Alla Commissione Giustizia del Senato della Repubblica Italiana.
Onorevole Commissione,
come richiestomi, rassegno la seguente memoria in materia di misure cautelari alternative alla custodia cautelare in carcere, di misure alternative alla detenzione e di misure di prevenzione personali giurisdizionali e di sorveglianza speciale con particolare riguardo agli strumenti di controllo elettronico.
Gli strumenti di controllo elettronico a distanza previsti dall’art. 275 bis c.p.p. sono parte del sistema processuale penale da circa venticinque anni, arco temporale che sicuramente permette una valutazione a ragion veduta dell’istituto a fronte di un’ampia casistica derivante dall’applicazione di misure cautelari e dalla loro sostituzione da parte dei giudici nelle fasi di merito: G.I.P., G.U.P. e giudici dibattimentali di primo e secondo grado.
Il percorso applicativo del braccialetto elettronico – questo il termine comunemente utilizzato nelle sue diverse tipologie tecniche – è stato talvolta tortuoso e inizialmente limitato alla misura cautelare degli arresti domiciliari, principalmente con finalità specialpreventive rafforzando la possibilità di controllo dei soggetti detenuti in abitazione ma anche di ausilio alle forze dell’ordine nell’attività di controllo tradizionale, ponendo immediatamente alcune criticità relative alla effettiva disponibilità dello strumento e dei relativi tempi di attivazione, a volte molto lunghi.
Specie nei primi anni di applicazione dei dispositivi, si sono verificati casi in cui persone sottoposte a custodia cautelare in carcere sono rimaste decine di giorni in attesa che fosse disponibile il braccialetto elettronico, cui veniva nella sostanza condizionata la sostituzione della misura inframuraria con gli arresti domiciliari, e subito sono sorte perplessità sulla legittimità di tale situazione, giacché la permanenza in carcere dipendeva dalla variabile disponibilità dello strumento di controllo, i cui tempi di attivazione non sono riconducibili al fatto dell’imputato al netto di possibili carenze di linea nell’abitazione individuata come luogo di detenzione.
Queste criticità sembrano allo stato superate grazie all’aumento del numero dei dispositivi elettronici disponibili per come garantiti dal contratto di fornitura in essere, e della relativa semplicità tecnica dell’installazione del braccialetto elettronico, semplicemente collegato alla linea fissa dell’abitazione divenuta luogo di detenzione.
Situazione sensibilmente diversa è quella dello strumento di controllo a distanza doverosamente imposto con l’applicazione delle misure cautelari del divieto di avvicinamento alla persona offesa (art. 282 ter c.p.p.) e dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p.), specie nei reati di “codice rosso” elencati al comma sesto dell’articolo da ultimo citato, con particolare riguardo ai delitti di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e atti persecutori (art. 612 bis c.p.), di particolare allarme sociale a fronte del non raro evolversi in lesioni personali anche gravi o addirittura mortali.
A mio avviso, in questi casi le criticità maggiori non si rinvengono tanto nella disponibilità degli strumenti di controllo a distanza, quanto nei tempi di attivazione del braccialetto elettronico e nella piena funzionalità dello strumento.
Il contrasto alla violenza di genere e domestica ha quindi nel braccialetto elettronico un valido strumento di prevenzione che consente di avvisare la persona offesa dell’avvicinarsi del soggetto maltrattante o persecutore, ma alcuni malfunzionamenti tecnici hanno consegnato alle cronache gravi fatti di sangue che mettono in dubbio la concreta efficacia dello strumento, ponendo seri interrogativi sulle relative tecnicalità operative.
Quanto all’efficacia, ritengo sia comunque arduo porre la persona offesa in perfetta condizione di sicurezza nel caso in cui un soggetto libero animato da intento omicida sia assolutamente determinato a nuocere.
Vengono in considerazione circostanze soggettive, quali le abitudini di vita, le condizioni di vita sociali e familiari, e non credo possa sostenersi che il segnale di allarme emesso si riveli sempre idoneo a porre in assoluta sicurezza la vittima potenziale di violenza quando l’aggressore supera il fatidico limite dei 500 metri previsto dall’art. 282 ter c.p.p., la cui legittimità costituzionale è stata da ultimo statuita dal giudice delle leggi nella recente sentenza n. 173/2024.
Anche la sensazione di perfetta sicurezza può del resto essere fonte di pericolo, e quindi riporre nel braccialetto elettronico fiducia assoluta nel garantire l’incolumità delle vittime mi pare davvero poco opportuno.
In altre parole, sarà anche banale affermare che il rischio zero non esiste, ma ne va comunque tenuto conto in un’ottica realistica di tutela delle vittime.
Va inoltre considerato che il braccialetto elettronico andrebbe applicato in stretta concomitanza rispetto all’esecuzione della misura cautelare, senza ritardi di sorta, giacché proprio nei primissimi giorni di applicazione della misura cautelare la persona sottoposta ad indagini potrebbe sviluppare reazioni incontrollate – e di fatto incontrollabili – ai danni della vittima. Ed anche sotto questo aspetto sarebbe opportuno un intervento normativo che rendesse necessaria la concomitanza tra l’esecuzione della misura cautelare e l’installazione del braccialetto elettronico.
Nella prospettiva dei mezzi scarsi e dei bisogni molteplici, il braccialetto elettronico resta comunque un valido e realisticamente l’unico strumento che consente di tutelare le vittime di violenza sessuale, maltrattamenti e stalking, senza collocare in carcere l’aggressore, che anche in caso di carcerazione potrebbe essere in seguito liberato – non ultimo il caso di espiazione della pena - e tentare nuove aggressioni alla vittima, ponendo nuovamente il tema dell’applicazione di uno strumento di controllo a distanza.
Ciò detto, al fine di garantire il massimo livello di tutela delle vittime, ritengo che una volta applicato il braccialetto bisognerebbe comunque incentivare forme di aiuto psicologico che possano distogliere l’aggressore da affettività patologiche o moleste, e qui la strada scelta dal legislatore nel consentire al giudice di subordinare la sospensione condizionale della pena alla obbligatoria frequentazione di percorsi specifici di recupero presso enti e associazioni operanti nel settore (art. 165, quinto comma, c.p.) mi sembra condivisibile e andrebbe incentivata, poiché i reati di c.d. codice rosso sono spesso riconducibili a carenze educative o a modelli educativi obsoleti, in cui il rapporto di coppia – o più in generale con il prossimo – è ricondotto al diritto di proprietà esercitato in forma assoluta, piuttosto che al principio volontaristico di libera scelta alla base di ogni relazione umana equilibrata.
Occorre però sottolineare che si tratta di strumenti in cui occorre investire con risorse umane e strutturali non sempre compatibili con clausole di invarianza finanziaria che talvolta si leggono nei testi normativi che riguardano il settore giustizia (nel caso di specie prevista dall’art. 6, comma secondo, della Legge n.69/2019), trattandosi di veri e propri investimenti sociali diretti a migliorare il livello educativo e culturale delle persone sotto molteplici aspetti, e che vanno oltre la tematica penalistica strettamente intesa.
In quest’ottica, potrebbe essere incentivato anche l’accesso a forme di giustizia riparativa, fondate sul riconoscimento dell’altro che viene quindi sottratto da forme di reificazione che conducono a gesti estremi e delittuosi, e qui il d.lgs. n.150/2022 (c.d. riforma Cartabia) offre strumenti in cui occorre riporre fiducia, ma che ancora si presentano in forma embrionale e sono comunque ben lontani dalla necessaria verifica di efficacia e congruità.
Mi preme sottolineare un ultimo aspetto.
Le forze dell’ordine sono fortemente coinvolte nell’attività di monitoraggio degli allarmi segnalati dai dispositivi elettronici, e l’esperienza giudiziaria dimostra che talvolta si verificano falsi allarmi legati a tecnicalità di vario genere, da quelle più banali quali lo scaricarsi delle batterie dei dispositivi – quelli antistalking prevedono oltre al braccialetto indossato dall’indagato anche due ricettori mobili che devono essere portati sia dalla persona offesa che dall’indagato – o più complesse anomalie di funzionamento dovute all’intensità del segnale, al netto di possibili manomissioni volontarie totali o parziali.
Si tratta di un impegno gravoso, da rendere compatibile con le altre funzioni di polizia, e che deve trovare necessariamente particolare attenzione nella formazione del personale e soprattutto nell’aggiornamento tecnologico degli strumenti di controllo, trattandosi di un settore in continua evoluzione.
Le pubbliche amministrazioni competenti dovrebbero pertanto essere messe in grado di pretendere dal soggetto fornitore degli strumenti il puntuale adempimento del contratto, in termini di numero di dispositivi forniti e di tempi di attivazione degli stessi. Il capitolato dovrebbe poi garantire il massimo livello tecnologico consentito dal momento, prevedendo in caso di inadempimento strumenti negoziali agili che consentano al limite di rivolgersi rapidamente altrove.
La conclusione a mio avviso evidente è che il braccialetto elettronico, per essere efficace nel contrasto alla violenza di genere e domestica, non deve essere soltanto applicato nei casi che lo richiedono e nel più breve lasso di tempo – obiettivo possibile grazie anche alle modifiche legislative che hanno interessato la tempistica delle indagini relative ai reati di codice rosso – ma deve anche essere perfettamente idoneo sotto l’aspetto strettamente tecnico allo scopo cui è destinato, e costantemente revisionato e aggiornato rispetto all’evoluzione tecnologica, grazie a strumenti negoziali idonei e al costante monitoraggio delle criticità che via via insorgono.
In tal senso mi permetto di segnalare l’opportunità che il legislatore rivolga la sua attenzione alla stesura di norme – di fonte primaria ma anche regolamentari, forse di più rapida entrata in vigore – che consentano agli operatori di avere strumenti sempre all’avanguardia per garantire doverosamente alle vittime dei reati la migliore tutela consentita dal settore tecnologico di interesse.
Concludo la mia memoria con qualche rilievo statistico.
L’applicazione del mezzo di controllo a distanza è in netto aumento, andando di pari passo rispetto al numero crescente di applicazioni di misure cautelari non detentive per i reati di codice rosso. Al novembre 2024 erano attivi 840 dispositivi disposti da giudici del Tribunale di Roma, ma l’andamento è comunque in aumento come segnalato da fonti appartenenti alle Forze dell’ordine.
Del pari obbligatoria è l’applicazione del braccialetto elettronico in occasione dell’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale per i reati di codice rosso. Dalla Sezione competente mi segnalano che negli ultimi tre anni sono state disposte mediamente 55 misure di sorveglianza speciale con contestuale applicazione del braccialetto elettronico.
Sperando di aver fornito utili elementi di valutazione, Vi ringrazio per l’attenzione concessami.
Roma, 10.2.2025
Sul tema si veda anche “Braccialetto elettronico” e protezione vittima di violenza di genere di Maria Monteleone.