ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
"Fare (dello stato) di necessità, virtù”. Il decreto Pres. Cons. Stato n. 134/2020 visto dal Garante della privacy
di Piergiuseppe Otranto
Sommario: 1. Premessa. - 2. Il quadro normativo di riferimento. - 3. L’ “udienza da remoto” e la piattaforma prescelta. - 4. Il consenso al trattamento dei dati personali. - 5. Il digital divide cognitivo. - 6. Considerazioni di sintesi.
1. Premessa
Il 22 maggio 2020 il Presidente del Consiglio di Stato ha adottato il decreto n. 134 recante “regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico, nonché per la sperimentazione e la graduale applicazione dei relativi aggiornamenti”.
In questa sede si svolgeranno alcune considerazioni sulle questioni giuridiche di maggior rilievo che rinvengono dall’analisi del parere – n. 88 del 19 maggio 2020 – reso dal Garante per la protezione dei dati personali sullo schema di decreto.
2. Il quadro normativo di riferimento
L’art. 4, comma 1, del d. l. n. 28 del 30 aprile 2020, ha disposto che nel processo amministrativo, a partire dal 30 maggio e fino al 31 luglio 2020, la trattazione delle cause possa esser svolta non solo in forma “cartolare” (con il deposito di “note di udienza”), ma anche attraverso una discussione orale “mediante collegamento da remoto”[1].
La norma primaria, in particolare, dispone che la trattazione a distanza debba svolgersi secondo modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei difensori all’udienza e a garantire, altresì, “la sicurezza e la funzionalità del sistema informativo della giustizia amministrativa e dei relativi apparati”.
Il successivo comma 2 rimette ad un decreto del Presidente del Consiglio di Stato l’individuazione delle “regole tecnico-operative per la sperimentazione e la graduale applicazione degli aggiornamenti del processo amministrativo telematico”, ma “nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente” [2].
La norma primaria, tuttavia, – ed è questo un profilo che meriterebbe un approfondimento adeguato – nella parte in cui affida al Presidente del Consiglio di Stato, la definizione di regole tecniche che assicurino “il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei difensori all’udienza”, rimette alla valutazione discrezionale dell’organo di vertice della Giustizia amministrativa il compito di determinare regole idonee ad incidere su aspetti fondamentali delle garanzie previste ex artt. 24 e 111 Cost. e sulla stessa riserva di legge in materia processuale.
Le disposizioni di legge, dunque, tracciano un cammino quasi obbligato per i vertici della Giustizia amministrativa: predisporre celermente (ed evidentemente ben prima del 30 maggio) regole tecniche che consentano lo svolgimento del processo da remoto, garantiscano il diritto di difesa ed il contraddittorio oltre che la “sicurezza del sistema”, con la consueta clausola di invarianza finanziaria.
È mancato, in concreto, il tempo sufficiente per approfondire, sotto il profilo tecnico e giuridico, gli effetti delle soluzioni tecnologiche astrattamente configurabili: a partire dal 30 maggio, la trattazione delle cause da remoto costituirà un diritto delle parti del processo con buona pace della gradualità e della attenta ponderazione dei risultati che sono proprie di ogni vera “sperimentazione”.
Il cambio epocale che, senza grande clamore, si introduce nel processo, deve avvenire, poi, in assenza di una dotazione finanziaria adeguata (recte di una qualsivoglia dotazione finanziaria).
Un cambio che il legislatore vuole sia implementato, in pochi giorni, con i mezzi e con il personale già a disposizione della giustizia amministrativa.
Un intreccio di obblighi stringenti e ritmi serrati nel quale il Consiglio di Stato – nel dialogo con l’Autorità garante – è stato chiamato a districarsi, individuando una soluzione che, tuttavia, dovrebbe auspicabilmente essere solo temporanea e legata alla situazione emergenziale.
Le considerazioni appena svolte non possono esser trascurate nell’analisi del parere reso sullo schema di decreto dal Garante per la protezione dei dati personali.
3. L’ “udienza da remoto” e la piattaforma prescelta
Il Garante non manca di ricordare che la celebrazione da remoto delle udienze esige una disciplina tecnica fino ad ora non prevista.
In altri termini, non si tratta di migliorare soluzioni tecniche già implementate nell’ambito del processo amministrativo, ma di introdurre in pochi giorni nuove tecnologie e modalità operative per lo svolgimento dell’udienza, per di più senza ulteriori oneri finanziari e nel rispetto di principi tassativamente indicati.
Tenendosi conto che i dispositivi in dotazione ai magistrati utilizzano il sistema operativo e gli applicativi della Microsoft, non sorprende che la scelta sia ricaduta su “Teams”[3], applicazione – ricompresa nel pacchetto “Office 365” del colosso di Palo Alto – attraverso cui gli utenti interagiscono online in uno spazio di lavoro ove è possibile condividere file e comunicare attraverso video-chiamate, chiamate vocali, messaggi.
Si tratta, quindi, di un software di tipo “proprietario” del quale non è noto il codice sorgente, cioè quell’insieme di istruzioni tecniche che, scritte in un linguaggio di programmazione, traducono l’algoritmo in una procedura computazionale intellegibile dalla macchina.
La mancata conoscibilità dell’algoritmo e del codice sorgente – sovente protetti come segreti commerciali – rende, così, non pienamente intellegibili e note le operazioni svolte dal software.
Accanto ai programmi a “codice sorgente chiuso”, esistono software open source il cui codice sorgente è pubblicato e può, a determinate condizioni, essere studiato, modificato, utilizzato e redistribuito[4].
È evidente che il principio di trasparenza dovrebbe sospingere le Amministrazioni ad utilizzare sempre software open source[5] di tal che si possa verificare la conformità al principio di legalità dell’azione realizzata attraverso il programma ed i cittadini possano essere pienamente edotti delle reali modalità di funzionamento di quegli applicativi che sempre più spesso utilizzano dati personali[6] e, da ultimo, finanche adottano (o suggeriscono il contenuto di) decisioni automatizzate[7].
Sotto altro profilo, occorre precisare che l’applicazione Teams si regge su una architettura cloud e dunque l’archiviazione ed il trattamento dei relativi dati avvengono su server controllati da Microsoft e non dall’utilizzatore finale[8]. Nel modello c.d. on premises, di contro, i dati sono archiviati su infrastrutture gestite o comunque controllate direttamente dal soggetto interessato.
È evidente che la disponibilità e la sicurezza del dato “pubblico” risultano maggiormente garantite da soluzioni on premises che, tuttavia, hanno costi notevolmente superiori rispetto a quelle cloud.
Sicché, come spesso accade, si registra uno iato tra “ciò che dovrebbe essere” e “ciò che è” e le Amministrazioni utilizzano quasi esclusivamente sistemi operativi e software a codice sorgente chiuso che si reggono su architetture cloud, ignare dei possibili effetti pregiudizievoli di tali scelte anche su diritti costituzionalmente garantiti.
Nell’argomentare dell’Autorità questi profili critici appaiono delineati ed immediatamente messi in rilievo.
Ed in vero, nell’incipit della parte argomentativa del parere, il Garante auspica che, una volta cessata l’emergenza sanitaria, “si adotti una piattaforma interna, gestita dagli (o sotto lo stretto controllo degli) organi di Giustizia amministrativa. Più in dettaglio, la disponibilità di software open source di affidabilità ed accuratezza del tutto comparabili ai migliori prodotti industriali offre il non trascurabile vantaggio di prestarsi a implementazioni di tipo on premises (quindi su datacenter e reti della Giustizia amministrativa) o comunque su infrastrutture gestite anche collettivamente da o con altre amministrazioni pubbliche”.
Tale auspicio si salda con la condivisibile preoccupazione che l’uso della piattaforma Microsoft Teams possa comportare flussi transfrontalieri di dati (anche verso Paesi extra europei)[9] in ragione dell’assoggettamento di Microsoft alla disciplina statunitense del “Cloud Act”[10].
La legge federale USA, infatti, dispone in capo al prestatore di servizi cloud avente sede negli Stati Uniti l’obbligo di copiare e rendere disponibili alle autorità di quel Paese ogni comunicazione elettronica ed ogni altro dato posseduto e relativo ai propri utenti, indipendentemente dal luogo ove tali comunicazioni o dati siano conservati[11].
Secondo il Garante, il rischio che le autorità USA realizzino un trattamento di dati personali non conforme alla disciplina europea sarebbe limitato alle informazioni relative all’identità delle parti coinvolte nell’udienza che verrebbero registrate nei “sistemi di autenticazione Microsoft e poi conservat[e] per finalità e per tempi previsti nelle privacy policy aziendali”[12].
Sembra cogliersi, tuttavia, “in filigrana” il dubbio che anche altri dati relativi allo svolgimento dell’udienza possano essere conservati da Microsoft (e quindi esser disponibili per le Autorità nordamericane).
Proprio la natura di software a codice sorgente chiuso, infatti, non consente di avere piena contezza del funzionamento dell’applicazione e, ad esempio, dell’eventuale registrazione della sessione (nel nostro caso coincidente con l’udienza) da parte del proprietario della piattaforma.
Sicché prudentemente il Garante osserva che “secondo quanto riferito dal Consiglio di Stato, in assenza di registrazione delle udienze e di scambi di messaggi su chat interna (condivisibilmente esclusi dallo schema di decreto), il provider delle videoconferenze non acquisirebbe alcun dato personale al di fuori dei metadati della videoconferenza (identificativi per l’autenticazione coincidenti con gli indirizzi email, indirizzi IP delle postazioni connesse, data e ora della connessione)”.
Stante il divieto di registrazione delle udienze (e dell’uso di messaggistica istantanea), sancito dall’art. 2, comma 11 del decreto[13], secondo l’Autorità garante il ricorso al sistema Microsoft Teams appare ammissibile “nell’attuale contesto emergenziale”.
Il parere cautamente positivo dell’Autorità si fonda anche sul rilievo per il quale “invece le camere di consiglio decisorie [sarebbero] svolte di norma in audioconferenza”.
Il rischio di registrazioni dell’udienza ad opera del gestore della piattaforma (Microsoft) aleggia come un “non detto” o, se si vuole, come un rischio “da ignoto tecnologico”, insito nella scelta di utilizzare un sistema proprietario per sua natura opaco.
Sembra, tuttavia, che, nell’argomentare del Garante, il momento della decisione giurisdizionale debba esser assistito da opportune ulteriori cautele se “invece” le camere di consiglio decisorie si svolgono “di norma in audioconferenza”.
A ben vedere, però, il decreto del Presidente del Consiglio di Stato dispone che per la camera di consiglio decisoria possano essere utilizzate in alternativa due distinte modalità: la “call conference, attraverso il servizio di audioconferenza, utilizzando gli apparati telefonici in dotazione ai magistrati della Giustizia amministrativa” ovvero una riunione virtuale attraverso la piattaforma Teams “con il divieto di utilizzare la messaggistica interna alla piattaforma e la funzione di invio di file”[14].
Diversamente da quanto ci si sarebbe potuti attendere dalla lettura del parere, nel decreto non ricorre alcuna indicazione in ordine alla tecnologia preferibile per lo svolgimento delle camere di consiglio decisorie (call conference) essendo la relativa scelta organizzativa rimessa alla discrezionalità dei magistrati.
4. Il consenso al trattamento dei dati personali
L’art. 4, comma 1, d.l. n. 28/2020 dispone che durante l’udienza telematica “si dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta l’identità dei soggetti partecipanti e la libera volontà delle parti, anche ai fini della disciplina sulla protezione dei dati”.
Il consenso allo svolgimento dell’udienza da remoto, tuttavia, non può dirsi realmente libero. Ed infatti, in assenza di una piena ed assoluta chiarezza in ordine ai profili sopra richiamati – e relativi al funzionamento della piattaforma, all’archiviazione dei dati generati ed all’uso degli stessi – la volontà delle parti non è pienamente “libera” (in quanto consapevolmente formata), ma pare piuttosto condizionata da una incolmabile asimmetria informativa.
La “libera volontà delle parti” pare, così, più una fideistica (e quasi inevitabile) adesione all’istanza formulata da un’altra parte o – a più forte ragione – alla decisione del Collegio.
L’opacità del funzionamento della piattaforma, simmetricamente, fa sì che anche l’eventuale opposizione alla discussione da remoto – ammessa dall’art. 4, comma 1, d.l. n. 28/2020, ma solo nei casi in cui la discussione da remoto sia sollecitata su istanza di parte e non quando sia disposta d’ufficio – si possa fondare non già su puntuali ragioni tecniche ma, piuttosto, su argomenti relativi a potenziali violazioni di principi (quali ad esempio il principio di riservatezza dei dati personali, di trasparenza dell’azione amministrativa, di effettività del diritto di difesa, del giusto processo) rilevanti per l’ordinamento nazionale anche alla luce dei beni noti processi di integrazione europea.
Tuttavia, ove si ponga mente alla circostanza che l’ammissibilità della discussione da remoto si fonda su una norma primaria che ha rimesso a un decreto del presidente del Consiglio di Stato l’individuazione delle soluzioni tecniche e, quindi, anche la scelta della piattaforma, può facilmente ipotizzarsi che eventuali (coraggiose, verrebbe da dire) opposizioni fondate sui principi generali siano destinate ad esser disattese.
Sotto altro profilo, l’art. 4, comma 1, del d.l. n. 28/2020 prevede che a verbale sia acquisita una dichiarazione dei partecipanti in relazione alla loro “libera volontà anche ai fini della disciplina sulla protezione dei dati personali”.
A tal proposito il Garante ha osservato che la volontà espressa in relazione allo svolgimento dell’udienza secondo peculiari modalità, “non deve essere sovrapposta con i presupposti di liceità del trattamento che, nel caso di specie, sono rinvenibili negli artt. 6, par. 1, lett. e), 9, par. 2, lett. g), e 10 del G.D.P.R.”[15].
In altri termini, la liceità del trattamento non deriva dalla volontà espressa dall’interessato, ma direttamente dalla necessità di eseguire “un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento” (art. 6, par 1, lett. e)[16].
Secondo il Garante sarebbe stato opportuno che il decreto prevedesse l’informativa sul trattamento dei dati personali contestualmente all’avviso di avvenuto deposito di un’istanza di discussione da remoto (art. 2, comma 3 del decreto) “al fine di consentire alle parti una consapevole valutazione anche sotto il profilo della protezione dati, in ordine alla scelta sull’opportunità di presentare o meno opposizione”.
Tale suggerimento non è stato recepito, sicché l’avvertimento che la celebrazione dell’udienza da remoto comporta il trattamento dei dati personali “anche da parte del gestore della piattaforma” viene formulato nella comunicazione di fissazione dell’udienza (art. 2, comma 5), che comunque precede il momento in cui l’interessato effettivamente si autentica su Teams.
Anche sotto il profilo sostanziale, qualora l’informativa (ex artt. 13 e 14 G.D.P.R.) sul trattamento dei dati nelle udienze da remoto fosse già presente sul sito della Giustizia amministrativa (e dunque consultabile liberamente finanche prima dell’invio dell’avviso di avvenuto deposito ex comma 3), non pare che l’attuale disciplina comporterebbe un pregiudizio significativo per gli interessati.
5. Il digital divide cognitivo
Nel parere si sottolinea la necessità di utilizzare correttamente il sistema per evitare che possano prender parte alle udienze soggetti non autorizzati, quali ad esempio soggetti che abbiano titolo per partecipare a udienze precedenti o successive.
In proposito, l’art. 3, comma 4, dell’allegato 3 al decreto dispone che tutti coloro che vengono ammessi a partecipare a un collegamento da remoto in videoconferenza “terminata la discussione della causa (…) non abbandonano la riunione virtuale in autonomia, ma attendono di esserne rimossi”. Sembra, dunque, che spetti all’ufficio curare tanto l’ammissione alla riunione virtuale, quanto la rimozione dalla stessa, sicché appare particolarmente opportuno l’invito dell’Autorità a adottare iniziative volte alla formazione del personale.
Ma anche sul punto la clausola di invarianza finanziaria finisce per attribuire ai vertici degli uffici della Giustizia amministrativa l’arduo compito di rinvenire nelle pieghe dei bilanci i fondi necessari a realizzare adeguati percorsi formativi a beneficio del personale.
Il digital divide cognitivo, infatti, come quello infrastrutturale, costituisce un ostacolo significativo per un uso efficace e consapevole delle tecnologie.
Con sempre maggior frequenza l’esercizio di diritti fondamentali, anche costituzionalmente garantiti, presuppone l’uso esclusivo della rete internet e di software specifici. Tali diritti possono essere in concreto esercitati solo qualora esista un’infrastruttura di telecomunicazione diffusa ed efficiente e qualora gli interessati non solo abbiano dispositivi hardware compatibili con i software utilizzati, ma siano in possesso di competenze culturali adeguate.
Sulla scorta del dettato dell’art. 97 Cost. e delle riflessioni anche risalenti della dottrina amministrativistica, per tal via il profilo dell’organizzazione amministrativa si salda con quello dell’azione, in un disegno finalizzato all’imparzialità e al buon andamento dei pubblici poteri.
Diviene, così, ineludibile un vasto programma di formazione (almeno) del personale pubblico, onde conseguire la piena ed effettiva attuazione dei diritti di cittadinanza digitale in particolare, nel caso che ci occupa, del diritto di difesa innanzi al Giudice amministrativo in un processo nel quale vivano pienamente le regole del contraddittorio, con le opportune garanzie di riservatezza.
Nella prospettiva del necessario superamento del digital divide cognitivo non pare convincente la disposizione dell’art. 3, comma 4, dell’allegato 3 al decreto ove si afferma che “la Giustizia amministrativa non fornisce alcuna assistenza tecnica ai soggetti ad essa estranei che partecipano alle udienze e, pertanto, spetta ad essi la preventiva verifica della funzionalità del collegamento telematico dalla propria sede”.
Si è ben consapevoli del carico di lavoro che grava gli uffici della Giustizia amministrativa. Pur tuttavia, considerata la repentina introduzione della disciplina dell’udienza “da remoto”, sarebbe auspicabile almeno la predisposizione di linee guida o tutorial a beneficio dei soggetti (diversi dai magistrati) chiamati a partecipare al “nuovo” processo amministrativo.
Superato il periodo emergenziale, dovranno esser realizzate – anche d’intesa con le associazioni che rappresentano l’avvocatura – opportune iniziative di formazione, per evitare che, dal processo amministrativo telematico e in particolare dalle udienze da remoto, restino di fatto esclusi avvocati che – magari solo per ragioni anagrafiche o per una certa avversione alle tecnologie – non abbiano una sufficiente dimestichezza con i nuovi applicativi ma che, non di meno, sono portatori di un sapere del quale, attraverso un proficuo scambio di vedute, da sempre si alimenta la stessa giurisdizione.
6. Considerazioni di sintesi
Come si è osservato, dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato emergono numerosi profili critici meritevoli di quella ponderazione e quell’approfondimento tecnico-giuridico che, nelle condizioni date, è stato possibile svolgere solo parzialmente.
Anzitutto occorrerà riflettere sulla legittimità costituzionale della scelta operata dal legislatore di rimettere ad un atto regolamentare la definizione di aspetti che, attraverso norme di carattere tecnico, sono idonei a incidere su diritti fondamentali, sovente coperti da riserva di legge, come nel caso del principio del giusto processo.
In considerazione, tuttavia, dell’esiguo tempo a disposizione e della clausola di invarianza finanziaria che sovrastano tutto il disegno riformatore del processo amministrativo prefigurato dal legislatore, i vertici della Giustizia amministrativa hanno assolto al compito affidato attraverso soluzioni che, in una situazione emergenziale – e non oltre – paiono accettabili.
D’altra parte, l’esigenza ineludibile di una risposta di carattere emergenziale dell’ordinamento in presenza di eventi straordinari trova fondamento anche nelle riflessioni teoriche sullo “stato di necessità” come fonte del diritto sviluppate sin da epoca anteriore all’introduzione della disciplina positiva della decretazione d’urgenza[17].
Consapevole del proprio ruolo di garante di diritti fondamentali del cittadino ma, non di meno, di Autorità che opera nell’ordinamento generale e che – sempre nell’osservanza della legge – alle repentine evoluzioni dello stesso è chiamata ad adattarsi, il Garante per la protezione dei dati personali ha reso un parere nel quale adombra appena i profili più problematici della disciplina regolamentare introdotta, lasciando chiaramente intendere, tuttavia, che il proprio giudizio (che può dirsi cautamente positivo) trova un solido fondamento nell’esigenza, unitariamente avvertita dall’ordinamento, di far fronte all’emergenza sanitaria.
Le indicazioni di maggior rilievo, per tale ragione, si colgono nel riferimento ottativo alle azioni da porre in essere allorquando la situazione emergenziale sarà cessata: l’ordinamento dovrà dotarsi di regole che prevedano l’utilizzo di software open source e che siano fondati su data center e reti gestiti direttamente dalla Giustizia amministrativa o comunque da pubbliche amministrazioni, abbandonando soluzioni che, cessata l’emergenza, parrebbero di dubbia legittimità.
Non resta che auspicare che, per allora, il legislatore non chiami il sistema della Giustizia amministrativa (e, in parte qua, l’avvocatura) ad affrontare in solitudine la transizione epocale verso il “processo da remoto”, lasciandolo sguarnito di uomini e di mezzi adeguati alla complessità dell’obiettivo perseguito.
[1] “A decorrere dal 30 maggio e fino al 31 luglio 2020 può essere chiesta discussione orale con istanza depositata entro il termine per il deposito delle memorie di replica ovvero, per gli affari cautelari, fino a cinque giorni liberi prima dell’udienza in qualunque rito, mediante collegamento da remoto con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei difensori all’udienza, assicurando in ogni caso la sicurezza e la funzionalità del sistema informatico della giustizia amministrativa e dei relativi apparati e comunque nei limiti delle risorse attualmente assegnate ai singoli uffici. L’istanza è accolta dal presidente del collegio se presentata congiuntamente da tutte le parti costituite. Negli altri casi, il presidente del collegio valuta l’istanza, anche sulla base delle eventuali opposizioni espresse dalle altre parti alla discussione da remoto. Se il presidente ritiene necessaria, anche in assenza di istanza di parte, la discussione della causa con modalità da remoto, la dispone con decreto. In tutti i casi in cui sia disposta la discussione da remoto, la segreteria comunica, almeno un giorno prima della trattazione, l’avviso dell’ora e delle modalità di collegamento. Si dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta l’identità dei soggetti partecipanti e la libera volontà delle parti, anche ai fini della disciplina sulla protezione dei dati personali. Il luogo da cui si collegano i magistrati, gli avvocati e il personale addetto è considerato udienza a tutti gli effetti di legge. In alternativa alla discussione possono essere depositate note di udienza fino alle ore 9 antimeridiane del giorno dell’udienza stessa o richiesta di passaggio in decisione e il difensore che deposita tali note o tale richiesta è considerato presente a ogni effetto in udienza. Il decreto di cui al comma 2 stabilisce i tempi massimi di discussione e replica”.
[2] L’art. 4, comma 2, del d. l. n. 28 del 30 aprile 2020, ha sostituito l’art. 13, comma 1, dell’allegato 2 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, disponendo: “Con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri competente in materia di trasformazione digitale e gli altri soggetti indicati dalla legge (…) sono stabilite, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, le regole tecnico-operative per la sperimentazione e la graduale applicazione degli aggiornamenti del processo amministrativo telematico”.
[3] Art. 2, comma 2, lett. b dell’allegato 3 al decreto.
[4] Secondo Corte cost., sentenza 26 marzo 2010, n. 122 in Foro it., 2010, I, 2650, «un programma open source è un software che il creatore ha deciso di mettere a disposizione degli altri utenti, autorizzandoli a studiare il codice sorgente, a modificarlo e a ridistribuirlo liberamente, sia pure con le limitazioni che le parti possono pattuire nell’ambito dell’autonomia negoziale».
[5] La propensione dell’ordinamento verso l’uso di software aperto da parte dell’Amministrazione emerge, ad esempio, dalla disciplina dettata dagli artt. 68 e 69 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82. Si tratta, tuttavia, di una propensione più declamata che effettivamente praticata, come emerge, tra l’altro, anche dalla vicenda della quale ci stiamo occupando.
[6] Il 25 maggio 2020, ad esempio, è stato pubblicato il codice sorgente della app “Immuni”, sistema di notifica delle esposizioni al virus Covid-19.
[7] Secondo Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2019, in caso di decisione amministrativa automatizzata la “conoscibilità dell’algoritmo deve essere garantita in tutti gli aspetti: dai suoi autori al procedimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti. Ciò al fine di poter verificare che i criteri, i presupposti e gli esiti del procedimento robotizzato siano conformi alle prescrizioni e alle finalità stabilite dalla legge o dalla stessa amministrazione a monte di tale procedimento e affinché siano chiare – e conseguentemente sindacabili – le modalità e le regole in base alle quali esso è stato impostato”.
[8] L’art. 3, comma 3, dell’allegato 3 al decreto precisa che la piattaforma Teams “ a) assicura il rispetto della sicurezza delle comunicazioni attraverso avanzati sistemi di crittografia del traffico dati; b) prevede, per gli utenti interni all’amministrazione, l’autenticazione centralizzata a livello di organizzazione e la crittografia dei dati in transito e a riposo; c) utilizza data center localizzati sul territorio dell’Unione europea, nei quali vengono conservati e trattati i dati raccolti per l’erogazione del servizio; d) procede al trattamento dei dati personali nel rispetto delle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679”.
[9] Sul punto, il rinvio è d’obbligo alla notissima sentenza della Corte di giustizia, grande sez., 6 ottobre 2015, in causa C-362/14, Schrems.
[10] “Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act”, del 6 febbraio 2018 (H.R. 4943).
[11] “A provider of electronic communication service or remote computing service shall comply with the obligations of this chapter to preserve, backup, or disclose the contents of a wire or electronic communication and any record or other information pertaining to a customer or subscriber within such provider’s possession, custody, or control, regardless of whether such communication, record, or other information is located within or outside of the United States.” (18 U.S. Code § 2713. Required preservation and disclosure of communications and records).
Una posizione fortemente critica sulla compatibilità del Cloud Act rispetto ai principi in punto di tutela dei diritti fondamentali come interpretati dalla Corte di giustizia e dalla Corte EDU è stata espressa dal Council of Bars and Law Societies of Europe (CCBE), associazione che rappresenta oltre un milione di avvocati europei, nel documento CCBE Assessment of the U.S. Cloud Act (disponibile on line), ove si afferma: “The Cloud Act is in conflict with basic human rights, since it fails to provide the minimum standards set out by European Courts to restrict electronic surveillance by government. Both the European Court of Human Rights and the European Court of Justice have indicated a strong preference for prior judicial review and a requirement for a sufficient factual basis for any surveillance of an individual. Moreover, disclosure of personal data stored within the European Union to a US governmental agency based on a Cloud Act warrant violates the General Data Protection Regulation (GDPR). According to the GDPR provisions, a US warrant does not constitute a legal basis for such a transfer outside the European Union”.
[12]Ai sensi dell’art. 3, comma 4, dell’allegato 3 del decreto del Presidente del Consiglio di Stato “I difensori, le parti in proprio, i verificatori, i consulenti tecnici, i commissari ad acta e, in generale, tutti coloro che vengono ammessi a partecipare a un collegamento da remoto in videoconferenza utilizzano dispositivi dotati di videocamera e microfono, ed accedono al sistema di collegamento di cui all’articolo 2, comma 2, lettera b), [Microsoft Teams] unicamente tramite web browser, autenticandosi come ‘ospite/guest’ e immettono quale nome una stringa costituita obbligatoriamente dai seguenti dati nell’ordine indicato: «NUMERORG[spazio]ANNORG[spazio]INIZIALE COGNOME[spazio]INIZIALE NOME» del tipo «9999 2020 R. M. ». L’Avvocatura dello Stato utilizza un nome del tipo «AVVOCATURASTATO»”.
[13] Ai sensi dell’art. 2, comma 8, del decreto “all’atto del collegamento e prima di procedere alla discussione, i difensori delle parti o le parti che agiscono in proprio dichiarano, sotto la loro responsabilità, che quanto accade nel corso dell’udienza o della camera di consiglio non è visto né ascoltato da soggetti non ammessi ad assistere alla udienza o alla camera di consiglio, nonché si impegnano a non effettuare le registrazioni di cui al comma 11”. Il successivo comma 11 vieta la registrazione sia delle udienze, sia delle camere di consiglio svolte dai soli magistrati, nonché l’utilizzo di ogni strumento o funzione idoneo “a conservare nella memoria del sistema traccia delle dichiarazioni e delle opinioni espresse dai partecipanti all’udienza o alla camera di consiglio”.
[14] Art. 9 dell’allegato 3 al decreto.
[15] Si tratta, come è noto, del Regolamento (UE) 2016/679, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE.
[16] Nel parere il riferimento all’art. 9, par. 2, lett. g) (relativo alle ipotesi in cui il trattamento di dati sensibili “è necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri”) pare riconducibile ad un mero refuso, laddove è la lett. f) che ammette il trattamento anche di dati sensibili quando “è necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali”. L’art. 10 del G.D.P.R., infine, ammette il trattamento dei dati personali relativi a condanne penali e reati soltanto sotto il controllo dell’autorità pubblica.
[17] Il riferimento è a Santi Romano, Sui decreti-legge e lo stato di assedio in occasione del terremoto di Messina e Reggio Calabria, in Riv. dir. pubbl., 1909, I, 257.
Democrazia, comunicazione e diritti nel tempo del Coronavirus. (*)
di Salvatore Aleo
Sommario: 1. L’emergenza del Coronavirus. Ritirati a casa e attività on-line; 2. La dimensione politico-amministrativa e la democrazia. I decreti governativi. Le forzature costituzionali. Il bisogno penalistico e la burocrazia; 3. Auspici di semplificazione e flessibilizzazione giuridico-amministrativa e riduzione dello strumento penalistico; 4. Il carcere e le scarcerazioni; 5. Tutela della sanità e funzione giurisdizionale.
1. L’emergenza del Coronavirus. Ritirati a casa e attività on-line
Le prime riflessioni sull’esperienza fatta fin qui del Coronavirus riguardano la velocità della diffusione del virus nel mondo globalizzato, operata dai trasporti e dagli spostamenti di ingenti quantità di persone, e la sensazione di paura, la preoccupazione da cui tutti siamo stati colpiti, come da una valanga lenta e inesorabile.
Ci siamo ritirati in casa e da lì abbiamo svolto le nostre attività lavorative e sociali attraverso le tecnologie della comunicazione, soprattutto informatiche.
Senza di queste, non avremmo avuto comunicazioni sociali.
Una riflessione centrale riguarda ovviamente la rilevanza dello strumento informatico. Il virtuale, generato da strumento informatico, ha avuto il sopravvento sul materiale, sul fisico. I processi di dematerializzazione sono diventati modo ordinario di esercizio delle attività, sociali, lavorative, amministrative, politiche, perfino ludiche, ricreative.
In tale momento eccezionale, tutti abbiamo fatto l’importante esperienza dell’uso delle tecnologie informatiche per comunicare, per lavorare, per i nostri comuni rapporti sociali e amicali. Ovviamente sono stati avvantaggiati, nei tempi e nella qualità, i più dotati di competenze e di risorse.
Fare lezione on-line è stato interessante e difficile. Parlare senza la presenza degli interlocutori, ‘sentendone’ la presenza a distanza tramite il video e il pensiero; assoluta mancanza di tempi morti, pure di sfumature; grande concentrazione sui contenuti; contrazione dei tempi complessivi; stress. Gli studenti hanno apprezzato molto, sia lo sforzo che la modalità, che ha consentito loro di non viaggiare, di non alzarsi presto, di ascoltare la lezione seduti comodi nella propria stanza; hanno riempito di messaggi di commento e pure di ringraziamento e compiacimento la chat che accompagna la piattaforma informatica. La sensazione ovviamente superficiale è di successo della didattica praticata on line, ma con grande fatica di chi l’ha realizzata, senza averne preventiva esperienza.
Lo stesso può dirsi per le diverse forme e modalità e occasioni di comunicazione, con gli studenti, con i colleghi, con i responsabili degli uffici amministrativi.
Guai però a pensare che il virtuale possa essere equivalente rispetto al reale, per ciò che riguarda appunto l’insegnamento. La mancanza del contatto nella stessa stanza pesa sulla psicologia dei docenti e crea effetti di semplificazione e banalizzazione sui discenti, ne riduce la fiducia oltre che le competenze.
In questo periodo ha avuto una dimensione preminente la comunità familiare, con le sue dinamiche, spesso trascurate nella vita ordinaria.
La socialità si è ridotta, si è concentrata, è stata realizzata in modo virtuale, tramite strumenti e tecnologie della comunicazione. I giovani sono stati lungamente attaccati al telefono cellulare o comunicando col computer.
Molti, stando in casa, hanno letto libri e romanzi che altrimenti non avrebbero letto, pure lunghissimi: chi scrive, La camorra e poi La Sanfelice di Dumas, il secondo in due volumi di 1754 pagine, nonché le Memorie autobiografiche di Garibaldi.
Sono state indotte numerose diverse forme nuove di spettacolo e intrattenimento on line.
Sono state sacrificate le attività in comunità e in pubblico, per esempio quelle sportive. Sui canali digitali sono state esaltate la musica e le trasmissioni televisive e cinematografiche.
La comunità scientifica medica ha incontrato un fenomeno assolutamente nuovo che ha cominciato a capire e cercato di capire strada facendo, mentre questo si svolgeva. I medici sono stati ovviamente i più esposti e hanno pagato un prezzo sicuramente alto, praticamente inevitabile. Quali che fossero le condizioni sanitarie e preventive, il confronto con un virus assolutamente sconosciuto e pericolosissimo ha creato inevitabile sovraesposizione del personale sanitario.
2. La dimensione politico-amministrativa e la democrazia. I decreti governativi. Le forzature costituzionali. Il bisogno penalistico e la burocrazia
Su questo terreno, la riflessione fa emergere una contraddizione.
Da un lato, è indubbio che le limitazioni imposte con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri siano state sia efficaci che tempestive. Senza, avremmo avuto una esplosione della pandemia, enormemente maggiore di quella che pure è avvenuta. L’efficacia e la tempestività delle misure del nostro Governo sono state pure maggiori in confronto a quelle di Paesi che sono considerati ovvero che si considerano più avanzati e blasonati. D’altro canto, ciò è avvenuto con forzature dell’ordine giuridico e costituzionale.
La libertà di movimento e spostamento è stata compressa e limitata fortemente con atti di natura amministrativa (i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri sulla base generica di un decreto legge), con ordinanze dei Presidenti delle Regioni, con interventi dei Sindaci delle città, con il supporto e l’utilizzo del rinvio a una norma penale in bianco per la sanzione dell’inosservanza dell’ordine (degli ordini) dell’autorità, appunto amministrativa.
Sul piano formale, c’è di che vincere tanti ricorsi, pure qualche questione di legittimità costituzionale.
Giova ricordare che nella Carta costituzionale le limitazioni della libertà personale sono ammesse solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria, nei casi e nei modi previsti dalla legge (art. 13); le limitazioni della libertà di circolazione e soggiorno sono possibili solo per legge in via generale per motivi di sanità o di sicurezza (art. 16); secondo l’art. 78 le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari.
Sul piano sostanziale, la democrazia appare forzata, ma la nostra salute è stata difesa, salvaguardata, efficacemente. Il dato difficilmente contestabile è che la gente ha avuto bisogno dell’imposizione, della minaccia penale e poliziesca, per non uscire di casa e non contagiarsi. Il ragionamento sia politico, sia giuridico, deve tener conto della, di questa, realtà. Pure comprensibile, ma poco gradita, da chi scrive, l’ostentazione di responsabili delle Procure della Repubblica, sui mezzi di comunicazione, più che delle Forze dell’ordine impegnate, invece, necessariamente, sul campo.
Una riflessione necessaria riguarda, però, il bisogno (sociale) di diritto penale, reale, per rispettare e far rispettare le cautele, e culturale, come strumento di rassicurazione, di consolidazione del rispetto delle norme. Provoca delusione, sgomento, nel penalista, oltre che consapevolezza delle ragioni forti che giustificano e sorreggono il proprio ruolo sociale, la percezione che il senso di responsabilità risulta insufficiente in mancanza della minaccia penale. Questo, a sua volta, crea condizioni comunque squilibrate (ordinariamente squilibrate, secondo l’insegnamento della storia) dei rapporti sociali, fra i ceti, fra politica e magistratura.
Una considerazione generale che si può fare riguarda i tempi e la complessità della democrazia. Hanno prevalso, per necessità ritenuta – e abbastanza condivisa, evidentemente –, le ragioni della tempestività e della semplificazione. Il linguaggio informatico implica e induce, per sé, la semplificazione, è ragione e strumento di semplificazione.
Al di là dell’emergenza di questo virus, non si possono eludere, sul piano politico e amministrativo, le necessità di semplificazione e velocità dei processi decisionali e soprattutto di quelli gestionali in confronto alle esigenze poste dalle attività umane. Si fanno qui alcune considerazioni che si ritengono valide in generale, che sono emerse con particolare evidenza e rilevanza nell’emergenza contingente.
I partiti sembrano scomparsi e la democrazia politica, quella rappresentativa, ha assunto una connotazione prevalentemente elettorale. Aspetti comunque diversi della democrazia sono quelli esercitati mediante le attività lavorative e i mezzi di comunicazione, quindi di formazione del consenso. Accanto alla crisi degli istituti, delle forme e dei luoghi tradizionali della democrazia rappresentativa può farsi rilevare la possibilità attraverso i mezzi di comunicazione di indurre forme di democrazia rappresentativa diverse e ulteriori. I due aspetti sono certo distinti ma hanno elementi di collegamento. Non è questo il luogo per affrontare il problema della crisi dei partiti, ma è impossibile analizzarlo e spiegarlo a prescindere dalla rilevanza assunta nella nostra vita dai mezzi e dalle tecniche di comunicazione.
Lo stesso riguarda la scena politica caratterizzata da leader, anche poco adeguati ai compiti cui sono chiamati, che stanno moltissimo in televisione. Anche questa può essere considerata una connotazione della democrazia, epperò costituisce un segnale di modestia culturale della società nel suo complesso. Essenziale, e doveroso, in proposito, il riferimento ai fenomeni di populismo. Questi elementi inducono certamente processi di semplificazione, rispetto alla complessità dei problemi espressi dalla società, dall’economia, dalla cultura e dalla politica. Ma questo è sempre avvenuto nella storia. Si pensi alla straordinaria semplificazione costituita dalla codificazione giustinianea, in cui le opinioni di alcuni giuristi vennero sancite come norme; alla straordinaria semplificazione costituita dalla codificazione ottocentesca, a dimensione essenzialmente binaria (l’autore e la vittima, come i contraenti, come pure il colpevole e l’innocente, come l’attore e il convenuto); a tacere delle operazioni giuridiche costituite dai regimi totalitari.
Il consenso sui social spiazza chi ha una cultura consolidata diversa, forse vecchia, ma è una realtà di cui occorre sia tener conto, sia apprezzare le opportunità. Non sembra un’esagerazione ritenere il mezzo informatico come uno strumento di (agevolazione, quindi di realizzazione, della) democrazia: di partecipazione, altrimenti assente, per la natura dei protagonisti, difficile, in una società ultraveloce.
Indubbiamente interessanti, sul piano sia politico che tecnologico, tutti gli esperimenti, realizzati in questo periodo, di funzionamento degli organi collegiali sulle piattaforme informatiche.
Qualsiasi fenomeno sociale nuovo e rilevante impatta con la lentezza sia della formazione del consenso sia delle burocrazie.
Il primo è un dato assolutamente e puramente irrinunciabile, ma che comunque merita riflessione. Dalla burocrazia abbiamo, piuttosto, il dovere di difenderci, di difendere le nuove generazioni.
La dimensione complessiva della nostra burocrazia è diventata insostenibile. La moltiplicazione delle norme e dei vincoli non accresce l’efficienza e la trasparenza dell’attività amministrativa. Anzi. I Paesi con più leggi e più avvocati hanno anche più corruzione. La semplificazione delle dinamiche amministrative sembra indispensabile per una vita più serena di quella che conduciamo, avendo a che fare con la pubblica amministrazione.
La moltiplicazione esponenziale delle norme e dei controlli, giustificati come strumenti di garanzia e di legalità, crea enormi disagi a tutti i piccoli e medi produttori di attività economiche, che sono una forza tradizionale della nostra realtà socio-economica e invece, stretti nella morsa fra la burocrazia e la malavita, vengono espulsi dal mercato. Ora hanno avuto la botta finale con il Coronavirus. È colpevole non vedere questi problemi da parte dei gruppi dirigenti, degli intellettuali e dei politici. Di questi problemi reali il giurista deve occuparsi e la politica deve cercare soluzioni concrete.
L’informatizzazione può contribuire ad agevolare lo snellimento delle prassi amministrative, ma è solo uno strumento: lo snellimento dipende da un cambio di mentalità, dalla flessibilizzazione concettuale e giuridica. Diversamente, la stessa informatizzazione può generare (ulteriore, precipua) burocrazia.
3. Auspici di semplificazione e flessibilizzazione giuridico-amministrativa e riduzione dello strumento penalistico
Allargando il discorso, possiamo verificare profonde trasformazioni dei rapporti fra sfera pubblica e sfera privata. Prevalgono i meccanismi di autoregolazione del mercato, dei suoi protagonisti. Lo Stato di diritto fa fatica, è lento, arranca, è un grosso pachiderma. Soprattutto, fa fatica a produrre solidarietà, a sostenere i deboli.
Istituzioni private (di rating) valutano le attività pubbliche statali, oltre quelle private delle aziende, e inducono così importanti effetti nel mondo finanziario e politico globale, sugli stessi comportamenti degli Stati, che ne risultano fortemente condizionati. Tutti questi meccanismi affiancano i processi regolativi legislativi, che nel frattempo incontrano la difficoltà costituita dalla differenza fra l’astrattezza e generalità dei meccanismi e la contingenza emergenziale della realtà.
Le forze economiche influiscono sui meccanismi regolativi degli Stati: sul processo di formazione delle leggi; sulle dinamiche economiche; sullo svolgimento delle vicende giudiziarie.
In questo frangente del Coronavirus va registrato pure il sostegno finanziario di grandi imprenditori alle ricerche e alle dotazioni necessarie ad affrontare l’emergenza.
In confronto ai problemi della complessità, reale e culturale, dei fenomeni, della società, della politica e della cultura, può dirsi, da un canto, che risultino avvantaggiati i sistemi giuridici di common law, nei quali però va riscontrata la caratteristica – che sembra avere altro tipo di origine – di essere maggiormente alla portata dei più abbienti. I sistemi giuridici più flessibili trovano meno ostacoli e meno contraddizioni in confronto alla complessità reale e culturale della nostra vita sociale contemporanea, e si adattano meglio nelle differenze fra i vari sistemi, nella dimensione della globalizzazione. Può dirsi, pure, che in generale si vada riducendo la differenza fra i sistemi di common law e quelli continentali, anche attraverso la funzione delle Corti costituzionali e delle Corti sovranazionali. Nei sistemi continentali, però, l’incremento progressivo e costante della discrezionalità dei giudici, in tutti gli ambiti e situazioni, costituisce una mutazione genetica dell’assetto dello Stato di diritto, che deve essere necessariamente e variamente compensata. Il passaggio è prima di tutto culturale.
In particolare, dal punto di vista penalistico, di fronte all’elefantiasi del diritto penale, cui assistiamo, deve essere valutata positivamente l’esperienza dei processi davanti alla giuria popolare, con pochi imputati, su fatti strettamente determinati, a distanza di poco tempo dal fatto. Esperienza che esprime la dimensione democratica della giustizia penale e contraddice e contrasta l’estrema tecnicizzazione e proliferazione dello strumento penalistico per la risoluzione dei problemi sociali. Quindi anche le distorsioni che vi risultano collegate nei rapporti fra i ceti dirigenti.
Il penalista desidera e auspica poco diritto penale. Perché il diritto penale – che va riferito, qui e ora, tipicamente al carcere – è un trauma che si abbatte sulle vite delle persone, alterandole indubitabilmente e per sempre. Perché il diritto penale risulta spesso scarsamente utile, o affatto inutile, o peggio ancora dannoso, rispetto all’esigenza di evitare e diminuire la realizzazione di misfatti. Il diritto penale, sicuramente, però, costituisce uno straordinario, e costosissimo, strumento di potere e stabilizzazione sociale: esattamente come durante i cinque e più secoli di roghi per le streghe, pure senza i roghi. L’illuminismo è avvenuto largamente come protesta, più che ribellione, di intellettuali nobili contro le nefandezze dei magistrati e le miserie degli avvocati: intellettuali che si rivolgevano ai sovrani, chiedendo leggi poche, semplici, chiare, pene miti, ma certe, processi veloci e con le prove, l’abolizione della tortura e della pena di morte, magistrati che si limitassero ad applicare le leggi, volute appunto dai sovrani e poi dai popoli.
4. Il carcere e le scarcerazioni
Con l’emergenza del Coronavirus è scoppiata la polemica sulle scarcerazioni di detenuti anche pericolosi, mafiosi.
Le singole vicende sfuggono ovviamente alla valutazione di chi non le conosce fin nei dettagli: principio che deve essere considerato essenziale da parte di chi si occupi di questioni giudiziarie e peggio penali o vi s’imbatta a qualsiasi titolo.
Una prima considerazione riguarda la possibilità che il carcere diventasse una vera bomba sanitaria. Tutti, abbiamo detto, siamo stati come storditi dall’impatto mediatico con l’emergenza del virus. Lo stesso ha riguardato, ovviamente e banalmente, tutti coloro che a qualsiasi titolo si sono occupati di gestire e valutare le situazioni relative alla presenza dei detenuti nelle case circondariali e di reclusione, ai colloqui e alla comunicazione con i parenti.
È certo possibile che siano avvenute forzature e strumentalizzazioni, come avviene sempre e in tutti i tipi di situazioni. Come abbiamo visto e detto essere avvenute forzature istituzionali, pure efficaci, delle regole democratiche e costituzionali.
Il carcere è stato, ed è stato visto come, una bomba che poteva esplodere. Le polemiche sono sempre più rumorose del lavoro per risolvere i problemi.
Una considerazione generale riguarda però il carcere, come strumento, e le sue condizioni, di fatto.
Il carcere è uno strumento forse poco utile, sicuramente sopravvalutato, costosissimo. Oggi abbiamo circa sessantamila detenuti, di cui circa un terzo tossicodipendenti e ancor più extracomunitari, moltissimi detenuti in attesa di giudizio, anche di primo giudizio. A parte il dato che la capienza regolamentare è di circa diecimila unità in meno, siamo stati giudicati malissimo dalla Corte di Strasburgo, in relazione al divieto delle pene inumane e degradanti, e abbiamo fatto tutto ciò che è possibile per non accorgercene, per fare finta di niente. Ma intanto moltissimi detenuti hanno citato in giudizio lo Stato italiano per ottenere un risarcimento del danno, di avere praticato pene inumane e degradanti, o l’abbreviazione delle stesse. E perfino i direttori di carcere sono stati chiamati davanti alla Corte dei conti per rispondere di danno erariale.
La situazione complessiva delle carceri e dei detenuti in Italia è largamente al di sotto delle condizioni di dignità per un Paese che si definisce civile. Situazione, che certo non può trovare alcun tipo di giustificazione nella pericolosità dei fenomeni criminali, ovvero dei loro protagonisti, e che costituisce un problema sicuramente più grande, oggettivamente più importante, del fatto che alcuni malavitosi possano essere scarcerati, anche per errore, per imperizia o ancora peggio.
Papa Francesco ha manifestato ripetutamente dolorosa attenzione al problema carcerario ma non è stato ascoltato neppure Lui.
Anche magistrati noti (Fassone, Colombo), di evidente sensibilità umana, hanno cercato di attirare l’attenzione sulla situazione drammatica delle carceri e della detenzione, nonché sull’utilità delle pene detentive soprattutto lunghe. Non è successo nulla.
La sensibilità collettiva è mossa – facilmente, subito – dalla notizia che detenuti in regime di alta sicurezza sono stati destinati alla detenzione domiciliare, per ragioni attinenti alle loro precarie condizioni di salute, pure in considerazione del pericolo ulteriore costituito dal Coronavirus. La speculazione politica fa presa ovviamente su sentimenti che sono reali, altrimenti non ne verrebbe amplificata e supportata.
La gente ha bisogno, tutti noi abbiamo bisogno, della vendetta, come fonte e motivo di soddisfazione. Ho scritto un libro che s’intitola Dal carcere. Autoriflessione sulla pena, Pacini editore, 2016, dopo un’esperienza di ricerca durata cinque mesi nelle due case circondariali di Catania (Bicocca, alta sicurezza, detenuti di criminalità organizzata, Piazza Lanza, media sicurezza, detenuti comuni, molti tossicodipendenti, molti extracomunitari), partendo dal mio bisogno e istinto di vendetta, per fare i conti col problema della pena e del carcere.
Il diritto penale (anche quello dello Stato democratico di diritto) costituisce il prolungamento logico e storico della pratica della vendetta, che ha costituito forse il primo fondamento (giuridico, costituzionale) del processo di aggregazione sociale; così come l’amore ha costituito il fondamento costituzionale del legame familiare. È troppo forte, dentro di noi, il bisogno, il desiderio, l’istinto o la pulsione, della vendetta, perché possiamo riuscire a emanciparci.
Considerando il solo budget del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, un detenuto costa circa cinquantamila euro l’anno. Senza considerare, dunque, il carico degli stipendi dei poliziotti non penitenziari, dei magistrati nonché pure di chi scrive. Pensi il lettore a quanti processi ed esperimenti di mediazione sociale e di rieducazione, nella società tecnologica del 2020, sarebbero possibili con una cifra simile a disposizione per ciascun autore di delitto, anche grave.
Il carcere è, nella più nobile ipotesi di lettura, la più incresciosa delle semplificazioni della nostra cultura sociale.
Il carcere costituisce il pilastro (di cemento, non simbolico) di un sistema di potere, da cui molti traiamo sussistenza e anche agi, che serve principalmente ad alimentare se stesso. E che non deve rendere conto a nessuno, circa la sua utilità, perché incontra il sentimento crudele della gente, del popolo, di tutti noi.
Provi, ancora, il lettore a pensare, a immaginare, se il carcere (che è comunque una bomba innescata, per svariate comprensibili ovvie ragioni) fosse esploso per l’emergenza Coronavirus.
5. Tutela della sanità e funzione giurisdizionale
Più sopra dicevamo dei medici, e paramedici, in prima linea, tutti. Con costi molto alti.
Ciò è avvenuto, per un capriccio della storia, dopo molti anni che queste categorie sono oggetto, vittime e quindi protagonisti forzati di uno straordinario fenomeno di contenzioso giudiziario, in tutti i Paesi più avanzati, contenzioso civile e anche penale.
I medici svolgono la funzione di tutela della salute e hanno in genere condizioni economiche migliori di altri settori. Inoltre molti sono dipendenti del servizio sanitario nazionale. In tutti i Paesi capitalistici è avvenuta una trasformazione appunto straordinaria. Prima il malato moriva perché Dio lo aveva chiamato e guariva perché il medico era stato bravissimo. Più di recente, ci si aspetta dai sanitari la guarigione, pure prospettata da toni salvifici più o meno interessati, e nei casi di evento infausto si ricorre al giudice per ottenere il risarcimento dell’errore sanitario. Con il supporto tecnico degli avvocati. E la magistratura svolge attività di controllo – non solo e puramente di legalità, ma anche – di qualità della funzione sanitaria. Queste dinamiche hanno stressato gravemente lo svolgimento della funzione sanitaria, condizionata peraltro dalla politica che sostanzialmente la governa, e hanno innescato i fenomeni cosiddetti di medicina difensiva (eccesso di esami, di ricoveri, di prescrizioni farmacologiche e terapeutiche) e una grande lievitazione dei costi.
Non c’è dubbio che questa situazione richieda uno scostamento innanzitutto culturale, di consapevolezza complessiva dei problemi così coinvolti. È certo auspicabile e anche verosimile che una situazione e un momento di intimità e di riflessione come la crisi del Coronavirus, verificando intanto gli sforzi, anche eroici, comunque straordinari, che i sanitari stanno compiendo, tra mille difficoltà, in favore di tutti noi, inducano noi stessi a una seria riflessione, a un profondo ripensamento, circa i reali interessi in gioco, anche in questo delicato campo.
Intanto, come spesso accade, prevale il politichese, o se si preferisce il giuridichese. Si sta tentando di fare approvare una norma di salvaguardia per le attività sanitarie svolte in regime di Coronavirus, a tutela innanzitutto dei responsabili delle aziende sanitarie. Tale disciplina di salvaguardia deve essere di carattere assolutamente generale, delle attività sanitarie. Perché costituisce un paradosso, finanche esaltato però dalla magistratura di legittimità, che i responsabili della funzione di garanzia della salute siano fatti responsabili, giuridicamente ed economicamente, delle occasioni, che devono essere considerate invece tipiche di tale funzione, di insuccesso. Un paradosso, perché è giusto e utile che il titolare di una funzione così delicata sia mantenuto in condizioni di serenità e di tutela.
Speriamo, proprio, che anche il ritiro forzato nel tempo del Coronavirus ci induca a riflessioni probe e intelligenti pure a questo così delicato proposito. Speriamo che il Coronavirus, che ci ha generato paura e sofferenza, ci renda complessivamente più umani e più buoni.
(*) Questo saggio sarà pubblicato anche sul n. 1 del 2020 del Mediterranean Journal of Human Rights.
Sicilia. La giurisdizione palermitana e l’emergenza epidemiologica
di Matteo Frasca
"Giustizia Insieme" è da sempre attenta a raccontare la giurisdizione attraverso lo sguardo dei territori, e dei suoi protagonisti, per valorizzare il pluralismo della giustizia e mostrare l’attività giudiziaria nella sua più concreta esperienza.
Nel proseguire, anche durante l’epidemia, questo viaggio nelle diverse realtà giudiziarie la Rivista ha chiesto - al Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Ancona Sergio Sottani[1], al Presidente della Corte di Appello di Palermo Matteo Frasca e alla Presidente della Corte di Appello di Venezia Ines Maria Luisa Marini[2] - di raccontare, ciascuno a suo modo, la giurisdizione d’appartenenza di fronte all’emergenza.
In momenti di frenesia normativa e organizzativa è opportuno precisare che gli scritti sono stati redatti tra la fine del mese di aprile e l’inizio del mese di maggio ed è doveroso ringraziarne gli autori.
Nella foto l’ex Collegio dei Gesuiti, odierna Biblioteca regionale, utilizzato nel contrasto all’epidemia di vaiolo di inizio ‘800 come centro per il programma di vaccinazione di massa, uno dei primi realizzati nella storia.
Sommario: 1. La Fase 1: gli esiti e le conseguenze; 2. La Fase 2: la differenziazione necessaria; 3. Le diseguaglianze e la giustizia; 4. Il coordinamento organizzativo e gli strumenti per la gestione delle attività; 5. Gli ostacoli dell’edilizia giudiziaria; 6. Un’opportunità di crescita.
1. La Fase 1: gli esiti e le conseguenze
Con l'art. 83 comma 1 del decreto legge n. 18/2020, integrato dall'art. 36 comma 1 del decreto legge 36/2020, il Governo, nell'ambito delle "misure urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19", ha disposto il rinvio d'ufficio delle udienze dei procedimenti civili e penali a data successiva al giorno 11 maggio 2020.
L'intervento normativo senza precedenti, corroborato dall'altrettanto inedita sospensione del decorso "dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali", estesa ai termini per il deposito della motivazione dei provvedimenti giudiziari, ha comportato il sostanziale blocco dell'attività di udienza nel nostro Paese, solo marginalmente attenuato dalle eccezioni contenute nel medesimo testo normativo che, al di là della numericamente corposa elencazione contenuta nel comma 3 della disposizione relativamente alle fattispecie escluse dalla interdizione, nei fatti ha comportato la trattazione di un numero di procedimenti esiguo rispetto alla ordinaria attività.
La preoccupazione diffusa tra tutti gli operatori dell'espansione incontrollata dell'epidemia, alimentata sia dal trend crescente dei contagi e dei decessi, sia dal timore sulla capacità di tenuta delle strutture sanitarie nonostante l'abnegazione dei medici e del personale sanitario protagonisti di autentico eroismo civile, ha concorso all'applicazione assai limitata della dichiarazione di urgenza dei procedimenti, peraltro neppure sollecitata dall'Avvocatura e costituente l'unico strumento di invero modesta flessibilità integrativa del rigido contesto della tassatività delle eccezioni alla regola generale del rinvio.
Dalle rilevazioni statistiche del distretto della Corte di Appello di Palermo emerge che nella cd. "fase 1" la percentuale dei procedimenti civili trattati, in quanto "consentiti" dal decreto legge 18/2020, é stata, per la Corte, del 9,6% rispetto a quelli programmati, mentre per i Tribunali la percentuale media si è attestata al 2,7%, sia pure con differenze anche significative tra i vari uffici.
Analogo é il dato relativo al settore penale nel quale la percentuale media di processi rinviati, sia in Corte sia nei Tribunali ha mediamente superato il 97%.
L’unicità della situazione é avvalorata anche dall'esiguo numero dei procedimenti con imputati detenuti trattati per i quali l'inconsueta previsione normativa della trattazione solo in caso di espressa richiesta da parte degli imputati medesimi o dei loro difensori ha avuto scarsa applicazione.
Il lockdown totale della giurisdizione é stato evitato solo perché nel periodo di sospensione delle udienze i Magistrati hanno continuato a lavorare per la definizione dell'arretrato, in molti casi praticamente azzerandolo, anche se dalla comparazione tra i dati relativi al periodo 9 marzo - 11 maggio del 2020 e il medesimo periodo del 2019 emerge una flessione, in quello dell’anno in corso, sia delle iscrizioni (-54% in Corte e -50% nei Tribunali) sia delle definizioni (-37% in Corte e -64% nei Tribunali).
E’ ragionevole temere che questo rallentamento comporterà una significativa battuta d’arresto nel difficile percorso di recupero di efficienza del settore della giurisdizione civile che nell’ultimo decennio, lentamente ma costantemente, ha determinato una progressiva diminuzione della pendenza complessiva e soprattutto, attraverso l’applicazione ponderata di criteri di produttività selettiva, la riduzione del contenzioso più datato.
2. La Fase 2: la differenziazione necessaria
In questo scenario, quindi, è stata avviata la cd. “fase 2” che il decreto legge 18/2020 ha affidato all’autonomia gestionale dei dirigenti di ciascun Ufficio ai quali è stato passato il testimone nell’ambito di un percorso e di una cornice normativa ben delineati che ne costituiscono fonte di legittimazione formale e sostanziale.
L’Avvocatura, analogamente a una parte della Magistratura, ha criticato severamente la scelta del legislatore lamentando che la disomogeneità talvolta marcata tra i numerosi modelli organizzativi adottati tra Uffici anche limitrofi determinerà una risposta diseguale alla domanda di giurisdizione, per di più obbligando i professionisti a districarsi nel non facile percorso di apprendimento delle diverse regole di funzionamento adottate.
Al di là del comprensibile disagio e dello sconcerto suggestivamente indotto da una geografia differenziata il rilievo non convince perché in un’ottica comparativa tra costi e benefici una diversa velocità nella ripartenza e la diseguaglianza che ne potrà derivare sono un “male necessario” per uscire dalla condizione di sostanziale stagnazione in cui si è ritrovata la giurisdizione e si giustificano per la eccezionalità e per la temporaneità della situazione: parametri in funzione dei quali sono state tarate tutte le altre misure che hanno fortemente inciso su diritti di rango almeno pari a quello dell'accesso alla giurisdizione.
I fattori che condizionano i livelli di operatività degli uffici sono molteplici ed eterogenei, dipendendo in particolare dal diversificato andamento dell’epidemia, dall’edilizia giudiziaria, dai flussi e dalla tipologia dei carichi di lavoro, dalle norme processuali applicabili, dalla adeguatezza della dotazione del personale amministrativo, ecc., in buona sostanza da una pluralità di elementi estremamente variabili anche all’interno della medesima area geografica, di talché una regolamentazione unitaria a livello nazionale avrebbe comportato quello che é accaduto per la "fase 1", ossia il mantenimento della soglia minima compatibile con le potenzialità degli uffici operanti nelle condizioni meno favorevoli e si sarebbe tradotta in una marcia con il freno a mano tirato per quelle realtà in condizione di realizzare una perfomance migliore.
Le prime esperienze applicative del nuovo regime nel distretto palermitano hanno confermato la ragionevolezza della scelta legislativa se si considera che alcuni uffici, sia pure ubicati nella stessa città, hanno adottato progetti organizzativi diversi con prospettive di rendimento differenziato, indotto da una ponderata valutazione delle diverse condizioni di operatività.
La ripartenza, quindi, è stata organizzata all’insegna del principio di responsabilità declinato in una duplice direzione.
Da un lato sono state evitate azzardate fughe in avanti che avrebbero potuto essere incoraggiate dai dati sull'evoluzione dell'epidemia nella Regione Siciliana che sono stati e a oggi ancora sono tra i meno drammatici rispetto alle altre parti del Paese.
Dall'altro, però, è maturata la consapevolezza delle necessità di "gettare il cuore oltre l'ostacolo" cercando tutte le soluzioni che, senza porre mai a rischio il bene primario della salute, consentissero la ripresa più ampia e più rapida possibile.
In altri termini, se nella "fase 1" la regola dettata dal legislatore era stata "non fare nulla tranne...", la "fase 2" é stata avviata e deve essere sviluppata all'insegna del "fare tutto tranne ...", calibrando le eccezioni sulla base delle complessive variabili condizioni di contesto.
Un cambio di passo culturale e operativo doveroso se si considera che l'impegno organizzativo dovrà tenere conto, innanzitutto e nell'immediato, della necessità di recuperare oltre due mesi di lavoro arretrato accumulatosi, che già in sé non si presenta agevole in quanto si inserisce quasi ovunque in contesti di ruoli carichi che rendono difficile che l'aggiunzione di altri procedimenti non determini un "effetto domino" con rinvii a catena, ma dovrà essere proiettato anche in direzione della più complessa problematica delle ricadute sulla giurisdizione che l'emergenza sanitaria (probabilmente) in calo avrà sulla questione socio-economica (certamente) in crescita.
3. Le diseguaglianze e la giustizia
Pur nel quadro di una ancora persistente incertezza scientifica non credo che sia affatto vero che la pandemia abbia colpito in modo indifferenziato tutte le classi sociali.
Le complessive condizioni di vita indotte dalla scarsa disponibilità di risorse finanziarie non sono un fattore neutro nel rischio del contagio già per il semplice fatto che l'impossibilità o la difficoltà di ricorrere alle cure mediche per motivi economici, resa ancora più complessa dai robusti tagli alla sanità pubblica in una malintesa ottica di risparmi che si é tradotta nella complessiva riduzione dello stato sociale, incentiva l'insorgenza di situazioni patologiche che aumentano il rischio del contagio da Covid 19 e soprattutto il relativo tasso di mortalità.
Sotto altro profilo non va trascurato che anche condizioni inadeguate di vita sociale e lavorativa, come l'abitazione in ambienti degradati già strutturalmente inidonei ad assicurare il distanziamento sociale minimo o la prestazione lavorativa in contesti produttivi poco protetti e malsani, sono fattori incentivanti la diffusione del virus.
In ogni caso la pandemia rischia di divenire fattore di amplificazione di diseguaglianze preesistenti o di creazione di nuove forme di deprivazione economica e di povertà.
Basta pensare non solo alla gravissima incidenza negativa del prolungato blocco per alcune imprese soprattutto in quei territori già afflitti da crisi economica sistemica ma anche a quali potranno essere le ricadute sul versante occupazionale che i cambiamenti di comportamento delle persone, sia spontanei sia imposti da provvedimenti normativi per il rispetto del distanziamento sociale, avranno su numerose attività strutturalmente "indifferenti" ai fenomeni di assembramento se non quando fondate proprio su partecipazioni di massa.
Cercare le difficili soluzioni a tali allarmanti prospettive postula nuove politiche economiche e sociali, ma le diseguaglianze e la crescita della povertà alimentano nuovi conflitti e nuove domande di tutela giudiziaria.
E l'attenzione dovrà essere rivolta anche sul versante della giustizia penale.
E' diffuso il convincimento che per salvare le imprese dalla crisi dilagante sarà necessaria una robusta iniezione di liquidità ed é ragionevole temere che, in mancanza di un adeguato ed effettivo intervento pubblico di sostegno, le organizzazioni criminali, che dispongono di una grande massa di risorse, saranno pronte alla conquista di fette rilevanti del mercato e al recupero di una incisiva capacità di penetrazione nel tessuto economico.
Va altresì considerato che un generale allentamento dei vincoli per l'accesso generalizzato al credito, all'insegna della ripetuta necessità di "sburocratizzazione" del sistema, potrebbe alimentare fenomeni di illegalità diffusa con altrettanti danni irreversibili per l'economia del Paese.
Uno scenario assai complesso e delicato, quindi, che certamente richiede interventi normativi a diverso livello ma al quale non può restare estranea la giurisdizione che con la sua organizzazione deve essere pronta ad affrontare i problemi immediati e al tempo stesso essere proiettata verso i temi di un futuro prossimo.
4. Il coordinamento organizzativo e gli strumenti per la gestione delle attività
Nella Corte di Appello di Palermo, immediatamente dopo l'approvazione del decreto legge 18/2020 é stata costituita una "cabina di regia", anche con l'attivazione di alcune chat, al fine di realizzare un coordinamento autentico ed efficace tra gli uffici giudicanti del distretto, di raccogliere le diverse proposte organizzative che maturavano in momenti di ragionevoli timori e di grande incertezza, di tentare di raggiungere soluzioni condivise che però tenessero conto anche delle peculiarità di realtà geograficamente vicine ma con esigenze diversificate, di fare da collettore per le successive interlocuzioni operative con tutte le altre Istituzioni.
La cassetta degli attrezzi messa a disposizione ai dirigenti degli Uffici dal legislatore é articolata e prevede un ampio ventaglio di possibilità che, se adoperate in sinergia, offrono un contributo rilevante alla ripartenza, conciliando l'imprescindibile necessità di tutela della salute con l'altrettanto indispensabile necessità della ripresa dell'attività giudiziaria.
Seppur espressamente previsti per la "fase 2" molti di questi strumenti sono stati attivati immediatamente dopo il 9 marzo e, pur in un contesto di assai limitata attività giurisdizionale, si sono rivelati assai utili.
Limitazioni dell'ingresso del pubblico negli edifici giudiziari, restrizioni per l'accesso "fisico" alle cancellerie sostituito dalle comunicazioni telefoniche o telematiche, celebrazione delle udienze a porte chiuse, rimodulazione delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa del Personale amministrativo con l'adozione prevalente della forma del "lavoro agile", intensificazione dell'uso dell'informatica, uso ponderato del processo "da remoto", oltre all'apprestamento dei diversi dispositivi di protezione individuale, sono state le opzioni che, impiegate contestualmente, hanno consentito di contenere le presenze negli uffici e attuare efficacemente la regola del distanziamento sociale che, a oggi, sembra essere quella che il mondo scientifico ritiene l'unica vera arma per evitare il contagio.
E questi strumenti sono stati potenziati e affinati dal 12 maggio (ad esempio con la previsione della obbligatorietà della misurazione della temperatura per l'accesso, attuata con la fattiva collaborazione dei Carabinieri e mediante economici termometri laser senza necessità di ricorrere a costosissimi e superflui termoscanner) quando, dopo il periodo di blocco deciso dal Governo, la ripresa dell'attività é stata affidata alle scelte organizzative dei dirigenti, che hanno assunto il compito di far ripartire la macchina dettando specifiche linee guida adottate all'esito di un complesso e articolato procedimento, che, oltre agli apporti provenienti dall'interno di ciascun Ufficio, prevede la partecipazione sia dell'autorità sanitaria regionale, chiamata al compito decisivo di esprimersi, nella qualità di organo tecnico, sulla compatibilità delle misure organizzative con l'andamento del quadro epidemiologico, sia del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, al quale spetta il ruolo di formulare motivate e fattibili proposte di integrazione e di modifica dei progetti, coerentemente con il ruolo ripetutamente rivendicato di coprotagonista della giurisdizione.
"L'intesa" con i vertici distrettuali ha completato l'iter rafforzando l'idea del necessario coordinamento preventivo tra diversi attori.
A Palermo é stato realizzato un costante e fecondo confronto e uno scambio continuo di informazioni e di idee tra tutti gli uffici, le cui bozze di progetto elaborate sulla base di un'accurata analisi della situazione organizzativa, logistica e del Personale amministrativo, nonché dopo un proficuo confronto con il corrispondente ufficio requirente e con l'Avvocatura, sono state trasmesse in unico contesto all'autorità sanitaria e, quindi, varate in via definitiva.
Dall'esame di ciascun progetto emergono, da un lato, la medesima filosofia di fondo, ossia fare quanto più é possibile nel rispetto del principio precauzionale, ma dall'altro diversità anche significative che confermano la bontà del criterio seguito dal legislatore perché la uniformità della regolamentazione avrebbe fortemente penalizzato senza alcuna giustificazione alcuni uffici.
E' il caso della Corte di Appello che, per una serie di favorevoli condizioni coniugate all'adozione di alcuni accorgimenti organizzativi, ha ripreso l'attività senza alcuna limitazione sia nel settore civile sia in quello penale.
Analoga opportunità non ha avuto il Tribunale di Palermo, che ha risentito negativamente in modo particolare della condizione logistica di alcuni suoi uffici, e situazioni diversificate si sono presentate per altri tribunali del distretto.
5. Gli ostacoli dell’edilizia giudiziaria
Purtroppo nell'edilizia giudiziaria é mancata per anni una progettualità autentica e di lungo periodo, si é proceduto prevalentemente con aggiustamenti e dispendiosi interventi manutentivi settoriali, per di più spesso indotti da contingenze avverse che hanno finito per tradire anche gli obiettivi di contenimento della spesa indicati spesso come la ragione ostativa a scelte di più ampio respiro.
I dirigenti degli uffici, soprattutto nell'ambito della Conferenza permanente, si confrontano quotidianamente con una pluralità di problemi che sembrano insorti negli ultimi anni e che invece assai spesso scopriamo essere atavici e ignorati, come quelli attinenti alla prevenzione degli incendi, all'adeguatezza delle scale, alle carenze strutturali e manutentive.
Probabilmente edifici più funzionali sul versante della sicurezza e della salubrità avrebbero contribuito positivamente nella gestione dell'attuale emergenza.
Tuttavia, occorre essere consapevoli che il rispetto del distanziamento sociale richiede una nuova cultura architettonica che abbandoni la attuale tendenza alla contrazione degli spazi, elevando la soglia minima in atto mediamente attestata a 8 mq per persona e 14 mq in caso di ambiente occupato da una sola persona, che riveda la compartimentazione degli ambienti comuni con adeguati divisori, che regolamenti meglio le zone di transito.
E' evidente che si tratta di un problema che non può essere risolto in tempi brevissimi, anche se un utile modello in questo settore é offerto dall'aula bunker del carcere "Ucciardone" di Palermo, costruita in appena sei mesi tra il 1985 e il 1986, per consentire la celebrazione del primo "maxiprocesso": un raro esempio di efficienza coniugato a un effettivo impiego razionale del denaro pubblico.
In ogni caso, é indispensabile affrontare la questione con una rinnovata filosofia, abbandonando la disorganicità che ha prodotto la coesistenza di strutture diverse e che ha reso notevolmente difficile l'adozione di provvedimenti organizzativi omogenei anche all'interno del medesimo ufficio, imponendo interventi calibrati sulla specificità dei singoli edifici.
Emblematica, al riguardo, é la situazione della "cittadella giudiziaria" palermitana all'interno della quale coesistono ben tre strutture totalmente diverse delle quali la più idonea nell'attuale emergenza si é rivelata quella più antica, perché i suoi grandi spazi, spesso criticati in quanto ritenuti uno spreco, hanno agevolato non poco nella ripresa dell'attività.
In funzione della sicurezza sono stati misurati tutti gli spazi degli edifici, sia delle aule di udienza sia degli uffici, in modo da accertare quale fosse il numero massimo di presenze consentito nel rispetto della regola del distanziamento sociale, sia statico sia dinamico, e il risultato é stato affisso in ciascuna aula di udienza, mentre per quanto attiene agli uffici, nel caso in cui la collocazione del personale non fosse stata perfettamente compatibile con l'osservanza della distanza, é stata predisposta la collocazione delle barriere protettive in policarbonato, con esclusione delle unità immunodepresse alle quali é stata assicurata in ogni caso la collocazione senza compresenze.
La rilevazione della capienza degli ambienti é stata effettuata anche tenendo conto dell'areazione per la quale, peraltro, sta emergendo in tutta la sua rilevanza, alimentata dalla rapida crescita delle temperature, la questione della climatizzazione.
Infatti, nell'Allegato 17 del D.P.C.M. del 17 maggio 2020, nella parte dedicata agli "UFFICI APERTI AL PUBBLICO" é prevista, all'ultimo punto, la "indicazione", riproposta nello stesso contenuto nell'Ordinanza contingibile e urgente n. 21 del Presidente della Regione Siciliana del 17 maggio 2020, di "escludere totalmente, per gli impianti di condizionamento, la funzione di ricircolo dell’aria".
La medesima indicazione è stata elaborata per le attività di ristorazione, per quelle di acconciatori ed estetisti, per il commercio al dettaglio, per i musei, gli archivi e le biblioteche, mentre una regolamentazione differenziata é dettata per le strutture ricettive alberghiere e per le palestre, in relazione alle quali la eliminazione della funzione di ricircolo è prevista solo per gli impianti con "ventilazione meccanica controllata", mentre per pompe di calore, fancoil e termoconvettori, il cui uso sia reso necessario per garantire la corretta climatizzazione, é richiesta soltanto l'adozione delle attività di pulizia prescritte dal produttore.
Ebbene, poiché, almeno in quasi tutti gli uffici del distretto palermitano, la maggior parte degli impianti non può essere utilizzata disattivando la funzione di ricircolo dell'aria, il superamento della temperatura ritenuta tollerabile per evitare il discomfort ambientale porrà i dirigenti degli uffici dinanzi all'alternativa tra la esposizione a rischio della salute dei lavoratori, che potrebbe essere danneggiata o per il funzionamento degli impianti in violazione delle regole del DPCM o per la loro mancata accensione, e la sospensione dell'attività giudiziaria con buona pace dell'impegno non indifferente profuso fin qui per la ripresa.
In ogni caso si realizzerebbe una inaccettabile assunzione di responsabilità ben al di là di quella relativa alla adozione delle misure organizzative delegate dell'art. 83 del d.l. 18/2020.
Peraltro, alla risoluzione del problema potrebbero contribuire le linee guida approvate dalla conferenza delle regioni e delle province autonome appena il 25 maggio scorso che contengono alcune indicazioni che potrebbero consentire, con le opportune cautele, anche l'utilizzo degli impianti di condizionamento in atto esistenti.
6. Un’opportunità di crescita
Se vogliamo fare tesoro di questa tragica esperienza dobbiamo quantomeno provare a trasformare l'emergenza in un'opportunità di crescita, trarre insegnamento dalle contingenze più drammatiche per farle divenire strumenti per il miglioramento, valorizzando per il futuro tutto ciò che é stato positivamente sperimentato e che deve essere conservato, sviluppato e potenziato.
Ma essere resilienti non basta più perché é necessario essere anche proattivi.
Ricordo che lo scorso anno, studiando le complesse modalità organizzative per effettuare le prove di evacuazione dagli edifici della cittadella, un dirigente della Protezione Civile mi chiese se sapessi quale sarebbe stato in caso di terremoto il maggior pericolo per l'incolumità delle persone che si trovano negli uffici e alla mia risposta negativa mi disse che il rischio maggiore non derivava dal crollo dei tetti ma dallo schiacciamento conseguente alla caduta delle librerie perché prive di ancoraggio alla parete, realizzabile con una semplice e non dispendiosa operazione di fissaggio.
Fare divenire prevedibile anche l'imprevedibile, come (forse) è stata l'epidemia da COVID-19, probabilmente dovrà fare parte del bagaglio aggiornato della funzione dirigenziale.
Riuscirci non sarà semplice ma provarci credo che sia doveroso.
[1] Marche. La giurisdizione marchigiana e l’emergenza epidemiologica (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1071-marche-la-giurisdizione-marchigiana-e-l-emergenza-epidemiologica).
[2] Veneto. La giurisdizione veneta e l’emergenza epidemiologica (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1100-veneto-la-giurisdizione-veneta-e-l-emergenza-epidemiologica).
Le regole sperimentali tecnico-organizzative del processo amministrativo. Note a prima lettura del decreto Pres. Cons. Stato 22 maggio 2020, n. 134
di Pier Luigi Portaluri
Sommario: 1. I presupposti del decreto Pres. Cons. Stato 22 maggio 2020, n. 134. - 2. Il problema del contraddittorio virtuale o eventuale nel periodo dell’emergenza. - 3. I margini di manovra del decreto Pres. Cons. Stato n. 134/’20: a) le comunicazioni. - 4. (segue) b) l’istanza di trattazione. - 5.(segue) c) la pubblicità dell’udienza. - 6.(segue) d) i tempi della discussione.7. Gli allegati al decr. Pres. Cons. Stato n. 134/’20. - 8. Qualche considerazione conclusiva.
1. I presupposti del decreto Pres. Cons. Stato 22 maggio 2020, n. 134.
A seguito dell’infelice esperienza di normazione contenuta nel d.l. 30 aprile 2020, n. 28 gli spazi per riportare a un livello accettabile la garanzia del contraddittorio orale nel processo amministrativo emergenziale si sono, almeno allo stato, non poco ridotti. Per cui è risultato abbastanza ristretto l’ambito di manovra a disposizione del Pres. Patroni Griffi per disciplinare – come poi avvenuto col recentissimo suo decreto 22 maggio 2020, n. 134 – le regole sperimentali tecnico-operative di aggiornamento del PAT.
La base di diritto legislativo su cui fonda l’appena ricordato decreto presidenziale n. 134/’20 (con i suoi tre allegati, contenenti norme prevalentemente tecniche) è racchiusa nell’art. 4, comma 2, d.l. n. 28/’20, cit.: norma che non è direttamente ed esplicitamente collegata con la regolazione emergenziale del nostro processo, per cui può ritenersi quale regolazione “a regime”.
Per comodità di lettura, eccone il contenuto: «Il comma 1 dell'articolo 13 dell'allegato 2 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante le norme di attuazione al codice del processo amministrativo, è sostituito dal seguente: “1. Con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri competente in materia di trasformazione digitale e gli altri soggetti indicati dalla legge, che si esprimono nel termine perentorio di trenta giorni dalla trasmissione dello schema di decreto, sono stabilite, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, le regole tecnico-operative per la sperimentazione e la graduale applicazione degli aggiornamenti del processo amministrativo telematico, anche relativamente ai procedimenti connessi attualmente non informatizzati, ivi incluso il procedimento per ricorso straordinario. Il decreto si applica a partire dalla data nello stesso indicata, comunque non anteriore al quinto giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana”».
A sua volta, il comma 1 dell’art. 4, d.l. n. 28/’20 regola il funzionamento dell’udienza virtuale durante questo periodo di sperimentazione, che si sovrappone, allo stato, alla gestione emergenziale del processo amministrativo.
2. Il problema del contraddittorio virtuale o eventuale nel periodo dell’emergenza.
Ricordiamo rapidamente i punti salienti della disciplina del contraddittorio nel processo amministrativo emergenziale previsti nel d.l. n. 28/’20.
Da sabato 30 maggio a venerdì 31 luglio si avrà un periodo di contradditorio orale (soltanto) virtuale e (soltanto) eventuale.
Soltanto virtuale perché non sono previste udienze reali, in praesentia: cioè con l’intervento “fisico” di avvocati, magistrati, personale di udienza, etc. L’emergenza virus non lo consentirebbe ancora.
Soltanto eventuale, inoltre. Al difensore (o al collegio difensivo, inteso sempre uti singulus) non è infatti riconosciuto un diritto soggettivo processuale di (chiedere e per ciò solo) ottenere la discussione orale. La quale potrebbe invece discendere:
- o da una decisione motu proprio del presidente del collegio giudicante,
- o ancora da una istanza congiunta di tutte le parti costituite,
- o infine dall’accoglimento presidenziale (anche alla “luce” di eventuali opposizioni delle parti dissenzienti) dell’istanza non congiuntamente formulata dalle parti.
Il d.l. n. 28/’20 stabilisce poi i termini per depositare l’istanza di discussione orale: entro i termini per la replica, per le udienze pubbliche; entro 5 giorni liberi, per le udienze camerali.
In caso di discussione orale, la segreteria comunica ora e modalità di collegamento «almeno un giorno prima della trattazione». Stando alla lettera, non sembra esser questo un termine libero, né è indicato l’orario ultimo di comunicazione del decreto: per cui i difensori potrebbero trovarsi nella non piacevole situazione di dover preparare l’udienza ad horas.
Andiamo avanti.
Il penultimo periodo del comma 1 in esame parrebbe attribuire qui un diritto soggettivo processuale. Un diritto espressamente qualificato come alternativo al diritto di chiedere (cui non segue necessariamente l’ottenimento: lo ripeto) la discussione orale, e che ha come oggetto:
- il deposito di note di udienza fino alle ore 9 del giorno dell'udienza stessa, ovvero (in sub-alternativa al deposito)
- la richiesta di passaggio in decisione della controversia.
Parliamo del deposito di queste singolari note mattutine.
Se una tal possibilità è stata pensata allo scopo rafforzare l’effettività complessiva del contraddittorio in fase emergenziale, a me pare che il risultato sia quello opposto.
Non essendo stato previsto un limite dimensionale (a mezzo d’un sia pur vago connotato di brevità o sinteticità), queste note potrebbero facilmente dilungarsi sino a divenire, in realtà, un’intera partitura. Si tratta, in concreto, di un’arma micidiale della quale potrebbe farsi un uso tanto formalmente irreprensibile, quanto sostanzialmente scorretto: penso all’introduzione all’ultimo momento di questioni, difese, etc. mai articolate prima dal difensore. Per imbastire una replica orale controparte potrebbe trovarsi in tali casi ad avere addirittura pochi minuti (in caso di udienza camerale incipiente) o forse poco più (in caso di udienza pubblica).
In casi siffatti, la garanzia del contraddittorio è assicurata forse dalla ragionevole speranza che note troppo lunghe e prodotte in extremis restino placidamente non scrutinate dal collegio…
Resta poi non chiarito, se non m’inganno, il rapporto fra queste note del primo mattino e le “brevi note” di cui all’art. 84, comma 5, d.l. n. 18/’20: le quali ultime – come ha puntualmente osservato M.A. Sandulli[1] – sono ancora a disposizione delle parti, almeno sino al 31 luglio prossimo. Le (anche lunghissime) note ex d.l. n. 18/’20 sarebbero la sede di una eventuale replica alle “brevi note” appena ricordate? Se così fosse, il sistema non brillerebbe per nitore concettuale e funzionale.
3. I margini di manovra del decreto Pres. Cons. Stato n. 134/’20: a) le comunicazioni.
Vediamo adesso gli interventi che su questo discutibile modello ha potuto fare il decreto presidenziale n. 134/’20.
Anzitutto, la regolazione della fase successiva all’istanza non congiunta di discussione.
Sul punto il decreto prevede che «la segreteria trasmette alle parti diverse dall’istante, anche ai fini della formulazione di eventuali opposizioni, l’avviso di avvenuto deposito dell’istanza».
Il decreto non specifica il termine di trasmissione dell’avviso di avvenuto deposito, né quello di proposizione dell’opposizione. Così come non indica il termine di adozione del decreto presidenziale accoglitivo o reiettivo dell’istanza di discussione.
Stabilisce solo – ma è un calco obbligato del d.l. n. 28/’20 – che «la segreteria comunica agli avvocati […] almeno un giorno libero prima della trattazione, l’avviso del giorno e dell’ora del collegamento da remoto in videoconferenza […]». Aggiungendo – con previsione improntata a un senso di apprezzabilissima “civiltà della conversazione” – che la segreteria «ha cura di predisporre le convocazioni distribuendole in un congruo arco temporale, in modo da contenere, quanto più possibile e compatibilmente con il numero di discussioni richieste, il tempo di attesa degli avvocati prima di essere ammessi alla discussione». Il decreto introduce insomma le auspicate fasce orarie (ne ante quas), giustamente chiarendo, di conseguenza, che «L’orario indicato nell’avviso è soggetto a variazioni [solo: n.d.r.] in aumento».
Una prima osservazione riguarda forse una “eccedenza” regolativa. Atteso che le parti sono ovviamente già a conoscenza del giorno d’udienza, non è chiaro il motivo per cui l’avviso della segreteria deve indicare non solo l’ora, ma anche il giorno della discussione. Il quale infatti non è previsto dall’art. 4 del presupposto d.l. n. 28/’20. Potrebbe ben trattarsi, tuttavia, di una garbata cortesia riservata dal decreto presidenziale al foro. Gli avvocati riceverebbero in tal modo un avviso “completo”, in quanto comprensivo sia della data, sia dell’ora d’udienza.
Meno chiare sono le ragioni della mancata giuridicizzazione relativa, come s’è detto, alla fase successiva all’istanza di trattazione e anteriore alla comunicazione del decreto accoglitivo.
Il sistema disegnato dal d.l. n. 28/’20 non mi sembra infatti rispettoso delle esigenze dei difensori: i quali, come detto, potrebbero venire a conoscenza della decisione presidenziale ammissiva della discussione addirittura poche ore prima dello svolgimento dell’udienza.
Qui uno spazio di intervento della fonte subprimaria – nella migliore (e antica) tradizione della Ordnung processuale – mi pare esserci. Azzardo allora qualche ipotesi di possibile, ulteriore integrazione presidenziale della disciplina sperimentale-emergenziale recata dal d.l. n. 28/’20, che è lacunosa e insoddisfacente.
Al fine di garantire le insopprimibili esigenze connesse alla garanzia di effettività del contradditorio orale, non seguirei la strada di infittire questo segmento del nostro rito con la previsione di una selva di termini; tranne due: quello per proporre l’opposizione e quello per la replica. Termini brevi per le udienze pubbliche (per esempio, tre giorni per opposizione e replica, decorrenti dall’avviso di segreteria); brevissimi per quelle camerali (un giorno).
4. (segue) b) l’istanza di trattazione.
Un'altra possibile integrazione dell’attuale decreto n. 134/’20 potrebbe concernere l’indicazione delle ragioni – di non facile individuazione, peraltro – su cui possa fondarsi (e quindi possa esser delibata) l’opposizione all’istanza trattativa.
Escluderei la “pregiudiziale tecnica”. Nel XXI secolo non solo il difensore, ma anche la parte che intenda (quando consentito) difendersi in proprio, devono poter assicurare la disponibilità di un minimum info-telematico. Un generale principio di esigibilità in questo senso mi pare davvero vigente.
Così come mi sfugge l’argomento secondo cui l’opposizione è stata di necessità prevista onde evitare che l’istanza di trattazione costringa le altre parti a partecipare – pur nolenti – all’udienza. Al contrario, a fronte di quell’istanza, i difensori avversari possono, come nell’udienza reale, liberamente decidere sia di partecipare alla discussione, sia di non intervenire in udienza o di procedere a delega.
Poiché, come s’è visto, nell’attuale regime emergenziale il difensore non ha un diritto processuale alla discussione, si deve allo stesso modo evitare che questa sia, all’opposto, l’oggetto di una concessione più o meno graziosa del presidente del collegio, da lui “ottriata” caso per caso sulla base di criteri che potrebbero restare imperscrutabili: poiché sul punto il d.l. n. 20/’18 tace, il decreto che decide sull’istanza può infatti non esser motivato. È comunque da auspicare e anzi presumibile un netto orientamento giurisdizionale favorevole alla trattazione, come ha pochissimi giorni fa condivisibilmente dichiarato il Pres. Castriota Scanderbeg – anzitutto a titolo personale – nel corso di un webinar organizzato dalla Camera amministrativa salentina.
Ove si ritenesse poi che elaborare una griglia – anche se a maglie larghe – di motivi di opposizione sia sforzo eccessivo e dunque esorbitante rispetto all’oggetto della decisione da assumere, un’ipotesi subordinata potrebbe essere quella di circoscrivere i motivi di opposizione all’indicazione di motivi gravi ed eccezionali (non disgiunta – in ogni caso – dall’obbligatorietà della motivazione reiettiva). Una siffatta clausola generale esprimerebbe con chiarezza il favor nei confronti della trattazione, relegando nella marginalità le evenienze denegative.
Ancora. Mi pare possibile e opportuno intervenire sul termine ante quem relativo alla comunicazione di avviso del decreto accoglitivo dell’istanza di trattazione, previsto dal d.l. n. 28/’20 troppo a ridosso dell’udienza (“almeno un giorno prima”). Poiché la norma primaria stabilisce solo il termine ultimo, non è preclusa alla fonte secondaria – che non si esprime sul punto – disporre un congruo e ragionevole aumento dello spatium temporis che deve esserci fra i due eventi processuali in esame.
5.(segue) c) la pubblicità dell’udienza.
Proseguendo nell’esame solo orografico del decreto n. 134/’20, mi sembra degna di nota la disposizione del comma 8, circa il divieto di vedere o ascoltare gli accadimenti di udienza stabilito nei confronti dei «soggetti non ammessi ad assistere alla udienza o alla camera di consiglio»: che mi sembra da leggere in senso restrittivo, nel senso di consentire cioè la libera visione e l’ascolto con riferimento all’udienza pubblica, quantomeno limitatamente alle parti sostanziali. Così come di rilievo è la norma che vieta la registrazione di qualunque udienza, camerale o pubblica che sia.
6.(segue) d) i tempi della discussione.
Ben diverso risalto va dato al comma 12, che circoscrive in appena sette e dieci minuti il tempo della discussione consentita a tutti i difensori di ogni parte, uno o più che essi siano, rispettivamente per le udienze camerali e per quelle pubbliche. Resta fermo il potere del presidente del collegio di concedere un “minutaggio” superiore, come pure quello di segno opposto. L’assenza di un diritto soggettivo a una durata minima della discussione (una sorta di Livello Essenziale di Udienza…) induce ad auspicare vivamente un ripensamento di questo aspetto. Altrimenti l’accelerazione del ritmo di esplicitazione dei concetti (come nella parte finale degli spot pubblicitari di prodotti medicinali) pregiudicherebbe la comprensione stessa delle tesi difensive: ne uscirebbe vanificata la funzione della discussione.
7. Gli allegati al decr. Pres. Cons. Stato n. 134/’20.
Per il loro contenuto eminentemente tecnico ritengo di poter prescindere, almeno in questa sede, dall’esame degli allegati al decreto n. 134/’20. Mi limito solo a qualche assai sparsa osservazione.
Intorno all’art. 9, comma 3, dell’all. 1, anzitutto: il quale riconosce il diritto soggettivo alla rimessione in termini nel caso in cui, dopo il deposito di un atto processuale, al mittente pervenga il messaggio di mancata consegna della PEC di deposito (sempre se la mancata consegna sia dipesa da cause non imputabili al mittente).
Giova, ancora, sottolineare l’indicazione del successivo art. 14, circa la facoltatività delle notificazioni per via telematica.
Una riflessione, poi, di natura linguistica.
L’art. 3, comma 4, dell’all. 3 prevede che anche gli avvocati, al pari delle «parti in proprio, i verificatori, i consulenti tecnici, i commissari ad acta e, in generale, tutti coloro che vengono ammessi a partecipare a un collegamento da remoto in videoconferenza» si autentichino come «ospite/guest». Mi domando se la piattaforma telematica in uso disponga di un thesaurus lemmatico che eviti di considerare l’avvocato alla stregua di un frequentatore occasionale del mondo della Giustizia amministrativa. Il dubbio è ispessito dal periodo finale del medesimo comma 4, secondo cui «La Giustizia amministrativa non fornisce alcuna assistenza tecnica ai soggetti ad essa estranei che partecipano alle udienze»: fra i quali anche gli avvocati?
Sono certo di no. Immagino infatti che non sia solo la categoria forense a considerare il pur nobilissimo concetto di filoxenia come meglio riferibile a una grande e antica cultura.
8. Qualche considerazione conclusiva.
Nel processo amministrativo si deve necessariamente maneggiare una sostanza preziosa: l’interesse pubblico. Oltre un secolo di esperienza ha portato il giudice amministrativo a saperne cogliere l’essenza, accanto al contrapposto interesse del cittadino.
Qui la funzione di intermediazione tecnica dell’avvocatura è imprescindibile, anche e soprattutto nella rappresentazione dialettica delle mille nuances che gli interessi portati alla cognizione del Giudice di volta in volta rivelano.
Ne derivano, a mio avviso, due conseguenze: la necessità di assicurare sempre l’effettività del contradditorio[2] e – a regime – la presenza fisica in udienza.
Quanto al primo profilo, le pronunce del giudice amministrativo sono incoraggianti, avendo interpretato la normazione emergenziale in senso costituzionalmente orientato: dunque garantendo la dialettica fra le parti[3].
Quanto alla necessità dell’udienza reale (rispetto alla quale l’udienza telematica può avere un utile ruolo ancillare, mai sostitutivo), sono persuaso che nessun atto scritto, per quanto redatto in modo magistrale; come pure nessuna webcam, per quanto ad altissima risoluzione, possano sostituire l’effetto di significato che la viva e non virtuale discussione assicura al Giudice nella comprensione di ogni aspetto della singola, concreta vicenda. Penso, solo per fare un esempio, all’illustrazione di una complessa planimetria di uno strumento urbanistico.
Si sentono proposte circa il mantenimento, anche a regime, delle sole udienze virtuali. Non la ritengo una soluzione valida. La complessità delle questioni che la giustizia amministrativa affronta richiede il dialogo e il confronto “in praesentia” fra giudici e avvocati. Non per improbabili virtù taumaturgiche o eufoniche del difensore, ma per la necessità che la decisione finale sia assunta dopo che ogni elemento della controversia, se necessario, sia stato portato alla cognizione del giudice. Che – lo ripeto in ogni occasione – si occupa anche di interessi pubblici. Cioè di tutti noi, del nostro “territorio”. Per tutelare il quale val bene il saggio ammonimento militare anglosassone circa la necessità di esser sempre personalmente presenti e con i piedi ben saldi sul suolo che si ha il dovere di presidiare e difendere: “boots always on the land”.
[1] M.A. Sandulli, Covid-19, fase 2. Pregi e difetti del diritto dell’emergenza per il processo amministrativo, in questa rivista. Della stessa A. v. anche Un brutto risveglio? L’oralità “condizionata” del processo amministrativo, in L’amministrativista.it. Tra i primi commenti sulla scomparsa o sull’eccesivo condizionamento del contradditorio nel diritto dell’emergenza v., ex multis, C. Zucchelli, Sulla udienza telematica, in Federalismi.it, Osservatorio emergenza Covid-19, n. 1; S. Tarullo, Contraddittorio orale e bilanciamento presidenziale. Prime osservazioni sull’art. 4 del D.L. n. 28 del 2020, ivi; F. Saitta, Da Palazzo Spada un ragionevole no al 'contraddittorio cartolare coatto' in sede cautelare, ivi; A. D’Urbano, R. Santi, L’abolizione (temporanea?) della fase orale nel processo amministrativo per l’emergenza sanitaria. Il Consiglio di Stato (ordinanze nn. 2358 e 2539 del 2020) riapre alla possibilità di discussione, ivi.
[2] Di «una strisciante ma costante riduzione delle garanzie tipiche di un processo giurisdizionale che tende a ricondurlo nei limiti originari di una procedura paragiurisdizionale» parla F. Francario, Diritto dell’emergenza e giustizia nell’amministrazione. No a false semplificazioni e a false riforme, in Federalismi.it, 2020.
[3] Cfr., dopo le ormai celebri ordinanze gemelle sul “c.c.c.”, il vieto “contraddittorio cartolare coatto” (Cons. St., sez. VI, 21 aprile 2020, nn. 2538 e 2539), anche Cons. Stato, sez. III, 8 maggio 2020, nn. 2918 e 2919 e la coeva TAR Lecce, sez. II, 8 maggio 2020, n. 525.
Ecco una delle curiose contraddizioni della storia. Nei suoi studi sulla procedura civile nel Regno d’Italia il compianto Franco Cipriani evoca con le stesse tre “C” di cui sopra il leggendario, sommo trio di processualisti italiani che animarono – pur non sempre in accordo fra loro – la gloriosa Rivista di diritto processuale. Chiovenda, Calamandrei, Carnelutti: mentori, soprattutto il primo, della Mündlichkeit, dell’oralità…
Il principio dell’oralità secondo la giurisprudenza amministrativa nel periodo dell’emergenza Covid.
di Veronica Sordi
Le pronunce analizzate offrono l’occasione per riflettere sullo stato attuale del sistema di giustizia amministrativa – delineato dai recenti interventi normativi per fronteggiare l’emergenza Covid – e in particolare se sia possibile rinunciare all’oralità del processo.
Prima di esaminare le ordinanze adottate dai giudici amministrativi in merito all’opportunità di un rinvio dell’udienza (fittiziamente celebrata in ragione dell’emergenza) per consentire la discussione orale della causa, è opportuno compiere una breve e mirata ricognizione della normativa “emergenziale” che desta non poche perplessità, interrogativi e problemi applicativi di particolare rilevanza[1].
Occorre in particolare richiamare le disposizioni contenute nei dd.ll. nn. 18 e 28/2020.
Nel dettaglio, l’art. 84, d.l. 18/2020, recante “Disposizioni in Materia di Giustizia amministrativa”, al co. 5 (non modificato dalla conversione del d.l. nella l. 24 aprile 2020 n. 27), prevede che “Successivamente al 15 aprile 2020 e fino al 30 giugno 2020, in deroga alle previsioni del codice del processo amministrativo, tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell’articolo 60 del codice del processo amministrativo, omesso ogni avviso. Le parti hanno facoltà di presentare brevi note sino a due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione. Il giudice, su istanza proposta entro lo stesso termine dalla parte che non si sia avvalsa della facoltà di presentare le note, dispone la rimessione in termini in relazione a quelli che, per effetto del secondo periodo del comma 1, non sia stato possibile osservare e adotta ogni conseguente provvedimento per l’ulteriore e più sollecito svolgimento del processo. In tal caso, i termini di cui all’articolo 73, comma 1, del codice del processo amministrativo sono abbreviati della metà, limitatamente al rito ordinario”.
Tale previsione è stata parzialmente superata – secondo alcuni[2] su impulso della giurisprudenza del Consiglio di Stato e, in particolare, delle ordinanze 21 aprile 2020 nn. 2538 e 2539 (vd infra) – dalla disciplina di cui d.l. 28/2020, che al co. 1 dell’art. 4 (“Disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia amministrativa”), stabilisce che “A decorrere dal 30 maggio e fino al 31 luglio 2020 può essere chiesta discussione orale con istanza depositata entro il termine per il deposito delle memorie di replica ovvero, per gli affari cautelari, fino a cinque giorni liberi prima dell'udienza in qualunque rito, mediante collegamento da remoto con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione dei difensori all'udienza, assicurando in ogni caso la sicurezza e la funzionalità del sistema informatico della giustizia amministrativa e dei relativi apparati e comunque nei limiti delle risorse attualmente assegnate ai singoli uffici. L'istanza è accolta dal presidente del collegio se presentata congiuntamente da tutte le parti costituite. Negli altri casi, il presidente del collegio valuta l'istanza, anche sulla base delle eventuali opposizioni espresse dalle altre parti alla discussione da remoto. Se il presidente ritiene necessaria, anche in assenza di istanza di parte, la discussione della causa con modalità da remoto, la dispone con decreto. In tutti i casi in cui sia disposta la discussione da remoto, la segreteria comunica, almeno un giorno prima della trattazione, l'avviso dell'ora e delle modalità di collegamento. Si dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta l'identità dei soggetti partecipanti e la libera volontà delle parti, anche ai fini della disciplina sulla protezione dei dati personali. Il luogo da cui si collegano i magistrati, gli avvocati e il personale addetto è considerato udienza a tutti gli effetti di legge. In alternativa alla discussione possono essere depositate note di udienza fino alle ore 9 antimeridiane del giorno dell'udienza stessa o richiesta di passaggio in decisione e il difensore che deposita tali note o tale richiesta è considerato presente a ogni effetto in udienza. Il decreto di cui al comma 2 stabilisce i tempi massimi di discussione e replica”.
Come lucidamente evidenziato a prima lettura da autorevole dottrina[3], tale nuova disciplina non è immune da criticità, in quanto sembra ancora lontana dal fornire una piena ed effettiva operatività al principio del contraddittorio durante il periodo emergenziale: anzi, determinando un’asimmetria irragionevole tra le parti[4] e attribuendo al giudice l’(inedito) potere di valutare l’opportunità della discussione orale, quanto meno astrattamente, mette seriamente a rischio l’impianto costituzionale del giusto processo[5] (in tutte le sue declinazioni, dal contraddittorio, all’oralità, fino a investirne anche la ragionevole durata).
La disposizione, lasciando aperta la possibilità che il Presidente non consenta la discussione, non può quindi ritenersi implicitamente abrogativa del richiamato art. 84, comma 5, d.l. 18, nella parte in cui riconosce il diritto delle parti di sostituire la discussione con “brevi note di udienza” [6]. Con linee guida del 20 aprile 2020, il Presidente del Consiglio di Stato, proprio con riferimento alla possibilità per le parti di presentare le suddette brevi note ha chiarito che “mentre la prima parte dell’art. 84 comma 5 cit. si rivolge anche alle udienze cautelari, la seconda parte della disposizione ha ad oggetto esclusivamente le udienze pubbliche e quelle camerali (non cautelari). Lo si evince agevolmente da due ordini di considerazioni: i) i termini dei procedimenti cautelari non sono mai stati sospesi, e dunque non si spiegherebbe il riferimento alla “rimessione in termini” contenuto nella seconda parte del comma 5 cit. ; ii) anche il riferimento alle note aggiuntive nei due giorni precedenti l’udienza costituirebbe previsione priva di qualsivoglia utilità, posto che nel procedimento cautelare le parti hanno già in via ordinaria la possibilità di presentare memorie entro due giorni liberi dall’udienza, o addirittura entro un giorno libero nel caso di operatività della dimidiazione dei termini. La facoltà di presentare “brevi note” sino a due giorni liberi dall’udienza deve, dunque, considerarsi riferita alle sole udienze pubbliche e camerali non cautelari. Nel medesimo termine di due giorni la parte, anziché presentare le note difensive, può limitarsi a chiedere il rinvio dell’udienza ove, a cagione della sospensione emergenziale, non abbia potuto fruire dei termini di cui all’art. 73 comma 1 o all’art. 87 comma 3” (pt 3 e 4).
Entrando ora nel merito delle pronunce che di recente sono intervenute sul tema e procedendo secondo un ordine cronologico, occorre innanzitutto richiamare le note (e già citate) ordinanze gemelle[7] con le quali la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, sotto la vigenza della disciplina di cui al d.l. 18/2020, si è pronunciata sull’istanza presentata dall’appellante di rinvio dell’udienza al fine di poter discutere la controversia, motivata in ragione della particolare complessità e delicatezza della questione, nonché sull’opposizione al rinvio proposta dagli appellati, fondata invece sull’asserita circostanza per cui “l’interesse alla discussione orale, invocato dalla controparte, non sarebbe stato oggetto di previsione legislativa per la fase emergenziale a partire dal 15 aprile 2020, durante la quale il regime processuale prevedrebbe il passaggio in decisione delle cause esclusivamente sulla base degli atti, con l’unica eccezione della rimessione in termini per il deposito di memorie e repliche”.
In particolare, la Sesta Sezione afferma che, sebbene (i) il tenore dell’art. 84, co. 5, d.l. 18/2020 sembri autorizzare il giudice a rinviare la trattazione della causa esclusivamente al fine di consentire l’effettivo esercizio del contraddittorio scritto di cui all’art. 73 c.p.a., senza riconoscere alle parti la facoltà di chiedere un differimento per poter discutere oralmente la controversia, e (ii) il processo amministrativo, differentemente da quello penale[8], non sembri “improntato al principio di oralità delle dichiarazioni e del contraddittorio in senso “forte” (ovvero, sia nella formazione della prova, sia come diritto dell’accusato di confrontarsi “de visu” con l’accusatore), ben potendo il confronto tra i litiganti e con il giudice avvenire in forma meramente cartolare e le parti decidere di neppure comparire in udienza”, ad ogni modo, il “il contraddittorio cartolare «coatto» ‒ cioè non frutto di una libera opzione difensiva, bensì imposto anche contro la volontà delle parti che invece preferiscano differire la causa a data successiva al termine della fase emergenziale pur di potersi confrontare direttamente con il proprio giudice ‒” non si configura come una soluzione percorribile alla luce dei principi costituzionali e convenzionali (art. 6 CEDU) neppure attraverso un’interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione de qua[9], in quanto tale “contraddittorio cartolare «coatto» costituirebbe una deviazione irragionevole rispetto allo “statuto” di rango costituzionale che si esprime nei principi del «giusto processo»”. Invero, gli artt. 24 e 111, co. 2, Cost, impongono che tutte le parti processuali abbiamo concretamente la possibilità di esporre puntualmente, e, quindi, anche oralmente, le proprie ragioni, rispondendo e contestando quelle degli altri e, pertanto, di ottenere dal giudice, loro diretto interlocutore, una tutela piena ed effettiva. In altri termini, il Consiglio di Stato precisa che il citato contraddittorio cartolare coatto contrasterebbe con le suddette disposizioni in quanto (i) la previsione di un divieto assoluto di contraddittorio orale potrebbe determinare un “ostacolo significativo per il ricorrente che voglia provocare la revisione in qualsiasi punto, in fatto come in diritto, della decisione resa dall’autorità amministrativa”, oltre che (ii) con il principio della pubblicità dell’udienza, giacché “l’imposizione dell’assenza forzata, non solo del pubblico, ma anche dei difensori, finirebbe per connotare il rito emergenziale in termini di giustizia “segreta”, refrattaria ad ogni forma di controllo pubblico”. Conclude pertanto la Sesta Sezione che la tenuta con il sistema costituzionale dell’art. 84, co. 5, è possibile qualora, non potendo il giudice ordinare un contraddittorio solo di tipo cartolare, possa rinviare la discussione della causa – “in un arco temporale che non superi l’anno in corso (tenuto conto della durata del rito cartolare fino a fine giugno, della sospensione feriale dei termini e del carico delle udienze già aggravato dall’emergenza pandemica da COVID-19)” – così da garantire “un giusto contemperamento delle posizioni delle parti ed evitare di ledere il diritto di difesa”.
Ancora, il Consiglio di Stato – chiamato a pronunciarsi sull’appello proposto contro l’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale, nella parte in cui, secondo l’Amministrazione appellante, avrebbe comportato “interinali statuizioni di rigetto sulle pregiudiziali questioni della legitimatio ad processum e delle condizioni dell’azione dell’originaria ricorrente che [invece] avrebbero dovuto essere assunte con la forma della sentenza non definitiva ex art. 36, comma 2, Cod. proc. amm., antecedente e distinta dalla ordinanza medesima” –, con una serie di ordinanze gemelle del 7 maggio 2020[10], ha concesso, in ragione della “particolare complessità e importanza della controversia”, il rinvio dell’udienza per la discussione orale, affermando che “la domanda di trattazione orale davanti a questo giudice, per rispetto della piena esplicazione dei principi del contraddittorio e dell’oralità meriti, in proporzione a siffatta complessità ed importanza, adeguata e corrispondente considerazione (cfr. Cons. Stato, VI, ordd. 21 aprile 2020, nn. 2538 e 2539)”, non trattandosi di una fattispecie caratterizzata da una “semplicità [tale] da non richiedere alcuna discussione”, né idonea a determinare “potenziali effetti irreversibili sul diritto di difesa”. In tale occasione, la Quinta Sezione, richiamando espressamente l’insegnamento delle ordinanze gemelle surrichiamate, ha chiaramente legato l’importanza dell’oralità e del contraddittorio alla peculiare rilevanza e alla complessità della questione controversa e, dunque, alla considerazione che alla stessa deve essere data necessariamente.
Diverso è il caso in cui il TAR Lazio[11], sempre nelle more dell’applicazione del suddetto art. 84 d.l. 18/2020, in ragione della particolare importanza nel giudizio dinanzi allo stesso pendente dove era stata sollevata dalla ricorrente una questione di legittimità costituzionale, ha assegnato alle parti un termine di novanta giorni “per approfondire e sviluppare, con memorie specificamente dedicate, la citata questione”, precisando inoltre che debba essere tenuta in debita considerazione la circostanza che “il Collegio non ha potuto evidenziare alle parti l’importanza della citata questione in sede di discussione orale, per effetto delle disposizioni di cui all’art. 84 d.l. n. 18/2020”. Con tale provvedimento, quindi, il giudice ha espressamente evidenziato che la disciplina emergenziale di cui all’art. 84 cit., precludendo la possibilità di discutere oralmente e determinando – inevitabilmente – un effetto pregiudizievole sulle concrete modalità di esercizio del diritto di azione e di difesa mediante la previsione di un contraddittorio esclusivamente cartolare, limita la cognizione del giudice costretto necessariamente ad attendere le difese (solo) scritte dalle stesse (e che peraltro, per le questioni particolarmente complesse, quali gli incidenti di costituzionalità o le questioni pregiudiziali dinanzi alla CGUE, visti i limiti dimensionali degli scritti difensivi, potrebbero non essere comunque sufficienti), di fatto, allungando i tempi per l’adozione della decisione.
Rievocano lo schema del climax ascendente, per la sempre maggiore sensibilità espressa in relazione alla necessaria e concreta operatività del principio dell’oralità, i provvedimenti assunti dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato[12] nell’ambito di una controversia temporalmente rientrante nella disciplina fissata dall’art. 84, co. 5, d.l.18/2020, nella quale le parti non avevano prodotto né note né memoria per l’udienza di trattazione. In tale fattispecie, il giudice, nel rilevare che non era possibile conoscere “senza la partecipazione delle difese delle parti, lo stato del procedimento di cui si verte, anche ai fini della permanenza dell’interesse”, ha chiarito, in primo luogo, che anche l’attuale disciplina derogatoria del processo amministrativo deve comunque – ove possibile – essere interpretata conformemente ai principi costituzionali, e che, laddove la particolare situazione emergenziale non consenta l’ordinaria oralità e pubblicità del processo, non permettendo, dunque, di garantire, in assenza di richieste delle parti o di memorie, la pienezza del contraddittorio, è necessario, per risolvere la controversia, (i) acquisire dall’Amministrazione una dettagliata relazione in ordine allo stato del procedimento e alla posizione degli appellati e, compiuto tale adempimento nei termini indicati, (ii) fissare l’udienza di discussione nel merito della causa ad un momento in cui (auspicabilmente) sarà consentito svolgere in modo regolare (e quindi anche oralmente) le proprie difese.
Infine, per completezza, è opportuno richiamare il provvedimento, con il quale la Quarta Sezione del Consiglio di Stato[13], sulla scorta delle più volte ricordate ordinanze gemelle della Sesta Sezione[14], non ha accolto l’istanza della parte appellata confermativa della richiesta di rinvio dell’udienza già precedentemente avanzata – in ragione del deposito da parte dell’appellante di documenti e note di udienza in violazione dei termini a difesa –, rilevando che tale deposito, in cui, nella specie, il Ministero dell’Interno si era opposto alla richiesta di rinvio formulata ex adverso (confermando l’interesse alla trattazione dell’appello cautelare), era in realtà “irrilevante, in quanto le ragioni dell’appello cautelare [erano] state già evidenziate in maniera diffusa con la proposizione dell’impugnativa cautelare”, e ritenendo che “il differimento richiesto [potesse] compromettere la ragionevole durata del presente giudizio cautelare e che manifeste esigenze di economia processuale - potendo il decorrere del tempo privare di utilità la richiesta cautelare avanzata dall’Amministrazione – [inducevano] a disattendere la indicata richiesta di differimento”. In forza di tali argomentazioni ha, pertanto, all’esito della delibazione propria della fase cautelare, accolto l’appello cautelare.
Le ordinanze esaminate sembrano far emergere, al netto delle specifiche fattispecie nelle quali sono state pronunciate e delle diverse interpretazioni cui possono prestarsi, una innegabile sensibilità al principio dell’oralità e del contraddittorio. Si ritiene che sussista una circolare connessione tra le ragioni a fondamento dell’oralità, ragioni volte a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale e a mettere in condizioni tutti i protagonisti del processo (parti e giudice) di cooperare per la realizzazione della ragionevole durata del processo (art. 2 c.p.a.), visto che, dal punto di vista delle parti, è lampante che l’oralità sia mezzo attraverso il quale il contraddittorio si realizza nella sua pienezza; dal punto di vista del giudice, invece, mediante l’oralità l’organo giudicante può con immediatezza realizzare il proprio convincimento sulle ragioni di una delle parti.
La situazione emergenziale, in uno con le deroghe che sono state disposte all’ordinario svolgersi del processo amministrativo, a parere di chi scrive, non giustifica dunque la compressione totale di alcuni principi, il cui riconoscimento, come anticipato, qualifica l’idea stessa di processo. In particolare, non si rinviene la ragione per cui si debba rinunciare all’oralità a meno che non si voglia ripensare interamente il modello processuale tradizionale e rinunciare alla più pura dinamicità dialettica e alla ben nota qualificazione di processo come “giuoco”, secondo cui “[il processo] non è soltanto l'alternarsi, in un ordine cronologico prestabilito, di atti compiuti da diversi soggetti, ma e la concatenazione logica che ricollega ciascuno di questi atti a quello che lo precede ed a quello che 1o segue, il nesso psicologico per il quale ogni atto che una parte compie al momento giusto costituisce una premessa e uno stimolo per l'atto che la controparte potrà compiere subito dopo. Il processo e una serie di atti che s’incrociano e si corrispondono come le mosse di un giuoco: di domande e risposte, di repliche e controrepliche, di azioni che danno luogo a reazioni, suscitatrici a loro volta di controreazioni”[15]. In tale prospettiva, quindi, l’udienza di discussione, anche nel processo amministrativo, assume un’innegabile centralità, sebbene trattasi di una centralità relativa stante il previo (e necessario) spiegamento delle difese scritte. Non può infatti negarsi che l’udienza rimane comunque quel momento indispensabile di garanzia del contatto tra le parti e il giudice e, dunque, del giusto processo[16].
In conclusione, è evidente che non possiamo rinunciare all’oralità, oltre che per i riflessi che avrebbe sull’effettivo esercizio del contraddittorio delle parti[17], anche per la sua funzione – fondamentale e irrinunciabile – di chiarificazione dei fatti oggetto della controversia e mezzo per consentire al giudice, raggiunto il suo pieno convincimento, di fare (davvero) giustizia. In tal senso, emblematico è il pensiero di E. Allorio, il quale ha espressamente ricondotto al principio di oralità la capacità di chiarire “molte cose meglio che in faticose comparse, che in brevi battute di dialogo eliminiamo spesso pagine e pagine di studiati ma artificiosi argomenti, che il giudice moderno non possa rinunciare a fornirsi un’idea diretta della causa, conferendo coi patroni delle parti, non quale ascoltatore passivo, ma quale curioso interrogatore”[18].
[1] M.A. Sandulli, Vademecum sulle ulteriori misure anti-covid19 in materia di Giustizia Amministrativa: l'art. 84 del Decreto Cura-Italia, in lamministrativista.it, 17 marzo 2020; F. Francario, L'emergenza Coronavirus e la “cura” per la giustizia amministrativa: le nuove misure straordinarie per il processo amministrativo”, in federalismi.it; F. Volpe, Riflessioni dopo una prima lettura dell'art. 84, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 in materia di processo amministrativo, in www.lexitalia.it.
[2] S. Tarullo, Contraddittorio orale e bilanciamento presidenziale. Prime osservazioni sull’art. 4 del D.L. 28 del 2020, in federalismi, 13 maggio 2020, secondo cui “il legislatore d’urgenza, mediante l’art. 4 del D.L. n. 28/2020, sembra aver «approfittato» di questa apertura per rimettere la decisione finale sul contraddittorio orale al presidente, ove manchi l’istanza congiunta delle parti”.
[3] M.A. Sandulli, Un brutto risveglio? L’oralità “condizionata” del processo amministrativo, in lamministrativista.it, 1 maggio 2020; Id., Pregi e difetti del diritto dell’emergenza per il processo amministrativo, in giustiziainsieme.it, 4 maggio 2020; F. Saitta, Da Palazzo Spada un ragionevole no al «contraddittorio cartolare coatto» in sede cautelare. Ma il successivo intervento legislativo sembra configurare un’oralità…a discrezione del presidente del collegio, in federalismi; S. Tarullo, Contraddittorio orale e bilanciamento presidenziale, cit.; G. Veltri, Il processo amministrativo. L’oralità e le sue modalità in fase emergenziale: “tutto andrà bene”, in www.giustizia-amministrativa.it, 2 maggio 2020. Sul tema si ricordano anche i webinar “Processo amministrativo e Covid”, 24 aprile 2020, coordinato da M.A. Sandulli, con interventi di F. Francario, M. Lipari, L. Maruotti, G. Montedoro, G. Morbidelli, P. Portaluri, M. Ramajoli, C. Saltelli, S. Santoro, R. Savoia, G. Severini, M. Spasiano, nonché quello organizzato da Alla ricerca del filo d’Arianna su “Legislazione di emergenza e Diritto Amministrativo”, 18 maggio 2020, con gli interventi di M. Renna, M.A. Sandulli, V. Angiolini e F. Fracchia.
[4] Sulla parità delle parti, si veda G. Crepaldi, Le pronunce della terza via. Difesa e collaborazione nel processo amministrativo, Torino, Giappichelli, 2018 77; C.E. Gallo, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, Giappichelli, 2015, 207; F.G. Scoca, Riflessioni sulla giustizia amministrativa: un percorso intellettuale coerente, in V. Spagnuolo Vigorita (a cura di), Opere giuridiche, vol. I, Napoli, Jovene, 2001, LIX.
[5] M. Sinisi, Il giusto processo amministrativo tra esigenze di celerità e garanzia di effettività della tutela, Giappichelli, Torino, 2017, 310.
[6] M.A. Sandulli, Pregi e difetti del diritto dell’emergenza per il processo amministrativo, in giustiziainsieme.it, 4 maggio 2020.
[7] Cons. St., VI, 21 aprile 2020, nn. 2538 e 2539 (Est. Simeoli, Pres. Montedoro). Sul tema, N. Durante, Il lockdown del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it, 28 aprile 2020; A. D’Urbano – R. Santi, L’abolizione (temporanea?) della fase orale nel processo amministrativo per l’emergenza sanitaria. Il Consiglio di Stato (ordinanze nn. 2538 e2539 del 2020) riapre alla possibilità di discussione, in federalismi, 29 aprile 2020; C. Volpe, Pandemia, processo amministrativo e affinità elettive, in www.giustizia-amministrativa.it, 27 aprile 2020; S. Tarullo, Contraddittorio orale e bilanciamento presidenziale, cit., evidenzia che il quesito di fondo caratterizzante le ordinanze gemelle de quibus è se “il contraddittorio orale (discussione) è un diritto della parte o una concessione del giudice che bilancia questo valore processuale con altri valori”. L’A. rileva che la VI sezione del Consiglio di Stato abbia sposato la seconda tesi “ritenendola valida almeno per il presente periodo emergenziale … nonostante la premessa solidamente ancorata all’art. 111 della Costituzione”.
[8] Ancora attuale l’argomento chiovendiano secondo il quale l’oralità, principio cardine per altre forme di processo, in primis quello penale, dovrebbe operare anche rispetto agli altri tipi di giudizio, in quanto “si cercherebbe invano una qualsiasi ragione atta a dimostrare che la ricerca della verità debba procedere in modo diverso a seconda che la materia di cui si tratta sia penale o civile” o, per quel che qui interessa, amministrativa. In tal senso G. Chiovenda, Relazione sul progetto di riforma del procedimento civile elaborato nel 1920 dalla Commissione per il dopo guerra, in Id., Saggi di diritto processuale civile, Roma, 1931, 4 ss.
[9] In tema di interpretazione costituzionalmente conforme quale “regola precettiva per l’ascrizione di significato a una determinata disposizione primaria nel confronto con la fonte gerarchicamente superiore”, le ordinanze de quibus richiamano le sentenze della Corte cost. nn. 46/2013; 77/2007, nonché le ordinanze nn. 102/2012, 212, 103 e 101/2011, 110, 192 e 322/2010, 257/2009, 363/2008.
[10] Cons. St., V, 7 maggio 2020, nn. 2887, 2888 2889, 2890, 2891 (Est. Perotti, Pres. Severini).
[11] TAR Lazio, Roma, III-quater, 27 aprile 2020, n. 4209 (Est. Marotta, Pres. Savoia). In altro giudizio, la stessa Sezione (stessi presidente e relatore) ha però respinto, con motivazioni sommarie e sostanzialmente assertive, un ricorso con il quale erano state sollevate eccezioni di illegittimità costituzionale in ordine alla disciplina delle cooperative di somministrazione lavoro (sentenza 4936 dell’11 maggio 2020).
[12] Cons. St., III, 8 maggio 2020, n. 2918 e 2919 (Est. Cogliani, Pres. Lipari).
[13] Cons. St., IV, 8 maggio 2020, n. 2475 (est. Caponigro, Pres. Anastasi).
[14] Cfr. nota 3
[15] P. Calamandrei, Il processo come giuoco, in Riv. dir. proc., 1950, 23 ss.
[16] F.G. Scoca, I principi del giusto processo, in F.G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, Giappichelli, 2013, 158, secondo il quale la nozione di giusto processo “prende sostanza dalle garanzie che positivamente le vengono connesse”.
[17] F. Benvenuti, voce Contraddittorio (diritto amministrativo), in Enc. dir., vol. IX, Milano, Giuffrè, 1961, 747; G. Crepaldi, Le pronunce della terza via. Difesa e collaborazione nel processo amministrativo, Torino, Giappichelli, 2019, 79 ss; R. Merengo, voce Udienza (diritto processuale civile), in Enc. dir., vol. XLV, Milano, Giuffrè, 1992, 483.
[18] E. Allorio, Sull’avvenire della giustizia civile, Giurisprudenza italiana, 1947, in Problemi di diritto, vol. II, Milano, 1957, 513 ss.; in tal senso si vedano anche G. Chiovenda, Le riforme processuali e le correnti del pensiero moderno, 1907, in Id., Saggi di diritto processuale, I, 379; S. Satta, Guida pratica per il nuovo processo civile italiano, Milano, 1941, secondo cui “oralità in altri termini non significa oratorietà, anzi perfettamente il contrario: amichevole discussione, nella comune volontà di scoprire il vero”, 37 ss.
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