Il Tribunale di Brescia fornisce un assist alla Corte Costituzionale e al legislatore per risolvere definitivamente la questione della natura di lavoratori subordinati dei magistrati onorari*
di Bruno Caruso
Importante decisione del Tribunale di Brescia che ha sollevato dinnanzi alla Corte la questione di costituzionalità riguardante la natura del rapporto di lavoro di tale categoria e l’indebito trattamento economico-normativo che lo Stato attualmente le riserva. La giudice, potendo scegliere, solleva la questione dall’angolatura dell’abuso del contratto a termine. In particolare ritiene rilevante e non manifestamente infondata «la questione di costituzionalità dell’art. 7 della legge n. 374 del 1991, nella parte in cui consente il rinnovo degli incarichi per 18 anni dei magistrati onorari, e dell’art. 1 del D. Lgs. n. 92 del 2016, nella parte in cui consente un ulteriore incarico di durata quadriennale, così da determinare una reiterazione abusiva degli incarichi, e ciò per contrasto con l'art. 117 co. 1 Cost., in riferimento alla clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, alla quale ha dato attuazione la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999».
L’ordinanza è di grande rilievo perché va molto al di là della specifica questione dell’abuso del contratto a termine: certamente questa è la madre di tutte le questioni della magistratura onoraria, ma il fatto che sia stata sollevata con corretti argomenti, potrebbe indurre la Corte cost. (ma anche il legislatore ordinario) a non aggirare più il problema, più ampio, della natura del rapporto di lavoro dei magistrati onorari, nascondendosi dietro il dito dell’art. 106 cost. La Corte dovrà pertanto confrontarsi con due capisaldi della sua stessa giurisprudenza: l’indisponibilità del tipo lavoro subordinato e il primato del diritto europeo (per un approfondimento si rinvia a B. Caruso e G. Minutoli, Cui prodest? La riforma della magistratura onoraria tra tutela di diritti negati ed efficienza della Giustizia).
Il primato del diritto europeo, nel caso della magistratura onoraria, si è già materializzato con la ormai conosciuta, ma troppo spesso ignorata, sentenza della Corte di giustizia del 16 luglio 2020, UX ,Causa C-658/18. I principi ivi enunciati sono infatti tetragoni, inequivocabili e non aggirabili, malgrado l’evidente “ammuina” del Governo italiano: si veda la relazione della Commissione Castelli; ma pure la giurisprudenza del Consiglio di stato: sent. 4 febbraio 2021, n.1062; della Corte di cass.: ex plurimis, Cass., sez. lavoro, 5 giugno 2020, n. 10774; Cass., sez. III, 14 ottobre 2019, n. 25767; Cass., sez. lavoro, 4 gennaio 2018, n. 99 e soprattutto l’ordinanza delle SS.UU. n. 21986 del 2021 che dichiara carente di giurisdizione il giudice del lavoro e competente il Tar, il quale a propria volta nega la sua giurisdizione a favore del giudice del lavoro: Tar Lazio 1.9.2121 n. 9484.
Vale soffermarsi brevemente sulla ordinanza delle SS.UU. che costituisce una summa teologica del rifiuto, di fatto, delle alte Corti di accettare i decisa del giudice europeo anche prendendo tempo e sollevando polveroni. Le SS.UU. negano la giurisdizione del giudice del lavoro sulla base dell’erronea lettura (rectius della non lettura) del petitum del ricorso sottopostole. Esse vi leggono infatti ciò che non c’è scritto e che non poteva orientare, quindi, la decisione sulla giurisdizione: vale a dire la richiesta, inesistente, di accertamento «di un rapporto di impiego di fatto con il Ministero della Giustizia per lo svolgimento delle stesse funzioni giurisdizionali espletate dai magistrati togati». La domanda dei ricorrenti presso il Tribunale di Ivrea era, invece, di tutt’altro tenore: verteva sulla richiesta di una remunerazione equiparata a quella del lavoratore comparabile in ragione della violazione della clausola di parità contenuta nella direttiva sul contratto di lavoro a termine, da determinare solo per relationem, come indicato dalla sentenza UX, a quella del magistrato togato. Nessuna costituzione di rapporto di lavoro equiparato a quello del magistrato togato, dunque. Nella domanda, infatti, non si faceva questione di status giuridico, né si chiedeva alcun accertamento circa la sussistenza di un rapporto di impiego assimilato, o assimilabile, a quello dei giudici ordinari seppure in via di fatto, essendo esclusivamente in gioco il diritto dei ricorrenti all’applicazione delle tutele fondamentali, minimali, riconosciute alla generalità dei lavoratori dipendenti di un’amministrazione pubblica. Una richiesta che non implica affatto, se non solo nella strumentale rilettura delle SS.UU., l’incardinamento nei ruoli della magistratura professionale, onde la presunta giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Ma tant’è. Non a caso, quella indicata dalle SS.UU., è la via di fuga utilizzata dai magistrati del lavoro che preferiscono non decidere sul merito[1].
Detto incidentalmente, i pronunciamenti della Corte di Cassazione, del Consiglio di stato e dei giudici di merito che continuano a negare la natura di lavoratori subordinati dei magistrati onorari e i relativi diritti, rischiano soltanto di rinviare il redde rationem; vale a dire, rischiano di aggravare le conseguenze del mancato riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato anche sotto il profilo del danno. Si tratta di pronunciamenti che espongono la Stato italiano (lo Stato giudice), infatti, a responsabilità per danni per acclarata violazione del diritto europeo, giusta la dottrina Francovich, oltre che esporlo a una ulteriore procedura di infrazione della Commissione europea, per altro già avviata[2].
Per tornare alla Corte cost., a cui si rivolge il Trib. di Brescia, quest’ultima è stata più volte, anche di recente, chiamata a occuparsi della questione della natura del rapporto di lavoro di tale categoria di lavoratori appartenente alla galassia del sistema giudiziario italiano; ma, in ragione dei limiti perimetrici delle ordinanze di remissione, non ha avuto modo di occuparsene direttamente (o ha preferito non farlo). La domanda fondamentale, che questa volta scaturisce inequivocabilmente dalla ordinanza di remissione del Tribunale Bresciano, è infatti la seguente: al di là delle funzioni svolte e dei riflessi sull’ordinamento giudiziario italiano, i giudici onorari sono lavoratori subordinati, sono lavoratori autonomi o sono invisibili (lavoristicamente parlando) funzionari onorari ai quali spetta al più un indennizzo, una sorta di rimborso spese, e non una retribuzione vera con tutti gli oneri e i diritti connessi?
Si è detto che, su questo snodo fondamentale, la sentenza UX - correttamente e ampiamente richiamata dalla ordinanza del Tribunale di Brescia - è quanto mai chiara ed esplicita: i compensi hanno natura retributiva e non indennitaria, le complessive modalità di svolgimento del rapporto di lavoro dei magistrati onorari, allorquando le funzioni siano reali ed effettive e non marginali e accessorie, attraggono questa categoria nell’area del lavoro subordinato pubblico (ma non certamente nei ruoli della magistratura professionale).
Che la Corte cost. non abbia potuto o voluto, sinora, rispondere al fondamentale quesito della natura del rapporto di lavoro dei giudici onorari, è esplicitamente dichiarato nella sua ultima sentenza: la n. 172/2021 (relatore il costituzionalista Zanon). L’ordinanza di remissione riguardava il problema di mancati compensi ai Got, formalmente per disparità di trattamento con i Vpo: si trattava, nel caso, della questione della remunerabilità del tempo di lavoro impiegato dai Got fuori udienza. Secondo la legislazione vigente il tempo per scrivere le sentenze non costituisce attività indennizzabile per i Got, mentre lo è certamente per i giudici professionali, pur essendo l’attività giurisdizionale funzionalmente identica; il Giudice Zanon, correttamente, non affronta il tema decisivo del tempo di lavoro e della natura retributiva della remunerazione dei Got, perché tale questione specifica era stata sollevata dalla parte e non dal giudice remittente[3].
Con l’ordinanza del Tribunale di Brescia questa volta la Corte non può evitare di affrontare direttamente il problema della natura del rapporto di lavoro dei giudici onorari. La questione non riguarda l’istituto delle ferie (come nel caso risolto dalla UX), né della remunerazione come nel caso della sent. n.172/2021, ma dell’acclarato abuso del contratto a termine da parte dello Stato italiano per questa categoria di lavoratori.
È evidente, infatti, che nel risolvere la questione dell’abuso del contratto a termine per violazione della normativa europea, il dato di fatto di cui la Corte deve prendere atto, così come mostra di aver fatto positivamente il giudice remittente, è quello della natura subordinata del rapporto di lavoro del magistrato onorario: se c’è stata violazione del contratto di lavoro a termine, la natura del rapporto di lavoro in essere non può che essere subordinata; a meno che la fantasia più volte dispiegata in questa vicenda dall’Avvocatura dello stato non si spingerà sino a sostenere, davanti alla Corte, che il contratto a termine e la violazione della relativa direttiva di per sé non implicano il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro!
La vicenda, dunque, con l’ordinanza in oggetto, è portata davanti alla Corte costituzionale, finalmente, nei suoi corretti binari, con tutte le conseguenze che seguiranno e di cui non necessariamente la Corte deve prendere atto, potendolo fare certamente i giudici di merito che ne applicheranno i principi: non solo le conseguenze citate direttamente nell’ordinanza relative al risarcimento del danno per abuso del contratto a termine, ma tutte quelle che sono dispiegate nel ricorso da cui scaturisce l’ordinanza di rimessione e che si innestano nel riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato: dalla applicazione del principio di parità di trattamento con riguardo alla retribuzione dei lavoratori comparabili, tenuto conto dei ragionevoli e oggettivi parametri di adeguamento e proporzionalità suggeriti dalla Corte di giustizia e dal Tribunale di Vicenza[4], in un caso analogo; sino a tutto il resto: ferie, malattia, sospensione per maternità, ricostruzione del regime previdenziale per il rapporto di fatto intercorso.
A questo punto, per evitare di assumere una postura polacca[5], la Corte costituzionale non potrà che dar seguito a quanto già affermato dalla Corte di giustizia europea, principi che quest’ultima si appresta a ribadire in una probabile ordinanza che si attende a breve su una analoga questione pregiudiziale sollevata dal Tar Emilia Romagna[6]. Ma lo stile polacco non si addirebbe neppure allo Stato italiano nella veste di Parlamento: si sussurra di abborracciate soluzioni con ventilati, ma poco chiari, emendamenti alla legge di bilancio, questa volta con procedure di stabilizzazione e riconoscimento di “tutte le garanzie del rapporto di lavoro subordinato”[7]. Ma in attesa del Godot della pronuncia della Corte cost. o dell’intervento del legislatore che ponga rimedio ai propri avvitamenti con una stabilizzazione non punitiva, in grado di evitare un’ennesima condanna del giudice europeo o una ulteriore procedura di infrazione, lo Stato italiano può rimediare alla violazione del diritto europeo in atto anche con sentenze di Tribunali del lavoro che vadano nel senso del riconoscimento della natura subordinata del rapporto dei giudici onorari con tutte le conseguenze che seguono. Resta la possibilità, in caso di inadempimento, non certamente ideale sotto il profilo della partnership europe e del ruolo di protagonista che l’attuale governo intende avere in Europa, di rimediare affrontando il dovuto risarcimento del danno, che il giudice civile non potrà non concedere, se adeguatamente stimolato, per violazione del diritto europeo. Alterum non datur.
* Ordinanza 29 novembre 2021, giudice Laura Corazza.
[1] Si v. il Tribunale di Palermo, sentenza n. 4488/2021 che declina la sua giurisdizione con una motivazione apparente, neppure succinta «va immediatamente dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adito in favore di quello amministrativo in ossequio al conforme insegnamento della giurisprudenza di legittimità (Cass., S.U., ordinanza n. 21986 del 30 luglio 2021), che in questa sede si condivide espressamente».
[2] Come ricorda R. Calvano, Corte di giustizia, primato del diritto Ue e giudici onorari, in Giustizia insieme, 2021 a seguito della sentenza UX, e a cinque anni dall’archiviazione di un primo caso EU-Pilot ( Procedura Eu Pilot 7779/15/EMPL – DPE 0007062 P-4 22.17.4.5 del 10.6.2016), relativo allo status dei giudici onorari, la Commissione è ora tornata sulla questione, inviando, ai sensi dell’art. 258 TFUE, una lettera di costituzione in mora molto dura al Governo italiano, con la quale si preannuncia l’avvio di una procedura d’infrazione, (procedura n. 2016/4081) chiedendo di uniformare la legislazione nazionale a quella dell’Ue, in quanto il mancato riconoscimento dello status di lavoratori impedisce ai magistrati onorari di beneficiare della protezione offerta nelle direttive 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato; 97/81/CE sul lavoro a tempo parziale; 2003/88/CE sull’orario di lavoro; 92/85/CEE sulle lavoratrici gestanti.
[3] Una approfondita disamina del problema che ha dato luogo alla sentenza della Corte e del merito della stessa, in L. Ciafardini, Sul compenso da riconoscere ai magistrati onorari di lungo corso: aspettando Godot, Consulta Online, 2021. Fasc. III. La complessiva e complessa vicenda della magistratura onoraria è ora ricostruita, sotto il prisma dei principi e delle norme giuslavoristiche, da G. Fontana, Giudici Precari. Il lavoro senza diritti, Rubettino, 2022, di prossima pubblicazione.
[4] Sent. 16 dicembre 2020,
[5] Il problema è posto con eleganza dalla dottrina giuscostituzionalistica che si è occupata del problema: si v. R. Calvano, Corte di giustizia, primato del diritto Ue e giudici onorari, cit.
[6] La questione pregiudiziale, sollevata quasi negli stessi termini di quella già risolta con il caso UX, è incardinata dinanzi alla Corte di giustizia come C-236/20. In essa sono presenti come soggetti intervenienti le principali associazioni dei magistrati onorari italiani, tra cui Assogot e Unigipa.
[7] Si v. in proposito L. Ciafardini, Il restyling prossimo futuro dello status della magistratura onoraria: cosa bolle davvero in pentola, in Giustizia insieme.