Direttivi e semidirettivi, nomine e conferme. La parola al Consiglio giudiziario
Intervista di Federica Salvatore e Riccardo Ionta a Riccardo Ferrante, Cataldo Intrieri e Giuseppe Sepe
Un professore universitario, un avvocato e un magistrato a confronto sulle rispettive esperienze e visioni relative agli incarichi dirigenziali in magistratura e al ruolo del Consiglio giudiziario. È un sommarsi di letture differenti, dove le voci laiche fanno da contrappunto ai toni del togato.
Le sembra che i Consigli giudiziari, dovendo valutare gli aspiranti a incarichi direttivi e semidirettivi, diano conto a sufficienza nei pareri di avere verificato specificamente i loro atti organizzativi del quadriennio precedente, l’esito di questi e le valutazioni di professionalità che i candidati hanno espresso per i magistrati del loro ufficio?
Ferrante In quanto componente laico non ho modo di esprimermi su questo punto con riferimento specifico all’attività del CG di cui faccio parte. Non so quanto la “cultura della valutazione” si sia poi virtuosamente concretizzata. Detto in soldoni, e per il caso specifico, quanti magistrati hanno subito effettivamente una valutazione di professionalità negativa? Sul piano generale, per converso, credo sia un tema assai delicato per tutti i rami della PA e non solo. La “valutazione” è diventata una sorta di totem contemporaneo col che spesso si agisce non tanto per svolgere le proprie funzioni secondo scienza e coscienza, ma per ottenere una valutazione positiva, rimodellando strumentalmente l’esercizio della propria funzione. Questo si traduce nei fatti in una procedimentalizzazione estrema, nella ossessione di avere le carte in ordine al di là dei reali profili di merito. Tornando ai magistrati, la delicatezza del loro compito istituzionale è tale che questo tema diventa appunto un problema di difficilissima risoluzione, come anche il dibattito di queste ultime settimane ci conferma.
Intrieri Premetto doverosamente che io non ho nessuna esperienza interna da far valere sicché il mio è il parere o meglio l’impressione di un semplice fruitore di ciò che i CG producono. L’impressione generale è che non vi siano mai nell’ambiente della magistratura critiche e censure ufficiali a condotte e comportamenti inadeguati. Non di rado si segnalano alle proprie associazioni o all’ordine comportamenti censurabili di magistrati. A mia memoria non ricordo alcun riscontro ufficiale a tali denunce, Difficile pensare che vi siano nelle valutazioni dei capi degli uffici giudiziari giudizi realmente adeguati al valore dei collaboratori. Ciò che sta emergendo dalle Procure di Milano e Roma, vedasi il processo perugino a Luca Palamara e Stefano Fava, fa emergere situazioni di grave dissidio interno di cui non vi è traccia ufficiale oltre ciò che le inchieste hanno appurato.
Sepe Ho partecipato al Consiglio Giudiziario nel quadriennio 2016-2020 nel distretto di Napoli, che gestisce circa 1000 magistrati. A mio avviso il CG è certamente in grado di valutare tutto ciò che è agli atti del fascicolo di ciascun aspirante. Il punto è allora se le fonti valutative, che ruotano principalmente attorno al rapporto del dirigente – non di rado “appiattito” sull’autorelazione – sia sufficiente a svolgere una valutazione seria e attenta delle capacità organizzative del candidato. Certamente è possibile enucleare una serie di indicatori rivelatori delle attitudini organizzative dell’aspirante e fornire, così, un giudizio individuale motivato. In molti casi, tuttavia, si valutano domande presentate da magistrati anche esperti, ma pressoché privi di precedenti esperienze organizzative in senso stretto sicché le attitudini organizzative si traggono dal positivo esercizio della giurisdizione e dalla proficua gestione del proprio ruolo: desunta dalle statistiche comparate, dalla trattazione di processi di particolare complessità, dallo svolgimento di funzioni di presidenza dei collegi, ecc. Si tenga conto che il parere del CG non è comparativo ma individuale, giacché la comparazione avviene innanzi al Csm. Ne segue che la valutazione del CG si svolge senza particolari “tensioni” perché manca il momento del “confronto” tra i vari curricula.
Si discute del ruolo marginale attualmente assegnato nell’ambito dei Consigli giudiziari ai componenti non togati. Le risulta che a oggi i Consigli dell’ordine forniscano un apporto effettivo in ordine alle segnalazioni riguardanti i dirigenti degli uffici?
Ferrante Non mi è capitato di verificare particolari prese di posizione dei Consigli dell’ordine del nostro Distretto. D’altra parte, devo dare atto che, per lo meno a quanto ho potuto verificare personalmente, non si sono mai verificate durante il mio mandato – e fino ad ora – situazioni di particolare criticità da richiedere prese di posizione formali. Qualora vi siano problemi di portata generale, in un’ottica di “vigilanza” sull’andamento degli uffici, la tendenza credo sia rivolgersi direttamente al Ministero competente, alzando il livello politico dell’istanza o forse non riconoscendo particolare competenze/autorità al CG.
Intrieri L’impressione è che la scelta dei membri non togati sia su base meramente fiduciaria dei COA: ho proposto vere e proprie candidature con valutazioni comparate ed ufficiali. Il meccanismo attuale di designazione non serve a nulla.
Sepe Durante l’intero quadriennio della consiliatura partenopea 2016-2020 non ricordo di alcuna segnalazione pervenuta dal Consiglio dell’ordine degli avvocati riguardante magistrati del distretto. Allo stato, quindi, il ruolo dell’avvocatura nella valutazione dei dirigenti (in sede di nomina così come di conferma) è alquanto marginale mentre sarebbe auspicabile un maggiore più incisivo contributo nell’evidenziare e porre in luce eventuali criticità, ove esistenti.
Da sempre si dibatte sull’ampliamento delle fonti di conoscenza e lo stesso progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario prevede la partecipazione attiva dei componenti laici alle sedute sulle valutazioni di professionalità. In quale direzione il loro apporto può essere utile?
Ferrante Naturalmente la mia risposta potrebbe essere condizionata dal fatto di essere un componente laico, ma non lo sono in quota avvocati, bensì in quota docenti universitari; dunque, in una posizione di terzietà che forse può consentire un approccio più sereno al tema. Ritengo che soprattutto in questa fase storica tutte le realtà istituzionali vadano aperte e rese trasparenti, e che anche la magistratura debba fare la propria parte. Lo dico anche come consiglio spassionato, pensando alle reazioni dell’opinione pubblica ai fatti che hanno coinvolto l’organo di governo autonomo. Lascerei perdere la retorica delle garanzie costituzionali, pure sacrosante, che tutelano lo svolgimento delle funzioni di magistrato, e che possono suonare come autodifesa corporativa. Alcuni hanno parlato di possibili ritorsioni degli avvocati su qualche magistrato “sgradito” sotto valutazione; l’argomento è assai debole, perché controvertibile, in quanto ragionando su questa linea si potrebbe pensare per converso ad atteggiamenti compiacenti, certo non meno temibili.
Se c’è un concetto piuttosto chiaro circa la “valutazione” è che debba essere fatta da soggetti terzi, il più possibile lontani dal valutando. Che proprio in quell’occasione, dal CG siano allontanati i laici – appunto perché “estranei” – è una illogicità evidente, e non credo proprio possa essere giustificata rivendicando i valori dell’indipendenza e dell’autogoverno, che non devono apparire sinonimi di autoreferenzialità.
Intrieri L’avvocato esprime un punto di vista personale ma utilissimo: egli è in grado di valutare autorevolezza, preparazione ed equilibrio del magistrato con cui si misura. Ed anche la capacità produttiva. Comprendo i dubbi, ma la partecipazione attiva degli avvocati alle valutazioni è indispensabile. Dire che vi è il pericolo di commistioni e conflitti di interesse non può costituire uno sbarramento. Come ogni ambiente anche quello della giustizia ne presenta diversi. E’ il criterio generale che deve prevalere.
Sepe Il tema è molto discusso e vi sono sensibilità diverse nella magistratura associata. La componente laica è integrata nei Consigli giudiziari secondo le proporzioni stabilite dalla legge di modo che la sua partecipazione al circuito decisionale sulla professionalità dei magistrati non dovrebbe, in linea di principio, destare perplessità trattandosi di soggetti, particolarmente qualificati, in grado di esprimere un’opinione informata, desunta dalle fonti di conoscenza tipizzate dalla vigente circolare del Consiglio Superiore. Tuttavia il fatto che gli avvocati che compongono i Consigli giudiziari continuino a esercitare la professione negli uffici in cui prestano servizio i soggetti da valutare è discutibile, poiché ne può risultare un certo rischio di condizionamento dei magistrati in verifica (così come può esservi il rischio opposto, perché l’avvocato a sua volta “lavora” con i magistrati e tenderà ad evitare rapporti conflittuali).
In concreto, l’emendamento governativo alla delega al Governo per la riforma dell’O.G. aggiunge la possibilità, per la componente degli avvocati, di esprimere un voto unitario in sede di deliberazione sulla valutazione di professionalità dei magistrati, nel caso in cui il consiglio dell’ordine abbia effettuato segnalazioni sui magistrati in verifica, ai sensi del comma 1, lett. a, della Delega al Governo per la riforma ordinamentale della magistratura. Si tratta, dunque, di una innovazione che avrà, a mio avviso, una limitata incidenza posto che, ad oggi, scarsi sono i casi di segnalazione dei COA.
Frequentemente i provvedimenti organizzativi dei dirigenti degli uffici ritenuti dai Consigli giudiziari non corretti, anziché annullati, vengono, anche più volte, rinviati a loro per consentire le modifiche dei punti in cui si riscontrano carenze. Questa prassi consente alla fine del quadriennio una corretta valutazione dell’attività compiuta dal dirigente? In che misura tale interlocuzione risulta dal fascicolo personale del dirigente?
Ferrante Non posso rispondere per i motivi sopra esposti. Credo comunque lo dovrebbero essere senza dubbio. Il tema dell’organizzazione giudiziaria è spinosissimo, e con ciò quello della formazione dei magistrati alla dirigenza, come ho potuto verificare nel mio mandato nel Direttivo della SSM. Il magistrato non può essere per natura omnisciente; la dirigenza di un ufficio giudiziario non corrisponde pienamente alla categoria della “organizzazione aziendale”, ma ci va vicino e bisogna rassegnarsi. E con ciò rassegnarsi a essere formati, e a fare proprie le competenze relative. Questo avviene nella maggioranza dei casi? Non ci giurerei. Gli atti che passano dal CG sono in effetti un’ottima cartina tornasole; basta farne uso.
Sepe Ritengo che il dialogo tra CG e dirigente dell’ufficio costituisca espressione di un principio di leale collaborazione istituzionale nel cd. “circuito” dell’autogoverno sicché, ferma restando la discrezionalità sulle scelte organizzative che spetta interamente al dirigente dell’ufficio, è corretto che vi sia una continua e feconda interlocuzione con il CG sulle questioni più tecniche (es: interpretazione delle circolari), onde assicurare uniformità nell’applicazione delle circolari all’interno del distretto, evitando pareri contrari e le successive “non approvazioni”. Il rischio che la circolarità tra provvedimenti del dirigente e valutazione del CG possa incidere sulla corretta valutazione dell’attività del dirigente è, a mio modo di vedere, limitato».
Tra i compiti dei Consigli giudiziari vi sono anche funzioni di vigilanza sull’andamento degli uffici giudiziari del distretto. Tali compiti vengono realmente svolti dai CG e con quale frequenza, per quanto le consta? In che modo viene dato seguito alle eventuali segnalazioni provenienti dai magistrati dell’ufficio? I dati raccolti in queste procedure vengono inseriti nelle periodiche valutazioni di professionalità?
Ferrante Ripeto che il mio ruolo di componente laico mi impedisce di sapere come si formi in concreto il fascicolo personale e come incidano i vari fattori in gioco sulle valutazioni di professionalità. Detto questo, il CG svolge la verifica minuta delle singole pratiche che gli vengono via via sottoposte (per lo più di natura tabellare), e per quello che ho potuto verificare, con grande serietà. Vi è certamente una necessitata polverizzazione del lavoro. Una valutazione d’assieme, dunque la “vigilanza” in senso proprio, richiederebbe un impegno analitico molto attento, lavorando sullo storico per una corretta valutazione prospettica, con un investimento di tempo nei fatti arduo o che comunque richiederebbe una determinazione esplicita da parte del CG. Non posso dare testimonianza di disfunzioni sull’andamento di qualche ufficio del Distretto che abbiano stimolato una segnalazione al Ministero della Giustizia (salvo un problema circa l’applicazione della normativa di tutela per l’emergenza Covid-19); voglio credere che se nei fatti si fossero verificate, il CG di cui faccio parte avrebbe avuto modo comunque di prenderne atto, quantomeno nei casi eclatanti, e di agire di conseguenza.
Intrieri A queste ultime due domande non so rispondere: non sono mai stato chiamato a ricoprire l’alto incarico dal mio COA.
Sepe Nei distretti di maggiori dimensioni le attività di vigilanza sono svolte da un’apposita commissione istituita in seno al CG (Commissione di Vigilanza). Questa Commissione ha il compito di monitorare l’andamento dell’attività giudiziaria nei vari uffici del distretto, accertare l’esistenza di criticità o disfunzioni, ascoltare, in apposite riunioni, i dirigenti e i magistrati degli uffici, proporre rimedi, soluzioni organizzative, possibilmente concordate con la dirigenza, ai problemi più urgenti; infine segnalare l’esistenza di disfunzioni al Ministro. La Commissione ha dunque un positivo ruolo di analisi, consultazione e di proposta, di rimedi organizzativi atti a rimuovere eventuali criticità. Dopo le modifiche apportate nel 2007 il CG non ha più compiti di vigilanza sul “comportamento dei magistrati” in servizio presso gli uffici né di segnalazione di eventuali fatti suscettibili di rilevanza disciplinare: la norma attributiva di tale competenza, ossia l’art. 15, lett. c), della legge 25/2006, venne abrogata ad opera della legge 111/2007. Quindi non vi è modo che le verifiche disposte in sede di vigilanza transitino nelle valutazioni di professionalità.