Sommario [1]: 1. Premessa – 2. Professionalità del magistrato e Costituzione - 3. Valutazioni di professionalità e Costituzione - 4. L’opinione n. 14/2017 del Consiglio consultivo dei giudici europei - 5. Cenni alla disciplina italiana in materia di valutazione di professionalità prima del 2007 - 6. La legge Mastella del 2007 e gli “aggiustamenti” adottati con la riforma Cartabia del 2022-2024 - 7. Qualche brevissima osservazione d’insieme sulla disciplina vigente - 8. In conclusione.
1. Premessa
Il tema delle valutazioni di professionalità dei magistrati è assai delicato e particolarmente vasto.
Delicato perché si pone al crocevia di una molteplicità di interessi di rilievo costituzionale, che devono essere necessariamente contemperati, e per il fatto che definire un modello di professionalità del magistrato, e il relativo sistema di valutazione, significa prefigurare una certa idea di giudice e di giurisdizione e dunque realizzare una precisa scelta politica in materia di giustizia e di ordinamento giudiziario (tanto rilevante, per inciso, in un contesto, quale quello italiano, che oggi sul punto registra preoccupanti tensioni e fibrillazioni!).
Com’è stato sottolineato, “qualsiasi riferimento alla professionalità dei magistrati implica la previa riflessione, e quindi la scelta, in ordine a quali siano le condizioni, i requisiti, i comportamenti richiesti perché si possa parlare di un giudice ‘‘professionale’”[2].
Il tema è vasto - e, direi, trasversale - perché esso può essere declinato in molteplici direzioni e aspetti - le finalità e le diverse tipologie di valutazione, l’oggetto delle valutazioni, i criteri di valutazione, le fonti di conoscenza, il procedimento di valutazione, gli esiti della valutazione, i rapporti con il sistema disciplinare, il sindacato del giudice amministrativo, ecc. - e chiama in causa una pluralità di soggetti protagonisti dell’ordinamento giudiziario (il singolo magistrato, il CSM, i Consigli giudiziari, i dirigenti degli uffici giudiziari, l'Avvocatura, ecc.)[3].
Il presente contributo, in particolare, è dedicato a una riflessione sulle ragioni della valutazione dei magistrati, sugli interessi di rilievo costituzionale chiamati in causa dalla stessa e sugli obiettivi che con il sistema delle valutazioni possono e debbono essere perseguiti; mi riservo poi, in conclusione, di svolgere delle sintetiche considerazioni generali sulla disciplina vigente, evidenziando alcuni profili di potenziale criticità alla luce del quadro costituzionale.
2. Professionalità del magistrato e Costituzione
La nozione di “professionalità” non compare espressamente nel testo della Costituzione italiana[4], ma ciò non significa affatto che essa sia stata ignorata dai Padri Costituenti.
Del resto, anche il principio dell’imparzialità del giudice è stato introdotto testualmente soltanto con la riforma costituzionale dell'art. 111 Cost., nel 1999, ma nessuno dubita che l'imparzialità sia da sempre un valore consustanziale all'idea stessa di giudice.
La professionalità, in effetti, è strettamente legata ad alcuni principi fondamentali rivolti alla magistratura, tanto da poter essere considerata un fattore portante implicitamente sotteso all'intero sistema[5]. La nozione di professionalità s’intravede chiaramente nel principio della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101, comma 2, Cost.), nella nomina dei magistrati per concorso (art. 106, comma 1, Cost.), nella distinzione degli stessi soltanto per diversità di funzioni (art. 107. Comma 3, Cost.) e nello stesso principio di precostituzione per legge del giudice naturale (art. 25 Cost.); tutti questi principi presuppongono la figura di un giudice professionalmente competente.
Tra i principi costituzionali che possiamo chiamare in causa vi è anche l'art. 97, comma 2, Cost., ai sensi del quale “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione”; e ciò almeno nei limiti in cui il principio del buon andamento sia riferibile al sistema giustizia.
La Corte costituzionale, a tale proposito, ha avuto modo di chiarire, agli inizi degli Anni Ottanta, sciogliendo un dubbio avanzato in più occasioni da una parte della dottrina, che tale previsione è parzialmente applicabile anche al potere giudiziario, nel senso che, per quanto il principio del buon andamento non possa essere riferito all’esercizio della funzione giurisdizionale, che trova i suoi riferimenti costituzionali soprattutto negli articoli 24, 101 e 111, diversamente può dirsi prendendo in considerazione l’ordinamento degli uffici giudiziari, dunque il funzionamento della macchina della giustizia sul piano organizzativo.
È proprio la Corte a sottolineare come in fondo risulterebbe “paradossale voler esentare l’organizzazione degli uffici giudiziari da ogni esigenza di buon andamento. La giustizia è, del resto, un servizio pubblico essenziale e dunque la sua organizzazione non potrà che essere informata non soltanto al canone dell’imparzialità, com’è ovvio, ma anche a quello del buon andamento[6].
La professionalità è, dunque, condizione primaria dell'indipendenza del giudice, sia esterna sia interna, e quindi il presupposto necessario della sua imparzialità.
Com’è stato sottolineato, “il criterio di valutazione della professionalità del magistrato è la sua capacità di far ‘‘vivere’’ nel caso concreto la norma giuridica in totale indipendenza da ogni indirizzo di autorità diverse. L’imparzialità, che nella pubblica amministrazione è un modus operandi, nella giurisdizione è il proprium della funzione”[7].
A tale proposito, nella relazione al Parlamento sullo stato della giustizia per il 1994 (oltre 30 anni fa!), il CSM ha avuto modo di osservare che “non possono essere suggeriti ai giudici indirizzi e orientamenti circa l'interpretazione delle leggi da alcun organo e da alcuna autorità dello Stato, né da poteri esterni, né dallo stesso potere giudiziario”; con la conseguenza che “il giudice, più di ogni altro funzionario dello Stato, ha bisogno di una formazione permanente di altissimo livello, dovendo egli, da solo, ricercare ed acquisire gli strumenti dell'interpretazione delle leggi, assumendosene la piena responsabilità”.
Dunque, in ultima analisi, la professionalità - così come l'imparzialità e l'indipendenza - è una condizione volta alla realizzazione del valore essenziale che deve essere assicurato nell'esercizio della funzione giudiziaria: ovvero, la piena libertà del giudice nel momento del giudizio.
Per inciso, lo stretto collegamento tra professionalità, indipendenza, imparzialità ed equilibrio (considerati “imprescindibili condizioni” della positiva valutazione di professionalità) è ben evidenziato nella Circolare del CSM del 2024 proprio in tema di valutazioni di professionalità[8].
E nella stessa direzione può essere letto anche il “diritto a un giudice indipendente e imparziale”, principio sancito dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950, e oggi richiamato anche all’art. 111 Cost., nella versione novellata nel 1999: tale principio contiene infatti in sé anche il diritto del cittadino ad avere un giudice professionalmente capace.
Ma c’è di più.
La professionalità del magistrato è, inoltre, un predicato della “credibilità” della magistratura e della “fiducia” che la società civile deve poter riporre nei suoi confronti, che sono valori proporzionali alla consapevolezza della collettività circa la capacità dei magistrati di rendere giustizia in modo competente, ovvero giusto ed efficace.
Ricordo, a tale proposito, che la fiducia dei cittadini nella magistratura, intesa sia come insieme di singoli magistrati sia come istituzione, è un tassello fondamentale della sua legittimazione; com’è stato detto, il potere giudiziario non deve andare alla ricerca del consenso, ma non può fare a meno della fiducia, che è il vero “banco di prova del tasso di legittimità dei magistrati”[9].
Analogamente, è stato osservato che nel sistema costituzionale “la fonte primaria della legittimazione dei giudici, che amministrano la giustizia in nome del popolo, si rinviene proprio nella professionalità”; poiché l'attività dei giudici è, in ultima analisi, espressione di una funzione essenzialmente “culturale”, essa, proprio in virtù di questo suo carattere, trova nella professionalità “la condizione stessa della sua esistenza”[10].
Alla luce di quanto appena evidenziato, può affermarsi che la professionalità del giudice deve essere, in primo luogo, una professionalità “diffusa” all'interno dell'intera magistratura, quale premessa indispensabile per la tutela effettiva dei diritti dei cittadini e quale naturale conseguenza del carattere “diffuso” del potere giudiziario.
Ciascun giudice, solo di fronte alla legge, deve essere professionalmente adeguato, tanto più, si potrebbe dire, in una fase storica - peraltro oggi rimessa parzialmente in discussione! - in cui il modello di giudice a cui facciamo riferimento non è (forse non è mai stato) quello del “meccanico applicatore della legge”, dell’“essere inanimato” e mera “bocca della legge”, essendo ormai consolidata l’idea - alla luce di una serie composita di fattori, quali la rigidità della Costituzione, il pluralismo delle fonti, il processo d’integrazione europea, la complessità delle società moderne, ecc. - che l'attività interpretativa non possa che essere “intrinsecamente creativa”. A tale proposito, c’è chi ha parlato di “verità banale” della creatività insita nell’esercizio della giurisdizione[11], mentre altri hanno precisato che “il giudice non deve creare diritto, eppure non può non crearlo”[12].
Un'adeguata preparazione professionale scongiura il rischio che il giudice si trovi “smarrito” di fronte alla legge e, quindi, più soggetto alle influenze provenienti dall'esterno e dall'interno della magistratura; la preparazione dota il magistrato di una sorta di “armatura” che ne protegge l’indipendenza[13].
3. Valutazioni di professionalità e Costituzione
Se dunque la professionalità è una precondizione dell’essere giudice, un valore da garantire, lo è di conseguenza anche il suo accertamento, la sua verifica.
Com’è stato giustamente osservato[14], se è vero che l'adeguata preparazione professionale del magistrato costituisce il presupposto indispensabile della sua indipendenza e la condizione primaria della sua libertà di giudizio nel caso concreto, la verifica della sussistenza di tale professionalità non può né deve risolversi in una negazione di questa premessa.
Ciò richiede, in primo luogo, che il sistema delle valutazioni di professionalità sia affidato all'organo di governo autonomo della magistratura, come appare chiaramente indicato nella Costituzione italiana, laddove, all'art. 105, si demandano al CSM “le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari” nei confronti dei magistrati, ovvero tutto ciò che riguarda la loro vita professionale[15].
In secondo luogo, la Costituzione sembra scoraggiare - lo si ricava, in particolare, dal principio della distinzione dei magistrati soltanto per diversità di funzioni - un sistema di valutazione della professionalità finalizzato a selezionare “i migliori”, strumentale alle progressioni in carriera e a un assetto gerarchico della magistratura, in una logica piramidale e, appunto, “carrieristica”.
Al contrario, la Carta costituzionale promuove un sistema di valutazione delle professionalità teso, in prima istanza, a innalzare il livello medio complessivo di professionalità della magistratura e ad assicurare la crescita tecnica e culturale dell'intera categoria; in altre parole, a garantire uno standard minimo più elevato possibile di qualità del sistema giustizia.
Ciò peraltro non esclude, com’è stato autorevolmente sostenuto[16], la possibilità di distinguere tra (la valutazione di) una “professionalità generica”, che deve essere comune a tutti i magistrati, e (la valutazione di) una “professionalità specifica”, propria invece di ciascuno dei diversi “mestieri” di giudice: osservazione che, del resto, trova fondamento proprio nel principio della distinzione soltanto per diversità di funzioni, di cui all’art. 107 Cost.
Così come, tenendo conto del fine perseguito dalle valutazioni di professionalità, non è escluso che, ai casi in cui la valutazione è finalizzata alla verifica dell'adeguatezza professionale di ciascun magistrato, possano aggiungersi casi in cui è necessario valutare comparativamente la professionalità della persona più idonea a ricoprire determinati incarichi, come avviene per la selezione e valutazione dei dirigenti degli uffici giudiziari, ove la valutazione assume necessariamente un carattere maggiormente premiale.
Si tratta però di due modelli di verifica diversi per natura e finalità, che talora possono convivere nell’ambito di uno stesso sistema, di carattere trasversale, ovvero possono essere tenuti distinti, come oggi appare più ragionevole[17].
In terzo luogo, con riguardo all’oggetto delle valutazioni di professionalità, dalla Costituzione si ricava anche come tali valutazioni non possano essere congegnate in modo da assumere una natura sanzionatoria, capace di condizionare le convinzioni dei magistrati o il merito delle decisioni giurisdizionali, dovendo invece essere fondate su accertamenti di tipo tecnico basati su criteri oggettivi e trasparenti.
In quarto luogo, pensando agli elementi che possono costituire oggetto della valutazione di professionalità, in linea di principio la Costituzione promuove l’idea di un giudice immerso nella società civile e capace, pur nei limiti di ciò che il testo consente, di compiere “scelte di valore”.
Nell’attuale assetto costituzionale, in altre parole, non c’è spazio (o almeno così dovrebbe essere) per l’idea classica del “magistrato-sacerdote”, isolato nella sua “torre d’avorio” e separato dalla vita della comunità. Del resto, com’è stato efficacemente ricordato[18], il mito del magistrato “disincarnato”, estraneo alla dialettica culturale e politica del suo tempo, è stata in passato funzionale non tanto all’obiettivo dell’indipendenza e dell’imparzialità, bensì a un’adesione dello stesso al blocco storico-politico dominante, quale strumento di omologazione alla maggioranza del momento. Per magistrati apolitici s’intendeva, in altre parole - e talora s’intende oggi - magistrati “allineati”.
4. L’opinione n. 14/2017 del Consiglio consultivo dei giudici europei
Molti dei concetti appena richiamati, ricavabili da una lettura (a mio giudizio) equilibrata della Carta costituzionale, sono stati sottolineati in modo molto efficace dal Consiglio consultivo dei giudici europei, organo del Consiglio d’Europa, nell’Opinione n. 17 del 24 ottobre 2014, dedicata alla “valutazione del lavoro dei giudici, qualità della giustizia e rispetto dell'indipendenza giudiziaria”[19].
In tale documento si chiarisce, innanzi tutto, come in linea di principio la valutazione del lavoro individuale del giudice possa assicurare una maggiore qualità della giustizia senza necessariamente incidere sull'indipendenza.
Con riferimento, poi, ai sistemi formali di valutazione, il Consiglio consultivo evidenzia che, affinché tale equilibrio possa essere davvero assicurato, le valutazioni di professionalità devono avere per fondamento previsioni normative chiare e dettagliate ed essere basate su criteri predeterminati, al fine di evitare condizionamenti, personalismi o favoritismi.
Le valutazioni devono poi connotarsi per una natura prevalentemente qualitativa ed essere rivolte ad apprezzare le competenze dei magistrati di tipo in senso stretto “professionale” (conoscenza del diritto, capacità di condurre adeguatamente i procedimenti giudiziari, capacità di scrivere decisioni motivate), ma anche quelle “personali” (capacità di far fronte al rispettivo carico di lavoro, capacità di decidere, capacità di gestire le nuove tecnologie) e quelle “sociali” (capacità di mediare, di rispettare le parti, di dirigere, per coloro le cui posizioni lo richiedono).
La valutazione potrà essere naturalmente anche quantitativa, ma la stessa non potrà mai essere ridotta al risultato dell'apprezzamento di soli dati statistico-quantitativi, né essere incentrata soltanto sulla produttività, atteso che quest'ultima, tra l’altro, può essere influenzata da molteplici fattori, quali ad esempio le risorse messe a disposizione del giudice; elementi che non rientrano evidentemente nella sua responsabilità.
In altre parole, la valutazione deve cadere su un magistrato ‘‘contestualizzato’’, perché solo così sarà possibile “evitare storture statistiche ingiustamente penalizzanti per i singoli e complessivamente fuorvianti per l’efficienza del servizio”[20]. Per inciso, sembra utile accennare alla circostanza per cui, almeno nel sistema italiano, le maggiori criticità che affliggono il servizio giustizia non provengono tanto dal livello di professionalità dei magistrati, nell’insieme adeguato ai compiti che vengono loro richiesti, ma sono di natura strutturale e risiedono principalmente nella permanente mancanza di risorse sia personali che organizzative.
Il Consiglio consultivo ricorda, poi, come sia problematico basare le valutazioni sui risultati conseguiti, sul numero o sulla percentuale dei casi riformati in appello, almeno che tale verifica non dimostri chiaramente delle evidenti patologie, ovvero che il giudice - ma si tratta di casi limite - difetta della necessaria conoscenza della legge e della procedura.
L’Opinione contiene poi una serie di indicazioni che, pensando anche ai tempi più recenti, conviene non considerare scontate: a) la valutazione deve essere affidata agli organi di governo autonomo della magistratura, in ogni caso estromettendo ogni influenza degli Esecutivi; b) le fonti di informazione devono essere affidabili e trasparenti; c) il giudice sottoposto a valutazione deve avere il diritto di esprimersi e dunque deve essere previsto un contraddittorio; d) i risultati della valutazione non devono essere funzionali a definire graduatorie, ancorché essi possano essere utilizzati ai fini delle promozioni, dell’individuazione di bisogni o della attribuzione di risorse aggiuntive.
Nell'Opinione si ricorda, infine, che la valutazione individuale dei giudici è tesa a migliorare e mantenere un sistema giudiziario di alta qualità, nell’interesse dei cittadini. Per questa ragione, i cittadini devono essere messi in condizione di comprendere i principi generali che informano le procedure di valutazione, le cui regole e metodologie dovrebbero quindi essere pubbliche[21].
5. Cenni alla disciplina italiana in materia di valutazione di professionalità prima del 2007
Se questo è il quadro degli interessi di pregio costituzionale all’interno del quale la disciplina delle valutazioni di professionalità dei magistrati deve essere collocata, vengo ora a verificare come il legislatore italiano, nel corso di oltre settantasette anni dall’entrata in vigore della Costituzione, ha realizzato in concreto tali interessi.
Assai sinteticamente, ricordo che, prima della riforma del 2007, le valutazioni di professionalità dei magistrati in Italia erano saldamente ed esclusivamente ancorate ai meccanismi di progressione in carriera.
Al di là di questo tratto in comune, peraltro, si possono distinguere due fasi storiche assai diverse.
Fino circa alla fine degli anni Sessanta, le valutazioni erano incorporate nelle procedure concorsuali per titoli ed esami per la promozione ai gradi superiori. A tale sistema era sottesa una visione della magistratura di tipo piramidale, peraltro incompatibile con la Costituzione, nella quale si riteneva (implicitamente) che le funzioni di primo grado richiedessero un livello di professionalità inferiore a quello richiesto nei gradi successivi; ovvero, una visione fondata sulla considerazione che i magistrati più bravi e più professionali dovessero migrare verso le funzioni superiori.
Ricordo, a questo proposito, la nota critica di Giuseppe Maranini a tale impostazione, quando osservava, nel 1961: “Non credo... che nelle magistrature ‘superiori’ occorrano maggiori valori morali e tecnici che nelle magistrature ‘inferiori’. È una opinione che potrei difendere con un lungo discorso. Mi limito a riferirmi alla mia esperienza professionale... E nella mia forse eccessiva presunzione, sono convinto che saprei essere un mediocre consigliere di Cassazione; ma non avrei mai il coraggio di fare il pretore, perché so che non avrei la necessaria preparazione”[22].
Com’è noto, dopo le riforme della carriera, realizzate a cavallo degli anni Sessanta e Settanta con le note leggi Breganze, n. 570/1966, e Breganzone, n. 831/1973, viene introdotto un sistema di progressione a ruoli aperti, fondato sull’anzianità “senza demerito”, più coerente con l’idea di una magistratura intesa come potere diffuso e come corpo professionale orizzontale, dove il livello di professionalità non può che essere equamente distribuito su tutte le funzioni e per tutti i diversi mestieri di magistrato. In questa fase - e fino al 2007 - la disciplina del procedimento, dei criteri e delle fonti di conoscenza sulla cui base venivano svolte le predette valutazioni di professionalità sono contenute in una serie di circolari e pareri adottati dal CSM[23].
Il bilancio del sistema di valutazione operante a partire dagli Anni Settanta e fino al 2007 è stato piuttosto negativo. Esso è stato accusato di lassismo e di scarsa valorizzazione della meritocrazia, anche se tale insoddisfacente risultato è stato conseguito - occorre ricordarlo - più a causa della prassi applicativa che del dato normativo; come a suo tempo si è ricordato, è stata la prassi ad aver eluso, nella sostanza, lo spirito della disciplina allora vigente, tanto che si è potuto parlare di una sorta di “fraintendimento applicativo”[24].
Lo stesso CSM, nella relazione al Parlamento sullo stato della giustizia per il quadriennio 1986-1990, ha avuto modo di osservare che il bilancio complessivo sullo stato delle verifiche di professionalità dei magistrati in occasione della progressione nella carriera evidenziava una “desolante situazione di vuoto valutativo”[25].
Per questa ragione, a partire dalla fine degli anni Novanta, da più parti si è chiesto al legislatore di intervenire per riformare la materia, introducendo un nuovo (e autonomo) sistema di valutazione delle professionalità. Ricordo, a tale proposito, che, nel corso del 2003, l'Associazione nazionale magistrati organizzò un ciclo di seminari dal titolo “I magistrati di fronte alla sfida della professionalità” e il documento di base redatto dalla Giunta esecutiva centrale, presentato in occasione di quella iniziativa, si apriva con l’affermazione secondo cui “i magistrati, per primi, chiedono un miglioramento della formazione e un più adeguato sistema di valutazione della professionalità, fermo restando l'esplicito è deciso rifiuto di ogni logica di ritorno al passato”[26].
6. La legge Mastella del 2007 e gli “aggiustamenti” adottati con la riforma Cartabia del 2022-2024
Vengo dunque all’ultimo periodo e alla disciplina vigente.
Tralascio, per ovvie ragioni di tempo, il regime (certamente criticabile) introdotto con la legge Castelli n. 150/2005 - dal momento che esso, con il quale si segnava un vero e proprio ritorno al passato, non ha mai avuto attuazione - e vengo al sistema di valutazione della professionalità introdotto con la legge n. 111/2007 (che ha modificato l’art. 11 del d.lgs. n. 160/2006), che ancora oggi, pur con gli aggiustamenti introdotti dalla riforma Cartabia, costituisce l’architettura portante del vigente sistema.
Con tale riforma, per la prima volta in Italia, si separano (anche se non del tutto) le valutazioni di professionalità dalla progressione in carriera. In questo modo, come spesso è stato ricordato, viene resa autonoma e sottolineata la “cultura della valutazione”[27].
Si tratta di un regime in linea di massima coerente con le indicazioni ricavabili dalla Costituzione, sopra richiamate.
Com’è noto, viene introdotto un doppio canale di progressione in carriera: da una parte, un sistema di avanzamento obbligatorio per tutti i magistrati, scandito, appunto, da periodiche valutazioni di professionalità; dall'altra, un sistema di passaggi da una funzione all'altra, accessibile a richiesta dell'interessato, e congegnato in modo indipendente, ancorché coordinato - il possesso di una certa valutazione costituisce la condizione per poter fare domanda per una certa funzione - rispetto alle predette valutazioni.
Vengono previste sette fasce di anzianità, ciascuna di durata quadriennale, alle quali si accede previa valutazione; quest'ultima è avviata d'ufficio ed è svolta sulla base dei parametri della capacità, laboriosità, diligenza e impegno. Il giudizio è affidato al CSM e viene espresso, previo parere del Consiglio giudiziario, con un provvedimento motivato che, fino alla riforma del 2022, poteva avere esclusivamente tre esiti: positivo, non positivo o negativo.
Su questo impianto complessivo sono intervenute alcune puntuali modifiche ad opera della legge n. 71/2022 e del d.lgs. n. 44/2024, il cui art. 5, in particolare, ha introdotto il nuovo art. 10 bis, ha modificato l'art. 11 e introdotto i nuovi artt. 11 bis e 11 ter del d.lgs. n. 160/2006[28].
Le principali novità introdotte con la riforma del 2022/2024 sono le seguenti (mi limito ad elencarle):
- con riguardo ai Consigli giudiziari, viene prevista la (assai controversaa) facoltà per gli avvocati e per i professori universitari di partecipare alle discussioni e di assistere alle deliberazioni relative alle valutazioni professionalità, nonché, per la sola componente degli avvocati, di esprimere un voto unitario sulla base di segnalazioni provenienti dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati;
- viene graduata la valutazione positiva, che dovrà essere espressa in una scala di “discreto”, “buono” e “ottimo” con riferimento alla “capacità del magistrato di organizzare il proprio lavoro”;
- viene inserito, nell'indicatore della laboriosità, il parametro ulteriore del rispetto di quanto indicato nei programmi annuali di gestione;
- viene inserita, con riferimento al parametro della capacità, la previsione per cui deve essere accertata la sussistenza di eventuali “gravi anomalie” in relazione all'esito degli affari nelle fasi o nei gradi successivi del procedimento;
- viene istituito il fascicolo di valutazione del magistrato;
- viene previsto l'obbligo di valutazione dei fatti accertati in via definitiva in sede di giudizio disciplinare, anche se gli stessi si sono verificati nel quadriennio precedente (se non già valutati);
- viene semplificato e velocizzato il procedimento di valutazione, quando esso è indirizzato a un esito positivo.
7. Qualche brevissima osservazione d’insieme sulla disciplina vigente
Vengo dunque a qualche osservazione d’insieme sul regime vigente.
Come anticipavo, il mio giudizio su tale disciplina è, nel complesso, moderatamente positivo. Credo sia stato fatto uno sforzo notevole e meritorio in una direzione in linea di massima coerente con il quadro costituzionale.
Tuttavia, vi sono alcuni elementi che destano perplessità e forse rappresentano dei campanelli d’allarme, sui quali, in fase soprattutto di gestione concreta del sistema, occorre prestare attenzione.
Quanto alle scelte compiute dal legislatore in merito alla natura e alle finalità delle valutazioni, segnalo due aspetti.
In primo luogo, la disciplina sembra assecondare, in alcune sue parti, una tendenza vagamente aziendalistica, rafforzata dalla più recente riforma: essa, da un lato, irrobustisce la responsabilità dei dirigenti e, dall’altro, appare molto attenta agli aspetti quantitativi e performativi; la normativa si preoccupa molto degli obiettivi e dei risultati raggiunti, o da raggiungere, tradendo, tra le righe, anche una sorta di intento selettivo/comparativo, e appare meno concentrata sulla verifica del complessivo e armonioso svolgimento della funzione del magistrato all’interno del sistema giudiziario.
In secondo luogo, le previsioni riguardanti la verifica degli esiti dei procedimenti giudiziari, ovvero la “tenuta” dei provvedimenti nelle fasi successive o in sede di impugnazione, pur di per sé non irragionevoli[29], collocano tuttavia la valutazione in una zona di confine delicata, nelle vicinanze del cuore dell’esercizio della giurisdizione, che potenzialmente potrebbe, se non gestita in modo adeguato[30], comportare il rischio di un condizionamento della discrezionalità interpretativa del giudice.
Venendo alle norme che disciplinano il procedimento, il legislatore, soprattutto dopo la riforma del 2022, ha prestato molta attenzione ad articolarne le molteplici fasi, rendendolo assai trasparente e partecipato; e ciò, ancor più dopo l’allargamento della partecipazione ai componenti laici dei consigli giudiziari, a mio giudizio nel complesso positivo.
Tuttavia, lo stesso si caratterizza per innumerevoli passaggi e per tempi davvero strettissimi, che corrono il rischio di farlo diventare un adempimento defatigante e, in ultima analisi, un'operazione prevalentemente burocratica, sostanzialmente inefficace per verificare l'effettiva affidabilità del sistema giudiziario.
Infine, la normativa rende assai stretti i rapporti tra valutazione della professionalità e responsabilità disciplinare. Si tratta, com’è noto, di due fattispecie diverse per natura, finalità e obiettivi, per quanto sia noto come negli ultimi anni in Italia l'area del disciplinare si sia molto accresciuta, finendo per sovrapporsi in più occasioni a quella della valutazione di professionalità[31].
La riforma del 2022 sembra aver esasperato tale potenziale interferenza, inserendo tra le fattispecie disciplinari dei puntuali comportamenti che denotano cadute di professionalità, o negligenza nella gestione degli uffici, le quali potrebbero essere più opportunamente rilevate nell'ambito della valutazione di professionalità quadriennale.
Colpisce, in ultima analisi, la previsione di alcuni nuovi illeciti disciplinari.
Si veda, in particolare, sia le fattispecie rivolte ai Dirigenti degli uffici giudiziari, molto incentrate sulla valorizzazione del dovere di assicurare l’efficienza dell’ufficio, sia quelle rivolte a tutti i magistrati, quali la reiterata inosservanza delle direttive dei capi dell’ufficio (art. 2, comma 1, lettera n) del d. lgs. n. 109/2006) o l’omessa collaborazione del magistrato all’attuazione delle iniziative del capo dell’ufficio per eliminare i ritardi e realizzare i piani di smaltimento (art. 2, comma 1, lettera q-bis del d.lgs. n. 109/2006).
8. In conclusione
Concludo osservando che in Italia è ricorrente l'affermazione secondo cui il sistema delle valutazioni di professionalità non funziona perché l'esito delle stesse è quasi sempre positivo.
Si tratta di un argomento in parte fuorviante, non solo perché questo capita in tutti i settori della pubblica amministrazione, ma per il fatto che le valutazioni di professionalità, come detto, non devono avere un'attitudine punitiva né repressiva.
La resa del sistema si misura, al contrario, sulla sua capacità di promuovere, in positivo, modelli e standard di lavoro adeguati ed efficienti, facendo emergere, in negativo, le carenze dei singoli e dell’intero sistema, non al fine di sanzionare, ma di porvi rimedio.
E ciò nell’interesse, prima di tutto, dei cittadini, che sono i principali interessati a un sistema giustizia più efficace, tempestivo e credibile.
[1] Testo rivisto, integrato con qualche nota a piè di pagina, ma sostanzialmente inalterato, della relazione svolta in occasione del Convegno su Le valutazioni di professionalità dei magistrati nel sistema interno, organizzato dalla Nona Commissione del CSM, dalla Corte di cassazione e dalla Scuola Superiore della Magistratura e svoltosi a Roma il 13 giugno 2025.
[2] R. Romboli, La professione del magistrato tra legislazione attuale e possibili riforme, in E. Bruti Liberati (a cura di), I magistrati e la sfida della professionalità, 2003, 9 ss.
[3] Cfr. P. Serrao D’Aquino, Le valutazioni di idoneità all’esercizio delle funzioni giudiziarie. Le valutazioni di professionalità, in Giustizia insieme, 2020 e in Diritto Pubblico Europeo - Rassegna Online, 2020.
[4] Almeno fino ad oggi; si veda, infatti, il Disegno di legge di revisione costituzionale Nordio, attualmente in discussione al Senato (A.S. 1353) e già approvato dalla Camera dei deputati lo scorso 16 gennaio 2025, che all’art. 4 si propone di sostituire l’art. 105 Cost., il cui primo comma, nella versione eventualmente novellata, avrà la seguente formulazione: “Spettano a ciascun Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme sull’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di professionalità e i conferimenti di funzioni nei riguardi dei magistrati” (c.vi aggiunti).
[5] T. Giovannetti, La valutazione della professionalità dei magistrati nel quadro dei principi costituzionali, in F. Dal Canto e R. Romboli (a cura di), Contributo al dibattito sull'ordinamento giudiziario, Torino, 2004, 149 ss.
[6] Cfr. Corte cost., sent. n. 86/1982; in senso analogo, cfr. anche sentt. nn. 140/1992, 376/1993 e 272/2008.
[7] G. Silvestri, Verifica di professionalità versus indipendenza dei magistrati: una falsa contrapposizione in E. Bruti Liberati (a cura di), I magistrati e la sfida della professionalità, cit., 88.
[8] Circolare P. 21578 adottata con delibera 13 novembre 2024, in Ordinamentogiudiziario.info.
[9] Cfr. L. Ferrajoli, Sul rapporto dei magistrati con la società, in Questione giustizia, 17 giugno 2024.
[10] Cfr. A. Pizzorusso, Principio democratico e principio di legalità, in Questione giustizia, n. 2/2003, 353.
[11] M. Cappelletti, Giudici o legislatori?, Milano, 1984, 1 ss., il quale, appunto, ha sottolineato come il dato della natura creativa dell'attività interpretativa fosse, in fondo, una “verità banale”, per quanto non vi fosse dubbio che la produzione del diritto ad opera del legislatore e del giudice avvenisse con “modalità differenti ed entrambi soggetti operassero nell'ordinamento secondo differenti forme di responsabilità e di legittimazione democratica”.
[12] M. Barberis, Separazione dei poteri e teoria giusrealista dell'interpretazione, in Analisi del diritto 2004, Ricerche di giurisprudenza analitica, a cura di P. Comanducci e G. Guastini, Torino, 2005, 1 ss.
[13] Cfr. G. Civinini, Valutazioni di professionalità e qualità della giustizia, in Questione giustizia, 7 gennaio 2015.
[14] T. Giovannetti, La valutazione della professionalità dei magistrati nel quadro dei principi costituzionali, cit., 163 s.
[15] Ho già ricordato, in proposito, che il Disegno di legge costituzionale Nordio prevede, all’art. 105 Cost., di sostituire la formula “le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati” con quella “valutazioni di professionalità e conferimenti di funzioni nei riguardi dei magistrati”.
[16] A. Pizzorusso, Indipendenza del magistrato e assegnazione di funzioni, in Questione giustizia, n. 2/1991, 295 ss.
[17] R. Romboli, La professione del magistrato tra legislazione attuale e possibili riforme, cit., 16.
[18] G. Silvestri, Imparzialità del magistrato e credibilità della magistratura, in Magistrati: essere ed apparire imparziali, in Questione giustizia, n. 1-2/2024, 42 ss.
[19] Su cui si veda M. G. Civinini, Valutazioni di professionalità e qualità della giustizia, in Questione giustizia, 7 gennaio 2015.
[20] G. Silvestri, Verifica di professionalità versus indipendenza dei magistrati: una falsa contrapposizione, cit., 89.
[21] Ma - si precisa - non devono essere resi pubblici i risultati, pena il rischio di screditare i magistrati agli occhi del pubblico, rendendoli così più vulnerabili ai tentativi di influenzarli.
[22] G. Maranini, Carriera dei giudici, casta giudiziaria e potere politico, in Id. (a cura di), Magistrati o funzionari?, Milano, 1962, 59 s.
[23] Cfr. Circolari n. 1275/1985 e n. 17003/1999.
[24] V. Borraccetti e G. Borrè, Professionalità, controlli, assegnazione di funzioni, in Questione giustizia, n. 2/1996, 352.
[25] Lo ricorda T. Giovannetti, La valutazione della professionalità dei magistrati, cit., 156 s., il quale peraltro sottolinea come l’insoddisfazione nei confronti del modello concreto di verifica della professionalità operante in quel periodo non derivasse soltanto dall’inadeguata applicazione della normativa, o da un cedimento del sistema di autogoverno, ma anche dalla necessità di un intervento legislativo che incidesse sui punti più dolenti della disciplina.
[26] Cfr. E. B. Liberati (a cura di), I magistrati e la sfida della professionalità, cit., 1 ss.
[27] A. Patrono, Formazione dei magistrati e valutazione di professionalità, in L’ordinamento giudiziario a dieci anni dalla legge n. 150 del 2005, a cura di G. Ferri e A. Teodoldi, Napoli, 2016, 159 ss.
[28] Cfr. V. Baroncini, Le modifiche del sistema di funzionamento dei consigli giudiziari e delle valutazioni di professionalità, in La riforma dell'ordinamento giudiziario (legge 17 giugno 2022, n.71), a cura di G. Ferri, Torino, 2023, 57 ss., R. Magi e D. Cappuccio, La delega cartacea in tema di valutazione di professionalità del magistrato: considerazioni a prima lettura, in La riforma dell'ordinamento giudiziario: analisi e commenti alla legge delega n. 71 del 2022, in Questione giustizia, n. 2-3/2022, 77 ss. e O. Civitelli, La giustizia e la performance, ivi, 85 ss.
[29] Si parla, in fondo, di accertare le “gravi anomalie” e, inoltre, si precisa che la valutazione non possa mai riguardare l'attività di interpretazione di norme di diritto e di valutazione dei fatti e delle prove.
[30] E i tempi in cui viviamo, soprattutto pensando alle prospettive future, non sembrano per nulla rassicuranti.
[31] È noto che un gran numero di azioni disciplinari - soprattutto quelle riguardanti i ritardi nel deposito dei provvedimenti - coincide con i (pochi) casi di valutazioni di professionalità non positive.
Immagine fonte laRepubblica.