I sistemi processuali nel periodo del post emergenza pandemica. A proposito di rinvii pregiudiziali alla Corte di cassazione ed al giudice UE, revocazione europea e diritti fondamentali. Verso un progressivo – e inarrestabile – restyling del ruolo del giudice nazionale[1].
di Roberto Giovanni Conti
Sommario: 1. Premesse - 2. Sulla cresta dell’onda del giudizio di cassazione e del ruolo nomofilattico della Corte suprema - 3. Dal giudicare al cooperare. L’art.363 bis c.p.c. ed il rinvio pregiudiziale “interno” del giudice di merito alla Corte di cassazione - 4. Le modifiche al rinvio pregiudiziale “esterno (alla Corte di Giustizia UE) - 5. La revocazione “europea” del giudicato nazionale per contrasto con la Corte edu (art.391 quater c.p.c.9 - 6. Le S.U. e la resistenza all’emergenza in nome dei diritti umani (Cass.S.U. n.4873/2022 e 28022/2022) - 7. Tirando le fila del discorso: a) Il ruolo della Corte di cassazione e l’idea di fondo di una “cooperazione” fra giudici come modus di gestione delle emergenze e delle transizioni - 7.1 B) La riforma del rinvio pregiudiziale “esterno” e la ricerca ultima di un sistema effettivo e celere nelle relazioni fra giudici - 7.2. C) Il valore fondamentale dei diritti umani nell’epoca delle emergenze - 7.3. D) Il ruolo del diritto vivente nella gestione delle emergenze e delle transizioni.
1. Premesse.
Abbiamo vissuto in questi ultimi anni momenti di grandi trasformazioni molto spesso collegate a fenomeni planetari. Il pensiero va naturalmente all’esperienza pandemica che, oltre a determinare fortissimi disorientamenti nella popolazione, ha attivato una serie di mutamenti nei sistemi giuridici nazionali e sovranazionali che, da un lato, hanno inteso fronteggiare l’emergenza, dall’altro hanno dato un impulso decisivo per modificare stabilmente, per quel che qui interessa, l’assetto processuale dei Paesi coinvolti, in vista del perseguimento di esigenze che proprio la situazione emergenziale aveva vieppiù posti in rilievo come bisognevoli di protezione e tutela.
Qui si intende prendere le mosse dalle riforme che hanno riguardato, direttamente o indirettamente, il giudizio di Cassazione, da sempre sotto la lente critica della dottrina e degli operatori pratici, accusato di non riuscire a trovare un equilibrio accettabile tra le previsioni costituzionali – art.117 Cost. – che garantiscono la ricorribilità di qualunque controversia che sia stata definita dal giudice di merito e l’esigenza di efficacia ed effettività che pure costituisce una delle precondizioni della funzione nomofilattica della Corte stessa. Basti ricordare, a titolo meramente esemplificativo, che Guido Calabresi, autorevole giurista assai noto per le sue teorie in tema di analisi economica del diritto, in una intervista che rilasciò a Giustizia Insieme poco tempo fa[2], a proposito del numero imponente di controversie ogni anno proposte innanzi al giudice di legittimità, ebbe a condividere l'idea che è compito del legislatore fissare, sia pur nell'ambito di scelte tragiche che possono appunto condizionare la ricorribilità o meno dei ricorsi, l’esistenza di limiti al ricorso per Cassazione. E nella stessa occasione fu appunto Calabresi a sottolineare come il canone dell’effettività fosse valore, comunque, da perseguire anche a costo di ridurre l'accesso al giudizio di legittimità. Una voce, quest’ultima, ampiamente condivisa negli operatori del diritto che operano presso la Corte suprema, meno da alcuni settori della dottrina e ancor meno sul piano legislativo, ove il recupero dell’efficienza ed effettività della giustizia – anche di ultima istanza – è stato perseguito con altri strumenti senza modificare il quadro costituzionale relativo all’accesso al giudizio di legittimità.
La prima parte della riflessione intende dunque soffermarsi su alcuni dei più significativi interventi riformatori del rito di Cassazione –rinvio pregiudiziale del giudice di merito alla Corte di cassazione (art.363 bis c.p.c.), revocazione (art.391 quater c.p.c.) e proposta di definizione accelerata (art.380 bis c.p.c.). Modifiche buona parte delle quali originate nel periodo dell’emergenza pandemica ed introdotti da modifiche normative inserite nel piano di ripresa e resilienza successivo al Covid-19 ed indirizzati a realizzare un assetto processuale più idoneo a tutelare gli interessi. In definitiva, il processo di cassazione è stato sottoposto, per effetto di una situazione emergenziale, a diverse modifiche destinate a diventare stabili e, dunque, a regolare una transizione rispetto al periodo emergenziale e ad incidere sull’assetto delle tutele e dunque sul ruolo del giudice.
Nella seconda parte si accennerà ad un ulteriore mutamento del sistema processuale, ponendo questa volta lo sguardo sulle modifiche al sistema del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea e dei rapporti tra Tribunale Ue e Corte di giustizia UE. Anche questa, una riforma che cade nel post pandemia e che, nelle intenzioni della Corte di giustizia che l'ha promossa, offre una nuova visione del ruolo del giudice europeo destinato, in una prospettiva di lungo corso, ad occuparsi solo delle questioni di sistema e di principio involgenti i diritti fondamentali (e magari di impugnazione delle decisioni del Tribunale, invece investito di un contenzioso del quale prima non si era occupato con un meccanismo abbastanza complesso e non provo di profili di criticità.
La terza parte sarà infine indirizzata ad un accenno, invero forse fulmineo, a casi concreti nei quali si è esercitato il ruolo del giudice in periodo di emergenza pandemica. Ci si soffermerà, in particolare, su due vicende che esaminate dalle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione che, ad avviso di chi scrive, sono anch’essi espressione di scelte di politica giudiziaria rivolte a mettere in chiaro in modo sistematico e non emergenziale il ruolo dei diritti fondamentali della persona rispetto al pubblico potere – Cass. S.U. nn.4873/2022 e 28022/2022 –.
Anticipando le conclusioni che si proverà a tracciare, si cercherà di tracciare un orizzonte, ancora non ben decifrabile, nel quale il giudice italiano sarà chiamato a misurarsi per gestire al meglio un complesso di riforme imponente sia sul piano interno che su quello UE, cercando di coglierne le finalità di sistema perseguite dai legislatori al fine di verificarne la sostenibilità ed utilità concreta ed effettiva. In questa dimensione, che dunque affida alla giurisdizione responsabilità rilevanti, si proporrà quindi la chiave che sembra essere utile per governare il periodo di transizione e non tradirne il senso complessivo.
2. Sulla cresta dell’onda del giudizio di cassazione e del ruolo nomofilattico della Corte suprema.
È noto che appena conclusa la pandemia da Covid 19 l’Unione europea manifestò la sua solidarietà verso i Paesi maggiormente colpiti approvando un programma nazionale denominato PNRR (piano Nazionale di ripresa e resilienza); per questo in favore del nostro paese vennero attivate misure di sostegno finanziario imponenti, imponendo allo Stato il raggiungimento di alcuni obiettivi entro periodi di tempo ben determinati.
Da qui l'introduzione nel nostro Paese di riforme particolarmente incisive, finalizzate a conseguire gli obiettivi del piano nazionale di ripresa e resilienza concordati con l'Unione europea. Questi obiettivi, per quanto riguarda il sistema giudiziario, hanno riguardato sostanzialmente la riduzione delle pendenze e dell'arretrato nel sistema processuale civile e in questa prospettiva le riforme hanno inteso incidere sulla durata dei processi sia nel giudizio di merito che in quello di legittimità (legge delega 26 novembre 2021 n.206 e d.lgs. 10 ottobre 2022 n.149, di recente ritoccato dal d.lgs.n.164/2024, oltre al d.lgs. n. 15/2022 in materia di ufficio per il processo ed alla legge n.130/2022 di riforma della giustizia tributaria, alla l.n.111/2023 di riforma fiscale ed al successivo d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 220).
Ora, quanto al giudizio di legittimità[3], la linea fondamentale della riforma introdotta dalle disposizioni succintamente ricordate, superata l’emergenza delle udienze a distanza che nel periodo Covid avevano preso il sopravvento e che nel periodo successivo sono state agganciate ad uno specifico provvedimento presidenziale per situazioni eccezionali, è stata quella di garantire la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, modificando parzialmente il sistema di decisione dei ricorsi, seguendo alcune linee portanti[4]. Si tratta di aspetti che solo apparentemente si muovono su un terreno meramente processuale ma che, all’evidenza, coinvolgono pienamente il “modo” con il quale il sistema garantisce i diritti della persona[5].
3. Dal giudicare al cooperare. L’art.363 bis c.p.c. ed il rinvio pregiudiziale “interno” del giudice di merito alla Corte di cassazione.
Si proverà, a questo punto, a concentrare l’indagine su altre ed ulteriori modifiche processuali che, anch’esse partorite nel periodo post-emergenziale, sembrano confermare un ulteriore cambio di paradigma che si va lentamente ma sempre più strutturalmente producendo nell’ambito dell’attività giurisdizionale. Si intende riflettere sul fenomeno, crescente, che traghetta la funzione del giudice da mero “decisore" dei processi a soggetto che coopera attivamente con altri giudici all’interno di un sistema giuridico sempre più complesso.
In passato, l'attività giurisdizionale era essenzialmente orientata a risolvere controversie nazionali applicando le leggi interne.
Oggi, tuttavia, i giudici nazionali operano in un contesto in cui le norme sovranazionali, come quelle derivanti dalla CEDU e dall'Unione Europea, giocano un ruolo centrale. Il giudice deve quindi non solo applicare la legge nazionale, ma anche assicurarsi che questa sia conforme ai principi sovranazionali di tutela dei diritti fondamentali.
Questa evoluzione è ben esemplificata dall’introduzione di strumenti come il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea – delle cui modifiche si dirà in seguito – e per quel che qui rileva, sul piano interno, del rinvio pregiudiziale interno del giudice di merito alla Corte di Cassazione, sul quale si proverà qui a riflettere nell’ottica appena indicata.
Con l’art.363 bis c.p.c. il giudice di merito può chiedere alla Corte di cassazione che fissi il principio ,Corte la questione presenti aspetti di ripetitività tali da giustificare la decisione del giudice di legittimità sulla base della richiesta di rinvio pregiudiziale in modo che la Corte possa fissare un principio di diritto vincolante soltanto per il giudice che ha richiesto il rinvio pregiudiziale, ma che ovviamente avrà una particolare valenza nomofilattica anche per altri giudizi pendenti davanti ad altri giudici di merito, i quali ultimi, pur non vincolati alla decisione resa in sede di rinvio pregiudiziale, potranno considerare la soluzione esposta dalla Cassazione con il ricordato principio del diritto, eventualmente discostandosene in modo motivato.
Nonostante le differenze, gli strumenti del rinvio pregiudiziale interno e di quello esterno condividono uno spirito comune di cooperazione tra i giudici di merito e le Corti superiori[6].
4. Le modifiche al rinvio pregiudiziale “esterno” (alla Corte di Giustizia UE)
Non meno espressiva di questa trasformazione del ruolo del giudiziario sembra essere la recente modifica della competenza in tema di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, già antesignana di questa visione di giudice cooperante con altri giudici.
Si proverà qui a dire, per sommi capi alle ricadute che possono verificarsi sul sistema di protezione dei diritti in ragione della recentissima entrata in vigore – 1 settembre 2024 – delle modifiche introdotte il 12 agosto 2024 per effetto della pubblicazione sulla GUUE del Regolamento (UE, EURATOM) 2024/2019, che modifica il Protocollo n. 3 sullo statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, nonché delle modifiche del Regolamento di procedura della Corte di giustizia e del Regolamento di procedura del Tribunale. Riforma che, in estrema sintesi, ha spezzettato la competenza in materia di rinvio pregiudiziale tra la Corte di giustizia dell’U.E. e il Tribunale, prevedendo “in favore” di quest’ultimo una “riserva di competenza” in materie specifiche – sistema comune di imposta sul valore aggiunto, diritti di accisa, codice doganale e classificazione tariffaria delle merci nella nomenclatura combinata, compensazione pecuniaria e assistenza dei passeggeri, sistema di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra – purché non siano in discussione “questioni indipendenti di interpretazione del diritto primario, del diritto internazionale pubblico, dei principi generali del diritto o della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea”.
E ciò ha fatto con un sistema di modifiche al TFUE e statutarie abbastanza complesso ed articolato – tanto nel determinare l’ingresso del rinvio pregiudiziale ad un unico sportello individuato presso la Corte di giustizia al quale spetta il ruolo di smistamento fra il Tribunale e la Corte stessa, quanto in sede di eventuale impugnazione delle decisioni rese dal Tribunale in sede di rinvio pregiudiziale – nel complesso finalizzato a salvaguardare, nelle intenzioni della Corte di Giustizia UE, anche il ruolo di giudice e garante assoluto ultimo in tema interpretazione del diritto UE.
5. La revocazione “europea” del giudicato nazionale per contrasto con la Corte edu (art.391 quater c.p.c.)
Un'altra riforma significativa introdotta dalla riforma Cartabia è quella della revocazione delle sentenze e del giudice nazionale quando sia stata accertata la violazione della convenzione da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo e si tratta di una in nuova ipotesi di revocazione straordinaria che si affianca a quelle già previste dal dall'articolo 395 del Codice di procedura civile.
Secondo l'articolo 391 quater c.p.c. le decisioni passate in giudicato il cui contenuto è stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo contrario alla CEDU ho ad uno dei suoi protocolli possono essere impugnate per revocazione se concorrono le seguenti condizioni: a)la violazione accertata dalla Corte europea ha pregiudicato un diritto di Stato della persona; b) l'equa indennità eventualmente accordata dalla Corte europea ai sensi dell'articolo 41 CEDU non è idonea a compensare le conseguenze della violazione.
Rinviando agli approfondimenti già esposti in altra sede[7] è qui sufficiente ricordare che tale disposizione ha anche al pari di quella relativa al rinvio pregiudiziale suscitato notevole dibattito all'interno dell'Accademia e non è stata ancora oggetto di riflessioni da parte della Corte di Cassazione.
Sarà appunto la Corte di cassazione a sciogliere una serie di nodi e di dubbi interpretativi. Preme invece qui sottolineare la centralità della disposizione che pur lasciando dei dubbi in ordine all'ambito oggettivo di operatività del nuovo istituto della revocazione affianca alle ipotesi di impugnazione straordinarie collegate ad un errore di fatto da parte del giudice che ha definito il giudizio delle ipotesi che invece guardano la violazione dei diritti fondamentali e dunque un errore di diritto commesso dal giudice nazionale ed acclarato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.
6. Le S.U. e la resistenza all’emergenza in nome dei diritti umani (Cass.S.U. n.4873/2022 e 28022/2022).
Cass., S.U. n.4873/2022 ha riguardato la questione del distanziamento sociale in periodo Covid per i richiedenti asilo che venivano inviati nei centri di immigrazione subendo misure organizzative non rispettose della disciplina in tema di distanziamento sociale introdotte in via emergenziale nel periodo pandemico
Nel giudizio promosso da un’associazione portatrice di interessi collettivi dei migranti il giudice di merito aveva ritenuto insussistente il diritto soggettivo dei richiedenti rispetto alla questione del distanziamento sociale da parte del gestore dei centri di accoglienza
Decidendo il ricorso per Cassazione per motivi di giurisdizione si è ritenuto che rispetto al tema del distanziamento sociale in periodo pandemico ad essere coinvolto fosse un diritto soggettivo assoluto dei richiedenti protezione, non comprimibile dall'attività l'amministrazione, o dai soggetti che gestivano i fenomeni migratori su delega dell'amministrazione.
L'ordinanza n. 4873/2022 ha cassato le decisioni del merito che avevano escluso l'esistenza di un diritto soggettivo, ragionando sul fatto che appunto i diritti fondamentali e nel caso di specie quelli che erano in gioco, collegati anche al dovere primario di solidarietà, non consentiva in alcun modo alla pubblica amministrazione di esercitare discrezionalmente un'attività di gestione dei richiedenti asilo in spregio alle regole sul distanziamento sociale.
Parzialmente diverso il caso esaminato da Cass.S.U., n. 28022/2022, ove veniva in gioco un problema di esclusione di una società calcistica da un campionato perché non aveva rispettato le regole sul distanziamento e che aveva determinato la sospensione da parte della Federcalcio. Le Sezioni unite sono state investite della questione ancora una volta sotto il profilo della giurisdizione. In questo caso, Cass.S.U. n.28022/2022 ha ritenuto che la giurisdizione spettasse al giudice amministrativo perché era la norma che regolava gli effetti del mancato rispetto delle norme sul distanziamento ad attribuire all'autorità sportiva certi poteri. Ma in questo precedente il diritto fondamentale alla salute occupa una posizione centrale nella controversia discussa nel testo, soprattutto in relazione alle misure adottate per contenere la pandemia da COVID-19. Anche in questa occasione esso viene considerato un diritto di primaria importanza, che giustifica l’adozione di misure straordinarie da parte delle autorità pubbliche per proteggere la comunità. Nel contesto della pandemia, tali misure hanno incluso la quarantena e l'isolamento, che hanno limitato altre libertà fondamentali, come la libertà di circolazione (art. 16 Costituzione). Tuttavia, questo bilanciamento di diritti è necessario e legittimato dalla necessità di preservare il bene collettivo della salute pubblica.
L’attuazione di queste misure sanitarie, come la "quarantena in bolla" per le squadre sportive, evidenzia come il diritto alla salute richieda l'intervento del potere pubblico. Le autorità sanitarie, in stretta collaborazione con organismi sportivi, hanno adottato provvedimenti specifici per garantire che le attività sportive professionistiche potessero continuare, pur nel rispetto delle misure di prevenzione contro la diffusione del virus. Questo dimostra come il diritto alla salute non sia isolato, ma debba essere bilanciato con altri diritti e interessi legittimi, come il diritto al lavoro e alla libera iniziativa economica.
Tuttavia, la discrezionalità esercitata dalle autorità pubbliche nel decidere e attuare queste misure è oggetto di controllo da parte del giudice amministrativo.
Infatti, quando le misure di tutela della salute pubblica incidono su diritti e interessi legati a provvedimenti amministrativi, come nel caso delle limitazioni alle attività sportive, la competenza giurisdizionale spetta al giudice amministrativo. Quest'ultimo è chiamato a valutare la legittimità degli atti adottati, bilanciando il diritto alla salute con gli altri diritti costituzionali e garantendo la correttezza dell'azione pubblica.
7. Tirando le fila del discorso: a) Il ruolo della Corte di cassazione e l’idea di fondo di una “cooperazione” fra giudici come modus di gestione delle emergenze e delle transizioni.
Si può ora provare a riassumere il senso della rassegna di modifiche legislative e di interventi giurisdizionali delle S.U. civili – intervenute come si diceva a cavallo con la pandemia da Covid 19 sulla base di alcune riflessioni che, in definitiva, delineano un quadro di luci ed ombre nel sistema processuale interno, ma anche in quello collegato al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea.
Può dunque affermarsi, per quanto riguarda il piano interno ed il fascio di misure processuali introdotte a cavallo della pandemia che le stesse, con specifico riferimento al rinvio pregiudiziale “interno” ed alla nuova ipotesi di revocazione “europea”, sembrano animate dalla realizzazione piena di quel canone scolpito dall'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Quel canone della effettività della tutela giurisdizionale che poi informa anche le previsioni contemplate dalla Convenzione europea dei diritti e l'uomo è che ormai è entrato pleno iure nell'ordinamento nazionale anche attraverso plurime pronunzie dei giudici tanto della Corte di Cassazione (cfr. Cass.S.U. n.36057/2022, Cass.S.U. n.2075/2024), quanto della Corte costituzionale (cfr. Corte cost.n.140/2022, Corte cost. n.22/2022) e della Corte di giustizia (Corte giust. 13 marzo 2007, Unibet, C-432/05)[8].
Si avverte, dunque, forte l’esigenza di fornire un sistema processuale capace di offrire speditamente, efficacemente e anche con un accresciuto grado di prevedibilità ai destinatari delle tutele un quadro quanto più preciso dei tempi del processo e di come esso si può declinare.
In questa prospettiva, il tentativo che probabilmente va fatto è quello di cogliere in questi diversi istituti una duplice finalità indirizzata, per l’un verso, ad implementare la centralità della Corte di cassazione nel sistema di tutela dei diritti. Dall’altro lato, si coglie un’idea in parte nuova dell’idea stessa di nomofilachia essa nutrendosi tanto dell’apporto, in fase ascendente, del giudice di merito nel rinvio pregiudiziale tanto interno che esterno – rivolto al giudice UE quale giudice di ultima istanza – quanto delle sentenze della Corte edu nella revocazione alle quali è chiamato a dar voce lasciando da parte il giudicato nazionale “anticonvenzionale”.
Una funzione, quella di nomofilachia, nella quale è dunque difficile individuare il vertice della piramide e la base, tutti i protagonisti coinvolti costituendo allo stesso tempo colonne e tempio del “diritto vivente”. Soffermando l’indagine sull’art.363 bis c.p.c. si tratta di una innovazione processuale che cambia radicalmente i rapporti tra il giudice di merito e la Corte di Cassazione poiché quest’ultima non è più chiamata a controllare la legittimità della decisione dei giudici di merito, ma opera “con” ed “insieme” al giudice di merito, il quale la investe di una questione che il giudice di merito ritiene non essere stata esaminata dalla Corte di Cassazione e nel sollecitare l'intervento della Corte contribuisce alla migliore efficienza del sistema giudiziario il quale appunto non sarà più condizionato dall'assenza di precedenti della Cassazione che spesso arrivano molti anni dopo rispetto a vicende che invece toccano i plurimi interessi delle parti e che richiedono un veloce e tempestivo intervento del giudice di legittimità.
Il rinvio pregiudiziale interno diviene, così, dimostrazione di quanto la funzione nomofilattica non solo prenda luogo dalla scelta del giudice del rinvio pregiudiziale, ma partecipi pienamente degli elementi interpretativi forniti dal giudice di merito, senza i quali la Corte di legittimità non potrà fornire risposta al giudice di merito. Quest’ultimo non più, dunque, visto come destinatario della verifica di conformità alla legge del suo operato, ma individuato “per sistema” come autentico “motore trainante” che apre i cancelli della Corte di Cassazione. A quest’ultima si affida dunque il compito di fissare in tempi celeri standard di prevedibilità che non fanno certo venir meno per il giudice di merito la possibilità di discostarsi da quelle indicazioni fornite in sede di risposta al rinvio pregiudiziale, ma che sicuramente offrono elementi di certezza del diritto e di prevedibilità capaci di migliore la funzionalità del sistema nel suo complesso. Tutto questo in un clima di evidente innovazione del concetto di nomofilachia, sempre più arricchito di elementi di circolarità ed orizzontalità.
Rispetto a questo aspetto specifico non può dubitarsi che al fondo emergano questioni delicate che attengono alla funzione della Corte di Cassazione e del giudice di merito.
È infatti in corso un dibattito particolarmente acceso all'interno della giurisprudenza e dell'Accademia sull'opportunità o meno che la Corte di Cassazione, già oberata di un notevole numero di ricorsi, possa (e debba) fare fronte alle ulteriori richieste di rinvio pregiudiziali provenienti dai singoli giudici di merito.
Si è anzi pure sostenuto che l'intervento in via preventiva della Corte di Cassazione sulla richiesta di rinvio pregiudiziale subirebbe una vera e proprio torsione, tale da produrre la sottoposizione del giudice di merito alle pronunzie della Corte di Cassazione intervenute su richiesta del singolo giudice che ha sollecitato il rinvio pregiudiziale, espropriando la giurisdizione di merito delle sue prerogative. Da qui uno stravolgimento dei ruoli del giudice della legittimità e del giudice di merito, davanti al quale generalmente si forma il diritto vivente, anche attraverso una pluralità di punti di vista di orientamenti che poi, appunto, quando finalmente giungono all'esame della Corte di Cassazione possono, allora – e solo allora – trovare una soluzione più consapevole da parte del giudice della legittimità proprio in relazione al dispiegarsi di prospettive, di casi concreti, di risposte dei giudici di merito che sono andate nel tempo affrontando – e sedimentando – aspetti specifici che poi rendono a quel punto necessaria la decisione della Corte di Cassazione.
Non è questa la sede per sciogliere qui i dubbi in ordine a questo istituto né chi scrive ne ha la adeguata competenza[9].
Può però essere utile ribadire che, nella prospettiva che qui si intende offrire, il rinvio pregiudiziale “interno” dimostri come si vada sempre di più sviluppando nell'ambito della giurisdizione una prospettiva che non fa del giudice solo il “decisore della causa”, cogliendone la prospettiva volta a cooperare insieme ad altri organi giurisdizionali alla più efficiente ed effettiva soluzione della controversia.
Un giudice di merito, dunque, che ha ben chiaro come la funzione nomofilattica propria della Corte di Cassazione in base all'articolo 65 della legge sull'ordinamento giudiziario oggi si nutra in via diretta del suo attivo apporto, tenuto ed evidenziare tanto la complessità della questione rinviata, quanto la possibilità che la norma si offra a diverse interpretazioni sulle quali la Corte di Cassazione ancora non si è pronunciata (cfr., art.363 bis, primo comma, n.3 c.p.c.: “l’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale…reca specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili”). Un giudice, dunque, che impegna sé stesso non nella individuazione di “una interpretazione” utile per la decisione – attività che tradizionalmente egli è chiamato a svolgere – ma che deve farsi carico di delineare le “diverse interpretazioni possibili”.
Il che tratteggia un “fine” del ruolo del giudice di merito davvero significativamente diverso da quello svolto nella domanda di rinvio pregiudiziale “esterno” nel quale egli può – secondo le Raccomandazioni stilate dalla Corte di giustizia[10] – offrire la “sua interpretazione” della questione rimessa alla Corte di giustizia, non dovendosi dar carico di mettere a servizio del giudice UE le eventuali possibili interpretazioni alternative.
Diversità apparentemente sottili che sembrano tuttavia capaci di traghettare, in modo forse fin qui non adeguatamente preso in considerazione, verso un nuovo modo di esercizio della giurisdizione.
Ora, quello del rinvio pregiudiziale alla Cassazione che il Prof. Biavati, sulle colonne di Giustizia insieme aveva immaginato, quando si era ancora dentro l’emergenza pandemica, come un sogno per l’operatore del diritto[11], è dunque diventato realtà in una prospettiva che al contempo alimenta l’idea del giudice dialogante, ma soprattutto quella della necessità di aumentare gli strumenti idonei a creare efficienza, rapidità ed effettività al sistema processuale.
E non è qui possibile soffermarsi sulle ormai numerose e importanti decisioni adottate dalle sezioni semplici e dalla S.U. civili della Cassazione in campo processuale e sostanziale attraverso il rinvio pregiudiziale interno. Decisioni che, anche quando sono state di inammissibilità, contengono un fascio di elementi di sicuro interesse “nomofilattico” – al punto da essere pubblicate sul sito della Corte – che ancora di più accresce il significato del ruolo del giudice di merito. Un ruolo di “costruttore” che ha comunque chiesto una decisione alla Corte di cassazione, alla quale la decisione di inammissibilità si accompagna con una motivazione ricca di indicazioni e di elementi essi stessi dotati del nuovo carattere che assumendo il giudice di legittimità. Un ruolo parallelo, quello svolto in sede di ammissibilità – che si arricchiscono dello studio preliminare affidato ad una struttura appositamente costituita e composta da esponenti istituzionali della Corte stessa, a quello del decisore di principi di diritto che è esso stesso segno di profondo cambiamento della immagine della Corte e del suo ruolo.
Orbene, le considerazioni qui esposte sembrano pienamente valere anche con riguardo all’istituto della revocazione “europea” introdotta dall’art.391 quater c.p.c.
Invero, l’art.391 quater c.p.c. sembra dimostrare quanto il legislatore dell'ultima riforma abbia avuto particolare attenzione al tema della giustizia della decisione resa dalle Corti nazionali e quindi abbia guardato con particolare attenzione al tema della possibile contrarietà di una decisione, pur se passata in giudicato, con i canoni che attengono: a) al rispetto dei diritti fondamentali della persona; b) alla possibilità di rivedere il giudicato formatosi a livello interno in ragione della pronunzia della Corte europea dei diritti dell'uomo che abbia accertato la violazione di un diritto fondamentale tutelato dalla CEDU o dai suoi protocolli.
Ad avviso di chi scrive si tratta di un’ulteriore dimostrazione di quella esigenza di effettività che irradia sempre di più o vorrebbe irradiare sempre di più il processo civile italiano; un processo civile che, dunque, affida alla Corte di Cassazione la cognizione dei giudizi di revocazione di sentenze “anticonvenzionali” passate in giudicato anche se non rese dalla stessa Corte di Cassazione, ma appunto sentenze che sono divenute irretrattabili innanzi al giudice di merito o per effetto della dichiarazione di inammissibilità del ricorso per Cassazione.
Dunque, un istituto che ancora una volta valorizza il ruolo della Corte di Cassazione e che, dunque, ancora una volta suscita apprezzamenti o perplessità, a seconda della prospettiva che anima i commentatori e gli studiosi e di questa disposizione.
Da un lato, infatti, vi è chi vede nella legislazione più recente una tendenza alla gerarchizzazione della giurisdizione di merito rispetto alla Corte di Cassazione. Si assume, dunque, che questa ipotesi di revocazione, accentrando innanzi al giudice di legittimità i giudizi di revocazione per contrarietà alla CEDU, rappresenterebbe un ulteriore (ed innaturale) trasformazione dei rapporti fra giudice nazionale e giudice sovranazionale orientata a creare una sorta di sottomissione e soggezione del primo al secondo che invece si contesta aspramente, evidenziandone il contrasto con lo o spirito costituzionale e che promana dall'articolo 101 Cost.
Altri, per converso, guardano con favore a questo nuovo istituto, ritenendo che esso appunto spinga verso una maggiore attenzione del processo verso la sua “giustizia”. Di guisa che anche il valore del giudicato – un punto cardinale dell'esperienza giuridica italiana ma anche delle esperienze giuridiche dei paesi dell'unione europea – può essere rivisto dalla Corte di Cassazione nella misura in cui il giudice della Corte europea dei diritti dell'uomo abbia acclarato la contrarietà della decisione nazionale rispetto al parametro convenzionale.
Non spetta a chi scrive sciogliere i dubbi, ma semmai cogliere anche nell’art.391 quater cpc quegli accenti che orientano verso una dimensione sempre più circolare e cooperativa delle giurisdizioni, nazionali e sovranazionali, proprio al fine di garantire risposte giudiziari efficaci ed effettivi e sempre in linea con i valori fondamentali della persona.
L’art.391 quater c.p.c. – unitamente all’art362 ult.c. c.p.c. – rappresenta, infatti, un riconoscimento forte della centralità dei diritti fondamentali nell'esperienza giuridica nazionale, al netto dei dubbi interpretativi che ancora permangono in ordine all’ambito oggettivo della previsione che sembra limitare la revocazione alle ipotesi in cui vi sia stata un accertamento della violazione di un diritto di Stato. Uno scenario che orienta obbligatoriamente lo sguardo sul tema delle violazioni dei diritti fondamentali ma anche sui canoni di effettività della tutela giurisdizionale di cui si diceva e sulla necessaria cooperazione fra giudice nazionale e CEDU anche nella fase rescissoria della pronunzia resa in violazione della norma convenzionale.
Ed è proprio con la revocazione che si apprezza ancora di più quell’idea di cooperazione fra diversi plessi giurisdizionali, nazionali e sovranazionali che caratterizza il processo di “trasformazione” della giurisdizione.
Immaginare, infatti, che sia proprio la Corte di cassazione a decidere la revocazione – per la quale è attivamente legittimato oltre alla parte vittoriosa a Strasburgo anche il Procuratore generale – della decisione contraria a pronunzia della Corte edu, con uno strumento che opera in funzione “nomofilattica” – essendo adottato all’esito di un’udienza pubblica e con la presenza obbligatoria del Procuratore generale – imporrebbe di cogliere nella misura normativa introdotta dal legislatore l’idea di una funzione regolatoria ancora una volta collaborativa, cooperativa e partecipata, alla quale offrono elementi importanti anche le pronunzie della Corte edu che occorre prendere in considerazione per eliminare, in sede di revocazione, gli effetti della violazione convenzionale accertata.
Si potrebbe allora dire che, in tal modo ragionando, tutto torna. Tutto si allinea, tutto si tiene. Un tutto che ha basi che sembrano a chi scrive profondamente diverse da quelle che reggevano il sistema di tutela giurisdizionale fino a pochi lustri fa.
Basi che tendono, dunque, a realizzare una transizione dal periodo di/delle emergenza/e nelle intenzioni orientata a perseguire obiettivi che hanno sempre e comunque al centro il valore irripetibile della persona, ben consapevoli della difficoltà che attraversano i sistemi processuali.
Sembra così meno aspro il cammino per comprendere che il passaggio della nomofilachia da strumento verticale a modus come si diceva sopra “orizzontale”, partecipato[12].
Una nomofilachia che, superata l’emergenza pandemica, sembra volere approdare in maniera stabile su un terreno in parte nuovo: quella della nomofilachia cooperativa che si nutre anche all’interno della Corte di cassazione di nuovi e rinnovati momenti di confronto fra sezioni appartenenti a settori diversi, ma unite dai temi che vengono in gioco trasversalmente – vittima, migrazioni, rapporti fra giudizio civile e giudizio penale, motivazione dei provvedimenti – o attraverso l’espansione dei protocolli con altre Corti superiori nazionali e sovranazionali ma anche con gli Avvocati, attori protagonisti della giustizia insieme alla giurisdizione.
Tutto questo tende progressivamente ad emarginare l’idea che la funzione nomofilattica appartenga, come si diceva, esclusivamente alla Corte di Cassazione, divenendo progressivamente più condivisa con i diversi protagonisti che, come si è visto, alimentano continuamente l’attività della Corte di cassazione e con la stessa condividono a pieno titolo l’esigenza di fare “nomofilachia”.
Un processo, quest’ultimo che, d’altra parte, è pienamente coerente con il ruolo assunto dalla Corte di Cassazione rispetto alla “forza” della giurisprudenza sovranazionale delle Corti europee – Corte di giustizia UE e Corte europea dei diritti dell’uomo –. Una forza capace di condizionare le scelte interpretative del giudice di ultima istanza nazionale, soprattutto quando si afferma che il giudice di merito nazionale è legittimato a non adeguarsi ai principi espressi dalla Corte di cassazione se contraria al diritto UE, potendo egli stesso disapplicarli per dare prevalenza al diritto UE come interpretato dalla Corte di giustizia dell’UE.
7.1 B) La riforma del rinvio pregiudiziale “esterno” e la ricerca ultima di un sistema effettivo e celere nelle relazioni fra giudici.
Considerazioni parallele sembrano d’altra parte doversi fare se si guarda alle modifiche della competenza in tema di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Strumento, quest’ultimo, che d’altra parte si intreccia quasi naturalmente con il rinvio pregiudiziale interno, come ci era capitato di evidenziare in altra occasione[13].
Non si intende, come già accennato all’inizio, qui approfondire gli aspetti problematici che vedono il Tribunale UE dotato di una competenza in sede di rinvio pregiudiziale, amputata delle questioni che riguardano i principi fondamentali, l’ordine pubblico internazionale e per di più soggetta ad un vaglio preliminare in ordine alla competenza di quello stesso giudice, in entrata e di controllo di legittimità in caso di impugnazione del rinvio pregiudiziale. Né è qui il caso di ragionare sulle modalità scelte per realizzare questa transizione fra il vecchio ed il nuovo rinvio pregiudiziale sulla quale in passato già si avuto modo di riflettere[14].Serve, piuttosto, sottolineare la prospettiva che sembra animare la riforma del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia con la individuazione di specifiche materie che vengono attribuite al Tribunale per rendere più leggero il lavoro della Corte di giustizia così consentendole, a sua volta, risposte più efficaci ed effettive in termini temporali, ma anche individuando nella Corte di giustizia il giudice dei diritti fondamentali dell'Unione europea, il giudice che veglia e verifica la compatibilità dei sistemi nazionali con il quadro dei principi fondamentali.
Considerazioni, queste ultime, scolpite nel considerando n.4 del Reg. EURATOM n.2024/2019, ove si afferma che “la Corte di giustizia, nell’ambito di cause pregiudiziali, è sempre più chiamata a pronunciarsi su questioni di natura costituzionale o relative ai diritti umani e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea («Carta»)”.
Un meccanismo, nelle intenzioni del legislatore – e della stessa Corte di giustizia che ha proposto la modifica normativa – orientato a spingere l’acceleratore sull’efficienza e che investirebbe pur sempre nel dialogo fra giudice e giudice che ha consentito di edificare i basamenti giuridici dell’Unione europea. Di ciò, del resto, si coglie testuale conferma se si getta un occhio sul primo considerando del Reg. EURATOM n.2024/2019 ove si legge che “Un siffatto trasferimento corrisponde, del resto, alla volontà degli autori del trattato di Nizza, che hanno inteso rafforzare l’efficacia del sistema giurisdizionale dell’Unione prevedendo la possibilità di un coinvolgimento del Tribunale nel trattamento di tali domande.”
In definitiva, la riforma qui ricordata è stata mossa da un'idea di valorizzare al massimo il ruolo della Corte di giustizia nella sua missione di garante dei diritti fondamentali in modo da offrire livelli di tutela omogenei all’interno dell’UE. Dunque, un’idea di centralità dei diritti fondamentali i quali meritano, secondo il legislatore europeo che ha modificato il regolamento dello statuto della Corte, una risposta più celere. Infatti, la Corte di giustizia, sgravata da alcune competenze, a dire del legislatore (e della stessa Corte che ha patrocinato le modifiche normative) dovrebbe operare in tempi più ridotti.
Anche questa trasformazione, dunque, si presta a una riflessione rispetto al tema del quale discutiamo, poiché si tratta di modifica processuale radicale che viene proposta, in prospettiva, come funzionale alla migliore tutela dei diritti.
Ed in questo appare evidente il filo comune fra scelte legislative sul piano interno e politiche legislative europee, indirizzate entrambe a prendere per mano l’emergenza nella quale i diritti fondamentali delle persone erano stati messi a dura prova ed a confezionare riforme – astrattamente possibili da tempi non recenti ma accelerate dalle emergenze di cui si è detto – destinate, ancora una volta, ad una modifica dell'assetto della giurisdizioni in modo non transeunte, non eccezionale ma appunto sistemico ed organico.
7.2. C) Il valore fondamentale dei diritti umani nell’epoca delle emergenze.
Non resta che far cenno alle pronunzie delle Sezioni Unite di cui si è detto dedicando due riflessioni.
In entrambe le decisioni si è visto che la riflessione operata sul diritto alla salute è stata fortemente condizionata dalla situazione emergenziale della pandemia da COVID-19, ove è emerso ancora di più nella sua dimensione più profonda e complessa, rivelando non solo la necessità di una tutela concreta ed effettiva per ogni individuo, indipendentemente dal contesto sociale o territoriale in cui si trova, ma anche l’emersione di un concetto che, accanto al concetto di salute individuale, comprende quello di salute collettiva.
In tale contesto, la centralità del diritto alla salute emerge con forza, specialmente quando è oggetto di tutela in situazioni di emergenza sanitaria come quella che abbiamo vissuto. Il distanziamento sociale introdotto con la normativa emergenziale non è stato, dunque, semplicemente una misura contenitiva imposta, rappresentando piuttosto la concretizzazione di quel nucleo intangibile del diritto alla salute che il legislatore ha voluto preservare in modo assoluto. Le disposizioni normative emanate durante la pandemia – come i decreti-legge e i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri – hanno chiaramente definito le modalità di applicazione di questa tutela, attribuendo alla salute una priorità indiscutibile. Il diritto al distanziamento sociale ha così assunto una dimensione cogente e priva di discrezionalità, al punto che l’amministrazione (o potere pubblico) non gode di alcuna possibilità di deroga o di adattamento se non di quelle previste dalla legge. Ciò perché l'obbligo di garantire una distanza interpersonale di almeno un metro era una misura fissa, predeterminata, volta a prevenire il contagio e a proteggere tanto gli individui quanto la collettività che resiste all'intervento del potere pubblico. Questo concetto è stato ritenuto particolarmente rilevante in contesti come quello dell'accoglienza dei richiedenti asilo – considerandone la posizione di vulnerabilità – dove l'amministrazione non può esercitare alcuna discrezionalità nella tutela di diritti fondamentali. Nel caso del distanziamento sociale nei centri di accoglienza, la pubblica amministrazione e i gestori dei centri sono stati quindi ritenuti vincolati a garantire queste misure senza possibilità di adattamenti proprio per garantire la protezione dei più vulnerabili. Per questo, il caso specifico del distanziamento sociale durante la pandemia ha mostrato che anche in momenti di crisi ed eccezionali, il diritto alla salute sia cruciale non solo per il singolo ma per l'intera collettività, ed è proprio questa interconnessione tra individuo e comunità che conferisce al diritto alla salute un carattere assoluto e inviolabile.
Si può dunque concludere che anche la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, chiamata a fissare dei principi stabili in tema di giurisdizione, ha valorizzato la centralità dei diritti dell’uomo e, in particolare, del diritto alla salute, nella sua dimensione individuale e plurale, confermando che ogni sistema democratico, anche in periodi di emergenze, è tenuto a garantire i diritti della persona soprattutto quando emerge il suo lato più vulnerabile, loro offrendo quella protezione impedendo che il periodo eccezionale potesse trasformarsi in un accorciamento delle tutele apprestate dal diritto alla salute: dimensione, dunque, incomprimibile dal pubblico potere o comunque modulabile solo se e quando la legge ne consenta in termini vincolati la regolazione, in linea con la tutela della persona, della Costituzione e delle Carte internazionali.
7.3. D) Il ruolo del diritto vivente nella gestione delle emergenze e delle transizioni.
Ma vi è un’ultima riflessione che si intende qui offrire.
Ed è appunto che, ancora una volta, anche nei fenomeni che si è inteso qui sommariamente affrontare, la dimensione statica delle riforme e la finalità dalle stesse patrocinata di porsi come architrave di un sistema in vari punti modificato dalle fondamenta non potrà che passare attraverso l’applicazione concreta che di quelle nuove regole farà il giudice – recte, i giudici –.
Sono talmente tante e spinose le questioni interpretative, qui solo accennate, che le modifiche legislative introdotte sul piano sia del processo civile interno che su quelle del rinvio pregiudiziale alla giurisdizione dell’Unione europea – oggi pleno iure individuata in plessi diversi anche per quel che riguarda il rinvio pregiudiziale – a demandare al law in action la parola concreta sul senso delle riforme, sulla loro effettiva portata, sulla loro capacità di perseguire realmente gli obiettivi di sistema decantati. Basta qui rammentare i dubbi che si porranno per l’individuazione in concreto dei casi che saranno riservati all’esame della Corte di giustizia rispetto a quelli demandati al Tribunale. E ciò per evidenti ragioni connesse, per un verso, allo sviluppo del procedimento pregiudiziale nel contraddittorio fra le parti e, per altro verso, alla persistente possibilità che il Tribunale ritenga di ravvisare ragioni ulteriori per rimettere l’esame del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Questioni che, come si diceva, involgono l’interpretazione e valutazione del rinvio pregiudiziale e, verosimilmente degli elementi offerti ai fini della decisione.
In questa direzione, del resto, attenta dottrina ha evidenziato che solo una verifica a posteriori di come la Corte di giustizia intenderà svolgere il ruolo in sede di “sportello unico” ai fini dello smistamento dei rinvii pregiudiziali tra Corte di giustizia e Tribunale e, ancora, sulle modalità che il Tribunale sceglierà per esercitare la facoltà, pure allo stesso riservata, di restituire il ricorso per rinvio pregiudiziale inviato dalla Corte di giustizia, ritenendo che appunto siano in discussione e i principi che attengono all'unità del diritto Ue[15].
Il che dimostra, per un verso, quanto solo l'applicazione pratica delle riforme in tema di rinvio pregiudiziale ed il diritto vivente – anche europeo[16] – che si creerà per realizzare la transizione fra vecchio rinvio pregiudiziale e nuovo, arricchito da elementi di rilevazione delle attività compiute dalla Corte di giustizia e dal Tribunale potranno dimostrare non solo la reale portata della riforma in tema di rinvio giudiziale, ma anche la reale la utilità dello stesso rispetto ai fini che stavano alla base della riforma stessa.
Per altro verso, sembra marginalizzata l’immagine che ancora viene a volte patrocinata circa un netto confine tra legislazione e giurisdizione, questa risultando davvero destinata ad essere soppiantata dal principio di leale cooperazione, arricchito da una dose non marginale di buona fede e fiducia reciproca[17].
Un principio dunque, che lasciando da parte le contrapposizioni ideologiche, deve alimentare le relazione, inevitabili, fra giudici e giudici e fra giudici e legislatori, riconoscendo gli uni agli altri le rispettive competenze pur nella consapevolezza che il diritto vivente delle Corti è quello che dà anima e concretezza al diritto scritto, lo fa respirare in un contesto dentro il quale vivono le norme, denso di contenuti costituzionali senza i quali la disposizione non può essere intesa nella sua portata.
[1] Testo rielaborato e corredato di minimi riferimenti bibliografici di un Intervento al panel su Transizioni ed emergenze, squilibri istituzionali, riflessi al piano delle dinamiche della normazione, nell’ambito della V Conferenza annuale di ICON-S Italian Chapter su Lo stato delle transizioni, Trento 18-19 ottobre 2024.
[2] Un’intervista impossibile a Guido Calabresi, a cura di R. Conti, Giustizia insieme, 13 settembre 2021.
[3] Una ulteriore riforma particolarmente incisiva - ancorché controversa - è stata quella delle proposte di definizione accelerata introdotta dall’art.380 bis c.p.c.- c.d. pda-. Si tratta di un sistema che in realtà tende a definire i giudizi che il consigliere relatore ritiene inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati e che, previa comunicazione ai difensori della proposta di definizione accelerata, può determinare la definizione del processo se e le parti non chiedono fissarsi comunque l'udienza in camera di consiglio ritenendosi appunto in caso di assenza di questa richiesta il ricorso rinunciato. Questo istituto, oggetto di notevole dibattito tanto a livello giurisprudenziale che ancora prima a livello accademico, ha trovato già alcune risposte da parte del diritto vivente. La giurisprudenza si è soprattutto interrogata sulla possibilità che in caso di richiesta di udienza camerale il collegio debba o meno prevedere obbligatoriamente l'assenza del consigliere che aveva redatto la proposta di definizione accelerata. In questa prospettiva le sezioni unite hanno ritenuto che la partecipazione al collegio del consigliere estensore della proposta di definizione anticipata non determinasse alcun vulnus ai diritti delle parti-v.Cass.S.U. n.9611/2024-. Non può chiudersi questa veloce rassegna sulle riforme processuale senza accennare alla gestione delle udienze in Corte di Cassazione durante il periodo dell’emergenza pandemica-art. 83, comma 7 lett. f) D.L. n.18/2020- che hanno consentito l’adozione di modalità a distanza per consentire lo svolgimento delle attività che erano state paralizzate dal Covid. Misure che, gestite nell’emergenza mediante Protocolli stilati con il CNF, hanno poi visto il quasi totale abbandono delle misure eccezionali, ormai divenute “eccezionali” nel periodo di transizione proprio perché collegate all’esigenza di situazioni eccezionali.
[4] Da un lato, sono state eliminate le sezioni filtro originariamente istituite per la definizione de contenzioso cosiddetto seriale; dall'altro lato è stata unificata la disciplina dei ricorsi definiti con il rito camerale, in modo da prevedere, in linea con quello che già era stata una caratterizzazione delle precedenti riforme del rito della Cassazione e cioè la udienza pubblica soltanto per i ricorsi che presentavano realmente valenza nomofilattica e che quindi richiedevano una particolare vaglio da parte della Corte di Cassazione nonché l'intervento obbligatorio del Procuratore generale all'udienza pubblica. Questo ha di fatto ridotto il sistema di definizione dei ricorsi con il sistema dell’udienza pubblica ed ha omogeneizzato il rito per i procedimenti camerali.
[5] Sul punto, non è infatti superfluo ricordare che tra le garanzie strumentali alla tutela processuale dei diritti fondamentali nel sistema della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo si colloca anche il diritto alla pubblicità dell’udienza previsto dall’articolo 6, § 1 CEDU. Sul piano interno, tuttavia, la giurisprudenza ha ritenuto che il principio di pubblicità dell'udienza di rilevanza costituzionale e convenzionale non rivesta carattere assoluto e possa essere derogato in presenza di «particolari ragioni giustificative», ove «obiettive e razionali» (Corte cost., sent. n. 80 del 2011) -cfr. di recente Cass., S.U., n. 165/2023-. Il principio della pubblicità del giudizio che si svolge dinanzi ad organi giurisdizionali, pur costituendo un cardine dell'ordinamento democratico, fondato sulla sovranità popolare sulla quale si basa l'amministrazione della giustizia in Italia (art. 101, comma I Cost.), non trova, peraltro, un'applicazione assoluta (Corte cost. nn.50/1989, 69/1991, 373/1992, 235/1993), potendo essere legittimamente limitato, oltre che nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico, della sicurezza nazionale, dei minori o della vita privata delle stesse parti del processo, anche nell'interesse stesso della giustizia (Cass., S.U., n. 7585/2004). Il fattore tempo è intervenuto anche con riferimento a tale diritto nel periodo di emergenza pandemica per effetto dell'art. 23, comma 8 bis, del d.l. n. 137 del 2020, conv. con modif. dalla l. n. 176 del 2020. Sul punto Cass., S.U., n. 2610/2021, Cass., S.U., n. 11546/2022 hanno ritenuto che l'individuazione del rito per la decisione dipende dalla diretta volontà della legge, che stabilisce che si debba procedere automaticamente in camera di consiglio senza l'intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, salvo che una delle parti o il procuratore generale facciano richiesta di discussione orale entro il termine di venticinque giorni liberi prima dell'udienza e che, in mancanza di tale richiesta, alle parti non è consentito di partecipare alla discussione nell'udienza ex art. 379 c.p.c., senza che ciò rechi ostacolo all'esercizio del diritto di difesa. Analogamente, le sezioni quinta e terza penale della Corte di Cassazione (Cass., n. 17781/2022; Cass., n. 19431/2022) hanno ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 83, comma 7, d.l. 17 marzo 2020, n.18, 23 d.l. 23 ottobre 2020, n. 137 e 23 d.l. 9 novembre 2020, n. 149, per contrasto con gli artt. 24, 111 e 117 Cost. in relazione all'art. 6 CEDU, nella parte in cui, nel vigore della disciplina emergenziale per il contrasto della pandemia da Covid-19, hanno previsto la trattazione della causa secondo l'ordinaria disciplina processuale solo in caso di tempestiva richiesta della parte, “in quanto la limitazione dei diritti di rango costituzionale e convenzionale posti a presidio delle garanzie procedurali dell'imputato è frutto di una scelta discrezionale del legislatore, non manifestamente irragionevole o arbitraria, ma giustificata dal bilanciamento con altri principi di pari rango, quali il diritto alla vita e alla salute.”
[6] Entrambi mirano a garantire una interpretazione corretta e uniforme delle norme, sia a livello nazionale (Corte di Cassazione) sia a livello sovranazionale (Corte di Giustizia UE. Entrambi i rinvii pregiudiziali puntano a risolvere questioni giuridiche complesse attraverso il dialogo tra giurisdizioni, migliorando l'uniformità e la coerenza interpretativa del diritto. In entrambi i casi, i giudici di merito si pongono in un rapporto di cooperazione con la Corte superiore, ricevendo chiarimenti che consentono loro di risolvere correttamente le controversie in corso. Sia il rinvio pregiudiziale interno che quello alla CGUE si basano su un dialogo continuo tra i giudici, finalizzato a garantire una giustizia più efficace e coerente. Tratti in parte diversi. Il ruolo del giudice nazionale rispetto alla Corte di giustizia UE-offre la sua interpretazione su come interpretare la norma Ue secondo le raccomandazioni della Corte di giustizia. Infatti, nel rinvio pregiudiziale “interno” il giudice di merito deve dare conto delle diverse possibili interpretazioni della norma ai fini della ammissibilità del rinvio pregiudiziale. Dunque, il giudice di merito si fa “costruttore del significato della norma al punto che, se non offre indicazioni sulle diverse possibili interpretazioni, il rinvio pregiudiziale sarà dichiarato inammissibile. Un qualcosa di diverso- forse di molto diverso - dalla mera opinione sul rinvio pregiudiziale “esterno” che, secondo le Raccomandazioni predisposte dalla Corte di Giustizia UE – il giudice nazionale può inserire nella richiesta di rinvio pregiudiziale. Il che dimostra, in entrambe le ipotesi, la differenza notevole fra il ruolo del giudice di merito in questo contesto e quello del “decidere”, del “giudicare”.
[7] V., volendo, R.G. Conti, L’esecuzione delle sentenze della corte edu in ambito civile e la nuova ipotesi di revocazione “europea”, art. 391-quater c.p.c., in G. Lattanzi, M. Maugeri, G. Grasso, L. Calcagno, A. Ciriello (a cura di), Il diritto europeo e il giudice nazionale, Giuffré, Milano, 2023, Vol. II.II, 285 ss.
[8] V., volendo, R. Conti, L’effettività del diritto comunitario ed il ruolo del giudice, in Eur. Dir.priv., 2007, 2,479 ss.
[9] Si può soltanto ricordare un'esperienza concreta vissuta da giudice tributario che, parte della Corte di giustizia tributaria di merito di Agrigento – in https://www.cortedicassazione.it/page/it/ordinanza_di_rinvio_pregiudiziale_del_31032023_con_rg_4282023__ufficio_di_merito_corte_di_giustizia_tributaria_di_i_grado_di_agrigento_con_rg_392021?contentId=RPC7362 – ha proposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione sul tema collegato al riparto delle giurisdizioni che in Italia sono suddivise tra giudice ordinario, giudice amministrativo, giudice contabile il giudice tributario che appunto proprio in una questione che riguardava un contributo introdotto dalla legislazione emergenziale in favore delle imprese per effetto della vicenda pandemica aveva posto e poneva un dubbio in ordine alla giurisdizione del giudice tributario o del giudice ordinario sulla contestazione da parte del contribuente in ordine alle ragioni del rigetto della richiesta di contributo avanzata all’amministrazione pubblica. In questa occasione, non rinvenendo precedenti specifici che riguardavano la disciplina normativa di recente introduzione sul contributo di cui ho detto e rilevando la ricaduta della decisione in punto di giurisdizione del giudice tributario o del giudice ordinario su un numero consistente di controversie simili, la Corte di giustizia tributaria di primo grado ritenne di chiedere alla Corte di Cassazione di risolvere i dubbi in ordine alla portata della disciplina sui contributi in materia di covid al fine di chiarire se fosse di competenza del giudice ordinario o del giudice tributario. La complessità della vicenda nasceva dal dubbio che il giudice tributario di merito potesse rivolgersi alla Corte di Cassazione ed avvalersi dello strumento di cui all’art.363 bis c.p.c. per risolvere un dubbio che atteneva alla controversia pendente innanzi a sé. Dubbio che la Corte di Cassazione ha dipanato per un verso ritenendo che il giudice tributario di merito è legittimato a chiedere alla Corte di Cassazione il rinvio pregiudiziale di cui all'articolo 363 bis cpc. Dall'altro lato le S.U.-Cass.S.U.n.34851/2023 (in https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/34851_12_2023_civ_oscuramento_noindex.pdf- e poi, risolvendo il dubbio interpretativo sulla portata della disposizione in tema di giurisdizione nel senso che le controversie relative al contributo covid erano di competenza del giudice della giurisdizione ordinaria. Ora, questa decisione intervenuta a poco più di tre anni di distanza dall'entrata in vigore della legge che riguardava il contributo previsto per imprenditori colpiti dalla crisi post Covid, ha indubbiamente definito in tempi celeri, peraltro con l'autorevolezza della pronunzia delle Sezioni unite della Cassazione una questione che, altrimenti, avrebbe dato luogo a decisioni contrastanti capaci di produrre incertezza negli anni a venire in ordine alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario o del giudice tributario e, dunque, ha contribuito a garantire l'effettività e l'efficienza del sistema giudiziario nel suo complesso. La stessa decisione ha poi chiarito che il rinvio pregiudiziale ha finalità “nomofilattico-deflattive” e si pone in funzione complementare rispetto al sistema previsto per la risoluzione delle questioni di giurisdizione, essendo funzionale alla enunciazione di un principio di diritto suscettibile di applicazione in un numero indefinito di giudizi aventi ad oggetto la medesima questione.
[10] Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale, 4 ottobre 2024, C/2024/6008, in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:C_202406008.
[11] P. Biavati, Note sul processo civile dopo l’emergenza sanitaria, Giustiziainsieme, 15 luglio 2020.
[12] Per uno sviluppo di quanto esposto nel testo sia consentito il rinvio a R. Conti, Nomofilachia integrata e diritto sovranazionale. I "volti" delle Corte di Cassazione a confronto, in questa Rivista, 4 marzo 2021.
[13] V., volendo, R. Conti, I rapporti tra rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione e rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, in Il diritto tributario nella stagione delle riforme. Dalla legge 130/2022 alla legge 111/2023, a cura di E. Manzon e G. Melis, Ebook Giustizia Insieme, 2024, 97 ss. Più di recente, S. Pini, Un (possibile) dialogo tra l’ordinamento dell’Unione e quello nazionale. Le «cause pilota» e il rinvio pregiudiziale avanti la Corte di cassazione, in Rivista del Contenzioso europeo, Fasc. n. 2/2023, pp. 45 ss.
[14] V., volendo, R. Conti, La proposta di modifica dello Statuto della Corte di giustizia UE in tema di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, in Giustiziainsieme, 8 luglio 2024; id., C’era una volta il rinvio pregiudiziale. Alla ricerca della fiducia – un po’ perduta – fra giudici nazionali ed europei, in corso di pubblicazione su eurojus.
[15] cfr. C. Amalfitano, The Transplant of Procedural Rules from the Court of Justice to the General Court, in EU Law, 24 luglio 2024, Live.
[16]Cfr., per il riferimento al “diritto vivente europeo”, rivolto alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, Corte cost.nn.43/2018, 145/2020, 121/2023.
[17] A. Ruggeri, Il principio personalista e le sue proiezioni, in Federalismi, 28 agosto 2013; G. Pitruzzella, Il rinvio pregiudiziale nel sistema costituzionale dell’Unione europea, in Il diritto europeo e il giudice nazionale, a cura di G. Lattanzi, M. Maugeri, G. Grasso, L. Calcagno, A. Ciriello, Milano, 2023 vol.1, Il diritto dell’Unione europea e il ruolo del giudice nazionale, cit.,556. Sia consentito il rinvio a R.G. Conti, Dall’uso alternativo all’uso cooperativo del diritto nell’esperienza di un giudice comune, in Sistemapenale, 25 giugno 2024.
Immagine: Winslow Homer, Northeaster, olio su tela, 1895, Metropolitan Museum of Art, Gift of George A. Hearn, 1910.