La Carta UE in condominio fra Corte costituzionale e giudici comuni. Conflitto armato, coabitazione forzosa o armonico ménage?
a cura di Roberto Giovanni Conti
Interviste a:
Lara Trucco, ordinaria di diritto costituzionale presso l’Università di Genova,
Giuseppe Martinico, associato di diritto pubblico comparato presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa
Vincenzo Sciarabba, associato di diritto costituzionale
Repliche
Giuseppe Martinico
Non ho osservazioni particolari, anche perché credo che l’utilità di un esercizio come questo dipenda dalla brevità delle risposte e non vorrei, quindi, aggiungere troppo. Anche se siamo partiti da tre percorsi diversi ho trovato conferme con riferimento alla necessità di una contestualizzazione dell’obiter dictum “incriminato”, tenendo a mente i recenti chiarimenti della stessa Consulta oltre che - e su questo ho premuto molto - le tendenze comparate provenienti da corti costituzionali sicuramente non euro-scettiche. I timori forse troppo frettolosamente evocati dai primi commentatori a mio avviso sono stati (parzialmente) smentiti; ovviamente ciò non esclude che emergano dei conflitti, ma come ho cercato di ribadire questo non è strano o necessariamente negativo. È la stessa natura dell’ordinamento europeo, del resto, che rende i “contatti” fra interpreti inevitabili, tenendo conto di quelle “trasformazioni” di cui la Corte costituzionale scriveva nella 269. A questo, come anche L. Trucco notava, vanno aggiunte le novità giurisprudenziali provenienti dalla giurisprudenza sovranazionale, specie con riferimento all’utilizzo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Si è cercato anche di chiarire come tale giurisprudenza vada vista come parte della lotta per il primato che la Corte di giustizia ingaggia con i propri “concorrenti” (nazionali e internazionali). Infine, credo che da parte di tutti e tre gli “intervistati” vi sia la tendenza ad allargare il tema del rapporto fra giudici comuni e Corte costituzionale tenendo conto anche del terzo lato del triangolo giudiziale - quello rappresentato dalla Corte di giustizia - secondo un approccio che vede sfumare la distinzione interno/esterno. Questo è in linea, del resto, con la tradizione del diritto costituzionale europeo.
Vincenzo Sciarabba
La prima, duplice impressione - poi confermata anche a seguito di una rilettura più attenta - che ho avuto leggendo le risposte di Lara Trucco e di Giuseppe Martinico è stata quella di una significativa (e molto stimolante) differenza di approccio e, al contempo, di una forte “complementarità” tra le loro riflessioni e le mie.
Senza addentrarsi in un confronto tra le rispettive posizioni (che rischierebbe di tradursi in un’arbitraria “sintesi” e/o in un’usurpazione di ruolo rispetto all’intervistatore, cui spettano le conclusioni), sembra di poter dire che, pur in mancanza di vere e proprie “coincidenze” nelle considerazioni svolte (mai, o quasi mai, sovrapponibili in modo pieno), sono molte le convergenze implicite, tanto nell’interpretazione della giurisprudenza costituzionale, quanto nella ricostruzione delle problematiche di fondo, nelle valutazioni connesse e nei suggerimenti o auspici formulati tra le righe, quando non in modo esplicito.
Difficile pertanto “replicare”. Tra l’altro, le poche e piccole divergenze che, volendo, potrebbero enuclearsi sembrano riguardare essenzialmente questa seconda categorie di riflessioni, legate più a impressioni e preferenze soggettive circa i possibili sviluppi futuri che all’analisi dei dati oggettivi a disposizione (su cui le convergenze di vedute parrebbero pressoché totali). Avrebbe quindi davvero poco senso “controbattere” in modo puntuale a singole affermazioni, potendo semmai risultare utile, ma non certo in questa sede, aprire, o meglio proseguire, una discussione più ampia (quanto all’oggetto) ed allargata (quanto alle voci intervenienti) volta a far emergere e ad approfondire nei relativi “pro” e “contro” le possibili “soluzioni” alle molte questioni tuttora aperte e verosimilmente destinate, almeno per un certo periodo, a trovare in giurisprudenza risposte parziali e, per così dire, fluttuanti.
Lara Trucco
In una sede agile come questa non avrei altre osservazioni particolari da fare, se non rilevare che, nel quadro dei riscontri ottenuti dalla giurisprudenza costituzionale inaugurata dalla sent. n. 269 del 2017, nessuno degli “intervistati” è risultato pregiudizialmente ostile, non essendo stata la svolta della Corte (sempre che di vera e propria “svolta” – e non di “ulteriore passo” – debba parlarsi) deplorata da alcuno (piuttosto, ad es., G. Martinico si rammarica per l’ottica eccessivamente «negativa» assunta da una parte della dottrina).
Semmai, ci si è interrogati, sulle conseguenze interne ed eurounitarie di una tale giurisprudenza, in modo da potercisi in certo modo preparare per tempo, spettando (anche) agli osservatori mettere di essa a fuoco le implicazioni di breve ma pure di lungo termine (sebbene vada condiviso il rilievo di V. Sciarabba circa l’eccessiva vicinanza temporale per rispondere a certe domande, data la mancanza di un numero «nutrito» di decisioni su cui ragionare).
Più in generale, da una prospettiva istituzionale si è guardato con favore all’attivismo ancora una volta dimostrato dalla Corte: e, ciò, in una mutua relazione costruttiva, consapevole dei reciproci imprescindibili ruoli, come la meritoria iniziativa di queste interviste sembra ancora una volta dimostrare.
Conclusioni
Era difficile pensare che i tre costituzionalisti intervistati si sarebbero limitati a delle risposte secche alle domande poste senza offrire una riflessione di sistema sul tema che si è andato sviluppando attorno all’obiter della sentenza n.269/2017 ed ai suoi seguiti.
Così è stato.
Trucco e Martinico, insieme a Sciarabba, si sono così trovati d’accordo sull’idea di fondo della Corte costituzionale e, dunque, sul fatto che lo sfondo costituzionale della Carta UE, reso concreto dall’acquisita vincolatività della Carta (Martinico) e dalla sua valenza parametrica (Trucco) e precettiva quanto a taluni diritti ivi enunciati, è stato reso ancorpiù palpabile vuoi dai riferimenti interni contenuti negli artt.52, par. 4 – ove si dà atto del collegamento di alcuni dei diritti della Carta con le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri – e 53 – quando impedisce che le disposizioni della Carta possa essere interpretate come limitative dei diritti riconosciuti dalle costituzioni degli Stati membri – vuoi da quelli esterni contemplati tanto dall’art.6, par.3, del TUE che dall’art.4, par.2 dello stesso TUE – quando tale ultima disposizione impone all’Unione il rispetto dell’identità nazionale –.
Una partita, dice Martinico, necessariamente trilaterale, nella quale i giudici comuni sono spesso “vittime collaterali dei conflitti fra Corti costituzionali e Corte di Giustizia” ma, al tempo stesso, artefici di un giudizio diffuso di eurounitarietà capace di emarginare il ruolo e la funzione del giudice costituzionale (Trucco).
Fattori questi ultimi che, coniugati all’acquisita propensione della Corte di Giustizia a farsi paladina dei diritti fondamentali eurounitari (Trucco), non potevano lasciare fuori il giudice costituzionale dalla partita.
Ecco che accanto all’ultima parola spettante alla Corte di giustizia sulla portata della Carta UE, non può negarsi alla Corte costituzionale il diritto ad una “prima parola” quanto alla ricostruzione e definizione dei diritti riconosciuti anche all’interno della Costituzione – Sciarabba –.
È peraltro evidente che il primo e l’ultimo, nella prospettiva degli intervistati, non equivale in alcun modo a dire che prevale chi ha l’ultima parola, sembrando anzi che le risposte, intese nel loro complesso, caldeggino una prospettiva parzialmente diversa, pur se essa dovesse condurre ad un “conflitto” fra le Corti.
Come che sia, questa prospettiva finisce col realizzare un mutamento di rotta rispetto al sistema della doppia pregiudizialità fino ad allora predicato dalla stessa Corte costituzionale ed ancora operante rispetto al diritto UE di immediata efficacia diverso dai diritti della Carta UE aventi portata precettiva.
Del resto, la scelta interventista della Corte costituzionale italiana andrebbe ricondotta ad un periodo temporale ancora anteriore e, in particolare, alla decisione di dialogare con la Corte di giustizia per il tramite del rinvio pregiudiziale (ancora Sciarabba), proficuamente sperimentato nella saga Taricco (Martinico e Trucco).
In effetti Sciarabba dà atto del fatto che la Corte di Giustizia spesso demanda al giudice nazionale l’opera di bilanciamento fra diritti fondamentali e da questo sembra trovare una piena legittimazione della Corte costituzionale ad intervenire in materia quando in gioco entra pure la Costituzione. Ed è sempre Sciarabba a condividere la scelta del giudice remittente nel procedimento sfociato con la sentenza n.20/2019, traendone una sorta di principio generale, in forza del quale l’inclusione di questioni e aspetti che “di particolare complessità costituzionale” per di più involgenti implicazioni interordinamentali dovrebbero condurre a prediligere l’intervento della Corte costituzionale.
Il punto di equilibrio, sembra emergere dalle tre posizioni degli intervistati, si troverebbe allora nella possibilità della Corte costituzionale di entrare pienamente a far parte del dialogo a tre.
Il tutto in una prospettiva di “arricchimento degli strumenti di tutela dei diritti fondamentali”, per usare le parole di Corte cost.n.20/2019, con il valore aggiunto rappresentato dall’esistenza di un giudice (quello costituzionale) capace di stoppare l’uso del diritto UE e di quello interno di esso attuativo che si ponga in contrasto con l’impianto costtuzionale.
Sul quando ciò possa o debba accadere le posizioni sembrano convergere sull’idea che ciò debba avvenire “prima” della Corte di Giustizia (Sciarabba e Trucco). Il che sembra voler dire che il giudice comune dovrebbe indirizzarsi verso la Corte costituzionale prima di “andare” a Lussemburgo. Questo secondo Trucco dovrebbe accadere, in via restrittiva, quando emerga il rango costituzionale della questione e dei diritti in gioco ovvero la vocazione costituzionale dell’oggetto del sindacato con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale.
In effetti, è Martinico ad insistere sulla simultaneità dei rinvii (par di capire alla Corte di Giustizia e alla Corte costituzionale, come pure abbiamo provato a prospettare su questa Rivista, Giudice comune e diritti protetti dalla Carta UE: questo matrimonio s’ha da fare o no?, par. 4).
Certo è che nella sentenza n.63/2019 si riconosce espressamente la possibilità del rinvio pregiudiziale “anche dopo” l’incidente di costituzionalità, in guisa da far ritenere che tale rinvio possa avvenire anche prima.
Che questo poi significhi che il giudice comune abbia ancora intatto il potere di disapplicazione potrebbe forse trarsi dalla sentenza n.63/2019 (questa sembra essere l’opinione di Martinico) che, tuttavia, non ha formalmente smentito quanto affermato dall’obiter in ordine alla possibilità che al giudice nazionale sia inibito il potere di disapplicazione in caso di scelte politiche discrezionali adottate dal legislatore nazionale in attuazione del diritto UE.
Quanto all’esistenza di un criterio qualitativo teso ad orientare la scelta del giudice comune fra l’immediata applicazione – eventualmente mediata dall’intervento della Corte di Giustizia – del parametro Carta UE o il rinvio alla Corte costituzionale già Mastroianni, nella precedente intervista, aveva offerto un’indicazione di massima, correlata all’esistenza o meno di un ambito di discrezionalità al legislatore interno che abbia attuato la disciplina UE.
Anche su questo potrebbe giungere qualche risposta dalla Corte costituzionale.
In questa direzione non andrebbe sottovalutato, per l’un verso, che il margine di apprezzamento che la Corte di giustizia riconosce al giudice comune quando allo stesso demanda di applicare i principi espressi in sede di decisione pregiudiziale – e questo sembra essere stato il caso esaminato dal giudice a quo nella vicenda dalla quale è poi scaturita Corte cost.n.20/2019 – nulla ha a che fare con la discrezionalità riservata al legislatore interno in sede di attuazione del diritto UE.
Per altro verso, non può sottacersi che anche nelle ipotesi in cui vi sia un certo margine di operatività in favore dei legislatori interni sulle modalità attuative di una previsione UE il metro da utilizzare per ponderare la compatibilità della disciplina di attuazione rimane pur sempre la Carta UE, a pena di mettere a rischio l’unità che essa intende garantire a livello europeo. La copertura offerta dalla Carta UE non sembra potere ammettere riconoscimenti frammentati a seconda dello Stato in cui essa viene applicata. Diversamente opinando, si dovrebbe giungere a riconoscere che la Carta stessa possa operare in maniera discontinua all’interno dell’UE. Il che non sembrerebbe possibile, dovendosi per contro riconoscere sicuramente che a livello dei singoli Paesi possa essere offerta, anche per il tramite della Corte costituzionale, una protezione maggiore di quella garantita dalla Carta UE proprio in forza della più estesa tutela garantita a livello costituzionale.
Non è ben chiaro se, poi, il sindacato del giudice comune e quello della Corte costituzionale siano in tutto o in parte sovrapponibili, risultando scontata la diversità di effetti.
L’elemento unificatore è senz’altro rappresentato dalla possibilità di entrambi di adire la Corte di giustizia e, quindi, di doversi conformare a quanto dalla stessa affermato – almeno tendenzialmente –.
Più incerto sembra il terreno se si passa a scrutinare la tipologia di intervento.
Quello del giudice comune sembra a Sciarabba più semplice e meno articolato, a fronte di quello – richiesto al – del giudice costituzionale che, se investito dal giudice comune, avrebbe il compito di confrontarsi prima di tutto con la Costituzione – recte, con il diritto previsto in Costituzione e contemplato pure dalla Carta UE – per poi passare all’opera di bilanciamento fra valori o “scelta” fra le diverse opzioni risultanti dalle Carte in gioco che, quando richiesta o emersa, rappresenterebbe il cuore pulsante dell’intervento della Consulta, in questa direzione orientando la sentenza n.20/2019.
Il terreno sembra ai tre studiosi ancora bisognoso di assestamenti, poiché malgrado i tentativi di sistematizzare e ordinare i meccanismi di ingaggio fra giudice comune, Corte di giustizia e Corte costituzionale, permane l’impressione che l’obiter della sentenza n.269/2017 continuerà a suscitare incertezze.
Lo si è visto, del resto, commentando le interviste degli studiosi del diritto dell’Unione europea, indirizzate soprattutto a valorizzare la portata della sentenza n.63/2019 che, nella visione dei tre docenti qui riportata viene, almeno in parte, ridotta di rilevanza e quasi declassata a mera precisazione di qualcosa che nemmeno la sentenza n.269/2017 avrebbe in effetti voluto affermare.
Il passaggio dall’obiter della sentenza n.269/2019 alle conclusioni espresse dalla sentenza n.63/2019 sembra evidente e vistoso, come puntualmente sottolineato da Sciarabba. Il che, probabilmente, dà senso e sostanza alle note critiche della prima ora all’obiter.
Per capire le ragioni di questa sterzata non sembra inutile, d’altra parte, “misurare il polso” della Corte di Giustizia – Corte giust., Prima Sez., 20 dicembre 2017,Global Starnet; Grande Sez., 24 ottobre 2018, XC, YB e ZA c. Austria, e 22 gennaio 2019, Cresco Investigation GmbH c. Markus Achatzi– e della Corte di Cassazione, a partire dall’assai nota Cass.(ord.) n.3831/2018 fino alle più recenti Cass., (ord.)n.451/2019 ord.n.2964/2019 , (sent.)n.12108/2018, (ord.)n.13678/2018–
Resta in ogni caso da chiedersi se l’operazione imbastita dall’obiter si risolverà in un boomerang per chi l’ha pensata, ovvero produrrà effetti virtuosi.
Non può sottacersi che la “copertura costituzionale” indirettamente riconosciuta dalla Corte costituzionale alla Carta UE potrebbe inconsapevolmente farne aumentare l’uso diretto o indiretto, dentro e fuori il diritto UE, superando lo stesso confine che più volte la stessa Corte di Giustizia ha fissato, proprio sulla base delle regole di ingaggio previste all’interno della Carta. Ciò ha un che di positivo nella prospettiva di uniformazione delle fonti, ma sembra parimenti aprire le porte a quel pericolo di eccessivo e disinvolto uso della Carta che si era inteso eliminare dall’obiter. Sarebbe dunque ben possibile che anche le questioni interne possano rimanere “attratte” sul piano ermeneutico e sempre più “contaminate” dall’interpretazione che la Corte di giustizia dà del parametro riproduttivo, in tutto o in parte, del diritto protetto in Costituzione.
Conclusione, quest’ultima, che proprio la Corte costituzionale aveva inteso, tra le altre, scongiurare con l’obiter in ragione di una più o meno espressamente manifestata sfiducia nei confronti del giudice comune.
Come che sia, rimane l’ampiezza di poteri che la Corte costituzionale ha deciso di nuovamente riconoscere al giudice comune – recte, di non escludere – dapprima con la sentenza n.20/2019 – laddove ha specificamente riconosciuto la possibilità di operare il rinvio pregiudiziale anche per le medesime ragioni che l’avevano indotto a rivolgersi previamente alla Corte costituzionale – e poi, ancora più nettamente, con la sentenza n.63/2019, ammettendo il sindacato disapplicativo da parte di quello stesso giudice.
D’altra parte, la Corte costituzionale sembra riconoscere che quando essa maneggerà la Carta UE non potrà pretendere alcun vincolo giuridico di osservanza rispetto alle sue decisioni da parte del giudice comune se non a livello di moral suasion.
Dunque la Corte ammette il conflitto e lo giustifica, sapendo che secondo le regole d’ingaggio del diritto UE il contrasto fra diritto UE e Costituzione non determina la soccombenza del primo in favore della seconda, fuori dai controlimiti.
Da qui qualche dubbio permane.
Era proprio necessario certificare che la Corte costituzionale, quando maneggia la Carta UE, non è l’interprete ma soltanto un interprete, sia pure di straordinaria autorevolezza? Era proprio assolutamente indispensabile aprire una stagione di possibili contrasti in un sistema giustizia già al collasso, capace di postergare la soluzione a tempi remoti, mettendo a rischio il principio di effettività principio dell’effettività della tutela giurisdizionale in caso di decisioni confliggenti ( si pensi all’ipotesi, che pure Sciarabba sembra tenere in considerazione, di un primo passaggio negativo alla Corte costituzionale scelta in prima battuta al quale dovesse seguire un rinvio pregiudiziale dello stesso giudice che si concluda con esito opposto )? Quesiti che sarebbe davvero proficuo rivolgere direttamente al giudice costituzionale.
Ad ogni modo, al netto delle questioni, ancora da risolvere, sull’an e sul quando operare il rinvio alla Corte costituzionale, rimane il fatto che il riconoscimento della possibilità offerta al giudice comune di rinviare alla Corte di giustizia la questione pregiudiziale e/o di sollevare questione di costituzionalità, unitamente al permanente potere disapplicativo, sembra riportare il giudice comune al ruolo “naturale” che lo stesso aveva all’interno del sistema del diritto dell’Unione europea, a questo tuttavia affiancandosi l’intervento della Corte costituzionale, ove richiesto dallo stesso giudice comune.
Se davvero questa fosse la prospettiva del giudice costituzionale, non dovrebbe destare particolare apprensione la decisione espansiva espressa dalla Corte costituzionale (sent.n.20/2019) in caso di violazione di norme di diritto derivato comunque espressive – per dirla con A. Ruggeri, La Consulta rimette a punto i rapporti tra diritto eurounitario e diritto interno con una pronunzia in chiaroscuro (a prima lettura di Corte cost. sent. n. 20 del 2019), – di una intrinseca carica assiologica, in quanto legate da una “singolare connessione” con la Carta stessa. Anche in questo caso la Corte costituzionale si è mossa su una linea individualmente (e soggettivamente) scelta dal giudice remittente, senza ritenerla affatto obbligata.
Il che, certo, amplia la competenza in astratto della Corte costituzionale – con il sindacato demolitorio in caso di accoglimento della questione – senza tuttavia scalfire quella del giudice comune, così ponendosi su quella prospettiva di leale cooperazione che va senz’altro approfondita e nei fatti praticata, oltre che predicata.
Certo, oggi il ruolo sulle spalle del giudice comune appare enormemente più pesante ed oneroso, poiché si va delineando in modo palpabile e mettendo a fuoco la difficoltà del “giudicare del terzo millennio”. Quella che, infatti, secondo Sciarabba dovrebbe essere una connotazione tipica del giudizio di costituzionalità quando entrano in gioco la Carta UE, i suoi bilanciamenti interni e quelli esterni con altri valori costituzionali, non pare proprio che si differenzi dal compito ricadente sul giudice comune del diritto UE investito della causa, salvo ovviamente che per le diverse conseguenze derivanti dalle due tipologie di sindacato.
Sembra, infatti, che il giudice comune sarà chiamato a svolgere operazioni non dissimili da quelle alle quali è chiamato il giudice costituzionale senza potere avvantaggiarsi della tecnica dell’assorbimento, spesso utilizzata dalla Corte costituzionale nel vagliare il parametro sollevato dal giudice a quo ed invece procedendo su un crinale che guarda ai contenuti delle Carte nella prospettiva già tracciata da Corte cost.n.388/1999. Un giudice dei tre cappelli, investito per funzione e non per scelta del compito di armonizzare le Carte dei diritti nazionali e sovranazionali più note nel caso posto al suo vaglio, con tutti i problemi di scelta del parametro sul quale altra volta si è provato a riflettere – An, quomodo e quando del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia quando è 'in gioco' la Carta dei diritti fondamentali UE. Riflessioni preoccupate dopo Corte cost. n. 269/2017 e a margine di Cass. n. 3831/2018 –.
Certo, quanto fin qui detto non coinvolge il giudice comune sul tema della c.d. anima politica della Corte costituzionale pure sollecitato in una delle domande poste, alla quale i tre interlocutori hanno offerto risposte misurate. Misura, del resto, pienamente comprensibile se si pensa a quanto, proprio in questi giorni, le decisioni dei giudici comuni vengano esse stesse bollate come politiche se invise al Governo di turno.
Un tema, dunque, quello della politicità delle decisioni, che a ben considerare paradossalmente coinvolge, unisce ed avvicina giudice comune e giudice costituzionale.
Rimane però il fatto che sia proprio il confronto fra Corte costituzionale e Corte di giustizia, giocato sul terreno delle tradizioni costituzionali e del rinvio pregiudiziale, a costituire il vero banco di prova sul quale misurare la portata della Carta UE e la sua capacità di offrire uno standard di tutela necessariamente sganciato dai singoli ordinamenti costituzionali interni.
È, del resto, la storia stessa dei diritti fondamentali in ambito comunitario, creati dalla Corte di giustizia attingendo proprio alle tradizioni costituzionali comuni dei Paesi membri ed ai trattati internazionali che contemplano i diritti umani (ivi compresa la CEDU) a dimostrare che l’opera uniformatrice della Corte di giustizia ha costituito l’asso vincente per l’affermazione di valori sganciati dalle carte costituzionali di provenienza e perciò condivisi all’interno della Comunità, oggi divenuta Unione. Opera che, come ricorda Lara Trucco, non si è arrestata nemmeno dopo l’avvento della Carta UE, anche di recente interpretata come direttamente capace di operare nei rapporti tra privati.
Ed è proprio la portata dei parametri della Carta UE e del Trattato già ricordati ed indicati come dimostrativi di un ritorno ai sistemi di giustizia costituzionale interni (Trucco) a dovere costituire uno dei tratti di maggiore interesse ed attenzione per il giudice, costituzionale e non.
Ma è davvero presto per prendere delle conclusioni diverse da quella che chiama fin d’ora i giudici comuni ad un’attività di responsabilizzazione ulteriore sul loro ruolo nell’ambito della protezione dei diritti fondamentali.
Ed in questa prospettiva l’apporto generoso ed entusiasta fornito da Trucco, Sciarabba e Martinico pare di straordinario valore, costituendo come hanno coralmente riconosciuto i tre studiosi un solido punto di partenza per alimentare le riflessioni tra i diversi protagonisti, in una prospettiva di persistente e leale cooperazione.
Roberto Giovanni Conti
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