ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Giustizia e comunicazione.5)
Proseguendo nel tracciato ideale avviato con l’editoriale dedicato al tema Giustizia e comunicazione, dopo i contributi di Gianni Canzio, Giovanni Melillo e le interviste dei professionisti della comunicazione Rosaria Capacchione e Giovanni Bianconi, si propone adesso il seguente lavoro redato da Claudio Castelli, Presidente della Corte d’Appello di Brescia. L’Autore, muovendo da un’attenta disamina dello stato dell’arte e della normativa del Consiglio Superiore della Magistratura in tema di comunicazione ed informazione dell’utenza da parte degli Uffici Giudiziari, passa in rassegna i modelli telematici già esistenti (siti web, bilancio di responsabilità sociale, guide ai servizi) individuandone possibili modalità di implementazione ed arricchimento, al contempo valorizzando i servizi frontali quali l’URP in grado, se compiutamente strutturati, di ottimizzare l’attività stessa degli uffici giudiziari ovvero, in prospettiva futura, piattaforme, quali le WebTV, funzionali a migliorare la capacità comunicativa.
La comunicazione istituzionale: un nuovo paradigma per gli uffici giudiziari
di Claudio Castelli
Sommario: 1. Un forte ritardo e le prospettive da darsi in tema di informazione e comunicazione - 2. I siti web - 3. Il Bilancio di responsabilità sociale - 4. Carte e guide ai servizi - 5. Uffici relazioni con il pubblico - 6. Le prospettive futuribili.
1. Un forte ritardo e le prospettive da darsi in tema di informazione e comunicazione
Gli Uffici Giudiziari vivono oggi un ritardo drammatico nell’uso istituzionale e di servizio della comunicazione, intesa non come semplice erogazione di notizia a senso unico, ma come strumento attraverso al quale si forniscono ai cittadini, agli operatori e a tutti gli stakeholders informazioni di accesso e uso dei servizi, di dati, orientamenti, ragioni delle decisioni, prospettive sui tempi e sulla predittività. Deve trattarsi di un canale a doppio senso che raccolga le domande sul funzionamento, sulle modalità di risposta e che funga anche da costante rilevamento di citizen satisfaction. In questa direzione occorre approcciare i temi di rilevanza degli uffici in un’ottica multi-disciplinare e fornire le attività di servizio sempre più a misura di cittadino/impresa, utilizzando la comunicazione in senso olistico integrato e guardando ai suoi strumenti (anche più innovativi) come fattore di incremento del valore aggiunto nella gestione della relazione con i diversi attori interni ed esterni che, diventano i reali pubblici di riferimento per una nuova di miglioramento non solo dei servizi ma della percezione del sistema giustizia.[1]
Non ci si è resi conti per lungo tempo che la corretta informazione e comunicazione dei servizi che vengono dati dalla giustizia e dell’attività giudiziaria era un passaggio fondamentale e dovuto non solo in ossequio a principi di democrazia e trasparenza, ma utilissimo e funzionale per il rapporto con l’utenza e capace di semplificare e rendere più agevole il lavoro delle cancellerie e segreterie. Questa sottovalutazione è stata dovuta da un lato alla tradizionale separatezza dal mondo esterno che ha per lungo tempo caratterizzato gli uffici giudiziari e dall’altro al fatto che non si è colto come le trasformazioni in direzione della trasparenza, dell’attenzione all’utenza, della semplificazione che, anche a livello normativo, hanno investito a partire dagli anni 90 la Pubblica Amministrazione italiana, per certi aspetti potevano e dovevano estendersi alla giustizia. Infine una notevole difficoltà è derivata dalla lontananza delle professioni giuridiche da logiche di comunicazione e dall’assenza di professionalità specifiche al riguardo.
Vi sono state due fondamentali delibere del Consiglio Superiore della Magistratura, una del 26 luglio 2010 “Uffici Relazioni con il Pubblico e modalità di comunicazione degli Uffici giudiziari e del Consiglio Superiore della Magistratura ed una dell’11 luglio 2018 su “Linee giuda per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale”
La prima riguarda le modalità di comunicazione del C.S.M. e la valorizzazione e promozione degli Uffici Relazioni per il Pubblico allora presenti in pochissimi uffici[2].
La seconda invece punta sul rapporto tra magistrati e mass media, suggerendo (si tratta di Linee Guida) modalità, procedure e contenuti della comunicazione che va data ai mass media e all’esterno, prevedendo la possibilità di creare la figura del responsabile per la comunicazione
L’ambito in cui si muove la delibera è ben enucleato dall’incipit della stessa “La trasparenza e la comprensibilità dell’azione giudiziaria sono valori che discendono dal carattere democratico dell’ordinamento e sono correlati ai principi d’indipendenza e autonomia della magistratura, nonché a una moderna concezione della responsabilità dei magistrati.”
Ma, senza sottovalutare l’importanza che ha la corretta informazione e comunicazione del singolo provvedimento giudiziario ai fini di garantire comprensibilità delle decisioni, efficacia, tempestività, eguaglianza di trattamento, esclusione di canali informativi preferenziali, il primo punto da trattare, su cui si incentreranno le considerazioni che seguono, riguarda la vera e propria comunicazione istituzionale del servizio giustizia dato dai vari Uffici.
Proprio la pandemia ci ha evidenziato come la comunicazione risulti fondamentale sia per evitare accessi inutili nei Palazzi di Giustizia, sia per informare sulle diverse modalità e cautele adottate in ogni Ufficio e probabilmente ci porterà a ristrutturare e valorizzare le diverse forme di comunicazione on line che già oggi esistono.
Se sinora, come si legge anche nella delibera CSM, gli URP, i siti web, i bilanci sociali sono state ritenute buone prassi da valorizzare e diffondere, il passo ulteriore è di ritenerli parti integranti e centrali dell’attività di un Ufficio Giudiziario.
2. I siti web
I primi siti web degli uffici giudiziari sono stati creati dalle società private cui, grazie a convenzioni con gli uffici giudiziari, in particolare Tribunali, era demandata l’esecuzione immobiliare e la vendita degli immobili. I siti erano fondamentali ai fini della pubblicità legale e, man mano, si erano specializzati e presentavano non solo l’attività di vendita, ma l’assetto dell’intero ufficio giudiziario.
La situazione abbastanza assurda che si è venuta a creare è stata che il Ministero della Giustizia da un lato ha voluto che venissero creati siti web degli uffici predisponendo una maschera e criteri comuni[3], ma dall’altro non ha sinora finanziato e aiutato in alcun modo questi siti che come tali restano gestiti dalle poche e diverse società che si occupano delle vendite immobiliari.[4]
La creazione e gestione di questi siti da parte di poche società ed i parametri comuni elaborati dal Ministero hanno fatto sì che questi siti si presentassero e fossero in larga parte dei casi molto simili, anche se l’esperienza dice che vi è stata molta disponibilità ad implementarli con nuove sezioni e con nuovi servizi on line per l’utenza. Ma fondamentale è il ruolo dell’Ufficio giudiziario, l’esistenza o meno di una redazione interna, le idee e gli scopi che i dirigenti e la redazione hanno pensato per il sito.
Un forte incentivo a migliorare la comunicazione è venuto dal Progetto interregionale transnazionale “Diffusione di Best Practices negli uffici giudiziari italiani che alla Linea 6 prevedeva “Comunicazione e realizzazione sito web. Il totale dei progetti realizzati in questa linea è congruo: ben 225.
Un monitoraggio svolto da Risorse per la Giustizia (una struttura nata nell’ambito del progetto “Diffusione delle Best Practices negli uffici giudiziari italiani” e del progetto “Il miglioramento delle Performance per la Giustizia”)[5] ha verificato che all’epoca 176 Uffici avevano un sito web o, in alternativa, delle pagine di riferimento. Tale analisi aveva riscontrato che nel dettaglio:
- l’85 % dei siti forniva almeno informazioni minime sul servizio erogato all’utenza professionale e non[6];
- il 75 % aveva modulistica on line che poteva essere scaricata per la richiesta di erogazione delle prestazioni degli uffici[7].
- poco meno del 40 % dei siti forniva l’opportunità di accedere a servizi on line o nelle proprie pagine senza necessità di autenticazione, o in un’area riservata, o ancora con un link di accesso al portale dei servizi del Ministero della Giustizia[8].
Solo in 3 Tribunali era possibile verificare on line lo stato del fascicolo o le informazioni conservate nei registri delle cancellerie.
Questa disamina di grandissimo interesse, ma purtroppo datata, evidenzia ancora di più che a differenza del passato, quanto il sito web poteva essere ritenuto un’appendice dell’ufficio giudiziario, oggi è il primo e principale biglietto da visita di un Ufficio.
Se elemento di base è la strutturazione dell’Ufficio, le persone che lo compongono, i giorni di udienza, gli orari di apertura di cancellerie e segreterie, molte altre sezioni ed informazioni possono essere aggiunte, come si ricava da una analisi dei siti realizzati:
Tipologie di servizi che possono essere dati e le FAQ di prima informazione.
Ogni ufficio rende una serie di servizi all’utenza qualificata (avvocati e non solo) e alla cittadinanza
Modulistica.
Disponibilità di moduli scaricabili dal sito per richiesta di erogazione di servizi dall’ufficio giudiziario.
News
Notizie sull’ufficio.
Iniziative.
Convegni.
Servizi on line.
Possibilità di accedere a documenti e certificazioni on line con richieste via mail o su format telematici, con pagamenti telematici e rilascio sempre in via telematica.
Richieste di appuntamenti e accesso agli uffici.
Iscrizione a corsi della formazione decentrata.
Prenotazioni per udienze demandate a istanza di parte (es.sfratti).
Informazioni su esami e concorsi e bandi.
Modalità, tempi e calendario dell’esame avvocato.
Eventuali altri concorsi per le diverse posizioni di personale giudiziario.
Bandi per abitazioni, borse di studio o altro destinati al personale o a loro familiari.
Informazioni per il personale.
Ordini di servizio.
Bandi e concorsi.
Codice disciplinare
Informazioni sulle udienze.
Statino delle udienze con relativi orari.
Scansione della chiamata delle cause.
Eventuali rinvii improvvisi che non possono essere altrimenti comunicati.
Bandi di gare e contratti.
Beni immobili e gestione del patrimonio.
Gare d’appalto e contratti.
L’andamento dell’ufficio.
Performance e dati relativi all’ufficio giudiziario con sopravvenienze, definizioni, pendenze e tempi.
Bilancio sociale.
Programma annuale delle attività.
Standard di qualità e piano delle performance.
La dotazione organica di personale e magistrati e relative scoperture.
Tasso di assenza.
Controlli e rilievi sull’amministrazione.
Gli obiettivi dei programmi di gestione.
Esame testi e collaboratori di giustizia e rilevazione statistica dei reati di criminalità organizzata.
Bilanci.
Bilancio.
Sovvenzioni, contributi, sussidi e vantaggi economici.
Banche dati giurisprudenziali e orientamenti.
Singoli provvedimenti.
Giurisprudenza locale formatasi su una o più materie.
Ultime sentenze rilevanti della Cassazione.
Analisi ragionata di uno o più settori.
Relazioni e attività della formazione decentrata.
Relazioni, convegni e iniziative dell’Ufficio.
Tipico è l’inserimento della relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario oppure programmi e contenuti di convegni locali.
Progetti di innovazione e convenzioni.
Le convenzioni ed i protocolli stipulati con Ordini, Camere di Commercio, Università, altri uffici.
Le eventuali convenzioni commerciali.
I progetti di innovazione, le partnership.
Buone prassi
Trasparenza.
Le CTU conferite con periti nominati ed il loro valore.
Consulenti e collaboratori.
Le retribuzioni di chi opera nella giustizia.
Liquidazione dei compensi ai custodi giudiziari di beni immobili pignorati.
Elenco dei debiti da pagare.
Come si vede si tratta di moltissime tematiche, che a volte possono apparire eccentriche, ma che dimostrano le enormi potenzialità e la fortissima espansione che possono avere i siti web dando sia un’informazione precisa e dettagliata delle attività poste in essere, sia una strumentazione che l’utenza, qualificata e non, può utilmente utilizzare. La scelta verrà fatta sulla base delle finalità, della vivacità e delle risorse a disposizione dai singoli uffici. Mi permetto di formulare in questa sede solo tre avvertenze. La prospettiva di un fortissimo incremento dei servizi on line è ormai ineluttabile e da valorizzare in quanto nel contempo si possono evitare accessi superflui e rendere più agevole e efficace il lavoro di cancellerie e segreterie. E’ uno degli insegnamenti che dobbiamo trarre dalla pandemia e dalle misure di cautela adottate che può trasformare una necessità in un’opportunità per il futuro. Inoltre il web è sinonimo di trasparenza e tale qualità che nasce da esigenze di elementare informazione, realizza appieno il rapporto tra ufficio giudiziario e comunità, ma risponde anche a raccomandazioni in tema di anticorruzione. Infine il sito è strumento fondamentale di comunicazione e di rendicontazione. Temo che siamo ancora lontani da questi risultati se il costituzionalista Michele Ainis in un articolo del 22 luglio 2016 lamentava che i cittadini devono sapere “Quanto sia complicato, per esempio, raggiungere i tribunali, orientarsi al loro interno, prelevarne documenti. Come tradurli nella lingua che parliamo tutti i giorni. Il costo d'ogni causa. La percentuale di successo dei diversi avvocati che operano nello stesso territorio. Quando verrà fissata l'udienza per una procedura di divorzio o per il recupero d'un credito. Quale sia la probabilità di soccombere in una controversia civile, rispetto alle statistiche di quel particolare ufficio giudiziario. I tempi dei processi del lavoro, delle liti condominiali, delle cause di sfratto. Sono queste le informazioni essenziali, è questo che interessa al cittadino prima di bussare al portone della legge. Se non so come funziona il tribunale della mia città, non potrò avvalermene per tutelare i miei diritti. Oppure dovrò farlo al buio, tirando in aria i dadi.”[9] E che da un’analisi dei siti web di diversi Tribunali da lui compiuta si evidenziava una mancanza di dati o di dati aggiornati che potessero soddisfare queste esigenze. Probabilmente avremo fatto qualche passo avanti da allora, ma molto è ancora da fare.
3. Il Bilancio di responsabilità sociale
Un altro dei risultati del Progetto interregionale transnazionale “Diffusione di Best Practices negli uffici giudiziari italiani” è stata la adozione in molti Uffici giudiziari dei Bilanci di Responsabilità Sociale, strumento che ha le sue origini in ambito privatistico, ma che si è esteso alle Pubbliche Amministrazioni e alla giustizia attraverso questo Progetto che lo prevedeva nella Linea di azione 5.
Secondo l’efficace presentazione del bilancio sociale nel sistema giustizia operata dal Dipartimento della Funzione Pubblica – Pubblica Amministrazione di qualità:
“Gli obiettivi del Bilancio di Responsabilità Sociale (BRS) sono di acquisire un metodo per descrivere e valutare i risultati dell’organizzazione; spiegare alla comunità esterna le premesse del proprio operato, gli obiettivi da conseguire, le strategie adottate ed i risultati ottenuti, ponendosi in una posizione di ascolto di suggerimenti ed istanze provenienti dalla collettività; ribadire all’interno i valori e gli obiettivi dell’organizzazione e gli impegni per conseguirli.”
“Si tratta di un prodotto documentale, che ha la funzione di sottolineare il ruolo della singola amministrazione nella società e che dà spazio al bisogno crescente di partecipazione dei cittadini alla vita delle istituzioni. La stesura di un “bilancio sociale” consente un processo di coinvolgimento ed apprendimento che può essere gestito con continuità dagli Uffici Giudiziari e che presenta due elementi: il primo è l’individuazione dei soggetti che intrattengono le relazioni con l’Ufficio con la comprensione delle loro legittime aspettative; il secondo fa riferimento alla definizione di un proficuo e reciproco rapporto di comunicazione, capace di rappresentare lo svolgimento della funzione sociale dell’ufficio stesso.”
“Presupposti necessari per l’adozione del bilancio sociale:
- una chiara formulazione dei valori e delle finalità che presiedono l’azione e all’identificazione dei programmi, piani e progetti in cui si articola;
- l’attribuzione delle responsabilità politiche e dirigenziali;
- l’esistenza di un sistema informativo in grado di supportare efficacemente l’attività di rendicontazione;
- il coinvolgimento interno degli organi di governo e della struttura amministrativa, nonché della comunità nella valutazione degli esiti e nell’individuazione degli obiettivi di miglioramento;
- l’allineamento e l’integrazione degli strumenti di programmazione, controllo, valutazione e rendicontazione adottati dall’amministrazione.[10]”
Seguendo questo stimolo i Bilanci sociali sono stati ampiamente realizzati in uffici di varie parti di Italia (al 28 giugno 2013 erano già 40 uffici che li avevano realizzati) individuando gli stakeholder cui riferirsi, illustrando il funzionamento del proprio Ufficio Giudiziario alla collettività, rendicontando sulle attività svolte, sulle risorse esistenti e sul loro impiego e sull’impatto sulle comunità di riferimento. Due elementi fondamentali venivano ad essere rivoluzionari per le logiche tradizionali degli uffici giudiziari: la rottura della separatezza con la necessità di interloquire con la comunità locale e l’essere costretti a rendere conto, conducendo in primis un’autoanalisi ed in secondo luogo un’esposizione dei risultati positivi o negativi raggiunti con la spiegazione delle loro cause.
Alcuni Bilanci sociali venivano utilizzati per una apertura ancora più ampia nei confronti di stakeholder quali le imprese, svolgendo una vera e propria customer satisfaction e, in altri casi, venivano effettuate ricerche di qualità sul tipo di risposta di giustizia e sull’esito dei procedimenti con focus su singole materie.[11]
In realtà si tratta di uno strumento oggi non più così diffuso e coltivato tra gli uffici giudiziari: il rischio è di ripetersi ogni anno e di far divenire il Bilancio di Responsabilità Sociale una medaglietta da appuntarsi, piuttosto che il risultato di un lavoro faticoso e complesso, specie se si devono coinvolgere realtà esterne. Non è un caso se diversi uffici non l’hanno più pubblicato negli ultimi anni. Comunque il risultato di apertura e attenzione verso gli stakeholders e di una cultura dell’accountability (oggi realizzata, sia pure sotto un profilo più interno, attraverso il Programma di gestione) è stato in fin dei conti raggiunto. Quanto è stato abbandonato, anche se non da tutti, è quel prezioso canale di comunicazione e di rendicontazione nei confronti della collettività che il Bilancio Sociale apriva.
4. Carte e guide ai servizi
Un’altra scoperta operata dagli Uffici Giudiziari che ha comportato una forte apertura verso la collettività è stata la realizzazione di Carte dei servizi.
Le Carte dei servizi delle pubbliche amministrazioni riguardavano, secondo la versione originaria di cui all’art 32 D.Leg. 14 marzo 2013 n. 33 gli standard di qualità, i costi contabilizzati ed i tempi medi di erogazione dei servizi (tale ultima previsione veniva abrogata con il D. Leg. 25 maggio 2016 n.97).
Si trattava di un obbligo di pubblicazione per le pubbliche amministrazioni che in questo modo si prendevano un impegno con il cittadino su standard di qualità e tempi di erogazione dei servizi. E’ pacifico che ciò non potesse riguardare gli uffici giudiziari per la specificità della loro attività, ma ciò comporta anche che le varie Carte dei servizi elaborate dagli Uffici giudiziari, al di là della denominazione, sono in realtà delle semplici Guide ai servizi in cui vengono spiegati i vari servizi erogati ai cittadini con particolare attenzione a settori cruciali come la volontaria giurisdizione, la tutela delle persone, i servizi amministrativi. Documenti di grande interesse e utilità, ma che non possono né pretendono di dare standard di qualità e tempi previsti. Nel 2020 risultano elaborate le Guide ai servizi della Corte di Appello di Salerno, del Tribunale di Avellino, del Tribunale di Latina, della Procura della Repubblica di Campobasso e della Procura della Repubblica di Milano. Documenti frutto di autoanalisi, riflessione e approfondimento estremamente apprezzabili e da imitare.
5. Uffici relazioni con il pubblico
Gli URP, come abbiamo visto, vengono raccomandati dal C.S.M. nel 2010, ma gli stessi vengono previsti nell’art. 8 della legge 150 del 2000 sulla “Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni” che “rappresenta, ad oggi, il caposaldo normativo della comunicazione pubblica. Si tratta infatti della prima, e per ora unica, legge quadro sulla comunicazione pubblica. Con essa la comunicazione pubblica si istituzionalizza, ottiene dunque un riconoscimento esplicito e una legittimità dall’apparato normativo italiano, mentre al contempo viene distinta dalle altre attività amministrative. Vengono definiti gli strumenti e i soggetti della comunicazione pubblica, inoltre la legge presenta la Comunicazione, o meglio l’Informazione, come una risorsa indispensabile e uno degli elementi principali dell’attività di una Pubblica Amministrazione” (Forum PA).[12]
“L’URP (…) si occupa delle attività di comunicazione rivolte ai cittadini (singoli e associati), alle imprese e gli altri enti. È compito di questo ufficio garantire i diritti di informazione, di accesso e di partecipazione, ma anche agevolare l’utilizzazione dei servizi offerti ai cittadini e verificare la qualità dei servizi, compreso il gradimento da parte degli utenti. Infine, questa figura deve garantire la reciproca informazione e il coordinamento tra sé e gli altri uffici dell’ente, ma anche con gli Urp di altre amministrazioni. L’Urp quindi si rivela essere particolarmente importante in quanto esso svolge sia funzioni di comunicazione esterna, sia di comunicazione interna.” (Forum PA)[13]
Il motivo per gli URP, salvo rarissimi esempi (in particolare l’URP telematico realizzato presso il Tribunale di Genova), per lungo tempo non hanno avuto fortuna è facilmente spiegato con la sempre più ampia penuria di personale giudiziario che ha disincentivato la loro costituzione e ha anzi portato all’abbandono da parte di uffici che l’avevano costituito e che poi sono stati costretti a recuperare le persone ivi addette per cancellerie e segreterie in grave sofferenza. Tra l’altro la creazione di URP di un intero Palazzo di Giustizia si scontrava da un lato con la difficoltà di mettere d’accordo i diversi Uffici, ciascuno totalmente autonomo, che convivono nello stesso edificio e dall’altro con la formazione multidisciplinare e multi ufficio di cui gli addetti agli URP dovevano essere forniti per poter rispondere in modo adeguato ed efficace a domande relative a settori e procedure del tutto differenti.
L’esempio forse più interessante di URP realizzatosi è quello del Palazzo di Giustizia di Milano aperto nel settembre 2014 sulla base di una Convenzione tra tutti gli uffici giudiziari di Milano coinvolgendo l’Ordine degli avvocati nell’ambito del programma Best Practices – Innovagiustizia con il supporto del Politecnico di Milano.
La forza del progetto è stata la scelta di non limitarsi ad un’attività di mera informazione logistica e generale, ma di farlo diventare un vero e proprio front office del Palazzo con 12 sportelli, integrato in una serie più ampia di servizi informativi.
L’esigenza cui l’URP voleva rispondere era nel contempo quella di creare una vera e propria politica di accoglienza per i cittadini e di razionalizzare ed ottimizzare l’attività degli uffici giudiziari.
La prospettiva è quella di “fermare” all’U.R.P. larga parte dell’utenza che ogni giorno frequentava il Palazzo di Giustizia, soddisfacendo le loro esigenze e facendo sì che tale utenza non acceda alle cancellerie e segreterie, con enormi benefici sia per i cittadini che per il lavoro delle cancellerie e segreterie. Ciò nell’ambito di un approccio multilivello in cui lo spazio fisico dell’URP era solo un elemento di una strategia più complessa che si articolava in un sito web dell’URP, in una intranet che contiene tutte le notizie e informazioni sulle attività svolte (fonte centrale di informazioni per gli operatori dell’URP), ed infine in punti informativi di settore e di ufficio (in alcuni casi come già oggi operanti comuni a più uffici). In tal modo è stato possibile recuperare il personale da impiegare nell’U.R.P. che in tal modo non viene ad essere un’attività in più, ma un significativo sgravio di altri uffici che consente l’investimento di personale qualificato in tale attività.
I servizi base erogati l’URP riguardano le informazioni logistiche (localizzazione di uffici, aule, orari etc.), le informazioni generiche (udienza, aule locali, disponibilità per appuntamenti, costi etc.), la guida ai servizi (accesso ai servizi, competenze dei diversi uffici, indicazioni procedurali), distribuzione e ricezione di modulistica, certificazione, supporto alla comprensione del servizio o del procedimento.
Un esempio che ora, con la penuria di personale in parte superata, si potrebbe pensare di estendere. Il primo passaggio deve sicuramente essere un bilancio di questa esperienza, in modo da poterla migliorare e da poter trarre preziosi insegnamenti dalla stessa anche alla luce dell’impatto che ha avuto la pandemia. Lo sviluppo dei servizi web ci porta a dover riconsiderare e ricalibrare queste esperienze anche al fine di arrivare a sperimentazioni simili e sperabilmente più avanzate anche in altri Palazzi di giustizia.
La comunicazione e la politica di accoglienza nei Palazzi di Giustizia sono difatti aspetti cruciali con cui dobbiamo confrontarci.
6. Le prospettive futuribili
Al di là dello sviluppo di tutti gli strumenti di comunicazione che abbiamo analizzato, un’altra prospettiva di grande interesse, ma anche con indubbie criticità, ci viene data dalla possibilità di utilizzo di Web TV. Abbiamo un solo esempio dato dal Tribunale di Firenze il cui intento dichiarato è quello di migliorare la propria capacità comunicativa e di portare a conoscenza dei cittadini la propria organizzazione, le azioni poste in essere, le partnership messe in atto con altre istituzioni. Ciò consente anche di valorizzare il lavoro dei dipendenti e degli operatori, mettendo in luce le loro professionalità e avvicinando l’Ufficio al cittadino. Non vanno però sottovalutati gli elementi problematici: il costo e la necessità di forti partnership istituzionali per garantire partenza e continuità, oltre che la necessità di una redazione vasta e dedicata per assicurare una comunicazione adeguata e efficace. Il rischio, altrimenti, sarebbe quello di essere totalmente dipendenti da professionisti esterni, comunque fondamentali in un’opera complessa e con moltissimi risvolti tecnici come questa.
Si tratta comunque di una sperimentazione di grande interesse che sarebbe importante approfondire per verificare risultati e potenziali prospettive.
Un primo elemento che comunque va inevitabilmente tratto è l’assoluta necessità che gli uffici giudiziari possano avvalersi di professionalità del mondo della comunicazione in modo da poter sviluppare una vera e propria politica di comunicazione istituzionale che oggi nel migliore dei casi è inevitabilmente artigianale, quando non del tutto improvvisata.
L’organizzazione della giustizia deve difatti sviluppare specifiche e strutturali competenze di gestione dei flussi informativi e di comunicazione interna ed esterna funzionali da una parte al sistema di gestione dei servizi e degli affari della giustizia e dall’altra alla comunicazione istituzionale, alla trasparenza ed alla rendicontazione sociale degli uffici. L’informazione istituzionale, la trasparenza, la comunicazione da episodica, idiosincratica, individuale e di emergenza dovrà diventare leva di servizio e di costruzione della reputazione degli uffici giudiziari nei confronti delle comunità di riferimento.[14]
[1] Ripreso e rielaborato da Giustizia 2030. Un libro bianco per la giustizia ed il suo futuro pagg.40 www.giustizia2030.it
[2] Dalla stessa delibera risulta che gli unici uffici in cui risultava presente un URP erano il Tribunale di Genova, il Tribunale di Siracusa, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ivrea e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano.
[3] Circolare 10689 del 19 aprile 2010 della DGSIA del Ministero della Giustizia “Diffusione linee guida siti web – Best Practices”.
[4] In questa affermazione non vi è alcun intento polemico nei confronti di queste società che vanno ringraziate per quello che hanno fatto.
[5] Le caratteristiche e i contenuti dei siti web degli Uffici giudiziari – maggio 2015 svolto all’interno delle attività di monitoraggio del progetto Miglioramento Performance Giustizia promosso e realizzato dal Dipartimento della Funzione Pubblica nell’ambito del PON Governance 2007 – 2013.
[6] Le caratteristiche e i contenuti dei siti web negli Uffici giudiziari pagg.13- 14-15.
[7] Le caratteristiche e i contenuti dei siti web negli Uffici giudiziari pagg.15-16.
[8] Le caratteristiche e i contenuti dei siti web negli Uffici giudiziari pagg.16- 174-15.
[9] Michele Ainis La diseguaglianza della giustizia in La Repubblica del 22 luglio 2016
[10] http://qualitapa.gov.it/sitoarcheologico/risorse/focus/focus-detail/article/il-bilancio-sociale-nel-sistema-giustizia/index.html
[11] Di particolare interesse sono i Bilanci Sociali dei Tribunale di Milano, in collaborazione con diverse Università di Milano tra il 2011 ed il 2018.
[12] https://www.forumpa.it/open-government/comunicazione-pubblica/legge-150-del-2000-cosa-prevede-la-prima-e-a-tuttoggi-unica-legge-quadro-sulla-comunicazione-pubblica/
[13] https://www.forumpa.it/open-government/comunicazione-pubblica/legge-150-del-2000-cosa-prevede-la-prima-e-a-tuttoggi-unica-legge-quadro-sulla-comunicazione-pubblica/
[14] Giustizia 2030. Un libro bianco per la giustizia ed il suo futuro pagg.40 www.giustizia2030.it
Ricordo di Ezio Bosso
di Luigi Di Paola
Sommario: 1. Sostanza e forma nella musica - 2. Musica e vita - 3. La musica anarchica - 4. Rain, in your black eyes - 5. Following a bird, Oceans, Clouds, The mind on the (Re)Wind - 6. La musica come servizio e…fuori “sistema” (con divagazione “leggerissima” su musica e diritto) - 7. Caro Ezio.
1. Sostanza e forma nella musica
La musica, lungi dal configurarsi quale elemento evanescente ed intangibile, è vera e propria “sostanza”.
Essa è capace non solo di ravvivare lo spirito dei predestinati che istintivamente la cercano e la accolgono, ma anche di muoversi liberamente in attesa di scuotere anche l’animo più distratto e disinteressato, vincendone le resistenze con una miscela di stili e generi che risvegliano il senso del gusto, in un avvicendamento di note che, sfuggendo ad ogni umano controllo, diventano un tutt’uno con l’aria che si respira.
Quelle note, peraltro, portatrici di immagini, di suggestioni e di colori, testimoniano il trionfo del più marcato soggettivismo, perché si lasciano apprezzare in modo sempre diverso da ciascun interlocutore, esprimendo una varietà di significati ed una ricchezza di motivi senza limiti.
Ma la musica non è solo sostanza “pura”, poiché si materializza anche nei movimenti corporei di colui che le consente di affacciarsi all’esterno, il quale, spinto nella gestualità da scosse nervose di varia intensità, ne è in primo luogo pervaso nel profondo.
Ecco che allora essa acquista le sembianze del musicista, parlando attraverso le vibrazioni generate dalla pressione esercitata da dita irrequiete sui tasti di un pianoforte, dai tocchi delicati sulla corda di una chitarra, dall’impatto di una bacchetta sul rullante, dal rombare dell’aria all’interno di uno strumento a fiato.
Ma ancor più vistosamente si impadronisce della “forma” - ossia dell’esteriorità - del direttore d’orchestra, che della musica stessa deve contenere, assicurando quel sottilissimo equilibrio che rende armoniosa la coesistenza di più strumenti, la naturale irruenza, per coglierne, quando è possibile, la dolcezza.
Ezio Bosso è stato, in tempi recenti, il modello figurativo della musica, che ha saputo, in maniera davvero unica, proiettarne all’esterno la “sostanza”.
2. Musica e vita
La musica si dona a tutti ma solo ad alcuni riserva la sua assoluta fedeltà, in un rapporto di inevitabile reciprocità.
La sintonia perfetta conduce ad una impostazione di vita che difficilmente può risentire del trascorrere del tempo e dei mutamenti che esso produce nei costumi, nelle mentalità, nei nuovi assetti degli affetti, e, in definitiva, nell’essenza della persona.
Il connubio della musica con la vita diventa, per i cosiddetti eletti, un automatismo quasi insuscettibile di percezione, un passaggio obbligato mascherato da una casualità che non può esserne mai, plausibilmente, la vera ragione, rivelandosi quale umana contingenza di un incontro necessario, già scritto.
Il Maestro ha fatto più volte riferimento a quella casualità, ma evidentemente in chiave meramente descrittiva di eventi racchiusi nelle sue narrazioni, da cui egli stesso traeva la consapevolezza del privilegio (spesso chiamato con il termine “fortuna”) di una vita vissuta nell’abbraccio intenso della musica.
È stato un abbraccio liberatorio, che lo ha messo al riparo dalle “piccolezze” dell’umanità, dalle inspiegabili ambizioni, dallo spegnimento indotto dal rammarico, dallo sterile individualismo, e, alla fine, dalla paura del dolore.
La malattia, infatti, non ha potuto annientare la vitalità del Maestro, non ha mai affievolito la luce del suo sguardo penetrante e deciso, espressione di una forza che solo il pensiero costante del fine sublime da raggiungere - nel caso, quello di farsi “portatore” di musica - mantiene integra.
Neppure la rinuncia, negli ultimi momenti, al dialogo intimo col pianoforte è stata espressione di un segno di debolezza, o di resa, ma solo una ulteriore attestazione dell’assoluto rispetto che il Maestro ha sempre portato alla perfezione della musica, che giammai avrebbe potuto essere disonorata o indebolita dal movimento incerto di quelle dita cui egli aveva pur imposto, sin quando è stato umanamente possibile, sforzi eccessivi.
Il senso di venerazione traspare dalla posizione eretta nella quale il Maestro soleva, anche per necessità, mettersi al pianoforte a coda, quasi che lo stare seduto potesse esser interpretato come un segno di irriverenza nei riguardi dell’immagine sonora che lo strumento avrebbe creato.
Il tutto si compendia in un intenso sentimento di riconoscenza per quella che è stata una fonte di vita autentica, cui egli ha dedicato tutta la sua esistenza.
E poiché la vita (che abbia un valore ed un significato) altro non è che una esperienza di comunione con gli altri, il Maestro si è preoccupato di non far prevalere, nel suo rapporto privilegiato con la musica, l’interiorità, pur necessaria a carpire l’ispirazione per tradurla in melodie, riservando adeguato spazio anche al confronto, che egli riteneva utile ad educare, soprattutto i giovani, alla musica, consapevole della non sempre agevole intelligibilità del suo linguaggio.
Ciò non significa che egli volesse farsi interprete della musica anche con le parole, essendo suo intendimento spiegare, semplicemente, quanto possa essere coinvolgente ed esaltante vivere, in un perenne entusiasmo di gioventù, di essa.
È nota la descrizione che il Maestro fornisce dell’orchestra, quale “società ideale” in cui si combinano molteplici elementi necessari ma non autosufficienti, la cui funzione è quella di “migliorare”, integrandosi con il tutto per portare ogni singola nota ad un livello più alto, in una dimensione in cui il piacere dell’ascolto va condiviso collettivamente, in una circolarità di emozioni che rimane viva nei ricordi.
I ricordi…
Ci si illude che facciano parte del passato, ma invece arricchiscono di continuo il presente (essendovi anche chi di soli ricordi sopravvive), riportando all’attualità non solo scene di vita, ma anche sensazioni già provate, odori già sentiti, musica già ascoltata.
Essi costituiscono il legame più forte con la vita di chi abbiamo incontrato e con la nostra stessa vita.
Quando mi soffermo su un evento del passato avverto la mia mente farsi largo tra le tante immagini per mettere a fuoco quella giusta, cercando di riscoprire i contorni di un volto, di ridisegnare un paesaggio, di amplificare voci in lontananza; ma il ricordo non sarà mai vivo, non riuscirà mai a riprodurre nitidamente la realtà di quel momento se non vi si associa una colonna sonora; del resto, a pensarci bene, la vita passata che fa incursione nel presente è fatta, soprattutto, di musica.
3. La musica anarchica
L’immediatezza con la quale il suono viene assorbito è tipica dell’intuizione, la quale, nel nostro caso, non ha il tempo di essere elaborata dalla mente, poiché non appena la coscienza tenta di classificare l’armonia per ordinarla in una categoria, sopraggiunge un’altra ventata di musica che, facendo volare, scombinandoli, i tasselli del mosaico, riporta nuovo disordine interiore (che è preludio dell’emozione).
È la musica “anarchica”, che soffre se imprigionata, freme se assoggettata all’irrigidimento delle regole, appassisce se piegata al senso del razionale.
Così, il musicista rigoroso non può che nutrirsi di autentica libertà, opponendosi alle consuetudini che lo vorrebbero esecutore di un disegno già tracciato, quasi scolorito personaggio vittima di un destino sempre uguale.
Il musicista “è soggetto soltanto alla musica”, che, però, egli è incapace di tradire, poiché essa non è “altro” da lui.
A tale accezione di anarchia faceva certamente riferimento, nelle sue sempre brillanti dichiarazioni, il Maestro che, nell’insegnare a vivere in libertà, soleva anche puntualizzare che nulla ci è dato per scontato, neppure la musica, che esige, dal “chiamato”, la massima dedizione, figlia di una autodisciplina e di un senso etico di gran lunga superiore a quello di cui molti si professano autorevoli detentori.
4. Rain, in your black eyes
La dinamicità delle composizioni del Maestro (spesso realizzate per dare vigore a famose pellicole di autore) è lo specchio del suo vivere in continua fibrillazione, ove ogni respiro è scandito dal movimento, da un susseguirsi di pulsazioni via via sempre più accentuate, prologo di una attesa e fragorosa esplosione che, però, rimane solo temuta, perché il cortocircuito prodotto dall’ansia, all’ultimo, si arresta dinnanzi ad uno steccato di silenzio oltre il quale c’è un finale...troppo riduttivo, troppo irriguardoso per una musica che non può e non deve incontrare limiti…
L’urto della pioggia sul terreno si fa quindi soave arpeggio, ed ogni nota, una volta persa nel suono, cede il posto ad un’altra, in un crescendo armonico ove ogni tentazione di abbandono al riposo è rifiutata sul nascere, ove l’ombra della staticità renderebbe sbiadita quella visione di gocce che dall’alto scendono a ritmo sempre più ossessivo, sprigionando, al momento del contatto, un inconfondibile profumo di bagnato.
Quando però l’agitazione prende il sopravvento e l’impeto sembra non lasciare scampo alla “continuità”, presagendo la inevitabile “conclusione”, la magia del Maestro prende per mano la musica e ne rallenta il ritmo, coccolandola e riconducendola alla propria origine, in un ritorno al passato che è attimo dopo attimo rivissuto nel presente, ma con uno spirito nuovo, con una giovinezza ancor più scintillante che traspare dalla leggerezza di note che si inseguono, ora, lentamente, ansimando dopo la frenetica corsa, per naufragare nei… tuoi occhi neri…
5. Following a bird, Oceans, Clouds, The mind on the (Re)Wind
Chiudo gli occhi, libero la mente da ogni angoscia, tronco momentaneamente ogni contatto con l’esterno e resto immobile… il brano (Following a bird) inizia, e stavolta le note non si fanno semplicemente ascoltare, ma prendono gradualmente forma in una successione di figure che si sovrappongono, prima confuse e poi sempre più limpide, e non rappresentano oggetti, bensì pensieri, concetti, che scorrono veloci davanti agli occhi della mente sopraffatta dal nuovo, impreparata a decifrare inconsueti segnali.
Nella melodia vedo celebrata la necessità della solitaria ricerca, faticosa, nutrita nel suo continuo procedere dalla speranza, dalla linfa del coraggio che domina la paura, che giunge all’auspicato incontro e si trasforma in esigenza di reciproca conoscenza, di alleanza e di nuova comune ricerca di inesplorati orizzonti.
Il tema del movimento e della condivisione delle emozioni è troppo caro al Maestro, che lo ripropone in Oceans, ove l’arpeggio di violini, frenetico e serrato, si risolve in note brevi, secche, quasi aggressive, con melodie che si intrecciano incalzanti in un giro di accordi persistente, e, inspessendosi in un cadenzato aumento di toni, precipitano, con un’ondata sferzante, verso un’esplosione di luce.
Si apprezza inequivocabile il tributo a Beethoven, che ha saputo cogliere la potenza devastante della musica, la sua capacità di assediare l’ascoltatore dapprima isolandolo ed inebriandolo di sensazioni, spezzandone ogni legame con la realtà, per poi proiettarlo in un vortice di stupore che lascia il corpo come sospeso, a mezz’aria, in un affannoso tentativo di toccare il suolo, tuttavia troppo distante.
Ma anche qui l’impetuosità mostra alla fine la sua indulgenza, così come un padre rassicura il proprio bimbo spaurito con un sorriso, e, ripiegando su se stessa, fa spazio alla quiete, che delinea il percorso del ritorno, a ritroso, in una catarsi che non può essere regressione, ma semplice procedere in altra sconosciuta direzione.
In “Clouds” la corsa in avanti, intrapresa dagli archi agitati sul fraseggio del pianoforte, ripetitivo nelle sue intonazioni in “minore”, diventa a tratti quasi scomposta, stretta in un tunnel scavato nel vento che sembra non fornire alcuna via di uscita, salvo quella che si vede in lontananza, come da una fessura che man mano si dilata fino a svelare un bagliore accecante, di disarmante potenza, tale da rendere quasi tangibile uno spicchio di … trascendenza.
6. La musica come servizio e…fuori “sistema” (con divagazione “leggerissima” su musica e diritto)
L’affermazione che fare musica è rendere un servizio ricorre spesso nelle dichiarazioni del Maestro; ed essa si trova legata all’idea della natura geneticamente rivoluzionaria della sonorità, talmente pervasiva da confinare lo spirito anarchico di chi vi si immerge, ossia il musicista, in una gabbia di severa autoresponsabilità, da cui il medesimo non può evadere.
In ciò non vi è contraddizione alcuna.
Infatti, la purezza (o l’“innocenza”) della musica, che ne determina la fuoriuscita da schemi prestabiliti, va salvaguardata da chi ne ha assunto la custodia, a beneficio dei fruitori, la cui capacità di ascolto verrebbe assai ridimensionata dal sopraggiungere di note stanche, sbiadite, ipocrite.
Il musicista, pertanto, pone le condizioni della sua libertà, la quale è vissuta, paradossalmente, come necessario asservimento.
Egli è quindi indipendente da ogni “sistema” convenzionale rinvenibile nel tessuto sociale, ma non da se stesso.
La musica, del resto, è servizio non solo per quello che è in grado di offrire all’ascolto, potendo essere, infatti, fonte di ispirazione ed appagamento anche nella quotidianità del lavoro.
Essa, tanto per fare un esempio, ha certamente la proprietà di rendere più scorrevole una sentenza dai tratti inizialmente oscuri, sì da ammorbidirne quelle asprezze che la rendono riottosa ad ogni tentativo di massimazione …
E può contribuire, soprattutto se scandita dai ritmi di un brano “dance”, a sciogliere con immediatezza gli enigmi di cui è sovente portatrice la materia della responsabilità civile, mentre una sonata “classica” può verosimilmente rasserenare l’animo di chi si accinge a convivere, a vita, con il diritto penale; ancora, un motivo “rap” può fornire quella “marcia in più” a chi è alle prese con il diritto successorio, ed un brano “blues” può mettere al riparo dagli agguati che il diritto condominiale non cessa mai, maliziosamente, di tendere.
Anche l’approccio con il diritto previdenziale può divenire fonte di piacere se sostenuto dall’energia della musica “rock”, ed il diritto tributario può essere domato da un mix di “funky e soul”, genere estremamente raffinato ed espressione di creatività…contagiosa.
Mi piace sempre raccontare di un’esperienza trascorsa, tanti anni fa, all’Ufficio legislativo del Ministero della giustizia, allorquando mi ritrovai a predisporre, sovrappensiero, la “bozza” di una norma sanzionatoria in materia penale, al ritorno verso casa, ispirato dalla musica jazz (che accarezzava il mio udito tramite gli auricolari), certo che, quale mera ipotesi di lavoro, sarebbe stata supervisionata e sicuramente rettificata dai superiori prima di approdare nel luogo deputato per l’approvazione.
Ma notai con stupore che quella norma passò, alla fine, così, e rimasi ancor più esterrefatto dai commenti anche positivi, successivamente rinvenuti casualmente su alcune riviste, espressi in merito dalla dottrina; il che mi portò ad apprezzare, ancor più, gli effetti benefici della musica, la quale, in quel caso, aveva offerto il suo pregevole contributo al formarsi della volontà del legislatore.
7. Caro Ezio
Caro Ezio, è passato un anno, ma, in verità, non me ne sono accorto.
La tua musica generosa, quella per cui hai combattuto, affinché diventasse di tutti, è sempre viva, intramontabile.
E’ un filo sottile che lega la nostra dimensione a quella nella quale tu adesso ti trovi, impegnato a discutere con Bach di una partitura, a suggerire a Mendelssohn un attacco sinfonico, a parlare a “voce alta” a Beethoven di una tua idea per un concerto “stellare”.
Ancora movimento, ancora tanto fare, ancora tempo per sorridere, perché nella musica, come dicevamo, e come ci hai insegnato, una conclusione non è immaginabile.
Interpretazione dell’atto amministrativo ed eccesso di potere. Nota a Tar Veneto n. 52/2021 del 14-01-2021
di Vincenza Caracciolo La Grotteria
Sommario: 1. Premessa sulla vicenda processuale - 2. Questioni sull’interpretazione dell’atto amministrativo - 3. Eccesso di potere per perplessità ed incertezza nella individuazione del potere esercitato - 4. Note conclusive.
1. Premessa sulla vicenda processuale.
La controversia oggetto della sentenza emessa dal Tar Veneto, sfociata in una pluralità di ricorsi, trae origine da una istanza presentata, nel 2003, dalla s.r.l. Delta-Scano alla Regione Veneto (Ufficio regionale del genio Civile di Rovigo), per la concessione di uno “specchio d’acqua” ricadente in località Scanno Cavallari del Comune di Porto Viro, da destinare ad attività di acqua coltura. La predetta richiesta è stata accolta, con provvedimento del giugno 2004 ma, a seguito delle reazioni e proteste degli operatori del settore, l’esecuzione della concessione é stata sospesa dal responsabile dell’ufficio del Genio civile di Rovigo.
Successivamente, il Consorzio di Gestione e valorizzazione dei molluschi bivalvi di Chioggia (COGEVO) ha proposto impugnativa avverso la concessione di cui sopra, chiedendone l’annullamento, con ricorso notificato alla società Delta-Scano, quale controinteressata. Inoltre, lo stesso consorzio ha proposto ricorso per motivi aggiunti, con il quale é stato chiesto l’annullamento, previa sospensiva, della nota del Genio civile di Rovigo, secondo cui la sospensione dell’esecuzione della concessione n. 10/2004 alla società Delta-Scano s.r.l. non impediva al concessionario di “esercitare i diritti di utilizzo dell'area in concessione”.
Successivamente è intervenuto un provvedimento di autorizzazione allo spostamento parziale della concessione originaria[1] che, con decreto n. 113/2008, è stato revocato Da qui l’impugnativa del provvedimento di revoca, cui è seguita la costituzione della Regione Veneto e l’intervento ad opponendum, a sostegno del predetto decreto di revoca, proposto da altra società e da un consorzio (AL ME CA).
Altro ricorso é stato proposto dal consorzio ALMECA e dalla stessa società agricola che avevano proposto intervento ad opponendum, per chiedere l’annullamento dell’autorizzazione in favore della società Delta-Scano a spostare parte della concessione demaniale all’interno dello sbocco a mare del Po di Levante, ossia in un’area di convergenza di interessi economici di primaria importanza, cui sono legate attività consortili e societarie che operano “nel mondo della pesca”.
Il Tar, con la decisione oggetto delle presenti note, ha accolto, entro certi limiti, il ricorso n. 980/2008, annullando il decreto n. 113/2008, emanato dal dirigente dell’unità periferica del Genio civile di Rovigo, con cui era stata revocata l’autorizzazione allo spostamento di mq 75.470 “di spazio acqueo all’interno dei moli foranei dello sbocco a mare del Po di Levante”, mentre ha rigettato il ricorso proposto dal Consorzio AL.ME.CA e dalla società agricola.
La sentenza del Tar Veneto affronta questioni processuali che scaturiscono dall’applicazione di canoni fondamentali del processo amministrativo, come quello che prescrive al ricorrente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, la previa notifica, oltre che all’amministrazione che ha emesso il provvedimento impugnato, anche ai controinteressati o, almeno, ad uno di essi, purchè ne ricorrano i presupposti.
Di particolare interesse si presenta pure la tematica concernente l’illegittimo esercizio del potere di autotutela in relazione alla natura dell’atto[2]. Il ricorso è stato accolto con riferimento a due differenti motivi concernenti l’interpretazione con riferimento al vizio di eccesso di potere, il primo per sviamento, erroneità dei presupposti e incongruità manifesta, il secondo per perplessità.
2. Questioni sull’interpretazione dell’atto amministrativo
L’interpretazione di un atto amministrativo costituisce un momento fondamentale dell’esercizio dell’azione da promuovere. Per mezzo dell’interpretazione, l’atto viene individuato rispetto alla categoria di appartenenza, con conseguenze sui relativi effetti e sulla disciplina giuridica da applicare.
Al fine di svolgere una corretta interpretazione[3], vengono utilizzati una serie di criteri analoghi a quelli applicati per l’interpretazione del contratto[4]. In particolare, è necessario fare riferimento non solo al dato letterale del testo e alla coerenza del dispositivo rispetto alla motivazione, ma, soprattutto, indagare sull’interesse che l’amministrazione intende perseguire, alla luce dei principi di buona fede, buon andamento, imparzialità e logicità[5]. A tal fine, l’interprete è chiamato a svolgere un esame approfondito non soltanto del provvedimento, ma anche di tutti gli atti del procedimento che costituiscono i presupposti in base ai quali il provvedimento è stato adottato[6]. In tal modo può essere compiuta una valutazione complessiva rispetto allo scopo che, per mezzo del provvedimento, si intendeva perseguire, con riguardo ai principi dell’azione amministrativa[7] (enunciati all’art. 1 della legge 241/1990) che devono trovare ampia applicazione quando viene svolta attività di interpretazione di tipo estensivo ed analogico. Il lavoro dell’interprete deve essere altresì focalizzato sull’obbiettivo che si intende perseguire attraverso l’emanazione dell’atto stesso, in quanto il fine indicato dalla legge si riflette nello scopo concreto del provvedimento[8].
Il ricorrente ha articolato le sue doglianze asserendo che il provvedimento di revoca della concessione demaniale (oggetto di impugnazione) era stato emesso sul presupposto che, durante il procedimento per il rilascio della concessione stessa, non risultava pronunciato il parere dell’organo tecnico consultivo competente.
L’obbligatorietà di tale parere sarebbe stata prevista da una delibera della Giunta Regionale per il Veneto (454/2002) che, mentre per un verso conferiva natura di parere obbligatorio agli atti consultivi rilasciati dalla Capitaneria di Porto e dal Comune, per altro verso, prevedeva che il parere della commissione consultiva regionale locale per la pesca e l’acquacoltura potesse essere richiesto solo a seguito della avvenuta acquisizione dell’atto consultivo favorevole da parte degli altri enti. Ne deriva che l’omissione del predetto parere non determinerebbe l’illegittimità del provvedimento, tanto più che tale atto consultivo era stato richiesto dall’Ufficio del Genio civile che, trascorso un anno dalla richiesta senza ottenere risposta alcuna, ha deciso di procedere, comunque, al rilascio del provvedimento concessorio.
Il Collegio ha accolto la doglianza del ricorrente, statuendo che la fattispecie oggetto di esame non rientra tra le ipotesi in cui è applicabile la delibera della Giunta regionale (che prevede il rilascio del parere di cui sopra), poiché mentre tale delibera si riferisce alle nuove concessioni e agli ampliamenti di precedenti concessioni, il caso in esame riguarda la variazione di una concessione precedente, in quanto si tratta di “spostamento parziale di specchio acqueo in concessione demaniale marittima”.
Tale interpretazione della delibera della Giunta Regionale sarebbe determinata anche dalla precisazione, in essa contenuta, secondo cui sono considerate nuove concessioni anche gli “incrementi di superficie autorizzati a beneficio di concessioni in essere” e resterebbe, pertanto, esclusa l’ipotesi di spostamento dell’area oggetto di concessione, che non determina l’impegno di un’area maggiore rispetto a quella già concessa, ma soltanto lo spostamento da un sito ad un altro.
Nel caso di specie, la corretta interpretazione della delibera della Giunta regionale discende dal dato testuale, perché lo stesso atto ne specifica l’applicabilità solo alle “nuove concessioni” e non anche allo spostamento di concessioni pregresse, per cui la pubblica amministrazione avrebbe potuto decidere in assenza del parere previsto nell’atto deliberativo.
Dall’errata interpretazione della delibera deriva l’illegittimità dell’atto di revoca del provvedimento, viziato da eccesso di potere per erroneità dei presupposti, in quanto i vincoli, indicati nella delibera stessa, non avrebbero dovuto trovare applicazione nella fattispecie, per cui il Collegio ha rilevato l’erroneità della individuazione da parte dell’organo decidente della disciplina applicabile al caso concreto.
3. Eccesso di potere per perplessità ed incertezza nella individuazione del potere esercitato.
Altro motivo di accoglimento del ricorso concerne l’eccesso di potere sotto il profilo della c.d. perplessità, in quanto, dal tenore dell’atto, emerge che l’amministrazione ha esercitato il potere in maniera incerta, applicando i parametri e gli elementi distintivi propri sia della revoca che dell’annullamento d’ufficio, pur avendo attribuito all’atto il nomen iuris di revoca.
L’esercizio del sindacato di eccesso di potere dei provvedimenti amministrativi si concreta in un riesame complessivo da parte del giudice amministrativo, oltre che sulla validità, sulla funzione esercitata dalla pubblica amministrazione, con particolare riferimento al fine di interesse pubblico che deve essere perseguito. È noto, infatti, che il giudice amministrativo (che si occupa del corretto esercizio del potere) individua le ipotesi di violazione del fine, che costituiscono i vizi della scelta dell’amministrazione che, pur essendo dotata di potere discrezionale, è vincolata nel fine ed è tenuta a rispettare parametri e principi elaborati via via dalla giurisprudenza.
Tra i vizi del provvedimento va annoverato l’eccesso di potere per vizio di volontà, che è espressione dell’errore in cui è incorso il decidente. La volontà costituisce un elemento fondamentale del provvedimento che si traduce in un atto volitivo dell’autorità emanante, tenuto conto dell’apporto di eventuali pluralità di soggetti che svolgono un ruolo determinante nel corso del procedimento. Ne deriva che i vizi che possano inficiare la volontà determinano l’illegittimità del provvedimento per eccesso di potere sotto il profilo delle diverse figure sintomatiche elaborate dalla giurisprudenza che, come è noto, interviene spesso ad integrare le regole previste nel nostro sistema di diritto amministrativo, fondato, essenzialmente, sui principi dell’ordinamento costituzionale ed europeo. Da qui l’importante opera dell’interprete che, alla luce dei principi generali, esplicita le norme, a volte criptiche, e ne integra i contenuti, affermando i principi fondamentali di garanzia dei cittadini, in coerenza con il quadro costituzionale. Tale attività può essere svolta senza sostituire l’azione amministrativa chiamata per prima ad interpretare ed applicare le norme certe e determinate che devono essere formulate dal legislatore, il quale deve fissare le regole attuative dei principi costituzionali[9]. Tali regole devono essere interpretate ed applicate in primis dall’amministrazione e, laddove questa abbia errato nell’esercizio del potere, dal giudice, che, mediante una interpretazione ampia, può applicare la norma senza sostituirsi al potere esecutivo né al potere legislativo. Il rispetto del principio della separazione dei poteri garantisce il sistema democratico, che rischierebbe di essere intaccato nel caso in cui venisse consentito agli esperti, tecnici del diritto, di costruire nuove norme in pieno contrasto con il principio di sovranità popolare su cui è fondato il nostro sistema. È necessario, pertanto, mantenere i limiti tra interpretazione e creazione del diritto, riconoscendo il ruolo fondamentale della norma scritta, che deve essere posta alla base delle decisioni amministrative, limitando l’overruling giurisprudenziale[10].
D’altro canto la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione[11] ha affermato che l’interpretazione della legge “rappresenta il proprium della funzione giurisdizionale e non può, dunque, integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del giudice amministrativo”. Il giudice ha il potere-dovere di valutare la conformità dell’atto amministrativo alla legge nonché la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma, senza sconfinare nella sfera del merito riservata alla pubblica amministrazione e può interpretare la volontà amministrativa purché il processo volitivo emerga dal contesto dell’atto.
Dinnanzi alla impugnazione per ottenere l’annullamento di un provvedimento amministrativo per eccesso di potere, il giudice può integrare l’attività interpretativa, compiuta dall’amministrazione, individuando la regola in virtù della quale doveva essere espressa la volontà. In tal guisa, nel caso in cui il decidente abbia individuato la norma regolativa del potere e abbia proceduto alla corretta applicazione commettendo un errore meramente formale, il giudice può valutare la volontà sostanziale dell’amministrazione, senza sconfinare in valutazioni di merito, di opportunità e convenienza delle scelte da operare in concreto.
Il contenuto sostanziale dell’atto costituisce l’elemento predominante che viene tenuto in considerazione a fini interpretativi, proprio perché l’interprete deve esaminare le finalità perseguite con l’adozione del provvedimento, attribuendo allo stesso il significato e la natura più attinenti all’interesse pubblico. Da qui l’esigenza di prendere in considerazione la motivazione del provvedimento, per accertare le ragioni giuridiche, tecniche e fattuali sulla base delle quali l’amministrazione è giunta ad una certa decisione precisata nel dispositivo.
Secondo la giurisprudenza ormai consolidata, ai fini interpretativi deve essere privilegiato il criterio del contenuto obiettivo del provvedimento rispetto all’intenzione del decidente e al dato letterale, per cui, nonostante la qualificazione dell’atto attribuita dal soggetto emittente, va considerato il potere in concreto esercitato
4. Note conclusive
Il Tar Veneto, nella decisione oggetto delle presenti note, applicando i criteri ermeneutici sopra rammentati, ha evidenziato che, nella motivazione dell’atto impugnato, si fa riferimento alla carenza di un parere infraprocedimentale, che avrebbe determinato un vizio del procedimento (con conseguente esercizio del potere di annullamento d’ufficio) nonché a ragioni di opportunità e di interessi da tenere in considerazione.
La presenza di valutazioni che potrebbero ricondurre sia all’annullamento d’ufficio che alla revoca, non consente l’applicazione del criterio ermeneutico sopra menzionato, secondo cui andrebbe considerato il potere effettivamente esercitato, indipendentemente dal nomen iuris indicato dall’amministrazione[12].
Tale criterio, infatti, non può essere applicato laddove, nella motivazione dell’atto, sono articolate valutazioni che riguardano sia l’opportunità delle scelte, in raffronto agli interessi in gioco, sia profili concernenti la legittimità del procedimento. In tal caso, mancando degli elementi univoci, che consentano di individuare il potere che l’amministrazione ha in concreto voluto esercitare, il Giudice non può applicare il criterio sostanziale di cui sopra, in quanto travalicherebbe i limiti del potere interpretativo e di sindacato ad esso attribuiti. Il giudice è chiamato a procedere alla qualificazione giuridica del provvedimento[13], non solo in base al tenore letterale, ma anche risalendo all’effettiva volontà dell’amministrazione ed al potere concretamente esercitato, per cui è necessario “prescindere dal nomen iuris” adoperato ai fini dell’inquadramento degli atti “all’interno delle tradizionali categorie”[14].
Tale orientamento ormai consolidato della giurisprudenza dei Tar e del Consiglio di Stato trova nella sentenza in disamina un profilo di novità in quanto il Collegio ha specificato che il predetto potere di qualificazione giuridica, attribuito al giudice, può applicarsi solo nei casi in cui sussistano degli elementi univoci, idonei a consentire l’individuazione del potere esercitato mentre non può applicarsi laddove sussista una pluralità di elementi riconducibili a differenti fattispecie astratte. Tale precisazione potrebbe costituire un nuovo limite al potere interpretativo del giudice, in controtendenza rispetto all’orientamento giurisprudenziale consolidato. Il Collegio condiziona l’attività interpretativa all’individuazione, all’interno dell’atto, di elementi certi dai quali emergano in modo oggettivo la volontà del decidente e il potere effettivamente esercitato, restringendo la capacità interpretativa del giudice. Ne consegue un controllo particolarmente debole, per cui il giudice non potrebbe compiere il sindacato pieno di legittimità mediante la corretta qualificazione dell’azione amministrativa.
[1] Nel tentativo di risolvere la complessa controversia, la società Delta-Scano ha accettato la proposta transattiva diretta ad ottenere lo spostamento parziale della concessione originaria all’interno dei moli foranei dello sbocco a mare del Po di Levante, il cui accoglimento é avvenuto con autorizzazione del 27-03-2008 dell’Ufficio regionale del Genio civile di Rovigo, condizionata al rispetto di alcune “clausole di tutela dell’interesse pubblico della navigazione”.
[2] F. Francario, Autotutela e tecniche di buona amministrazione, in A. Contieri, F. Francario, M. Immordino, A. Zito (a cura di), L’interesse pubblico tra politica e amministrazione, Edizioni Scientifiche, 2010; F. Francario, Autotutela amministrativa e principio di legalità (note a margine dell’art 6 della l. 7 agosto 2015 n.124)”, in Federalismi, n. 20/2015.
[3] M. S. Giannini, L’interpretazione dell’ atto amministrativo e la teoria giuridica generale dell’interpretazione, Milano, 1939; S. Romano, L'interpretazione delle leggi di diritto pubblico, ora in Scritti minori, Milano, 1950, I, 90 ss., 96; L. Benvenuti, Interpretazione e dogmatica nel diritto amministrativo, Milano 2002; C. Marzuoli, L’interpretazione dell'atto amministrativo nella giurisprudenza, in Studi in onore di G. Berti, Napoli, 2005, II, 1529 ss., M. Monteduro, Provvedimento amministrativo e interpretazione autentica, Padova, 2012; A. Cioffi, Il problema dell’interpretazione nel diritto amministrativo, in Dir. amm., 2020.
[4] Cass. 22.2.1954, n. 490; Cons. Stato V, 8.3.1993 n. 329; Cons. Stato V., 18.01.2006 n. 113
[5] A. Romano Tassone, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Milano, 1987, 143
[6] V Cerulli Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2021, 389.
[7] M.A. Sandulli, Introduzione. Il ruolo dei principi nel diritto amministrativo, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2017.
[8] Il principio di legalità, espresso all’art. 1 della legge n. 241/1990, impone l’obbligo di perseguire i fini previsti dalla legge, in modo che l’amministrazione, nell’esercizio del potere, non possa travalicare, i confini fissati dalla norma. Sul principio di legalità e interpretazione v. R. Cavallo Perin, Potere di ordinanza e principio di legalità, Milano, 1990, 242 ss. F. Manganaro, Principio di legalità e semplificazione dell’attività amministrativa, Napoli, 2000.
[9] A. Sandulli, Principi e regole dell'azione amministrativa: riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale, in Federalismi, n. 23/2017.
[10] T. Cocchi, L’eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nella sfera legislativa. Ancora un'ipotesi meramente teorica? Note a margine della sentenza Cass., sez. un., 30 ottobre 2019, n. 27842, in Foro amm., 2, 2020, 169 ss.; F. Patroni Griffi, Il giudice amministrativo oggi: ruolo, etica, responsabilità, Relazione introduttiva al Primo congresso nazionale dei Magistrati amministrativi, Palazzo Spada, 7-8 giugno 2019, in www.giustizia-amministrativa.it; ; M. Luciani, L’errore di diritto e l'interpretazione della norma giuridica, in Omessa pronuncia ed errore di diritto nel processo amministrativo, a cura di F. Francario – M.A. Sandulli, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019, 63; C. Consolo, Le Sezione Unite tornano sull'overruling, di nuovo propiziando la figura dell'avvocato « internet-addicted » e pure «veggente», nota a Corte Cass.sez. Un., 11 luglio 2011 n. 15144, in Giur. Cost. n.4/2012 n. 3166; M. Mazzamuto, L’eccesso di potere giurisdizionale del giudice della giurisdizione, in Dir. proc. amm., 2012, IV, 1677 ss.
[11] Cass. Civ., sez. un., 03/03/2020, n.5905.
[12] TAR Puglia, Lecce, I, n. 533/2017; TAR Puglia, Lecce, I, n. 214/2017; TAR Sicilia, Catania, IV, n. 40/2017; TAR Calabria, I, n. 514/2017.
[13] T.A.R. Palermo, (Sicilia) sez. I, 29/06/2020, (ud. 18/06/2020, dep. 29/06/2020), n.1310; T.A.R. Torino, sez. II, 12/11/2019, n. 1146, T.A.R. Genova, sez. II, 05/11/2015, n. 881, T.A.R. Catanzaro, sez. II, 22/08/2016, n. 1638
[14] Consiglio di Stato, sez. V, 15 ottobre 2003, n. 6316; Consiglio di Stato sez. IV, 05/06/2020, n.3552 secondo cui “ai fini della di una corretta qualificazione della sua natura, l'atto amministrativo va interpretato non solo in base al tenore letterale, ma soprattutto in base al suo specifico contenuto e risalendo al potere concretamente esercitato dall'amministrazione, prescindendo dal nomen iuris che gli è stato assegnato; in assenza di specifiche disposizioni, gli atti amministrativi vanno infatti interpretati secondo le regole fissate dal codice civile per l'interpretazione del contratto, sia pure adeguandole alla natura dell'atto medesimo, espressione di un potere pubblico; in particolare, ove il dato letterale non conduca ad una interpretazione univoca, sarà possibile valutare il contenuto complessivo dell'atto, applicando in via analogica i criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 e ss. del codice civile”; cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 settembre 2019, n. 6378; Consiglio di Stato sez. II, 30/09/2019, n.6534; Consiglio di Stato sez. III, 24/07/2018, n.4522.
Magistratura onoraria e ufficio per il processo: spunti per un sistema
di Carlo Sabatini
La previsione nel PNRR di risorse dedicate alla giustizia deve servire a riavviare un servizio, che è garanzia essenziale di ogni società e che ha scontato protratte carenze di programmazione e di investimenti: si indicano possibili proiezioni “a sistema” delle nuove assunzioni, dell’Ufficio per il processo e di una nuova magistratura onoraria.
Sommario: 1. Premessa - 2. Le risorse - 3. Il sistema giurisdizionale - 4. La nuova magistratura onoraria: 4.1 accesso dall’UPP - 5. Competenze, inquadramento, retribuzione, incompatibilità (cenni).
1. Premessa
La sfida della ripartenza e del corretto e utile impiego delle risorse derivate dal PNRR offre la possibilità di profondi interventi nella, e per la, giustizia: interventi che dovrebbero articolarsi attraverso molteplici piani di azione, non essendo pensabile – per la complessità del sistema e l’interazione necessaria di tutte le sue componenti – un approccio solo per singole questioni.
Proprio per potere svolgere interventi che siano inquadrati (o gradualmente inquadrabili) in un assetto complessivo, si ritiene che debbano essere attentamente meditate le scelte più immediate: ci si riferisce all’assetto della magistratura onoraria (che a sua volta comprende problematiche assai eterogenee tra di loro) e al contempo al lancio (o rilancio) dell’Ufficio per il processo, che il legislatore ha posto al centro del recentissimo D.L. 80/21.
2. Le risorse
Si ritiene quindi in primo luogo necessario un approccio complessivo che, nel ripensare la giurisdizione e i suoi attori, si occupi in generale della struttura in cui li inserisce. Cercando di non ripetere le consuete doglianze sulla carenza delle risorse, nel momento in cui queste vengono poste al centro dell’attenzione come motore di cambiamento, non può però non rimarcarsi che la pandemia ha fatto emergere carenze e arretratezze sistemiche, ha indicato come alcune funzioni possano essere meglio gestite a livello informatico (la digitalizzazione del fascicolo, la sua integrale gestione computerizzata; la possibilità del lavoro da casa, che consentirebbe un migliore utilizzo dei lavoratori in part time, con il conseguente necessario accesso ai registri anche da remoto; la definitiva scelta anche nel penale per canali telematici di notifiche e comunicazione).
È allora evidente come un nuovo modo di lavorare, una giustizia più rapida ed efficiente non possono che passare attraverso la riqualificazione del personale in servizio, nuove mirate assunzioni a tempo indeterminato, in realtà anche ulteriori rispetto alle 16500 assunzioni per l’UPP sulle quali si tornerà infra, per colmare in maniera stabile alcune carenze. In definitiva, si deve essere consapevoli che non si possono fare riforme a costo zero, e che gli investimenti devono essere proiettati nel tempo.
3. Il sistema giurisdizionale
Passando al piano più propriamente giurisdizionale, si ritiene di partire dalla attenta distinzione svolta su questa Rivista [1]: sono state individuate
- attività di tipo preparatorio (organizzazione dell’udienza, preparazione e riordino dei fascicoli, studio preliminare di tematiche giuridiche ecc.);
- attività di tipo giurisdizionale ma non definitorio di controversie e dunque endoprocedimentale
- attività di tipo giurisdizionale, dunque decisorie, in senso pieno.
Nel prevedere le 16500 assunzioni il D.L. 80/21 sembra in qualche modo tenere conto di questa tripartizione: prevedendo che i compiti dei neoassunti siano (come indica l’all. II al D.L.) lo “studio dei fascicoli (predisponendo, ad esempio, delle schede riassuntive per procedimento); supporto il giudice nel compimento della attività pratico/materiale o di facile esecuzione, come la verifica di completezza del fascicolo, l'accertamento della regolare costituzione delle parti (controllo notifiche, rispetto dei termini, individuazione dei difensori nominati ecc.), supporto per bozze di provvedimenti semplici, il controllo della pendenza di istanze o richieste o la loro gestione, organizzazione dei fascicoli, delle udienze e del ruolo, con segnalazione all'esperto coordinatore o al magistrato assegnatario dei fascicoli che presentino caratteri di priorità di trattazione; condivisione all'interno dell'ufficio per il processo di riflessioni su eventuali criticità, con proposte organizzative e informatiche per il loro superamento; approfondimento giurisprudenziale e dottrinale; ricostruzione del contesto normativo riferibile alle fattispecie proposte; supporto per indirizzi giurisprudenziali sezionali; supporto ai processi di digitalizzazione e innovazione organizzativa dell'ufficio e monitoraggio dei risultati; raccordo con il personale addetto alle cancellerie” sembra volersi così assicurare – con meccanismi di supporto dei magistrati che tanti Paesi già da tempo hanno istituito – certamente la funzione preparatoria (con sgravio anche di funzioni del personale amministrativo), arrivando per così dire anche alla ‘soglia’ di quella che abbiamo definito funzione endoprocedimentale.
Il quesito da porre, al quale proprio questo legislatore potrebbe dare risposta nella citata ottica della completezza del sistema, è se sia possibile completare il disegno ripensando anche le fasi più propriamente giurisdizionali, ripensando quindi a consistenza e distribuzione degli organici della magistratura togata e – soprattutto – offrendo finalmente certezze sul ruolo che viene chiamata a svolgere la magistratura onoraria. Va precisato qui che ci si riferirà essenzialmente all’assetto futuro di tale funzione, ma cercando di tenere conto dell’attuale situazione che vede in situazione di protratta precarietà migliaia di magistrati onorari, ai quali va data finalmente risposta adeguata.
4. La nuova magistratura onoraria: 4.1 accesso dall’UPP
Provando allora a ripensare anche il futuro sistema della magistratura onoraria, deve innanzitutto porsi la questione del come realizzare la selezione in entrata. Un’occasione formidabile è offerta dalle già citate 16500 nuove assunzioni: figure che – superata la fase in cui come detto vengono addette all’attività più propriamente preparatoria – ben potrebbero essere proiettate anche per il futuro, verso i ruoli appunto della magistratura onoraria di pace, giudicante e requirente.
Al termine del triennio in cui si è svolto questo mix di formazione/collaborazione, si potrebbe cioè pensare di trarre le nuove figure di magistrati onorari da questa platea, che appare sufficientemente ampia per operare al suo interno una selezione per le funzioni più propriamente giurisdizionali, endoprocessuali o anche decisorie, per un periodo unico (ad esempio un ulteriore triennio) non rinnovabile. Avremmo dunque magistrati onorari che sono “emanazione” dei Tribunali in cui hanno già prestato servizio come collaboratori: in base alla relazione fatta dal magistrato al quale viene delegata la responsabilità del singolo UPP, potrebbero esservi un giudizio di idoneità dei Consigli Giudiziari (in cui già siedono rappresentati dell’Avvocatura, così coinvolta in questa valutazione) e quindi la formazione di graduatorie (anche per probabili subentri in corso, trattandosi di persone che per età anagrafica sarebbero certamente interessate a soluzioni lavorative più stabili). Questa strada consentirebbe di disegnare nei prossimi anni una nuova magistratura onoraria, che si avvale di un triennio di specifica formazione, persone già verificate sul campo per doti tecniche e per indipendenza e serietà, alle quali si offre la possibilità di svolgere un’esperienza limitata nel tempo ma fortemente qualificante, coerente con il percorso fatto e “spendibile” nel mondo del lavoro (questo accade per esempio nei Paesi nordici).
Si ritiene che questo sistema si coniughi assai bene anche con una possibile normativa transitoria: perché l’entrata a regime dei nuovi GOP/VOP avverrebbe – tenendo conto dei tempi per il bando per l’assunzione delle nuove figure, del loro primo triennio di mero impiego nell’UPP e del tempo necessario alle prime valutazioni di idoneità per i ruoli onorari – in tempi non brevi, nei quali continuerebbero ad agire secondo modalità e competenze vigenti gli attuali GOT/VPO (per i quali d’altra parte l’inserimento nell’UPP con funzioni di mero ausilio comporterebbe una ingiustificata deminutio e soprattutto una perdita di competenze).
Al riguardo, sembra essenziale effettuare una ricognizione della composizione anagrafica delle attuali categorie di onorari, perché sia possibile assicurare a chi è già in servizio il compimento del proprio percorso per maturare l’accesso a trattamenti pensionistici e previdenziali e al contempo per realizzare un graduale subentro delle nuove figure, che non crei carenze nel sistema: potrebbe richiamarsi lo stesso meccanismo di sincronizzazione (già sperimentato per i concorsi in magistratura) tra selezione/inizio tirocinio/immissione nelle funzioni: dopo l’iniziale immissione dei primi 16500,00 ogni tre anni si potrebbe cioè varare un nuovo bando (da calibrare nei numeri in base a questa prima esperienza) per le nuove assunzione nell’UPP, e contemporaneamente varare nei singoli CCGG la procedura di valutazione dei componenti che chiedano di svolgere funzioni onorarie.
4.2. Una ipotesi di accesso concorrente e alternativa: il contratto
Si è consapevoli che tale meccanismo sottende la protratta “alimentazione” dell’UPP, con periodiche assunzioni di figure analoghe a quelle previste dal DL, magari in misura inferiore purchè ne sia assicurata la regolarità: si ritiene allora necessario accennare all’ipotesi in cui invece tale figura non trovi continuità, ovvero al caso in cui tale meccanismo di formazione/impiego all’interno degli uffici con successiva proiezione nella giurisdizione risultasse nel tempo insufficiente a garantire un apporto numericamente sufficiente di magistrati onorari.
Si potrebbe allora prevedere un canale di accesso diverso e concorrente di magistrati onorari, dunque non una esperienza posta all’inizio di un percorso professionale con una inevitabile fase di formazione/collaborazione ma una esperienza affidata – comunque su base negoziale, e a tempo determinato – a professionisti che hanno già svolto attività giudiziaria. Se si ha riguardo alla situazione attuale, tale meccanismo potrebbe appunto essere riservato al momento in cui avranno terminato la loro esperienza gli attuali magistrati onorari, che hanno seguito un percorso che forse era nato proprio con le caratteristiche di essere collaterale e compatibile con altra e stabile attività lavorativa, ma che certamente nel tempo si è snaturato e complicato, in ragione di mere e non ragionate proroghe e anche con la graduale emersione di diverse e non coordinate figure.
5. Competenze, inquadramento, retribuzione, incompatibilità (cenni)
Si è consapevoli della complessità della materia, sulla quale sono stati spesi studi approfonditi, che non si ha la pretesa di ripercorrere [2]. Si vuole qui solo rimarcare che – se la fase “preparatoria” della decisione è assicurata soprattutto dall’UPP – il magistrato onorario (comunque sia stato selezionato) dovrebbe essere addetto invece a svolgere sia funzioni endoprocedimentali sia la gestione diretta di controversie, da definire con criteri essenzialmente valoristici e con limitate competenze per materia, anche se in questa ottica di collaborazione all’intero Ufficio (e soprattutto se si ha riguardo alle realtà dei tribunali di minori dimensioni) potrebbe essere comunque prevista una possibilità di comporre collegi in casi predeterminati.
Sarebbe interessante al riguardo accentuarne la potestà conciliativa (ad esempio, affidare tutti i procedimenti nel penale suscettibili di messa alla prova), con possibili effetti deflattivi anche sui gradi successivi di giudizio (imbuto nel quale altrimenti continuerebbero a riversarsi tutte le decisioni di primo grado): provvedendo a robuste semplificazioni dei riti, e magari ampliando (per il penale) i casi di sola sanzione pecuniaria. Va infatti chiarito un punto: se il legislatore ritiene di assicurare ancora “copertura giurisdizionale” a una serie di controversie e infrazioni “minori”, oltre che alla nutrita serie di compiti anche di altra natura che gravano sui tribunali (funzioni amministrative e certificatorie; atti di stato civile; competenze elettorali) con i numeri attuali non può che prevederne una gestione molto più semplice, una giurisdizione di stampo marcatamente conciliativo, che salvaguardi solo i tratti essenziali del contraddittorio: anche nell’ottica di salvaguardare il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (l’alternativa, assai pericolosa e poco compatibile con gli equilibri disegnati dalla nostra Costituzione, sembra quella di meccanismi di discrezionalità in base a direttive emanate dal Parlamento) potrebbe risultare assai più semplice e lineare introdurre meccanismi di giurisdizione realmente più agile e di prossimità.
Pur se eventualmente svolto su norme processuali diverse, indefettibili appaiono l’approdo al ruolo onorario unico (la distinzione GOT-GdP-VPO-Giudici aggregati in Corte di appello ecc. è stata foriera di trattamenti anche economici ingiustificatamente difformi) e l’unitarietà di gestione in capo al Presidente del Tribunale e al Procuratore della Repubblica (compito delegabile a uno o più magistrati dell’Ufficio): per assicurare comunque il coordinamento tra le varie figure espresse da quell’Ufficio, per responsabilizzare i capi degli uffici giudiziari nell’attività di selezione e formazione dei componenti onorari e al contempo per consentire loro di modularne i compiti secondo le specifiche necessità di quell’Ufficio. Si potrebbero così valorizzare le parti di DOG e Progetti organizzativi che concernono l’impiego dei magistrati onorari, perché competerebbe al dirigente dell’ufficio, in base all’organico a disposizione, calibrarne l’uso e indicando alcuni obiettivi, ai quali potrebbe anche legarsi una parte della retribuzione. Se è certamente necessario evitare ogni forma di cottimo, la scelta ad esempio – in base alle manifestate disponibilità individuali – se svolgere il proprio servizio su una o più giornate di impegno (indubbiamente con un limite massimo, determinato per legge, proprio in ragione della temporaneità della prestazione), e il come modulare tale impegno (con prevalenza dell’una o dell’altra delle funzioni che sono state indicate in premessa), potrebbero far parte del “contratto” che il dirigente e il magistrato onorario potrebbero stipulare, avendo riguardo anche al tipo di attività professionale che lo stesso svolge e intende proseguire, dunque inserendo anche le incompatibilità come elementi del contratto che viene ad essere stipulato
Non appare inutile, in conclusione, ritornare sui temi più generali, per rimarcare che l’inserimento di nuove figure, il tendenziale assorbimento nei Tribunali di tutti gli uffici giudiziari, l’auspicabile razionalizzazione degli organici e delle dotazioni strutturali, l’incremento del lavoro a distanza riportano alla indefettibilità di progetti di lunga portata e quindi di investimenti: che appaiono però fruttiferi, ove si consideri che una razionalizzazione delle strutture comporterà rilevanti risparmi di spesa e – soprattutto – che una giustizia indipendente ed efficiente, in grado di svolgere al meglio la sua funzione di garanzia di controllo, è ormai riconosciuta come uno dei principali motori della crescita di ogni società, perché i diritti riconosciuti e attuati sono certamente una ricchezza collettiva.
[1] Pasquale Serrao d’Aquino Lo “stress test” dello statuto unico del magistrato onorario (d.lgs. 116/2017) tra progetti di controriforma, compatibilità con i principi costituzionali e tutela eurounitaria del lavoratore contro l’abuso della reiterazione dei contratti a termine - Giustizia Insieme
[2] Ci si limita a richiamare nel suo insieme il Forum che questa Rivista ha dedicato al tema La riforma della magistratura onoraria: forum - Giustizia Insieme
Considerazioni sulla riforma prevista dagli emendamenti al d.d.l. n. 1662/S/XVIII: l’istituzione di un «provvedimento sommario e provvisorio con efficacia esecutiva» di Caterina Silvestri
Sommario: 1. Il quadro di riferimento delle riforme in corso - 2. Il «provvedimento sommario e provvisorio con efficacia esecutiva»: profili di riflessione.
1. Il quadro di riferimento delle riforme in corso
La riforma della giustizia civile delineata nel d.d.l. n. 1662/S/XVIII presentato al Senato il 9 gennaio 2020, per la verità di modesta prospettiva, è quanto l’attuale compagine istituzionale si è trovata a disposizione per rispondere al soverchio impegno previsto nel più ampio quadro di interventi che l’Ue chiede al nostro Paese con il programma di sostegno finanziario Next Generation EU [[1]].
La risposta dell’Italia, contenuta nel «Piano nazionale di ripresa e resilienza.#nextgenerationitalia», si snoda ridondante attraverso i risaputi limiti che da anni affliggono il funzionamento del sistema, cioè i tempi eccessivamente lunghi, e l’orizzonte di una riconquista della fiducia sia dei cittadini, sia degli osservatori e degli investitori internazionali.
Esso pone al primo posto un’impegnativa serie di riforme, tra le quali spicca quella della pubblica amministrazione e della giustizia nel suo complesso, anche ordinamentale, e una serie di missioni altrettanto ambiziose che investono molti settori: Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo (missione 1), Rivoluzione verde e transizione ecologica (missione 2), Infrastrutture per una mobilità sostenibile (missione 3), Istruzione e ricerca (missione 4), Inclusione e coesione (missione 5), Salute (missione 6) [[2]].
Con riferimento al processo civile è il Piano stesso a prevedere che il metodo destinato a governare le innovazioni sia quello dello «intervento “selettivo” » espressamente diretto a «ovviare alle aree più disfunzionali» [[3]]. Detta previsione annuncia, dunque, di per sé sola, il sopravvenire di un’azione più di riparazione che di innovazione, di limitato impatto e di rimaneggiamento del vecchio, dalla quale difficilmente potrà realisticamente provenire l’effetto sperato di alleggerimento e velocizzazione della risposta giudiziale alla richiesta di tutela. Il metodo seguito dal Piano è già stato criticato da Elena D’Alessandro con rilievi del tutto condivisibili: esso è più teso a dire ciò che non vuole, piuttosto di ciò che vuole, non muove da un’analisi empirica e statistica, nemmeno si sporge oltre confine a guardare come gli altri Paesi europei hanno affrontato i problemi analoghi ai nostri, con attenzione sia a specifici istituti, sia all’approccio complessivo al problema dell’efficienza della giustizia [[4]].
L’originario d.d.l. n. 1662 ha dovuto essere irrobustito in tempi rapidissimi, inconciliabili con l’opportunità di un rinnovamento profondo e organico che l’occasione finanziaria in gioco avrebbe consentito. Gli emendamenti proposti [[5]] si sono mantenuti fedeli alla scelta dell’intervento selettivo indicata dal Piano: essi conservano invariato l’impianto dell’attuale processo ordinario, introducono un ulteriore irrigidimento del rito e degli oneri a carico delle parti prevedendo, tra gli altri, la necessità di formulare a pena di decadenza la richiesta dei mezzi istruttori sin dall’atto introduttivo [[6]], ed enfatizzando la politica del «respingimento» [[7]], in un eterno ritorno dell’uguale [[8]].
2. Il «provvedimento sommario e provvisorio con efficacia esecutiva»: profili di riflessione
In questo quadro di conservazione e aggiustamento dell’esistente, una delle novità di maggior rilievo risiede nella previsione dell’istituzione di un «provvedimento sommario e provvisorio, con efficacia esecutiva» [[9]]. La formula, tuttavia, promette di più di quanto non sia effettivamente indicato nell’articolato.
L’art. 3, punto c-decies, dell’emendamento AS 1662, prevede «che, nel corso del giudizio di primo grado, nelle controversie di competenza del tribunale che hanno ad oggetto diritti disponibili: 1) il giudice possa, su istanza di parte, pronunciare ordinanza provvisoria di accoglimento, in tutto o in parte, della domanda proposta, quando i fatti costitutivi sono provati e le difese del convenuto appaiono manifestamente infondate». Solo l’ordinanza di accoglimento sarebbe reclamabile ex art. 669-terdecies c.p.c., non destinata ad acquistare l’autorità di cosa giudicata di cui all’art. 2909 c.c., né efficace in altri processi. L’accoglimento del reclamo condurrebbe alla prosecuzione del giudizio dinanzi a un giudice diverso rispetto a quello che ha reso il provvedimento riformato.
La previsione in questione fa il paio con quella del successivo punto c-undecies, la quale prevede di affidare al giudice, «all’esito della prima udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa» e su istanza di parte, il potere di pronunciare una «ordinanza provvisoria di rigetto della domanda proposta» sia «quando questa è manifestamente infondata», sia «se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito stabilito dall’art. 163, terzo comma, numero 3 (…), ovvero se manca l’esposizione dei fatti di cui al numero 4) del predetto terzo comma». Anche questa ordinanza, che assimila il trattamento processuale del rigetto per motivi di merito e per motivi di rito della domanda e perciò destinata a sostituire il rilievo della nullità della citazione disciplinato dall’art. 164, quarto comma, c.p.c., avrebbe analoga disciplina di quella di accoglimento. Si tratta di provvedimenti delicatissimi, che meritano approfondimento e su cui mi limito a fare alcune considerazioni, certamente parziali.
L’emissione del provvedimento di accoglimento è modellata sulla tecnica della condanna con riserva delle difese del convenuto, come precisa la Relazione illustrativa che pure l’accosta al référé provision francese o al summary judgement inglese. L’associazione non è particolarmente felice, atteso che né il primo né il secondo presentano un impianto anche lontanamente equiparabile alla condanna con riserva. Il rilievo non è di secondo momento, atteso che il modello organizzato dall’emendamento in questione altera, rispetto ai modelli stranieri evocati, il rapporto che in quelli intercorre tra la struttura processuale e il tipo di rimedio, modificandone conseguentemente la funzionalità. Il référé provision [[10]] non è fondato sulla disarticolazione tra fatti costitutivi ed eccezioni, perché la tipizzazione dei fatti non è utilizzata in Francia quale criterio per la distribuzione degli oneri processuali tra le parti [[11]]; in esso il giudice compie una valutazione d’insieme della lite, condotta sulla ricorrenza della «percepibilità» di una situazione di «manifesta» fondatezza, infondatezza, o illiceità afferente al contenzioso, tanto da essere definito il giudice dell’evidente e dell’incontestabile; inoltre, deve rammentarsi che il référé è, soprattutto, un procedimento. Esso è autonomo rispetto al processo ordinario, deformalizzato e trova il suo più vicino parente nel nostro sistema, nel processo cautelare. Il summary judgment, dal canto suo, è essenzialmente basato sulla natura non contestata dei fatti rilevanti, anch’essi privi di una tipizzazione analoga a quella rinvenibile nell’art. 2697 c.c. Alla luce di queste diversità, che riflettono un approccio al processo meno formale e meno dogmatico, è difficile pensare a questi istituti anche solo come fonti di ispirazione per il provvedimento oggetto dell’emendamento di cui all’art. 3, c-decies.
Meglio, allora, trattare la condanna con riserva quale espressione tradizionale del nostro sistema. La tecnica in questione, come noto, conosce applicazioni che si esprimono al meglio, sia pure entro diverse strutture processuali, nella convalida di sfratto e nel procedimento ingiuntivo, le quali hanno quale comune caratteristica la «tipicità» dell’ambito di applicazione. Qualche dubbio può sorgere sulla idoneità alla generalizzazione di questa modalità di sommarizzazione e sulla sua capacità di rispondere al bisogno di misure endoprocessuali [[12]] sentita da tempo (e già frustrata dalla deludente performance delle ordinanze di cui agli artt. 186-bis-ter-quater, c.p.c.). Bisogno, per la verità, che non si esaurisce in un provvedimento di accoglimento o di rigetto, ma che è ampio tanto quanto le variabili esigenze di tutela che ciascuna fattispecie può presentare: misure di attesa [[13]] e/o di conservazione e/o di anticipazione di tutto o parte della domanda, che il giudice potrebbe adottare su istanza di parte con una semplice ordinanza provvisoria, revocabile e modificabile, reclamabile, in grado anche di rispondere a esigenze di tipo propriamente cautelare, senza attivare il relativo sub procedimento, come accade adesso per le misure di questa natura richieste a processo pendente. La previsione c-decies interpreta l’esigenza di accelerazione della tutela endoprocessuale in maniera riduttiva, costringendola a un aut aut tra accoglimento o rigetto, forzando il primo entro il rigido schema della condanna con riserva.
Perché non cogliere questa occasione riformatrice per dotare anche il nostro sistema processuale di uno strumento più duttile, che possa condurre all’emissione di provvedimenti il cui contenuto risponda alle specifiche esigenze della lite pendente, proprio come avviene nel processo civile francese, tanto spesso evocato nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, in cui il giudice del merito può ordinare tutte le misure di cui la lite manifesti di avere bisogno, compresi i provvedimenti ordinabili con l’autonomo procedimento di référé.
La previsione del c-undecies desta, a sua volta, qualche preoccupazione sotto perlomeno un paio di profili. Il primo di questi riguarda l’utilizzo dell’ordinanza di rigetto a fronte di un vizio procedimentale, per il quale non v’è più possibilità di rinnovazione, ma solo di reclamo, in un’ottica che Capponi ha efficacemente definito di respingimento. Si tratta di un irrigidimento formale, temibilmente destinato a ingombrare i ruoli anziché ad alleggerirli proprio per il necessario impiego del reclamo che, ove confermato, costringerebbe la parte a riproporre la domanda dopo l’inutile, lungo e costoso esperimento delle vie giudiziali, sfociato in una pronuncia di puro rito (danni forse recuperabili attivando la responsabilità professionale dell’avvocato?). Dalla previsione così come formulata nell’emendamento, il processo esce ridotto nelle sue aspirazioni di essere utile strumento di tutela, mirante a un provvedimento di merito e che a tal fine organizza al suo interno meccanismi di rinnovazione che consentano il recupero di eventuali errori formali, giacché il processo non può assumere l’infallibilità degli umani che ne sono protagonisti.
Il secondo fronte di perplessità della previsione c-undecies concerne l’ordinanza di rigetto per manifesta infondatezza e tocca questioni di adeguatezza costituzionale, ma anche di carattere tecnico, che qui mi limito ad accennare. Sul piano costituzionale, v’è da chiedersi se possa considerarsi coerente con la previsione dell’art. 24 Cost., e per certi versanti anche con l’art. 3 Cost, una norma come quella in discorso che, in sostanza, si traduce nella necessità di provare il fumus della fondatezza della domanda giudiziale per accedere alla tutela ordinaria; necessità che, per certe liti, si annuncia particolarmente impegnativa, tanto da poter frustrare la pratica accessibilità al giudice come, per esempio, nei contenziosi complessi sul piano fattuale o caratterizzati da asimmetrie informative. Sul versante tecnico, la previsione si riferisce esclusivamente alla domanda di parte attrice (tanto che disciplina anche i vizi dell’edictio actionis), ma tace del tutto sui problemi connessi alla presenza di una domanda riconvenzionale, a partire dall’applicabilità alla stessa del rigetto per manifesta infondatezza.
È auspicabile il ripensamento di questi profili e l’articolazione di una modalità accelerativa esperibile sia all’interno del processo ordinario sia autonomamente a esso, deformalizzata, atipica, provvisoria, reclamabile.
[[1]] Disponibile all’indirizzo https://ec.europa.eu/info/business-economy-euro/recovery-coronavirus/recovery-and-resilience-facility_it.
[[2]] Il piano è disponibile all’indirizzo https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf.
[[3]] Così si legge a pag. 57 del Piano nazionale, cit., alla nota precedente.
[[4]] E. D’Alessandro, La riforma della giustizia civile secondo il Piano nazionale di ripresa e resilienza e gli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII. Riflessioni sul metodo, in questa Rivista, consultabile al link: https://www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1758-la-riforma-della-giustizia-civile-secondo-il-piano-nazionale-di-ripresa-e-resilienza-e-gli-emendamenti-governativi-al-d-d-l-n-1662-s-xviii-riflessioni-sul-metodo-di-elena-d-alessandro.
[[5]] Gli emendamenti al disegno di legge AS 1662 e la Relazione Illustrativa degli stessi, sono leggibili in calce al saggio di B. Capponi, Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, in questa Rivista, consultabile al seguente link: https://www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1736-prime-note-sul-maxi-emendamento-al-d-d-l-n-1662-s-xviii-di-bruno-capponi.
[[6]] Così, in particolare, G. Scarselli, Osservazioni al maxi-emendamento 1662/S/XVIII di riforma del processo civile, in questa Rivista, consultabile al link https://www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1747-osservazioni-al-maxi-emendamento-1662-s-xviii-di-riforma-del-processo-civile.
[[7]] Così B. Capponi, Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, cit., p. 5, cui appartiene l’espressione virgolettata: con essa l’A. si riferisce alla prevista abrogazione dell’art. 164, comma 4, c.p.c., e alla pronuncia di un’ordinanza provvisoria di rigetto della domanda senza possibilità per la parte attrice di rinnovare l’atto introduttivo; analoga affermazione può farsi con riferimento al giudizio di appello, per il quale è previsto un irrigidimento dei filtri di inammissibilità.
[[8]] Capponi, Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, cit., p. 4, osserva come il maxi emendamento giochi «la carta del principio di eventualità indiscriminato». Sull’accoglimento del modello processuale dell’eventualità la dottrina si interrogò, come noto, già al momento delle riforme del processo civile di cui alla l. n. 353 del 1990; tra questi anche P.F. Luiso, Principio di eventualità e principio della trattazione orale, in Scritti in onore di Fazzalari, II, Milano, 1993, p. 207, presidente della Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi, consultabile al link ink https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_36_0.page?facetNode_1=0_10&contentId=COS334499&previsiousPage=mg_1_36.
[[9]] Questa l’espressione utilizzata dalla proposta della Commissione Luiso, cit., p. 33, ripresa pedissequamente dalla Relazione Illustrativa agli emendamenti al disegno di legge AS 1662.
[[10]] Non più all’art. 809 del Code de procédure civile come si legge nella Relazione illustrativa del maxi emendamento, cit., ma all’art. 835, c.p.c., a seguito della riforma introdotta con i decreti attuativi della loi n. 2019-222 de programmation 2018-2022.
[[11]] Esiste in Francia la sola teorizzazione del fatto generatore del diritto in Motulsky, la quale, tuttavia, non trova applicazione pratica nel processo; su questi aspetti mi permetto di richiamare C. Silvestri, Il fatto e la domanda in giudizio. Profili ricostruttivi, Napoli, 2020, p. 105 ss.
[[12]] Dubbi che già esprimeva A. Proto Pisani, Appunti sulla giustizia civile, Bari, 1982, p. 342, il quale con riferimento alla prospettiva de iure condendo di prevedere un sistema in grado di evitare l’abuso del diritto di difesa da parte del convenuto, riteneva «Sconsigliabile il ricorso alla tecnica della condanna con riserva delle eccezioni» auspicando anche un riesame delle ipotesi già presenti nel c.p.c.; sul tema significativa anche l’analisi di G. Scarselli, La condanna con riserva, Milano, 1989, p. 75 ss. Si ricorderà, tuttavia, che lo stesso Proto Pisani, Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro it., 2009, V, c. 31, prevedeva all’art. 2.28 la «Ordinanza di condanna con riserva» che attribuiva al giudice, su istanza di parte, di emettere «ordinanza di condanna all’adempimento della prestazione richiesta» quando i fatti costitutivi fossero incontestati o pienamente provati. Essa, tuttavia, si inseriva in un contesto molto più ricco di provvedimenti acceleratori, rispetto a quelli previsti dal nostro attuale c.p.c., e anche in una più ricca articolabilità del rito a seconda delle necessità della lite (artt. 2.19 e ss.).
[[13]] Con questa espressione mi riferisco a provvedimenti quali, per esempio, la nomina di un amministratore provvisorio, di un tutore, di un custode.
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