivisione, tra l'interesse civilistico e quello penalistico, del solo punto in comune del “fatto” (e non della sua qualificazione), quale presupposto del diritto al risarcimento, da un lato, e del dovere di punire, dall'altro[10].
6. La composizione del contrasto sul problema dell’individuazione del giudice del rinvio
La sentenza Cremonini, dopo accurata interpretazione delle norme processuali coinvolte, in continuità con l’orientamento precedente (Sez. U. 27620 del 28 aprile 2016, Imp. Dasgupta, Pres. Canzio, Est. Conti e Sez. U. 28 gennaio 2019 n. 14426, Pres. Carcano, Est. Rago, Imp. Pavan) ha accolto il primo motivo di ricorso e annullato la decisione impugnata in quanto il giudice di appello, investito dall’impugnazione proposta dalla parte civile ai soli effetti civili avverso la pronuncia assolutoria di primo grado, aveva omesso di rinnovare d’ufficio l’istruttoria dibattimentale, adottando la decisione di riforma sulla base di un apprezzamento diverso sull’attendibilità di prove dichiarative ritenute decisive.
Sulla individuazione del giudice cui rinviare a seguito dell’annullamento ai soli effetti civili della sentenza di condanna pronunciata in appello, le Sezioni unite hanno optato per la necessità dell’annullamento con rinvio al giudice civile sulla base di una serie di considerazioni di carattere ordinamentale, storico e sistematico.
Sul versante ordinamentale, hanno posto in rilievo come l’attuale assetto processuale ispirato al sistema accusatorio che, rispetto al precedente sistema (inquisitorio, improntato al principio della unitarietà della funzione giurisdizionale e quindi della priorità e del primato della giurisdizione penale e della sua pregiudizialità rispetto agli altri processi) è caratterizzato dal principio della parità e originarietà dei diversi ordini giurisdizionali e della sostanziale autonomia e separazione dei giudizi. Separatezza che emerge, soprattutto e con chiarezza, dal dettato dell’art. 652 comma 1 c.p.p. che esclude l’efficacia di giudicato della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno, ove il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’art. 75, comma 2, c.p.p. In tale assetto, alla regola generale dell’accessorietà dell’azione civile nel processo penale dettata dall’art. 538 c.p.p., secondo cui il giudice penale pronuncia sulla domanda avente ad oggetto le restituzioni e il risarcimento del danno, solo se pronuncia condanna dell’imputato, corrispondono due eccezioni contenute negli artt. 576 e 578 c.p.p..
Sul versante storico, hanno ricostruito l’esegesi del processo che ha portato all’attuale formulazione dell’art. 622 c.p.p., disposizione di carattere eccezionale in cui ricadono le ipotesi, anch’esse eccezionali di cui agli artt. 576 e 578 c.p.p..
Sul piano sistematico, hanno precisato che la fattispecie in esame rientra nell’ipotesi di cui alla prima parte della stessa disposizione ove la condanna al risarcimento del danno è pronunciata dal giudice di appello in accoglimento della sola impugnazione della parte civile proposta avverso la sentenza di proscioglimento di primo grado ai sensi dell’art. 576 c.p.p. per vizio di motivazione derivante dall’omessa rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva ed in proposito, hanno richiamato le decisioni della Corte costituzionale che, dagli anni 90’ sino ad oggi, si sono espresse sotto diversi profili, per la compatibilità di tale assetto processuale in relazione ai principi costituzionali dettati dagli artt. 3 e 111 Cost..
Viene richiamata ampiamente pure la pronuncia delle Sezioni Unite penali del 2013 “Sciortino”, che, come veduto, aveva respinto l’orientamento che riteneva necessario che la corte di cassazione annullasse la sentenza con rinvio allo stesso giudice penale che aveva emesso il provvedimento impugnato e non a quello civile competente per valore in grado di appello ex art. 622 c.p.p.. La scelta normativa di rinvio al giudice civile in grado di appello era stata ritenuta soluzione equilibrata sia per il danneggiato che, in sede di rinvio, poteva sollecitare davanti al giudice civile anche il riconoscimento del danno non patrimoniale, negli ampi termini definiti dalla giurisprudenza civile, sia per l’imputato/danneggiante in quanto il perseguimento dell'interesse a un pieno accertamento della sua innocenza, anche ai fini della responsabilità civile, poteva ben essere assicurato dall'opzione di rinuncia alla prescrizione (art. 157, comma 7, c.p.) o all'amnistia (ex Corte cost., sent. n. 175 del 1971). La stessa pronuncia “Sciortino” aveva osservato che l'ampia dizione dell'art. 622 c.p.p. non ammette distinzioni di sorta in relazione alla natura del vizio che inficia le statuizioni civili assunte dal giudice penale che potranno riguardare sia vizi di motivazione in relazione ai capi o ai punti oggetto del ricorso sia violazioni di legge, comprese quelle afferenti a norme di natura procedurale, relative al rapporto processuale scaturente dall'azione civile nel processo penale.
Alla luce del richiamo alla sentenza “Sciortino”, la decisione in esame ha ribadito che l’ambito applicativo dell’art. 622 c.p.p. è quello di una norma di eccezione che legittima il coinvolgimento del giudice civile tutte le volte che siano venute meno le condizioni per radicare la decisione in capo al giudice penale, tenuto conto che l’incipit della stessa disposizione, nel dettare la locuzione “fermi gli effetti penali della sentenza”, significa che tutto ciò che riguarda il versante penale non può più essere posto in discussione, né la persistenza dell’interesse penalistico può essere giustificata ex art. 573 c.p.p. in quanto la cognizione delle questioni civilistiche passa, “quando occorre”, al giudice civile, competente per valore in grado di appello.
Pertanto la sentenza in esame ha ritenuto che la definitività e l'intangibilità della decisione adottata in ordine alla responsabilità penale dell'imputato, determinate dalla pronuncia con cui la Corte di cassazione annulla le sole disposizioni o i soli capi che riguardano l'azione civile (promossa in seno al processo penale), ovvero accoglie il ricorso della parte civile avverso il proscioglimento dell'imputato, provoca il “definitivo dissolvimento” delle ragioni che avevano originariamente giustificato, a seguito della costituzione della parte civile nel procedimento penale, le deroghe alle modalità di istruzione e di giudizio dell'azione civile, imponendone i condizionamenti del processo penale, funzionali alle esigenze di speditezza del procedimento.
Con l'esaurimento della fase penale, essendo ormai intervenuto un giudicato agli effetti penali ed essendo venuta meno la ragione stessa dell'attrazione dell'illecito civile nell'ambito della competenza del giudice penale, risulta – secondo la pronuncia in esame – coerente con l'attuale assetto normativo interdisciplinare che la domanda risarcitoria venga esaminata secondo le regole dell'illecito aquiliano, dirette alla individuazione del soggetto responsabile ai fini civili su cui far gravare le conseguenze risarcitorie del danno verificatosi nella sfera della vittima; l'annullamento e il conseguente rinvio al giudice civile competente comporta, in caso di riassunzione, l'assunzione della veste di attore-danneggiato della parte civile e di convenuto-danneggiante da parte di colui che nel processo penale rivestiva il ruolo di imputato.
La Corte ritiene non condivisibile il sospetto instillato dall'orientamento minoritario sull'effetto pregiudizievole derivante agli interessi della parte civile dal dover espletare dinanzi al giudice civile il proprio onere probatorio come se l'istruttoria già compiuta nella fase penale fosse stata azzerata; per sfatare tale sospetto, richiama la giurisprudenza civile di legittimità, la quale riconosce, senz’altro, al giudice civile adito per il risarcimento del danno, l'onere del riesame dei fatti emersi nel procedimento penale, pure conclusosi con sentenza assolutoria (cfr. Sezioni Unite civili, n. 1768 del 2011, cit.).
In merito alla natura del giudizio di rinvio disposto ai sensi dell’art. 622 c.p.p., la Corte compie un ampio richiamo all’orientamento di legittimità affermatosi nella giurisprudenza della III sezione civile a partire dalla citata sentenza n. 15859 del 2019 e mostra di condividerne una serie di affermazioni.
Prima fra tutte la conferma della ritenuta autonomia del giudizio civile di rinvio sia in senso strutturale che funzionale, una volta determinatasi la scissione a seguito della valutazione compiuta dal giudice nel giudizio penale; scissione, in ragione dalla quale, la Corte ritiene la non ipotizzabilità del potere della cassazione penale ex art. 622 c.p.p. di enunciare il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi, concludendo in proposito “verificatosi un giudicato agli effetti penali, appare ragionevole che all’illecito civile tornino ad applicarsi le regole sue proprie, funzionali all’individuazione del soggetto su cui, secondo il sistema del diritto civile, far gravare il costo di un danno e non la sanzione penale”.
Dall’affermata natura autonoma del giudizio civile, conseguente all’annullamento in sede penale agli effetti civili ex art. 622 c.p.p. rispetto a quello penale, discendono due ulteriori rilevanti effetti che le Sezioni unite affermano di condividere unitamente alla richiamata giurisprudenza di legittimità civile. Per un verso, la possibilità che le parti possano allegare fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno, diversi da quelli posti a fondamento di quelli in ordine ai quali si è svolto il giudizio penale, consentendo l’emendatio della domanda ai fini della prospettazione di elementi costitutivi dell’illecito penale; da ciò, a parere delle Sezioni unite penali, conseguirebbe un’attenuazione degli effetti negativi della perdita di un grado di giudizio quale conseguenza della scelta della controparte di ottenere l’annullamento. Per l’altro verso, la diversa configurazione delle regole processuali applicabili sia in tema di nesso causale sia di prove, in ragione della diversa funzione della responsabilità civile e della responsabilità penale e dei diversi fattori in gioco nei due sistemi di responsabilità.
Precisamente, sul piano del nesso di causa, viene chiarito che la regola di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio” e della garanzia costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27, comma secondo, Cost., cogente in ambito penalistico, ogniqualvolta il processo ritorni alla sede sua propria ai sensi dell’art. 622 c.p.p., non è applicabile ai giudizi risarcitori civili, i quali - in tema di accertamento del nesso causale tra condotta illecita e danno – sono governati dalla diversa regola probatoria del “più probabile che non” e ciò, tanto più ove venga richiesta in appello l'affermazione della responsabilità del presunto danneggiante (ad esempio, in caso di responsabilità da circolazione stradale, responsabilità medica, etc.).
Anche sul piano del diritto di difesa delle parti, saranno applicabili le regole processuali che governano l’istruzione probatoria nel processo civile ovvero il principio di disponibilità della prova e quello del libero convincimento del giudice che ne giustificano il prudente apprezzamento anche mediante prove cd. atipiche, idonee a concorrere all’accertamento dei fatti di causa.
Il mutamento delle regole probatorie a seguito dell’annullamento ex art. 622 c.p.p., pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dall’orientamento minoritario, “non pone problemi sotto il profilo delle esigenze difensive delle parti, danneggiato e danneggiante, che sino ad allora hanno scelto e commisurato la loro attività difensive a regole probatorie diverse”.
In conclusione, secondo le Sezioni unite penali la norma permette la restituzione della cognizione dell’azione civile al giudice naturale, confermando che il fatto integra illecito civile, così preservando le peculiarità che distinguono la responsabilità civile rispetto a quella penale.
7. La compatibilità della soluzione prescelta rispetto al diritto vivente sovranazionale e costituzionale
Con ampia e puntuale motivazione viene indagata e affermata la compatibilità di tale assetto ermeneutico concernente l’art. 622 c.p.p. rispetto alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo; in proposito viene ribadito, come già affermato dalla Corte (Sezioni Unite 29 giugno 2016 n. 46688, Imp. Schirru, Rv. 267888) che “neanche la giurisprudenza elaborata dalla Corte EDU lascia ipotizzare scenari che chiamino in causa la violazione dell'art. 117 Cost. quale parametro interposto, dovendosi considerare che, sebbene l'art. 6, § 1, della Convenzione sia stato interpretato reiteratamente come fonte di "un diritto di carattere civile" della vittima del reato a vedersi riconosciuta la possibilità di intervenire nel processo penale per difendere i propri interessi tramite la costituzione di parte civile (v. fra le molte, Corte EDU, 20 marzo 2009, Gorou c. Grecia), tuttavia, con riferimento al caso della mancata valutazione della domanda della parte civile per essersi il processo penale chiuso con provvedimento diverso dalla condanna dell'imputato, la Corte EDU non ha individuato alcuna violazione del diritto di accesso ad un tribunale: violazione che, invece, viene ritenuta ravvisabile solo quando la vittima del reato non disponga di rimedi alternativi concreti ed efficaci per far valere le sue pretese (Corte EDU, Sez. 3, 25 giugno 2013, Associazione delle persone vittime del sistema S.C. Ronnpetrol S.A. e S.C. Geonnin S.A. e altri contro Romania)”.
In relazione al caso in esame, pertanto, si sottolinea che del tutto in linea con il diritto vivente sovranazionale, l’ordinamento interno prevede la possibilità di rivolgersi al giudice civile.
Inoltre, questo meccanismo di restituzione appare rispettoso sia dei principi che governano il giusto processo che di quelli inerenti allo statuto dell’imputato-convenuto danneggiante. Sotto quest’ultimo aspetto, viene ribadito che la regola del contraddittorio permea il giudizio civile al pari di quello penale sicché nel rispetto del principio del contraddittorio avverrà il confronto tra la tesi del danneggiante e quella, avversa, del danneggiato. Sotto il profilo del giusto processo, oltre a rimarcare che, anch’esso è principio immanente sia all’ambito processuale civile sia a quello penale, la decisione in esame richiama quanto espresso dalla Corte costituzionale a proposito della compatibilità del vigente assetto con il principio di ragionevole durata del processo, in quanto “la preclusione della decisione sulle questioni civili, nel caso di proscioglimento dell'imputato per qualsiasi causa - compreso il vizio totale di mente - se pure procrastina la pronuncia definitiva sulla domanda risarcitoria del danneggiato, costringendolo ad instaurare un autonomo giudizio civile, trova però giustificazione nel carattere accessorio e subordinato dell'azione civile proposta nell'ambito del processo penale rispetto alle finalità di quest'ultimo, e segnatamente nel preminente interesse pubblico (e dello stesso imputato) alla sollecita definizione del processo penale che non si concluda con un accertamento di responsabilità, riportando nella sede naturale le istanze di natura civile fatte valere nei suoi confronti. Ciò, in linea, una volta ancora, con il favore per la separazione dei giudizi cui è ispirato il vigente sistema processuale”[11].
Conclude pertanto la decisione in commento di non condividere l’orientamento minoritario che, evocando il principio del giusto processo, ha teorizzato che il rinvio ex art. 622 c.p.p. dovesse essere necessariamente disposto al giudice penale, in quanto tenuto alla rinnovazione della prova, perché tale tesi si risolve in “una forzatura ermeneutica nell’individuazione del giudice, non supportata nel sistema processuale vigente”.
8. Notazioni conclusive
In definitiva, e con una battuta, può dirsi che il mistero che circonda l’art. 622 c.p.p. si infittisce; con tale disposizione infatti è consentito, per un verso, impugnare un capo di sentenza che non c’è, allorquando venga in appello, su richiesta della parte civile, annullata la decisione di proscioglimento dell’imputato ai soli effetti della responsabilità civile e, per l’altro, è permesso impugnare per cassazione la sentenza che, in accoglimento dell’appello della parte civile avverso la decisione assolutoria di prime cure, abbia condannato l’imputato al risarcimento del danno ai soli effetti civili, senza la rinnovazione di un’attività processuale, caso verificatosi nella specie, con la conseguenza che la prova che non c’è, perché non rinnovata secondo le regole probatorie penali, viene rimessa con rinvio all’apprezzamento del giudice civile secondo le sue proprie regole.
Al riguardo, è stato già posto in luce criticamente su questa Rivista (A. Nappi, Paradossi giurisprudenziali) come la soluzione prescelta di imporre alla Corte di cassazione l’annullamento della decisione d’appello per la violazione di una norma che non dovrà essere osservata nel giudizio di rinvio, pone una regola di dubbia utilità in quanto non vi sarebbe “alcuna logica nel censurare la violazione di una norma che non si pretende poi di vedere osservata”. La critica in realtà viene mossa al precedente (Cass., Sez. un., 28 aprile 2016, Dasgupta), condiviso dalla pronuncia Cremonini, secondo cui è necessario che “il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale, anche d'ufficio”. Orientamento la cui generalizzazione a tutti i tipi di impugnazione desta perplessità, nonostante l’art. 603, comma 3 bis, c.p.p. imponga la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale soltanto nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa. In proposito, dirimente è l’assunto secondo cui la rinnovazione istruttoria deve essere considerata obbligatoria nel caso in cui l’accertamento delle responsabilità civile e penale dell’imputato sia contestuale e apprezzata dinanzi al giudice penale, non, invece, nel caso in cui sia stata chiusa definitivamente la vicenda penale e resti da accertare solo la responsabilità civile (A. Nappi, Paradossi giurisprudenziali).
Del tutto condivisibili appaiono, viceversa, le indicazioni nomofilattiche date dalla decisione in commento circa la natura autonoma del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., quale giudizio restitutorio e non prosecutorio rispetto a quello penale.
Da tali indicazioni discendono rilevanti conseguenze. Innanzitutto, l’aver affermato con chiarezza, componendo il contrasto tra sezioni civili e penali in proposito, l’inesistenza di un potere della Corte di cassazione penale, in sede di annullamento della sentenza penale ai soli effetti civili, di vincolare il giudice civile del rinvio ad un principio di diritto. In secondo luogo, quella di ritenere, all'esito della trasmigrazione del procedimento dalla sede penale a quella civile, cogenti le regole processuali proprie di quest’ultimo giudizio sia in tema di istruzione probatoria sia in ordine al criterio causale applicabile, tenuto conto della diversità dell'ambito entro cui l'attività difensiva viene a svolgersi, nel diverso prospettare le relative questioni (e al giudice del rinvio di deciderle) sotto il profilo non del reato, ma dell'illecito civile ex art. 2043 c.c.. Indicazioni che, come sopra accennato, possono dirsi del tutto in linea con le affermazioni rese al riguardo dall’orientamento più recente della III Sezione civile della Corte.
Echeggia sul fondo di tali rilevanti affermazioni il mai sopito dibattito inerente ai rapporti che possono insorgere tra la responsabilità civile da reato e quella da illecito civile. Moltissime le posizioni dottrinali e giurisprudenziali espresse in materia che, in questa sede, possono essere soltanto accennate.
Sul piano sostanziale, la struttura dell’illecito penale appare speculare a quella dell’illecito civile e si compone degli stessi elementi costitutivi di quella: ovvero la condotta, l’evento di danno e il nesso di causalità tra la prima ed il secondo, ma appena se ne analizzino le singole componenti sul piano probatorio processuale si scoprono differenze rilevanti; si pensi all’elemento soggettivo della condotta, ove nell’illecito civile, a differenza della responsabilità da reato, vengono previste ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui e alle nozioni di dolo e colpa, non collimanti con quelle previste per il fatto reato. Differisce altresì la nozione di fatto che nella responsabilità penale viene tipicamente e tassativamente ricondotta all’interno di una fattispecie normativa, mentre in quella civile corrisponde ad una fattispecie atipica ovvero a qualunque fatto colposo o doloso idoneo a cagionare un danno ingiusto; ne discende una ulteriore differenza in quanto nella responsabilità penale il fatto è ex lege antigiuridico, nella responsabilità civile, invece, il requisito dell’ingiustizia è riferito al danno e non al fatto. Ulteriore terreno di disomogeneità è quello del nesso causale[12], in merito al quale le soluzioni proposte dalla giurisprudenza evidenziano che la questione non è ancora compiutamente risolta e sconta - quali fattori di criticità - la disomogeneità tra gli orientamenti adottati in ambito sia penalistico sia civilistico e la complessità di materie assai delicate, come l'infortunistica o la responsabilità professionale, le cui peculiarità specifiche hanno posto in discussione la tenuta di una ricostruzione sistematica unitaria.
Le rilevanti indicazioni date dalla sentenza in commento sul meccanismo di rinvio al giudice civile in caso di annullamento ex art. 622 c.p.p., appaiono del tutto consapevoli di tali criticità e costituiscono una tessera fondamentale ai fini della ricomposizione del mosaico. La compiuta ricostruzione di tale strumento di passaggio dal giudizio penale a quello civile appare del tutto conforme ai principi di ragionevolezza, di effettività della tutela e di bilanciamento di interessi, più volte affermati dal giudice delle leggi e dalle corti sovranazionali; difatti, apparirebbe del tutto irragionevole che il giudizio civile fosse vincolato alle regole processuali penali, una volta che questo abbia definitivamente esaurito la sua funzione [13].
In questa accezione le Sezioni unite hanno risposto agli interrogativi già posti su questa Rivista (C. Citterio, Rivive il principio di accessorietà dell’azione civile nel processo penale?) e hanno escluso la possibilità di protrarre l’esercizio dell’azione civile nel processo penale, pur dopo la conclusione dell’esercizio dell’azione penale, affermando con chiarezza che in tale evenienza si riespandono, intatti, i caratteri che governano l’azione civile e cioè, l’autonomia e la separatezza.
Per completezza e per dare conto delle incessanti incertezze ermeneutiche che in materia si preannunciano, de iure condendo, va segnalato l’intervento della recentissima Commissione ministeriale istituita dall’attuale ministro della giustizia, Cartabia, presieduta da Lattanzi, che ha proposto diversi emendamenti al disegno di legge A.C. 2435 recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale (presentato a firma del precedente ministro, Bonafede) che, tra l’altro e per quanto qui di interesse, propongono di incidere sull’art. 627, comma 2, c.p.p. nel prevedere quale criterio di delega che, in caso di annullamento della sentenza di proscioglimento, sia obbligatoria la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale volta ad assumere prove decisive, nonché sull’art. 622 c.p.p. nel prevedere che, in caso di annullamento della sentenza ai soli effetti civili, la Corte di cassazione annulli con rinvio al giudice civile con l’obbligo da parte di quest’ultimo di valutare le prove raccolte nel processo penale.
Di sicuro rilievo, infine, per le sue implicazioni sul tema in argomento, è la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di appello di Lecce (ordinanza del 6 novembre 2020, www.Gazzettaufficiale.it) in relazione all’art. 578 c.p.p. che, valorizzando le considerazioni sul carattere accessorio e subordinato dell’azione civile quando incardinata nel processo penale - come ritenuto anche di recente dalla Corte costituzionale (sentenza n.176 del 2019) - ha osservato che la sostanziale equiparazione della sentenza di appello (che dichiarando il reato per prescrizione confermi le statuizioni civili) ad una decisione di “condanna”, operata dall’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di revisione (Cass. pen. sez. un. 25 ottobre 2018, n. 6141 depositata il 7 febbraio 2019, Pres. Carcano, Est. Beltrami, Imp. Milanesi[14]), obbligherebbe il giudice di appello «civile» ad una rivalutazione piena della responsabilità «penale» in ordine allo stesso fatto-reato contestato - peraltro, sulla base del medesimo materiale probatorio avuto a disposizione dal giudice di prime cure - sia pure ai fini di confermare o meno le statuizioni civili disposte dal primo giudice; ciò determinerebbe un sistema non compatibile col fondamentale principio del rispetto della presunzione di innocenza di cui all'art. 6, comma 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, così come declinato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, da intendersi come parametro interposto ai sensi dell'art. 117 Cost.
L’enigmatica disposizione continua dunque a rappresentare oggetto di studio, di modifiche e di confronto all’interno dell’ordinamento nazionale e proietta i suoi riflessi nell’intero sistema, ponendo nuovamente un quesito di conformità costituzionale che costituirà banco di prova, di sicuro interesse, per l’evoluzione del formante interpretativo.
[1] Cordero, Procedura Penale, Milano, 2006, 1183.
[2] Cordero, op.cit., 1183 ove viene spiegato “Ad esempio, N è stato assolto «perché il fatto non sussiste »: P, parte civile, ricorre asserendo difetti nella motivazione; la Corte li verifica; e nell'ipotesi positiva giudica fuori dai soliti modelli, con un dispositivo molto atipico, togliendo al proscioglimento irrevocabile l'effetto extrapenale. Il rinvio implica un annullamento: e qui manca l'annullabile; i capi penali sono intangibili; non esistono decisioni sul danno. Né annullamento né rinvio, dunque: o meglio, quest'ultimo avviene, davanti al giudice penale, quando fosse stata negata una «prova decisiva» (sul tema penalistico) allora chiesta dall'impugnante (art. 606 lett. d); l'unico che possa acquisirla è l'organo individuato dall' art. 623. Infine, la parte civile rinviata in appello, come prevede l'art. 622, perderebbe un grado, se non fossero mai state emesse decisioni sui danni, perché ogni volta l'imputato risultava prosciolto”.
[3] Cordero, op.cit, 1183.
[4] Ove veniva posto in luce che anche in caso di ribaltamento della pronuncia di assoluzione veniva in gioco “la garanzia del giusto processo a favore dell'imputato coinvolto in un procedimento penale, dove i meccanismi e le regole sulla formazione della prova non subiscono distinzioni a seconda degli interessi in gioco, pur se di natura esclusivamente civilistica; tanto che anche in un contesto di impugnazione ai soli effetti civili deve ritenersi attribuito al giudice il potere-dovere di integrazione probatoria di ufficio ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen.” (così, in motivazione, Dasgupta).
[5] In proposito, la sentenza “Sciortino” afferma che non può condurre a diversa conclusione neppure "la considerazione che la disciplina che rinvia al giudice civile ogni questione superstite sulla responsabilità civile nascente dal reato, rende inevitabile l'applicazione delle regole e delle forme della procedura civile, che potrebbero ritenersi meno favorevoli agli interessi del danneggiato dal reato rispetto a quelle del processo penale, dominato dall'azione pubblica di cui può ben beneficiare indirettamente il danneggiato dal reato. Si tratta però di evenienza che il danneggiato può ben prospettarsi al momento dell'esercizio dell'azione civile nel processo penale, di cui conosce preventivamente procedure e possibili esiti, comprese le eventualità che, in presenza di cause di estinzione del reato o di improcedibilità dell'azione penale, venga a mancare un accertamento della responsabilità penale dell'imputato e che in caso di translatio judici l'azione per il risarcimento del danno debba essere riassunta davanti al giudice civile competente per valore in grado di appello. Resta naturalmente fermo che, in presenza di un danno da reato, il danneggiato, in sede di rinvio, può sollecitare davanti al giudice civile anche il riconoscimento del danno non patrimoniale, negli ampi termini definiti dalla giurisprudenza civile”
[6] Il tema si ritrova in Lavarini, Azione civile nel processo penale e principi costituzionali, Torino, 2009, 155, ove l’A. interrogatasi sull'esigenza di riflettere, de iure condendo, sull'opportunità di lasciare alla competenza del giudice penale anche il giudizio di rinvio ai soli effetti civili, in linea con la strada suggerita dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 29 del 1972: osserva che questa soluzione avrebbe l'indubbio pregio di ricondurre a coerenza il sistema, al pari di quella, affatto speculare, e pure adombrata in dottrina e nei lavori preparatori del codice di rito penale, di escludere tout court la parte civile dal processo penale.
[7] Corte cass Sez. un., 1° luglio 2002, n. 30328, Pres. Marvulli Est. Canzio, Imp. Franzese, Rv. 222138 - 01
[8] Corte cass. Sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576, Pres. Carbone, Est. Segreto, Rv. 600899 - 01.
[9] Il tema si ritrova in Lavarini, Azione civile nel processo penale e principi costituzionali, Torino, 2009, 155, ove l’A. interrogatasi sull'esigenza di riflettere, de iure condendo, sull'opportunità di lasciare alla competenza del giudice penale anche il giudizio di rinvio ai soli effetti civili, in linea con la strada suggerita dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 29 del 1972: osserva che questa soluzione avrebbe l'indubbio pregio di ricondurre a coerenza il sistema, al pari di quella, affatto speculare, e pure adombrata in dottrina e nei lavori preparatori del codice di rito penale, di escludere tout court la parte civile dal processo penale.
[10] Quanto alle regole probatorie applicabili in tema di nesso causale, la stessa decisione ha affermato che “Pertanto, riassunto il processo nella sede civile, il giudice di rinvio non è affatto vincolato, nella ricostruzione del fatto, a quanto accertato dal giudice penale: se, tecnicamente, il giudizio di rinvio è regolato dagli artt. 392 - 394 cod. proc. civ., è del tutto evidente che non è per questo in alcun modo ipotizzabile un vincolo come quello che consegue all'enunciazione di un principio di diritto ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. da parte di questa Corte: con conseguente dovere del giudice civile, nella (libera) ricostruzione dei fatti e nella loro (libera) valutazione, di applicare del criterio civilistico del "più probabile che non" nella valutazione del nesso causale, in luogo di quello tipico del processo penale dell'alta probabilità logica, e con conseguente irrilevanza, sul piano processuale, dell'eventuale, contraria indicazione contenuta nella sentenza penale di rinvio ex art. 622 cod. proc. pen.”.
[11] Corte cost. sent. n. 12 del 2016.
[12] La letteratura giuridica in argomento è sterminata; per una ricostruzione sistematica completa delle teorie sul nesso di causalità, cfr. Bianca, Diritto civile, 2012, 142 e ss.
[13] Nella richiamata pronuncia Sez. III n. 15589 del 2019, si e affermato che i principi richiamati, sembrano trovare ulteriore conferma nella stessa disposizione dell'art. 187, capoverso, c.p. la quale, statuendo per i condannati per uno stesso reato l'obbligo in solido al risarcimento del danno, non esclude, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ipotesi diverse di responsabilità solidale: si pensi ai soggetti che non siano colpiti da alcuna condanna o siano colpiti da condanna per reati diversi o siano taluni colpiti da condanna e altri no. Cfr. in proposito, inoltre, Cass., Sez. 3 15 luglio 2005, n. 15030, Est. Segreto, Rv. 584094 - 01; Cass., Sez. 3 12 marzo 2010, n. 6041, Est. Travaglino, Rv. 612075 - 01; Cass. Sez. 3, n.1070 del 17 gennaio 2019, Est. Scoditti, Rv. 652444 - 01.
[14] Pronuncia ove si è affermato che è ammissibile sia agli effetti penali che civili, la revisione richiesta ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p., della sentenza del giudice di appello che, prosciogliendo l'imputato per l'estinzione del reato dovuta a prescrizione o amnistia, e decidendo sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, abbia confermato la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile.