Paradossi giurisprudenziali
di Aniello Nappi
La parte civile costituita in un processo penale per infortunio sul lavoro propone appello contro la sentenza del tribunale che ha assolto per insussistenza del fatto l’imprenditore imputato.
La corte d’appello riconosce alla testimonianza della persona offesa l’attendibilità negata dal tribunale; e condanna l’imputato ai soli effetti civili, senza previa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
Ricorre per cassazione l’imputato e deduce violazione dell’ art. 603, comma 3 bis c.p.p., lamentando che il giudice di appello abbia ribaltato la decisione assolutoria di primo grado sulla base di una diversa valutazione di attendibilità della deposizione testimoniale della persona offesa, senza previa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
Del giudizio di legittimità vengono investite le Sezioni unite penali, perché, indiscussa l’applicabilità dell’art. 603, comma 3 bis c.p.p. anche nel caso di appello ai soli effetti civili, è controverso se il conseguente annullamento della decisione assunta senza previa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale debba essere disposto con rinvio al giudice penale, a norma dell’art. 623 c.p.p., o al giudice civile a norma dell’art. 622 c.p.p.
Secondo una parte della giurisprudenza, infatti, il rinvio va disposto al giudice civile a norma dell’art. 622 c.p.p. in ogni caso in cui non sia più in discussione la responsabilità penale dell’imputato.
Secondo altro orientamento giurisprudenziale invece il rinvio va disposto al giudice penale a norma dell’art. 623 c.p.p. anche quando sia in discussione la responsabilità solo civile dell’imputato, che va accertata nel rispetto delle norme che regolano il giusto processo penale.
Dopo una puntuale ricostruzione della giurisprudenza e delle sue implicazioni, le Sezioni unite hanno ritenuto fondato il primo orientamento.
Cass., sez. un., 28 gennaio 2021, Cremonini, depositata il 4 giugno 2021, ha infatti enunciato il seguente principio di diritto: «in caso di annullamento ai soli effetti civili, da parte della Corte di cassazione, per la mancata rinnovazione in appello di prova dichiarativa ritenuta decisiva, della sentenza che in accoglimento dell'appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l'imputato al risarcimento del danno, il rinvio per il nuovo giudizio va disposto dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello». E ha altresì precisato che dinanzi al giudice del rinvio vanno applicate le norme del codice di procedura civile.
Sennonché questa giurisprudenza è palesemente paradossale, laddove impone alla Corte di cassazione di annullare la decisione d’appello per la violazione di una norma che non dovrà essere osservata nel giudizio di rinvio. Non v’è infatti alcuna utilità né alcuna logica nel censurare la violazione di una norma che non si pretende poi di vedere osservata.
E’ in questi paradossi che si smarrisce il senso della amministrazione della giustizia nel nostro paese.
Tuttavia non è neppure ragionevole l’orientamento giurisprudenziale opposto, laddove pretende di trattenere davanti al giudice penale una controversia che ha ormai connotazioni esclusivamente civilistiche. Non è discutibile infatti che la "ratio" dell’art. 622 c.p.p. sia appunto quella di evitare ulteriori interventi del giudice penale ove non vi sia più nulla da accertare agli effetti penali.
All’origine di questa impasse interpretativa non può dunque esservi che un “errore”: vale a dire l’affermazione che «il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale, anche d'ufficio» (Cass., sez. un., 28 aprile 2016, Dasgupta, m. 267489).
Come si è già rilevato in questa rivista ( C. Citterio Rivive il principio di accessorietà dell’azione civile nel processo penale?), in realtà, l’art. 603, comma 3 bis c.p.p. prevede espressamente che solo «nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale». L’affermazione di Cass., sez. un., 28 aprile 2016, Dasgupta, m. 267489, come quella conforme di Cass., sez. un., 19 gennaio 2017, Patalano, m. 269787, precede l’inserimento nell’art. 603 c.p.p. del comma 3 bis (che si applica a decorrere dal 3 agosto 2017). Ed è stata ribadita dalla giurisprudenza successiva solo in ragione dell’affermazione che «il disposto dell'art. 603, comma 3-bis, c.p.p., nel disciplinare il caso di riforma della decisione di primo grado su appello del pubblico ministero, non esclude la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nel caso di ribaltamento di tale decisione ai soli effetti civili» (Cass., sez. VI, 12 febbraio 2019, Caprara, m. 275167, Cass., sez. V, 4 aprile 2019, Clemente, m. 276933, Cass., sez. V, 15 aprile 2019, Gatto, m. 277000).
Sennonché qui non si tratta di stabilire se la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sia possibile anche in caso di appello ai soli fini civili. Si tratta invece di stabilire se la rinnovazione possa essere considerata obbligatoria, in mancanza di qualsiasi base normativa di un tale obbligo.
E’ vero che viene qui «in rilievo la garanzia del giusto processo a favore dell'imputato coinvolto nel procedimento penale, dove i meccanismi e le regole di formazione della prova non conoscono distinzioni a seconda degli interessi in gioco, pur se di natura esclusivamente civilistica» (Cass., sez. V, 18 febbraio 2020, Menna, m. 279255). Ma questo argomento vale quando l’accertamento delle due responsabilità sia contestuale; non quando sia in discussione solo la responsabilità civile.
Le sezioni unite ricordano anche che è controverso se la sentenza di annullamento ex art. 622 c.p.p. abbia effetti vincolanti nel giudizio civile di rinvio, come afferma la giurisprudenza penale (Cass., sez. IV, 17 gennaio 2019, Borsi, m. 275266, Cass., sez. IV, 16 novembre 2018, De Santis, m. 274831), o non ne abbia, come afferma la giurisprudenza civile, per cui il giudice civile «applica le regole processuali e probatorie proprie del processo civile e, conseguentemente, adotta, in tema di nesso eziologico tra condotta ed evento di danno, il criterio causale del "più proba-bile che non" e non quello penalistico dell'alto grado di probabilità logica, anche a prescindere dalle contrarie indicazioni eventualmente contenute nella sentenza penale di rinvio» (Cass., sez. III, 12 giugno 2019, n. 15859, m. 654290, Cass., sez. III, 25 giugno 2019, n. 16916, m. 654433).
Sembrerebbe tuttavia ragionevole che, ferma l’efficacia vincolante della sentenza di cassazione, il rito debba essere quello del processo civile, ma i parametri di responsabilità debbano essere quelli del codice penale, considerato che non sono diversi da quelli del codice civile.
Secondo la giurisprudenza civile, infatti, anche ai fini della responsabilità civile la causalità va definita in termini condizionalitici. Sicché «un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo» (Cass., sez. I, 30 aprile 2010, n. 10607, m. 612764). Si è così riconosciuto che anche ai fini della «responsabilità civile aquiliana, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p.», secondo la teoria della condicio sine qua non (Cass., sez. I, 8 luglio 2010, n. 16123, m. 613967).
Ciò nondimeno questa stessa giurisprudenza ammette una «diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo pe-nale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dub-bio"»(Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576, m. 600899.).
Tuttavia, come s'è ben chiarito in dottrina, quando si discute di responsabilità, occorre accertare sempre tre fatti: il fatto causante, il fatto causato e la legge di copertura, il criterio di inferenza e di giudizio che permette di affermare che fu proprio il supposto fatto causante a produrre il fatto dannoso, l'evento indesiderato(M. TARUFFO, La prova del nesso causale, in Riv. crit. dir. priv., 2006, p. 101 e s.).
Sicché la sentenza penale di annullamento con rinvio a norma dell’art. 622 c.p.p. non potrà ovviamente vincolare il giudice civile per le modalità di accertamento di questi fatti, ma potrà certamente vincolarlo quanto alla nozione di causalità.