Focus sui programmi di scambio internazionale tra magistrati - 2. Il tirocinio presso il desk italiano di Eurojust “Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”
di Federica La Chioma
[L’articolo segue a I programmi di scambio internazionali tra le Autorità Giudiziarie di Marco Alma e all’Editoriale dedicato all'iniziativa]
Sommario: 1. Introduzione - 2. Mandato d’arresto europeo - 3. Estradizione - 4. Ordine europeo di indagine - 5. Sequestro e confisca all’estero - 6. Conflitto di giurisdizioni - 7. Reati informatici e/o commessi con mezzi informatici - 8. Conclusioni.
1. Introduzione
Questo contributo intende rassegnare una sintesi delle principali attività, di carattere prettamente giurisdizionale ovvero speculativo-compilativo, da me svolte nel corso del tirocinio della durata di quattro mesi che ho avuto l’opportunità di svolgere presso il Desk italiano ad Eurojust “Giovanni Falcone e Paolo Borsellino” nel corso dei periodi 19.04.2022-29.07.2022 e 26.09.2022-15.10.2022 sotto la direzione del Membro Nazionale dott. Filippo Spiezia ed in affiancamento ai magistrati assistenti dott.ri Silvio Franz, Teresa Magno, Aldo Ingangi, agli esperti nazionali distaccati Dir. PP Sergio Orlandi, Mar. C. GdF Marco Mosele, T. Col. CC Simone Martano e con la collaborazione delle assistenti sig.re e dott.sse Annamaria Petrucci, Daniela Menozzi, Marina Cociancich.
Occorre premettere che l’avvio del tirocinio è stato preceduto dalla mia partecipazione a tre sessioni di formazione ad opera di personale in servizio presso le funzioni di Human resources and Operation Units dell’Agenzia, prodromiche allo svolgimento delle attività assegnate e relative a Induction training for newcomers, Data protection regulation e CMS training. Tali brevi corsi mi hanno infatti permesso di apprendere anzitutto la struttura, il mandato ed il funzionamento dell’ente di assegnazione del tirocinio, in modo da consentirne lo svolgimento più proficuo e consapevole.
Invero, con riferimento al primo aspetto, la cui illustrazione è stata integrata anche dalla lettura della Relazione Annuale per il 2021 messa a disposizione dal Membro Nazionale dott. Spiezia, è stato fornito un inquadramento generale di Eurojust, quale agenzia di cooperazione giudiziaria dell’Unione Europea, ne sono stati approfonditi gli organi (segnatamente il College, l’Ufficio di Presidenza, il Consiglio di Amministrazione, il Direttore Amministrativo) e le relative unità, sia operative che di gestione delle risorse umane e finanziarie, con le quali avrei avuto modo di confrontarmi giornalmente nello svolgimento dell’ordinaria attività di tirocinante assegnata ad un Desk nazionale. È stato inoltre illustrato il metodo di formazione e archiviazione digitale dei procedimenti tramite Case Managemente System o CMS, con particolare riguardo alla materia della gestione dei dati personali in essi contenuti, alla luce delle regole di procedura adottate dal College con propria decisione del 20.12.2019, che costituisce un esempio di lex specialis rispetto al Regolamento (UE) 2018/1725 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2018, sulla tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione e sulla libera circolazione di tali dati, e che abroga il regolamento (CE) n. 45/2001 e la decisione n. 1247/2002/CE, che ha riconosciuto il diritto del titolare del dato personale a ricevere comunicazione chiara e trasparente del trattamento da parte del suo responsabile (Data Protectcion Officer), a richiedere l’accesso allo stesso, a promuoverne la cancellazione o la correzione in caso di errori.
Con riferimento invece al secondo aspetto, concernente il mandato dell’Agenzia, è stato affrontato direttamente con il Membro Nazionale dott. Spiezia, anche mediante l’analisi di alcuni contributi dottrinari[1], l’excursus storico, politico e normativo che ha portato all’approvazione del Regolamento (UE) 2018/1727 che istituisce l’Agenzia dell’Unione Europea per la cooperazione giudiziaria penale (Eurojust) e che sostituisce e abroga la decisione 2002/187/GAI del Consiglio.
Tale strumento normativo, direttamente applicabile in tutti gli Stati membri, ha chiarito che funzione di Eurojust è “sostenere e potenziare il coordinamento e la cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle indagini e dell’azione penale contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri o che richiede un’azione penale su basi comuni, sulla scorta delle operazioni effettuate e delle informazioni fornite dalle autorità degli Stati membri e dall’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione nell’attività di contrasto (Europol)”.
Tale mandato si esplica mediante una pluralità di funzioni operative, che comprendono attività di informazione, assistenza, promozione delle indagini presso le competenti autorità nazionali che abbiano in corso indagini o procedimenti in grado di incidere su scala unionale, consultazione, sia con le autorità nazionali che con altre istituzioni, organi ed organismi dell’Unione Europea, collaborazione anche ai fini dell’implementazione delle banche dati dell’European Judicial Network (EJN) ed anche con il neoistituito European Public Prosecutor Office (EPPO), supporto anche operativo, tecnico e finanziario, ad esempio per il tramite della costituzione di squadre investigative comuni (SIC) o per la prestazione di servizi di interpretariato o ancora per la concertazione di azioni comuni.
Nell’assolvimento di tali funzioni Eurojust può chiedere, specificandone i motivi, che le autorità competenti degli Stati membri interessati avviino un’indagine od un’azione penale per fatti precisi, o che concentrino i relativi procedimenti presso l’una o l’altra autorità, ovvero che si coordinino fra loro o che infine intraprendano azioni concordate, sempre informandone l’Agenzia.
Al fine di consentirmi di cogliere, sin dall’inizio, le variegate potenzialità operative di Eurojust appena sintetizzate è stata calendarizzata, da parte del Membro Nazionale dott. Spiezia, la realizzazione di alcuni incontri tematici con i componenti del Desk, volti all’immediato inquadramento e all’approfondimento – anche per il tramite della condivisione di presentazioni in power point[2] e di manuali operativi[3] nonché dello studio di contributi di fonte normativa e dottrinaria[4] – di alcuni istituti di maggiore rilievo pratico nell’ambito della cooperazione giudiziaria internazionale o di alcune materie particolarmente sensibili fra quelle rientranti nella competenza dell’Agenzia.
In particolare sono stati svolti, mediante mirate interlocuzioni nonché mediante visite presso la sede delle altre istituzioni interessate, dialoghi tematici in materia di:
- ordine di indagine europeo ed altri strumenti di cooperazione per l'acquisizione della prova in ambito europeo ed internazionale, fra cui quelli previsti dalla Convenzione stabilita dal Consiglio conformemente all’art. 34 del Trattato sull’Unione Europea, relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione Europea, firmata a Bruxelles il 29 maggio 2000, con il dott. Ingangi;
- sequestro e confisca all'estero e quadro normativo ed amministrativo di riferimento (regolamenti, circolari, intese operative) con il dott. Franz;
- prova digitale, data retention e relative questioni applicative con la dott.ssa Magno;
- mandato d’arresto europeo e rapporti con il Ministero della Giustizia con la dott.ssa Magno;
- lotta al terrorismo (quadro normativo internazionale ed unionale, strategie di contrasto e di prevenzione, strumenti di cooperazione giudiziaria, esame di alcuni casi pratici) con il Dir. PP Orlandi;
- squadre investigative comuni (funzione, normativa di riferimento, formalità costitutive e modalità di gestione) con il Mar. C. GdF Mosele;
- Europol (mandato, struttura, modalità di raccordo con Eurojust) con il T. Col. CC Martano;
- sintesi sul coordinamento investigativo sovranazionale con il Membro Nazionale dott. Spiezia.
Con riferimento infine al terzo fra gli aspetti sopra evidenziati, relativo al funzionamento di Eurojust, dopo essere stata opportunamente introdotta sia personalmente ai colleghi di nazionalità straniera che collettivamente dinanzi al College, ho avuto l’occasione di immergermi nella vita dell’Agenzia, di cui ho avuto modo di cogliere sia l’operatività rivolta all’esterno che quella tesa a regolare la propria struttura interna.
Sono stata infatti ammessa a partecipare alle riunioni del Desk italiano indette nel corso del periodo di tirocinio dal Membro Nazionale dott. Spiezia, in particolare al fine di approvare il Terzo Progetto Organizzativo nonché di condividere le schede sull’attività di Eurojust destinate a confluire nella pubblicazione della Scuola Superiore della Magistratura lanciata in occasione della ricorrenza del ventennale della fondazione dell’Agenzia, celebrata mediante la programmazione da parte della medesima SSM di un apposito corso a Bari nei giorni 13 e 14 ottobre 2022.
Tali occasioni di condivisione mi hanno fornito l’opportunità di addentrarmi pienamente nelle dinamiche di funzionamento del medesimo Desk, permettendomi di comprenderne meglio le regole di organizzazione e gli ambiti di attività, finalizzati alla fornitura di tutti i servizi necessari ed utili ad assicurare il migliore coordinamento investigativo in tutti i casi di criminalità transnazionale e di terrorismo.
Provvista dunque di questi ineludibili strumenti di conoscenza, sono stata messa in condizione di sviluppare una mia operatività interna al Desk, ritagliata secondo le disposizioni impartite di volta in volta dal Membro Nazionale dott. Spiezia, anche in conformità degli interessi maturati e delle curiosità da me espresse d, e sotto la guida degli Assistenti ed Esperti Distaccati, che con garbo e spontanea generosità hanno sempre fornito preziosi consigli e suggerimenti.
Dunque nel corso dei menzionati periodi di tirocinio sono stata incaricata di avviare e completare lo studio di numerosi casi pendenti presso il Desk al fine di procedere ad una loro revisione, volta alla redazione di proposte operative e/o definitorie da condividere con i rispettivi titolari nonché eventualmente, previa autorizzazione di questi ultimi, con i magistrati stessi assegnatari dei procedimenti nazionali dai quali originavano le richieste di assistenza giudiziaria, relative alle più varie fattispecie delittuose (fra cui particolarmente numerose sono risultate essere quelle afferenti alla criminalità organizzata di stampo ‘ndranghetista e camorristico, all’associazione finalizzata al traffico di armi e stupefacenti, al riciclaggio di proventi illeciti, al trasferimento fraudolento di valori ed altre utilità) e insistenti verso i più diversi Paesi (oltre agli Stati Membri dell’Unione Europea infatti sono risultati coinvolti nelle procedure assegnate alla scrivente anche il Regno Unito, l’Albania, la Svizzera, l’Armenia, il Brasile, gli Stati Uniti, l’Australia).
Analogamente sono stata incaricata di procedere alla iniziale trattazione di procedure di nuova iscrizione, in modo da poter sviluppare autonome iniziative di gestione delle richieste di assistenza pervenute in relazione alle più varie fattispecie delittuose (come si è visto spesso di competenza distrettuale).
In un caso, poi, ho assunto il duplice ruolo da un lato di autorità nazionale redattrice di una complessa rogatoria internazionale in materia di criminalità finanziaria transnazionale, trasmessa per il tramite di Eurojust all’autorità extraeuropea competente, e dall’altro di tirocinante affiancata ai titolari della procedura aperta presso la stessa Agenzia per le esigenze di cooperazione internazionale. Queste ultime in particolare si sono tradotte nell’organizzazione di una riunione di coordinamento presso la sede di Eurojust e nella predisposizione del modulo investigativo, condiviso con le autorità giudiziarie del Paese estero richiesto di compiere gli accertamenti, più adatto a raccogliere emergenze suscettibili di utilizzazione congiunta presso tutti i Paesi coinvolti.
La trattazione dei casi sin qui esposti ha dunque comportato, oltre che lo studio della corposa corrispondenza intercorsa con le autorità nazionali e con i corrispettivi Desk stranieri e della documentazione trasmessa a corredo delle istanze di cooperazione avanzate, anche la partecipazione a numerose riunioni di coordinamento a carattere bilaterale e multilaterale, alla presenza, oltre che dei rappresentanti dell’Agenzia e delle autorità giudiziarie coinvolte (fra cui anche in talune occasioni i Procuratori Europei Delegati o PED), pure di esponenti della polizia giudiziaria.
Due delle menzionate riunioni di coordinamento sono state finanche condotte autonomamente da me, così come, in talune occasione, ho pure avuto modo di partecipare alla verifica della regolare esecuzione di contestuali provvedimenti di perquisizione, sequestro e di misure cautelari personali e reali presso più Stati nel corso di action days durante i quali Eurojust ha funzionato da coordination centre per le autorità giudiziarie e di polizia coinvolte in indagini fra loro collegate.
La gestione da parte mia delle procedure sin qui menzionate, pur se foriera di numerosi adempimenti di natura operativa (quali la tempestiva tenuta della corrispondenza, l’approfondita preparazione delle riunioni di coordinamento e, all’esito, l’esaustiva rendicontazione finale tramite brevi sintesi o follow up aggiuntive ai verbali redatti dal personale di Operation Unit a ciò appositamente deputato o l’assistenza alla redazione di ordini di indagine europeo in conformità a quanto deciso nel corso dei meeting), è tuttavia stata sempre accompagnata da una rielaborazione teorica delle materie affrontate.
L’assegnazione di numerosi casi per fini di diretta trattazione ovvero di mero studio e/o revisione ha infatti invariabilmente costituito per me un’occasione di approfondimento dei diversi ambiti nei quali si sviluppa la cooperazione giudiziaria in materia penale, che come dinanzi rammentato sono stati oggetto di appositi confronti tematici calendarizzati con tutti i componenti del Desk in ragione della specifica competenza sviluppata e/o assegnata a ciascuno o che sono stati oggetto di puntuale rielaborazione scritta in note riepilogative, schede o pareri, in alcuni casi anche destinati, previa rilettura e/o approvazione da parte del Membro Nazionale dott. Spiezia, alla diffusione agli Uffici di Procura sparsi sul territorio nazionale.
Tale è stato il caso della nota riepilogativa redatta in occasione della diffusione del Cybercrime Judicial Monitor, la pubblicazione annuale destinata a magistrati e forze dell’ordine impegnati nella lotta ai reati informatici e ai reati commessi con mezzi informatici trasmessa dall’EJCN (European Judicial Cybercrime Network) o del parere in tema di conflitti di giurisdizioni, redatto in occasione della trattazione di una procedura relativa all’omicidio di un cittadino italiano commessa da cittadini stranieri sul territorio di uno Stato terzo.
Inoltre la rielaborazione delle materie trattate in occasione della cogestione delle procedure a me assegnate mi ha permesso di intervenire ad alcune riunioni organizzate dai gruppi di lavoro istituiti all’interno di Eurojust, quale quella dedicata all’esame della disciplina degli agenti sotto copertura ai sensi dell’art. 21 del decreto legislativo n. 108 del 21 giugno 2017, che ha recepito in Italia la Direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014 relativa all'ordine europeo di indagine penale o dell’avvio di procedimenti in base all’own iniative dell’Agenzia alla luce dell’art. 2, comma 3 del Regolamento (Ue) 2018/1727 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018 che istituisce l’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale (Eurojust) e che sostituisce e abroga la decisione 2002/187/GAI del Consiglio.
Inoltre, in ragione delle conoscenze acquisite nel corso del tirocinio, ho avuto modo di partecipare, su designazione del Membro Nazionale dott. Spiezia, al Corso di Alta Formazione per Amministratori giudiziari di aziende e beni sequestrati e confiscati (AFAG) – X edizione organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, presentando una relazione sul tema delle procedure di esecuzione dei provvedimenti nazionali di sequestro e confisca all’estero a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2018/1805 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca.
Le procedure a me affidate, invero, sono state sempre trattate avendo riguardo all’inquadramento sistemico degli istituti di volta in volta rilevanti nell’ambito delle disposizioni speciali contenute negli strumenti di diritto internazionale pattizio ovvero nelle fonti di diritto dell’Unione Europea vigenti. Tanto è stato assicurato in conformità alla fondamentale norma contenuta nell’art. 696 c.p.p., che, nell’aprire il Titolo I del Libro XI del codice di procedura penale, nella sua versione riformata per effetto del decreto legislativo n. 149 del 3 ottobre 2017, che ha dato esecuzione alla legge delega n. 149 del 21 luglio 2016 di modifica del Libro XI del codice di procedura penale in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, ha stabilito il principio della prevalenza del diritto dell’Unione Europea (per i Paesi che ne sono membri) nonché del diritto internazionale di fonte pattizia o consuetudinaria (per tutti gli altri), assegnando dunque alla disciplina codicistica un carattere di sussidiarietà, peraltro superabile per effetto del potere del Ministero della Giustizia di non dare corso alle richieste che non presentino idonee garanzie di reciprocità.
Passerò dunque in rassegna i principali istituti oggetto di studio da parte mia nel corso del tirocinio, corredandoli di un breve descrizione della loro declinazione applicativa – depurata dei dati sensibili e personali rilevanti – in relazione ai casi aperti presso il Desk italiano dei quali è stata autorizzata la consultazione da parte mia.
2. Estradizione
L’estradizione costituisce la procedura volta alla consegna ad uno Stato estero di una persona per l’esecuzione di una sentenza straniera di condanna a pena detentiva o di altro provvedimento restrittivo della libertà personale. La stessa è attualmente disciplinata dagli artt. 697 e segg. c.p.p., ove non trovino applicazione, ai sensi dell’art. 696 c.p.p., le norme relative al mandato d’arresto europeo per gli Stati membri dell’Unione Europea o, per quelli che non ne fanno parte, le specifiche norme di diritto internazionale previste da fonte pattizia o, in subordine, consuetudinaria.
Nel corso del tirocinio sono state affrontate da me le principali innovazioni introdotte dalla legge di riforma del Titolo I del Libro XI del codice di procedura italiano al processo bifasico (in parte amministrativo, nelle fasi di apertura e chiusura, in parte giudiziario) della procedura di estradizione, consistite prevalentemente:
relativamente al procedimento di estradizione passiva:
- nel riconoscimento espresso del dovere, gravante sull’autorità giudiziaria al momento del primo contatto con l’estradando, di procedere al suo interrogatorio, alla presenza del difensore e, ove necessario, di un interprete (artt. 703, comma 2 e 717, comma 1 c.p.p.);
- nella previsione di una scansione temporale rigorosa (sebbene di natura ordinatoria) ed oggi ridotta degli adempimenti gravanti sull’autorità giurisdizionale e su quella ministeriale (artt.703, comma 1, 704 comma 2, 706, comma 1, 708, comma 1, 716, comma 2 c.p.p.);
- nella esplicitazione della possibilità per l’autorità giurisdizionale di richiedere direttamente all’autorità richiedente eventuale documentazione integrativa a corredo della domanda, incluso il provvedimento di commutazione della pena di morte che fosse stata inflitta al condannato di cui è richiesta la consegna (art. 700, comma 2, lett. b-bis c.p.p.), nonché dei criteri che quella ministeriale deve seguire per fissare un ordine di priorità nel caso di concorrenti richieste di estradizione (art. 697 comma 2 c.p.p.);
relativamente al procedimento di estradizione attiva:
- nella previsione di una causa di sospensione del processo avviato in Italia in relazione ai reati per i quali non possa farsi luogo all’estradizione in attuazione del principio di specialità (art. 721, comma 2 c.p.p.), salvo il compimento di atti urgenti, l’assunzione di prove non rinviabili nonché di quelle che possano determinare il proscioglimento per fatti anteriori alla consegna (art. 721, comma 4 c.p.p.);
- nella previsione dei casi in cui non opera il principio di specialità, per effetto del consenso all’estensione da parte dello Stato richiesto o dell’estradando, espressa in forma esplicita o per facta concludentia (art. 721, comma 5 c.p.p.);
- nel computo del periodo di detenzione sofferta all’estero ai fini della determinazione del termine di fase e del termine massimo di custodia cautelare (art. 722 c.p.p.) e della riparazione per ingiusta detenzione (art. 722 bis c.p.p.).
Il mio coinvolgimento nella gestione di un caso relativo alla richiesta di estradizione avanzata da parte dell’autorità giudiziaria statunitense di un cittadino ungherese detenuto presso l’autorità giudiziaria italiana ha costituito l’occasione per approfondire il principio espresso nella sentenza resa il 6 settembre 2016 dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Petruhhin, C-182/15 (ECLI:EU:C:2016:630), in forza del quale “quando a uno Stato membro nel quale si sia recato un cittadino dell’Unione avente la cittadinanza di un altro Stato membro viene presentata una domanda di estradizione da parte di uno Stato terzo con il quale il primo Stato membro ha concluso un accordo di estradizione, esso è tenuto a informare lo Stato membro del quale il predetto cittadino ha la cittadinanza e, se del caso, su domanda di quest’ultimo Stato membro, a consegnargli tale cittadino, conformemente alle disposizioni della decisione quadro 2002/584, purché detto Stato membro sia competente, in forza del suo diritto nazionale, a perseguire tale persona per fatti commessi fuori dal suo territorio nazionale. Nell’ipotesi in cui a uno Stato membro venga presentata una domanda di uno Stato terzo diretta a ottenere l’estradizione di un cittadino di un altro Stato membro, il primo Stato membro deve verificare che l’estradizione non recherà pregiudizio ai diritti di cui all’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.”
3. Mandato d’arresto europeo
L’assegnazione a me dello studio di un caso relativo all’esecuzione in Italia di un mandato d’arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria tedesca, concorrente con quello – successivo e dunque recessivo – emesso dall’autorità giudiziaria maltese, ha rappresentato un’utile occasione per approfondire il menzionato istituto, che consiste nella decisione emessa dall’autorità giudiziaria di uno Stato membro dell’Unione europea in vista dell’arresto e della consegna da parte di altro Stato membro di una persona, al fine dell’esercizio nei suoi confronti di azioni giudiziarie in materia penale o dell’esecuzione di una pena privativa della libertà personale.
Tale istituto, disciplinato dalla legge del 22 aprile 2005, n. 69 recante disposizioni per conformare il diritto interno alla Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, è sintomatico del mutual trust esistente fra gli Stati membri dell’Unione Europea, nella quale è ormai assicurata la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi, dei capitali, ma anche dei provvedimenti giudiziari validamente emessi dalle autorità nazionali. Infatti il MAE si segnala in quanto, a differenza dell’estradizione, la sua emissione ed esecuzione sono riservate all’autorità giudiziaria, residuando al Ministro della Giustizia solo una funzione amministrativa di ricezione dei MAE da eseguire in Italia e di trasmissione (previa opportuna traduzione) dei MAE emessi dai giudici italiani.
L’approfondimento di un caso concernente la richiesta di consegna all’autorità giudiziaria italiana, in forza di apposito titolo cautelare custodiale, di un indagato residente nel Regno Unito mi ha consentito di approfondire il relativo procedimento applicabile a seguito della fuoriuscita di tale ultimo Stato dall’Unione Europea. Venuta meno l’operatività del MAE, nel caso di specie trova infatti applicazione il titolo VII del Trade and Cooperation Ageement che regola i rapporti fra l’Unione Europea e la Gran Bretagna a seguito della Brexit.
L’art. 596 del TCA in particolare prevede l’istituto della “consegna” o surrender, destinato a sostituire l’analogo istituto del mandato d’arresto europeo, favorendo un sistema agevolato di estradizione tra gli Stati membri dell’Unione ed il Regno Unito, che prevede infatti limitate cause di rifiuto (analoghe a quelle previste a fronte di un MAE) ed una procedura limitata nel tempo. Secondo i termini dell’Accordo inoltre anche la nuova procedura di surrender è regolata dal principio di proporzionalità, in quanto la consegna deve essere necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti dell’indagato/imputato e della vittima, considerata la gravità dell’atto e la probabile pena che verrebbe inflitta nonché la possibilità che il soggetto da consegnare possa affrontare lunghi periodi di detenzione preventiva. L'Accordo prevede inoltre che gli Stati prendano in considerazione la possibilità di intraprendere azioni meno coercitive rispetto al processo di consegna, come il rinvio del caso alle proprie autorità giudiziarie, ove opportuno.
In base all'Accordo, poi, può essere emessa una richiesta di consegna in relazione a qualsiasi reato che comporti una pena detentiva per un periodo massimo di almeno dodici mesi o, nel caso in cui sia stata emessa una sentenza o una misura coercitiva, di almeno quattro mesi. La consegna, come il MAE, è dunque soggetta al concetto di “doppia incriminazione”, secondo cui il reato per cui è attivata la procedura debba essere perseguito in entrambe le giurisdizioni. Tuttavia l’Accordo comprende un elenco di reati particolarmente gravi per i quali la doppia incriminazione è presunta, analogo a quello previsto per il MAE.
Una delle caratteristiche principali del sistema di consegna è poi l’eccezione di nazionalità, in base a cui gli Stati possono scegliere di rifiutare di consegnare i propri cittadini o di farlo solo in determinate circostanze. L'Accordo prevede tuttavia una disposizione che impone a qualsiasi Stato membro che rifiuti l'estradizione di prendere in considerazione l'avvio di un procedimento contro un proprio cittadino che sia commisurato all’oggetto della procedura di consegna tenendo conto del parere dello Stato emittente.
L’Accordo prevede altresì un lungo elenco di altri motivi in base ai quali uno Stato può rifiutarsi di eseguire un mandato di consegna, che possono essere applicabili in particolari circostanze, come allorché il fatto per cui si procede sia già perseguito dallo Stato di esecuzione, o nel caso in cui vi sia motivo di ritenere che il mandato sia stato emesso con finalità persecutorie in relazione a razza, religione o orientamento sessuale.
In sostanza dunque occorre seguire una procedura mutuata dalla disciplina del MAE e basata sui seguenti passaggi:
- la richiesta di consegna deve essere trasmessa all’autorità del Regno Unito (normalmente in formato elettronico);
- l’autorità britannica competente emette un certificato all’esito della verifica del test di proporzionalità;
- segue l’arresto da parte delle autorità britanniche;
- si insatura così un subprocedimento finalizzato alla concessione o meno del trasferimento, che prevede l’audizione del consegnando volta ad accertare se lo stesso acconsenta al trasferimento ed, in caso contrario, la valutazione di competenza da parte del giudice nel termine di 21 giorni dall’arresto;
- all’esito la consegna sarà effettuata nel termine di 10 giorni dall’emissione dell’ordine.
4. Ordine europeo di indagine
L’assegnazione a fini di studio o di diretta trattazione di numerose procedure aventi ad oggetto la richiesta di facilitazione da parte del Desk italiano di Eurojust alla trasmissione di ordini europei di indagine provenienti dall’autorità giudiziaria italiana verso l’autorità giudiziaria straniera o viceversa ha costituito per me l’occasione per approfondire il citato istituto, espressione del principio del mutuo riconoscimento all’interno dell’Unione europea.
In forza di tale principio, infatti, per la prima volta enunciato nella sentenza della Corte di Giustizia, Cassis de Dijon, del 20 febbraio 1979, C-120/78, i beni ed i servizi prodotti all’interno di qualunque Paese dell’Unione Europea possano circolare liberamente in ciascuno Stato membro, costituendo l’Unione un unico spazio interno di libertà, sicurezza e giustizia. Tale principio ha dunque trovato negli anni applicazione anche al settore giustizia, nel quale si è progressivamente ritenuto che esso dovesse riferirsi anche ai provvedimenti giurisdizionali di natura decisoria (si veda la già menzionata Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri ad esempio per il tramite del mandato d’arresto europeo) e ordinatoria in relazione all’acquisizione di atti di indagine e prove.
Dunque tale principio è stato esteso anche al settore della cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale, nel quale si è affermata, in virtù della Direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014 relativa all'ordine europeo di indagine penale, l'istituzione di un sistema di acquisizione delle prove nelle fattispecie aventi dimensione transfrontaliera fondato sulla emissione di uno strumento – appunto l’ordine di indagine europeo – destinato a circolare liberamente fra i Paesi dell’Unione.
Esso può definirsi (art. 1 della Direttiva) come la decisione giudiziaria emessa o convalidata da un’autorità competente di uno Stato membro o Stato di emissione per compiere uno o più atti di indagine specifici in un altro Stato membro o Stato di esecuzione al fine di acquisire prove ovvero per ottenere prove già in possesso delle autorità competenti di quest’ultimo. Sullo Stato ricevente grava infatti un obbligo di esecuzione come se l’ordine fosse stato emesso dalle proprie autorità, salvi i casi di rifiuto di esecuzione giustificato:
1. da ragioni meramente formali (in realtà riconducibili alla sola incompetenza ai sensi dell’art. 9, comma 3 della direttiva, in forza del quale lo Stato di esecuzione restituisce l’OEI non emesso dalle autorità a ciò legittimate. In tutti gli altri casi in cui non siano rispettate le formalità previste dalla direttiva è consigliabile, ai sensi dell’art. 9, comma 6, il ricorso ad apposite consultazioni con qualsiasi mezzo appropriato finalizzate a dare la migliore esecuzione all’ordine);
2. da ragioni sostanziali, riferibili alle cause facoltative ma tassative di diniego di esecuzione previste dall’art. 11, rispetto alle quali tuttavia permane l’obbligo dello Stato ricevente di consultare con qualsiasi mezzo appropriato l'autorità di emissione a cui richiedere, se del caso, qualsiasi informazione necessaria a prevenire il proprio rifiuto.
Il ricorso a consultazioni fra le autorità coinvolte nell’emissione dell’OIE è raccomandato anche per il caso in cui non siano rispettati i principi di necessità, proporzionalità e non aggravamento della procedura per l’acquisizione della prova all’estero che presiedono l’emissione dell’ordine. Tali principi, infatti, pur se previsti quali condizione dell’emissione dell’OIE dall’art. 6, non integrano, in caso di loro violazione, causa legittima di diniego di esecuzione, limitandosi a dispiegare efficacia quale possibili cause di ritiro dell’ordine da parte dello Stato di emissione.
Vige dunque nell’attuale ordinamento unionale un principio di conservazione dell’efficacia dell’OIE, che si manifesta anche nella previsione, introdotta dall’art. 10, che, nel caso in cui sia richiesto un atto di indagine non disponibile o non previsto nello Stato di esecuzione, le autorità di quest’ultime debbano ricorrere all’atto di indagine alternativo previsto dal loro ordinamento interno, potendo solo, in caso di assoluta indisponibilità, limitarsi ad informare lo Stato di esecuzione che non è stato possibile fornire l’assistenza richiesta.
La peculiare efficacia dell’OIE all’interno dell’Unione Europea, dunque, sorretta dall’applicazione del principio del mutuo riconoscimento, si giustifica con la circostanza che esso possa essere emesso solo in relazione alle più gravi fattispecie penali, costituite da reati punibili nello Stato di emissione con una pena detentiva o una misura privativa della libertà personale della durata massima non inferiore a tre anni ovvero inclusi nella apposita lista contenuta nella Sezione G.3 dell’Allegato A alla direttiva, che costituisce l’esemplare standardizzato di decreto da utilizzare per la redazione di un OIE.
Tale precisazione peraltro si riferisce non soltanto al caso in cui l’ordine venga emesso nell’ambito di un procedimento penale avente ad oggetto l’accertamento di un reato incluso fra quelli sin qui menzionati; esso infatti, ai sensi dell’art. 4, lett. c, può essere anche emesso nell’ambito di procedimenti avviati in relazione all’accertamento di tali reati, quali i procedimenti di prevenzione domestici che presuppongono la consumazione di un reato, in disparte il suo accertamento.
Dunque i casi in cui l’OIE non possa essere emesso appaiono limitati ai seguenti, che tuttavia, attesa la vastità della casistica, appaiono avere carattere esemplificativo e non tassativo:
1. emissione da o verso uno Stato che non abbia recepito la direttiva (o che ne sia uscito, come il Regno Unito);
2. emissione in relazione a reati non ricadenti nella Sezione G.3 dell’Allegato A alla direttiva;
3. emissione finalizzata all’esecuzione dei seguenti provvedimenti:
- notifica degli atti del procedimento penale: essa rimane disciplinata dall’art. 5 della già richiamata Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea, firmata a Bruxelles il 29 maggio 2000, eseguita in Italia con decreto legislativo 5 aprile 2017, n. 52. L’OIE potrà essere utilizzato solo per le notifiche attinenti all’atto di indagine da compiere all’estero e funzionali alla sua esecuzione;
- scambio spontaneo di informazioni, che resta disciplinato dall’art. 7 della medesima Convenzione;
- sequestri finalizzati alla confisca e provvedimenti di confisca, disciplinati dal Regolamento (UE) 2018/1805 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018 relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca;
- istituzione delle squadre investigative comuni per l’acquisizione di prove nell’ambito delle stesse che trovano regolamentazione specifica nel decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 34 attuativo della Decisione quadro 2002/465/GAI;
- scambio di informazioni estratte dal casellario giudiziale, rispetto al quale continuano a trovare applicazione i decreti legislativi 12 maggio 2016 n. 74 e n. 75, attuativi della Decisione Quadro 2009/315/GAI, relativa all’organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziale;
- denuncia di trasferimento dei procedimenti penali, di cui all’art. 21 della Convenzione di assistenza giudiziaria in materia penale del Consiglio d’Europa, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959.
Una disciplina specifica è infine prevista dalla direttiva per l’esecuzione degli OIE finalizzati all’esecuzione di:
- trasferimento temporaneo nello Stato di emissione di persone detenute ai fini di un atto d'indagine;
- audizione mediante videoconferenza o altra trasmissione audiovisiva;
- audizione mediante teleconferenza;
- informazioni relative a conti bancari e altri conti finanziari;
- atti di indagine che implicano l'acquisizione di elementi di prova in tempo reale, in modo continuo e per un periodo determinato;
- operazioni di infiltrazione;
mentre una peculiare disciplina è prevista per l’emissione degli OIE avente ad oggetto l’esecuzione di operazioni di intercettazione.
La direttiva ha trovato attuazione in Italia con il decreto legislativo 21 giugno 2017, n. 108 recante norme di attuazione della direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa all'ordine europeo di indagine penale, che ha opportunamente distinto la procedura passiva di ricezione dell’OIE trasmesso da altra autorità di emissione da quella attiva di esecuzione e trasmissione di un OIE ad altro Stato membro.
Con riferimento alla procedura passiva, il decreto ha individuato nel Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto nel quale devono essere compiuti gli atti richiesti (o del distretto nel quale deve compiersi il maggior numero di atti richiesti, o che ha eseguito ordini di cui il successivo costituisca completamento ed integrazione) l’autorità deputata al riconoscimento, con decreto motivato, dell’ordine di indagine nel termine di trenta giorni dalla sua ricezione o entro il diverso termine indicato dall’autorità di emissione, e comunque non oltre sessanta giorni (mentre un termine di cinque giorni è imposto per la trasmissione della ricevuta di ricezione dell’ordine). La trasmissione della copia dell’OIE al Ministero della Giustizia, prevista dal decreto, non ha dunque finalità esecutive ma di mera verifica statistica del flusso di richieste provenienti dall’estero.
Nell’intento di contemperare le esigenze del rispetto della riservatezza delle attività richieste con quelle di coordinamento interno in materie particolarmente sensibili il decreto ha altresì previsto che della ricezione dell’OIE il Procuratore della Repubblica informi il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo ai fini del coordinamento investigativo in caso di indagini relative ai delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale.
Con riferimento alla procedura attiva, per la quale restano salvi gli obblighi di coordinamento con il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, il decreto ha inteso chiarire:
- il contenuto dell’OIE (artt. 30 e 31), che, fra le altre cose, impone una sintetica descrizione del fatto per cui si procede e dei soggetti a carico dei quali si procede, non già al fine di consentire all’autorità di esecuzione una (inammissibile) delibazione sulla richiesta avanzata (incompatibile con l’accoglimento del principio del mutuo riconoscimento) bensì al fine di contestualizzare meglio l’attività di indagine da svolgere, a cui sono ammessi a partecipare, ove ne abbiano fatto richiesta, le autorità dello Stato di emissione;
- le modalità della sua trasmissione idonee a garantire l’autenticità della provenienza, anche con l'ausilio dell’autorità centrale se necessario, rappresentata dal Ministero. Tuttavia l’autorità di emissione può ricorrere anche al sistema di telecomunicazione della Rete Giudiziaria Europea, alla cui rete di Punti di Contatto (accessibile al sito https://www.ejn-crimjust.europa.eu/ejn2021/Home/EN ) è possibile chiedere assistenza anche per l’individuazione dell’autorità di esecuzione. Sul sito della Rete Giudiziaria Europea sono altresì disponibili i modelli (in formato editabile) di Allegato A, B, e C, contenenti rispettivamente l’ordine di indagine, la conferma di ricezione e la notifica di intercettazioni non necessitanti di assistenza tecnica.
Attività di facilitazione alla trasmissione e assistenza all’esecuzione è rimessa anche ad Eurojust, che ha messo a disposizione sul proprio sito una Nota congiunta di Eurojust e della Rete giudiziaria europea sull'applicazione pratica dell'ordine europeo d'indagine.
Particolarmente rilevante nella prassi è infine la previsione contenuta nell’art. 32, comma 4 del decreto, che impone la trasmissione dell’OIE nella lingua ufficiale dello Stato di esecuzione o nella lingua appositamente indicata dall’autorità di esecuzione. La disposizione deve essere interpretata nel senso che debba essere tradotta nella lingua dello Stato di esecuzione non solo la lettera di trasmissione, bensì l’intero ordine. Esso dunque andrà individuato in quello disponibile nella lingua del Paese di esecuzione fra quelli previsti nell’apposita sezione del sito della Rete Giudiziaria Europea, del quale sarà poi cura dell’autorità di emissione riempire – sempre nella lingua dello Stato di esecuzione – le parti motive, con l’indicazione, in particolare, della prova richiesta e delle specifiche modalità della sua esecuzione.
Il rispetto delle formalità previste dal legislatore consentirà dunque la piena utilizzabilità degli atti di indagine e delle prove acquisite all’estero in virtù di un OIE redatto conformemente al decreto legislativo, ai sensi dell’art. 36 del medesimo.
Merita evidenziare come, avendo assistito gli assegnatari nella gestione di procedure aperte presso Eurojust per la facilitazione nella trasmissione ovvero per la esecuzione di OIE, io stessa sono stata incentivata a redigerne alcuni, in qualità di Pubblico Ministero nazionale, finalizzati alla richiesta di acquisizione di chat criptate attraverso il sistema SkyECC, che sono stati trasmessi per l’esecuzione alla competente autorità giudiziaria francese per il tramite di Eurojust, come da accordo assunto in seno all’Agenzia stessa e comunicato a tutti gli Uffici di Procura con apposita nota del Membro Nazionale. A tal proposito nel corso del tirocinio ho anche approfondito la tematica dell’utilizzabilità delle prove in tal modo assunte, anche grazie alla circolazione della giurisprudenza di merito e di legittimità che il Desk italiano è impegnato a raccogliere con l’ausilio e la collaborazione delle autorità giudiziarie nazionali, alla quale è pure impegnato a riversare i frutti di tale preziosa opera di collazione e ragionato riordino.
Inoltre nel corso del tirocinio ho avuto modo di affrontare, sia in virtù della partecipazione ad un coordination meeting involgente un ufficio delegato della Procura Europea che in forza della assegnazione di una procedura promossa da altro Procuratore Delegato Europeo, la questione relativa alla possibilità di emissione da parte di tali Uffici di un ordine di indagine verso Stati europei rispettivamente aderenti e non aderenti all’istituzione dell’EPPO.
In tale ultimo caso la trasmissione di un EIO ai fini dell’esecuzione, per il tramite di Eurojust, da parte del Procuratore Europeo Delegato verso uno Stato non aderente alla cooperazione rafforzata relativa all’istituzione di EPPO, ha imposto di prendere in considerazione la nota del Consiglio dell’Unione Europea relativa alle notifiche di cui all’art. 105, comma 3 del Regolamento UE 2017/1939 istitutivo dell’EPPO, in forza delle quali l’Italia ha notificato EPPO quale autorità deputata all’applicazione, nei confronti dei Paesi non aderenti alla cooperazione rafforzata, della Direttiva 2014/41/UE in materia di ordine di indagine europeo, prevedendo dunque tale strumento normativo come applicabile pure ai rapporti fra EPPO ed i Paesi non aderenti alla cooperazione rafforzata, in seno alla quale è stata istituita la Procura Europea.
Analogamente, la medesima questione è stata affrontata in occasione dello studio di una procedura, prevenuta in occasione del turno estivo, trasmessa dall’Ufficio di un Procuratore Delegato italiano, avente ad oggetto la richiesta di facilitazione alla trasmissione di una rogatoria verso un Paese terzo. Anche in questo caso, infatti, è stato osservato come, ai sensi dell’art. 104, comma 4 del Regolamento UE 2017/1939, è stata rilasciata dall’Italia la dichiarazione concernente la notifica di EPPO quale autorità competente in relazione alla Convenzione europea di mutua assistenza in materia penale firmata a Strasburgo il 1959, di cui anche lo Stato richiesto è parte. In particolare, le richieste trasmesse o indirizzate all’EPPO sono interpretate come riferibili allo Stato membro UE di appartenenza del PED. Conseguentemente, per la richiesta di assistenza giudiziaria verso il Paese terzo in questione è stata correttamente utilizzata come base legale la Convenzione di amicizia e buon vicinato vigente fra l’Italia e lo Stato terzo.
5. Sequestro e confisca all’estero
L’assegnazione a me di un caso avente ad oggetto la facilitazione alla trasmissione di un certificato di congelamento emesso dall’autorità giudiziaria tedesca, avente ad oggetto il sequestro di un conto corrente e di un immobile localizzati in Italia, ha costituito l’occasione per approfondire l’istituto dell’esecuzione sul territorio di uno Stato membro dell’Unione Europea di un provvedimento – cautelare o definitivo, basato su una precedente statuizione di responsabilità o non conviction based – a carattere ablatorio emesso dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro.
Viene in tal caso in rilievo il Regolamento (UE) 2018/1805 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018 relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca, applicabile a tutti i Paesi dell’Unione Europea ad accezione della Danimarca e dell’Irlanda (a cui continuano ad applicarsi la Decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio del 22 luglio 2003 relativa all'esecuzione nell’Unione Europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio e la Decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio del 6 ottobre 2006 relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca). Tale Regolamento, infatti, situandosi nel solco del già citato mutual trust fra le giurisdizioni dell’Unione Europea, ha previsto il riconoscimento reciproco da parte di tutti gli Stati membri (ad eccezione dei due soli richiamati) dei provvedimenti di congelamento (da intendersi quali decreti di sequestro preventivo, essendo il sequestro con finalità probatoria disciplinato dalla Decisione quadro 2003/577/GAI) e di confisca validamente emessi dalle rispettive autorità nazionali “nel quadro di un procedimento in materia penale” e dunque non solo nell’ambito di procedimenti finalizzati all’accertamento giudiziario della responsabilità penale per specifici fatti criminosi.
Tale ultima specificazione, espressamente voluta dall’Italia nel corso delle negoziazioni per l’approvazione finale del testo, consente oggi il riconoscimento all’interno dell’Unione Europea dei provvedimenti di sequestro e confisca emessi nell’ambito dei procedimenti di prevenzione dal giudice italiano, che, invero, pur non essendo volti all’accertamento della responsabilità penale, presuppongono una modalità illecita di arricchimento che l’ordinamento non può tollerare in quanto riconducibile (salvo onere della prova contraria) ad una accumulazione illecita di ricchezza discendente da attività delittuose.
Onere dell’autorità richiedente l’esecuzione del provvedimento ablatorio all’estero sarà dunque la compilazione di un certificato di congelamento o confisca da trasmettere all’autorità centrale designata, da individuarsi, in Italia, nel Ministero della Giustizia, che tuttavia, in forza di apposita Intesa Operativa all’esito dell’incontro tra la Direzione Generale per la Cooperazione Internazionale del Ministero della Giustizia ed il Desk italiano di Eurojust ai fini dell’applicazione del Regolamento EU 1805/18, può avvalersi di quest’ultima Agenzia quale snodo di ricezione dei certificati ove la loro esecuzione sia connessa all’esecuzione di misure cautelari personali o di attività di indagine quali perquisizioni, audizione di testimoni, intercettazioni.
Merita inoltre di essere segnalata sul tema la Circolare in tema di attuazione del Regolamento (UE) 2018/1805 relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e confisca del Ministero della Giustizia, che, nel ricostruire il contenuto del Regolamento, ne ha chiarito le modalità di esecuzione in Italia, costituendo un agevole strumento di consultazione per la soluzione delle diverse questioni applicative sorte in relazione al funzionamento pratico del nuovo istituto.
6. Conflitto di giurisdizioni
Nel corso del tirocinio, avendo affiancato il collega assegnatario di una procedura relativa ad un grave delitto di sangue perseguito contemporaneamente dalle autorità dello Stato di origine della vittima e da quelle dello Stato ove il fatto è avvenuto, in relazione al quale ha anche avuto modo di partecipare ad un coordination meeting alla presenza di rappresentanti della Procura Generale presso la Corte d’Appello di Roma, ha avuto l’opportunità di affrontare la complessa questione del conflitto di giurisdizioni, che origina dal principio del divieto di bis in idem stabilito dall’art. 54 dell’Accordo di Schengen, in forza del quale “una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita.”
I contenuti dell’Accordo di Schengen costituiscono infatti a pieno titolo diritto dell’Unione Europea a seguito del Protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione Europea, allegato al Trattato di Amsterdam.
Il principio, che impone di scongiurare il verificarsi di una doppia incriminazione e di una doppia condanna per il medesimo fatto di reato, è posto a salvaguardia della libertà dell’individuo dinanzi all’autorità della res iudicata all’esito di un giusto processo svoltosi secondo la legge (fair trial, presidiato dal combinato disposto degli artt. 4 del Protocollo 7 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, 50 della carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e 6, comma 2 del Trattato sull’Unione Europea) nonché a garanzia del principio di unitarietà dell’ordinamento unionale avverso il pericolo di giudicati confliggenti (secondo il dovere di loyal cooperation imposto dall’art. 4, comma 3 del Trattato dell’Unione Europea ai singoli Stati Membri).
L’importanza del principio dunque è tale che l’Unione Europea ha inteso assicurarne non solo la protezione ma anche la prevenzione attraverso la predisposizione di adeguati strumenti volti a consentire una gestione dei procedimenti suscettibili di esitare in una doppia condanna per i medesimi fatti tale da evitare questo rischio.
Si definiscono dunque procedimenti paralleli quelli che, versando nella fase procedimentale o in quella processuale, siano condotti in due o più Stati Membri in relazione ai medesimi fatti nei quali sia implicata la medesima persona (art. 3, lett. a della Decisione Quadro 2009/948/GAI del Consiglio del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali).
L’eventualità che essi possano sfociare in un bis in idem è dunque astrattamente elevata, ma è di fatto preclusa dalla previsione del ricorso agli strumenti di prevenzione e risoluzione indicati dalla menzionata Decisione Quadro 2009/948/GAI del Consiglio del 30 novembre 2009, sintetizzabili nell’auspicio, espresso dal suo quarto considerando, che abbiano luogo “consultazioni dirette tra le autorità competenti degli Stati membri allo scopo di raggiungere un consenso su una soluzione efficace volta ad evitare le conseguenze negative derivanti da procedimenti penali paralleli ed evitare perdite di tempo e risorse delle autorità competenti interessate.” Obiettivo delle consultazioni dovrebbe infatti essere la concentrazione dei procedimenti penali in un unico Stato membro, ad esempio mediante il trasferimento del procedimento penale dinanzi alla giurisdizione dello Stato che, in virtù degli enunciati criteri, come di volta in volta declinati, appaia prevalente.
Ove tale consenso non venga raggiunto dagli Stati interessati, potrebbe farsi ricorso ad Eurojust, che, ai sensi dell’art. 4 comma 4 del Regolamento (UE) 2018/1727 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018, che istituisce l’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale (Eurojust) e che sostituisce e abroga la decisione 2002/187/GAI del Consiglio, in caso di disaccordo fra le parti coinvolte, può formulare un parere non vincolante circa lo Stato presso il quale debba concentrarsi la giurisdizione.
La circostanza che l’individuazione della giurisdizione prevalente sia raccomandata da Eurojust, opportunamente informato ai sensi dell’art. 21, comma 6, lett. a del suo Regolamento istitutivo, in virtù del quale le autorità nazionali competenti informano i rispettivi membri nazionali in ordine ai casi in cui sono sorti o possono sorgere conflitti di giurisdizione, trova giustificazione nel principio, espresso all’undicesimo considerando della Decisione quadro, secondo cui nessuno Stato membro dovrebbe essere obbligato a rinunciare o a esercitare la competenza giurisdizionale contro la sua volontà. Finché non sia raggiunto un consenso sulla concentrazione dei procedimenti penali, le autorità competenti degli Stati membri dovrebbero poter proseguire un procedimento penale per qualsiasi reato che rientri nella loro giurisdizione nazionale, in osservanza del principio di obbligatorietà dell’azione penale e del divieto di denegata giustizia.
Nondimeno, esse dovrebbero sempre osservare, non appena abbiano fondato motivo di ritenere che si stia conducendo un procedimento penale parallelo in un altro Stato membro per gli stessi fatti in cui è implicata la stessa persona e che potrebbe dar luogo ad una pronuncia definitiva in due o più Stati membri, l’obbligo, sancito dall’art. 5 della Decisione quadro, di prendere contatti con l’autorità competente dell’altro Stato membro, a cui farebbe da contraltare l’obbligo, per quest’ultima, di rispondere alla richiesta presentata, ai sensi dell’art. 6. Il contatto diretto tra le autorità individuate dai singoli Stati membri, in sede di esecuzione, come competenti a condurre le consultazioni finalizzate alla prevenzione e risoluzione dei conflitti di giurisdizione dovrebbe essere il principio informatore della cooperazione istituita dalla Decisione quadro, che assiste gli Stati membri nell’individuazione dei criteri a cui tali autorità dovrebbero ispirarsi.
Essi sono infatti tratti dagli orientamenti pubblicati nella Relazione annuale 2003 di Eurojust ed elaborati ad uso degli operatori del settore mediante la pubblicazione di apposite Linee Guida per decidere quale giurisdizione dovrebbe procedere, come da ultimo aggiornate.
Fra i criteri suggeriti, si segnalano quello del luogo in cui si è verificato prevalentemente il fatto costituente reato, il luogo in cui si è subita la maggior parte dei danni, il luogo in cui si trova l’indagato o l’imputato e la possibilità di assicurare la sua consegna o estradizione in altre giurisdizioni, la cittadinanza o la residenza dell’indagato o dell’imputato, gli interessi rilevanti delle vittime e dei testimoni, l’ammissibilità degli elementi probatori o possibili ritardi.
La decisione quadro ha trovato attuazione in Italia con il decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 29, che in realtà, lungi dal limitarsi a recepire nell’ordinamento italiano una fonte di diritto dell’Unione Europea, ha contribuito all’attuazione del principio del mutuo riconoscimento nel settore della cooperazione giudiziaria penale. Esso merita infatti di essere letto alla luce dell’ulteriore decreto legislativo 7 settembre 2010 n. 161, che, nel dare attuazione alla Decisione quadro 2008/909/GAI, relativa al reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale ai fini della loro esecuzione dell’Unione Europea, ha consentito di superare il presupposto di cui all’art. 737 c.p.p. dell’impossibilità del riconoscimento della sentenza straniera quando risulti un procedimento in corso in Italia per gli stessi fatti contro la stessa persona. Il decreto n. 29/2016 ha inteso infatti risolvere i casi di procedimenti paralleli mediante una soluzione quanto più concordata della litispendenza internazionale.
Essa si basa dunque sui seguenti principi, rispetto ai quali vengono di volta in volta in esame distinte autorità competenti (autorità procedente o Procura Generale presso la Corte di Appello):
1. obbligo di informazione: l’autorità giudiziaria italiana procedente che abbia fondato motivo di ritenere la pendenza, presso un altro Stato membro o presso altro Stato individuato mediante il ricorso alla Rete Giudiziaria Europea, di un procedimento relativo ai medesimi fatti ed alle medesime persone è tenta a prendere contatti in forma scritta con l’autorità straniera procedente, volti al duplice obiettivo di:
- riscontrare l’effettiva pendenza e, in caso affermativo;
- avviare le consultazioni finalizzate all’eventuale concentrazione dei procedimenti penali in un unico Stato membro.
L’autorità contattata è gravata dall’obbligo di dare risposta entro il termine o senza ritardo, in ogni caso con urgenza qualora l’indagato o imputato per cui si procede siano detenuti;
2. obbligo di risposta: l’autorità contattata è tenuta a:
- dare risposta;
- esprimersi entro il termine o senza ritardo, in ogni caso con urgenza qualora l’indagato o imputato per cui si procede siano detenuti.
- fornire tutte le informazioni necessarie a individuare l’oggetto e lo stato del procedimento;
3. obbligo di consultazioni: accertata l’esistenza di procedimenti paralleli, l’autorità giudiziaria contattante prosegue il procedimento, che non è soggetto a sospensione se non relativamente alla pronuncia della sentenza. Essa, tuttavia, rimette la questione della litispendenza internazionale al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello nel cui distretto ha sede la prima (o l’autorità contattata, nel caso in cui l’autorità giudiziaria italiana sia stata investita di una richiesta di informazioni dall’autorità di altro Stato membro). A sua volta il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello informa il Ministero della Giustizia, che entro dieci giorni può opporsi alla concentrazione dei procedimenti qualora essa violi la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato. In caso contrario il Procuratore generale può proseguire le consultazioni con la corrispondente autorità straniera, ispirandosi ai criteri già enunciati ed eventualmente scambiando con quest’ultima informazioni sugli atti rilevanti compiuti nel corso del processo, a meno che ciò comprometta interessi nazionali essenziali in materia di sicurezza o la sicurezza di una persona;
4. facoltà di cooperazione con Eurojust: sebbene, ai sensi del citato Regolamento istitutivo, le autorità nazionali siano obbligate a dare comunicazione ai rispettivi Membri Nazionali presso Eurojust ogniqualvolta possano insorgere conflitti di giurisdizione, esse in ogni momento possono – ma non sono obbligate a – sottoporre la questione all’Agenzia.
All’esito della procedura le parti possono convenire la concentrazione dei procedimenti, che verrà comunicata al Ministro della Giustizia e determinerà la traslatio iudicii verso il foro ritenuto più appropriato, le cui autorità dovranno computare l’eventuale periodo di custodia già patito ai fini del calcolo dei termini di durata massima della custodia cautelare nonché dell’eventuale pena espiata senza titolo e potranno utilizzare gli atti probatori eventualmente già compiuti, se assunti non in dispregio dei divieti interni. La concentrazione dei procedimenti presso altra autorità determinerà la sopravvenienza di una causa di improcedibilità del procedimento trasferito all’estero.
Nel caso in cui non venga raggiunto un accordo, ciascun processo o procedimento seguirà il suo corso, almeno sino alla pronuncia di una sentenza passata in giudicato in relazione al medesimo fatto (come definito da copiosa giurisprudenza, costituzionale – ad esempio Corte Costit. n. 102/2016 – e dell’Unione Europea – ad esempio CGUE, Grande Sezione, 29 giugno 2016, Kossowski, C-486/149) che obbligherà il giudice a pronunciare sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento ai sensi dell’art. 649 c.p.p..
7. Reati informatici e/o commessi con mezzi informatici
Tra le attività di carattere compilativo da me svolte nel corso del tirocinio di essere segnalato quello svolto in relazione alla redazione di una sintesi, ad uso degli Uffici di Procura del territorio nazionale, degli esiti raggiunti dall’EJCN (European Judicial Cybercrime Network), che ha lanciato nella primavera del 2022 la settima edizione del Cybercrime Judicial Monitor (in seguito CJM), la pubblicazione annuale destinata a magistrati e forze dell’ordine impegnati nella lotta ai reati informatici e ai reati commessi con mezzi informatici.
Il documento consta di quattro sezioni, di cui la prima dedicata alla rassegna delle principali novità legislative registrate nel 2021 in materia di criminalità informatica e prova digitale.
In proposito merita segnalare l’adozione, da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, del Secondo Protocollo Addizionale alla Convenzione di Budapest sulla Criminalità Informatica del 23.11.2021, che è stato sottoscritto il 17.11.2021 ed aperto alla firma degli Stati dal 12.5.2022. Il Protocollo costituirà, per gli Stati che lo ratificheranno, la base legale sulla quale fondare richieste di assistenza volte all’acquisizione dei dati di registrazione direttamente verso i service provider localizzati presso ordinamenti stranieri nonché forme di cooperazione dirette da Stato a Stato, specie a fronte di situazioni di emergenza. Esso, inoltre, estenderà specificamente alle indagini in materia di criminalità informatica il ricorso a strumenti di cooperazione quali la videoconferenza e le squadre investigative comuni ed è dunque auspicabile che, nell’attuazione di tali strategie, le autorità nazionali possano avvalersi della lunga e trasversale esperienza maturata nella gestione di tali strumenti di cooperazione da parte di Eurojust a fronte delle richieste di assistenza sinora avanzate nei più diversificati settori di indagine.
Si segnala inoltre l’adozione, da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio, di una proposta di regolamento per l’armonizzazione delle legislazioni in materia di intelligenza artificiale nonché del regolamento (EU) 2021/1232 del 14.7.2021, che consentirà provvisoriamente ai fornitori di servizi di comunicazione destinati alla diffusione generalizzata (come la posta elettronica o la messaggeria istantanea), di derogare ad alcune disposizioni contenute nella direttiva 2022/58/EC al fine di continuare a monitorare, segnalare e rimuovere, sino al 3.8.2021, materiale digitale a carattere pedopornografico. Sono tuttavia in corso i lavori finalizzati all’adozione di una normativa di settore a carattere permanente.
Sul piano nazionale si segnala l’adozione, da parte della Francia, della legge n. 478/2021, che ha specificamente introdotto la fattispecie di sextortion, nonché l’adozione, da parte dell’Irlanda, di un emendamento al Money Laudering and Terrorism Financing Act, che per la prima volta qualifica i fornitori di criptovalute come istituzioni finanziarie, come tali soggetti agli obblighi (primo fra tutti quello di registrazione) dinanzi all’authority di settore, costituita dalla Banca Centrale irlandese. Anche sotto tale aspetto, dunque, merita di essere raccomandato un approccio investigativo particolarmente attento agli aspetti di transnazionalità della fattispecie, che possa condurre a ritenere configurabile il reato di abusivo esercizio dell’attività finanziaria, per la parte di condotta consumata in Irlanda, da parte di fornitori di servizi di cripovaluta che, per la restante parte delle condotte, ad esempio a carattere associativo, siano destinati ad essere giudicati in Italia in base alla legge italiana. L’expertise maturata da Eurojust nel supporto alle autorità nazionali impegnate in indagini connesse nonché nella gestione degli eventuali conflitti di giurisdizione che possano derivarne rende prevedibile anche in relazione a tale materia un rinnovato ricorso all’assistenza giudiziaria fruibile per il tramite dell’Agenzia.
Sul piano della legislazione domestica si segnala inoltre l’adozione, da parte della Repubblica Slovacca, la legge n. 236/2021 di introduzione del reato di molestia informatica nonché della legge n. 312/2020, che ha inserito la definizione di criptovaluta (quale mezzo di pagamento) nel codice penale ed ha previsto, oltre all’ordine di conservazione e disvelamento dei dati, anche quello di sequestro, da intendersi quale provvedimento del Pubblico Ministero o del giudice avente ad oggetto l’ablazione (sotto forma di consegna della password e di ogni altro codice di accesso) dei dati informatici integranti moneta elettronica che abbiano costituito strumento o profitto del reato. Dunque le autorità nazionali competenti sono incentivate a considerare, in presenza dei presupposti di legge, l’emissione dei corrispondenti provvedimenti interni, che potranno essere portati ad esecuzione nella Repubblica Slovacca (quale Stato nel quale si trovi il server che fornisca il servizio di criptovaluta), anche per il tramite di Eurojust.
La seconda sezione del CJM è riservata all’esame di alcuni casi giurisprudenziali, fra cui si segnala la sentenza della Corte d’Appello irlandese (2021) IECA 45 in materia di agenti sotto copertura, da ritenersi scriminati nella misura in cui la loro attività non si sia limitata ad una sollecitazione o ad un incoraggiamento a commettere fatti integranti reati, preannunciati o avviati anche qualora non abbiano ancora integrato la soglia del tentativo punibile, ma si sia estesa al punto da configurare un vero e proprio entrapment, ossia una induzione a commettere reati, propria dell’agent provocateur.
Ancora, si segnala la pronuncia della Corte Suprema spagnola STS n. 395/2021, che ha ammesso la configurabilità del concorso di reati anche in materia di produzione di materiale pedopornografico, anche se involgente il medesimo minore, ove reiterata in distinte condotte distanziate nel tempo, nonché la pronuncia della Corte Distrettuale di Oslo del 2.11.2021, che ha ammesso (seppure con pronuncia non ancora divenuta irrevocabile) l’utilizzabilità processuale delle chat scambiate sulla piattaforma Encrochat.
La terza sezione del CJM presenta alcune sentenze in materia di trattamento dei dati personali rese dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, fra cui si segnala quella pubblicata nel caso C-746/18 “Prokuratuur”, che ha ribadito l’incompatibilità con il diritto dell’Unione Europea (nella specie, l’art. 15(1) della Direttiva 2002/58/EC) della legislazione nazionale che affidi all’ufficio del Pubblico Ministero il potere di autorizzare l’accesso ai dati di traffico nel corso di un procedimento penale.
Da ultimo la quarta sezione del CJM affronta il tema delle indagini in materia di attacco informatico mediante virus o ransomware, individuando quali cruciali strumenti di contrasto la denuncia delle presunte persone offese, la conservazione delle prove digitali e l’investigazione da parte di personale specializzato della polizia giudiziaria.
La sinergia tra questi fattori è tuttavia spesso inficiata dalla sussistenza di confliggenti interessi, dal momento che le vittime aspirano prevalentemente alla rapida reintegrazione dello strumento informatico utilizzato, anche a costo della dispersione delle tracce del reato commesso su di esso, spesso anche al fine di prevenire il danno reputazionale subito, mentre le autorità preposte alla repressione penale necessitano della cristallizzazione del quadro investigativo, anche ove questa richieda la disconnessione del sistema informatico oggetto di attacco.
Dalla rassegna delle legislazioni degli Stati coinvolti nella redazione del report è emerso che nessuna di esse si sia dotata, in materia di ransomware, di disposizioni sostanziali ad hoc (avvalendosi invece ciascuna delle fattispecie già esistenti, riportate nel quadro sinottico presente nel CJM), mentre dal punto di vista procedurale i diversi ordinamenti contemplano disposizioni a carattere generale, che tuttavia andrebbero implementate mediante la diffusione di buone prassi.
Fra queste ultime appaiono particolarmente virtuose quelle che, sulla falsariga della disciplina in materia di segnalazioni antiriciclaggio, prevedano obblighi di denuncia in capo agli operatori del settore, che tuttavia andrebbero contemperate con la necessaria preservazione del segreto investigativo, che impedisce uno scambio sic et simpliciter di informazioni fra autorità pubbliche (organi di polizia giudiziaria e magistratura) e private (utenti o fornitori di servizi informatici esposti al ransomware).
Da ultimo si osserva come il carattere transnazionale di tali attacchi informatici suggerisca una immediata centralizzazione dell’attività investigativa (come correttamente prevedono oggi le norme in materia di reati informatici di competenza distrettuale) nonché la creazione di specifici punti di contatto per lo svolgimento delle indagini, che agevolerebbe anche la definizione di modelli di denuncia quanto più standardizzati, attesa la necessità di acquisizione immediata di informazioni tecniche e puntuali.
Anche sotto questo aspetto dunque l’intervento di Eurojust, teso all’assistenza e al raccordo fra le diverse autorità nazionali impegnate nel contrasto a fenomeni criminali ormai globalizzati, specie a seguito dell’insorgere della crisi pandemica, che ha incrementato il ricorso a forme di comunicazione virtuali, appare quanto mai sfidante ed auspicabile.
8. Conclusioni
La rassegna degli istituti sin qui svolta ha consentito di individuare solo alcune delle tematiche afferenti la cooperazione internazionale con le quali ho avuto modo di confrontarmi nel corso del tirocinio, durante il quale tuttavia molteplici sono state le sollecitazioni provenienti dal Membro Nazionale dott. Spiezia alla riflessione e all’approfondimento.
Basti a tal fine menzionare i numerosi report a me sottoposti, provenienti sia da Eurojust (e.g. Eurojust Report on Money Laundering del 29.04.2022, Joint report of Eurojust and the European Judicial Network on the extradition of EU citizens to third countries del novembre 2020) che da Europol (e.g. Online Jihadist propaganda: 2021 in review, European Unione Terroism situation and trend report 2022), nonché la condivisione, per il tramite dell’accesso alla posta istituzionale di Eurojust, delle iniziative disseminate dal magistrato di collegamento ucraino in relazione alla gravissima crisi politica ed umanitaria determinatasi a seguito dell’aggressione russa.
Fra queste ultime merita in particolare segnalare la costituzione, presso Eurojust, di una squadra investigativa comune composta, oltre che dalle competenti autorità dell’Ucraina, della Lituania, della Polonia, della Lettonia, dell’Estonia e della Slovacchia, anche dall’Ufficio del Pubblico Ministero presso la Corte Penale Internazionale e finalizzata alla repressione dei crimini internazionali asseritamente commessi sul suolo ucraino, che ha comportato la riflessione sui temi di grande attualità quale quello della formazione della prova digitale e della sua catalogazione e conservazione.
Tale iniziativa mi ha inoltre motivato ad affrontare la tematica delle modalità di repressione dei cosiddetti crimina iuris gentium, resa vieppiù attuale dalla costituzione, con decreto ministeriale del 22 marzo 2022, della Commissione Palazzo e Pocar, finalizzata all’esame delle iniziative già proposte per la compiuta attuazione dello Statuto di Roma e alla stesura di un Codice dei crimini interazionali che ne assicuri il compiuto adattamento, i cui lavori hanno condotto, il 20 giugno 2022, alla redazione di una Relazione finale che pure ha costituito oggetto di studio da parte mia.
Conclusivamente dunque il completamento del tirocinio preso il Desk italiano “Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”, sia per la pregevolezza delle tematiche affrontate, di grande impatto non solo giuridico ma anche storico, sia per lo spessore umano e professionale degli operatori incontrati, che ha avuto spesso modo di manifestarsi anche nel corso di occasioni conviviali estranee alle sedi prettamente istituzionali e lavorative, alle quali sono stata sempre calorosamente invitata a partecipare, ha costituito per me la compiuta realizzazione di un’esperienza formativa di grande valore ed estrema preziosità, in quanto in grado di apportare al mio bagaglio umano e specialistico la rinnovata consapevolezza che le società umane, tanto più ove basate sul diritto, debbano fondarsi sulla solidarietà reciproca, in ossequio al principio, al quale ambisco ad ispirarmi nello svolgimento della mia stessa quotidiana attività lavorativa, secondo cui un giudice senza umanità è un giudice senza giustizia[5].
[1] Segnatamente DEL MONTE, M. (2021), Understanding Eurojust: The European Union Agency for criminal justice cooperation, in EPRS – European Parliamentary Research Service, PE 690.615, pp. 1-12, SALAZAR, L. (2019), La riforma di Eurojust e i suoi riflessi sull’ordinamento italiano, in Diritto penale contemporaneo, 1/2019, pp. 43-55, MANGENOT, M. (2009), European games and institutional innovation: the making of Eurojust (1996-2004), in GSPE Working Papers, 5/2009, pp. 1-16.
[2] In particolare in materia di terrorismo e di ordine di congelamento e confisca all’estero.
[3] In particolare la versione, aggiornata al dicembre 2021, della Guida Operativa alle squadre investigative comuni (JITs Practical Guide) realizzata dall’EU Network of National Experts on joint Investigation Teams (JITs network).
[4] Quali URBINATI, F. (2021), La riforma del mandato d’arresto europeo, in Archivio Penale, 1/2021, pp. 1-26 e PICCIOTTI, V. (2021), La riforma del mandato d’arresto europeo. Note di sintesi a margine del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, in Legislazione penale, ISSN:2421-552X, pp. 1-40, BARGIS, M. (2020), Estradizione e cittadino di uno Stato dell’Associazione Europea di Libero Scambio (AELS): la Corte di Giustizia applica per analogia la sentenza Petruhhin, in Sistema Penale, luglio 2020, MAUGERI, A. M. (2019), Il Regolamento (UE) 2018/1805 per il reciproco riconoscimento dei provvedimenti di congelamento e di confisca: una pietra angolare per la cooperazione e l’efficienza, in Diritto penale contemporaneo, disponibile sul sito https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/6411-il-regolamento-ue-20181805-per-il-reciproco-riconoscimento-dei-provvedimenti-di-congelamento-e-di-c, pp. 1-40, DE AMICIS, G. (2019), Lineamenti della riforma del Libro XI del Codice di procedura penale, in Diritto Penale Contemporaneo, disponibile sul sito https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/6637-lineamenti-della-riforma-del-libro-xi-del-codice-di-procedura-penale, pp. 1-29, Modifica del libro XI del codice di procedura penale n materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, Atto del Governo n. 434, Schede di lettura, Servizio Studi della Camera dei Deputati, settembre 2017.
[5] Libero BOVIO, Napoli 8.6.1883-26.5.1942.