ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Oggi 25 aprile è la festa della resistenza, della liberazione dell’Italia dal fascismo.
Sono passati 78 anni dal 25 aprile del 1945, ma il tempo non attenua il dovere di onorare i caduti per la libertà e festeggiare il giorno della liberazione.
E poi il 25 aprile è anche la festa della memoria.
E’ il giorno in cui la storia va riraccontata perché permanga la consapevolezza della notte nera che attraversò l’Italia nel ventennio fascista perché la storia non si ripeta.
Quello della vigilanza è un impegno da non tralasciare perché nulla è ineluttabile negli snodi della storia.
La storia avrebbe potuto avere un corso diverso se, ad esempio, dopo l’omicidio del deputato Giacomo Matteotti ci fosse stata una maggiore consapevolezza di quello che stava realmente accadendo in Italia, oppure, se in altro crocicchio fondamentale, prima della marcia su Roma, il re avesse firmato lo stato di assedio deliberato dal parlamento.
Ma la vita dei popoli si intreccia indissolubilmente con quella degli uomini e come essa dipende da accidenti incontrollabili ovvero da incidenti controllabili, ma controllati male.
Nei romanzi storici di Antonio Scurati (“M” il figlio del secolo, sull’ascesa di Benito Mussolini, “M” l’uomo della Provvidenza, sulla politica liberticida fascista, Gli ultimi giorni dell’Europa, sulla fine del nazifascismo), l’autore ad ogni pagina, lascia il lettore con il fiato sospeso perché riesce a renderlo consapevole, come raramente accade, che la storia avrebbe potuto assumere un corso diverso.
La scelta della storia al bivio cruciale dipende, più di quanto non si consideri, dalle scelte umane.
E’ fondamentale allora essere presenti e partecipi alla res pubblica, attenti all’esercizio dei diritti civici per i quali i martiri del fascismo e i partigiani – che oggi onoriamo- hanno offerto la propria vita.
Oggi dobbiamo ricordarci che l’antipolitica, il populismo, il rifiuto dalla partecipazione che culmina nell’astensione dall’esercizio dell’elettorato attivo, mettono sempre fortemente a rischio la democrazia.
Non bisogna dunque dare mai per scontati i diritti riacquistati con il sangue dei caduti per la resistenza.
Evocative sono, sotto tale profilo, le parole di Pietro Nenni in risposta a una domanda di Oriana Fallaci nel corso di un’intervista del 1971. Alla domanda in ordine ai rischi del ripetersi della storia Nenni rispose: <<Lei mi ricorda quanti, nella crisi 1920-22, dicevano: “Ma tu prendi troppo sul serio quel Mussolini! Dev’essere perché sei stato in galera con lui. Ma come vuoi che un tipo simile possa assumere il potere? Manca l’uomo per realizzare una dittatura in Italia!”. Cosa significa “manca l’uomo”? Non c’è mica bisogno di un tipo eccezionale per farne un simbolo di una situazione! Basta un esaltato qualsiasi, uno stravagante ritenuto innocuo, un vanitoso in cerca di successo. Mussolini, del resto, cos’era nel 1920 e anche nel 1921 e ’22? Aveva preso quattromila voti nelle elezioni del 1919: quattromila voti a Milano, la città che praticamente dominava dal 1913, quand’era divenuto direttore dell’“Avanti!”. Era pronto a scappare in Svizzera, credeva più in questa ipotesi che in quella di recarsi a Roma per formare un governo. E invece si recò a Roma. Come io temevo. Perché sapevo che quando gli avventurieri, anzi i “condottieri”, agiscono in una società malata, tutto diventa possibile. Sicché è da incoscienti sorridere e dire dov’è-oggi-un-Mussolini, dov’è-oggi-un-Hitler. Lo si inventa un Mussolini, lo si inventa un Hitler. E per inventarlo bastano cento giornali che quotidianamente dicano “è un grand’uomo”, un papa che dichiari “è l’uomo della provvidenza”, magari un Churchill che affermi “è il primo dietro il quale sento una volontà italiana”. Come accadde per Mussolini.
A quel tempo non conoscevamo il fascismo ed ora lo conosciamo fin troppo, né siamo disposti a subirlo una seconda volta. Però v’è un punto che presenta forti analogie tra l’Italia del ’71 e l’Italia del ’22: quello che prospettai al Senato quando ricordai che a perderci, nel 1922, non fu la forza offensiva del fascismo. Fu la debolezza della classe politica dirigente. Furono le divisioni meschine che smembravano gli uomini politici in gelosie, ripicchi, attese. Nessuno credeva alla minaccia. Ciascuno aspettava. Giolitti aspettava a Vichy, meditando non si sa bene cosa. Forse la tremenda frase di Cromwell: “Bisogna che le cose vadano peggio perché si possa sperare che vadano meglio”>>.
Ecco il perché dell’importanza della memoria e la necessità, sempre impellente, di stringersi attorno alla nostra Costituzione perché, per usare le parole di Elly Schlein, “l'antifascismo è la nostra costituzione”, il prodotto della resistenza e dello stesso antifascismo dei padri costituenti.
Il fil rouge dell’antifascismo che tiene insieme gli articoli in cui si snoda la Costituzione, inizia con l’articolo 1 L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo e prosegue La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2). Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (art. 3) Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge (art. 8). L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli (art. 11). La libertà personale è inviolabile (art. 13). Il domicilio è inviolabile ( art. 14) La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili ( art. 15) Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi ( art. 16). I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente ( art. 17). I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente ( art. 18) Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa (art. 19) Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative (art. 20).Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure (art. 21). Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica della cittadinanza (art. 22). L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento (art. 33). E’ riconosciuto il diritto di sciopero (art.40). Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale (art. 49).
Se ci si sofferma con attenzione su ciascuno dei principi appena richiamati in questa rapida rassegna non è difficile scorgere come, ciascuno di essi, abbia la propria ragione d’essere in quanto antitesi ad altrettante leggi fasciste e lo scopo di impedire per il futuro l’introduzione di provvedimenti legislativi di analogo tenore.
Gran parte dei diritti inviolabili elencati può forse far sorridere i giovani di oggi tanto sembrano scontati. Ad esempio, possono sembrare inutili gli art. 8, 19 e 20 per chi non sa delle leggi razziali emanate tra il 1938 e il 1945 le quali contenevano svariati divieti per i cittadini italiani ebrei tra i quali: l’impedimento ad insegnare o a frequentare scuole e università, la proibizione a contrarre matrimonio con cittadini non ebrei, a possedere aziende importanti per la difesa nazionale o aziende, terreni fabbricati che superassero certe dimensioni, a prestare servizio alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, civili e militari, o ad iscriversi agli albi professionali. Possono apparire pleonastici gli articoli dal 13 al 18 per quelli che non conoscono le leggi speciali di polizia contenute nel Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza Regio Decreto n. 1848/1926 o le leggi c. d. “fascistissime”, secondo la nomenclatura dallo stesso regime, emanate tra il 1925 e il 1926, che trasformarono l'ordinamento giuridico del Regno d’Italia in un regime totalitario. Oppure l’articolo 21 per chi non conosce la legge n. 2307del 31 dicembre 1925 in tema di controllo e censura della stampa.
La vigilanza è essenziale soprattutto nelle contingenze in cui si sottovaluta l’importanza di ricordare che la nostra costituzione è antifascista oppure quando si assumono atteggiamenti retorici che ghettizzano, anche solo a parole, talune categorie di cittadini. Ci si riferisce all’atteggiamento di alcuni politici italiani in tema di diritti di genere, stigmatizzato dal Parlamento Europeo che forse non ha avuto in Italia la dovuta risonanza. E’ dei giorni scorsi, infatti, la ferma condanna ricevuta dall’Italia da parte dell’Europarlamento per la diffusione di retorica anti-diritti, anti-gender e anti-Lgbtq da parte di alcuni influenti leader politici e governi nell'Ue. L’emendamento approvato è del seguente tenore "l'Europarlamento esprime preoccupazione per gli attuali movimenti retorici anti-diritti, anti-gender e anti-Lgbtq a livello globale, alimentati da alcuni leader politici e religiosi in tutto il mondo, anche nell'Ue; ritiene che tali movimenti ostacolino notevolmente gli sforzi volti a conseguire la depenalizzazione universale dell'omosessualità e dell'identità transgender, in quanto legittimano la retorica secondo cui le persone Lgbtq sono un'ideologia anziché esseri umani; condanna fermamente la diffusione di tale retorica da parte di alcuni influenti leader politici e governi nell'Ue, come nel caso di Ungheria, Polonia e Italia".
Per usare le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, “è importante tener viva la memoria di un periodo tra i più drammatici della nostra storia contribuendo in ampia misura a far conoscere e non dimenticare quanti hanno lottato per la difesa degli ideali di indipendenza e di libertà che permisero la liberazione dell'Italia dall'oppressione nazi-fascista".
Festeggiamo dunque questo 25 aprile del 2023 per onorare coloro che hanno sacrificato la propria vita affinché potesse essere scritta la nostra bella Costituzione antifascista!
Quando l’intelligenza artificiale incontra (e si scontra con) il diritto
Non ha generato molto entusiasmo il provvedimento1 con il quale, lo scorso 30 marzo 2023, il Garante per la protezione dei dati personali ha - in via di urgenza - provvisoriamente limitato il trattamento dei dati personali degli utilizzatori italiani di ChatGPT, di fatto determinando il blocco dell’operatività del servizio, sotto minaccia di sanzioni amministrative e penali (art. 170 del codice per il trattamento dei dati personali).
Il Garante della privacy italiano è stato, nel panorama internazionale, pioniere nell’imporre uno stop del chat-bot, attirandosi un bel po’ di critiche, talune delle quali probabilmente infondate, rispetto ad altre più sottili e pertinenti2.
Se le principali violazioni riscontrate dal Garante giustificavano evidentemente l’apertura di un’istruttoria (ad esempio l’assenza di verifica dell’età anagrafica degli utenti, che non impediva l’accesso alla piattaforma di minori di anni tredici, la mancata predisposizione di apposita informativa sulla raccolta e le finalità del trattamento dai personali, la inesistente possibilità di incidere sul trattamento mediante richiesta di rettifica, correzione, distruzione dei dati) altre obiezioni sono invece apparse, a taluni commentatori, come frutto di un approccio di tipo conservatore o meglio, figlio di un grande fraintendimento ma, forse, o piuttosto, pieno di problematicità inespressa.
Ci si riferisce alla parte del provvedimento in cui il Garante contesta agli sviluppatori “l’assenza di idonea base giuridica in relazione alla raccolta dei dati personali e al loro trattamento per scopo di addestramento degli algoritmi sottesi al funzionamento di ChatGPT”, e poi laddove rimarca la possibile inesattezza del trattamento, “in quanto le informazioni fornite da ChatGPT non sempre corrispondono al dato reale”.
Sotto tale profilo, ciò che il Garante sembra valutare criticamente costituisce proprio il cuore dei modelli di linguaggio di grandi dimensioni (LLM). Questi ultimi, tuttavia, non hanno lo scopo di garantire la "certezza del risultato" o la "esattezza della risposta" bensì quello, ben diverso, di imitare l’utilizzo del linguaggio umano restituendo all’interlocutore una risposta plausibile, coerente, aderente al testo, espressa in linguaggio naturale.3
In altre parole un “aggeggio” come ChatGPT non è un'enciclopedia da cui si possa tirare fuori un risultato scientificamente esatto ma è, per ora, un insieme di codici miranti ad intuire le ricorrenze statistiche insite negli elementi testuali introdotti dall’utente e consegnare risposte coerenti sulla base di un’analisi probabilistica (una previsione) basata su un'enorme massa di dati, che il sistema già conosce, ma di cui non comprende assolutamente il significato.4
Si tratta dunque di modelli statistici che scompongono il testo in “token” (non assimilabili a dati personali, costituendo meri frammenti di parole, di per sé privi di senso compiuto) e sono in grado di svolgere previsioni su quali elementi testuali potrebbero ricorrere, sulla base di parametri come la temperatura che “regola il livello di casualità e probabilità nella scelta del prossimo token da inserire nel testo”.5
All’aumentare della temperatura corrisponde un aumento dell’inaccuratezza e quindi di creatività del modello che sarà in grado di restituire output più stravaganti ma anche, magari, più innovativi e utili.
Mediante il dialogo con l’operatore il modello può perfezionare le risposte e dunque "auto apprendere" ma questo è esattamente un punto di forza dell’AI generativa e non, come il Garante lascerebbe credere, la sua debolezza. Paradossalmente, quindi, la prospettiva tradizionale di protezione giuridica del dato sembra confliggere con l' in sè dello strumento tecnologico che si nutre di input testuali, trasformati in token, lavorati e tradotti nuovamente in testo, migliorando di volta in volta il processo di apprendimento.
Non vi è dubbio che le “risposte inesatte” (inaccuratezza dell’Output) possano, sotto un diverso angolo visuale, distorcere la verità storica e produrre, se mal usate, disinformazione o anche rivelarsi lesive della onorabilità, identità personale di soggetti specifici così determinando l'insorgere di possibili contese (sono già note, ad esempio, iniziative legali promosse a causa di informazioni inveritiere diffuse dal Chatbot, come il caso del Sindaco australiano Brian Hood6).
Ciò che potrebbe derubricarsi ad “effetto collaterale” dell’impiego della intelligenza artificiale, è esattamente il motivo per cui diversi studiosi, filosofi e giuristi, lungi dal voler impedire lo sviluppo di simili tecnologie, affermano la necessità di un’appropriata disciplina normativa in grado di accompagnare il processo di “design”, cioè la fase progettuale, lo sviluppo (development) e l’utilizzo degli applicativi anziché limitarsi a concepire tardivamente rimedi e correttivi all’uso improprio della tecnologia.7
E' chiaro, insomma, che tra una visione problematica, prudente e un approccio innovatore e “fuori dalle regole” si coglie una certa distanza che deve in qualche modo essere colmata anche grazie all’indagine giuridica che suggerisce di inserire le nuove tecnologie e segnatamente quelle che fanno uso della intelligenza artificiale in una nuova cornice normativa che superi i confini nazionali, allo scopo di garantire il rispetto dei principi fondamentali di tutela della persona umana non solo con riferimento al trattamento dei dati.8
Cos’è allora che sorprende in positivo dell’intervento del Garante? Che in breve tempo gli opposti quanto (apparentemente) inconciliabili punti di partenza si sono riavvicinati ciascuna delle parti facendo dei passi verso l’altra. La sviluppatrice Open AI impegnandosi a prendere in considerazione ed elaborare soluzioni per risolvere i punti critici segnalati e il Garante preannunciando la sospensione dell’efficacia del provvedimento di limitazione provvisoria qualora le prescrizioni, dettate lo scorso 11 aprile, trovino attuazione.
Ma quali sono le prescrizioni dettate dal Garante?9 In estrema sintesi, pubblicare sul sito un Informativa che spieghi le modalità di trattamento, la logica del trattamento, i diritti spettanti agli interessati, nonché la previsione di uno strumento di "opposizione" e correzione o cancellazione dei dati eventualmente "inesatti" trattati (tanto sulla base del Regolamento generale sulla protezione dei dati, Reg UE 2016/679); modificare la base giuridica del trattamento dei dati eliminando il riferimento al "contratto" e assumendo viceversa il "consenso" o il "legittimo interesse"; nonché implementando uno strumento per il "diritto di opposizione al trattamento dei dati"; implementare strumenti di "age verification" che servano a bloccare l'accesso ad infra-tredicenni in assenza del consenso dei genitori. In ultimo promuovere una "campagna di informazione" presso la popolazione allo scopo di informare "le persone" sul fatto che i loro dati personali possono essere stati "raccolti" e "trattati" per l'addestramento "degli algoritmi", ecc.
Se questi punti saranno, come sembra, accettati e messi in opera dalla società sviluppatrice del software, il divieto dovrebbe, entro la fine di aprile 2023, venir meno e consentire la ripresa del servizio. Ma la difficile convivenza tra essere umano ed AI è soltanto all’inizio.
1 https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9870832
2 Nelle settimane successive al 30/3/23 anche altri paesi europei, come Francia, Spagna e Germania, hanno avviato istruttorie finalizzate a chiarire i punti di frizione tra il GDPR e il trattamento operato da OpenAi. Il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB), ha poi deciso di lanciare una task force su ChatGpt: https://edpb.europa.eu/news/news/2023/edpb-resolves-dispute-transfers-meta-and-creates-task-force-chat-gpt_en
3 Su natura, funzionamento e limiti dei LLM v., su questa rivista, l’articolo di F. Pilla: Quali impatti avranno su di noi i Large Language Models e CHAT GPT ; vi sono molti articoli di divulgazione scientifica, tra questi, ad esempio: https://www.mlq.ai/what-is-a-large-language-model-llm/
4 Le contestazioni del Garante sotto questo aspetto denoterebbero una “una limitata comprensione della natura e del funzionamento dei modelli di intelligenza artificiale”, cfr. Giuseppe Vaciago e Gianluca Gilardi, Stop a ChatGPT, il Garante contesta "inaccuratezza" dell'output e trattamento dei dati personali; R. Pareschi, ChatGPT e il paradosso del censore.
5 https://ilariopanico.it/intelligenza-artificiale/temperatura-gpt-3-cos-e/
6 https://www.reuters.com/technology/australian-mayor-readies-worlds-first-defamation-lawsuit-over-chatgpt-content-2023-04-05/
7 Giuseppe D’Acquisto, Chatgpt e AI, regolamentare la responsabilità o l’efficienza è la prossima sfida ; Franco Pizzetti, ChatGpt: senza diritti siamo nudi davanti all’intelligenza artificiale-artificiale/ ; https://ilbolive.unipd.it/it/news/perche-chatgpt-ha-bisogno-regole; Federico Cabitza, Deus in machina? L’uso umano delle nuove macchine, tra dipendenza e responsabilità, Bompiani, 2021.
8 https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/privacy/pizzetti-chatgpt-senza-diritti-siamo-nudi-davanti-allintelligenza-artificiale/ ; cfr la proposta di regolamento del Parlamento europeo in tema di intelligenza artificiale (Artificial Intelligence Act), https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex:52021PC0206
9 https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9874702
È probabile che il ministro Nordio, tenuto conto della sua esperienza e della sua competenza, sia il primo ad essere consapevole dell’infondatezza dell’azione disciplinare da lui promossa nei confronti dei giudici della Corte di appello milanese che hanno sostituito la custodia cautelare in carcere dell’estradando Artem USS con gli arresti domiciliari assistiti da dispositivo elettronico di controllo (c.d. braccialetto). Decisione che costituirebbe, secondo l’incolpazione, «un comportamento connotato da grave ed inescusabile negligenza».
La normativa sugli illeciti disciplinari in verità censura “la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile”. Se il Ministro riferisce genericamente la gravità ad un comportamento, anziché alla violazione della legge, come dovrebbe, è appunto perché, verosimilmente, è ben cosciente che una “violazione di legge” nel caso di specie non si può configurare in alcun modo, tanto meno nella sua forma grave e determinata da ignoranza o negligenza inescusabile: ci troviamo, infatti, dinanzi alla ordinaria opinabilità dei provvedimenti giudiziari.
L’addebito ministeriale ai giudici finisce per risolversi nell’asserita sottovalutazione dei dati a loro conoscenza. Un addebito che, quand’anche fondato, non potrebbe mai dar luogo a responsabilità disciplinare: questa, infatti, è espressamente esclusa per l’attività di «valutazione del fatto e delle prove» (art. 2 comma 2 d. lgs. n. 109 del 2006). E del resto sarebbe costituzionalmente inammissibile per violazione dell’indipendenza della magistratura un’opposta previsione, alla cui stregua il giudice risponderebbe di illecito disciplinare ogniqualvolta l’autorità politica dissentisse, a torto o a ragione, dal contenuto di un suo provvedimento. Prospettiva che, di certo, lo stesso Ministro non sarebbe disposto a sottoscrivere.
L’intrapresa azione disciplinare resta, dunque, un’inquietante forzatura. Né può certo bastare a giustificarla la circostanza che il titolare di via Arenula sia in buona fede convinto della giustezza dei suoi rilievi critici: la verità è che il Ministro avrebbe esondato dalle proprie prerogative anche qualora questi avessero fondamento.
D’altra parte, se davvero fossero censurabili le valutazioni che hanno indotto a ritenere sufficienti gli arresti domiciliari, il Ministro - privo, come ha ineccepibilmente chiarito, di un potere di impugnazione - avrebbe avuto già da mesi il dovere di agire disciplinarmente. O si vuole affermare che la censurabilità dei provvedimenti di un magistrato possa dipendere dalla condotta dell’imputato? Eppure nessuno può seriamente sostenere che, ove USS non si fosse sottratto agli arresti domiciliari, si sarebbe ugualmente intrapresa un’azione disciplinare.
Quest’ultima considerazione mette in luce l’estrema gravità della vicenda, che va persino oltre l’interferenza del potere politico nell’esercizio della discrezionalità giudiziaria, come pure è stato denunciato da più parti. La peculiarità del caso in esame risiede nella circostanza che l’addebito disciplinare non riguarda un provvedimento con cui si assolve o si condanna, bensì una decisione basata su una valutazione prognostica: che per fronteggiare il pericolo di fuga, cioè, non fosse necessario ricorrere alla custodia cautelare in carcere. Una decisione che, come tutte quelle di natura predittiva, sconta una fisiologica percentuale di errore. Se mai passasse il principio che il magistrato debba risponderne, si affermerebbe fatalmente una “giurisprudenza difensiva”. Nell’inevitabile margine di incertezza che connota ogni previsione, sarebbe comprensibilmente prudente adottare sempre la misura più restrittiva: a disporre o mantenere la custodia cautelare in carcere dell’imputato o a negare una misura alternativa al condannato, non si rischierebbe nulla. La preoccupazione disciplinare per i magistrati sarebbe così scongiurata, ma il prezzo pagato dall’ordinamento sarebbe altissimo: verrebbero lese irreparabilmente la presunzione di non colpevolezza dell’imputato (art. 27 comma 2 Cost.) e la presunzione di recuperabilità del condannato (art. 27 comma 3 Cost.), che nelle situazioni di dubbio dovrebbero orientare in direzione opposta, addossando il rischio dell’errore alla collettività e non all’individuo.
*pubblicato su l'Avvenire il 22.4.23
Sommario (seconda parte): 7. Le modifiche normative più recenti e gli interventi della giurisprudenza, nazionale e sovranazionale. - 8. Alcuni problemi aperti. - 9. Alcune prospettive. - 10. Una breve “non” conclusione.
7. Le modifiche normative più recenti e gli interventi della giurisprudenza, nazionale e sovranazionale.
7.1. Dopo la riforma del 2009, il legislatore è intervenuto in due sole occasioni.
7.1.1. In un primo frangente, sono stati aggiunti 3 commi al comma 2-quater dell’art. 41-bis, allo scopo di dettare una disciplina speciale per i colloqui dei detenuti con il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (che in quanto Meccanismo nazionale di prevenzione secondo il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti cd. Opcat, fatto a New York il 18 dicembre 2002, ratificato e reso esecutivo il 3 aprile 2013 ai sensi della legge 9 novembre 2012, n. 195, accede senza limitazione alcuna all’interno delle sezioni speciali degli istituti e svolge con detenuti e internati sottoposti al regime differenziato colloqui visivi riservati senza limiti di tempo, non sottoposti a controllo auditivo o a videoregistrazione e non computati ai fini della limitazione dei colloqui personali), con i garanti regionali dei diritti dei detenuti comunque denominati (i quali accedono, nell’ambito del territorio di competenza, all’interno delle sezioni speciali degli istituti incontrando detenuti e internati sottoposti al regime differenziato e svolgono con essi colloqui visivi esclusivamente videoregistrati, non computati ai fini della limitazione dei colloqui personali) e con i garanti comunali, provinciali o delle aree metropolitane dei diritti dei detenuti, comunque denominati (che nell’ambito del territorio di propria competenza, accedono esclusivamente in visita accompagnata agli istituti, al solo fine di verificare le condizioni di vita dei detenuti e senza che siano consentiti colloqui visivi con i detenuti sottoposti al regime differenziato)[37]. Attraverso questa modifica normativa, che ha modulato in maniera molto differente gli spazi di intervento di importanti figure come i Garanti, sono stati rafforzati, in maniera significativa, gli strumenti di controllo istituzionale sulle concrete condizioni di vita, i quali, al di là delle competenze della magistratura di sorveglianza, prevedono la possibilità di effettuare liberamente visite in istituto, anche nei reparti destinati al “41-bis”, , per alcune autorità istituzionali e, a determinate condizioni, per talune «persone diverse».
Sul punto, è opportuno chiarire che l’ordinamento penitenziario distingue le “visite”, previste dagli artt. 67 Ord. pen. e 117 Reg. esec. ord. pen., dai “colloqui”, disciplinati dagli artt. 18 Ord. pen. e 37 Reg. esec. ord. pen. Le prime sono rivolte particolarmente alla verifica delle condizioni di vita negli Istituti penitenziari, secondo la previsione dell’art. 117, comma 1, secondo periodo, Reg. esec. ord. pen. In occasioni delle visite, secondo quanto stabilito anche dalla circolare Dap 7 novembre 2013, n. 3651/6101, i soggetti che le effettuano, oltre a verificare lo stato dei luoghi, possono parlare con le persone ristrette, ovviamente al solo fine di rendersi conto della particolare situazione detentiva nella quale esse si trovano. E infatti, ai sensi del citato art. 117, comma 1, «non è consentito fare osservazioni sulla vita dello istituto in presenza di detenuti o internati, o trattare con imputati argomenti relativi al processo penale in corso». Ciò che, appunto, significa che, di altri argomenti, diversi da quelli vietati, è possibile parlare con le persone detenute, senza che, peraltro, tali interlocuzioni possano essere confuse con i colloqui strettamente intesi, che hanno finalità e regolamentazione differente. Tra i soggetti che possono effettuare le visite, vi sono talune figure istituzionali che non necessitano, per fare ingresso in istituto, di alcuna autorizzazione, onde consentire di verificare le condizioni di vita dei ristretti (Presidente del Consiglio dei ministri e della Corte costituzionale, Ministri, Sottosegretari, Giudici Costituzionali, Parlamentari anche europei, Componenti del CSM, Consiglieri regionali, figure Apicali degli uffici giudiziari e Magistrato di sorveglianza del distretto, Prefetto e Questore, Garanti delle persone detenute comunque denominati) o per svolgere le loro attività istituzionali (Ordinario diocesano, altri magistrati). Possono, poi, essere autorizzati anche altri soggetti (ufficiali di polizia giudiziaria, ministri del culto) e, in particolare, tra questi, il secondo comma dell’art. 117 Reg. esec. individua: «persone diverse da quelle indicate nell’art. 67 della legge», che possono essere autorizzate, volta per volta, dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Né l’art. 67 Ord. pen., né l’art. 117 Reg. esec. ord. pen. stabiliscono alcuna preclusione in ordine alle visite dei reparti dell’art. 41-bis Ord. pen.; reparti che, dunque, possono essere visitati, secondo quanto è pacificamente ritenuto in dottrina, nella citata circolare e nella prassi applicativa. E ciò tanto più ove si consideri che lo stesso art. 117 Reg. esec. ord. pen. prevede che le visite possano essere effettuate persino nei confronti delle persone detenute che si trovino in «isolamento giudiziario», i quali non possono comunicare con nessuno (con l’esclusione del difensore e di alcuni operatori penitenziari), diversamente dalle persone detenute sottoposte al regime dell’art. 41-bis Ord. pen., che, invece, possono effettuare colloqui con i familiari. Più volte, peraltro, l’Amministrazione penitenziaria, ai sensi del comma 2 dell’art. 117 Reg. esec., ha autorizzato l’ingresso anche nei reparti del 41-bis Ord. pen. di associazioni private[38] e di delegazioni straniere[39].
7.1.2. Più recentemente, l’art. 1, comma 1, lett. a) del recente decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito nella legge 30 dicembre 2022, n. 199, ha inserito, all’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 4-bis, il divieto di concedere i benefici penitenziari previsti dal comma 1 di tale disposizione ai soggetti sottoposti a regime differenziato «solamente dopo che il provvedimento applicativo di tale regime speciale sia stato revocato o non prorogato». Anche a prescindere dal rilievo per cui con un provvedimento amministrativo, non necessariamente accompagnato da una verifica giudiziale della sua legittimità, si finisce per inibire la gestione, da parte della giurisdizione di sorveglianza, del processo rieducativo del detenuto attraverso misure extramurarie[40], non sembra esservi dubbio sul fatto che la scelta legislativa rischia di condurre a un incremento delle richieste da parte delle Direzioni distrettuali antimafia, vero motore del procedimento applicativo del regime differenziato, e a un corrispondente aumento delle applicazioni, con esiti negativi sulla complessiva tenuta del sistema (v. infra § 8)[41].
7.2. Nel medesimo periodo si è registrata una copiosa produzione giurisprudenziale, nazionale e sovranazionale.
Sul primo versante, la Corte costituzionale, con la sentenza 17 giugno 2013, n. 143[42], ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultimo periodo della lett. b) dell’art. 41-bis, comma 2-quater, Ord. pen., rimuovendo, dopo ben 4 anni dalla modifica normativa, i limiti alla possibilità per la persona detenuta di effettuare colloqui o di intrattenere corrispondenza telefonica con il proprio difensore[43].
La Consulta ha, inoltre, affermato, con la sentenza 26 settembre 2018, n. 186, l’illegittimità costituzionale del divieto di cucinare cibi sancito dalla lett. f) del comma 2-quater, ritenuto incongruo rispetto allo scopo proprio dell’istituto, consistente nel recidere i collegamenti tra il detenuto sottoposto al regime differenziato e i sodali del clan ancora operativi sul territorio, e, dunque, inutilmente vessatorio[44].
Ancora: con la sentenza 5 maggio 2020, n. 97, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della lettera f) stavolta nella parte in cui prescriveva che fosse assicurata la assoluta impossibilità di scambiare oggetti o generi alimentari anche tra detenuti appartenenti allo stesso gruppo di socialità, tenuto conto che gli stessi, condividendo la possibilità di fruire insieme le ore d’aria e gli spazi di socialità in comune, erano già in grado di comunicare liberamente tra di loro, sicché non vi era alcuna necessità di evitare, attraverso gli scambi di oggetti, forme di indebita comunicazione già possibili nel corso dell’ora d’aria in comune[45]. È, dunque, venuto meno il divieto assoluto di scambiare oggetti di modico valore (come generi alimentari o per l’igiene personale e della cella) per i detenuti sottoposti al regime del 41-bis appartenenti allo stesso «gruppo di socialità». In ogni caso, la Consulta ha fatto salvo il potere dell’Amministrazione penitenziaria di disciplinare il regime degli scambi, onde mantenere il controllo su ciò che viene ceduto e monitorare l’eventuale manifestarsi, attraverso lo scambio, di forme di subordinazione riconducibili alle dinamiche proprie delle relazioni mafiose, ferma restando la possibilità per la Magistratura di sorveglianza, ai sensi dell’art. 69 Ord. pen., di verificare «di volta in volta» se l’eventuale limitazione imposta sia giustificata da precise esigenze. E a seguito di tale pronuncia, la Direzione generale dei detenuti e del trattamento ha emanato la circolare n. 0265533 del 24/07/2020, prevedendo che: i detenuti debbano presentare una domanda alla direzione, indicando i beni di che intendono scambiare e il nome del detenuto cessionario; la direzione autorizzi lo scambio soltanto dopo avere verificato il modico valore del bene «anche con riferimento al numero complessivo e alla frequenza degli scambi nell’ambito dello stesso gruppo di socialità» e dopo aver verificato, altresì, che «le caratteristiche degli oggetti non si prestino in qualunque modo a veicolare comunicazioni difficilmente decifrabili»; gli scambi avvengano sotto il controllo degli operatori della sezione, con modalità da indicare nel provvedimento autorizzativo; le richieste di scambio, il relativo contenuto e il provvedimento adottato dalla direzione siano annotati in un apposito registro, in modo da verificare eventuali anomale frequenze o la tendenziale unidirezionalità degli scambi.
Infine, con la sentenza n. 18 del 2 dicembre 2021, la Corte costituzionale ha ritenuto illegittima la sottoposizione al visto di censura della corrispondenza tra i detenuti in regime differenziato e i loro difensori disposta ai sensi dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. e), Ord. pen., rimuovendo così un ostacolo alla piena esplicazione del diritto di difesa per tali soggetti[46].
7.3. Parallelamente, la Corte di Strasburgo ha proceduto nella sua elaborazione sulla compatibilità convenzionale dell’istituto, ribadendo il principio, sempre affermato nel corso degli anni, secondo cui il regime differenziato deve ritenersi tendenzialmente compatibile con la Convenzione, ferma restando la necessità di verificare in concreto l’eventuale violazione dell’art. 3 CEDU[47]. Appare, tuttavia, possibile che dopo l’astratta affermazione, da parte del legislatore, della incompatibilità tra la sottoposizione al regime differenziato e l’accesso ai benefici penitenziari extramurari possa in futuro essere devoluta alla Corte europea la questione della violazione dei principi stabiliti dalla Convenzione.
7.4. Dal canto suo, la giurisprudenza di legittimità si è occupata di numerose questioni poste dall’applicazione del regime dell’art. 41-bis, intervenendo sugli elementi di più vistosa irragionevolezza del sistema.
Così, in tema di restrizioni nella comunicazione tra detenuti di diversi gruppi di socialità, sottoposti al regime differenziato, si è chiarito che per «comunicazione» deve intendersi il processo di trasmissione di una informazione da un individuo ad un altro attraverso lo scambio di un messaggio connotato da uno specifico significato, non rientrandovi, quindi, una mera dichiarazione di saluto, da considerarsi di natura neutra. E in applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha confermato l’annullamento della sanzione disciplinare inflitta a un detenuto che, sottoposto al regime dell’art. 41-bis Ord. pen., aveva rivolto un semplice saluto ad un altro detenuto, sottoposto allo stesso regime[48].
Inoltre, facendo uso del principio di congruità elaborato dalla Corte costituzionale, la giurisprudenza di merito e di legittimità ha consentito al detenuto di acquistare al sopravvitto dolci e giocattoli di modico valore da regalare al minore di 12 anni, figlio o nipote abiatico, in occasione del colloquio che l’Amministrazione penitenziaria, andando oltre la previsione della norma primaria che pareva delineare un assetto più restrittivo, ora consente anche senza vetro divisorio[49]. Acquisto e consegna che, ovviamente, devono avvenire con particolari cautele.
8. Alcuni problemi aperti.
Non vi è dubbio che, negli anni, si sia assistito a un incremento estremamente significativo del numero delle persone sottoposte al regime differenziato.
A fronte di un dato che, nel 1993, riportava la presenza di 473 persone sottoposte al regime differenziato, negli anni successivi il numero è salito a 699 nel 2012, per poi attestarsi, negli anni successivi, tra le 742 unità del 2018 e le 756 del 2020, sino alle 740 registrate alla data del 27 febbraio 2023, allocate nelle 60 sezioni dedicate presenti all’interno di 12 istituti[50].
L’attuale situazione appare il frutto di molti fattori.
Innanzitutto, va segnalato, nel tempo, l’ampliamento della platea delle persone assoggettabili al regime differenziato, che dal 2009 ricomprende anche i delitti commessi «avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso»; platea che è definita non già in funzione della pena che la persona sta attualmente scontando, quanto della presenza, nel provvedimento di cumulo in esecuzione, di reati contemplati dal comma 1 dell’art. 4-bis Ord. pen. (o comunque commessi, come detto, avvalendosi del cd. metodo mafioso o per agevolare un’associazione di stampo mafioso).
Non vi è dubbio, invero, che l’azione combinata di questi due fattori renda più facile che la misura sia disposta nei confronti di soggetti che non rivestono una posizione apicale all’interno del sodalizio mafioso, ma nei cui confronti gli organi inquirenti e requirenti ritengano comunque necessaria, sulla base della conoscenza della situazione dei fenomeni criminali sul territorio, talvolta coperta da segreto investigativo, l’applicazione del regime differenziato.
Tale aspetto chiama in causa un altro fattore che riveste un’importante rilevanza sul piano “strutturale”, ovvero la reale capacità del Ministro della giustizia, cui appartiene la decisione sull’applicazione, la revoca o la proroga della misura, di sottoporre a un vaglio approfondito le richieste che vengono inoltrate dalle Procure distrettuali, le quali, anche grazie al raccordo con le Forze di polizia capillarmente presenti sul territorio, hanno il polso delle reali esigenze di sicurezza pubblica, complessivamente estranee al mandato istituzionale dell’Amministrazione penitenziaria. Quest’ultima, invero, quale articolazione operativa del Ministro della giustizia nella materia penitenziaria, pur avendo al suo interno una Forza di polizia che svolge attività preventiva e repressiva (in quanto titolare anche di competenze di polizia giudiziaria), declina la sua azione istituzionale essenzialmente in chiave di recupero sociale delle persone detenute, rispetto alla quale, va osservato incidentalmente, il regime differenziato si pone con caratteri del tutto eccentrici e forse non del tutto compatibili con la sua funzione principale[51].
Altro profilo rilevante della questione relativa al sovradimensionamento dell’istituto è, senza dubbio, rappresentato dalla situazione nella quale versa attualmente il circuito penitenziario dell’Alta sicurezza, il cui ipertrofico dimensionamento (alla data del 3 aprile 2023 vi risultavano inseriti ben 9.426 persone) pone enormi problemi nel controllo degli spazi detentivi, che si rivelano spesso porosi rispetto alle possibilità di comunicazione con l’esterno, rendendo possibile, anche in considerazione della disciplina dei colloqui e della corrispondenza proprio di tale circuito, molto diversa dal regime differenziato, il mantenimento di rapporti con gli esponenti del sodalizio criminale presenti sul territorio. Ciò che può conseguentemente indurre a una maggiore richiesta di applicazione dello strumento dell’art. 41-bis, allorché la necessità di evitare qualunque contatto con il sodalizio non possa essere soddisfatta attraverso l’inserimento in quel circuito.
Altro aspetto problematico che ha inciso sull’aumento, negli anni, della popolazione detentiva sottoposta al regime differenziato è, senza dubbio, la disciplina delle proroghe[52].
Invero, mentre l’applicazione del regime presuppone il positivo accertamento dei collegamenti con la criminalità organizzata (o terroristica o eversiva), la proroga, muovendo dalla premessa che essi siano stati medio tempore impediti, pone al centro dell’accertamento la capacità del soggetto di ripristinarli. Una capacità che viene valutata, nella prassi giudiziaria, attraverso la valorizzazione della presenza, sul territorio di provenienza, di segnali di attuale attività della cosca e, su un altro versante, del percorso detentivo del soggetto, variamente apprezzati a seconda della posizione in precedenza rivestita all’interno del sodalizio (con ciò sancendosi, dunque, anche formalmente, la possibilità di applicare la misura anche a chi rivesta posizioni non necessariamente di vertice all’interno del gruppo criminale). In questo modo, dunque, l’unico modo per impedire la proroga del regime differenziato finisce con l’essere o l’estinzione del gruppo criminale[53], ovvero una evoluzione talmente significativa del percorso rieducativo da concretizzarsi, sostanzialmente, in una rottura di qualunque legame con il sodalizio; e, di fatto, ciò equivale all’avvio della collaborazione con la giustizia o alla realizzazione di forme di sostanziale dissociazione, rese peraltro assai problematiche dai meccanismi che caratterizzano le dinamiche criminali di determinate organizzazione mafiose, spesso fondate su legami di sangue tra gli affiliati. Con la conseguenza che la persona detenuta, una volta entrata nel regime differenziato, può uscirvi con estrema difficoltà.
8.1. È opinione diffusa, tra gli operatori del settore, che il regime differenziato sia, oggi, quantitativamente sovradimensionato[54]. Tale giudizio merita di essere chiarito.
È, infatti, evidente che in presenza di fenomeni particolarmente aggressivi sul piano criminale, fortemente radicati sul territorio e assai diffusi, non può escludersi, in termini assoluti, che l’attuale ambito applicativo possa essere addirittura esteso.
Il giudizio deve essere, dunque, relativizzato e ricondotto all’attuale assetto organizzativo dell’Amministrazione penitenziaria, che come ricordato ricorre, per la concreta gestione dei servizi che afferiscono al regime differenziato, a una speciale unità del Corpo di polizia penitenziaria, il Gruppo operativo mobile, che presenta una formazione fortemente specializzata e una cultura operativa di notevole qualità. Ma che, ovviamente, non può essere immaginato come una realtà strutturalmente ipertrofica, formata da un enorme numero di unità (allo stato intorno a 600); posto che non appare realistico, nell’attuale momento storico, che l’organico del Corpo, ancora segnato dai tagli lineari prodotti dalla riforma del 2015, possa essere ulteriormente sfiancato da una estensione quantitativamente significativa del Gruppo operativo mobile. E ciò al netto delle difficoltà che, da tempo, incontra il relativo reclutamento, legato alle condizioni peculiari del servizio. Esso, infatti, richiede lunghi periodi di permanenza in sedi lontane da quelle di residenza del personale e, dunque, impone agli operatori un pesante sacrificio, che, al di là della forte motivazione ideale che esso presuppone, non può prescindere da considerazioni che attengono, come avviene per ogni politica di gestione del personale, al dato anagrafico, alla provenienza geografica degli operatori, ai meccanismi retributivi e di progressione in carriera.
Condizioni strutturali dell’Amministrazione penitenziaria e interrogativi su una eccessiva estensione di uno strumento tendenzialmente eccezionale, caratterizzato da una forte compressione dei diritti fondamentali, sono elementi che vanno posti al centro di una rinnovata riflessione sulle dimensioni del ricorso al regime differenziato.
8.2. Altro ambito fortemente problematico riguarda gli internati cui è stato applicato l’art. 41-bis Ord. pen. A prescindere dal numero molto contenuto di tali soggetti, attualmente soltanto 6, assegnati a una sezione speciale di una casa di lavoro, vi è da segnalare la estrema criticità che caratterizza la loro condizione, tenuto conto della interazione del regime delle proroghe, del divieto di accesso a benefici penitenziari (ora formalmente sancito dall’art. 4-bis come recentemente riformulato) e ai meccanismi legali di verifica periodica della pericolosità sociale: elementi che concorrono a delineare un sistema circolare destinato a non interrompersi, in cui la pericolosità sociale alimenta il meccanismo della proroga del regime differenziato, che a sua volta conduce a confermare la verifica periodica della pericolosità sociale compiuto per prorogare la misura di sicurezza. La Corte costituzionale, pur avendo ritenuto, con la sentenza n. 197 depositata in data 21/10/2021[55], che tale assetto sia costituzionalmente legittimo, ha sottolineato la necessità di non obliterare la specificità della misura di sicurezza dell’assegnazione a una casa di lavoro e, conseguentemente, di organizzare le Sezioni (rectius la Sezione) destinate ad accogliere tale tipologia di internati in modo da garantire la possibilità di svolgere le attività trattamentali che sono proprie della misura in parola[56]. Per tale ragione, muovendo dal riconoscimento operato dalla Consulta circa la necessità che i decreti applicativi vengano modulati in maniera diversa a seconda delle esigenze trattamentali dei singoli destinatari, appare necessario calibrare le restrizioni applicate agli internati in conseguenza della soggezione all’art. 41-bis Ord. pen. rispetto alle esigenze connesse al programma di lavoro degli internati; così come l’organizzazione del lavoro deve adattarsi alle non rinunciabili restrizioni incidenti sull’area della socialità e sulla possibilità di movimento all’interno della struttura penitenziaria.
8.3. Altro tema molto delicato concerne la realizzazione delle c.d. “aree riservate”, presenti in numero di 11 su tutto il territorio nazionale, destinate ad accogliere le figure apicali della singola organizzazione criminale, che l’Amministrazione penitenziaria, nella sua interlocuzione con la Direzione nazionale antimafia e con le Direzione distrettuali, ritiene necessario separare dagli spazi in cui sono ristretti gli altri soggetti sottoposti al regime differenziato. Si tratta di strutture in genere costituite dalle camere di pernottamento (che, nel caso di specie, essendo destinate a ricevere la persona detenuta per la quasi totalità della giornata, possono definirsi come delle vere e proprie camere detentive), da uno spazio adibito a passeggio e da un ambiente destinato alla fruizione della socialità. Esse sono destinate a ricevere un numero molto ristretto di soggetti, in genere due o tre persone (mentre fuori dalle aree riservate i gruppi di socialità sono composti da quattro persone), ossia, accanto a colui per il quale si pongono, precipuamente, le esigenze di sicurezza, anche uno o due altri soggetti, individuati tra coloro i quali, pur essendo sottoposti al regime differenziato, tuttavia presentano un minore livello di pericolosità e sempre che appartengano a una differente aggregazione criminale[57]. Il fondamento normativo di tale modello organizzativo, invero, è piuttosto controverso. Infatti, la tesi, esposta dal Governo italiano, sin dal 2004, nelle risposte via via offerte al Comitato europeo per la prevenzione della tortura, secondo cui detto fondamento dovrebbe rinvenirsi nell’art. 32, d.P.R. n. 230 del 2000, suscita più di una perplessità. Sotto un primo profilo, la disposizione regolamentare in questione concerne, in realtà, la collocazione dei detenuti e internati per i quali è necessario adottare determinate cautele in rapporto al rischio di sopraffazione ai danni dei compagni di detenzione in ragione del comportamento che essi tengono nel contesto penitenziario e non già in ragione del loro profilo criminale. Ma soprattutto, la norma richiede la necessità di verifiche periodiche della permanenza in tali sezioni, che nella pratica non vengono compiute.
8.4. Come anticipato, una delle maggiori criticità dell’attuale assetto dell’art. 41-bis riguarda il processo di balcanizzazione che ha interessato la circolare del 2017 e la situazione di connessa difficoltà operativa conseguente ai numerosi arresti giurisprudenziali che hanno, in più punti, disapplicato numerose disposizioni dell’Amministrazione. A fronte di tali interventi giurisprudenziali, alcuni istituti penitenziari hanno modificato la propria regolazione interna, così da assicurare all’intera popolazione sottoposta al regime differenziato l’esercizio dei diritti che gli Uffici di sorveglianza avevano riconosciuto soltanto a coloro che avevano interposto reclamo. In altre strutture detentive, invece, le direzioni si sono limitate a dare esecuzione alle ordinanze emesse in favore dei soli detenuti che avevano proposto reclamo, continuando ad applicare le disposizioni della circolare nei confronti dei detenuti non ricorrenti. E ciò ha finito per determinare una grande confusione operativa.
8.5. Si pensi al tema dell’accesso al sopravvitto, con riferimento al quale la circolare del 2017 prevede, attualmente, un differente elenco di beni che il detenuto può acquistare dall’impresa di mantenimento tramite il cd. modello 72. L’art. 7 della circolare, infatti, prevede, per i detenuti sottoposti al regime differenziato, un autonomo «modello 72», diverso da quello previsto per i detenuti “comuni” e identico per tutti i reparti del 41-bis, al fine di assicurare un trattamento uniforme a tutti i detenuti sottoposti al regime differenziato. Dopo che, però, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 186 del 26 settembre 2018, ha dichiarato illegittimo il divieto di «cuocere cibi» per i detenuti sottoposti al regime differenziato, l’Amministrazione penitenziaria, con la circolare n. 0327043 del 17/10/2018 ha modificato il «modello 72» previsto per gli acquisti al sopravvitto di tale categoria di detenuti, inserendovi una serie limitata di alimenti da cuocere e gli strumenti necessari per provvedere alla cottura. Tuttavia, la giurisprudenza, di merito e di legittimità, ha costantemente disapplicato l’art. 7 della circolare nella parte in cui non consente a tali soggetti di acquistare gli stessi generi alimentari previsti nel «modello 72» applicabile per coloro che appartengono ai circuiti ordinari, evidenziando come tale differenziazione possa giustificarsi soltanto ove effettivamente idonea a evitare che, mediante il possesso di generi alimentari pregiati, si creino o si accrescano posizioni di supremazia all’interno dei gruppi di socialità; rischio che, in realtà, deve essere escluso per la natura e la tipologia dei generi alimentari inseriti nel «modello 72» applicato ai detenuti comuni.
8.6. Un altro tema significativo in una quotidianità detentiva che, in assenza di attività lavorative stabili e considerata la brevità della permanenza all’aria aperta e negli spazi di socialità, ha come momenti di svago pressoché esclusivi la lettura e l’uso del televisore, concerne i programmi televisivi accessibili alle persone ristrette. La scelta dei canali fruibili costituisce, ovviamente, un passaggio delicato, dal momento che l’eventuale accesso a trasmissioni televisive che consentano agli spettatori l’invio di messaggi di testo a scorrimento potrebbe consentire al detenuto di venire a contatto con informazioni illecite. In proposito, l’elenco di canali selezionati dall’Amministrazione penitenziaria vedeva, in passato, un sovradimensionamento di quelli destinati a utenti adolescenti, come i canali tematici che trasmettono cartoni animati, teen-movies e simili; e ciò aveva dato luogo a numerosi reclami, trattandosi di un’offerta certamente non appetibile per la stragrande maggioranza dei fruitori. Il provvedimento dello scorso 10 gennaio, con cui la Direzione generale dei detenuti e del trattamento ha finalmente esteso la visione ai canali TV del digitale terrestre dovrebbe consentire di superare il problema, che ha avuto non modeste ricadute sul contenzioso giurisdizionale.
8.7. Sempre con riferimento al tema dell’accesso all’offerta ricreativa, le disposizioni di circolare prevedono la possibilità di acquistare giornali o di sottoscrivere abbonamenti ai quotidiani nazionali più diffusi, indicati nel «modello 72», il cui elenco ristretto è stato, però, oggetto di svariati contenziosi giurisdizionali, oltre che dei rilievi del Garante nazionale[58]. Quanto, poi, alla possibilità di acquistare libri, essa è consentita solo tramite l’Amministrazione penitenziaria, con scelta organizzativa dell’Amministrazione che è stata ritenuta dalla Consulta non contraria ai principi costituzionali[59]; mentre è pacificamente consentito prendere in prestito i libri della biblioteca della sezione dell’istituto, anche se la relativa offerta è spesso abbastanza carente[60].
Quanto, poi, alla possibilità che la persona detenuta sia autorizzata all’acquisto di un lettore e di compact disc per l’ascolto della musica, va segnalate le aperture contenute in alcune pronunce della giurisprudenza di legittimità, la quale ritiene che il diniego dell’Amministrazione penitenziaria sia legittimo soltanto qualora, per l’incidenza sull’organizzazione della vita dell’istituto, in termini di impiego di risorse umane e materiali, non sia possibile assicurare la messa in sicurezza di detti dispositivi e supporti[61].
9. Alcune prospettive.
Le varie criticità evidenziate nel paragrafo che precede hanno bisogno di essere risolutamente affrontate. Ciò presuppone un clima politico-culturale più sereno di quello che, da tempo, accompagna il tema del regime differenziato. Un clima che, negli ultimi anni, ha condizionato in maniera assoluta qualunque possibilità di porre mano al complesso apparato normativo-organizzativo che ruota intorno all’art. 41-bis Ord. pen., impedendo anche l’adozione di quelle modifiche della circolare del 2017 che, come detto, rendono attualmente il sistema farraginoso e, in più punti, irrazionale, anche per gli stessi operatori.
9.1. Il primo intervento, che riguarda il numero troppo elevato, per l’attuale articolazione del nostro sistema penitenziario, di soggetti sottoposti al regime differenziato, non può che essere attuato attraverso una iniziativa sinergica dell’Amministrazione penitenziaria e dell’Autorità giudiziaria, in particolare della Direzione nazionale Antimafia, la quale, a fronte di un quadro inevitabilmente frammentato della giurisdizione sul territorio, rappresenta l’unico soggetto istituzionale in grado di articolare, sul piano dell’analisi e dell’operatività, una gestione complessiva del fenomeno, anche attraverso un dialogo proficuo con le Procure distrettuali. In particolare, dal lato dell’Amministrazione penitenziaria appare indispensabile una riflessione sull’ambito, contiguo concettualmente e operativamente, del circuito dell’Alta sicurezza, il cui ambito soggettivo deve essere definito in termini più circoscritti al fine di esercitare un’attività di osservazione e trattamento più efficace, specificamente calibrata sulle particolari caratteristiche criminologiche dell’autore di reati commessi in contesti di criminalità organizzata. In questa direzione si muoveva il progetto di modifica della circolare sull’Alta sicurezza predisposto in seno al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria nel corso del 2022, che riprendendo alcune riflessioni già elaborate in sede dipartimentale nel corso degli anni precedenti, aveva, da un lato, ipotizzato una riduzione del numero di reati per i quali potesse procedersi alla assegnazione a tale circuito penitenziario; e aveva, dall’altro lato, evidenziato la necessità di rivisitare i protocolli sull’osservazione della personalità dei soggetti ad esso assegnati, attraverso un rinnovato e più mirato coinvolgimento con tutti gli operatori, al fine di cogliere gli eventuali segnali di cambiamento innescati dal percorso detentivo o, all’opposto, il permanere di logiche legate all’appartenenza a contesti criminali[62].
E una riflessione sembra indifferibile, al contempo, rispetto all’interpretazione giurisprudenziale delle norme sulle proroghe, onde superare meccanismi fondati su un sostanziale automatismo, in grado di saper cogliere gli elementi che qualificano, nell’attualità, la reale pericolosità soggettiva delle persone sottoposte alla valutazione, ovviamente giovandosi dei risultati auspicati rispetto al rinnovato sforzo nel qualificare l’osservazione penitenziaria di cui si è detto.
9.2. Sotto un differente aspetto, è necessario procedere a una puntuale rivisitazione i vari passaggi della circolare del 2017 che sono ormai superati dall’evoluzione giurisprudenziale o che definiscono una disciplina delle limitazioni incongrua rispetto agli obiettivi del regime differenziato. In proposito, va ricordato che già con ordine di servizio del 18 dicembre 2020, n. 1374, il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria aveva istituito un gruppo di lavoro, composto dai vertici dell’Amministrazione, dai rappresentanti della Direzione generale dei detenuti e del trattamento, dal Responsabile del Gruppo Operativo Mobile e da due Direttori di Istituto ospitanti sezioni destinate al regime speciale, che aveva ricevuto l’incarico di un aggiornamento organico della circolare. L’attività del Gruppo di lavoro, sottoposta a successive revisioni, aveva dato luogo alla elaborazione, da parte del Dipartimento, di una bozza di modifica della circolare, la quale, trasmessa nel settembre 2022 alla Direzione Nazionale Antimafia e ai Presidenti dei Tribunali di sorveglianza in vista di una riflessione collettiva dei principali soggetti istituzionali interessati delle questioni poste dal regime differenziato dell’art. 41-bis Ord. pen., è stata però accantonata nelle more dell’avvicendamento ai vertici del Dipartimento successivo all’insediamento del nuovo Governo. Le esigenze di porre mano alla materia rimangono intatte, non soltanto per le ovvie esigenze di rimodulare quelle disposizioni che producono effetti sostanzialmente vessatori rispetto alla situazione delle persone detenute, ma finanche per restituire efficienza all’azione dei Reparti operativi mobili, il cui servizio, come si anticipava, è oggi reso piuttosto farraginoso.
9.2.1. Alcuni esempi, in proposito, sono estremamente eloquenti.
La circolare del 2017, così come i regolamenti interni di alcuni istituti adottati in conformità alle disposizioni di essa, prevedono che le persone sottoposte al regime differenziato debbano poter stare all’esterno della camera detentiva per complessive due ore al giorno, secondo quanto previsto dalla lett. f) del comma 2-quater dell’art. 41-bis. Queste due ore, secondo la circolare, possono essere fruite, tutte, all’aria aperta oppure, in parte, nei locali destinati alla cd. socialità, per lo svolgimento di attività ricreative, sportive, culturali: con l’unico limite per cui la permanenza all’aria aperta non può essere inferiore a un’ora.
Come ricordato, la Corte di cassazione ha, però, ritenuto illegittime tali disposizioni, che sembrano muovere dalla considerazione di una sorta di fungibilità delle due modalità di permanenza al di fuori della camera detentiva. Secondo la giurisprudenza di legittimità, invero, la permanenza all’aperto e la socialità devono essere tenute distinte, in quanto aventi finalità diverse: la tutela della salute nel caso della permanenza all’aria aperta e il soddisfacimento delle esigenze culturali e relazionali di detenuti e internati per quanto riguarda la socialità[63]. E dal momento che, secondo l’interpretazione offerta dalla Suprema Corte, anche per i detenuti sottoposti al regime differenziato deve essere riconosciuta una permanenza minima all’aperto di due ore, la permanenza al di fuori della camera di detenzione, per la fruizione della socialità, deve necessariamente corrispondere a un ulteriore segmento temporale. La stessa Amministrazione penitenziaria si è, dunque, adeguata a tali indicazioni; e, tuttavia, la circolare del 2017 tuttora non chiarisce se tutte le tre ore di permanenza all’esterno della camera detentiva possano essere fruite insieme al gruppo di socialità o se questa possibilità riguardi soltanto due delle tre ore disponibili; e, in questo secondo caso, a quale di esse si riferisca tale facoltà. Nell’attuale situazione di incertezza, legata anche al mancato adeguamento della circolare agli indirizzi ormai consolidati della Corte di cassazione, può dunque accadere che, all’interno dello stesso gruppo di socialità, composto, come indica la sua denominazione, per consentire ai detenuti di condividere una parte della giornata e attenuare così gli effetti alienanti dell’isolamento sociale, delle quattro persone che lo compongono, alcune fruiscano di due ore di permanenza all’aperto e di una di socialità; altre di un’ora di permanenza all’aperto e di due di socialità; e che per alcune di esse un’ora venga svolta in solitudine e le altre in compagnia, con una evidente complicazione nella organizzazione dei servizi di sorveglianza a vista da parte del personale dedicato, anche per il connesso problema della disponibilità di cortili di passeggio ove garantire la permanenza all’aperto in solitudine. Una modalità organizzativa del tutto irragionevole che meriterebbe di essere certamente emendata, attraverso una modifica degli artt. 11 e ss. della circolare, con la estensione a tre ore giornaliere della possibilità di permanenza fuori dalla camera di detenzione per i soggetti sottoposti al regime differenziato e con la specificazione che essa può essere fruita insieme agli altri membri del gruppo di socialità.
9.2.2. Ancora: si è già osservato che, a seguito della sentenza n. 97 del 2020 della Corte costituzionale, la Direzione generale dei detenuti e del trattamento ha emanato la circolare n. 0265533 del 24/07/2020 per disciplinare il regime dello scambio di oggetti.
Sulla base della circolare, le direzioni dei vari istituti hanno emanato degli ordini di servizio che, nel corso del tempo, sono stati oggetto di reclamo dinanzi ai rispettivi Uffici di sorveglianza, cui hanno fatto seguito alcune pronunce di segno differente. Così, per esemplificare, mentre il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha ritenuto che l’obbligo imposto dalla direzione di presentare, il giorno precedente e in forma scritta, la domanda relativa al genere alimentare da scambiare, frustrasse, di fatto, il diritto riconosciuto dalla Corte costituzionale, impedendo, quantomeno per i generi alimentari, gli scambi spontanei e ha, inoltre, evidenziato la lacunosità del relativo ordine di servizio nella parte in cui non prevedeva espressamente un obbligo di motivazione dell’Amministrazione in caso di rifiuto della richiesta[64], il Magistrato di sorveglianza di Novara ha, invece, ritenuto che l’iter autorizzativo previsto dalla direzione per lo scambio degli oggetti di modico valore fosse del tutto congruo, essendo stato previsto l’obbligo di motivazione delle limitazioni e dovendo la disciplina ritenersi congrua rispetto alle esigenze di sicurezza interna[65]. Infine, il Magistrato di sorveglianza di Viterbo ha disposto la disapplicazione parziale dell’ordine di servizio adottato dalla locale direzione di istituto nella parte in cui era stato previsto che, soltanto in casi “eccezionali”, i detenuti sottoposti al regime differenziato potessero essere autorizzati a scambiarsi, nell’immediatezza, i generi alimentari, in deroga alla regola generale secondo cui ogni scambio deve essere richiesto con almeno un giorno di anticipo[66].
9.3. Altro ambito rispetto al quale appare necessaria una riflessione, stavolta a livello di norma primaria, riguarda il numero di colloqui mensili tra il detenuto e i propri familiari, i quali, dal momento che vengono sottoposti a controllo audiovisivo e registrazione, possono essere svolti in un contesto di sostanziale sicurezza, come dimostra il numero assai limitato di casi, pur riscontrati, in cui il detenuto è stato colto nell’atto di effettuare comunicazioni non consentite con i familiari ammessi a colloquio e che l’auspicata riduzione del numero dei soggetti sottoposti al regime differenziato dovrebbe rendere ancor meno frequenti, grazie alla possibilità di un impiego più funzionale del personale di Polizia penitenziaria.
9.4. Sempre con riferimento ai colloqui appare non più differibile una modifica della normativa e della dotazione infrastrutturale diretta a consentire lo svolgimento dei colloqui visivi mediante videochiamata (art. 16 della circolare). L’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità consente anche ai detenuti sottoposti al trattamento differenziato di svolgere colloqui visivi con i familiari e i conviventi mediante la videoconferenza; possibilità che però è stata ritenuta fruibile unicamente in situazioni eccezionali, legate all’esistenza di problematiche di tipo sanitario, come nel caso di quelle legate all’emergenza pandemica da “Covid-19”, o comunque a situazioni di impossibilità o di gravissima difficoltà ad effettuare il colloquio in presenza. Anche su questo punto, dunque, appare necessario un intervento normativo, attuabile anche soltanto in via di circolare, diretto a estendere tale modalità di comunicazione ai casi in cui sussistano documentate situazioni di impossibilità o, comunque, di gravissima difficoltà a effettuarli in presenza. Una modalità comunicativa che può consentire, come l’esperienza ha dimostrato, il soddisfacimento delle irrinunciabili esigenze di sicurezza attraverso il ricorso alle piattaforme informatiche utilizzate per le udienze dei processi celebrati con collegamenti da remoto e attraverso il controllo, sempre da remoto, del personale dedicato. Tanto più che il colloquio viene sempre videoregistrato e che esso può essere sottoposto ad accurata disamina, sia in chiave preventiva, sia rispetto a eventuali esigenze investigative, onde disvelare l’eventuale utilizzo di locuzioni criptiche o di gesti convenzionali volti a eludere i controlli previsti dalla legge.
9.5. Inoltre, al fine di assicurare un’applicazione uniforme della nuova disciplina e di riservare all’Amministrazione di individuare le modalità di svolgimento dei colloqui visivi tra persone detenute confacenti sul piano di sicurezza, appare opportuno introdurre ulteriori disposizioni che affidino alla Direzione generale dei detenuti e del trattamento ogni decisione in merito all’eventuale autorizzazione dei colloqui visivi tra familiari detenuti e alle concrete modalità di svolgimento di detti colloqui, prevedendosi sul punto anche il coinvolgimento del G.O.M. nell’attività istruttoria. Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’esercizio del diritto al mantenimento dei rapporti familiari non è impedito dallo stato di detenzione del familiare e finanche dalla sottoposizione dello stesso al regime differenziato. Tale condizione, infatti, non può portare a escludere, in via di principio, che il colloquio possa essere autorizzato, in casi siffatti, mediante forme di comunicazione controllabili a distanza (come la videoconferenza), attraverso cui consentire di coltivare la relazione familiare e, allo stesso tempo, impedire i comportamenti fra presenti che possano generare pericolo per la sicurezza interna dell’istituto o per quella pubblica[67]. Tale soluzione, invero, rappresenta un buon punto di equilibrio tra le esigenze della sicurezza e quelle del rispetto di diritti costituzionalmente e convenzionalmente protetti[68]. In ipotesi siffatte, tuttavia, proprio l’esigenza di contemperare interessi potenzialmente in conflitto richiede che l’esercizio del diritto al colloquio con i familiari sottoposti al regime differenziato sia accompagnato da un’adeguata attività istruttoria, con la necessaria acquisizione del parere della Direzione distrettuale antimafia competente, che per quanto non vincolante occorre sia fatta oggetto di una specifica e puntuale valutazione da parte dell’Amministrazione e, in sede di eventuale reclamo, della stessa Magistratura di sorveglianza[69]. In questa prospettiva, appare senz’altro opportuna una integrazione della circolare del 2 ottobre 2017, che all’art. 16.2 prescrive, con riguardo ai detenuti sottoposti al regime differenziato, che «eventuali richieste di colloqui telefonici con altri familiari ristretti in regime di 41-bis e non, saranno generalmente accolte, salvo che dal parere non vincolante, richiesto alla competente DDA, emergano concreti e rilevanti elementi che ne sconsiglino l’effettuazione». Quest’ultimo limite, formulato con riferimento alla corrispondenza telefonica, deve, dunque, essere espressamente esteso all’attivazione di collegamenti audiovisivi tramite le piattaforme informatiche a disposizione dell’Amministrazione penitenziaria.
9.6. Altro ambito che certamente ha bisogno di un intervento urgente riguarda quello della permanenza al di fuori della camera di detenzione, che non può che essere aumentata oltre le due ore.
Se, infatti, si ammette che i detenuti possano comunicare tra loro in maniera illecita, allora anche la possibilità di condividere del tempo insieme nelle due ore stabilite costituisce una opportunità di scambio comunicativo che non può essere tollerata; mentre se si ritiene che il sistema dei controlli sia efficace, non sembra potersi ragionevolmente ritenere che aumentando di una o due ore la permanenza all’esterno delle camere detentive possano esserci concrete controindicazioni, tenuto conto del fatto che l’ammissione all’aria aperta e la partecipazione alla socialità possono avvenire esclusivamente tra soggetti appartenenti allo stesso gruppo selezionato e in un numero non superiore a quattro.
9.7. Ancora, meritano di essere evidenziate le necessità di aggiornare, dopo la ricordata pronuncia n. 97 del 2020 della Corte costituzionale (v. supra § 7.2), la disciplina dettata dall’art. 4 della circolare del 2017 relativa allo scambio di oggetti tra detenuti appartenenti allo stesso gruppo di socialità, a tutt’oggi ancora vietati.
Le già evidenziate disomogeneità della regolamentazione introdotta con la circolare n. 0265533 del 24/07/2020 della Direzione generale dei detenuti e del trattamento e con i successivi ordini di servizio, rendono indispensabile definire un nuovo assetto dell’art. 4, che senza prevedere termini tassativi per la presentazione delle domande, affidi alla discrezionalità delle direzioni le decisioni su tempi e modalità di espletamento dei controlli, autorizzando, anche in tempi molto rapidi, gli scambi di oggetti che, per loro natura, non si prestino a essere utilizzati come veicoli di comunicazioni criptiche; ovvero in tempi più ampi gli scambi concernenti oggetti che meritano controlli più approfonditi, come nel caso dei libri, dei giornali e delle riviste[70].
9.8. Altro ambito rispetto al quale appare indifferibile un intervento di modifica riguarda l’art. 7 della circolare, concernente la disciplina dell’acquisto di prodotti al sopravvitto, tramite «modello 72». In particolare, una riformulazione dell’art. 7 della circolare dovrebbe prevedere, da un lato, un unico «modello 72» per tutti coloro che sono ristretti in un determinato istituto penitenziario e che, dall’altro lato, garantisca le esigenze di sicurezza attraverso la possibilità di controlli sugli alimenti che possano essere utilizzati per occultare oggetti vietati (si pensi ai biglietti manoscritti), che, peraltro, già oggi, su disposizione della Direzione generale dei detenuti e del trattamento, il personale del G.O.M. fa travasare in contenitori trasparenti.
9.9. In ultimo, va posta l’attenzione sulle norme che disciplinano la formazione dei gruppi di socialità, oggetto dell’art. 3.1 dell’attuale circolare, che prevede una composizione dei singoli gruppi in numero non superiore a quattro persone, scelte dalla direzione dell’istituto penitenziario evitando che, in base alle emergenze investigative e processuali, ne facciano parte i vertici delle stesse famiglie mafiose, di gruppi alleati o di gruppi contrapposti, o soggetti che abbiano avuto problemi di compatibilità in altri istituti o che, comunque, abbiano già trascorso periodi di permanenza in comune; o ancora, che siano stati appena sottoposti al regime differenziato rispetto a quanti vi sono da tempo assoggettati. Rispetto a tali regole appare necessario un maggiore coinvolgimento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e delle competenti Direzioni Distrettuali Antimafia, con l’inoltro di una relazione sull’inserimento del singolo soggetto nel gruppo di socialità designato e con l’eventuale acquisizione, da parte di tali organi, di eventuali informazioni circa l’incompatibilità dell’assegnazione di determinati soggetti a uno stesso gruppo, che potrà essere rimodulato ad opera della Direzione generale dei detenuti e del trattamento, previa ulteriore interlocuzione con le competenti D.D.A. e con la D.N.A.A.
Inoltre, appare necessario offrire una puntuale regolamentazione della questione relativa al rifiuto, talora opposto da alcuni detenuti, all’inserimento o alla permanenza in un determinato gruppo di socialità, prevedendo la possibilità che essi segnalino, in ogni momento, eventuali situazioni di incompatibilità con gli altri componenti del gruppo, specificandone i motivi e prevedendo che tali segnalazioni vengano tempestivamente inviate alla Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento per le determinazioni di competenza. Una modalità operativa, questa, che consentirebbe di offrire una risposta puntuale a talune situazioni verificatesi in passato, nelle quali, a seguito del rifiuto del detenuto di dichiarare l’assenza di profili di incompatibilità con gli altri soggetti ristretti nel cui gruppo egli avrebbe dovuto essere inserito, l’Amministrazione non aveva proceduto, per lungo tempo, all’inserimento in uno specifico gruppo di socialità, con la conseguenza che il ristretto si era trovato, per lungo tempo, in una situazione di isolamento ritenuta dal magistrato di sorveglianza competente contraria al divieto di trattamenti inumani e degradanti[71].
10. Una breve “non” conclusione.
Il regime differenziato delineato dall’art. 41-bis Ord. pen. è uno strumento di cui, ancora, non è realistico pensare di poter fare a meno, nell’ambito di una gestione integrata dell’azione istituzionale di contrasto alla criminalità organizzata di matrice mafiosa o terroristica.
Nondimeno, esso presenta alcune criticità, anche assai rilevanti, che vanno da un sovradimensionamento dell’area di applicazione dell’istituto, tale da rendere talvolta problematica un’efficace azione di gestione penitenziaria di una popolazione detentiva per la quale è necessaria una particolare attenzione, alla esigenza di ridefinire talune concrete misure che cadenzano la quotidianità di detenuti e operatori, di cui va verificata la persistente congruità rispetto agli scopi propri di tale regime. E ciò in quanto soltanto tale positivo riscontro è in grado di legittimare uno strumento altrimenti incidente in maniera inammissibile rispetto ai diritti fondamentali di cui qualunque persona, anche se autrice del crimine più efferato, è titolare secondo la Costituzione. Non può, infatti, non riconoscersi che il regime differenziato realizza una fortissima compressione degli spazi del trattamento rieducativo cui la pena è, per specifico mandato costituzionale, preordinata; e questo anche per le concrete modalità con cui esso viene oggi attuato, realizzando una sorta di ibernazione sociale della persona, in attesa di una rottura dei suoi legami con la criminalità organizzata che, come detto, passano, nella sostanza, attraverso la collaborazione con la giustizia o attraverso forme, di non agevole realizzazione, di dissociazione.
Su tali argomenti, la riflessione deve essere compiuta all’insegna della razionalità e dell’analisi dei problemi reali, rifuggendo da anatemi, mozioni degli affetti o da inutili preconcetti tra i fautori della tesi del “41-bis” come tortura e coloro che lo identificano come “carcere duro”, necessario a rinforzare il momento retributivo della pena; e, soprattutto, rifiutando l’insinuazione inaccettabile per cui un approccio critico all’esistente possa sottendere una sorta di tradimento dei principi della democrazia e una resa a fenomeni criminali[72]. Fenomeni che realizzano, bisogna tenerlo presente, la forma più drammatica di aggressione ai valori e ai principi della Costituzione repubblicana e che, pertanto, devono essere affrontati risolutamente; ma sempre nel rispetto di quegli stessi valori e principi.
[37] Tale assetto normativo era stato sostanzialmente anticipato dalla giurisprudenza di legittimità: v. Sez. 1, n. 46169 del 27/06/2018, C., Rv. 274189-01.
[38] È il caso del Partito Radicale Italiano, della Commissione Carcere della Camera Penale di Roma, dell’associazione Nessuno tocchi Caino.
[39] È il caso, ad esempio, di una delegazione guidata dal Ministro per la Tutela Giuridica dei Paesi Bassi.
[40] Per questo rilievo v. F. Gianfilippi, Il D.L. 162/2022 e il nuovo 4-bis: un percorso a ostacoli per il condannato e per l’interprete, in giustiziainsieme.it, 2023.
[41] A sostegno della scelta legislativa non può certo porsi la circostanza che la giurisprudenza di legittimità abbia, in almeno due occasione, affermato la non incompatibilità tra la sottoposizione al regime differenziato e l’eventuale concessione di permessi premio (si veda, in proposito, Sez. 1, n. 42723 del 7/10/2021, Zagaria, Rv. 282155 – 01; in precedenza Sez. 1, n. 21946 del 8/06/2020, Apicella, Rv. 279373 - 01). Invero, al di là della astratta concedibilità del beneficio anche a tale categoria di detenuti, non risultano che permessi premio siano stati effettivamente concessi, anche in ragione del giudizio di pericolosità sociale che la sottoposizione al 41-bis comporta. La tesi della concedibilità è stata, peraltro, respinta dalla Corte costituzionale in occasione della sentenza.
[42] M. Ruotolo, Le irragionevoli restrizioni al diritto di difesa dei detenuti in regime di 41-bis, in Consulta online, 2013; V. Manes e V. Napoleoni, Incostituzionali le restrizioni ai colloqui difensivi dei detenuti in regime di “carcere duro”: nuovi tracciati della corte in tema di bilanciamento dei diritti fondamentali, in Diritto penale contemporaneo, 2013; F. Fiorentin, Regime speciale del 41.bis e diritto di difesa: il difficile bilanciamento tra i diritti fondamentali, in Giur. cost., 2013, pagg. 2180 ss.
[43] La giurisprudenza di legittimità ha, nondimeno, riconosciuto la legittimità dell’adozione di misure organizzative differenziate per ciascun istituto inerenti alla disciplina degli orari di svolgimento dei colloqui con i difensori, in funzione delle specifiche caratteristiche strutturali, della popolazione detenuta e del personale disponibile, salvo che dette modalità impediscano di fatto l’esercizio del relativo diritto del detenuto (Sez. 1, n. 47046 del 16/11/2021, Madonia, Rv. 282719 - 01). In tale prospettiva, è stata ritenuta legittima anche la previsione della circolare del DAP del 2 ottobre 2017, che, al fine di stabilire l’identità dell’interlocutore, richiede che i colloqui telefonici con il difensore avvengano presso l’istituto penitenziario più vicino, in quanto la limitazione, atta a prevenire il pericolo della interlocuzione del detenuto con soggetti non aventi titolo alla comunicazione, è stata ritenuta conforme al principio di ragionevolezza delle restrizioni (Sez. 1, n. 18373 del 30/03/2022, Attanasio, Rv. 283058 – 01).
[44] V. G.P. Dolso, Corte costituzionale, 41-bis OP e sindacato di ragionevolezza. Note a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 2018, in Giurisprudenza penale (Rivista web), 2020; G. Alberti, Per la Corte costituzionale è illegittimo il divieto di cottura dei cibi imposto ai detenuti al 41-bis, in Dir. pen. cont., 26 ottobre 2018; S. Sturniolo, «Dis-moi ce que tu manges, je te dirai ce que tu es». Cade il divieto di «cuocere cibi» per i detenuti sottoposti al regime dell’art. 41-bis ord. pen. Riflessioni a seguito della sentenza n. 186/2018 della Corte costituzionale, in Diritti fondamentali, 1/2019.
[45] I. Giugni, Incostituzionale il divieto assoluto di scambio di oggetti fra detenuti al 41 bis appartenenti al medesimo gruppo di socialità. Una nuova riperimetrazione del regime differenziato, in Sistema penale, 2020; S. Talini, Una nuova manipolazione ad effetto sostitutivo: cade il divieto di scambiare oggetti all’interno della medesima "socialità” (riflessioni a margine di Corte cost., sent. n. 97 del 2020), in Osservatorio AIC, 4/2020; F. Biondi, «Piccoli gesti di normalità quotidiana», umanità della pena e finalità rieducativa, in Nomos, 3/2020.
[46] M. Ruotolo, Visto di censura della corrispondenza e diritto di difesa. Un esito nella sostanza condivisibile, raggiunto con una discutibile tecnica decisoria, in Diritto di Difesa. In argomento v. anche C. Cattaneo, Per la Corte costituzionale è illegittima la sottoposizione al visto di censura della corrispondenza tra difensore e detenuto in regime di 41-bis, in Sistema penale, 2022; M. Brucale, Con la sentenza n. 18 del 2022 la Corte costituzionale afferma che la corrispondenza del detenuto in regime derogatorio ex art. 41-bis comma II O.P. con il proprio difensore non è assoggettabile a visto di censura, in Questione giustizia online, 2022; F. Mennella, La Corte costituzionale torna sulla garanzia del diritto di difesa dei detenuti in regime di cui all’art. 41-bis nelle comunicazioni con il proprio difensore. Commento alla sentenza Corte cost. n. 18 del 2022, in Osservatorio Costituzionale AIC, 2022; L. Sottile, L’intervento manipolativo della Corte costituzionale nel quadro della conformazione costituzionale del diritto di difesa nell’esecuzione penale (riflessioni a margine della sentenza n. 18 del 2022), in Consulta online, 2022/III, 890.
[47] In questi termini v. Corte Edu, Paolello/Italia, n. 37648/02, 1 settembre 2015. In argomento V. Manca, La Corte EDU conferma la compatibilità del 41-bis Ord. Pen., ma il “carcere duro” è davvero conforme ai diritti umani?, in Giurisprudenza penale (Rivista web), 2016, pag. 9 ss. Un caso, molto importante, in cui è stato rinvenuto un contrasto con l’art. 3 della Convenzione è stato quello deciso con la sentenza Provenzano v. Italia (n. 55080/2013, 25 ottobre 2018), in cui la Corte ha affermato che la violazione aveva riguardato non le condizioni di detenzione, quanto il rinnovo del regime differenziato quando le condizioni di salute del detenuto erano ormai definitivamente compromesse.
[48] Sez. 1, n. 35215 del 7/10/2020, Rv. 280055 – 01; Sez. 7, n. 18639 del 24/01/2020, Rv. 279351 - 01.
[49] La disposizione dell’art. 16 della circolare del DAP del 2 ottobre 2017, secondo cui il colloquio visivo deve avvenire senza vetro divisorio solo nel caso in cui esso abbia luogo con il figlio o i nipoti in linea retta minori di 12 anni è stata ritenuta legittima da Sez. 1, n. 46719 del 3/11/2021, Pesce, Rv. 282319 - 01, secondo cui il nuovo testo dell’art. 18, comma 2, Ord. pen., introdotto dall’art. 11, comma 1, lett. g), n. 3, d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123 (che afferma che “particolare cura è dedicata ai colloqui con i minori di anni quattordici”) non deroga alla disciplina ordinaria dei colloqui dei detenuti in regime differenziato con i propri familiari (in termini v. anche Sez. 1, n. 28260 del 9/04/2021, Mangione, Rv. 281754 - 01).
[50] Si tratta delle Case circondariali di Novara, Cuneo, Tolmezzo, Parma, Sassari, Nuoro, L’Aquila, Terni, Viterbo, nonché delle Case di reclusione di Milano-Opera, Spoleto, Roma Rebibbia.
[51] Per questa tesi v. S. Ardita, Problematiche di prevenzione e valutazioni di legittimità nell’applicazione del regime detentivo speciale dell’art. 41-bis dell’ord. pen., in Rass. penit. e crimin., 2004, pagg. 42 e s., ove peraltro si evidenzia che «la scelta di conferire il potere di applicazione al Ministro della giustizia risulta necessitata dalla obiettiva impossibilità di tenere separata la gestione logistico-funzionale del regime dalla possibilità di regolare l’afflusso dei soggetti sottoposti alla reale ricettività delle strutture. Vi è infatti la necessità di individuare un organo centrale in grado regolare il flusso e la consistenza del numero dei detenuti da assegnare al regime speciale, in modo da determinare una quota massima di soggetti rispetto ai quali possa essere attuata la disciplina extra ordinem, garantendo che per tutti sussistano criteri oggettivi ed omogenei di pericolosità che ne giustifichino l’ammissione».
[52] Viceversa non ha inciso sul sistema l’abrogazione del comma 2-ter operata nel 2009. Infatti, essa non ha eliminato il potere del Ministro di disporre, secondo i principi generali in materia di autotutela, la revoca della misura a seguito della cessazione dei relativi presupposti; né la possibilità di attivare le tutele avverso il silenzio rifiuto. La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, condivisibilmente affermato che è impugnabile mediante reclamo al tribunale di sorveglianza il rigetto, per silenzio rifiuto, della richiesta di revoca anticipata del provvedimento ministeriale di sospensione delle normali regole di trattamento dei detenuti, benché con la novella introdotta dalla legge n. 94 del 2009 non sia più prevista la possibilità di una revisione, neanche per sopravvenienze, di detto provvedimento, e ciò in ragione del carattere di rimedio generale dell’istituto del reclamo avverso i provvedimenti che dispongono o prorogano il regime di sorveglianza particolare, di cui all’art. 14-ter Ord. pen.: così Sez. 1, n. 18021 del 25/02/2011, Manciaracina, Rv. 250272 – 01; Sez. 1, n. 47919 del 9/11/2012, Boni, Rv. 253856 - 01; Sez. 5, n. 47568 del 20/09/2016, Mancuso, Rv. 268416 – 01.
[53] Tema più controverso è se debba trattarsi dello stesso gruppo criminale o se il pericolo possa ricorrere rispetto a qualunque espressione criminale, ovviamente organizzata, che nel frattempo possa essersi insediata in quel territorio, magari al posto di quella di cui aveva fatto parte il detenuto, ormai venuta meno.
[54] Tale punto di vista è stato recentemente espresso dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale nel suo Rapporto tematico per l’anno 2023 sul regime detentivo speciale ex articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario. E ancor prima si veda l’intervista rilasciata da Sebastiano Ardita al quotidiano La Stampa il 26 febbraio 2023.
[55] Per un puntuale commento della sentenza v. F. Fiorentin, Il “carcere duro” e gli internati in misura di sicurezza: qualche riflessione a margine di un’importante sentenza della Corte costituzionale (nota a Corte cost., sent. 21 ottobre 2021), n. 197, in Sistema penale, 2022.
[56] In realtà l’ammissione al lavoro delle persone sottoposte al regime differenziato costituisce un dato assai problematico, sia per i detenuti, sia per gli internati. Il dato attualmente disponibile registra che soltanto 67 persone svolgono attività lavorativa all’interno degli Istituti, in molti casi per periodi molto limitati. Negli Istituti di Milano-Opera, Viterbo, Nuoro e Sassari-Bancali il Rapporto tematico per l’anno 2023 del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale sul regime detentivo speciale ex articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario riferisce che non risultano persone impiegate in attività lavorative (v. pag. 3).
[57] In particolare, negli istituti penitenziari di Novara, Parma e Milano-Opera sono presenti «aree riservate» con socialità limitata a due persone (cd. socialità binaria).
[58] Questione distinta riguarda l’acquisto o l’abbonamento a giornali o riviste di carattere erotico, che la giurisprudenza della Corte di cassazione ha recentemente risolto in termini sfavorevoli al detenuto richiedente: v. Sez. 1, n. 36865 del 11/10/2021.
[59] V. Corte costituzionale, sentenza n. 122 dell’8 febbraio 2017. In argomento v. A. Della Bella, Per la Consulta è legittimo il divieto imposto ai detenuti in 41-bis di scambiare libri e riviste con i familiari, in Dir. pen. cont., 16 giugno 2017; S. Amato, Un messaggio nella bottiglia (e un’occasione perduta), in Giur. pen. Web, 2017, 7-8; A. Longo, «Est modus in rebus». Modalità e contesto nella compressione dei diritti fondamentali, a partire dalla sentenza della Corte costituzionale n. 122 del 2017, in Nomos, 3, 2017; F. Mannella, Le restrizioni alla libertà di corrispondenza, di informazione e di studio dei detenuti in regime di c.d. carcere duro: la Corte costituzionale, in accordo con la Cassazione, salva l’art. 41-bis ord. pen. e la discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria in materia, in Costituzionalismo.it, 1, 2017.
[60] Cenni critici al regime descritto si rinvengono già nel Rapporto tematico per l’anno 2019 del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale sul regime detentivo speciale ex articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario.
[61] Sez. 1, n. 49280 del 28/09/2022, Rv. 283819 - 01; Sez. 1, n. 43484 del 30/09/2021, Rv. 282213 – 01.
[62] Il progetto ha dovuto essere, però, accantonato in attesa dell’avvicendamento al vertice del Dipartimento deciso dal Consiglio dei Ministri.
[63] Inoltre, la Corte di cassazione ha anche ritenuto che in virtù del rinvio operato all’art. 10, comma 1, dall’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f), Ord. pen., anche per i detenuti sottoposti al regime differenziato la limitazione della permanenza all’aria possa avvenire solo se giustificata da motivi eccezionali.
[64] Cfr. ordinanza n. 2907/2020 del Magistrato di Sorveglianza di Spoleto del 23/11/2020, resa nel procedimento Sius n. 2921/2020.
[65] V. ordinanza n. 1933 del Magistrato di sorveglianza di Novara in data 18/12/2020 resa nell’ambito del procedimento Sius n. 396/2020.
[66] Si veda l’ordinanza n. 694 del Magistrato di sorveglianza di Viterbo del 12/05/2022, resa nell’ambito del procedimento SIUS 4887/2021.
[67] In questi termini v. Sez. 1, n. 7654 del 12/12/2014, dep. 2015, Trigila, Rv. 262417-01; e più di recente Sez. 1, n. 9022 del 23/11/2022, dep. 2023, Gallico, non massimata; Sez. 1, n. 9021 del 23/11/2022, dep. 2023, Gallico, non massimata; Sez. 1, n. 48958 del 28/19/2022, Madonia, non massimata; Sez. 1, n. 31634 del 24/06/2022, Gallico, non massimata.
[68] L’opposta soluzione è stata, invece, sostenuta da Sez. 1, n. 29007 dell’11/06/2021, G., non massimata e rimasta decisamente minoritaria.
[69] In questi termini v. Sez. 1, n. 48956 del 28/19/2022, Madonia, non massimata.
[70] In particolare, l’autorizzazione ben potrebbe essere data, quotidianamente, dal responsabile del turno della sorveglianza a partire dalla richiesta della persona detenuta formalizzata entro una fascia oraria predeterminata, con la successiva trascrizione in un registro delle caratteristiche del bene ceduto, del destinatario e del richiedente, al fine di consentire la tracciabilità dello scambio da parte del direttore e del responsabile del R.O.M.
[71] E’ il caso deciso dal Magistrato di sorveglianza di Roma con ordinanza n. 346 emessa il 18/01/2021 nell’ambito del procedimento n. 28741/2019 SIUS.
[72] I rischi di «distorsione mediatica» nella applicazione dell’istituto, connessi alla confusione tra l’aspetto preventivo del regime differenziato e le finalità meramente retributiva, estranea alla legge e alla Costituzione sono ben evidenziati da S. Ardita, Problematiche di prevenzione e valutazioni di legittimità nell’applicazione del regime detentivo speciale dell’art. 41-bis dell’ord. pen., in Rass. penit. e crimin., 2004, pag. 42.
Il 6 aprile u.s. è stata pubblicata l’importante sentenza delle Sezioni Unite n. 9479/2023 sulla tutela del consumatore nell’esecuzione forzata fondata su titolo costituito da decreto ingiuntivo non opposto. La Corte ha affrontato il delicato problema posto da quattro coeve pronunce della CGUE, emesse dal Collegio della Grande Sezione in data 17 maggio 2022 (sentenza in C-600/19, Ibercaja Banco; sentenza in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C831/19, Banco di Desio e della Brianza; sentenza in C-725/19, Impuls Leasing Romania; sentenza in C-869/19, Unicaja Banco), una delle quali (sentenza in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C831/19, Banco di Desio e della Brianza) a seguito di rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Milano con ordinanze del 10 agosto 2019 e del 31 ottobre 2019. La questione posta da quest’ultima richiesta pregiudiziale può essere sintetizzata nei seguenti termini: «(…) se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. Nella causa C-831/19, esso chiede altresì se la circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva abbia una qualsivoglia rilevanza al riguardo».
La questione era giunta alla S.C. grazie al ricorso straordinario di un consumatore che, dopo aver subìto l’espropriazione forzata di un immobile in qualità di garante di un’impresa di costruzioni, aveva sollevato in fase di distribuzione del ricavato una contestazione sull’inesistenza del credito della banca procedente perché il decreto ingiuntivo non opposto, in base al quale l’esecuzione era stata compiuta, era stato emesso da giudice territorialmente incompetente (nullità di protezione). Dopo un’ordinanza negativa del g.e., l’opposizione ex art. 617 c.p.c. proposta dal consumatore era stata rigettata dal tribunale, e la relativa sentenza era stata appunto impugnata con ricorso straordinario.
Tuttavia, prima della celebrazione della pubblica udienza (fissata per l’indubbia rilevanza delle questioni implicate) il ricorso veniva rinunciato. Ciò che non ha impedito alla Corte, dopo la declaratoria dell’estinzione, di pronunciare taluni princìpi di diritto d’ufficio a norma dell’art. 363, comma 3, c.p.c. Premette infatti la Corte: «L’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, ex art. 363 c.p.c., non ha “un carattere meramente esplorativo o preventivo”, ma si lega necessariamente alla fattispecie concreta oggetto di cognizione (Cass., S.U., n. 404/2011 e Cass., S.U., n. 23469/2016). E ciò anche là dove la norma anzidetta intesta tale potere direttamente in capo alla Corte di cassazione (terzo comma dell’art. 363 c.p.c.) e ne attiva, dunque, la funzione nomofilattica pur a prescindere, eccezionalmente, dalla decisione sul fondo delle censure con effetti sul concreto diritto dedotto in giudizio. Dunque, anche nell’applicazione dell’istituto del principio di diritto nell’interesse della legge rimane viva e vitale quella necessaria compenetrazione tra l’esercizio dei compiti di nomofilachia e i “fatti della vita” portati dalle parti dinanzi al giudice. Ciò dà fondamento alle ragioni di una disciplina che, a fronte di questioni di diritto e di fatto rivestenti particolare importanza, consente di pronunciare una regola di giudizio che, sebbene non influente sulla concreta vicenda processuale, serva tuttavia come criterio di decisione di casi analoghi o simili (tra le altre, Cass., S.U., n. 27187/2007 e Cass., S.U., n. 19051/2010)» (sentenza, § 3.).
Senonché – è curioso rilevarlo in limine – nonostante la premessa incentrata sul comma 3 dell’art. 363 c.p.c., le SS.UU. incorrono in un incidente freudiano. Infatti, dopo aver giustificato (a fronte della norma che parla di inammissibilità del ricorso, previsione che dalla stessa Corte è stata estesa a tutti i casi in cui il ricorso non può essere deciso nel merito) la declaratoria d’ufficio dei principi di diritto “nell’interesse della legge”, la Corte motiva che la questione «per i connotati che la caratterizzano e per le implicazioni che ne discendono, si presta, altresì, ad essere esempio paradigmatico di come possa trovare virtuosa applicazione l’istituto, di nuovo conio, del rinvio pregiudiziale di cui all’art. 363-bis c.p.c. (introdotto dall'art. 3, comma 27, lett. c, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, con decorrenza dal 1° gennaio 2023 per effetto dell'art. 35, comma 7, del citato d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lett. a), della legge 29 dicembre 2022, n. 197), rimesso alla valutazione del giudice di merito in base a concorrenti presupposti (questione di diritto, necessaria alla definizione anche parziale del giudizio non ancora risolta da questa Corte di cassazione, che presenta gravi difficoltà interpretativa e che è suscettibile di porsi in numerosi giudizi), tutti ricorrenti nel caso in esame» (§ 2.3.). Al punto che, nel prosieguo della motivazione, la Corte appare del tutto dimentica dell’art. 363, comma 3, c.p.c., e parla della «presente pronuncia nomofilattica ex art. 363-bis c.p.c.» (§ 6.), come se, appunto, un giudice di merito l’avesse investita ab origine di una questione pregiudiziale interpretativa. Il lapsus è rivelatore, perché da un lato riflette l’attuale tensione della Corte verso una giurisdizione “nomofilattica” in quanto meramente consultiva e “in purezza”, dall’altro lato mette in luce lo stretto legame esistente tra i due istituti che in vari contributi, apparsi anche su questa Rivista, abbiamo appunto identificato come gli indici (o i sintomi) più significativi del mutamento istituzionale (in atto e in prospettiva) della nostra Cassazione. Al punto che la stessa Corte sembra confondere i due istituti in maniera piuttosto plateale.
Torniamo ora alla questione posta dalla GCUE.
Il problema da risolvere non era di poco momento, perché invitava a ripensare criticamente i poteri cognitivi del giudice del monitorio e l’efficacia del decreto ingiuntivo non opposto, nonché i poteri del giudice dell’esecuzione in relazione al titolo esecutivo costituito dal decreto. Le sentenze della CGUE avevano sollevato un ampio dibattito e molte soluzioni erano state indicate (anche dalla P.G.) sul piano dell’adeguamento giurisprudenziale; tenuto conto che una questione dirompente come quella della stabilità del giudicato e dei poteri del g.e. rispetto al titolo esecutivo “passato in giudicato” (nei limiti in cui questa formula possa essere richiamata a proposito del decreto ingiuntivo non opposto) avrebbero potuto giustificare un intervento del legislatore con l’introduzione di una disciplina ad hoc per la tutela speciale del consumatore.
Personalmente, avevo pensato – mantenendo la questione sul piano dell’adeguamento giurisprudenziale, dato lo scarso interesse che il legislatore ha sempre colpevolmente mostrato per questioni similari – che l’occasione era propizia per rivedere, a diritto positivo invariato, l’orientamento della giurisprudenza consolidata sull’estensione del giudicato derivante dal decreto ingiuntivo non opposto (La Corte di Giustizia stimola una riflessione su contenuto e limiti della tutela monitoria, in Rass. esec. forz., 2023, 126 ss.), sembrandomi irragionevole ritenere – come appunto la giurisprudenza fa – che un titolo emesso senza previo contraddittorio possa attingere gli stessi risultati della sentenza passata in giudicato anche sui “presupposti impliciti” e “logicamente necessari”; e avevo pensato che, una volta “degradato” il decreto ingiuntivo non opposto al rango di un titolo stragiudiziale, gli strumenti interni al processo esecutivo (dal potere di rilevazione d’ufficio del g.e. alle opposizioni esecutive) avrebbero consentito di fornire una risposta tranquillante alle questioni poste dalla CGUE senza compiere totali stravolgimenti della normativa di riferimento, che stimavo (sbagliando, evidentemente) impossibili in via interpretativa perché appunto riservati al legislatore (cfr. A.M. Soldi – B. Capponi, Consumatore e decreto ingiuntivo: le soluzioni ermeneutiche percorribili per l’integrazione tra diritto eurounitario e diritto interno, in www.judicium.it dal 10 febbraio 2023). D’altra parte, a supporto della mia opinione avevo rilevato che nessuna norma del procedimento speciale parla mai della formazione del giudicato sul decreto ingiuntivo perché il fenomeno regolato, e che continuamente riemerge nella disciplina speciale degli artt. 633 ss. c.p.c., è unicamente quello dell’esecutorietà del decreto. Anche la prospettiva storica mostra che il nostro legislatore non si è mai preoccupato di associare alla produzione dell’effetto di esecutorietà il diverso effetto della formazione del giudicato: l’art. 6, comma 1, r.d. 24 luglio 1922, n. 1036, si limitava infatti a prevedere che «qualora non sia proposta l’opposizione nel termine stabilito, il decreto d’ingiunzione acquista forza di sentenza spedita in forma esecutiva ed è titolo per la ipoteca giudiziale»; tale formula venne sostituita dall’art. 16, comma 1, r.d. 7 agosto 1936, n. 1531, con la seguente: «quando non sia stata fatta opposizione nel termine stabilito il conciliatore, il pretore o il presidente, su istanza anche verbale del ricorrente, dichiara la definitiva esecutorietà del decreto», e, in sostanza, tale lezione è quella ribadita dall’attuale art. 647 c.p.c. Mi sembrava quindi che, tutto sommato, le sentenze della CGUE imponessero un ripensamento non di una norma (che non c’è) bensì soprattutto di un orientamento giurisprudenziale tanto consolidato quanto opinabile perché metteva sullo stesso piano la sentenza e il decreto ingiuntivo non opposto.
Le SS.UU. sono state di diverso avviso, e dopo una complessa motivazione hanno deliberato il seguente dispositivo:
La Corte, a Sezioni Unite, dichiara l’estinzione del giudizio di legittimità per intervenuta rinuncia e, nell’interesse della legge, enuncia i seguenti principi di diritto:
Fase monitoria
Il giudice del monitorio:
a) deve svolgere, d’ufficio, il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia;
b) a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell’art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d’ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d’ingiunzione: b.1.) potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore;
b.2) ove l’accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un’istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l’istanza d’ingiunzione;
c) all’esito del controllo:
c.1) se rileva l’abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all’accoglimento parziale del ricorso;
c.2) se, invece, il controllo sull’abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell’art. 641 c.p.c., anche in relazione alla
anzidetta effettuata delibazione;
c.3) il decreto ingiuntivo conterrà l’avvertimento indicato dall’art. 641 c.p.c., nonché l’espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.
Fase esecutiva
Il giudice dell’esecuzione:
a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;
b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;
c) dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo;
d) fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito;
(ulteriori evenienze)
e) se il debitore ha proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l’abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii);
f) se il debitore ha proposto un’opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva – se del caso rilevando l’abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.
Fase di cognizione
Il giudice dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.:
a) una volta investito dell’opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art. 649 c.p.c., l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l’accertamento sull’abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale;
b) procederà, quindi, secondo le forme di rito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il 7 febbraio 2023.
Siamo, probabilmente, dinanzi al dispositivo più articolato e complicato mai pronunciato dalla Cassazione. E siamo, all’evidenza, dinanzi a una decisione che non interpreta (secondo quanto previsto dall’art. 363 bis c.p.c., norma alla quale la Corte si è all’evidenza ispirata) bensì crea nuovo diritto, piegando alle necessità del caso “consumeristico” una serie di istituti processuali che, sinora, avevano ricevuto una diversa applicazione. Oltre la giustezza o l’opinabilità delle ricostruzioni offerte dalle SS.UU. un dato risulta chiaro: la Corte ha fatto quel che avrebbe potuto fare il legislatore, posto che siamo ben oltre la mera interpretazione del diritto esistente (anche di matrice “giurisprudenziale”). Ha fatto ciò che normalmente non fa la Corte costituzionale, quando si arresta dinanzi al potere discrezionale del legislatore, cui implicitamente rinvia la soluzione del caso.
Nell’economia del discorso che stiamo svolgendo – che riguarda soprattutto il ruolo che la Corte intende occupare nel futuro della “nomofilachia” – non è necessaria un’analisi dettagliata delle varie prescrizioni di questo interminabile dispositivo “creativo”. Basti tuttavia osservare:
-l’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo, secondo l’art. 650 c.p.c., deve essere giustificata (comma 2) da irregolarità della notificazione del decreto, caso fortuito o forza maggiore, e non è più ammessa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione (comma 3); quella di cui parlano le SS.UU. ne conserva il nome, ma si tratta in realtà di istituto che ha presupposti del tutto diversi;
-il giudice dell’opposizione a precetto, dovendo “riqualificare” l’opposizione esecutiva in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., perde il potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo (art. 615, comma 1, c.p.c.) a vantaggio del potere sospensivo del giudice dell’opposizione tardiva ex art. 649 c.p.c., che, tuttavia, tale potere potrà esercitare in tempi anche di molto posposti rispetto a quelli del giudice dell’opposizione a precetto (che viene così privato di un potere che la legge gli attribuisce);
-allo stesso modo, il g.e., investito della fase sommaria dell’opposizione all’esecuzione, non potrà sospendere l’esecuzione (art. 624 c.p.c.) bensì dovrà, con un implicito provvedimento di rimessione in termini (che forse dovrebbe competere al giudice adito), invitare l’esecutato a proporre, nei quaranta giorni successivi, l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., impegnandosi, dal canto suo, a non provvedere sulla vendita o l’assegnazione in attesa che il giudice dell’opposizione tardiva provveda ex art. 649 c.p.c.; siamo sempre dinanzi a una dilazione degli atti simile alla sospensione (avverso la qual dilazione non sarà però esperibile il reclamo nelle forme del cautelare), ma coordinata a una situazione processuale del tutto nuova: in cui il g.e., in sostanza, ravvisa una sorta di pregiudizialità a favore del giudice dell’opposizione tardiva (dinanzi al quale il giudizio ancora non pende) che non gli consente di provvedere sull’opposizione esecutiva (che deve cedere il passo all’opposizione tardiva a d.i.); potere che dovrebbe tuttavia riemergere qualora, nonostante il suo invito, l’interessato non sperimenti l’opposizione tardiva a d.i. nel termine assegnato, ipotesi peraltro non presa in diretta considerazione dalle SS.UU.;
-a sua volta il g.e., per verificare la presenza di clausole abusive nel contratto che ha dato origine all’ingiunzione non opposta, deve svolgere un sommario accertamento documentale che di norma gli è precluso, perché i titoli esecutivi di formazione giudiziale non possono essere sindacati nel loro intrinseco ovvero ripercorrendo criticamente il processo della loro formazione. Il richiamo alle controversie distributive e all’accertamento dell’obbligo del terzo appare fuori luogo, perché in quei casi il g.e. è chiamato a svolgere, ai soli fini interni all’esecuzione in atto, un accertamento sommario in difetto del quale il processo esecutivo non potrebbe andare avanti, mentre nel caso attuale quel processo deve, semmai, arrestarsi;
-qualora risulti proposta l’opposizione all’esecuzione (art. 615, comma 2, c.p.c.) o altra opposizione esecutiva (l’esecuzione è dunque già iniziata), il g.e. dovrà assegnare al consumatore termine di quaranta giorni per proporre l’opposizione tardiva a d.i., ma non è chiaro quale sarà la sorte dell’opposizione già proposta, fermo restando che il g.e. non potrà né autonomamente sospendere né compiere atti della procedura sin quando il giudice dell’opposizione tardiva non si sia pronunciato a norma dell’art. 649 c.p.c. E mentre l’opposizione a precetto va “riqualificata”, le SS.UU. non si spingono ad affermare che identica sorte spetta alle opposizioni esecutive, il che pone il problema dei rapporti con l’opposizione tardiva a d.i. di successiva instaurazione (ma di fatto “pregiudiziale”).
Molto altro potrebbe dirsi e, siamo certi, molto altro sarà detto nei più ragionati commenti a questa “rivoluzionaria” sentenza delle SS.UU.; dal nostro limitato angolo prospettico, è però sufficiente osservare che la Cassazione ha colto una ghiotta (dal suo punto di vista) occasione per annunciare al mondo dei giuristi quali traguardi futuri intende prefiggersi: la creazione di un diritto “libero” in cui gli istituti disegnati dai codici possono tradursi, al più, in fonte di ispirazione per adattamenti e manipolazioni ormai del tutto svincolati dal dato normativo e dalle concezioni sinora ricevute anche del rapporto tra cognizione ed esecuzione. La funzione interpretativa delle leggi viene surclassata dalla funzione di pura creazione di regole nuove, che confliggono con l’esistente giustificandosi con esigenze di tutela “speciale”. Un potere di simile estensione non è mai stato riconosciuto neppure alla Corte costituzionale, che pure è il “giudice delle leggi”.
Saranno, evidentemente, gli interpreti e soprattutto i giudici di merito a dirci se questi programmi potranno trovare conferma, e se essi saranno disposti ad applicare norme, specie processuali, coniate dalla Cassazione spigolando qui e là da un dato positivo che si mostra sempre più incerto e recessivo.
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