ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Dubbi molto ragionevoli di Giorgio Spangher
Se c’è una notizia di reato, cioè di un fatto sussimibile in una fattispecie incriminatrice, si avvia un procedimento per verificare se quel fatto di cui alla notizia configura o meno un reato.
Qualora la notizia si configuri come un fatto non riconducibile ad una ipotesi criminosa, si procede alla cestinazione (autoarchiviazione); dal registro notizie non reato non parte nessun procedimento.
Quando per quella notizia di reato viene formulata una imputazione si sviluppa un processo teso ad accertare la presenza o meno di un reato.
Ogni qual volta nel corso del procedimento o del processo si accerta che quel fatto di cui alla notizia non si configura come reato, il procedimento, con i vari provvedimenti previsti dalla legge, si arresta (archiviazioni e varie decisioni in relazione alle diverse fasi e gradi).
Il dato emerge con chiarezza dall’art. 129 c.p.p.: obbligo dell’immediata declaratoria delle cause di non punibilità e soprattutto del suo secondo comma.
In alcuni casi, il legislatore pur a fronte di una notizia di reato (da verificare) richiede la presenza di un elemento aggiuntivo per poter avviare il procedimento (si pensi alle due situazioni di Salvini in relazione alla presenza o meno dell’autorizzazione a procedere).
Anche se emerse nel corso del procedimento, il riconoscimento di una condizione di procedibilità retroagisce all’origine (reato ritenuto procedibile d’ufficio; derubricazione anche in Cassazione; declaratoria di improcedibilità e travolgimento di tutto quanto si è fatto).
E’ vero che solo la decisione definitiva chiarisce se un fatto è o non è reato, ed infatti gli effetti della decisione intermedia sono sospesi durante il termine per impugnare e durante l’impugnazione, sia che si tratti di condanna, sia che si tratti di proscioglimento.
Diverso è il caso nel quale lo sviluppo del procedimento e del processo si imbatta nell’operatività del novellato art. 344 bis c.p.p.
In questo caso, il provvedimento e il processo iniziano e si avviano senza preclusioni; il giudice può decidere tutto quanto previsto dalla legge, il processo si può concludere regolarmente; come ogni altro processo.
Non saremo in presenza di un reato (come sostenuto da qualcuno), ma qualcosa ci sarà pure, se può essere applicata una misura cautelare, possono essere fatte intercettazioni, disposti sequestri e perquisizioni, decise provvisorie esecuzioni civili, confische e quant’altro.
Con la nuova previsione si stabilisce che se il giudizio d’appello o quello di cassazione non vengono definiti nei termini fissati dal legislatore il giudice deve dichiarare con sentenza l’improcedibilità (dell’azione penale!); invero più che di una improcedibilità sembrerebbe trattarsi di una improseguibilità.
Non è questa l’occasione per una disgressione ed un approfondimento sugli elementi di dettaglio della norma (peraltro problematici): tempi differenziati in relazione alla gravità dei reati, nonché indifferenti a quelli delle fasi precedenti; proroghe, numero delle stesse e soggetto che le dispone; limiti alla tutela degli interessi civili; incertezza sull’operatività della previsione alle impugnazioni delle sentenze di non luogo e dell’appello della parte civile per i soli interessi civili; individuazione del termine a quo in caso di conversione del ricorso nonché dell’annullamento con rinvio e quant’altro previsto dalla riforma.
Considerati gli effetti della decisione deve riconoscersi che quel fatto non è né reato, né non reato, non c’è né condanna, né proscioglimento, perché la precedente decisione è comunque travolta dalla nuova. Il soggetto sottoposto a misura cautelare non avrà diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, eventualmente patita. Forse l’imputato potrà avvalersi della l. Pinto, limitatamente alla fase delle impugnazioni. Vengono meno le misure cautelari personali e reali (anche quelle a favore della vittima); nessuna decisione sul querelante; si caducono i provvedimenti civili provvisoriamente esecutivi. L’inammissibilità prevarrà sulla improcedibilità! Quale valore ha il materiale probatorio in un diverso procedimento?
Qualche “toppa” parziale si potrebbe porre con l’inserimento di un terzo comma dell’art. 129 c.p.p.
La questione che allora si pone riguarda il riconoscimento di una copertura costituzionale o sovranazionale alla previsione ovvero il suo contrasto con le stesse previsioni o con altre disposizioni sovraordinate.
Non è poi questa l’occasione per considerare altresì se la improcedibilità possa riguardare solo lo sforamento dei termini di alcune fasi (come nel caso di specie, le impugnazioni) ovvero debba coinvolgere, per essere legittima, tutte le fasi del procedimento, nella previsione dei rispettivi termini di durata.
Per legittimare la scelta normativa, sembrerebbe agevole il richiamo alla durata ragionevole del processo.
La durata ragionevole è un elemento – importante – del giusto processo, ma non è l’unico, dovendosi integrare con gli altri elementi che connotano un processo equo.
Indubbiamente il tempo nel processo incide sotto vari profili (tempo delle indagini, tempo per lo svolgimento delle attività processuali; impugnazioni, misure cautelari). Si tratta di un ruolo non secondario, ma che non può non spingersi fino ad annullare completamente il diritto delle parti e della vittima, ad ottenere una decisione, nonché il diritto-dovere del giudice di pronunciarsi.
Se appare corretto ritenere che il decorso del tempo possa togliere offensività ad un fatto di reato - se il fatto non è offensivo prevale l’esclusione della sua configurabilità come del fatto di reato – può lo stesso dirsi che il tempo del processo possa togliere ogni valutazione sulla natura o meno di un fatto di reato (senza neppure una valutazione che si possa escludere che si tratti di un fatto di reato).
Se qualcosa si cerca di salvare agli effetti civili (con differenza rispetto alla prescrizione sostanziale: C. cost. n. 182 del 2021) ma è dubbio che ciò sia possibile, nulla si salva agli effetti penali.
L’esercizio della giurisdizione è una delle attività essenziali e strutturali di una società e di uno Stato che non può essere pregiudicata o addirittura azzerata da elementi che ne devono connaturare l’esercizio, sicchè pur dovendosi misurare non essi in termini qualitativi e quantitativi, questi elementi non possono prevalere su di essa, ma possono essere suscettibili di rimedi compensativi, proporzionati alla lesione che si è determinata.
Anche riconoscendo che l’imputato può rinunciare all’improcedibilità, l’opzione non opera, né per il p.m., né per la parte civile, né per la persona offesa, né per il giudice.
Non sembra allora azzardato sostenere che quanto detto metta in seria discussione il principio di effettività della tutela e della stessa giurisdizione di cui anche all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dove la durata ragionevole si configura come un elemento della stessa, unito, tuttavia, ad altre connotazioni, del pari dell’art. 111 Cost.
E’ vero che spetta allo Stato assicurare l’efficienza delle sue funzioni – giustizia inclusa (nonostante le riserve sull’art. 97 Cost.) – ma quale può essere – se può essere – il limite non superabile oltre il quale, cioè, anche i rimedi compensativi (riduzioni di pena e/o indennizzo) possano essere ritenuti inadeguati.
Il dramma dell’Afghanistan: è fallita l’esportazione della democrazia o il sistema internazionale dei diritti umani?
di Tania Groppi
Le drammatiche scene che ci arrivano da Kabul dopo la rapidissima presa del potere da parte dei talebani seguita al ritiro delle truppe occidentali ci colpiscono e ci interpellano, su tanti piani.
Come costituzionalista, spesso impegnata con organizzazioni internazionali e non governative in attività di “institution building”, avverto ancora una volta quel che spesso ho vissuto di persona, sul campo.
Ovvero la difficoltà – che in certi casi diventa impossibilità – di dare, arrivando dall’esterno, come alieni che vengono da terre lontane, un contributo per la creazione, e soprattutto la stabilizzazione, di istituzioni democratiche in contesti altamente conflittuali, culturalmente complessi e assai distanti da quell’Occidente nel quale la democrazia costituzionale è nata e si è sviluppata.
Possiamo trovare innumerevoli spiegazioni per lo sgretolamento delle istituzioni afghane, costruite con gran dispendio di consulenze, soldi, energie, e vite umane, in questi ultimi venti anni.
Spiegazioni legate a vizi di origine, a quella ‘esportazione della democrazia’ con le armi che ha connotato l’amministrazione Bush; alle peculiarità dello scenario afghano, con le sue turbolente tribù; alla geografia di quell’angolo di mondo, tra alte montagne; alla geopolitica, che ne fa un crocevia di interessi di potenze regionali e mondiali fin dall’epoca del “Grande gioco” che vedeva protagoniste la Russia Zarista e l’Impero britannico; e poi c’è sempre lui, l’Islam, con tutto quel che ne deriva quanto al rapporto con la modernità, diritti umani e democrazia inclusi.
È innegabile: ci sono molteplici fattori locali dietro al fallimento del tentativo di creare una democrazia costituzionale in Afghanistan. Tentativo che c’è stato, che non possiamo cancellare, nonostante le parole pronunciate dal Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, nella conferenza stampa del 16 agosto, con le quali ha smentito che gli Stati Uniti abbiano mai cercato di costruire una democrazia (“a unified, centralized democracy”), in quella che, secondo Biden, sarebbe stata soltanto una missione antiterrorismo, senza alcuna finalità di “nation-building”. Tentativo nel quale anche l’Italia è stata impegnata in prima linea (con interventi finalizzati al “ristabilimento dello Stato di diritto”, tra i quali quelli di ‟riabilitazione e sostegno al sistema giudiziario e penitenziario afghano”) e che ha viste coinvolte tante persone di buona volontà, tra esse molti giuristi, chiamati a formare il personale giudiziario, delle amministrazioni pubbliche, specialmente le donne, a dare pareri su progetti di legge, a collaborare con università e centri di ricerca.
Tuttavia, nonostante le peculiarità della situazione afghana, ritornano – e ancora una volta con sofferenza, impotenza e finanche vergogna – gli interrogativi che sempre accompagnano, anche in altri scenari, in altre remote e meno remote parti del mondo, questo tipo di attività. E che ci riportano ai fondamentali del diritto comparato, ai “legal transplants”, all’ “import-export” degli istituti giuridici, alla grande “IKEA del diritto comparato”, alla circolazione dei modelli e, infine, alla diffusione globale del costituzionalismo, secondo un sogno accarezzato dopo il 1989. E, ancora più a monte, a riflettere sull’impatto della storia, della cultura, delle tradizioni, dei “costumi” avrebbe detto Montesquieu, su quelle fragili sovrastrutture che sono istituzioni e diritto. Sull’esistenza di uno strato profondo che lega popoli e paesi al loro passato, come un destino già scritto e inscalfibile.
È possibile cambiare, per le nazioni? Uscire da secoli o millenni di violenza e povertà? Quali fattori possono innescare un cambiamento? Che ruolo può avere, in tutto ciò, il diritto? Quanto, e come, si può contribuire dall’esterno a questi processi? Temi e domande sui quali offre spunti di grande interesse, accompagnati da diversi esempi, Jared Diamond, nel suo libro dal titolo (italiano) “Crisi. Come cambiano le nazioni”.
Ma non finisce qui. Se l’institution building è un’attività estremamente complessa e delicata, i cui esiti sono legati a molteplici fattori, purtroppo assai poco controllabili, il dramma che stanno vivendo in questo momento in Afghanistan tante persone, bambini, donne e uomini, ci porta su un altro piano, ovvero quello della garanzia dei diritti umani.
È questo l’altro pilastro del “mondo nuovo” che si è cercato di costruire dopo la Seconda Guerra Mondiale. Accanto alla democrazia costituzionale, chiamata ad esplicarsi a livello nazionale, si è avviata la creazione di un sistema internazionale di tutela dei diritti umani, intesi come diritti universali, che non possono dipendere dalla sovranità di alcuno Stato. Un sistema che ha il suo perno nelle Nazioni Unite e nella Dichiarazione Universale dei diritti umani, una dichiarazione che fu scritta, come ci ricorda il bellissimo libro di Mary Ann Glendon (“Verso un mondo nuovo. Eleanor Roosevelt e la Dichiarazione Universale dei diritti umani”) con il contributo di tutte le culture e le religioni, attraverso una convergenza assai più ampia dell’area comunemente ricondotta alla nozione di Occidente.
Nel dramma degli afghani, e soprattutto in quello che stanno vivendo in queste giornate di incertezza e paura le donne e i difensori dei diritti umani, la vera grande domanda (e, purtroppo, il dramma nel dramma) è: “dove sono le Nazioni Unite?”. La risposta è un grande vuoto, una grande impotenza, un grande silenzio. Un silenzio inaccettabile.
Se “l’esportazione della democrazia”, fosse pure al fine di costruire un’attiva società civile o di tutelare il rule of law, può essere in ogni momento tacciata di colonialismo culturale, così non è per i “diritti umani universali”, sui quali non è possibile ammettere eccezioni. Ecco, mi pare che non abbiamo molta scelta, e che da lì occorra ripartire. In Afghanistan e qui da noi. Per gli afghani in Afghanistan e per quelli che dovranno lasciare il loro paese. Per tutti coloro ai quali, ovunque nel mondo, sia impedito “l’esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana” (per usare le parole dell’art. 10, comma 3, della Costituzione).
Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e risorse degli uffici giudiziari: il “nuovo” Ufficio per il processo. Intervista di Ernesto Aghina a Barbara Fabbrini.
Il “nuovo” Ufficio per il processo, intervista di Ernesto Aghina a Barbara Fabbrini, capo dipartimento del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della Giustizia.
1) Il reclutamento di ben 16.500 unità destinate all’Ufficio per il processo (U.P.P.) previsto dall’art. 11 d.l. n. 80/2021 costituisce un’iniezione di risorse di eccezionale portata nell’organizzazione degli uffici giudiziari. Di qui le comprensibili aspettative riposte in questo intervento di supporto al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (P.N.R.R.), ma anche le responsabilità derivanti da un’occasione che non può essere mancata. Quale è le genesi di questo intervento e gli obiettivi che ci si propone di conseguire?
Si è vero, il PNRR sta offrendo un’occasione unica per i nostri uffici giudiziari: innesti di competenze giovani a supporto degli uffici e del lavoro dei magistrati.
L’ ufficio per il processo è un modello organizzativo ispirato ad esperienze già attive in altri Paesi, in cui hanno offerto ottimi risultati, consentendo un recupero di efficienza all’attività giurisdizionale. E’ un progetto di miglioramento e revisione dei moduli organizzativi del lavoro del magistrato e delle cancellerie e costituisce innovazione organizzativa. L’obiettivo non è quindi meramente quantitativo su durata e arretrato, ma è soprattutto il miglioramento qualitative della risposta giudiziaria che ci si attende da tale intervento.
La genesi della scelta ovviamente muove nel contesto del lavoro portato avanti dal Governo sul Recovery plan con la Commissione europea, la quale ha chiesto all’Italia non solo riforme e abbattimento dell’arretrato e della durata, ma anche interventi in grado di potenziare l’innovazione organizzativa degli uffici giudiziari e complessivamente la capacità amministrativa della pubblica amministrazione.
Per gli uffici giudiziari sono stanziate ingenti risorse per la precisione 2,827 miliardi, di cui 2,282 miliardi interamente dedicati all’intervento sull’ufficio per il processo e capitale umano, i restanti destinati a progetti di digitalizzazione, tra i quali una linea sul data lake, e all’efficientamento e miglioramento di ben 47 plessi giudiziari. Trattasi di una somma davvero consistente che va ad aggiungersi alle risorse stanziate in via ordinaria nelle ultime leggi di bilancio.
Insomma, credo che sia la prima volta che le riforme siano immediatamente accompagnate e supportate da un consistente ingresso di risorse, si badi bene non solo appostate ma anche orientate. Voglio dire che in pratica si assegnano finanziamenti e contestualmente si individuano le finalità precise per cui devono essere spesi, finanziamenti “orientati” in modo chiaro alle linee di supporto esclusivo degli uffici giudiziari, che da tempo si invocano da più parti: rafforzamento del capitale umano, digitalizzazione ed edilizia.
Quanto alla scelta di offrire centralità al modello organizzativo dell’ufficio per il processo, come dichiarato in varie sedi, è presto detto.
La Commissione europea ha posto l’attenzione non solo sulla necessità di investimenti per l’innovazione digitale, ma anche e soprattutto sull’organizzazione della pubblica amministrazione e sulle competenze giovani. Tale progettualità è infatti inserita nell’ambito dell’innovazione della pubblica amministrazione.
Con i finanziamenti PNRR non si possono operare peraltro assunzioni a tempo indeterminato. Ecco allora che abbiamo immaginato di puntare su assunzioni a tempo determinato per un progetto che fosse capace di mutare anche culturalmente l’organizzazione degli uffici.
Certo come noto ci è richiesto anche un obiettivo quantitativo, da rispettare peraltro in termini precisi e definiti, un target decisamente ambizioso, misurato non per singolo ufficio ma a livello nazionale, di diminuzione nel 2026 del 90% dell’arretrato civile esistente al 2019 in tutti e tre gradi, ed una riduzione complessiva della durata del 40% e del 25 % per il penale primo e secondo grado (sempre rispetto ai dati 2019).
E’ però il miglioramento complessivo organizzativo e di risposta giudiziaria il vero obiettivo da raggiungere specie con questa misura, questo è stato chiarissimo nelle interlocuzioni che abbiamo avuto con la Commissione europea.
Ecco perché assume una vera centralità il programma organizzativo ad obiettivi che gli uffici dovranno necessariamente apprestare, e con essa il processo di analisi dei dati, delle situazioni critiche di gestione, che affronteremo assieme agli uffici e le soluzioni organizzative realizzabili grazie all’ingresso degli addetti all’ufficio per il processo e delle altre figure.
L’intervento, infatti, prevede non solo l’ingresso di 16.500 unità di addetti all’ufficio per il processo, in due tranche di cui 400 destinati alla Corte di Cassazione, ma anche il reclutamento di ben 5.410 unità di altro personale a tempo determinato, con varie competenze, anche tecniche, divenute quantomai fondamentali per l’organizzazione degli uffici giudiziari italiani: informatici, statistici, contabili, architetti, operatori data entry.
Si tratta davvero, al di là dei numeri, che sono assolutamente rilevanti dell’innesto di competenze professionali nuove, anche ulteriori rispetto alle figure e alle qualifiche oggi presenti nei nostri uffici.
E’ importante comprendere che peraltro sono assunzioni accompagnate dalla costituzione di dotazione organiche aggiuntive. In altre parole, queste assunzioni finanziate dal Recovery Plan non vanno a coprire le vacanze esistenti, per le quali stiamo peraltro portando avanti uno specifico programma assunzionale, ma si aggiungono alle dotazioni organiche attuali.
Insomma, il tanto richiesto aumento delle dotazioni organiche si sta realizzando, seppur in via provvisoria per 5 anni e mezzo, tramite il P.N.R.R.
Ma ragioniamo un attimo anche della dimensione reale dell’intervento sulle risorse umane: le attuali dotazioni organiche di personale amministrativo di tutti gli uffici giudiziari italianai contano 43.462 unità, le presenze effettive, nonostante le assunzioni fatte, sono oggi 31.741.
Grazie alle risorse del P.N.R.R. immetteremo, in aggiunta al personale presente e alla dotazione organica indicata altre complessive 21.910 unità di personale, una cifra che rappresenta circa i 2/3 del personale esistente, e la metà della dotazione organica nazionale attuale.
Nessuna altra pubblica amministrazione centrale sta portando avanti un programma così consistente di rafforzamento degli organici e delle competenze, ovviamente esiziali per confidare davvero in un duraturo cambiamento anche di innovazione digitale degli uffici.
Non stiamo confidando però solo nelle risorse del Recovery Plan, stiamo lavorando anche per dare completa attuazione al programma assunzionale di personale amministrativo a tempo indeterminato, già finanziato per ben 16.645 unità. Forse pochi sanno, o forse riscuote meno interesse la circostanza che abbiamo assunto già quasi 8.200 unità in poco più di tre anni, che significa dire che oggi circa il 25% del personale in servizio è già di nuova nomina. Uno sforzo che ci ha visto portare avanti e chiudere, proprio nell’anno del COVID, ben 4 concorsi (operatori, direttori amministrativi, funzionari per i distretti del nord e cancellieri) per 4.200 unità di cui molte hanno già preso servizio.
Se a questo si aggiunge che è ripartito anche il concorso in magistratura (si sono chiuse proprio le prove scritte circa 15 giorni fa del primo concorso che assume i magistrati dell’aumento di organico di 600 unità), e riprenderà in autunno anche il concorso per funzionari, il quadro dei prossimi cinque anni vede certamente gli uffici giudiziari in una situazione che da anni non si verificava e siamo di fronte ad un’opportunità senza precedenti quanto a corretto e migliore utilizzo di giovani risorse.
2) L’U.P.P. costituisce un modulo organizzativo di supporto all’attività del giudice non connotato da peculiare “novità”, in quanto introdotto sin dal 2012 (anche se oggetto di successivi interventi normativi di modifica). La sua attivazione non è risultata omogenea su tutto il territorio nazionale e financo il C.S.M. ne ha previsto l’obbligatorietà solo nell’ultima circolare sulla formazione delle tabelle degli uffici: per quali motivi il ministero ha scelto di incentrare il suo investimento riformatore sull’ U.P.P.? E quali le differenze di questo modello rispetto a quello che già conosciamo?
L’ufficio per il processo, come idea organizzativa non è nuova, e come sperimentazione risale anche prima del 2012: già nel 2008/2009 i primi uffici giudiziari hanno iniziato ad aprire a questa novità, mediante convenzioni con Università e Consigli dell’Ordine.
Tuttavia, come noto, la normativa attuale[1], in specie l’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, non introduce un modello organizzativo stabile di ufficio per il processo. Proprio per carenza di risorse ci si è dovuti in questi anni, diciamo così “accontentare” di un modello basato sull’apporto prevalete dei tirocinanti ex art. 73 del decreto-legge 69/2013.
Anche se la platea di coloro che hanno fatto ingresso come tirocinanti per l’ufficio per il processo in questi anni è assolutamente considerevole. Noi abbiamo i dati solo di coloro a cui eroghiamo la borsa di studio; solo negli ultimi 3 anni sono circa 10.000 i tirocinanti ex articolo 73 del decreto-legge 69/2013 che sono entrati negli uffici, destinatari di borsa di studio. Possiamo dire che già oggi, molti uffici giudiziari hanno avuto modo di prendere confidenza con una figura di assistenti, anche se non configurata come staff integrato, anche se borsisti a 18 mesi e soprattutto disponibili solo in alcuni giorni della settimana.
Nonostante la normativa attuale non introduca un modello stabile di ufficio per il processo, quella che orami possiamo definire una lunga e consistente “sperimentazione” ha dato risultati assolutamente positivi, specie laddove non ci si è limitati ad utilizzare i tirocinanti in un’ottica di affiancamento ad un solo magistrato, ma si è concepito un modello integrato con le cancellerie, con i magistrati onorari e con l’intera attività della sezione, ragionando in termini ampi.
Alcuni dati ed esperienze di uffici, come quella recente ed importante della Corte di Appello di Roma, in termine di riduzione della durata del procedimento, facendo leva anche sulla riduzione dei cosiddetti tempi di “attraversamento” e lavorazione del fascicolo, militano in deciso favore per investire su tale modello.
Le circolari del Consiglio Superiore hanno poi dato una conformazione anche alle attività e alle modalità di impiego dei tirocinanti ed hanno contribuito a migliorare lo strumento.
Insomma, non partiamo esattamente da zero su questo modello organizzativo.
Giusto per rendersi conto poi del percorso fatto sino ad oggi dagli uffici che hanno avuto tirocinanti ex art. 73 decreto-legge 69/2013, vi riporto il ventaglio delle attività ad oggi svolte dai tirocinanti negli uffici, dalla cui lettura se ne apprezza immediatamente le potenzialità e la ricchezza di attività a cui sono destinati:
Le novità che gli addetti P.N.R.R. offrono rispetto al modello passato sono in realtà molte, nonostante possa sembrare una mera evoluzione dell’attuale esperienza dei tirocinanti.
Innanzi tutto sono risorse assegnate, nell’ambito del P.N.R.R., per obiettivi specifici, da dover rendicontare e misurare.
Come detto la Commissione europea ha imposto target di riduzione della durata del 40% nei procedimenti civili, complessivamente in tutti i gradi di giudizio, e del 25% in quelli penali di primo e secondo grado, oltre quello di abbattimento dell’arretrato civile. Pur essendo un target nazionale, è chiaro che abbiamo dovuto effettuare una distribuzione secondo una stima del contributo che ogni ufficio può raggiungere attraverso il supporto di tali figure.
L’assegnazione delle risorse andrà accompagnata da un progetto organizzativo, che è il cuore del progetto. La logica è diversa da quella che ha ispirato l’articolo 37 della legge del 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni in legge 5 luglio 2011, n. 111, e non potrebbe che essere così. Il progetto organizzativo del nuovo ufficio per il processo. dovrà tenere conto dell’obiettivo quantitativo ma anche di quello qualitativo di revisione organizzativa, creazione banche dati di merito, che l’immissione di queste risorse aggiuntive, dedicate, con funzioni diverse dall’attuale personale amministrativo offre.
Altra novità è che ribaltiamo con questo processo anche il classico rapporto tra Ministero e uffici giudiziari: gli uffici saranno accompagnati in quella che è anche un’occasione di revisione organizzativa, di analisi dei dati, delle risorse presenti, in un rapporto stretto tra centro e periferia, per analizzare, risolvere i problemi, lo faremo in un’ottica di ripartenza dell’amministrazione giudiziaria. Una sfida anche per noi al Ministero non solo per gli uffici.
Gli addetti all’ufficio per il processo finanziati con il Recovery sono poi dei funzionari, impiegati a tempo pieno, anche se con contratto a tempo determinato, e non sono semplici borsisti, hanno quindi i compiti e mansioni specificamente indicate nell’allegato al decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, attualmente in corso di conversione, in parte similari a quelli della griglia sopra riportata (studio dei fascicoli, bozze provvedimentali, assistenza alla digitalizzazione ecc.), ma con poteri e doveri di un impiegato pubblico ed in specie di un funzionario. Quindi una stretta relazione con le cancellerie, con dirigenti amministrativi, ed anche direttivi e semidirettivi, Il ventaglio di impiego è ampio insomma.
Atra grossa novità è che ci sarà anche una quota di professionalità provenienti da altri percorsi di laurea, non giuridici. Abbiamo scelto di reclutare ed inserire nella struttura dell’ufficio per il processo anche laureati in economia e commercio e scienze politiche, proprio perché la visione è di innovazione organizzativa a tutto tondo dell’ufficio; queste professionalità saranno utili per monitoraggi statistici, per le attività di staff di coordinamento organizzativo e logistico.
Infine, ma non in ultimo, guardando ai giovani che comporranno l’ufficio per il processo, altra novità è la partita stipendiale e l’inquadramento: avranno lo stesso stipendio dei nostri funzionari in ingresso, non più borsisti estranei all’amministrazione, ma giovani che fanno parte dell’amministrazione giudiziaria, con un chiaro riconoscimento economico, che palesa il chiaro valore e l’importanza che il Ministero assegna alla professionalità che stiamo introducendo.
Perché è stato scelto tale modello?
Beh, direi che nel momento in cui ci si è chiesto di puntare sull’organizzazione e le competenze umane, francamente è venuto naturale pensare di rafforzare l’ufficio per il processo. Ho detto rafforzare perché queste risorse finanziate con il PNRR non sostituiscono od eliminano le attuali figure che sino ad oggi ne hanno costituito l’anima (tirocinanti, borsisti, magistrati onorari), ma si aggiungono ad essi.
Preciso che crediamo molto in questo modello e la Ministra Cartabia lo sta dimostrando concretamente, avendo avviato un percorso di interlocuzione diretta con gli uffici, attraverso una serie di incontri in vari distretti.
Anche lo sguardo all’estero imponeva e al contesto europeo ci ha richiamati a questa scelta.
Un modello di staff del magistrato, diverso dal personale amministrativo, che lo affianchi nelle sue attività è presente in quasi tutta Europa, peraltro quasi sempre strutturato con contratti a tempo determinato
E’ noto che i paesi di matrice anglosaassone da tempo hanno figure come i Court clerks, o i judicial assistants, che affiancano i magistrati, con compiti non dissimili a quelli che abbiamo assegnato agli addetti all’U.P.P.
Meno noto è che anche Spagna, Belgio, Francia, Olanda, hanno esperienze simili. La Spagna, ad esempio, ha inquadrato proprio normativamente il modello organizzativo con leggi organiche che trattano dell’organizzazione giudiziaria. La Oficina Judicial, è infatti una struttura strumentale e di appoggio e sostegno alla attività propria di giudici e corti. Dell’Oficina fanno parte figure che svolgono ausilio più propriamente giuridico (ricerche, sintesi dei casi, ecc) e altri che operano quale supporto alla attività amministrativa. In Francia gli assistants de justice, offrono un contributo all’attività giurisdizionale del magistrato: ricerca giurisprudenziale, preparazione dei casi, studio dei casi, redazione di bozze di procedimenti.
Un rapporto Ocse del 2013 sul panorama della giustizia civile comparata dei paesi Ocse, nell’indagare quali potessero essere gli strumenti per migliorare l’efficienza, oltre alla digitalizzazione, risorse umane, specializzazione dei giudici, illustrava come nei paesi in cui sono presenti staff e figure di supporto al giudice, la durata media risultava inferiore.
Vorrei riportate un particolare della lunga negoziazione con la Commissione Europea che il Ministero ha condotto, per comprendere meglio la scelta e del perché siano assolutamente convinti della sua bontà.
Quando abbiamo proposto il rafforzamento dell’attuale ufficio per il processo, ed abbiamo anche avanzato le ipotesi numeriche di risorse umane necessarie, la Commissione europea si è mostrata subito favorevole, anzi si è stupita che fosse un modello sperimentale alimentato di fatto solo con tirocinanti da noi. Non ha mai dubitato, in tutta la contrattazione dell’utilità dello strumento.
Abbiamo subito riduzione di risorse e progetti sulle altre linee (digitalizzazione ed edilizia), ma questa linea è rimasta integra, anche nella sua consistenza numerica sino alla fine della contrattazione. Qualcosa vorrà dire, anche perché è l’investimento più importante di in risorse umane di tutta la linea dell’innovazione della pubblica amministrazione (nel lessico del piano la troviamo sotto l’acronimo M1C1).
Questo lo dobbiamo tenere ben presente, perché si tratta di un’enorme sfida ma non possiamo dubitare dell’utilità dell’innesto di queste competenze.
E’ poi uno strumento che guarda alla giurisdizione in modo aperto: non solo nell’ambito dell’ufficio (l’apporto di tutti i magistrati e dei dirigenti amministrativi sarà fondamentale), ma ovvio che su questa partita, sarà determinante il confronto con il Consiglio superiore, con la Scuola superiore della magistratura, anche con le strutture di formazione decentrata, con le Università e con i consigli dell’ordine locali.
Infine, ma non meno importate, si tratta di uno strumento che pone al centro i giovani laureati. Il decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80 in questo è chiaro, i maggiori punteggi sono attribuiti a chi è uscito di recente dall’Università. Non dimentichiamo peraltro che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è anche finanziato dal fondo Next Generation EU.
3) Il reclutamento di un numero così ingente di personale addetto all’ U.P.P. costituisce un impegno gestionale non indifferente. Quali saranno le modalità selettive, i tempi previsti e lo spazio destinato ai non pochi tirocinanti ex art. 73 d.l. n. 69/2013 che hanno proficuamente completato il percorso formativo negli uffici giudiziari e che, in virtù dell’esperienza maturata negli uffici giudiziari, possono ragionevolmente essere ritenuti una risorsa privilegiata per l’U.P.P.?
Ovviamente siamo chiamati a contenere nei tempi il reclutamento non solo del personale addetto all’U.P.P., ma anche delle 5410 altre unità di personale a tempo determinato, per essere davvero efficaci e rispettare tempi e target imposti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Confidiamo nell’ingresso della prima tranche di addetti U.P.P. negli uffici entro i primi mesi del 2021.
Intanto stiamo davvero bruciando le tappe, siamo addirittura in anticipo rispetto alla tabella di marcia.
E’ già varato Il decreto-legge n. 80 /2021, con il quale si tratteggiano le modalità di reclutamento e di impiego, nonché alcune altre specifiche.
La Ministra Cartabia ha già emesso i due decreti che danno avvio alle operazioni del bando di reclutamento, decreti pubblicati sul bollettino del Ministero del 31 luglio.
Il decreto-legge n. 80/2021 assegna direttamente un contingente di 400 unità (per due cicli di 200) alla Corte di Cassazione, con uno dei due decreti firmati dalla Ministra si ha invece la ripartizione dei contingenti nei singoli distretti. Possiamo riportare sotto lo schema distributivo:
Un successivo provvedimento determinerà i concreti contingenti assegnati ai singoli uffici. Con il secondo decreto, in attuazione dell’articolo 14 comma 12 del decreto-legge 80/2021, si determina il quadro delle modalità di reclutamento degli addetti all’ufficio per il processo, tra le quali segnalo che sarà un reclutamento per titoli e prova scritta a quiz, con attribuzione di alcuni punteggi aggiuntivi già indicati nel decreto-legge 80/2021. Diritto pubblico, ordinamento giudiziario, lingua inglese le materie oggetto della prova scritta.
In data 6 agosto 2021 è uscito il bando relativo al reclutamento appunto della prima tranche, bando che rimarrà aperto sino a settembre inoltrato.
Come si desume dal decreto-legge 80/2021, i titoli avranno una grossa importanza nella composizione della graduatoria finale, avendo la legge assegnato la possibilità di attribuire ad essi punteggi specifici, tra i titoli che possono essere valorizzati c’è il completamento dei tirocini ex articolo 73 del decreto-legge 69/2013 e anche l’avere effettuato servizio presso le sezioni specializzate di protezione internazionale. Peraltro su tali sezioni faremo un preciso focus, proprio perché una quota consistente del complessivo arretrato nazionale è relativo a tale tipo di contenzioso.
Uno specifico gruppo di lavoro, partecipato da magistrati e dirigenti amministrativi, avvocati e altre professionalità, valuterà fabbisogni formativi, suggerimenti per il progetto organizzativo, problematiche inerenti al contratto di lavoro, modalità di impiego ecc. e si interfaccerà assieme al Ministero.
Avvieremo a settembre alla ripresa il lavoro con i singoli distretti e uffici per procedere alla impostazione del progetto organizzativo.
Insomma la macchina è partita.
Quanto a spazi e modalità di lavoro, certamente il numero di risorse complessive e specifiche in alcuni uffici sarà ingente ed è vero che il problema dei locali è serio e va presidiato.
Abbiamo però già avviato una ricognizione dei locali da mesi, in alcune sedi abbiamo già programmato dove ricavare degli spazi ed in altre sedi critiche e grandi abbiamo anche avviato le procedure per la locazione di nuovi locali.
Certamente saranno risorse di personale che possono lavorare da remoto, e noi forniremo a tutti PC portatili e quanto occorrente a tale fine, ma dobbiamo anche assicurare che lavorino nell’ufficio giudiziario in presenza per una quota del loro monte orario, accanto ai magistrati e alle cancellerie. Abbiamo per questo previsto la possibilità di derogare al CCNI in punto di lavoro pomeridiano, nel senso che può essere indicato come orario di lavoro anche il pomeriggio, senza necessità del consenso espresso dell’interessato, proprio per poter assicurare l’affiancamento alle attività del magistrato e dell’ufficio in modo più pregnante ed effettivo.
4) La previsione di un contratto a termine non rischia di riproporre (alla scadenza) le consuete criticità per gli uffici e di prefigurare un’ipotesi di “precariato giudiziario”?
Certo questa è una sin troppo facile obiezione.
Ricordo ancora che con i finanziamenti del P.N.R.R. le assunzioni a tempo indeterminato non sono possibili, mentre lo sono ed erano assolutamente consentite quelle a tempo determinato. Quindi si può dire che l’indicazione dei contratti a tempo viene proprio dalla Commissione europea, o per meglio dire dalla struttura e dal tipo di investimento che con il Recovery Plan è destinato. E’ comunque un rischio che ovviamente ci siamo rappresentati quando abbiamo avanzato la linea di intervento, e con il Ministero per la Funzione Pubblica, con il quale abbiamo lavorato assiduamente per la costruzione del quadro normativo e del bando abbiamo anche cercato di costruire una serie di percorsi in modo da offrire possibilità di ingresso nel mondo lavorativo a tempo determinato a coloro che avranno partecipato all’ufficio per il processo.
Intanto c’è da dire che affianchiamo questi reclutamenti finanziati dal P.N.R.R. ad un preciso piano assunzionale a tempo indeterminato; quindi gli addetti all’ufficio per il processo, alla scadenza del contratto potranno profittare di un ciclo di concorsi presso il Ministero della giustizia, già avviato e che si alimenterà sino al 2026, dal momento che per fortuna il turn over non è bloccati. Anche altre amministrazioni stanno assumendo.
Come si legge nel decreto-legge 80/2021 (articolo 14) abbiamo attribuito titoli preferenziali e aggiuntivi a coloro che hanno partecipato quali addetti all’U.P.P., anzi per i concorsi presso il Ministero della giustizia è prevista una quota di riserva.
Il contratto a tempo determinato è poi comunque più adatto alla tipologia di persone che andranno a ricoprire tale qualifica e anche alle mansioni svolte: si tratta di tipiche mansioni che possono svolgere bene giovani laureati che è anche giusto che dopo avere avuto un’occasione di lavoro, anche molto professionalizzante poi cerchino un lavoro di altro tipo e stabile.
Sotto altro profilo certo non nascondo che la vera sfida sarà quella di creare a regime una struttura stabile di ufficio per il processo, magari non con 8.500 unità, che consenta agli uffici di mantenere integro il modello organizzativo anche dopo il 2026.
Lavoreremo perché tale prospettiva possa non essere lontana.
5) Le specifiche e i contenuti professionali dei componenti reclutati per l’ U.P.P. sono dettagliatamente indicate nell’allegato II del d.l. n. 80/2021, ma credo sia ragionevole ipotizzare che anche in questa occasione si ripropongano i limiti congeniti che fanno ritenere l’U.P.P. più funzionale al settore civile rispetto a quello penale. Come superare questo gap legato (anche) alla ridotta attivazione del processo penale telematico?
E’ vero che l’ufficio per il processo, alimentato con tirocinanti, ha visto un largo e prevalente utilizzo nei settori civili.
Però francamente dai dati in nostro possesso assistiamo negli ultimi anni in realtà a buoni inserimenti anche nel penale, specie in Corte di appello.
Dai nostri ultimi dati in tribunale il 25% delle risorse addette agli U.P.P. è destinata al penale, nelle Corti invece la percentuale sale a 44%.
Non credo però che la ragione sia legata alla minore digitalizzazione del processo penale, quanto più alla struttura del processo e al tipo di attività ad esse collegate, oltre che appunto da una causa “storica”, legata al fatto che le prime sperimentazioni sono partite proprio dal civile.
Certo nel civile il processo civile telematico è una realtà e gli addetti all’U.P.P. potranno giovarsi anche di uno specifico strumento ideato ormai qualche anno fa ma sempre valido (la consolle dell’assistente).
Credo piuttosto che nel momento in cui stiamo avviando la digitalizzazione anche del penale (ricordo che il processo penale telematico è partito in procura ma siamo pronti all’avvio per alcuni atti anche in dibattimento), l’ufficio per il processo presso le sezioni penali sarà fondamentale proprio per il supporto ai magistrati e delle cancellerie all’avvio della digitalizzazione penale, così come lo è stato per il civile. Ci sono studi sulle prime sperimentazione degli anni 2011/2012 che rivela come i magistrati che avevano all’epoca tirocinanti furono più pronti all’uso del P.C.T. e ai depositi telematici di chi non ne fruiva.
Quanto al gap tecnologico del penale, è vero indubbiamente c’è ma stiamo andando avanti e siamo pronti ad avviarlo anche per il dibattimento, ne dovremmo parlare con l’avvocatura e con gli uffici interessare.
Il progredire del P.P.T. è peraltro inserito come precisa milestone nel P.N.R.R., pur essendo finanziato interamente da fondi nazionali.
6) Credo che il risultato di questa autentica “sfida” organizzativa sarà ineludibilmente condizionato dalla condivisione culturale e operativa sia dei nuovi addetti all’ U.P.P. sia (e soprattutto) dei dirigenti degli uffici giudiziari, che dovranno offrire una risposta adeguata al coordinamento di un’attività nuova ed impegnativa. E’ stato programmato un percorso formativo a tal fine?
Assolutamente vero. La prima vera sfida è di ordine culturale.
Cambia il modo di lavorare dei magistrati, non più isolati ma necessariamente in staff. Cambia o meglio avanza il modo di lavorare dei capi degli uffici e dei semidirettivi, con necessità di visione organizzativa ad obiettivo nell’uso di tali nuove risorse. Cambia il modo di lavorare dei dirigenti amministrativi e del personale di cancelleria, non solo perché saranno chiamati a “gestire” queste nuove unità di personale ma anche perché dovranno avvalersi delle stesse, verificando quali attività della lavorazione del fascicolo innovare.
Direi che cambierà anche il modo di interloquire e di lavorare del Ministero ed in specie del Dipartimento dell’organizzazione. Pure noi siamo chiamati a mutare visione e azioni: sarà necessaria una costante interlocuzione degli uffici, come già detto, un’attenzione al monitoraggio e alla pulizia dei dati, alla opportunità di condividere informazioni integrate sulle complessive risorse assegnate (digitali, umane, materiali ecce).
Credo poi che importante sarà anche l’approccio culturale dell’avvocatura, che questi giovani vedrà lavorare quotidianamente negli uffici giudiziari e direi anche del mondo delle Università, che prepara i neo-laureandi.
Non dimentichiamoci che gli addetti all’ufficio per il processo saranno i futuri avvocati, docenti, dirigenti amministrativi.
E’ proprio vero la formazione è lo snodo centrale di questo cambiamento culturale.
Il P.N.R.R. finanzia peraltro per il personale amministrativo in servizio e per i neo-assunti addetti all’U.P.P. anche formazione; stiamo già immaginando di costruire alcuni moduli anche con il supporto della Scuola superiore della magistratura. Queste risorse avranno quindi, a differenza dei tirocinanti attuali, una formazione di ingresso e continua.
Ma credo che l’attenzione maggiore sarà da offrire alla formazione dei capi degli uffici e dei magistrati, proprio per supportarli nella costruzione del modello organizzativo, per stimolare il confronto tra varie esperienze e per far crescere il progetto poi con le proprie gambe. Su questo con la Scuola superiore della magistratura stiamo provvedendo a immaginare e costruire percorsi e strumenti.
Insomma, una sfida difficile, ma fondamentale. Siamo convinti che molto verrà dal lavoro quotidiano e concreto dei prossimi mesi.
Non possiamo avere sempre timori, magari trincerandosi dietro all’affermazione che non è sufficiente o non che questo non basta; forse non è sufficiente, e non è il solo strumento ma l’occasione è certamente unica, intanto iniziamo e partiamo!
[1] L’ufficio per il processo è stato previsto per la prima volta a livello generalizzato dall’art. 16-octies del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 (introdotto dall’art. 50 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114) e su di esso si è esercitata un’approfondita attività di regolamentazione secondaria da parte del Consiglio superiore della magistratura, culminata con l’adozione delle linee guida per l’ufficio del processo, deliberate il 15 maggio 2019. L’art. 16-octies, ha previsto l’istituzione dell’Ufficio per il processo, presso le corti di appello ed i tribunali ordinari, al fine di garantire la ragionevole durata del processo, attraverso l'innovazione dei modelli organizzativi ed assicurando un più efficiente impiego delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. La previsione di “una struttura tecnica in grado di affiancare il giudice nei suoi compiti e nelle sue attività, istituendo uno staff al servizio del magistrato e/o dell’ufficio”, ha trovato conferma anche nel successivo intervento legislativo effettuato con il d.lgs. n. 116/2017, che, al comma 10 dell’art. 10, ha previsto quale compito specifico della magistratura onoraria di coadiuvare il giudice all’interno della struttura organizzativa dell’ufficio per il processo. Secondo le previsioni normative vigenti, con riferimento agli uffici giudicanti di primo e secondo grado, gli uffici per il processo si avvalgono essenzialmente del personale di cancelleria e di coloro che svolgono, presso tali uffici, il tirocinio formativo a norma dell'articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché di magistrati onorari.
La proposta di modifica della riforma del d.lgs.vo n. 116/2017 sulla magistratura onoraria elaborata dalla Commissione ministeriale
di Ernesto Aghina
Sommario: 1. Premessa - 2. Lo status della futura magistratura onoraria - 3. Il regime dei magistrati onorari in servizio - 4. Conclusioni.
1. Premessa
Come è noto, la Commissione per elaborare proposte di interventi in materia di magistratura onoraria, nominata dalla ministra Cartabia in data 23.4.2021, ha completato la sua attività in data 21.7.2021, consegnando un articolato ed una relazione illustrativa pubblicata sul sito del ministero della giustizia.
Si è trattato di un compito difficile e intenso, che ha imposto alla Commissione - composta da magistrati professionali ed onorari, docenti universitari ed avvocati - tempi accelerati in virtù dell’imminente entrata in vigore a regime della cd. “riforma Orlando” della magistratura onoraria, previsto per il 16.8.2021 ai sensi dell’art. 32.1 del d.lgs.vo n. 116/2017.
L’elaborazione finale della proposta ha tenuto conto delle istanze prospettate dalle numerose rappresentanze sindacali di categoria della magistratura onoraria (consultate a mezzo di un apposito questionario), della ricca produzione dottrinaria in materia, delle valutazioni espresse dal C.S.M. ed anche (e soprattutto) delle proposte parlamentari (da tempo impegnate sul tema), confluite da ultimo in un testo unificato adottato dalla commissione per i disegni di legge.
In data 19.7.2021 (e quindi alla vigilia della scadenza del termine dei lavori della Commissione) è pervenuta la comunicazione della messa in mora dell’Italia nella procedura di infrazione operata dalla Commissione Europea, per cui non si sono potute necessariamente esaminare in modo analitico le varie censure avanzate, potendosi peraltro rilevare come alle principali si era già data adeguata risposta.
Fanno eccezioni i rilievi concernenti la misurazione dell’orario di lavoro dei magistrati onorari ed il rimborso delle spese legali per le procedure disciplinari, da ritenersi inconferenti anche perché relative ad una condizione generalizzata che coinvolge anche la magistratura professionale.
Naturalmente la validazione della proposta sarà rimessa, come per tutti i documenti presentati in questi giorni dalle altre commissioni, alla valutazione politica del ministero prima e del Parlamento poi, nell’auspicio che i tempi non risultino dilatati, per venire incontro alle legittime aspirazioni di certezza di status di una magistratura onoraria sin qui penalizzata da proroghe e ritardi che ne hanno esaltato una connotazione di precarietà improcrastinabile.
Rinviando per un’analisi di dettaglio ai lettura dei testi menzionati, può essere utile una sintetica disamina delle principali novità proposte in sostanziale discontinuità rispetto all’impianto normativo del d.lgs.vo n. 116/2017.
2. Lo status della futura magistratura onoraria
La considerazione (presente anche nel d.lgs.vo n. 116/2017) di dover nettamente diversificare le previsioni della futura magistratura onoraria rispetto a quella (anche da tempo prolungato) in attività, ha imposto una disamina separata dello status generale dei nuovi magistrati onorari.
Le principali innovazioni proposte concernono:
A) Per quanto riguarda le prestazioni richieste ai nuovi magistrati onorari (all’art.1.1 lett. a), il loro contingentamento in un limite (necessariamente contenuto sulla base delle criticità evidenziate dal precedente assetto) che viene individuato in nove giorni mensili (preferendo tale più duttile cadenza rispetto alla precedente indicazione settimanale), sostituendo al contempo la generica (e discussa) formulazione di “impegno” di cui all’art.1.3 del d.lgs.vo n. 116/2017, con “attività da prestare per l’ufficio giudiziario”, specificamente enumerate, rimesse alla previsione tabellare del Tribunale (per i g.o.p.) ovvero al progetto organizzativo della Procura della Repubblica (quanto ai v.p.o.).
Il rilievo assegnato all’autonomia organizzativa (ed alle specifiche esigenze) dei singoli uffici, ha consigliato la Commissione di richiedere una modifica del testo dell’art. 10 del d.lgs.vo n. 25/2006, per consentire la partecipazione (oggi esclusa) al Consiglio Giudiziario dei componenti onorari della sezione autonoma alla discussione (con diritto di voto) sulle materie che riguardino i magistrati onorari (art.4).
B) Il reclutamento subisce un sostanziale capovolgimento della tradizionale selezione per anzianità anagrafica legata al pregresso esercizio dell’attività forense, privilegiando il pregresso inserimento nell’ Ufficio per il processo come di recente disegnato dal d.l. n. 80/2021, limitando la valorizzazione dell’attività di avvocato a cinque anni di iscrizione all’ Albo professionale (art.1.1 lett.b).
C) Un (limitato) intervento in materia di incompatibilità, sia introducendo un’inedita preclusione ex ante, estesa agli avvocati che abbiano svolto direttamente o tramite studi associati attività forense in modo continuativo nel circondario del tribunale negli ultimi cinque anni; sia prevedendo l’incompatibilità per rapporti parentali con i magistrati professionali (art. 1.1 lett. c), consentendo in questi casi il trasferimento ad altra sede (art. 6.3).
D) Quanto al tirocinio, per ovviare ad alcune criticità manifestatesi durante il procedimento gestito dal C.S.M., si è semplificata la procedura per accelerare l’iter selettivo, incrementando il coordinamento operato dall’organo di governo autonomo della magistratura e limitando il numero degli ammessi al tirocinio (specie nelle sedi giudiziarie di maggiori dimensioni) per contenere inutili aspettative e diseconomie.
Al contempo è stata valorizzata la preferenza (e l’attitudine) dell’aspirante magistrato onorario, che deve indicare in domanda la sua preferenza per la destinazione al settore civile o penale (art. 1.1 lett.d), “anche per calibrare più opportunamente la copertura dei posti vacanti nei singoli uffici, demandando al C.S.M. le modalità di valorizzazione del profilo specialistico”.
Particolarmente significativa (art. 1.1. lett. e n.1) deve essere ritenuta la prospettata possibilità di coinvolgere come affidatari dei m.o. in tirocinio anche magistrati onorari (precedentemente incongruamente esclusi); l’acquisizione di un parere del Consiglio dell’ordine degli Avvocati a cui è iscritto l’aspirante m.o. (art. 1.1 lett. e n.2); l’estensione da due a tre anni della validità della graduatoria cui attingere, “a scorrimento”, per la copertura dei posti resisi vacanti nelle more (art. 1.1 lett.e n.3); la semplificazione della destinazione ad altra sede degli idonei al tirocinio non collocati nelle sede richiesta (art. 1.1 lett. e n.4).
E) Quanto al coordinamento e all’organizzazione dell’ufficio del giudice di pace si è confermata la validità della preposizione del presidente del tribunale, per incentivarne quella proficua consapevolezza (pecedentemente alla legge delega n.57/2016 quasi del tutto assente) delle problematiche di uffici sovente fisicamente lontani dal tribunale.
Alla (già prevista) collaborazione alle funzioni coordinamento da parte di magistrati professionali, è stata aggiunta anche quella di un giudice di pace, ritenuta utile per offrire al presidente del tribunale una tempestiva comunicazione delle varie situazioni determinatesi in ciascun ufficio (art. 1.1 lett.f).
F) In relazione alle funzioni e compiti dei giudici onorari di pace l’unica modifica prospettata concerne la riduzione del necessario periodo iniziale di destinazione, che passa da due anni a diciotto mesi, in considerazione della riduzione della durata complessiva di servizio onorario da otto a sei anni.
Arco temporale ulteriormente ridotto ad un anno per i neo magistrati onorari che siano stati precedentemente addetti all’ufficio per il processo ai sensi dell’art. 11 del d.l. n. 80/2021 o abbiano svolto il tirocinio formativo nello stesso ex art. 73 d.l. n. 69/2013, ritenendosi ragionevole non procrastinare ulteriormente tale fase iniziale delle funzioni onorarie per chi abbia già maturato un’adeguata esperienza in attribuzioni analoghe (art. 1.1 lett.g).
G) La destinazione dei giudici onorari di pace nell’ufficio per il processo per il settore civile resta immodificata, salvo un intervento di semplificazione del testo relativo alla delega al g.o.p. dei provvedimenti definitori in ambito civile, tra cui va segnalata l’eliminazione del criterio della “non particolare complessità” quale (discusso) criterio di riparto di attribuzioni.
È stato invece inserito un elenco di attività definitorie delegabili al g.o.p. inserito nell’ U.P.P. anche per il settore penale, colmando una evidente lacuna segnalata non solo dal C.S.M. ma da tutti i commentatori della riforma, intesa a concentrare gli auspicati effetti positivi del nuovo modello organizzativo quasi esclusivamente nel settore civile (art. 1.1 lett. h).
Raccogliendo una (legittima) aspirazione dei giudici ausiliari assegnati alle Corti d’Appello, la cui “sopravvivenza” è stata vulnerata dalla pronunzia n.41/2021 della Corte Costituzionale, è stato prospettato l’inserimento di un art.10bis che ne consenta la successiva assegnazione (su domanda) all’Ufficio per il processo della Corte d’Appello di appartenenza ovvero della Corte di Cassazione, per non disperdere l’acquisizione di preziose e qualificate professionalità.
H) La Commissione ha inteso radicalmente modificare il regime di assegnazione ai giudici onorari di pace dei procedimenti civili e penali (art. 11.1 lett. i).
Raccogliendo le univoche indicazioni formulate in tal senso del C.S.M., dopo aver operato una serie di audizioni di dirigenti degli uffici giudiziari, si è inteso ridurre fortemente le drastiche condizioni alle quali l’art. 11 del d.lgs.vo n. 116/2017 subordinava l’utilizzo dei g.o.p. nel tribunali.
L’eccezionalità del ricorso ai g.o.p., ipotizzata nella riforma del 2017, è risultata incompatibile sia con le carenze degli organici negli uffici di primo grado (incrementate dalla paralisi di nuovi concorsi per l’accesso in magistratura), sia con l’aumento dell’arretrato, fenomeni entrambi riconducibili alla pandemia.
La situazione, agevolmente prognosticabile come allarmante, risulta ancor di più critica per il venir meno dell’ aumento della competenza civile degli uffici del giudice di pace, prevista dal d.lgs.vo n. 116/2017 ma già postergata al 2025, evaporando l’ipotizzata deflazione delle sopravvenienze civili dei tribunali che si collocava come precondizione per la riduzione dell’impiego dei g.o.p.
Di conseguenza la Commissione ha prospettato la soppressione dei presupposti per l’assegnazione di procedimenti civili e penali ai g.o.p., ancorati fra l’altro a percentuali e medie statistiche di complessa acquisizione, ripristinando sostanzialmente i criteri di impiego di cui alla consueta disciplina prevista dal C.S.M., consentendo così una maggiore (ed auspicata) flessibilità organizzativa per i presidenti di tribunale.
Anche qui, per l’utilizzo concreto dei g.o.p. ed il limite di procedimenti loro assegnabili, si è fatto rinvio alla garanzia del contraddittorio del procedimento di formazione delle tabelle dell’ufficio (v. supra sub A) e alla normazione secondaria del C.S.M.
All’intervento sull’ an dell’assegnazione di procedimenti ai giudici onorari di pace, si è accompagnata anche una modifica quanto al quomodo, che ha ampliato il catalogo delle materie destinabili al g.o.t. nel settore civile, comprendendo materie precedentemente escluse (nonostante la non particolare difficoltà di valutazione), tra cui l’accertamento tecnico preventivo, la materia tutelare e i procedimenti di cui all’art. 445bis c.p.c., che si caratterizzano per numeri significativi e serialità, rendendo più coerente la disciplina con il disposto dell’art. 10.12 lett. a) e b), laddove è prevista la delegabilità al g.o.p. della pronunzia di provvedimenti definitori per entrambe le ultime due fattispecie.
I) Circa la destinazione dei giudici onorari di pace nei collegi penali si è intervenuti coerentemente alle emergenze che hanno consigliato di ampliare l’utilizzazione dei g.o.p. per le attribuzioni monocratiche, , eliminando la preclusione precedentemente prevista dall’art.12.1 circa la partecipazione dei g.o.p. la collegio quando si proceda per reati indicati nell’art. 407.2 lett. a) c.p.p., modificando una disposizione già vigente perché non soggetta ad eccezioni nel regime transitorio che da subito, specie negli uffici giudiziari meridionali più afflitti sia da vuoti di organico che da processi per gravi ipotesi criminose, ha determinato non poche criticità, convogliando esclusivamente nei collegi composti integralmente da giudici professionali i processi di maggiore complessità e durata. Per la segnalazione di analoghe criticità evidenziatesi nel settore civile, si è eliminata l’inibizione all’utilizzo dei g.o.p. anche nelle sezioni specializzate per la trattazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale (art. 1.1. lett. l).
Si tratta di interventi ritenuti necessari per fronteggiare diffuse situazioni di emergenza, ma che impongono ai dirigenti degli uffici di confinare il ricorso dei g.o.p. in ambito collegiale a peculiari situazioni eccezionali e temporanee, ottemperando ai principi recentemente affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 41 del 2021.
L) La disciplina della destinazione in supplenza dei giudici onorari di pace di cui all’art. 13 del d.lgs.vo n. 116/2017 è stata adeguata alle modifiche proposte per l’art.11 (art. 1.1 lett. m).
M) Le attività delegabili ai vice procuratori onorari nelle udienze del tribunale in composizione monocratica sono state ampliate rispetto all’originaria previsione dell’art. 17 del d.lgs.vo n. 116/2017 ricomprendendo anche i procedimenti di esecuzione (art. 655.2 c.p.p.) ed i procedimenti civili mentre, per quanto concerne le determinazioni relative alla richiesta di applicazione della pena su richiesta, si sono superati i rigidi confini dell’art. 550.1 c.p.p., estendendo dette attribuzioni(come quelle di indagine e di richiedere l’archiviazione) a tutte le ipotesi di reato per cui è prevista la citazione diretta a giudizio (art. 1.1 lett. n).
N) Quanto alla durata dell’incarico della futura magistratura onoraria la Commissione si è orientata sulla previsione di un unico incarico della durata di sei anni (senza possibilità di proroga), per rimarcare la necessaria temporaneità della funzione, disciplinando con una procedura estremamente semplificata e rimessa ai dirigenti degli uffici il meccanismo di verifica (biennale) dell’attività svolta, limitando gli accertamenti più penetranti (attribuiti agli organi di governo autonomo della magistratura) solo nel caso in cui si evidenzino profili di criticità configurando una procedura di revoca dall’incarico.
Si è altresì introdotta una (se pur limitata) forma di mobilità territoriale per il magistrato onorario che chieda il trasferimento per prestare assistenza a congiunti disabili (come previsto dall’art. 33.3 della legge n. 104/1992), estendendo la previsione (già contemplata dal d.d.l. n. 1438/2019, anche al caso in cui sia il portatore di handicap sia lo stesso magistrato onorario (art. 3.3 della legge n. 104/1992) ovvero sussistano patologie invalidanti di meno grave rilievo (art. 1.1 lett. p).
O) Il sistema disciplinare di magistrati onorari è stato rivisitato sulla scia di quanto già emerso nel corso dei lavori parlamentari, intesi ad esercitare la delega prevista dalla legge n. 57/2016 al contrario di quanto avvenuto con il d.lgs.vo n. 116/2017 (art. 1.1 lett. q).
Si è pertanto prefigurato un articolato arsenale sanzionatorio proporzionato alla alla diversa gravità di un innovativo catalogo di fattispecie disciplinarmente rilevanti, che va dal meno grave “richiamo”, alla “sospensione del servizio” sino alla “revoca dall’incarico” nei casi in cui emerga l’inidoneità ad esercitare le funzioni giudiziarie o i compiti assegnati nell’ambito dell’Ufficio per il processo ovvero in caso di reiterazione di comportamenti per cui è già stata irrogata la sospensione dal servizio.
Del tutto innovativa è invece la previsione dell’intervento cautelare della sospensione delle funzioni (e delle indennità) laddove il magistrato onorario: a) sia sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile con pena detentiva; b) sia incolpato di fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare e incompatibili con l’esercizio delle funzioni; c) sia sottoposto a misura cautelare personale.
L’istituto è diretto a colmare una evidente lacuna che in precedenza ha costretto il C.S.M, senza un’esplicita previsione normativa di riferimento, ad adottare provvedimenti cautelari (che peraltro hanno resistito al vaglio del giudice amministrativo) per sospendere immediatamente dalle funzioni il magistrato onorario in casi di palese gravità,
Naturalmente si è inteso corredare l’ipotesi cautelare, inevitabilmente incidente sul profilo economico, con la reintegrazione del magistrato onorario in caso di proscioglimento o assoluzione.
P) Sul delicato profilo della formazione dei magistrati onorari la Commissione è intervenuta solo oer accentuare il coordinamento della Scuola superiore della magistratura, inteso a contenere il pericolo di interventi formativi eccessivamente disomogenei in ambito distrettuale, uniformando altresì (per la cd. formazione permanente) il protocollo esistente in tema di formazione della magistratura professionale, che attribuisce al C.S.M. il compito di predisporre annualmente “linee guida” su cui vanno uniformati i programmi della S.S.M. (art. 1.1. lett. r).
Q) Il tema delle indennità spettanti ai (nuovi) magistrati onorari ha impegnato a lungo la Commissione, anche perché collegato alla configurazione del rapporto di lavoro svolto dal magistrato onorario, anche alla luce della sentenza della CGUE del 16.7.2020 che ha affermato che il giudice di pace “che svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo”, sia tendenzialmente un lavoratore ai sensi della direttiva 2003/88, ed abbia diritto alle ferie retribuite.
Qualificato il magistrato onorario quale “lavoratore” ai sensi delle direttive europee, attraverso un’articolata disamina delle peculiarità intrinseche alla funzione (per cui si fa rinvio alla relazione illustrativa), la Commissione ha ipotizzato la preferenziale riferibilità dei magistrati onorari alla categoria dei collaboratori coordinati e continuativi, ritenendo un rapporto di parasubordinazione più confacente alla tipologia del rapporto, nonché la più adeguata per rispondere ai rilievi della Commissione europea.
Privilegiando per la complessità dell’esposizione e la pluralità di opzioni previdenziali e fiscali percorribili - piuttosto che intervenire sul testo dell’art. 23 - il rinvio alla relazione di accompagnamento dell’articolato, la Commissione ha formulato (art. 1.1 lett. s) la proposta di corrispondere ai (nuovi) magistrati onorari un’indennità fissa onnicomprensiva, escludendo il ricorso all’indennità incentivante di cui all’art. 23.6 (vedi infra sub lett. Z), segnalando comunque che l’importo netto di circa €. 1.100,00 mensili (ricavato dall’indennità annuale lorda massima prevista dal d.lgs.vo n. 116/2017) per quanto necessariamente da aggiornare automaticamente ogni tre anni (come accade per i magistrati professionali), risulti scarsamente attrattivo per una platea che si intende qualificata e qualificante.
Per la compiuta quantificazione dell’importo ci si è rimessi alla scelta del decisore politico, esorbitando dalla attribuzioni della Commissione l’esatta quantificazione del riparto di spesa destinato al finanziamento della magistratura onoraria, che si auspica comunque decisamente superiore alle attuali previsioni.
R) Il merito alle ferie retribuite, il pregresso contenuto dell’art. 24 del d.lgs.vo n. 116/2017, ha consentito alla Commissione di evitare qualsiasi modifica al testo normativo, salvo che per rimarcare la natura di “diritto” della previsione (art. 1.1 lett. t).
S) La tutela previdenziale (art. 1.1 lett. u) è stata adeguata alle indicazioni della Commissione Europea, riconoscendo ai magistrati onorari il trattamento di malattia e infortunio (con una indicazione “rafforzata” estesa anche ai giudici onorari minorili, agli esperti del Tribunale di sorveglianza e ai giudici ausiliari), la tutela di maternità e paternità, il regime assicurativo contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (a carico dello Stato).
Attraverso un confronto con l’INPS, si sono esplorate tutte le possibilità di articolare gli oneri previdenziali , differenziati a seconda delle diverse esperienze professionali dei magistrati onorari (avvocati legati alla Cassa Forense, lavoratori pubblici tutelati dall’INPS, altri magistrati che oggi non godono di alcuna tutela).
La scelta del d.lgs.vo n. 116/2017 (l’iscrizione dei magistrati onorari alla gestione separata con le modalità contributive previste per i lavoratori autonomi), se pure limitata ai profili strettamente previdenziali, è stata oggetto di rilievo da parte della Commissione Europea, che ha chiarito – rimarcando la disparità di trattamento con il magistrato professionale – la necessità che la garanzia della tutela assistenziale e previdenziale del magistrato onorario sia a carico dello Stato.
Ci si è pertanto determinati di mantenere, per i nuovi magistrati onorari, l’assetto previsto dal d.lgs.vo n. 116/2017, in quanto economicamente più conveniente, previo riconoscimento di adeguati incrementi delle indennità, in misura tale da costituire una sorta di rimborso dell’onere contributivo e del corrispondente onere fiscale (visto che le somme in più ipoteticamente attribuite sarebbero soggette all’ordinaria imposta sui redditi).
La necessità di una opzione “tecnica” in materia previdenziale, ha consigliato la Commissione di non esplicitare nell’articolato una specifica indicazione al riguardo, rinviando le prospettazioni alternative, con le relative problematiche tecniche, all’ampia esposizione della relazione.
T) Quanto alla competenza civile del giudice di pace, in considerazione della pregressa scelta normativa di differirne l’incremento al 2025, si è inteso da un lato comunque disporre aumento della cognizione per valore, ma di entità contenuta, portandola da €. 5.000,00 a €. 15.000,00; dall’altro rimuovendo la competenza concernente la materia condominiale e le immissioni (art. 7.3 numeri 2 e 3), differendo la decorrenza delle modifiche al 1 gennaio 2023 e all’introduzione del PCT anche al processo del giudice di pace (art. 1.1 lett. v).
Si è intervenuti anche in tema di competenza penale, esercitando la delega disattesa dal d.lgs.vo n. 116/2017, conferendo al giudice di pace la cognizione di alcune fattispecie delittuose del codice penale ( art. 392, esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, art. 393, esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone, art. 612.2, minaccia aggravata (salvo che sussistano altre aggravanti), art. 624 e 626, furti punibili a querela dell’offeso) tutte caratterizzate dalla procedibilità a querela e quindi coerenti con la natura compositiva del giudice di prossimità, cui sono state aggiunte alcune contravvenzioni (art. 650, inosservanza del provvedimento dell’Autorità, art. 651, rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale, art. 659, disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, art. 727, abbandono di animali), quasi tutte già comprese nella legge delega n. 57/2016 (art. 2).
Anche per questa modifica si è individuata la data di decorrenza del 1 gennaio 2023.
3. Il regime dei magistrati onorari in servizio
U) Il regime dei magistrati onorari in servizio (art.1.1 lett. z) ha particolarmente impegnato la Commissione, per le molteplice problematiche emergenti, in gran parte collegate alla prolungata permanenza in servizio dei magistrati onorari in attività, monitorata dalla Commissione in virtù di un approfondito approfondimento statistico che ha accertato in 55 anni l’età media dei magistrati onorari (59 per i giudici di pace, 55 per i g.o.t., 53 per i v.p.o., 58 per i giudici ausiliari in appello), e di 15 anni la media di esercizio delle funzioni onorarie (19 anni per i giudici di pace, 15 per i v.p.o. e 12 per i g.o.t.).
Anche tenendo conto dei rilievi della Commissione europea, si è proposto di dilatare sino a 70 anni la durata dell’incarico dei magistrati onorari in servizio (previe periodiche conferme quadriennali secondo l’orinario protocollo), determinando così una sostanziale stabilizzazione nell’incarico, che da sempre ha costituito la principale richiesta delle associazioni sindacali di categoria.
Novità anche per quanto riguarda l’intensità dell’impegno periodico atteso che per la prima volta si è rimessa al singolo magistrato onorario la scelta di graduare la sua attività (modulata secondo le medesime ipotesi elencate supra sub lett. a) per i nuovi magistrati onorari) secondo tre slot (di tredici, nove o cinque giorni mensili) commisurati alla personale disponibilità e con compenso naturalmente proporzionale all’ampiezza dell’impegno (art.1.1 lett. aa).
Pur consapevole dell’ ampiezza dell’impiego della magistratura vicaria nei tribunali, la Commissione non ha ritenuto di poter elevare la soglia massima periodica di impegno del magistrato onorario, altrimenti confliggente con un part-time lavorativo.
Sarà cura dei dirigenti ottimizzare le risorse a disposizione, mediante l’adozione di modelli organizzativi che coinvolgano tutti i magistrati onorari assegnati all’ufficio (cosa non sempre accaduta).
La considerazione dell’impiego massivo di v.p.o. operato in alcune (specie le più grandi) Procure della Repubblica, specie in sede dibattimentale, ha indotto la Commissione a proporre il ripristino dell’art. 72 dell’ Ordinamento Giudiziario (abrogato proprio dal d.lgs.vo n. 116/2017) in modo da consentire la delegabilità delle funzioni di pubblico ministero ai magistrati ordinari in tirocinio, ma dopo dodici mesi di tirocinio, rispetto alla previgente previsione di sei (art. 3).
Quanto all’attività dei magistrati onorari in servizio all’interno dell’ U.P.P. si sono raccolte le (condivisibili) preoccupazioni legate al rischio di un’utilizzazione indifferenziata delle varie componenti di questo rinnovato modulo organizzativo, segnalando la necessità di (eventualmente) adibire i (più esperti) magistrati onorari a compiti diversi da quelli riservati ai tirocinanti ed alle risorse reclutate con il d.m. n. 80/2021 (art.1.1 lett. bb 1a).
In merito peraltro si resta in attesa di un intervento normativo di maggiore dettaglio che regolamenterà struttura e mansioni all’interno dell’Ufficio per il processo.
Ampliata la possibilità di assegnazione di procedimenti civili e penali (anche) ai giudici onorari in servizio oltre i severi limiti originariamente previsti dall’art. 11 (art. 1.1 lett. bb 1b), si è ampliato l’utilizzo dei giudici onorari in servizio anche nei collegi (art.1.1 lett. bb 4), ed eliminando la restrizione che li escludeva per la trattazione dei reati indicati nell’art.407.2 lett.a) c.p.p., sulla scia di quanto disposto per i giudici onorari di nuova nomina (vedi supra sub lett. I).
Analogo provvedimento di ampliamento delle attribuzioni è stato previsto anche per i v.p.o. in servizio per i quali (in considerazione dell’esperienza maturata) sono state escluse le limitazioni di attività delegabili originariamente previste dall’art. 17.3 del d.lgs.vo n. 116/2017,
Si è anche semplificata la destinazione dei g.o.p. agli uffici del giudice di pace, da ritenersi sempre più necessitata per l’incremento dei vuoti di organico pervenuto alla soglia del 67%, che sta minando l’effettività della giurisdizione di pace (art.1.1 lett. bb 1c).
Con la soppressione del comma 9 dell’art.30 si è eliminata la poco comprensibile “retrocessione” funzionale operata nel corso dell’ultimo mandato dei magistrati onorari.
Come operato per il compenso da corrispondere ai nuovi magistrati onorari (vedi supra sub lett. Q) anche per la determinazione dell’indennità spettante ai magistrati onorari in servizio la Commissione ha rimesso la decisione all’autorità politica, limitandosi a prevederla (naturalmente) proporzionata al regime di attività prescelta (di tredici, nove o cinque giorni mensili), corrisposta mensilmente e soggetta ad adeguamento periodico (art. 1.1 lett. cc).
Nella nuova formulazione dell’art. 31 del d.lgs.vo n. 116/2017 manca di conseguenza, per scelta consapevole, ogni specificazione indennitaria anche se, nella relazione di accompagnamento, risulta dedicato ampio spazio alle problematiche inerenti alla determinazione dell’importo lordo, onnicomprensivo pervenendosi, attraverso la comparazione con la retribuzione corrisposta ai magistrati professionali di prima nomina, all’indicazione di un netto mensile di €. 2.200,00, quale limite minimo da corrispondere ai magistrati onorari in servizio che abbiano scelto la fascia di maggiore impegno.
Anche per chi opera da tempo nella giurisdizione (e non sia iscritto alla Cassa Forense) si sono sviluppate le possibili opzioni, previa iscrizione alla gestione separata INPS, mentre per i magistrati onorari iscritti alla Cassa viene confermata la validità del regime di cui all’art. 25.4 del d.lgs.vo n. 116/2017, con l’adeguamento di un rimborso a carico del Ministero della Giustizia (regime già previsto per i g.o.a. dall’art. 8.4 della legge n. 276/1997).
Naturalmente tutte le prerogative previdenziali garantite ai nuovi magistrati onorari restano estese a quelli in servizio (v. supra sub lett. S).
V) Da ultimo, con l’art. 5, si sé proposta la riduzione delle dotazioni organiche dei magistrati onorari in 3.500 (per i g.o.p.) e in 1.800 (per i v.p.o.), rispetto al numero di 6.000 giudici onorari e 2.000 vice procuratori onorari previsto con d.m. 22.2.2018.
4. Conclusioni
La complessità del testo postula un’analisi attenta, scevra da pregiudizi ed operata sulla base delle realistiche possibilità di adeguamento dello status di una magistratura onoraria da troppo tempo consegnata ad un destino di proroghe e dilazioni di intervento.
L’esigenza di una netta differenziazione tra i futuri magistrati onorari e quelli già in servizio ha costituito il criterio dirimente di tutte le scelte operate e che si rinvengono nell’elaborato finale che ha anche tenuto conto, nella differenziazione dei compensi attribuibili ai neo magistrati onorari ed a quelli già in servizio, della necessità di attribuire a questi ultimi (ed in particolare alla cd. “magistratura vicaria”) una sorta di “ristoro” per un pregresso trattamento indennitario inadeguato all’attività svolta.
Naturalmente, quando nella proposta consegnata al ministero si è fatto riferimento alla “magistratura onoraria in servizio”, novellando il d.lgs.vo n. 116/2017, si è fatto riferimento ai magistrati onorari in attività alla data di entrata in vigore della “riforma Orlando”.
La data del 16 agosto 2021, prevista dagli artt. 31.1 e 32.1 come quella di entrata in vigore di larga parte del d.lgs.vo menzionato, è troppo ravvicinata per pensare realisticamente che possa concludersi il prolungato iter parlamentare in cui si inserisce la proposta della Commissione in commento.
È ragionevole pertanto ipotizzare una proroga (con provvedimento d’urgenza) che si auspica comunque contenuta per non procrastinare ulteriormente una situazione di criticità accentuata dalla messa in mora della Commissione UE, ritenendo che la “questione onoraria” non sia di minore rilievo, anche per raggiungere i target di performance previsti dal PNRR.
Consapevole delle attese riposte nella predisposizione di quella che resta pur sempre una proposta di tipo tecnico, la Commissione ha contribuito, in forma inusualmente condivisa, e senza avventurarsi nei perigliosi ostacoli di analisi della (pur indispensabile) copertura finanziaria, alla predisposizione di un testo che si offre alle necessarie valutazioni ma che costituisce oggettivamente la forma più avanzata di regolamentazione complessiva della magistratura onoraria, e che - quanto ai profili economici - potrà auspicabilmente essere oggetto di ulteriori miglioramenti nelle successive e necessarie fasi valutative.
Note sul decreto legge 105/2021 che estende il green pass a attività e servizi della vita quotidiana
di Giuliano Scarselli
Sommario: 1. Premessa - 2. Obbligo vaccinale e consenso informato - 3. Estensione del green pass e normativa europea - 4. Segue: estensione del green pass, riservatezza e libertà di movimento - 5. Segue: estensione del green pass e principi costituzionali - 6. Brevissime conclusioni.
1. Premessa
Questo breve scritto non intende commentare i tanti aspetti di contrasto all’epidemia da Covid 19 del nuovo intervento normativo, decreto legge 23 luglio 2021 n. 105, ma solo porre qualche spunto di riflessione, che desidero soprattutto indirizzare agli amici e colleghi giuristi.
Nel farlo, vorrei premettere che non sono un no vax, e non metto in discussione né il valore dei vaccini, né la possibilità dello Stato di istituire, ai sensi dell’art. 32 Cost., la vaccinazione obbligatoria per tutti, se ne sussistono i presupposti fissati dalla nostra Corte costituzionale.
Ed inoltre, come si comprenderà dalla lettura dello scritto, non intendo nemmeno porre critica specifica al nostro Governo, poiché quello che sta succedendo in Italia accade anche in vicini paesi europei, primo fra tutti la Francia.
Solo mi sembra si sia superato certi limiti, e ciò fa sì che avverta come dovere quello di prendere posizione.
Tutto qui: è un vizio (quello di esprimere pareri giuridici) che ho acquisito fin dai primi anni di studio nella facoltà di giurisprudenza e che ancora (forse, purtroppo) mi accompagna.
2. Obbligo vaccinale e consenso informato
La prima questione che mi sembra da porre è questa.
Le opzioni in punto di vaccini sembrano essere due: o si lascia ai singoli il diritto di scegliere se vaccinarsi o meno, oppure si rende la vaccinazione obbligatoria.
Direi: tertium non datur.
E, aggiungerei, come ho premesso, che nessuno mette in discussione che lo Stato, se vi sono i presupposti, possa, ai sensi dell’art. 32 Cost., disporre un obbligo vaccinale nei confronti di tutti i cittadini, visto che è la stessa norma costituzionale a prevedere che, tramite legge, si possa disporre trattamenti sanitari obbligatori[1].
Il problema, però, è che quello che sta accadendo non è questo, ed ha sfumature più variegate che ritengo utile sottolineare.
Lo Stato, quanto meno al momento, non ha disposto alcun obbligo vaccinale per tutti, e non esiste alcuna legge che obblighi l’intera comunità a sottoporsi al vaccino COVID 19.
Tuttavia, con l’ultimo decreto legge 105/2021, se non sei vaccinato non puoi prender parte alla vita sociale, e non puoi frequentare, ad esempio, ristoranti, cinema, teatro, musei, mostre, convegni, ecc….. e ciò almeno che tu non sia disposto a sottoporti a tampone ogni 48 ore.
Allora il cittadino corre a vaccinarsi (o almeno questa appare essere l’idea del legislatore); ma, per farlo, deve sottoscrivere una carta di consenso informato, ovvero deve rilasciare al medico che lo vaccina una dichiarazione con la quale riconosce che ha avuto tutte le informazioni utili sulle possibili pericolosità dello stesso e che egualmente ha prestato libero consenso alla vaccinazione (il modulo prevede: “Acconsento ed autorizzo la somministrazione del vaccino”).
E’ evidente che ove il vaccino fosse obbligatorio, al cittadino, direi, non potrebbe chiedersi di sottoscrivere un consenso informato, poiché il concetto di consenso contrasta con quello di obbligo; e nessun consenso, infatti, potrebbe essere richiesto al cittadino che si presti semplicemente ad adempiere ad un obbligo; ne’ consenso si può immaginare a fronte di un trattamento sanitario che è, appunto, obbligatorio.
Sostanzialmente, l’obbligo vaccinale farebbe sì che lo Stato si assuma la responsabilità dell’obbligo; in questo modo, invece, lo Stato non ha, ne’ addossa ad altri, alcuna responsabilità nella vaccinazione, poiché questa è posta in essere per libera scelta del cittadino, che dunque prima di vaccinarsi sottoscrivere che tutto avviene per sua volontà e a seguito di informativa sui rischi esistenti.
L’idea, poi, che lo Stato voglia che i cittadini si vaccinino senza responsabilità propria o di terzi sembra confermata anche dell’art. 3 del decreto legge, ora convertito in legge, n. 44/2021, detto di scudo penale, il quale statuisce che: “Per i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, ……la punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme…….”.
Si è detto che lo scudo penale è stato posto a tutela dei medici e di tutto il personale sanitario e solo per essi, ma a me sembra, se non commetto errori, che, stante la genericità del testo, esso potrebbe applicarsi a tutti, e non solo ai medici, cosicché tutti potrebbero volersi proteggersi dietro quello scudo, anche chi il vaccino l’abbia, ad esempio, prodotto, o commercializzato, o, direttamente o indirettamente, imposto, o indotto, ecc…..[2]
Dunque, in estrema sintesi: probabilmente lo Stato non si sente di rendere obbligatorio per tutti un vaccino che non ha terminato la sua sperimentazione e che può causare, come egli stesso ammette con l’art. 3 del dl. 44/2021, che espressamente richiama gli art. 589 e 590 c.p., la lesione o la morte del vaccinato; però, al tempo stesso, vuole che tutti si vaccinino.
Se lo rendesse obbligatorio nel rispetto dell’art. 32 Cost. si assumerebbe la responsabilità di questa sua scelta e non potrebbe più contare sul consenso informato del vaccinato; lasciando al contrario la vaccinazione libera, lo Stato evita di assumersi ogni responsabilità, e ottiene il medesimo risultato con l’estensione del green pass, che di fatto induce tutti i cittadini a vaccinarsi per non essere esclusi dalla vita sociale.
Orbene, se le cose stanno in questi termini, chiedo se questo sia possibile.
Retoricamente, come può lo Stato dare di irresponsabile a chi scelga di non vaccinarsi quando è lo stesso Stato che, per primo, non intende assumersi responsabilità?
Poiché a me sembra, infatti, che i timori che hanno milioni e milioni di cittadini a vaccinarsi, siano gli stessi timori che ha lo Stato a rendere obbligatorio per tutti il vaccino anti Covid 19.
3. Estensione del green pass e normativa europea
Seconda questione.
È pacifico che la legislazione nazionale, oltre a dover rispettare la nostra Costituzione, deve altresì essere conforme alla normativa europea.
Al riguardo ricordo che il green pass (certificazioni verdi COVID 19) è stato recentemente disciplinato con i regolamenti UE 2021/953 e 2021/954 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021.
Esso è stato ideato e regolato al fine di agevolare gli spostamenti tra Stati membri per non danneggiare il turismo, e ciò lo si ricava agevolmente dalla lettura dei testi, tutti incentrati sui soli problemi relativi agli spostamenti tra Stati e alle sole questioni transfrontaliere[3].
Ciò premesso, come avviene il collegamento tra legislazione EU e legislazione nazionale?
Ebbene, da noi il green pass è regolato dall’art. 9 del precedente decreto legge del 22 aprile 2021 n. 52, convertito con modificazioni dalla legge 17 giugno 2021 n. 87.
L’art. 4 del nuovo decreto legge 105/21 ha posto oggi talune modifiche al precedente art. 9 del dl 52/21, ed in special modo al punto 2 della lettera e) dell’art. 4, 2° comma dl 105/21 si legge quanto segue: “Le disposizioni dai commi da 1 a 8 continuano ad applicarsi ove compatibili con i regolamenti UE 2021/953 e 2021/954 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021”.
Le disposizioni dai commi da 1 a 8 dell’art. 9 dl 52/21 sono appunto quelle che regolano il green pass.
Dunque l’art. 4, intervenendo sull’art. 9, 9° comma del dl. 52/2021, ci dice che il green pass può continuare ad applicarsi “in quanto compatibile” con i regolamenti UE 2021/953 e 2021/954 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021.
Si tratta di una conclusione evidente, poiché, appunto, la legislazione interna non può derogare a quella EU, e quindi, necessariamente, l’art. 9 dl 52/21, per come integrato dall’art. 4 dl 105/21, deve rispettare i regolamenti UE 2021/953 e 2021/954.
Ora, però, il punto è che i regolamenti europei non solo non prevedono affatto che il green pass possa essere utilizzato quale condizione alla partecipazione dei cittadini alla vita sociale, ma, per quanto concerne la sua utilizzazione, escludono che possano darsi discriminazioni tra cittadini vaccinati e non vaccinati.
Il regolamento UE 2021/953 nella sua corretta traduzione statuisce infatti al punto 36 quanto segue:
“È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino COVID 19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate. Pertanto il possesso di un certificato di vaccinazione non dovrà costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione”[4].
Ciò in conformità, peraltro, alla precedente risoluzione del Consiglio di Europa – Assemblea parlamentare - n. 2361/2021 del 27 gennaio 2021, la quale indirizzava gli Stati a non rendere obbligatoria la vaccinazione anti Covid 19 e a non usarla come discriminante tra lavoratori.
Si legge infatti in detta risoluzione: “Assicurare che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sottoposto a pressioni per farsi vaccinare; garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato o per non voler essere vaccinato” (punto 7.3.1. e 7.3.2.).
Ora, la questione è evidente: come è possibile applicare i decreti legge italiani sul green pass compatibilmente con il regolamento UE del 14 giugno 2021 n. 953, il quale espressamente vieta la discriminazione dei non vaccinati rispetto ai vaccinati, anche quando questi ultimi hanno scelto di non essere vaccinati, se tutta la nostra legislazione si basa invece sul principio contrario, ovvero su quello di porre una discriminazione, seppur ritenuta equa e giustificata, tra cittadini vaccinati, che possono liberamente partecipare alla vita sociale, e cittadini non vaccinati, che invece per partecipare alla vita sociale devono sottoporsi ad un tampone ogni 48 ore?
Al di là delle opinioni che su questa scelta ognuno può avere, se non discriminare significa trattare allo stesso modo i vaccinati e non vaccinati, è evidente che il green pass italiano pone delle discriminazioni, e quindi non è conforme alla normativa EU.
Applicarlo “in quanto compatibile”, sinceramente non capisco cosa significhi, ne’ come “i titolari e i gestori dei servizi e delle attività di cui al comma 1” (così l’art. 3, 4° comma, dl 150/21), possano procedere ai controlli rendendolo conforme alla disciplina europea.
4. Segue: estensione del green pass, riservatezza e libertà di movimento
Terza questione.
Una volta vaccinato, il cittadino riacquista la sua libertà di movimento, però, evidentemente, questa libertà non è più piena, poiché per esercitarla deve comunque utilizzare il green pass.
Dunque, la libertà che il cittadino ha, non è più derivante dalla Carta costituzionale o dalla Convenzione dei diritti dell’uomo, ma, appunto, dal green pass, che l’autorità pubblica gli consegna per un tempo determinato.
Ora il green pass è costituito da un codice a barre, e tutte le volte che lo si utilizza, il codice viene (se non erro, questo dovrebbe essere il meccanismo) scannerizzato, e i dati si immettono in una piattaforma nazionale, da meglio definire e regolare, in grado di conservare i dati raccolti[5].
È evidente che più sono le occasioni nelle quali io ho la necessità di utilizzare il green pass, più sono soggetto a controllo; o almeno questo è il rischio dell’utilizzo del green pass nella vita quotidiana.
È lecito che lo Stato, attraverso la vaccinazione, controlli i dati e forse anche i movimenti dei cittadini?
Al momento attuale si dice che i dati saranno conservati lo stretto necessario, utilizzati per fini esclusivamente sanitari, nel pieno rispetto della privacy di ogni cittadino, e che non vi sia controllo sui movimenti.
Però, ogni preoccupazione è lecita, poiché, ad oggi, non mancano decisioni invece prese senza, e a prescindere, dall’opinione dell’autorità garante della privacy; e, se si vuole essere pignoli, anche il vaccino doveva essere rimesso alla libera determinazione di ognuno, e poi non è stato così.
L’autorità garante della privacy, peraltro, con suo provvedimento n. 156 del 23 aprile 2021, è stata fortemente critica sulla novità del green pass.
Ha scritto che il decreto legge: “Non rappresenta una valida base giuridica per l’introduzione e l’utilizzo di certificati verdi……L’impianto normativo non fornisce un’indicazione esplicita e tassativa delle specifiche finalità perseguite, elemento essenziale al fine di valutare la proporzionalità della norma………Si ritiene non si sia tenuto adeguatamente conto dei rischi, di seguito illustrati, che l’implementazione della misura determina per i diritti e le libertà degli interessati”.
Ma, oltre questo, v’è da sottolineare che, nell’ipotesi si dovesse arrivare a tracciare i movimenti, il controllo delle persone sotto questo profilo non è questione che attiene solo alla privacy, è questione assai più grave e incisiva, perché ha a che fare con la libertà personale.
Né mi sembra pertinente replicare, come molti fanno, che nella società attuale siamo tutti già ampiamente tracciati dalle società commerciali; e questo, in primo luogo perché ciò non corrisponde a verità, visto che le società commerciali hanno a disposizione solo quei dati che il cittadino liberamente rende pubblici, e poi perché una cosa è essere tracciati da un privato, altra cosa, assai più grave, è esserlo dallo Stato.
Tracciare, e/o controllare, i movimenti di una persona, contro la volontà di questi e/o in forma obbligata, costituisce restrizione della libertà personale, vietata ai sensi dell’art. 13 Cost.; solo le persone con limiti alla libertà personale possono subire un tale trattamento, non altri, in base alla nostra costituzione, e solo per provvedimento dato dall’autorità giudiziaria.
Soprattutto, non vedo perché dovrebbero subire questo trattamento i cittadini che si sono vaccinati, ovvero che hanno ottemperato a quanto era stato loro chiesto per proteggere la salute propria e della collettività.
Siamo così in questa situazione: se non sei vaccinato non ti puoi muovere, ma se sei vaccinato ti muovi sotto sorveglianza.
Non basta vaccinarsi per essere liberi, la libertà per i quali i nostri padri e i nostri nonni morirono, o furono torturati, o imprigionati per giungere alla Costituzione del ’48, non esiste più, quanto meno al momento.
E poi il green pass ha una scadenza temporale.
Dopo che succede?
5. Segue: estensione del green pass e principi costituzionali
Ultima questione.
Il dl 105/21 premette e richiama le norme della nostra costituzione, tra le quali l’art. 77 e 16 Cost.
A me sembra, però, che, così come è dubbio che il dl 105/21 sia conforme all’art. 32 Cost. per quanto sopra detto, lo stesso è dubbio sia conforme agli artt. 77 e 16 Cost.
5.1. L’art. 77 Cost. autorizza il Governo, come noto, a emanare decreti leggi in “casi straordinari di necessità ed urgenza”.
Qui la necessità e l’urgenza è data dalla crisi sanitaria e dalla dichiarazione di pandemia fatta dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Questa dichiarazione dell’OMS, tuttavia, risale al 11 marzo 2020; e, se dopo un anno e mezzo (23 luglio 2021), si pongono nuovi e fortissimi limiti alle libertà dei cittadini, io credo che, in ossequio all’art. 77 Cost, si dovrebbero spiegare le ragioni attuali di crisi sanitaria, più gravi rispetto al passato, per le quali si ritiene necessario, equilibrato e proporzionato porre dette nuove più forti limitazioni.
Al contrario, niente di tutto questo si trova nel preambolo del dl 105/21.
Nei precedenti decreti legge si faceva riferimento agli avvisi del Comitato tecnico-scientifico del dipartimento della Protezione civile.
Solo a titolo d’esempio, ciò veniva con il dl del 22 aprile 2021 n. 52, che faceva riferimento all’avviso del Comitato tecnico-scientifico del 20 aprile 2021, ovvero di soli due giorni prima; e lo stesso avveniva con il dl del 1 aprile 2021 n. 44, che faceva riferimento all’avviso del Comitato tecnico-scientifico del 29 marzo 2021, ovvero di tre giorni prima.
In questo caso, ovvero con il dl 105/21, niente di tutto questo avviene, e il decreto non è basato su alcun avviso scientifico, ma solo sulla menzione degli atti normativi precedenti, sulla dichiarazione dell’OMS di un anno e mezzo fa, e sulla mera dichiarazione “Considerato che l’attuale contesto di rischio impone la prosecuzione delle iniziative di carattere straordinario e urgente intraprese al fine di fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività”.
Le situazioni di pregiudizio, come si legge, sono definite solo “possibili”, avvisi scientifici non sono richiamati, e il tutto avviene in un giorno di piena estate, dopo la soppressione dell’obbligo delle mascherine all’aperto, e nel quale i dati erano i più bassi mai avuti[6].
Con questo, evidentemente, il cittadino non è in grado di valutare se la situazione sanitaria è o meno così grave da giustificare tali restrizioni; però, dato che sono misure fortemente limitative delle libertà e non hanno precedenti nella nostra storia repubblicana (ma, direi, nemmeno nella storia in tempo di pace del Regno d’Italia), ritengo che i cittadini abbiano diritto a veder spiegate le ragioni delle misure, e che non sia possibile emanare un decreto legge che sottragga libertà costituzionali senza esternare in modo chiaro le ragioni che giustificano una tale decisione, anche in punto di equilibrio degli interessi, ai sensi dell’art. 77 Cost.
5.2. Si fa poi riferimento all’art. 16 Cost.
Non v’è dubbio, al riguardo, che il diritto alla circolazione può trovare delle limitazioni per ragioni di salute ai sensi di detta disposizione costituzionale; il problema, però, è che per detta norma tale limite ha ad oggetto il divieto di recarsi in un certo luogo perché in quel certo luogo vi sono ragioni di salute o di sicurezza che impediscono lo spostamento, mentre oggi si invoca questa norma a copertura costituzionale di disposizioni che vietano a certe persone di usufruire di attività e servizi in base al fatto di aver avuto o meno certi trattamenti sanitari[7].
L’art. 16 pone un limite a spostamenti in “parte del territorio nazionale”, quindi, appunto, a spazi territoriali geodeterminati; mentre i ristoranti, i bar, i musei, i convegni, le fiere, e soprattutto gli ospedali, i centro commerciali, i trasporti, le scuole, i concorsi pubblici, non sono luoghi, non rientrano in detto concetto, non sono parti del territorio nazionale; sono, tutto al contrario, beni e servizi, alcuni addirittura con caratteristiche di beni essenziali.
Né può replicarsi che si tratti comunque di attività che si svolgono in luoghi determinati, perché tutte le attività della vita, nessuna esclusa, ha una dimensione spazio-temporale.
Peraltro, da aggiungere, che la distinzione tra questi concetti è chiara allo stesso dl 105/21, e ciò si ricava dal preciso tenore dell’art. 3, ove si legge che è consentito esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID 19 “l’accesso ai seguenti servizi e attività”.
Dunque, è lo stesso decreto legge che precisa si tratti di servizi e attività, non di luoghi; e quindi è evidente che una limitazione di accesso ai servizi, soprattutto quando questi siano essenziali, non può giustificarsi con l’art. 16 Cost., che pone limiti al diritto di circolazione solo con riferimento a parti del territorio nazionale (e solo in via di eccezione rispetto al diritto alla libera circolazione, e solo per periodi temporali limitati).
Se poi si pensa che in questi giorni c’è chi ha sostenuto che si potrebbe addirittura negare il diritto di voto a chi non è vaccinato, o escluderlo dall’elettorato passivo; ebbene, si comprende che tutto questo non ha niente a che vedere con l’art. 16 Cost.
6. Brevissime conclusioni
Dunque, invito a riflettere su queste questioni.
Se il vaccino è un bene necessario e imprescindibile per la salute della collettività, lo Stato lo renda obbligatorio per tutti nel rispetto dell’art. 32 Cost.
Se non ritiene invece di poterlo fare, perché trattasi di vaccino che ancora non ha finito il suo corso di sperimentazione e che potrebbe recare danni, anche gravi, a chi lo riceve, come riconosce lo stesso art. 3 del dl 44/2021, allora non sanzioni quei cittadini che hanno paura a vaccinarsi, perché la loro paura è la stessa paura che ha lo Stato a rendere obbligatorio il vaccino, e perché è contrario ad ogni principio giuridico porre limitazioni di diritti fondamentali a chi abbia tenuto un comportamento che lo stesso Stato non considera obbligatorio e/o dovuto.
E se poi lo Stato rende obbligatoria la vaccinazione, punisca chi trasgredisce l’obbligo, ma lo faccia in modo adeguato e proporzionato, si ricordi che tutti noi siamo i figli di Cesare Beccaria, e che principi di civiltà giuridica non consentono di sottrarre a nessuno quei diritti fondamentali dell’uomo che costituiscono la storia della nostra società occidentale.
[1] Da ricordare, tuttavia, che, nell’interpretazione dell’art. 32 Cost. la stessa giurisprudenza costituzionale ha sempre, costantemente, riconosciuto che ove il vaccino possa però comportare un rischio per la salute della persona sottoposta a vaccinazione, lì la vaccinazione non può che essere rimessa a scelta individuale. (così, per tutte, Corte Cost. 22 giugno 1990 n. 307; Corte Cost. 23 giugno 1994 n. 258; Corte Costituzionale 18 gennaio 2018 n. 5).
[2] E ciò anche perché i fatti commessi specificamente “nell’esercizio di una professione sanitaria” sono oggi disciplinati dal successivo art. 3 bis.
Si tratta, tuttavia, di un tema complesso, che certo non può essere dibattuto in questa sede, e per il quale può rinviarsi a Cass. sez. un. penali 22 febbraio 2018 n. 8770, e alla relazione n. 35 del 21 giugno 2021 del Massimario della Cassazione.
[3] V. punto 61 del Regolamento 14 giugno 2021 n. 953: “L’obiettivo del presente Regolamento, vale a dire agevolare l’esercizio del diritto di libera circolazione all’interno dell’Unione durante la pandemia di Covid 19…..”.
[4] Per precisione si richiama il testo in lingua francese: “Il y a lieu d’empêcher toute discrimination directe ou indirecte à l’encontre des personnes qui ne sont pas vaccinées, par exemple pour des raisons médicales, parce qu’elles ne font pas partie du groupe cible auquel le vaccin contre la COVID-19 est actuellement administré ou pour lequel il est actuellement autorisé, comme les enfants, ou parce qu’elles n’ont pas encore eu la possibilité de se faire vacciner ou ne souhaitent pas le faire. Par conséquent, la possession d’un certificat de vaccination, ou la possession d’un certificat de vaccination mentionnant un vaccin contre la COVID-19, ne devrait pas constituer une condition préalable à l’exercice du droit à la libre circulation”
[5] E’ questione che si è posta anche in Francia, ove è stato sostenuto che ogni persona deve registrarsi negli stabilimenti ove si introduce, V. www.leparisien.fr, 22 luglio 2021: “Toute personne qui ne s’enregistre pas à l’entrée de l’etablissement ou ne scanne pas le code mis à disposition met à la fois sa vie mais aussi celle d’autrui en danger”.
[6] Questi i numeri: 15 morti (ovvero un morto ogni quattro milioni di abitanti), 158 terapie intensive, 1.234 ricoveri.
[7] V. infatti, MAZZIOTTI Circolazione e soggiorno (libertà di), Enc. del Diritto, Milano, 1960, VII, 16, il quale ha scritto: “Quando uno di tali provvedimenti impone un obbligo positivo di circolare o soggiornare solo entro una data circoscrizione territoriale, esso limita la libertà personale, mentre, se contiene esclusivamente un obbligo negativo di non circolare o soggiornare in determinati parti del territorio, limita la libertà di circolazione e di soggiorno”.
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