Sommario: 1. Introduzione - 2. L’evoluzione della disciplina della partecipazione a distanza dell’imputato: l’art. 146 bis disp. att. c.p.p. e il suo ambito di applicazione - 2.1 L’evoluzione storica dell’art. 146 bis disp. att. c.p.p. - 2.2. La parentesi dovuta al periodo pandemico: l’affermazione del valore del consenso e le basi per le evoluzioni successive - 2.3 La riforma Cartabia e l’attuale formulazione dell’art. 146 bis disp. att. c.p.p.: il rapporto con i novelli artt. 133 bis e 133 ter c.p.p. - 3. La perdurante vigenza dell’art. 146 bis disp. att. c.p.p. per gli imputati detenuti e il divieto di partecipazione degli stessi a distanza al di fuori delle ipotesi previste dalla legge o di una espressa manifestazione di consenso - 3.1 Il consenso dell’imputato e del suo difensore come principio generale e l’ipotesi – residuale – del “mancato dissenso”.
1. Introduzione
La quotidiana attività nelle aule di udienza si caratterizza per un continuo viavai di persone: avvocati, magistrati, testi e imputati che si affannano a raggiungere le aule d’udienza, scalpitando in fondo alla stanza impazienti che giunga il loro momento e che il giudice, finalmente, chiami il processo che li interessa.
Lì, dal suo scranno, il giudice dirige l’udienza, scioglie riserve, risponde alle eccezioni e ascolta testi e imputati, controllando dalla sua postazione privilegiata le condotte degli uomini e delle donne in attesa: c’è chi sonnacchia; chi si mostra impaziente perché spinto dalla necessità di tornare alle proprie ordinarie incombenze; chi bisbiglia con il vicino ma, a causa della scarsa abitudine a tenere bassa la voce, crea più trambusto di chi fuori dall’aula parla serenamente; chi appare evidentemente scocciato; chi ascolta interessato, magari sentendosi finalmente parte del “pubblico della Giustizia” che ha spesso visto in molti talkshow in tv.
Un sistema, insomma, fondato sulla pubblicità dell’udienza e su un controllo diffuso sull’amministrazione della Giustizia, baluardo della democrazia che costituisce un primo assaggio del principio “la legge è uguale per tutti”: tutti aspettano, tutti insieme, senza nessuna distinzione, giovani e anziani, uomini e donne, ricchi e poveri.
Sul quadro appena rappresentato, però, è destinata ad incidere la tecnologia e, soprattutto, la possibilità di comunicare a distanza.
E così, nel corso della pandemia che ha interessato il mondo intero, sono stati implementati gli strumenti di partecipazione a distanza, con previsioni ad hoc che hanno consentito la celebrazione delle udienze da remoto, snellendo le forme in vista della garanzia della salute e della vita dei soggetti coinvolti nei processi: d’altra parte, la Giustizia non si è mai fermata, nemmeno dinanzi alle bombe e alla guerra, e ha mantenuto alto il suo onore reinventandosi per fronteggiare la crisi sanitaria senza con ciò impedire la celebrazione dei processi.
Terminata la fase emergenziale, però, la normativa che ha caratterizzato quel peculiare momento storico è venuta meno e si è registrata una nuova espansione delle forme: si è, così, tornati a celebrare il processo in presenza, nelle aule a ciò dedicate, con la partecipazione delle parti e dei testi in aula.
Ma il presente non può che trarre ispirazione dal passato e, così, la cd. Riforma Cartabia ha cercato di valorizzare le esperienze acquisite in ambito tecnologico durante la pandemia e ha introdotto nel Codice di procedura penale gli artt. 133 bis e 133 ter c.p.p.: opzione che, però, non ha determinato l’abrogazione dell’art. 146 bis disp. att. c.p.p.
2. L’evoluzione della disciplina della partecipazione a distanza dell’imputato: l’art. 146 bis disp. att. c.p.p. e il suo ambito di applicazione
2.1 L’evoluzione storica dell’art. 146 bis disp. att. c.p.p.
L’art. 146 bis disp. att. c.p.p. ha una storia antica, essendo stato inserito nel nostro ordinamento con la legge n. 11 del 7 gennaio 1998.
Nella sua versione originaria tale disposizione prevedeva la possibilità del giudice di disporre la partecipazione a distanza dell’imputato solo nel caso in cui si procedesse per taluno dei gravi reati di cui all’art. 51, comma 3, c.p.p. e – al contempo - solo in presenza di una delle seguenti motivazioni: gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico; dibattimento complesso e contestuale necessità di evitare ritardi; detenuto sottoposto al regime penitenziario di cui all’art. 41 bis.
In presenza di tali presupposti, allora, il Legislatore ha concesso di procedere a distanza, con la predisposizione di un sistema di videocollegamento che permettesse contestuali ascolto e visione tra tutte le parti e la possibilità per l’imputato di colloquiare riservatamente con il proprio Difensore: alla rigida alternativa tra partecipare o non partecipare, quindi, all’imputato è stata offerta la terza via della partecipazione a distanza, con una limitata ma costituzionalmente garantita compressione del suo diritto di difesa, come statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 342 del 22 luglio 1999 in presenza dei presidi posti dall’art. 146 bis citato.
Analogamente, poi, il Legislatore ha introdotto nel corpo delle disposizioni di attuazione al Codice di rito anche l’art. 40 bis, prevedendo la possibilità del videocollegamento anche nel caso di giudizi celebrati in camera di consiglio, richiamando l’art. 146 bis del medesimo corpo normativo per l’individuazione delle ipotesi nelle quali era consentito il videocollegamento e per le modalità di gestione dello stesso.
Con successiva modifica apportata con il decreto legge n. 341 del 24 novembre 2000, convertito nella legge n. 4 del 19 gennaio 2001, è stato generalizzato il ricorso al videocollegamento nel caso di imputato sottoposto al regime penitenziario di cui all’art. 41 bis, prevedendo in tale ipotesi che il giudice dovesse disporre la trattazione dell’udienza a distanza indipendentemente dalla ricorrenza della condizione posta dal comma 1 dell’art. 146 bis, ovvero a prescindere dal fatto il processo avesse ad oggetto i reati di cui all’art. 51, comma 3, c.p.p.[1].
La partecipazione a distanza dell’imputato, quindi, è diventata: obbligatoria nel caso di soggetto sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis ord. pen.; a discrezione del giudice ma con obbligo di motivazione nei casi di soggetto imputato per uno dei reati di cui all’art. 51, comma 3, c.p.p., purché in presenza anche di gravi ragioni di sicurezza o ordine pubblico ovvero di un dibattimento complesso e necessità di evitare ritardi.
L’inevitabile evoluzione tecnologica ha, però, permesso gradualmente al Legislatore di osare, ampliando le ipotesi di partecipazione a distanza dell’imputato con la novella operata dal decreto legge n. 374 del 18 ottobre 2001, per come convertito nella legge n. 438 del 15 dicembre 2001: è stato, in particolare, esteso il novero dei reati per i quali il giudice poteva disporre il videocollegamento, affiancando a quelli di cui all’art. 51, comma 3, c.p.p. anche quelli di cui all’art. 407 comma 2, lettera a), n. 4 c.p.p., ovviamente purché ricorressero anche le ulteriori condizioni previste dal comma 1 dell’art. 146 bis, ovvero la sussistenza di gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico ovvero di un dibattimento complesso e della contestuale necessità di evitare ritardi, fermo restando il generale impiego del sistema a distanza in caso di imputati sottoposti al regime penitenziario del 41 bis.
A fronte di una disposizione storicamente riservata alla partecipazione a distanza dell’imputato[2], poi, una prima apertura verso analoghe forme di impiego del videocollegamento per l’acquisizione delle testimonianze si è registrata con il decreto legge n. 211 del 22 dicembre 2011, per come convertito nella legge n. 9 del 17 febbraio 2012, che nel modificare il comma 1 bis dell’art. 146 bis disp. att. c.p.p. ha previsto l’acquisizione a distanza della deposizione resa dal testimone in stato di detenzione, salvo diversa decisione del giudice.
La prima vera riscrittura della norma in esame si è, però, registrata con la legge n. 103 del 23 giugno 2017 (cd. Riforma Orlando, dal nome dell’allora Guardasigilli), che ha generalizzato la partecipazione a distanza degli imputati di reati rientranti nel novero dell’art. 51, comma 3 bis, e dell’art. 407, comma 2 lettera a) numero 4), c.p.p., per i quali è stato previsto sempre il videocollegamento per tutte le udienze nelle quali sono imputati e per quelle penali e civili nelle quali devono essere escussi in qualità di testimoni; analoga previsione generalizzata è stata prevista al comma 1 bis per la persona imputata che sia ammessa a programmi o misure di protezione, comprese quelle di tipo urgente o provvisorio: il radicale cambio di rotta è stato, poi, cristallizzato dal novello comma 1 ter, che ha previsto come eccezionale la possibilità per il giudice di disporre che i soggetti indicati partecipino in presenza, con obbligo di motivazione e, comunque, con esclusione dei soggetti sottoposti al regime del 41 bis ord. pen., per i quali resta l’obbligo di partecipazione a distanza.
Nell’ottica di valorizzare al massimo i progressi tecnologici nel campo delle comunicazioni ed estendere, quindi, l’ambito della partecipazione a distanza – con conseguente contenimento dei costi per l’Amministrazione penitenziaria e riduzione dei rischi di evasione -, poi, è stato inserito un nuovo comma 1 quater, che ha affidato al giudice la possibilità di disporre con decreto motivato la partecipazione a distanza dell’imputato in caso di ragioni di sicurezza o di dibattimento di particolare complessità per il quale occorre evitare ritardi. In altre parole, le condizioni che in precedenza erano poste come necessarie per disporre il videocollegamento in presenza di reati rientranti nel novero dell’art. 51, comma 3, c.p.p. o dell’art. 407, comma 2 lett. a num. 4, c.p.p., dopo la riforma del 2017 sono divenute idonee a giustificare la partecipazione a distanza in presenza di qualsivoglia titolo di reato, con la conseguenza che il videocollegamento è divenuto:
- la regola in presenza di:
* procedimenti per i reati previsti dall’art. 51, comma 3, c.p.p. o dall’art. 407, comma 2 lett. a num. 4, c.p.p., salvo diversa decisione del giudice, che deve motivare sul punto;
* imputato ammesso a programmi o misure di protezione, comprese quelle di tipo urgente o provvisorio, salvo diversa decisione del giudice, che deve motivare sul punto;
* imputati sottoposti al regime di cui all’art. 41 bis della legge n. 354 del 26 luglio 1975, nel quale caso la partecipazione a distanza è obbligatoria;
- rimesso all’apprezzamento motivato del Giudice in presenza di:
* ragioni di sicurezza, con la precisazione che la nuova previsione ha ulteriormente ridotto l’onere motivazionale del giudice, escludendo la necessità di “gravi ragioni di sicurezza” in favore delle più blande “ragioni di sicurezza”;
* dibattimento di particolare complessità per il quale occorre evitare ritardi;
* assunzione di testimonianza di soggetto a qualsiasi titolo detenuto.
2.2. La parentesi dovuta al periodo pandemico: l’affermazione del valore del consenso e le basi per le evoluzioni successive
Come più volte evidenziato, il Legislatore ha lentamente ampliato il novero delle ipotesi di ricorso al videocollegamento, gradualmente riconoscendo sempre maggiori margini di discrezionalità al giudice nel disporre la partecipazione a distanza dell’imputato – e del testimone, ove detenuto – e addirittura ponendo come regola generale il videocollegamento in altri casi.
Ciò, tuttavia, non ha inciso sulle forme dell’udienza, che per il resto ha continuato a svolgersi nell’aula fisica, con la partecipazione degli operatori del diritto e di tutti gli altri attori del processo per i quali il videocollegamento non era consentito.
Tale meccanismo si è, però, scontrato con l’emergenza pandemica affrontata a partire dal 2020: dinanzi al dilagare di una malattia apparentemente incontrollabile, a fronte di uomini, donne e bambini che morivano ogni giorno a causa di un morbo che si diffondeva con modalità inizialmente sconosciute, ci si è trovati costretti a sospendere a tutti i livelli una delle caratteristiche che ha da sempre connotato l’uomo nel corso della sua evoluzione, ovvero quella socialità che proprio nell’aula d’udienza – come nell’Agorà millenni prima – si manifestava in tutto il suo splendore.
In questo senso, la Giustizia penale non si è potuta esimere dal confrontarsi con le nuove esigenze derivanti dalla pandemia e dalla necessità di coniugare la tutela della salute pubblica con il principio della pubblicità dell’udienza e il diritto dell’imputato di partecipare alla stessa.
L’equilibrio è stato trovato grazie all’art. 221, comma 9, del decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020 per come convertito nella legge n. 77 del 17 luglio 2020, che, “fermo restando quanto previsto dagli articoli 146 bis e 147 bis delle norme di attuazione” ha generalizzato la partecipazione a distanza degli imputati detenuti (anche per altra causa) in presenza del consenso degli stessi: una rivoluzione quasi involontaria, dettata dall’esigenza del momento e che, però, ha per la prima volta posto nuovamente l’imputato al centro del processo, affidandogli la possibilità di decidere se avvalersi o meno della partecipazione da remoto indipendentemente da rigidi schemi legislativi e in assenza di ragioni ostative che il giudice avrebbe dovuto, di volta in volta, motivare per imporgli la presenza fisica.
2.3 La riforma Cartabia e l’attuale formulazione dell’art. 146 bis disp. att. c.p.p.: il rapporto con i novelli artt. 133 bis e 133 ter c.p.p.
Finalmente superato il buio periodo della pandemia, le normative emergenziali sono venute meno e hanno ripreso ad operare le previsioni antecedenti, per come delineate in seguito alla cd. Riforma Orlando. D’altra parte, sebbene sin dal 1999 la Corte costituzionale abbia affermato la compatibilità della partecipazione a distanza per come concepita dal Legislatore italiano con il diritto di difesa[3], è innegabile che l’assenza fisica dell’imputato dall’aula d’udienza rende certamente più difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa sotto il profilo della partecipazione al contraddittorio: il confronto con il Difensore, infatti, risulta innegabilmente più macchinoso se effettuato per il tramite di uno strumento ad hoc – solitamente il telefono -, che impedisce quel rapporto dialogico continuo e diretto che si instaura tra l’Avvocato e il suo assistito durante l’acquisizione delle prove dichiarative, con possibilità per l’imputato di sottoporgli con facilità temi utili per il controesame.
E così, nella consapevolezza di tali limiti ma sulla scia dei risultati – non sempre brillanti, in realtà, a causa delle scarse forniture degli Uffici giudiziari e, in particolare, di reti lente e dispositivi informatici obsoleti – ottenuti, il Legislatore ha deciso di spingersi oltre nel processo di “remotizzazione” dell’udienza, giungendo alla riforma realizzata con il decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022, definita per comodità “Riforma Cartabia” dal nome dell’allora Ministro della Giustizia.
La novella ha, innanzitutto, inserito nel corpo del Codice di procedura penale un apposito Titolo II bis rubricato “Partecipazione a distanza”, composto da due articoli ovvero:
- l’art. 133 bis che recita “salvo che sia diversamente previsto, quando l'autorità giudiziaria dispone che un atto sia compiuto a distanza o che una o più parti possano partecipare a distanza al compimento di un atto o alla celebrazione di un'udienza si osservano le disposizioni di cui all'articolo 133 ter”;
- l’art. 133 ter rubricato “Modalità e garanzie della partecipazione a distanza”, che per l’appunto individua le modalità tramite le quali realizzare la partecipazione a distanza, recependo le previsioni prima dettate dall’art. 146 bis disp. att. c.p.p. ai commi 2, 3, 4, 5 e 6.
Orbene, la lettura dell’art. 133 ter c.p.p. permette di cogliere la chiara intenzione del Legislatore riformatore di snellire le forme, con esclusione di modalità predefinite di partecipazione a distanza delle parti e dei testimoni: ed infatti, sebbene sia imprescindibile garantire forme di videocollegamento che permettano la reciproca e contestuale visione tra tutti i soggetti coinvolti[4], la norma prevede in generale che il collegamento dei soggetti che partecipano a distanza avvenga da sedi istituzionali (da altro ufficio giudiziario o da un ufficio di polizia giudiziaria ex comma 4, dal luogo di restrizione ai sensi del comma 5 per i soggetti detenuti), ma ammette al comma 6 che l’Autorità giudiziaria, sentite le parti, autorizzi il compimento dell’atto in luogo diverso (previsione che, ovviamente, non trova applicazione per i detenuti).
Sotto il profilo dello strumento da impiegare per garantire il videocollegamento, poi, la nuova previsione normativa non impone alcun limite, proprio per garantire l’adattamento della disposizione agli imprevedibili progressi della tecnologia sul punto. Si è avuta, così, la possibilità di sfruttare un nuovo strumento che proprio in periodo pandemico ha trovato grande diffusione, ovvero il software Microsoft Teams fornito dal Ministero, sistema che si affianca alla classica videoconferenza gestita dalla Cabina di regia di Roma e ai quali, astrattamente, può aggiungersi qualsiasi ulteriore software che l’Autorità giudiziaria deciderà di autorizzare caso per caso, laddove ciò discenda da un’esigenza contingente[5].
3. La perdurante vigenza dell’art. 146 bis disp. att. c.p.p. per gli imputati detenuti e il divieto di partecipazione degli stessi a distanza al di fuori delle ipotesi previste dalla legge o di una espressa manifestazione di consenso
In chiusura del precedente paragrafo è stata, quindi, operata una distinzione tra videoconferenza e altre forme di partecipazione a distanza dell’imputato, fermo restando che le ipotesi nelle quali è ammesso il collegamento a distanza dell’imputato restano fissate dall’art. 146 bis disp. att. c.p.p. (oltre che da specifiche previsioni di legge, come si evidenzierà nel prosieguo), rimasto inalterato rispetto a quanto previsto dalla Riforma Orlando con riferimento ai casi nei quali la partecipazione a distanza dell’imputato è la regola[6] o è rimessa al prudente apprezzamento del giudice[7] (si veda, sul punto, la riproduzione schematica riportata in chiusura del paragrafo 2.1).
Ed infatti, con l’introduzione dell’art. 133 ter c.p.p. il decreto legislativo n. 150 del 2022 ha disposto l’abrogazione dei commi 2, 3, 4, 5 e 6 (oltre che la modifica del comma 4 bis) dell’art. 146 bis disp. att. c.p.p., rimettendo all’art. 133 ter c.p.p. l’unitaria individuazione delle modalità di partecipazione a distanza alle udienze.
Proprio sul punto occorre, allora, cercare di essere più precisi possibili, anche alla luce dell’interpretazione “suggerita” da molti istituti penitenziari in favore della partecipazione a distanza degli imputati detenuti, nascente da una lettura – erronea - degli artt. 133 bis e 133 ter c.p.p. che sono stati intesi come la chiave di volta per escludere la necessità della partecipazione fisica degli imputati in udienza, in evidente contrasto con la littera legis e con l’interpretazione sistematica delle norme che ci si appresta ad offrire.
Sebbene sia assolutamente comprensibile l’esigenza di contenimento dei costi delle traduzioni e dei rischi connessi - soprattutto quando occorre tradurre imputati da istituti siti a grande distanza dall’Ufficio giudiziario, magari per attività che richiedono un apporto davvero marginale del detenuto -, non bisogna dimenticare che le esigenze organizzative o economiche non possono scontrarsi con il diritto fondamentale di difesa dell’imputato, della cui vita si discute ad ogni udienza e che deve essere posto nella condizione di guardare negli occhi chi lo accusa e chi lo giudica, di colloquiare con facilità con il proprio difensore, di assistere anche a ciò che si verifica nell’aula al di fuori dello spazio di ripresa della telecamera: tutte queste esigenze vengono inevitabilmente compresse nel caso di una partecipazione a distanza e ciò è giustificabile solo nei limitati casi previsti dall’art. 146 bis disp. att. c.p.p. o da altre specifiche disposizioni di legge e non a tutela di interessi economici o meramente organizzativi dello Stato.
D’altra parte, se l’art. 133 ter c.p.p. disciplina le modalità tramite le quali garantire la partecipazione a distanza di parti e testimoni, l’art. 133 bis c.p.p. rimette all’Autorità giudiziaria il compito di stabilire quando tale modalità di presenza surrogata in udienza è consentita, imponendo un esame congiunto delle ipotesi normativamente previste di partecipazione a distanza.
E così, per esempio, la partecipazione a distanza dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e degli imputati di reato connesso può avvenire a distanza ai sensi dell’art. 496, comma 2 bis, c.p.p. con il “consenso delle parti”.
Orbene, appare evidente che l’ambito applicativo d’elezione della partecipazione a distanza sia proprio quello dell’assunzione delle prove dichiarative: fermo restando, infatti, il diritto dell’imputato ad essere presente in udienza accanto al suo difensore, il mezzo di prova può agevolmente essere acquisito mediante un videocollegamento, con una deroga minima alla contestuale presenza di tutti i soggetti in aula, visto che comunque il teste è solitamente presente in un ufficio di P.G. (il che garantisce la genuinità dell’assunzione della prova, evitando che dietro la telecamera possa esservi qualcuno che suggerisce delle risposte al teste o che, per esempio, lo minacci o lo condizioni) e viene inquadrato e ascoltato in maniera continua, con possibilità di cogliere ogni suo movimento e, quindi, anche il linguaggio non verbale e il suo contegno.
Se, quindi, è sempre all’art. 133 ter c.p.p. che occorre rinviare per individuare le modalità del videocollegamento, la possibilità o meno di procedere a distanza non trova il suo fondamento negli artt. 133 bis e 133 ter c.p.p., ma nell’art. 496 c.p.p., che ha richiesto l’acquisizione del consenso delle parti al videocollegamento, a riprova dell’assenza di un potere generalizzato del giudice di disporre il compimento di atti a distanza: analoga previsione è stata inserita nell’art. 422, comma 2, c.p.p. con riferimento agli approfondimenti istruttori compiuti in sede di udienza preliminare e di procedimento che si svolge nelle forme del rito abbreviato (alla luce del rinvio operato dall’art. 441 c.p.p. alle norme di cui agli artt. 422 e 423 c.p.p.).
Se, quindi, vengono poste queste importanti limitazioni rispetto all’acquisizione a distanza della prova dichiarativa, a maggior ragione non è possibile ipotizzare una generale possibilità di partecipazione a distanza dell’imputato, ipotesi che certamente comprime in maniera più significativa il diritto di difesa come si è più volte ribadito.
E così, con riferimento alle udienze camerali il Legislatore ha coniugato l’utilità della partecipazione a distanza con le peculiarità di tale forma di gestione del contraddittorio, che prevede la partecipazione facoltativa dell’imputato: in tal senso, laddove l’imputato sia detenuto fuori dalla circoscrizione del giudice e chieda di essere sentito, si provvederà mediante videocollegamento se vi consente o “nei casi particolarmente previsti dalla legge”, ovvero in quelle ipotesi nelle quali il Giudice può procedere a distanza a prescindere dal consenso dell’avente diritto, da individuarsi nella casistica delineata dall’art. 146 bis disp. att. c.p.p.
Tale interpretazione risulta, d’altra parte, suffragata dalla lettura dell’art. 40 bis disp. att. c.p.p., che nel disciplinare le ipotesi di partecipazione a distanza nei procedimenti in camera di consiglio prevede espressamente che “La partecipazione dell'imputato o del condannato all'udienza procedimento in camera di consiglio avviene a distanza nei casi e secondo quanto previsto dall'articolo 146 bis, commi 1, 1-bis, 1-ter e 1-quater”: ne consegue che fuori da tali ultime ipotesi, o vi è il consenso dell’imputato o il videocollegamento non è consentito e l’imputato sarà sentito dal Magistrato di sorveglianza competente sul luogo nel quale è detenuto.
Analogo schema è stato, poi, previsto dal Legislatore per le udienze in camera di consiglio svolte nell’ambito dei procedimenti di esecuzione disciplinati dagli art. 666 e ss. c.p.p., il cui comma 4 prevede che se l’interessato è detenuto e vuole essere sentito, parteciperà a distanza se presta il consenso o “quando una particolare disposizione di legge lo prevede”, diversamente venendo ricevute le sue dichiarazioni dal Magistrato di sorveglianza competente sul luogo di detenzione.
Tale schema risulta rivisto con riferimento ad una particolare ipotesi di udienza camerale che è quella di convalida del fermo o dell’arresto, caratterizzata dalla partecipazione necessaria dell’arrestato/fermato e del suo difensore.
Con riferimento a tale udienza, infatti, all’art. 391, comma 1, c.p.p. è stato previsto che “quando l'arrestato, il fermato o il difensore ne fanno richiesta il giudice può autorizzarli a partecipare a distanza”: ne consegue che anche tale udienza può essere celebrata a distanza secondo le modalità di cui all’art. 133 ter c.p.p., ma il presupposto è che vi sia la richiesta – o il consenso, evidentemente – a tale remotizzazione da parte dell’indagato/imputato e del difensore o che si verta “nei casi particolarmente previsti dalla legge” di cui alla previsione generale posta dall’art. 127 c.p.p., ovvero le ipotesi disciplinate dall’art. 146 bis disp. att. c.p.p.
Vertendosi sempre in materia di procedimenti volti a vagliare la restrizione della libertà personale dell’imputato, il sistema appena delineato è stato riprodotto fedelmente anche dall’art. 294, comma 4, c.p.p. in relazione all’interrogatorio di garanzia, che può svolgersi a distanza laddove “la persona sottoposta a misura cautelare e il difensore ne facciano richiesta”: ancora una volta, quindi, viene ribadita l’assoluta necessità di un consenso (ovviamente anche sotto forma di richiesta) per la celebrazione a distanza dell’udienza, sempre facendo salve le ipotesi di cui all’art. 146 bis disp. att. c.p.p.
Il consenso costituisce, infine, il presupposto previsto dal Legislatore per lo svolgimento di ulteriori attività a distanza, quali:
- l’acquisizione di sommarie informazioni dall’indagato a cura della P.G. (art. 350, comma 4 bis, c.p.p.);
- la partecipazione di indagato, persona offesa, difensori e consulenti tecnici al conferimento dell’incarico in sede di accertamenti tecnici irripetibili (art. 360, comma 3 bis, c.p.p.);
- l’interrogatorio dell’indagato, anche svolto dalla P.G. su delega del P.M. (art. 370, comma 1 bis c.p.p.);
- l’interrogatorio dell’imputato nel procedimento di estradizione, che può essere effettuato a distanza dal Procuratore generale nei casi previsti dalla legge ovvero nei casi in cui l’interessato e il suo difensore ne facciano richiesta (art. 703, comma 2, c.p.p.);
- l’interrogatorio dell’arrestato nel procedimento di estradizione, che può essere effettuato a distanza dal Presidente della Corte d’Appello nei casi previsti dalla legge ovvero nei casi in cui l’interessato e il suo difensore ne facciano richiesta (art. 717, comma 2, c.p.p.).
3.1 Il consenso dell’imputato e del suo difensore come principio generale e l’ipotesi – residuale – del “mancato dissenso”
Alla luce delle considerazioni espresse, appare evidente che l’introduzione degli artt. 133 bis e 133 ter c.p.p. non consente un generalizzato ricorso alla partecipazione a distanza dell’imputato, ma ha semplicemente determinato l’introduzione nel Codice di rito delle modalità tramite le quali procedere al videocollegamento (dettate dall’art. 133 ter c.p.p.) nei casi in cui lo stesso è consentito, che risultano sempre disciplinati unicamente dall’art. 146 bis disp. att. c.p.p. e dalle altre disposizioni puntualmente enucleate dal Legislatore.
Il riferimento che il comma 5 dell’art. 133 ter c.p.p. opera ai detenuti o internati, pertanto, non incide sulle ipotesi nelle quali è possibile procedere al videocollegamento, ma solo sulle modalità di escussione di tali soggetti nei casi – previsti da altre norme – nei quali è possibile sentirli o farli partecipare a distanza. D’altra parte, il citato comma 5 prevede solo che il detenuto, anziché partecipare all’atto o all’udienza da un ufficio giudiziario o da un ufficio di P.G., lo faccia dal luogo in cui si trova recluso, ponendo un’esplicitazione logica e forse superflua, ma pur sempre contenuta in un articolo – il 133 ter, per l’appunto – che disciplina solo le “Modalità e garanzie della partecipazione a distanza”, come precisato nella rubrica della disposizione.
Al di fuori dei casi tracciati dall’art. 146 bis disp. att. c.p.p. – richiamati da molte delle disposizioni sopra evidenziate -, poi, una lettura sistematica delle norme del Codice di rito permette di ricavare il principio generale della possibilità di procedere a distanza in caso di consenso espresso congiuntamente dall’imputato e dal suo Difensore, in linea con quanto previsto dall’art. 1, comma 8 lett. c), della legge delega n. 134 del 27 settembre 2021[8], che ha costituito il fondamento della cd. Riforma Cartabia.
In realtà, tale eventualità è stata espressamente prevista solo per l’interrogatorio di garanzia, l’udienza di convalida, il procedimento in camera di consiglio, alcuni specifici atti di indagine - come l’acquisizione di sommarie informazioni dall’indagato e il conferimento dell’incarico in caso di accertamenti tecnici irripetibili – e i procedimenti di estradizione, ma risponde ad una logica che è possibile ricavare dai principi generali che ispirano il nostro ordinamento e, in via sussidiaria, dai principi generali in tema di nullità.
E così, nel caso in cui ci sia un’espressa richiesta (o il consenso) dell’imputato e del suo difensore alla celebrazione a distanza dell’udienza, appare irragionevole pensare che il Giudice debba disporre comunque la partecipazione in presenza contro il volere dei soggetti interessati.
Può, per esempio, accadere che l’imputato (sia libero che detenuto) risieda lontano dall’Ufficio giudiziario e che per ragioni lavorative, di salute, familiari o economiche (queste ultime rilevanti solo in caso di soggetto non detenuto) non voglia sottoporsi a lunghi viaggi e, cionondimeno, desideri partecipare a distanza alle udienze. Imporre comunque la partecipazione in presenza significherebbe porre l’imputato dinanzi all’alternativa secca tra prendere fisicamente parte all’udienza o non parteciparvi, negando la possibilità di una partecipazione da remoto che il Giudice deve motivare (per esempio, per assenza di strumentazione idonea) e che, ove non adeguatamente supportata, potrebbe anche determinare una nullità relativa di ordine generale per aver ostacolato l’intervento dell’imputato in udienza.
A parere di chi scrive, quindi, la partecipazione a distanza all’udienza da parte dell’imputato che lo richiede o che esprime il consenso a tale modalità non determina certamente un atto nullo né irregolare ma, anzi, costituisce tutela del diritto dell’imputato a scegliere le modalità di partecipazione più consone alle proprie esigenze, ove non contrastanti con specifiche contrapposte esigenze della Giustizia, che dovranno essere puntualmente esplicitate dal giudice.
Occorre, invece, soffermarsi sulle conseguenze di un’udienza celebrata a distanza in assenza di un consenso dell’imputato - purché non sia stato espresso un dissenso, si badi -, che sul punto non è stato interpellato dall’Autorità giudiziaria né ha chiesto espressamente il videocollegamento.
Orbene, in tale ipotesi si ritiene configurabile esclusivamente un’irregolarità dell’atto, al più rilevante sotto il profilo disciplinare nei confronti del giudice.
Ed infatti, sebbene le norme che regolano l’intervento dell’imputato in udienza rientrino tra quelle la cui violazione determina una nullità ai sensi dell’art. 178 lett. c) c.p.p., la partecipazione a distanza dell’imputato all’udienza non lede il suo diritto ad intervenire nel processo, purché siano garantite quelle modalità oggi poste dall’art. 133 ter c.p.p. e che sin dal 1999 la Corte costituzionale ha dichiarato idonee a tutelare il diritto di difesa.
Anche laddove si concludesse, però, per una violazione rientrante tra le nullità di ordine generale di cui all’art. 178, lett. c), c.p.p. perché attinenti all’intervento dell’imputato in udienza, il caso in esame dovrebbe certamente ricondursi nel novero delle nullità relative, non trattandosi di una delle ipotesi di omessa citazione dell’imputato previste dall’art. 179 c.p.p.: ne consegue che la presenza dell’imputato in videocollegamento determinerebbe comunque la sanatoria della nullità ai sensi dell’art. 182, comma 2, c.p.p., laddove il primo partecipi all’udienza e nulla eccepisca.
Si tratterebbe, in definitiva, di una celebrazione a distanza dell’udienza fondata su un “mancato dissenso” da parte dell’imputato e del suo difensore, non in grado di incidere sulla validità degli atti compiuti ma potenzialmente rilevante sul piano disciplinare.
In definitiva, la riforma operata con il decreto legislativo n. 150 del 2022 si inscrive armonicamente nel percorso di evoluzione del nostro ordinamento con riferimento alla materia della partecipazione a distanza all’udienza, prendendo spunto e stimolo dai risultati raggiunti in periodo pandemico ma senza perdere di vista la generale necessità di garantire la partecipazione dell’imputato all’udienza, nella consapevolezza che forme surrogate alla presenza fisica dell’interessato, per quanto comode e vantaggiose sotto il profilo organizzativo ed economico per lo Stato, costituiscono pur sempre una compressione del diritto al contraddittorio dell’imputato, ammissibile solo in presenza del suo consenso o di specifiche ipotesi predeterminate dal Legislatore e tratte dalla necessità di bilanciare contrapposte esigenze di rango costituzionale.
Ne consegue che, sebbene non si possa parlare di un’ipotesi remota – come provocatoriamente indicato nel titolo del presente articolo -, non si può nemmeno ritenere che la partecipazione da remoto dell’imputato all’udienza sia la regola, costituendo invece un’eccezione al principio generale della sua presenza fisica in udienza, ispirato a ragioni di civiltà giuridica che tengono conto della disponibilità di sistemi di collegamento a distanza che, per quanto sempre più sofisticati e realistici, scontano ancora dei profondi limiti.
[1] Tale risultato è stato raggiunto sopprimendo la lettera c) del comma 1 dell’art. 146 bis e inserendo un comma 1 bis autonomo, che recitava “Fuori dei casi previsti dal comma 1, la partecipazione al dibattimento avviene a distanza anche quando si procede nei confronti di detenuto al quale sono state applicate le misure di cui all'articolo 41-bis, comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni”.
[2] Con l’art. 147 bis disp. att. c.p.p. destinato a regolare la partecipazione a distanza di soggetto diverso dall’imputato e, in particolare, degli operatori sotto copertura, dei collaboratori di giustizia e degli imputati di reato connesso.
[3] Si tratta della già citata sentenza n. 342 del 22 luglio 1999; in realtà anche la Corte europea dei diritti dell’uomo si è più volte pronunciata in tal senso, come nel caso Viola c. Italia, conclusosi con la pronuncia emessa il 5 ottobre 2006 dalla Sezione III.
[4] E ciò in linea con quanto previsto dalla Corte costituzionale sin dal 1999, quale presidio fondamentale per una compressione del diritto di difesa che non si traduca in una illegittima lesione dello stesso.
[5] Si pensi, per ipotesi, ad altri sistemi di comunicazione a distanza come Skype, che garantiscono ugualmente la contemporanea visione e l’ascolto tra tutti i soggetti coinvolti. In linea di massima, però, è suggeribile sempre l’impiego di sistemi forniti dal Ministero della Giustizia al fine di garantire l’applicazione della previsione posta dall’art. 147 quater disp. att. c.p.p. e la garanzia circa l’integrità e la sicurezza della trasmissione dei dati.
[6] Si tratta dei procedimenti: per i reati previsti dall’art. 51, comma 3, c.p.p. o dall’art. 407, comma 2 lett. a num. 4, c.p.p. e di quelli riguardanti un imputato ammesso a programmi o misure di protezione, comprese quelle di tipo urgente o provvisorio, fatta salva in tutti questi casi la possibilità per il giudice di disporre motivatamente la partecipazione in udienza; con imputati sottoposti al regime di cui all’art. 41 bis della legge n. 354 del 26 luglio 1975, nel qual caso non è ammessa la partecipazione fisica in udienza.
[7] Si tratta delle ipotesi rimesse alla discrezione del giudice, che può motivatamente disporre il videocollegamento in presenza di ragioni di sicurezza, di dibattimento di particolare complessità per il quale occorre evitare ritardi o di assunzione di testimonianza di soggetto a qualsiasi titolo detenuto.
[8] Tale norma ha posto tra i criteri della delega l’individuazione dei “casi in cui, con il consenso delle parti, la partecipazione all'atto del procedimento o all'udienza possa avvenire a distanza”.