ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
L’evoluzione della magistratura italiana in età repubblicana: un profilo storico
Intervento di Antonella Meniconi al 36° Congresso dell'ANM, Palermo 10-12 maggio 2024
Sommario: 1. Premessa – 2. La Costituzione tra eredità del passato e lenta attuazione – 3. Il cambiamento di prospettiva (1961-1992) – 4. Una nuova fase (1994-?).
Porgo un saluto deferente al presidente della Repubblica e alle autorità presenti.
Ringrazio molto il presidente Giuseppe Santalucia e l’Associazione per avermi invitato a fornire il mio contributo in questa prestigiosa occasione.
Dopo una breve premessa, il mio intervento si concentrerà su tre momenti importanti nella storia della magistratura e del nostro Paese nel periodo repubblicano:
1. Premessa
Un lungo e accidentato cammino ha portato la magistratura dagli esordi stentati nell’età liberale alla compressione della libertà del giudice durante il fascismo fino a giungere alla Costituzione repubblicana e al riconoscimento pieno dell’indipendenza ma poi alla sua lenta attuazione e alle tensioni per realizzarla degli anni Sessanta e Settanta, che contribuirono ad avviare la democratizzazione dell’ordine giudiziario e l’adeguamento della giurisprudenza ai principi costituzionali.
Un cammino complesso che – possiamo dire – ha portato alla nascita di un nuovo modello di giudice, un giudice che definirei «democratico» nel senso della attuazione piena della funzione costituzionale. Un giudice che si è dimostrato in grado di fronteggiare con coraggio e con dolorosi sacrifici il terrorismo, le mafie e la corruzione. E che ora si trova a dover far fronte alle nuove sfide poste dalla crescente domanda di giustizia (e non solo in termini quantitativi) di una società in rapida evoluzione e alla necessità di riaffermare i valori di indipendenza e autonomia costituzionali nel nuovo contesto che si profila[1].
2. La Costituzione tra eredità del passato e lenta attuazione
Nel novembre del 1950, al V Congresso nazionale dei magistrati italiani che si svolse a Napoli, Piero Calamandrei, già «padre costituente», allora anche presidente del Cnf, sottolineò come il lavoro dei magistrati impegnati in quell’assise si potesse definire come quello degli «architetti» della Costituzione.
«Voi – diceva il giurista fiorentino – cooperate col vostro consiglio a portare a compimento l’augusto edificio costituzionale che la Costituzione lasciò necessariamente incompiuto».
Mancava, infatti, a quasi tre anni dall’approvazione della Carta, «il coronamento supremo di quell’edificio che dovrebbe essere non solo il simbolo visibile, ma proprio la garanzia interna di una coesione stabile», quella più importante, ovvero – sempre secondo Calamandrei – «la indipendenza della Magistratura impersonata dal Consiglio superiore che la Costituzione ha voluto porre sotto l’alta presidenza del Capo dello Stato». Se ci si batteva – come facevano allora i magistrati riunitisi nell’Anm – perché l’indipendenza divenisse realtà, ci si batteva dunque per il consolidamento e il compimento della Repubblica[2].
La Costituzione aveva introdotto una rottura forte rispetto all’assetto precedente, connotato dalla soggezione del giudice, e ancor più del pubblico ministero, sia al potere politico, sia a quello dei superiori gerarchici, scelti a loro volta dal governo.
Una gabbia gerarchica avvolgeva allora l’esercizio dell’attività giurisdizionale; una gabbia rafforzata dall’Ordinamento Grandi del 1941, ma in parte già attiva e operante anche nel periodo liberale, quando margini di autonomia maggiore erano magari riconosciuti alla magistratura giudicante, ma non però a quella requirente sottoposta, anche per quello che atteneva alle sue funzioni, alla direzione del guardasigilli[3].
Il controllo gerarchico e politico fu solo in parte rimosso con la c.d. Legge Togliatti delle guarentigie del 1946, che aveva, tra l’altro, stabilito l’elettività del Consiglio superiore della magistratura e della Corte suprema disciplinare (due organi separati, entrambi istituiti nel primo Novecento dal ministro di Giolitti Vittorio Emanuele Orlando), ma che restavano composti solo da alti magistrati.
L’azione del ministro comunista – lo avrebbe poi rivendicato egli stesso in Assemblea costituente – si era spinta «sino al limite estremo delle garanzie dell'indipendenza e dell'autonomia, ma non [aveva fatto ancora] della Magistratura un potere autonomo dello Stato»[4].
Una pagina nuova si apriva con la Carta costituzionale: una «Giustizia con l’abito nuovo», per citare un anonimo commentatore dell’agosto 1943 (a soli pochi giorni dalla caduta del fascismo), avrebbe smesso la «clamide dittatoriale» per tornare «alla sua vecchia e fiera tradizione»[5]. Forse la tradizione, come ho detto, non era stata tutta virtuosa, ma che si dovesse superare il fascismo era un fatto dato per assodato.
Non voglio certo ricordare a voi i principi fondamentali che la nostra Costituzione ha stabilito, mi limiterò a elencarli:
la magistratura è riconosciuta come “ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” (art. 104, c. 1);
viene affermata l’indipendenza dei singoli giudici, stabilendo che essi sono soggetti soltanto alla legge (art. 101, c. 2);
ai magistrati (quindi anche ai p.m.) è riconosciuta la garanzia dell’inamovibilità. (art. 107, c.1) e della eguaglianza secondo il principio che “i magistrati si distinguono soltanto per diversità di funzioni” (art. 107, c. 3).
Per rendere effettiva una condizione essenziale dell’indipendenza dei magistrati viene istituito il Csm cui erano attribuiti compiti di autogoverno, in particolare in materia di assunzioni, assegnazioni di sede e di funzioni, promozioni, trasferimenti, e provvedimenti disciplinari (art. 105) nei confronti di tutti i magistrati.
Al dicastero della Giustizia erano tassativamente riservate solo attribuzioni riguardanti l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia (art. 110). Il ruolo di controllo della legalità sull’operato degli altri apparati dello Stato e del potere politico era garantito dall’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112), che imponeva al p.m. il potere-dovere di procedere nei confronti di qualsiasi reato, da chiunque commesso, in attuazione del principio di eguaglianza.
Di fatto nel testo costituzionale si prevedeva il superamento dei precedenti modelli (quello dell’integrazione/dipendenza e quello della separazione/dipendenza).
L’Assemblea costituente abbandonava totalmente l’idea del giudice-funzionario, disegnando uno «statuto», e un modello di magistrato, che rafforzava e garantiva la sua indipendenza, valorizzandone il ruolo professionale.
Questo sistema fu rafforzato dall’applicazione rigorosa del principio del «giudice naturale», che, stabilita l’attuazione della disciplina relativa al sistema della precostituzione del giudice impedì la possibilità per chiunque di operare in modo tale da scegliersi il magistrato da cui farsi giudicare.
Nei decenni successivi, tuttavia, questi valori costituzionali stentarono ad affermarsi: tardò l'istituzione della Corte costituzionale e del Csm, avvenute rispettivamente nel 1956 e nel 1958; intanto due disposizioni transitorie frenarono ulteriormente l’attuazione costituzionale: si prevedeva, infatti, che, fino a quando non fosse stato emanato il nuovo ordinamento giudiziario, si continuassero ad applicare le norme del 1941 (modificate, ma solo in parte, come si è accennato nel 1946). Inoltre, il controllo di costituzionalità sarebbe stato esercitato secondo le norme allora vigenti fino all’entrata in funzione della nuova Corte costituzionale, e ciò comportava che quel compito fosse affidato alla Cassazione. Il che avrebbe dopo il 1956 generato non pochi conflitti tra le due istituzioni, superati poi con la prevalenza finale del nuovo organo.
Le ragioni di questo che è stato definito anche (da Calamandrei) «congelamento costituzionale», sono molteplici.
Caduto il regime, molta parte della struttura amministrativa e giudiziaria precedente restò in piedi, per lo meno lungo tutto il primo decennio repubblicano. Si è parlato di «continuità» tra il regime fascista e la nuova Repubblica: fu una continuità anche e forse soprattutto di uomini, di élites dirigenti formatesi durante l’esperienza del regime. Non vi fu, peraltro, un’epurazione dei vertici della magistratura più compromessi con il fascismo, come del resto ciò non avvenne in tutta l’amministrazione dello Stato: tentata timidamente nel 1944-45, l’epurazione fu definitivamente accantonata dopo la proclamazione della Repubblica e l’amnistia del 22 giugno 1946[6].
Per questi e per altri motivi (legati al mutato contesto internazionale e alla rottura dell’unità antifascista), i cambiamenti profondi sanciti dalla Costituzione faticarono a penetrare nelle stanze chiuse del Ministero della giustizia, e ancor più nei palazzi marmorei dei tribunali. Una eredità difficile da gestire condizionò la nascita e lo sviluppo del nuovo Stato democratico, anche in termini di «stili» giudiziari e modalità di esercizio del potere giurisdizionale, nonché in ragione di un fattore generazionale da non sottovalutarsi. Non era un caso che il modello «sacerdotale» del magistrato, «decoroso funzionario», tecnocrate e burocrate, rimanesse, nella pubblicistica solo di poco precedente alla Costituzione (il volumetto assai diffuso Il sacerdote di Temi del magistrato Guido Raffaelli edito nel 1945), l’archetipo asettico anche se ormai già un po’ démodé del buon giudice italiano[7].
L’entrata in funzione del Csm (nel 1959, dopo l’emanazione della legge dell’anno precedente)[8] fu il primo elemento ad aprire la crisi del sistema; insieme alla rifondazione nel 1945 dell’Anm e al crescere del dibattito sull’indipendenza e l’autonomia della magistratura. Un dibattito che non solo si sviluppò in seno all’Associazione ma anche in altre sedi «miste» di giuristi di diversa provenienza (come il Centro d’Azione per la Riforma Giudiziaria, fondato nel 1949, poi dal 1962 riorganizzato nei Comitati di azione per la giustizia)[9].
Era però – quello del 1959 – ancora un Csm a rigida composizione gerarchica, nel quale mantenevano salde posizioni di preminenza i giudici della Cassazione. Essi rappresentavano salvo eccezioni, per ragioni anagrafiche oltre che ideologiche, la quintessenza del conservatorismo giudiziario. Di fatto il nuovo Csm risentiva del clima polemico, e anche frettoloso, nel quale era nato, e la stessa legge istitutiva, che ne aveva limitato la portata su alcuni punti decisivi, sarebbe stata sottoposta a dure critiche dalla dottrina e dalla magistratura, fino al punto da essere ritenuta per alcuni versi incostituzionale.
La prima consiliatura del Csm, che ancora all’epoca si riuniva nella Sala degli Arazzi al Quirinale, dove spesso il presidente Gronchi, che ne aveva fortemente voluto l’istituzione, partecipava quasi al termine della sua giornata di lavoro, fu connotata in definitiva dal tentativo di configurare un organo meramente amministrativo (quasi di «consulenza del ministro»)[10], piuttosto che come il vertice di un potere autonomo di «rilevanza costituzionale» quale stabilito dalla Carta del 1948[11].
L’inaugurazione della nuova sede nel restaurato Palazzo dei Marescialli (ora intitolato a Vittorio Bachelet) avvenne il 15 febbraio 1962. Iniziava così anche una fase strutturalmente diversa della vita del Csm.
3. Il cambiamento di prospettiva (1961-1992)
Il 1961 fu un anno importante. Si tenne infatti un primo importante convegno scientifico, con la partecipazione di magistrati, politici, studiosi anche stranieri, organizzato da Giuseppe Maranini (poi criticato nell’assise di Gardone di quattro anni successiva), dal titolo «Magistrati o funzionari?», che era poi l’interrogativo retorico, che si poneva chi voleva un cambiamento di prospettiva dopo la deludente prova della legge di attuazione del Csm. Il futuro della magistratura italiana appariva allora come sospeso tra due idee contrapposte: un corpo giudiziario composto da «giuristi che traevano la loro qualificazione da un elevato grado di professionalità» e dal rispetto dei dettami della Costituzione; oppure un segmento sociale di specialisti caratterizzato da una progressione in carriera tipica dei funzionari pubblici, com’era stata in definitiva fino ad allora lungo l’intera esperienza dello Stato liberale e in quello fascista?[12]. In termini attuali si potrebbe tradurre così: esponenti di un ramo della burocrazia statale sia pure prestigioso e autorevole oppure membri di una istituzione posta a cerniera tra la Repubblica e la società civile?
E in effetti il rischio di una burocratizzazione del «mestiere di giudice» – è stato avvertito recentemente da magistrate autorevoli come Gabriella Luccioli – è un pericolo presente anche nella realtà odierna.
I Sessanta furono, d’altronde, gli anni del cosiddetto «disgelo costituzionale», cioè la fase storica in cui emerse con più nettezza – sino ad apparire insopportabile – la contraddizione profonda tra i principi costituzionali e l’ordinamento giuridico ereditato dal fascismo. Il tumultuoso sviluppo di una società attraversata da un’accelerata modernizzazione (erano gli anni del boom economico) e i nuovi equilibri politici rappresentati dai governi di centro-sinistra avrebbero presto inciso anche sul tradizionale assetto del potere giudiziario. Così come avrebbero inciso le difficoltà di adeguare la struttura giudiziaria così com’era organizzata allora alla domanda crescente di giustizia posta dalla modernizzazione (si pensi allo sviluppo di intere aree del diritto come quello del lavoro, alle novità presentatesi nel diritto commerciale e bancario, ai mutamenti radicali che si profilavano in ambito penale).
Si formava contemporaneamente nelle università, sulle riviste specialistiche, negli studi legali, negli stessi tribunali una generazione nuova di intellettuali accomunati dall’esigenza di ripensare metodi e categorie delle scienze giuridiche. Anche la contestazione del potere assoluto delle alte gerarchie giudiziarie si svolgeva con un forte connotato generazionale: nel 1968 tutti i magistrati di Cassazione (e il 70 per cento di quelli d’appello) risultavano in servizio da prima del 1944, mentre ben il 99 per cento dei componenti dei tribunali erano entrati dopo quello spartiacque. A dieci anni dalla istituzione del Csm l’«alta magistratura», da cui erano tratti i capi degli uffici giudiziari, proveniva per tre quarti dal periodo fascista nel quale si era formata e aveva compiuto parte della carriera, mentre i gradi «inferiori», i giovani, erano stati reclutati pressoché interamente dopo la caduta della dittatura[13]. Una leva di «pretori-ragazzi» dirigeva molte delle preture: ne erano entrati 3.154 tra il 1946 e il 1957 su circa 5.000 posti in organico.
Avanzava in quegli anni un’impostazione basata innanzitutto sulla critica del formalismo giudiziario, cioè alla teoria del giudice «bocca della legge» posta a fondamento del controllo gerarchico, a cui adesso si contrapponevano due obiettivi ormai imprescindibili: la rilevanza dell’ideologia costituzionale (i valori del giudice, il sistema di linee guida rappresentato dalla Costituzione) e l’indipendenza (la separazione del magistrato dalla sua origine di classe, la sua terzietà rispetto al conflitto sociale). Del resto, se si pongono a confronto lo stile delle sentenze della Suprema Corte e quello delle pronunce dei pretori (più tardi definiti «d’assalto» dalla stampa conservatrice) non si può non rilevare – pur ovviamente nella differente funzione delle due giurisdizioni – il diverso «stile», la sensibile attenzione posta dai secondi alle materie del diritto del lavoro, della libertà sindacale e di sciopero, ai diritti civili, alla libertà di riunione, di associazione, di manifestazione del pensiero, di stampa, di espressione artistica e cinematografica. Spesso – come emerge dai documenti d’archivio – il confronto tra queste due concezioni sarebbe giunto a un punto critico, provocando il deferimento davanti alla sezione disciplinare del Csm di giovani magistrati ritenuti colpevoli di partecipare troppo attivamente alla vita politica e sociale del tempo: e il Csm avrebbe dovuto allora esercitare tutta la sua capacità e il suo ruolo di mediazione per tenere insieme le due anime del corpo giudiziario. Insomma, una lotta forse non solo sorda si combatteva in quegli anni tra innovatori e conservatori.
Cionondimeno si apriva una stagione «straordinaria» – secondo le parole di Adolfo Beria di Argentine, che vi prese parte – con protagonisti di diverso orientamento politico e culturale uniti nell’avvertire i «sussulti del rinnovamento che attraversava il Paese», un movimento repentino e travolgente cui occorreva che la giurisdizione desse risposta.
Dal punto di vista «interno», ma con una valenza anche esterna, si succedevano cambiamenti rilevanti.
In primo luogo, la sentenza della Corte costituzionale, che, nel 1963, aveva dichiarato incostituzionali alcune parti della legge del 1958 relative agli eccessivi poteri del guardasigilli, aveva rafforzato l’indipendenza del Csm rispetto al potere esecutivo. Poi nel 1965 e nel 1966, in due discorsi tenuti davanti al Csm, il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, aveva chiesto un profondo rinnovamento della giustizia, auspicando un ruolo più propositivo del Consiglio (anche attraverso la promozione e l’impulso di opportune indagini statistiche) per arrivare a un più efficiente utilizzo dei magistrati, anche con la eventuale revisione delle piante organiche degli uffici giudiziari.
Ma c’era poi un altro fatto, in prospettiva ancora più significativo, che si verificava proprio in quegli anni. Per la prima volta, nel 1963, dopo molte resistenze e un lungo percorso iniziato almeno dal 1919, le donne furono ammesse al concorso in magistratura. Le prime otto vincitrici entrarono in servizio il 5 aprile 1965. Alla fine del 1967 – dopo altre tornate di concorso – si contavano ormai 73 uditrici giudiziarie. Fu l’inizio di una «lunga marcia» dentro le istituzioni: dal 2015 in poi la presenza femminile in magistratura ha superato definitivamente quella maschile.
Anni di cambiamenti, dicevo.
Non è un quindi un caso che nel 1965 – dopo la scissione dell’Umi avvenuta nel 1961 e la costituzione delle correnti (Magistratura indipendente, Terzo Potere e Magistratura democratica) all’interno dell’Anm (che nacquero per esprimere il pluralismo all’interno dell’Associazione) – il congresso di Gardone rappresentasse non solo un momento determinante per l’affermazione di un nuovo modello di giurisdizione, ma fondativo di una nuova idea di giurisdizione in un’Italia che mutava vertiginosamente.
Un evento che portava al centro della società italiana la magistratura («sono presenti oltre un migliaio di congressisti, magistrati, parlamentari, professori, avvocati, giornalisti» ci dicono le cronache congressuali). A Gardone venne approvata all’unanimità, dopo accese e tumultuose discussioni, una mozione che introduceva l’impegno del giudice «alla consapevolezza della portata politico-costituzionale della propria funzione di garanzia, così da assicurare, pur negli invalicabili limiti della sua subordinazione alla legge, un’applicazione della norma conforme alle finalità fondamentali volute dalla Costituzione»[14]. Si apriva adesso una stagione profondamente diversa, segnata dal progetto del giudice interprete e custode dei valori costituzionali.
Un altro mutamento importante riguardò le carriere dei magistrati e contribuì a scardinare il sistema gerarchico:
le nuove regole sull’avanzamento in carriera approvate tra il 1966 e il 1973 (le cd Leggi Breganze e Breganzone) abolirono la progressione di carriera per concorso, stabilendo quella per anzianità con una valutazione del Csm, prima per i magistrati di appello e poi anche per quelli di Cassazione. Il che dava una risposta concreta alle esigenze avanzate dai magistrati anche in termini stipendiali.
Si trattava anche qui di un mutamento quasi «epocale», in quanto il potere sugli avanzamenti di carriera (e relativi stipendi) era stato da sempre una prerogativa gelosamente conservata e puntigliosamente esercitata dalla magistratura dei gradi alti, e si era tradotta in un potere enorme di condizionamento sulla stessa attività giurisdizionale, in quanto il concorso per titoli si basava propriamente sulla valutazione successiva dei provvedimenti giudiziari. Il potere di conformazione così esercitato dalla gerarchia aveva a lungo avuto la meglio sugli indirizzi giurisprudenziali più innovativi (per esempio nel campo del diritto del lavoro o dell’ambiente) o semplicemente sulle indagini scomode nei confronti degli esponenti del potere economico e politico.
Scindendosi ora gli avanzamenti economici dalle funzioni effettivamente svolte, si compiva un passo importante nella direzione dell’indipendenza interna del corpo giudiziario, ma si apriva la strada anche a una sorta di automatismo della carriera, conferendo un ruolo delicatissimo al Csm nella valutazione dei curriculum degli interessati ai fini del conferimento degli incarichi direttivi. Ruolo – va subito detto – che in anni più recenti sarebbe stato però condizionato dal peso delle correnti e dall’influenza della componente laica nelle loro diverse combinazioni[15].
Inoltre, è stato rilevato anche da autorevoli magistrati come la conquistata indipendenza interna ed esterna abbia sconfinato talvolta in una sensazione di irresponsabilità con conseguenze negative anche in termini di «laboriosità», «diligenza», e «contenuto dei provvedimenti»[16].
Gli anni Settanta sono spesso definiti «anni di piombo», ma furono anche, e direi, soprattutto un «decennio operoso» secondo la felice definizione che ne diede nel 1981 Massimo Severo Giannini valutando l’accumularsi in quel decennio di alcune importanti riforme[17]. In effetti, solo a titolo di esempio, si pensi all’approvazione della legge sul divorzio, alla nuova legislazione sul diritto di famiglia, allo Statuto dei lavoratori, alle leggi sul referendum, all’attuazione dell’ordinamento regionale. Tappe importanti per ognuna delle quali il ruolo della magistratura si sarebbe rivelato decisivo.
In questi anni il giudice si trasformava: da mero interprete a soggetto attivo del nuovo diritto (fino a teorizzarne anche un «uso alternativo»), e ciò grazie alla Costituzione e al controllo di costituzionalità «diffuso», cioè affidato al singolo magistrato su ogni singola legge, in un rapporto fondamentale con la Corte costituzionale. L’ampio accoglimento delle eccezioni di costituzionalità sollevate dai giudici di merito contribuì a completare l’opera di riforma, contribuendo a quella che Roberto Romboli ha definito «una defascistizzazione in mano ai giudici».
Non fu però una rivoluzione pacifica. Anche per l’influenza che vi esercitavano fattori esterni (il conflitto sociale e politico via via più aspro), continuava a svolgersi lo scontro mai definitivamente tra due concezioni del giudice: una costruita attorno all’applicazione formale del diritto e alla corrispondente nozione di riserbo attorno alla propria vita professionale (e personale) l’altra incline a un diritto che chiamerei sostanziale, aperto al riferimento costante alla Costituzione; ma anche foriero, nel lungo periodo, di una esposizione pubblica (ben presto anche mediatica) del giudice. Dal 1988 una trasmissione Rai avrebbe avuto un successo quasi travolgente: si intitolava «Un giorno in Pretura» e portava (sarei per dire metteva in scena) i momenti topici di processi talvolta intentati contro gente comune, più tardi contro esponenti del ceto politico soprattutto imputati di corruzione.
Ciò sembrava ad alcuni una apertura democratica (la giustizia diventava finalmente – si diceva – l’agognata casa di vetro alla portata del cittadino); ma ad altri appariva, e forse in fondo era, un metodo malsano di rappresentare la complessa attività del giudice nel processo, stralciandone e spettacolarizzandone gli aspetti più appetibili in chiave di audience per darli in pasto al grande pubblico.
È indubbio, tuttavia, che in quegli anni, dai Settanta in poi (in campo civile, dei diritti, e in campo penale nella lotta al terrorismo) emerse a tutto tondo l’importanza centrale che i magistrati storicamente ricoprono nella società italiana, divenuta assai più evidente negli anni di fine secolo. Si vide, ad esempio, come assumessero un peso le parole delle sentenze, forse anche al di là delle decisioni nel merito: mi ha molto colpito la sentenza del 2005 della Corte di cassazione sulla strage di piazza Fontana del 1969, che non potendo condannare gli imputati li ha dichiarati responsabili di fronte al tribunale della storia[18], un’espressione che forse qualche decennio prima non avrebbe figurato in un atto giudiziario; ma si potrebbero fare molti esempi.
Al tempo stesso, la proiezione pubblica della sfera giudiziaria cominciò a porre un problema, che si sarebbe evidenziato con più forza dall’inizio degli anni Novanta, ovvero quello della responsabilità e della legittimazione politica dei magistrati nel momento in cui godevano di una piena autonomia e indipendenza.
È, peraltro, questo un problema molto attuale, che si lega al tema stesso di questo Congresso, ovvero quello dell’imparzialità nell’esercizio della giurisdizione (ma non solo: anche in ciò che può apparire non imparziale), e dello spazio che può avere l’interpretazione giurisprudenziale nell’ambito dei valori costituzionali e in quelli, successivi, dei principi fondamentali dell’Unione europea, soprattutto quando maggiore è l’ambito di scelta dell’interprete in campi controversi, ovvero quando i valori si contrappongono, ciascuno rivendicando un riconoscimento di tipo costituzionale. Il limite che i magistrati si dovrebbero dare – ha sostenuto Vladimiro Zagrebelsky – sta probabilmente in un self restraint, non certo nell’applicazione nei confronti di tutti della legge penale, come giusto che sia, ma nella riduzione il più possibile della discrezionalità che la legge conferisce loro[19]. Mi sembra una ragionevole riflessione.
Tornando agli anni Settanta, senza ombra di dubbio nella lotta al terrorismo i magistrati pagarono il prezzo più alto di tutti in termini di vite umane. I giudici caduti sia per mano del terrorismo di destra che di quello di sinistra, alla fine di quella sanguinosa stagione, sarebbero stati undici, meticolosamente selezionati nell’élite della magistratura italiana, la più impegnata nel fronteggiare in prima fila l’insorgenza sovversiva. Basterà fare i nomi di Emilio Alessandrini, Guido Galli e Girolamo Tartaglione (tutti, tra l’altro, collaboratori del Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale di Milano) per ricordare quale ferita i terroristi abbiano inflitto allo Stato e alla società civile che si riconosceva nelle istituzioni democratiche e a esse rimaneva tenacemente fedele.
Dal punto di vista della tipologia del lavoro giudiziario – come è stato sottolineato acutamente da Edmondo Bruti Liberati – quest’ultimo sarebbe cambiato in misura notevole, almeno per quanto riguarda le procure e gli uffici di istruzione, aprendosi al lavoro d’équipe e superando il tradizionale modulo organizzativo del giudice dedito isolatamente al proprio fascicolo. Una metodologia, questa, sperimentata con successo durante il terrorismo e poi implementata e istituzionalizzata nella lotta contro le mafie e la corruzione.
Furono questi due che ho appena citati, infatti, gli altri fronti che si aprirono a partire dagli anni Ottanta e Novanta, in cui caddero quattordici magistrati di grande valore. Tra i quali non posso non ricordare, qui, a Palermo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che riuscirono a istruire il maxiprocesso, il quale proprio nel gennaio del 1992 aveva portato a una decisa sconfitta di Cosa nostra (poi confermata in Cassazione). Il primo avrebbe anche promosso, pur tra contrasti anche all’interno della stessa magistratura e revisioni del progetto originario, l’istituzione della Direzione nazionale antimafia e delle Direzioni distrettuali antimafia (1991-1992).
Si trattava a questo punto di una magistratura dotata di una indipendenza «interna», sia «esterna». Una magistratura di altissima qualificazione professionale e dotata di uno spirito di missione, che si trovò a combattere in primo piano le emergenze criminali. Con successo, indubbiamente. Ma anche in una posizione che è stata definita di «supplenza» nei confronti della classe politica. Una classe politica, che, nella sua parte predominante almeno, fu ambigua, in qualche misura connivente se non complice, comunque spesso latitante nei confronti della lotta alle mafie, mentre per quanto riguarda la corruzione divenne a partire dagli anni ’80 una sorta di antagonista della magistratura.
La rottura tra classe politica e magistratura, che non si era verificata nel caso del terrorismo, è stato uno dei fatti istituzionali più gravi e drammatici degli ultimi decenni del secolo scorso e del primo, almeno, del nuovo. L’effetto più vistoso è che la magistratura ha assunto potere ma al tempo stesso è stata lasciata sola, isolata ed esposta più di quanto non implicassero i doveri da essa espletati.
Negli stessi anni – intanto – emergeva una crisi non inedita (era stata oggetto anzi di indagini e studi, nonché di denunce, sin dagli anni Settanta almeno) della giustizia in quanto sistema. Le statistiche giudiziarie facevano emergere la realtà sconfortante dei ricorsi pendenti in ambito civile (con un numero esorbitante di controversie di lavoro e previdenziali), e anche in ambito penale (i tempi esorbitanti dei processi, dei rinvii, delle sentenze definitive). Mentre si manifestava una domanda di giustizia, anche nuova, che non riceveva un’adeguata risposta[20]. La macchina della giustizia, se si vuole usare questa espressione, si era ingolfata.
È questo un dato importante, su cui non mi posso soffermare, quello della crescita della giustizia inevasa, della mancata risposta al bisogno di giustizia da parte del cittadino. Causata da molti fattori che anch’essi non possono essere analizzati come meriterebbero in questa mia relazione, tra i quali certamente si deve almeno citare l’incontrollato proliferare e la via via peggiore qualità della legislazione ma anche la giurisdizionalizzazione di molti settori, l’affermarsi dei nuovi diritti riconosciuti dalla giurisprudenza.
Quanto all’organo di autogoverno, il Csm, già a partire dalla III consiliatura (1968-1972) con la presenza di grandi figure della magistratura, come Salvatore Giallombardo, Adolfo Beria d’Argentine, Francesco Saja (e gli altri che non nomino) il Consiglio perse il suo carattere di organo «burocratico» di secondo piano dal punto di vista istituzionale, che aveva connotato le prime due consiliature (ancora senza un proprio apparato o una sede, ad es.), per acquisirne sempre di più uno di primo piano, promuovendo man mano lo status dei diritti e dei doveri dei magistrati più consono al dettato costituzionale (ad es. la formazione delle tabelle annuali per la composizione degli uffici giudiziari per attuare il principio del giudice naturale) ed elaborando importanti relazioni al Parlamento (la prima del 1970, su Realtà sociale ed amministrazione della giustizia), nonché sviluppando il suo potere «paranormativo» attraverso lo strumento delle circolari contenenti le norme dirette ai capi degli uffici.
Nel 1975, la riforma in senso proporzionale[21] accentuò in misura notevole il carattere rappresentativo dell’organo e il pluralismo giudiziario al suo interno, segnando una tappa centrale per l’affermazione del ruolo costituzionale del CSM, un ruolo che si era sviluppato a partire dal 1958, rafforzati con l’abolizione della carriera e che si affermava adesso, appunto, con l’introduzione del sistema proporzionale.
Nonostante le divisioni, in special modo sulla legislazione d’emergenza, tra il 1978 e il 1980, un segnale di unità fu dato dall’Anm, che ridivenne l’espressione di tutto il corpo giudiziario, con il rientro di Md nella giunta unitaria e dell’Umi tra i suoi ranghi e con l’elezione di Adolfo Beria di Argentine alla presidenza dell’Associazione.
Il Csm divenne purtroppo centrale tra gli organi dello Stato anche per gli avversari della democrazia, perché, il 12 febbraio 1980, le Brigate rosse ne uccisero il vicepresidente, Vittorio Bachelet. E fu poi al centro anche della vicenda della P2, non solo perché a scoprirne gli elenchi a Castiglion Fibocchi furono due magistrati (Gherardo Colombo e Giuliano Turone nel 1981), ma perché la magistratura fu l’unico corpo dello Stato a intervenire con fermezza, proprio attraverso l’azione della sezione disciplinare dell’organo, contro i giudici appartenenti alla loggia e il nuovo vicepresidente Zilletti costretto alle dimissioni dal presidente Pertini.
Non mi è possibile seguire partitamente, senza scadere nella cronistoria o in una visione semplificante di un «conflitto» tra politica e magistratura purtroppo molto frequente e complesso da interpretare, gli eventi che si succedettero così velocemente a cavallo e dopo la crisi della c.d. Prima Repubblica. Semplificando, si può dire che ancora una volta la magistratura si trovò in prima fila, sia nelle indagini condotte sulla corruzione, a volte partite negli anni Ottanta, ma spesso conclusesi al tempo senza un nulla di fatto per una serie di avocazioni e dinieghi delle autorizzazioni a procedere (prima dell’abolizione della Commissione inquirente avvenuta per referendum nel 1987 e dell’autorizzazione a procedere nel 1993), sia per gli attacchi ricevuti dal Partito socialista e dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga in conseguenza dell’avvio di quella che è stata chiamata Mani pulite.
4. Una nuova fase (1994-?)
Con Mani pulite e la lotta alla criminalità mafiosa iniziava davvero una nuova fase. Da un lato, il lavoro giudiziario uscì dall’alveo di un discorso per addetti ai lavori e divenne fattore di rinnovamento complessivo della società e della politica, con una legittimazione anche politica dell’operato della magistratura e un senso comune, quasi morale, dei magistrati di contribuire in prima persona al rispristino della legalità e della giustizia nel nostro Paese; dall’altro, di conseguenza, mutò la rappresentazione e l’autorappresentazione del magistrato visto sempre più dall’opinione pubblica, anche grazie alla spinta dei mass media, nella sua veste di pubblico ministero (rafforzato anche dal nuovo codice di procedura penale del 1989), e meno di giudice terzo, imparziale. E questa torsione potrebbe aver determinato, negli anni successivi, delle conseguenze anche sull’esercizio della giurisdizione, un esercizio delicato che deve tener conto di tutti i settori (anche di quello civile, spesso trascurato) e di tutti i diritti, soprattutto di chi non ha altri strumenti se non quelli della giustizia. Per questo motivo ritengo che l’unità della cultura della giurisdizione tra pubblici ministeri e giudici sia un valore da conservare proprio a tutela dei cittadini.
D’altro canto, la politica non seppe o non volle individuare un nuovo sistema di pesi e contrappesi, in grado di evitare che i controlli sull’agire pubblico e amministrativo venissero demandati solo alla sfera penale e che vi fosse questo sovraccarico di aspettative nei confronti dell’azione giudiziaria: sarebbero state necessarie riforme volte a estirpare per il futuro le cause della corruzione e dei fenomeni criminali.
I dieci anni successivi furono segnati da instabilità parlamentari, connotati da un bipolarismo e da un’alternanza incompiuti nella loro rissosità, scanditi dallo sfarinamento della coalizione di centro-destra nel 1995, poi dall’affermazione del centro-sinistra nelle elezioni politiche del 1996, e infine dal ritorno al potere di Berlusconi nel 2001. Oltre un decennio di vita pubblica fu contaminato da polemiche e attacchi violenti, e contraddistinto da numerosi provvedimenti in materia di giustizia assunti a tutela manifesta, e dichiarata, di interessi particolari.
Il tutto sfociò, nel 2005 (all’epilogo del secondo esecutivo Berlusconi), nell’approvazione di una riforma complessiva dell’ordinamento giudiziario ad opera del titolare del dicastero, Roberto Castelli (ministro della Lega Nord). Nonostante il parere negativo del Csm, il rinvio alle Camere per vizi di incostituzionalità da parte del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, e malgrado le pressanti critiche delle opposizioni, la legge Castelli fu varata con poche modifiche rispetto al testo originario e costituì una reale controriforma rispetto agli indirizzi affermatisi faticosamente negli anni precedenti.
Una riforma che era in realtà una controriforma, guardandola in una prospettiva storica, al di là della contingenza, per individuarne le continuità e le discontinuità: un tentativo di rimettere indietro le lancette dell’orologio della storia e tornare all’ordinamento precedente.
Al di là degli aspetti specifici, pur importanti, relativi alla separazione di fatto delle funzioni di giudice e pubblico ministero e all’introduzione dei test psico-altitudinali (tra l’altro), le novità sostanziali erano costituite dalla forte limitazione dei poteri riservati al Csm (ad esempio nella materia concorsuale) e, più in generale, dal deciso ritorno al passato, con la valorizzazione dell’aspetto gerarchico (con il ruolo accresciuto della Cassazione) e dell’iniziativa del guardasigilli in molti ambiti (come per le nomine dei capi degli uffici)
La riforma ebbe vita breve, non si radicò nell’ordinamento. Fu dapprima sospesa dal nuovo governo di centrosinistra nel 2006 e poi corretta, sia pure con certe ambiguità, con la rimozione di alcune parti, come l’abolizione del test, rimanendo alcuni limiti al passaggio tra le funzioni giudicante e requirente, e la valutazione quadriennale della professionalità del magistrato da parte del Csm.
Sono questi aspetti che penso conosciate bene.
Il dato significativo, che mi sento di segnalare, fu che, ancora una volta, in un quadro politico molto instabile, non si riuscì a dare risposte di più lungo respiro che riformassero la giustizia nel rispetto sia del principio dell’indipendenza, sia di quello, non più prescindibile, dell’efficienza del servizio giudiziario (anche in relazione alla prospettiva europea). Criticità che hanno assunto sempre di più dimensioni enormi (non mi posso soffermare sui dati), ma che pongono un problema ineludibile – come ben sapete – anche alla stessa magistratura.
In fondo, questo si è ripetuto anche nel periodo più recente. La crisi della giustizia e del ruolo della magistratura, così evidente anche per quello che riguarda la situazione delle correnti (su cui occorrerebbe aprire una riflessione e un’autocritica maggiore)[22], si può rinvenire, salvo virtuose eccezioni, sempre in questa assenza di progettualità complessiva condivisa (si pensi al ritardo nella riforma del codice penale del 1930 oggetto di non so quante commissioni di studio). Si succedono, invece, riforme parziali, che vengono subito smantellate e ridiscusse dai governi successivi, spesso per motivi politici, senza dare loro il tempo di essere attuate e di vederne i risultati; riforme che, in una continua instabilità, riguardano anche le regole processuali, mettendo in crisi, ancora una volta, il rapporto tra il cittadino e lo Stato. Riforme, inoltre, che mettono in discussione quei valori di autonomia e indipendenza della magistratura che la Costituzione ha consegnato e che sono stati attuati faticosamente nel corso di quasi 80 anni.
Nel 1950 Calamandrei, nel discorso al Congresso dell’Anm che ho citato all’inizio, riprendeva, a proposito dell’autonomia piena della magistratura da lui auspicata, una famosa frase del Contratto sociale di Rousseau «Malo periculosam libertatem quam quietum servitium»: «Preferisco una libertà insicura a una servitù tranquilla». «Perché solo la libertà – continuava – può dare agli uomini ed anche ai magistrati il pieno senso della loro responsabilità»[23].
[1] Per motivi di spazio si rinvia per la bibliografia e gli approfondimenti ad Antonella Meniconi, Storia della magistratura italiana, Bologna, Il Mulino, 2013 e Edmondo Bruti Liberati, Magistratura e società nell’Italia repubblicana, Roma-Bari, Laterza, 2018.
[2] Piero Calamandrei, Per l’indipendenza della magistratura, ora in Id., Opere giuridiche, Napoli, Morano, 1976, vol. II, pp. 424-428, p. 425.
[3] Art. 69 del R.d. n. 12 del 30 gennaio 1941.
[4] D.lgt. n. 511 del 31 maggio 1946.
[5] C.M., La Giustizia con l’abito nuovo, in «La Tribuna», 11 agosto 1943.
[6] Mi permetto di rinviare a L’epurazione mancata. La magistratura tra fascismo e Repubblica, a cura di Antonella Meniconi e Guido Neppi Modona, Bologna, Il Mulino, 2022.
[7] Michele Luminati, Priester der Themis. Richterliches Selbstverstandnis in Italien nach 1945, Frankfurt am Main, V. Klostermann, 2007.
[8] Legge n. 195 del 24 marzo 1958.
[9] Giovanni Mammone, 1945-1969. Magistrati, Associazione e correnti nelle pagine de La Magistratura, in Cento anni di Associazione magistrati, Milanofiori, Assago, IPSOA, 2009, pp. 27-53.
[10] In tal senso si veda la decisione n. 248 del 14 marzo 1962 del Consiglio di Stato.
[11] Daniela Piana, Antoine Vauchez, Il Consiglio superiore della magistratura, Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 64 ss.
[12] Magistrati o funzionari? Atti del Symposium Ordinamento giudiziario e indipendenza della magistratura, a cura di Giuseppe Maranini, Milano, Edizioni di Comunità, 1962.
[13] Si trattava di 524 magistrati di Cassazione e 1.317 di appello su 1.881; per i tribunali il numero era di 2.692. Cfr. Guido Neppi Modona, La Magistratura dalla Liberazione agli anni Cinquanta. Il difficile cammino verso l’indipendenza, in Storia dell’Italia repubblicana, a cura di Francesco Barbagallo, vol. III, 2, Torino, Einaudi, 1997, pp. 83-137 pp. 83-137, p. 136.
[14] Associazione nazionale magistrati, Atti e commenti. XII Congresso nazionale Brescia-Gardone 15-28-XI-1965, Roma, Arti grafiche Jasillo, 1966, pp. 309-310.
[15] Vladimiro Zagrebelsky, La magistratura ordinaria dalla Costituzione ad oggi, in Storia d’Italia. Annali 14. Legge
Diritto Giustizia, a cura di Luciano Violante, Torino, Einaudi, 1998, pp. 713-792, pp. 757 ss.
[16] Giorgio Lattanzi, La «carriera» dei magistrati tra vecchio e nuovo ordinamento giudiziario, in «Quaderni costituzionali», 1983, p. 154.
[17] Cit. da Guido Melis, La legislazione ordinaria, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», n. 4, 2001, numero speciale dedicato a Il diritto pubblico nella seconda metà del XX secolo, pp. 1043- 1077, p. 1059.
[18] Benedetta Tobagi, Piazza Fontana. Il processo impossibile, Torino, Einaudi, 2019.
[19] Zagrebelsky, La magistratura ordinaria dalla Costituzione ad oggi, cit., pp. 789-790.
[20] Angelo Ferrati, Relazione per l’inaugurazione per l’anno giudiziario 1980. Assemblea generale 9 gennaio 1980, Tavole statistiche.
[21] L. n. 695 del 22 dicembre 1975.
[22] Guido Melis, Le correnti nella magistratura. Origini, ragioni ideali, degenerazioni, «Questione giustizia», 2020.
[23] Calamandrei, Per l’indipendenza della magistratura, cit., p. 428.
Gli altri contributi dal 36° Congresso dell'Associazione Nazionale Magistrati (Palermo 10-12 maggio 2024) apparsi finora su Giustizia insieme sono la Relazione introduttiva al 36° congresso nazionale Associazione Nazionale Magistrati di Giuseppe Santalucia, Intervento di Lia Sava al 36° congresso nazionale ANM, Intervento di Matteo Frasca al 36°congresso nazionale ANM.
I presìdi dello Stato di diritto nei micro Stati.
Garanzie ordinamentali, forme di accountability, qualità professionale e deontologica del giudice. Verso un modello Europeo [1]
di Giovanni Canzio e Daniela Piana
Sommario: 1. Contesto e inquadramento internazionale - 2. Declinare i modelli europei di governance giudiziaria sulla base di “size” e “legacy” - 3. Le qualità del giudice - 4. Un caso paradigmatico: la Repubblica di San Marino [3].
1. Contesto e inquadramento internazionale
La letteratura di cui oggi disponiamo per inquadrare la tematica in oggetto si ancora a due autorevoli ambiti di elaborazione intellettuale e istituzionale. Il primo riguarda la comparazione fra forme di governo e, al suo interno, fra diversi assetti e configurazioni organizzative adottate nei contesti nazionali al fine di conservare o di introdurre visibili, durature e effettive garanzie di supremazia della regola del diritto rispetto a qualsiasi altra forma di arbitrario esercizio del potere. [2]
In questo senso è chiara la accettazione concettuale della necessità dell’esercizio della discrezionalità decisionale ma, proprio a partire da questa constatazione che costituisce premessa dell’intero impianto di ragionamento, si afferma con altrettanta cogenza epistemologica e quindi pratica la necessità di introdurre nei modelli degli strumenti istituzionali che rendano l’esercizio del potere non solo legittimo se e solo se avviene all’interno di un perimetro dato –lex erga omnes – ma anche se rispondente a forme terze di accountability.
L’elemento della terzietà e dei presidi di quest’ultime diviene dunque sul piano ordinamentale il carattere fondativo del potere giudiziario. Eppure, resta che vi sia una parte fondamentale dedicata all’interno del modello al ruolo svolto dalla norma del diritto, diritto che, per dirla con Santi Romano, è più della somma dei dispositivi di carattere positivo – scritto e codificato. Si tratta di un ordine istituzionale le cui radici sono site nella società e da questa devono trarre larga parte del loro legittimo e duraturo corso.
In questo filone si situa l’analisi svolta dei sistemi giudiziari, all’interno della quale è già stata riscontrata una debolezza scientifica degli studi dedicati ai micro Stati.
Il secondo ambito di letteratura riguarda invece lo sviluppo della narrativa del policy making dispiegato a partire dagli anni 80 del secolo scorso in materia di promozione dello Stato di diritto. Organizzazioni internazionali e fora transnazionali sono da allora impegnati nella articolazione non solo di standard ma anche di strumenti di enforcement, sia attraverso la più tradizionale forma del judicial enforcement, sia attraverso forme di monitoraggio e di rilevazione del quantum con cui un caso paese si discosta dagli standard in materia di contrasto alla corruzione (GRECO), di qualità della giustizia (CEPEJ), di qualità e terzietà dell’istanza giudiziaria e giurisdizionale (CCJE), di qualità della norma e del procedimento di costruzione di questa (Commissione di Venezia). Anche in questo secondo contesto l’attenzione data alle specificità dei micro Stati resta residuale.
2. Declinare i modelli europei di governance giudiziaria sulla base di “size” e “legacy”
Le riforme dell’ordinamento giudiziario, della organizzazione dei servizi della giustizia e delle condizioni che, per le loro diverse funzioni, garantiscono il consolidamento dello Stato di diritto a fronte delle variazioni congiunturali di carattere politico, economico, e sociale, costituiscono un portato di lunga durata della esperienza comparata ed internazionale del XX secolo e certamente del primo ventennio del XXI secolo.
Ancorando alla letteratura comparata che coniuga analisi delle istituzioni formali e studio delle dinamiche funzionali aventi ad oggetto l’interazione fra attori e strutture, ovvero fra attori, meta regole e regole, questo lavoro intende promuovere una prospettiva europea di modulazione degli standard di effettività dello Stato di diritto che si sono affermati in Europa come combinazione di diverse traiettorie di cambiamento culturale, giuridico, sociopolitico, per affrontare una lacuna esistente nella letteratura.
Si intende offrire ad attori internazionali, nazionali e locali una bussola per potere variare e modulare le diverse variabili in gioco quando la grandezza dello Stato in cui le riforme vengono attuate si riduce al di sotto di una certa soglia.
Il ragionamento che si tratteggia muove da una approfondita valutazione dell’importanza degli interessi di carattere economico e finanziario e li mette in relazione con le forme e i gradi di proceduralizzazione che devono essere caratterizzanti delle arene di decisione degli attori giudiziari e giuridici di modo che la autonomia della giurisdizione non sia alcun modo “catturata” da interessi che siano eteronomi rispetto alla tutela dei diritti fondamentali e della democrazia. Esso accoglie una premessa di fondo: “il valore da tutelare è l’imparzialità. Essa è il risultato dell’esercizio di una postura etica e epistemologica sulle decisioni all’interno di uno spazio incomprimibile di giudizio del Giudice”. Tale spazio viene definito, protetto e garantito con l’ordinamento. La qualità del fattore individuale svolge un ruolo tanto maggiore quanto più debole sarà il grado di impersonalità e di generalizzazione dei modi operandi di tutte le istituzioni dello Stato. In altri termini, la ricerca sino ad ora svolta permette di individuale le traiettorie di sviluppo di uno stream avente come impatto sia la formazione sia delle professionalità del diritto, sia della cultura istituzionale di livello statuale, sia ancora delle giovani generazioni.
Si tratta di una prospettiva che apre verso l’introduzione nel set internazionale di standard e di benchmark un cluster di riferimenti che siano capaci di individuare come introdurre e preservare presidi di Stato di diritto nei micro Stati e negli Stati che, in modo polare rispetto a questi, abbiano profili di bassa istituzionalizzazione della organizzazione pubblica del potere. La ragione scientifica sottesa alla comparazione fra queste due tipologie è semplice. Si riferisce infatti al potenziale di rischio di cattura dell’organizzazione del potere pubblico da parte di stakeholders che siano posizionati in una situazione di forte asimmetria di potere e dunque di vantaggio nella interazione con lo Stato o con le istanze del governo e/o dei poteri dello stato in genere. Il potenziale di cattura non va inteso solo nel momento preciso della interazione che avviene per costruire una strategia collaborativa, ma anche nel prosieguo della stessa. Per potere declinare gli standard europei con una specificità – e dunque un rafforzamento – connessa alla condizione del micro-Stato si ritiene utile:
Estendendo dallo studio di caso alla analisi comparata la ricerca intende procedere con le seguenti ipotesi esplicative del potenziale di deterioramento della qualità della giustizia intesa come effetto di sistema al cui determinarsi partecipano i quattro fattori richiamati – società, politica, storia, narrativa:
Ne consegue che occorre ripensare le matrici di fattori che intervengono a tutela dello spazio di autonomia del giudice. Quello spazio sarà dunque più fortemente garantito quanto più sarà alto:
Il riconoscimento del ruolo incomprimibile delle scelte di alta politica istituzionale.
Nelle strutture che hanno piccole dimensioni le variabili che hanno un impatto sulla terzietà e sulla distanza di sicurezza di carattere funzionale sono
Queste ragioni spiegano perché la variabile A – agency è cruciale e comparativamente più impattante anche nel breve periodo rispetto ad altri sistemi sociopolitici.
La qualità del giudice, la dimensione culturale e l’integrità sono leve sulle quali una strategia di rafforzamento o consolidamento dello Stato di diritto in micro-Stati deve agire in modo permanente. Ne consegue l’insufficienza della iper-proceduralizzazione se non associata a forte ancoraggio valoriale dei comportamenti individuali e responsabilità forte delle scelte.
3. Le qualità del giudice
Uno degli aspetti di maggiore rilievo attiene ii meccanismi virtuosi con cui è possibile nei micro-Stati rafforzare le garanzie integrità etica e di responsabilità. Si ritiene che in queste realtà sia opportuno creare una istanza ben identificata dall’esterno e un luogo definito dove avviene la formazione, ossia la forma mentis e la forma modus operandi. Infatti, la formazione è una politica istituzionale di livello sovra-ordinato, ossia essa costruisce la conditio sine qua non si dà continuità al cambiamento avviato con la riforma dell’ordinamento. Tale formazione nel caso specifico non deve essere di natura positivista, quanto invece portare alla costruzione di una cultura che rilanci la immagine della magistratura.
Nell’inquadramento internazionale affermatosi in materia di rule of law e promozione della qualità della giustizia la qualità del comportamento del giudice si trova associata sia ai principi guida che ispirano l’institutional design e la progettazione delle riforme costituzionali e ordinamentali, sia agli effetti che sono da tale comportamento generato sulla fiducia e la affidabilità (liability) del sistema giustizia.
Nel 2022 l’Opinione 3 del Comitato Consultivo Europeo dei Giudici pone in capo alle restanti norme di soft law il cardine facente perno su fiducia / affidabilità e di qui inferisce le conseguenze sia in materia di linee guida comportamentali, sia di principi operativi da adottare, nel rispetto delle tradizioni dei singoli paesi, nel contesto della valutazione e della policy di professionalità.
Appare dunque fondamentale ricordare la necessaria adesione comportamentale del giudice ad un principio non solo di self-restraint, in materia di comunicazioni con l’esterno, ma anche di self-governing, mettendo sulla autonomia coniugata alla forte consapevolezza del magistrato la responsabilità di evitare qualsiasi forma di anche percepita personalizzazione, distorsione, discriminazione, non solo nei fatti, ma anche negli aspetti percepiti e trasmessi al pubblico.
In ragione di queste premesse sono generalmente da tenersi distinti gli aspetti di qualità professionale rispetto a quelli di qualità comportamentale relativi al contributo/impatto che il comportamento del magistrato ha sulla immagine del sistema di giustizia. Analogamente l’Opinione ben distingue i profili di responsabilità penale.
Nella differenziazione delle forme di accountability quella disciplinare appare dunque la più fortemente connessa con le garanzie di tutela dell’immagine del potere giudiziario, individuando nella legittimazione astratta ed impersonale un bene da tutelare trasversalmente, in una ottica di massimizzazione anche delle forme di garanzie minime.
È nondimeno stato successivamente asserito dalla Opinione 7 che, a valle di una forte preferenza internazionale per la codificazione nei principi etici all’interno di un format normativo suscettibile di essere attuato in modo trasparente e prevedibile, il contesto sociale e culturale può richiedere specificità che la soft law permette.
Di qui la necessità di valorizzare quanto emerso sul piano dell’evidenza empirica nell’ambito della ricerca “Rule of law nei micro-Stati”, dove alcuni elementi specifici richiedono non solo una attenzione culturale, ma anche una previsione operativa nel contesto delle riforme ordinamentali e processuali:
Tenendo conto di queste specificità si desumono tre strumenti di normatività cogente che intervengono nel contesto della qualità del magistrato.
In altri e più generali termini vale il principio della massimizzazione della precauzione rispetto al rischio di vulnus della immagine di imparzialità, al quale principio non è possibile dare una risposta attraverso la sola procedimentalizzazione e la sola formalizzazione delle norme deontologiche e professionali.
4. Un caso paradigmatico: la Repubblica di San Marino [3].
La Repubblica di San Marino ha approvato negli ultimi anni una serie di profonde riforme legislative, di tipo costituzionale, ordinamentale e processuale, al precipuo fine di efficientare il sistema di giustizia e rafforzare i valori di indipendenza e autonomia della giurisdizione. L’esperienza riformatrice sammarinese - che non è stata priva di resistenze, dubbi e ostacoli - ben può essere segnalata come paradigmatica con riguardo ai micro Stati europei, le cui peculiari specificità di sistema esigono un più solido ancoraggio delle regole dello Stato di diritto ai principi di fonte sovranazionale.
Va ricordato, quanto alla genesi delle riforme e alle relative dinamiche, che il sistema di giustizia sammarinese ha attraversato tumultuose vicende negli anni 2017-2020, con visibili effetti di sostanziale destrutturazione e di caotico stato della giurisdizione, accompagnati dalla pesante lacerazione anche della rete di relazioni personali e istituzionali (di cui è stata riprova la nomina di una personalità esterna quale Dirigente del Tribunale unico, consentita solo in presenza di circostanze gravi e straordinarie e per un tempo definito, non superiore a cinque anni). Di qui la pressante esigenza di segnare con rigore una linea di radicale discontinuità rispetto al quadro dei conflitti politico-giudiziari che avevano caratterizzato quel drammatico periodo, essendo evidente il rischio che potessero essere travolti i valori dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura e potesse venir meno irrimediabilmente la fiducia dei cittadini nella giustizia.
È stata determinante in proposito, la decisa azione di “vigilanza collaborativa” esercitata dal Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) che, con il Rapporto del 25 settembre 2020 sul Quarto Ciclo di Valutazione, ha ritenuto di prescrivere puntuali e specifiche raccomandazioni (ben 14) alla Repubblica di San Marino sulla prevenzione della corruzione, da recepire con appositi provvedimenti legislativi entro il termine prefissato di marzo 2023. La rilevazione delle criticità stratificate da lungo tempo e delineate puntualmente nelle raccomandazioni ha così comportato, di necessità, l’apertura di un vasto “cantiere” di riforme per sterilizzare le più vistose distorsioni evidenziate dal GRECO. Attraverso la costituzione di appositi gruppi di lavoro, composti da giuristi anche italiani, e in un dialogo costante con gli organi consiliari e di governo, si è pervenuti in un tempo relativamente breve, nel corso degli anni 2020-2022, all’elaborazione di una serie di procedure legislative di riforma del sistema di giustizia, esitate in leggi approvate dal Consiglio Grande e Generale (l’unica Camera legislativa sammarinese) con una larghissima maggioranza.
Mette conto di offrire un quadro d’assieme, seppure sintetico e non esaustivo, delle più importanti riforme legislative approvate, sulla spinta del Rapporto GRECO, nel breve arco temporale di un biennio, da dicembre 2020 a dicembre 2022.
- Giudici per l’azione di responsabilità civile. La legge costituzionale n. 2 del 3 dicembre 2020 ha affidato ai nuovi giudici per l’azione di responsabilità civile (due per il primo grado, uno per l’appello e uno per la terza istanza, con i relativi supplenti) la competenza a giudicare nei procedimenti civili, penali o amministrativi “qualora tutti i competenti giudici si siano legittimamente astenuti o siano stati legittimamente ricusati o comunque non possano più giudicare per essersi già pronunciati”. Di talché si è consentito di sbloccare la trattazione di un notevole numero di cause (instaurate da magistrati o nei confronti di magistrati), ferme e non giustiziabili, rispetto alle quali – a causa delle modeste dimensioni del Tribunale e del territorio statale – tutti i magistrati versavano, per plurime e legittime ragioni, in una situazione di obiettiva incompatibilità “a catena”.
- Ordinamento giudiziario, Consiglio giudiziario e Commissione consiliare per gli affari di giustizia. La legge costituzionale n. 1 del 7 dicembre 2021 reca la riforma organica dell’Ordinamento giudiziario e del Consiglio giudiziario, nel rispetto sia degli standard europei che della storia e delle specifiche tradizioni del sistema sammarinese, in un contesto storico-spaziale caratterizzato dalle pressanti istanze di adeguamento ai parametri sovranazionali derivanti dalla partecipazione della Repubblica di San Marino al Consiglio d’Europa. In particolare, le raccomandazioni del GRECO hanno sensibilmente orientato sia l’attrazione della disciplina nella più elevata fonte normativa, quella di rango costituzionale, sia la funzionalizzazione dei relativi istituti e procedure alla efficace stabilizzazione dell’organo garante – il Consiglio Giudiziario - e al rafforzamento dell’indipendenza e dell’autonomia della Magistratura, di cui sono compiutamente delineati i criteri di reclutamento, i doveri, le varie forme di valutazione della professionalità e della responsabilità, con le relative sanzioni. Il Consiglio Giudiziario ha approvato, a sua volta, il Regolamento interno che ne disciplina l’attività e il funzionamento. La legge costituzionale n. 1 del 2021, a sua volta, è integrata dalle previsioni relative alla composizione, alle funzioni e ai poteri della Commissione consiliare per gli affari di giustizia, di cui alla contestuale legge qualificata n. 2 del 7 dicembre 2021. Con riguardo ai profili complessivi della garanzia di effettiva indipendenza, secondo gli indicatori delineati con rigore dai competenti organismi sovranazionali e in particolare dalla Commissione di Venezia, va tuttavia rimarcato il persistente deficit ordinamentale costituito dall’ormai arcaico, fisso e non più tollerabile statuto retributivo e previdenziale dei magistrati sammarinesi, del quale appare auspicabile il superamento mediante un equo riordino, che sia coerente con i progressivi avanzamenti di carriera e con le relative valutazioni di professionalità.
- Procedura penale. Il processo penale sammarinese richiedeva da tempo un intervento legislativo capace di meglio assicurare l’efficace funzionamento degli istituti già presenti e di introdurre nuove e più avanzate soluzioni. La legge ordinaria n. 24 del 2 marzo 2022 reca una serie di disposizioni dirette ad implementare le garanzie e l’efficienza del processo penale, con particolare riguardo ai settori più delicati e alle aree maggiormente esposte al deficit di effettività delle garanzie, quali l’istruttoria, le misure cautelari, il sequestro e la confisca, i rimedi e i riti alternativi, l’appello e la terza istanza. La legge di riforma (della cui applicazione è previsto il monitoraggio annuale) presta speciale attenzione ai diritti della difesa, alla speditezza, all’economicità, alla pubblicità e all’indipendenza dei giudizi.
- Astensione e ricusazione dei giudici. La disciplina dei due istituti, contenuta nella legge qualificata 30 ottobre 2003 n. 145, che identificava i casi di astensione obbligatoria e facoltativa, e nella legge 16 settembre 2011 n. 139, che ne delineava la procedura, necessitavano di un urgente intervento di revisione, realizzato con la legge 2 marzo 2022 n. 23, poiché la loro applicazione aveva evidenziato l’eccessiva complessità e farraginosità dei meccanismi, in contrasto con i principi di speditezza ed economicità processuale e con le garanzie difensive.
- Equa riparazione. È stato inoltre predisposto un articolato disegno di legge, ora all’esame dei competenti organi istituzionali, che – al pari della disciplina italiana in materia (c.d. legge Pinto) – prevede, insieme con una serie di misure acceleratorie del giudizio attraverso il temperamento dell’assoluto potere dispositivo delle parti e l’attribuzione al giudice di un limitato potere officioso, i casi e i limiti dell’attribuzione di un equo indennizzo a favore della parte che assume di avere subito un danno dalla irragionevole durata del procedimento, così prevenendo la trattazione della relativa controversia innanzi alla più lontana Corte Edu.
- Codice etico. In ossequio a una specifica raccomandazione del GRECO, che attribuisce rilievo alle regole deontologiche – distinte da quelle strettamente disciplinari - della condotta professionale ed extraprofessionale dei magistrati, e a quanto disposto dall’art. 15, comma 12, della l. cost. n. 1 del 2021, i magistrati sammarinesi hanno elaborato un codice etico ispirato ai valori e agli standard internazionali in materia, che è stato recepito dal Consiglio Giudiziario con un’apposita delibera.
A fronte della disastrosa situazione in cui versavano i vari settori del Tribunale si è inoltre ottenuto di implementare adeguatamente l’organico dei diversi ruoli della magistratura (circa trenta magistrati, di cui la metà esterni), anche mediante l’ingresso di giuristi italiani di indubbio prestigio accademico e professionale nelle funzioni di maggior rilievo, quali giudici delle impugnazioni, in coerenza con la lunga, antica e originale tradizione sammarinese.
Pur restando infine singolare e funzionalmente ibrida, nel panorama europeo, la figura storicamente risalente del Procuratore del Fisco, nella veste di garante della legalità e di organo requirente nei diversi gradi di giudizio, non sono state poche, tuttavia, le novità ordinamentali e processuali che all’interno del nuovo ordinamento giudiziario, mitigandone in parte la storica separatezza istituzionale, hanno investito tale soggetto, in termini di declinazione più trasparente del ruolo e delle funzioni, dei poteri e dei doveri, della responsabilità e della disciplina, seppure in forme tuttora incompiute e di non agevole collocazione nella prospettiva di una più ampia e generale riforma del processo penale.
Infine, laddove si consideri che l’ordinamento della Repubblica prevede il Tribunale “unico” e giudici - tutti - monocratici, per tutti i gradi di giudizio fino alla terza istanza, va rimarcato che a nessun giudice, benché monocratico com’è nella tradizione sammarinese, spetta uno strumento di difesa “personale” dei propri provvedimenti nei confronti dei giudici superiori che eventualmente li riformino o li annullino. Secondo le regole basilari che fondano la giurisdizione, il giudice, per l’impersonalità della pubblica funzione, esprime non il proprio autoritarismo decisorio bensì l’autorevolezza della istituzione alla quale appartiene, conseguendone, viceversa, il sovvertimento dei principi costituzionali e della rule of law e un palese corto circuito istituzionale. il diritto fondamentale al “buon giudice”, declinazione particolare del diritto al “giusto processo” di cui all’art. 6 CEDU, non può non comportare che il sistema processuale contempli e legittimi rimedi straordinari, di tipo preventivo o, se occorra, di tipo impugnatorio, contro possibili forme di autoreferenzialità del giudice monocratico, nel caso di provvedimento macroscopicamente abnorme, o contro il rischio di parzialità da parte di questi: un “bastione contro l’arbitrio” (rempart contre l’arbitraire).
All’esito del descritto processo riformatore si è registrato il lusinghiero Rapporto di Conformità adottato dal GRECO durante la 91a riunione plenaria del 13-17 giugno 2022, che esprimere ampia soddisfazione (come è riconosciuto anche dai componenti della Commissione di Monitoraggio dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa -APCE- nell’ottobre 2022) per il notevole sforzo messo in opera dalle Autorità sammarinesi, “con determinazione e in maniera approfondita”, al fine di migliorare e razionalizzare il funzionamento del sistema giudiziario.
È evidente che nessuna riforma è in grado da sola di risolvere i problemi strutturali di un sistema, ma esse, tutte insieme, sono destinate a mutare il quadro istituzionale di riferimento in direzione di più solidi approdi europei della Repubblica di San Marino, le cui istituzioni e articolazioni della società e dell’economia sono determinate a stare e operare in Europa, nel prisma della Rule of Law e dello Stato di diritto. D’altra parte, a fronte della complessità e del fluido dinamismo del diritto e della giurisdizione, dev’essere verificata, col tempo e con l’esperienza, la solidità e l’empirica praticabilità dell’impianto riformatore e delle nuove regole, attraverso una costante opera di monitoraggio del loro funzionamento e di proposizione, laddove occorrano, di ulteriori interventi migliorativi, modificativi o integrativi.
Le riforme dell’ordinamento giudiziario, della organizzazione dei servizi della giustizia e delle condizioni che, per le loro diverse funzioni, assicurano il consolidamento dello Stato di diritto, a fronte delle variazioni congiunturali di carattere politico, economico e sociale, costituiscono un portato di lunga durata della esperienza sovranazionale e internazionale.
Nella letteratura comparata che studia le forme e le dinamiche delle istituzioni si riscontra, tuttavia, una lacuna quanto all’analisi delle diverse variabili in gioco quando la grandezza dello Stato in cui le riforme vengono attuate si riduce al di sotto di una certa soglia. La recente esperienza riformatrice della Repubblica di San Marino, diretta all’efficientamento del sistema di giustizia centrato sull’organo di autogoverno, appare perciò esemplare per l’analisi empirica con riguardo a tutti i micro-Stati che sono nel perimetro del Consiglio d’Europa - Andorra, Liechtenstein, Malta, Montecarlo, Lussemburgo - e la cui realtà pure si configura come soggetta a peculiari specificità di sistema.
La disamina delle dinamiche delle garanzie e la individuazione dei punti di allerta del sistema di giustizia sollecitano, nel controllo di qualità della imparzialità e terzietà del giudice nei micro Stati, la elaborazione di linee guida per l’attuazione di riforme che siano mirate al saldo ancoraggio dello Stato di diritto, attraverso una forte professionalizzazione e responsabilizzazione degli attori della giurisdizione e una rimodulazione della legislazione ordinamentale e processuale ispirata all’evoluzione dei migliori standard sovranazionali.
La storia e la tradizione sammarinesi, come quelle di ogni piccolo Stato di modeste dimensioni per territorio e popolazione, sono infatti contraddistinte da forte identità, autonomia, rete di relazioni ambientali e informali dominanti, contiguità fra i poteri e le élite, densità di interessi economici e finanziari, che si presentano inversamente proporzionali al limitato peso del sistema sociopolitico. Come pure va rimarcato che il giudice sammarinese rende quotidiana testimonianza di come possano sopravvivere la struttura ed i principi informatori del processo di diritto comune, in un ordinamento che rifiuta la codificazione civile e continua a vivere l’esperienza ermeneutica dell’adattamento dello ius commune ai rapporti giuridici attuali.
Sicché, la giurisdizione, siccome esposta anch’essa, proprio a causa della modesta grandezza dello Stato, in uno spazio “vulnerabile”, esige all’evidenza l’identificazione di un più solido ancoraggio di qualità, valoriale ed etico, di matrice prevalentemente esterna ed europea, per garantire l’efficace tenuta dei meccanismi della Rule of Law e la piena adesione del sistema di giustizia ai principi di “supremacy of the law, equality before the law, accountability to the law, fairness in the application of the law, separation of powers, participation in decision-making, legal certainty, avoidance of arbitrariness, procedural and legal transparency”.
S’intende dire che nei micro Stati gli interessi di carattere economico-finanziario e politico, benché eteronomi rispetto alla tutela dei diritti fondamentali e della democrazia, tendono talora ad assumere il dominio delle istituzioni e a prevaricare sulle regole e sullo statuto delle garanzie di autonomia e imparzialità della giurisdizione. Con il lineare e logico corollario che per i micro Stati appare comparativamente più alto il bisogno di solidità e continuità dei presidi istituzionali e ordinamentali, in termini di impatto identitario delle responsabilità funzionali e di sottrazione delle più alte scelte costituzionali agli orientamenti congiunturali e variabili della politica. E ciò al fine di sterilizzare la potenziale reversibilità di fatto degli effetti delle riforme e il conseguente rischio di deterioramento della qualità della giustizia a favore di dinamiche informali mosse da interessi di contesto, eteronomi rispetto alla sfera di terzietà e imparzialità del giudice.
In tali contesti lo spazio di autonomia del giudice sarà dunque più fortemente garantito quanto più alto sarà il grado di sistematicità e integrazione delle riforme nel quadro europeo e più avvertito il riconoscimento da parte della comunità professionale e delle élite della centralità della qualità della giurisdizione.
Nelle strutture che hanno piccole dimensioni la deontologia, la formazione culturale, la trasparenza e la partecipazione dei protagonisti della giurisdizione possono costituire il veicolo di vitali meccanismi virtuosi. Viceversa, appare insufficiente la mera proceduralizzazione del fenomeno, se non associata al sicuro ancoraggio valoriale dei comportamenti individuali e al senso di responsabilità delle scelte decisorie. Con particolare riguardo a quest’ultime, nella concreta attuazione delle riforme vanno ripristinate, per un verso, la cogenza e l’effettività dei baluardi formali che definiscono il perimetro “non vulnerabile” da interessi eteronomi, ma anche, per altro verso, la prevedibilità e la comprensibilità all’esterno dell’azione giudiziaria, attraverso la pronta e corretta comunicazione istituzionale, l’accesso e l’agevole fruizione degli atti e dei documenti che giustificano le decisioni, sia di carattere giurisdizionale che di tipo organizzativo, e che vanno redatti secondo uno stile conciso ed essenziale, ispirato ai canoni della chiarezza e della sintesi, espressione anch’essi del “giusto processo”.
[1] Le riflessioni proposte sono il risultato di una prima fase di ricerca scientifica e di esperienza istituzionale aventi come target il rafforzamento delle garanzie di effettività nei piccoli Stati. La ricerca è partita dalla esperienza di recente riforma costituzionale, ordinamentale e processual-penale della Repubblica di San Marino per estrapolare ipotesi sulle interazioni fra le variabili qui enunciate ed estendere la analisi empirica a tutti i micro-Stati che sono nel perimetro del Consiglio d’Europa: Andorra, Liechtenstein, Malta, Montecarlo, San Marino, unitamente alla integrazione di due casi di controllo metodologico (controllo delle ipotesi che nascono dalla introduzione nella modellistica comparata della dimensione “size” dello Stato): il Lussemburgo che resta una unità di analisi di piccole dimensioni ma diversamente dagli altri paesi appare fortemente caratterizzato da un efficientamento del sistema giustizia, e la Svizzera che invece si situa nel disegno della ricerca come il “most dissimilar case”, ossia il caso che non risponde alla condizione di essere un micro-Stato e non risponde alla condizione di essere uno Stato con una organizzazione interna ordinamentale riconducibile ai due grandi modelli esistenti nella tradizione europea demo-costituzionale, ossia quello centrato sull’organo di auto-governo e quello centrato sulla governance dell’esecutivo temperata da forme di agentificazione (come ad esempio il caso Olandese, il caso Irlandese).
[2] La letteratura di riferimento, di cui non si dà qui conto nella sua estesa e plurale origine e natura scientifica, attiene alla disamina di carattere empirico e funzionale delle istituzioni in una chiave comparata. Nell’ambito della International Political Science Association il Research Committee Comparative Judicial Systems rappresenta una sede di incontro degli studi approntati con metodi di carattere empirico, sia di natura quantitativa – come, ad esempio, la misura dell’impatto delle alte corti sul potere legislativo e/o esecutivo – sia di natura qualitativa – come ad esempio gli studi di carattere sociologico sulle professionalità, i comportamenti e le dimensioni di public accountability delle corti. Resta che la questione dei micro Stati trova assai di rado trattazione. Soprattutto appare agli autori mancante una trattazione di carattere comparato, empirico, fatta con una griglia di analisi strutturata su più dimensioni e più livelli, capace di cogliere le dinamiche di interdipendenza fra garanzie di sistema e garanzia micro, fortemente significative come si argomenta in questo lavoro per le qualità del giudice e, in contesti di “size” micro, di comparativamente superiore significatività agli effetti della tutela della rule of law e dello Stato di diritto.
[3] Il paragrafo riproduce il testo, riveduto e ampliato, del saggio di G. CANZIO, La ‘stagione delle riforme’ nel micro-Stato di San Marino (2020-2022), in AA.VV., Lex generalis omnium. Un diritto del passato nel presente, a cura di A. Legnani Annichini e G. Santucci, Mucchi Editore, Modena, 2023, p. 11 ss.
Segue da Il nuovo Tribunale persone minori e famiglie: cosa occorrerebbe fare entro il 17 ottobre 2024 perché possa funzionare (parte prima) paragrafi da 1 a 1.2.3.
Il nuovo Tribunale persone minori e famiglie: cosa occorrerebbe fare entro il 17 ottobre 2024 perché possa funzionare
PARTE SECONDA
di Domenico Pellegrini
Sommario: 1. Premessa: riepilogo sintetico delle attività preliminari per l’avvio del TPMF e ipotesi di cronoprogramma - 1.1. Ipotesi di cronoprogramma - 1.2. Ipotesi circa il fabbisogno di risorse - 1.2.1. Ipotesi 1: lo studio del Dog - 1.2.2. Ipotesi 2: un calcolo secondo i carichi esigibili - 1.2.3. Osservazioni su fabbisogno, aumento dei carichi di lavoro e gestione pendenze ante 17 ottobre 2024 - 2. Analisi delle attività necessarie per l'avvio del nuovo TPMF - 2.1. Le scadenze previste dal D.lgs 149/2022 - 3. I profili ordinamentali del nuovo TPMF - 3.1. Istituzione del TPMF - 3.2. Composizione del nuovo TPMF: i magistrati ordinari (art. 50) - 3.3. Il settore penale della sezione distrettuale - 3.4. Istituzione dei Presidenti di sezione - 3.5. L’ufficio per il processo nel TPMF - 3.5.1. Costituzione e composizione dell’ufficio per il processo presso le sezioni distrettuali e le sezioni circondariali - 3.5.2. I funzionari addetti all’ufficio per il processo - 3.5.3. Funzioni e compiti dei giudici onorari di pace (art. 14) - 3.5.4. Funzioni e compiti dei giudici onorari esperti (art. 15) - 3.6. Composizione del nuovo TPMF: aspetti critici nell’assegnazione dei giudici esperti - 3.7. Composizione del nuovo TPMF: aspetti critici nell’assegnazione dei giudici onorari di pace - 3.8. Composizione del nuovo TPMF: aspetti critici nell’assegnazione degli addetti all’Ufficio per il Processo - 3.9. Composizione del nuovo TPMF: il personale amministrativo - 3.10. Composizione del nuovo TPMF: i dirigenti amministrativi.
2. Analisi delle attività necessarie per l'avvio del nuovo TPMF
2.1. Le scadenze previste dal D.lgs 149/2022
Il D.lgs 149/2022, che istituisce il Tribunale per le persone, minori e famiglia (TPMF), entrato in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione, ha previsto termini diversi per l’entrata in vigore delle norme di natura processuale rispetto alle norme ordinamentali, nonché termini ulteriori per la gestione dei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma ordinamentale.
In sintesi le date di entrata in vigore delle varie norme sono le seguenti:
a) il 1 gennaio 2023 per tutti i procedimenti pendenti per ciò che attiene a deposito telematico e udienza a distanza;
b) il 28 febbraio 2023 per i nuovi procedimenti per ciò che riguarda il rito unico per i procedimenti relativi a persone, minori e famiglia;
c) il 17 ottobre 2023 per l’entrata in vigore della riforma ordinamentale relativa al TPMF
d) il 1 gennaio 2030 per la cessazione del regime transitorio per la definizione dei procedimenti pendenti.
2.2. Le tappe necessarie per l’avvio del nuovo TPMF
Gli artt. da 45 a 48 del D.lgs 149/2022 disciplinano le attività, di spettanza del Ministero della Giustizia e del CSM, necessarie per la creazione del nuovo TPM.
1. Determinazione dell’organico del Tribunale e della Procura per le persone, per i minorenni e per le famiglie (art. 45)
a. Viene determinato con decreto del Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura
b. La pianta organica riguarda i TPMF e relativa Procura: quindi è una pianta organica distrettuale
c. Nel determinare la pianta organica si deve tenere conto delle maggiori competenze attribuite al nuovo ufficio.
d. La determinazione della pianta organica dei magistrati avviene nell'ambito delle attuali dotazioni organiche del personale di magistratura senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica
2. Determinazione delle piante organiche del personale amministrativo assegnato al TPMF e relativa Procura (art. 45)
a. Viene determinata con decreto del Ministro della giustizia.
b. La determinazione della pianta organica del personale amministrativo avviene nell'ambito delle attuali dotazioni organiche del personale amministrativo, dirigenziale e non dirigenziale, e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
c. Analoga pianta organica va definita per le Procure presso il TPMF tenuto conto dell’aumento di competenze e dei nuovi adempimenti (notifiche civili) previsti dalla riforma cpc.
3. Determinazione delle piante organiche dei GOP presso il TPMF
a. La presenza dei GOP presso il TPMF è specificamente prevista dall’art. 12 del d.lgs. 151/2022 che richiama l’art. 4 dello stesso decreto nonché dall’art. 14 stesso decreto che individua le funzioni e i compiti dei GOP presso il TPMF.
b. Peraltro, dopo la riforma operata dal decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 non è stato ancora adottato il decreto Ministeriale previsto dall’art. 3, commi 1, ultimo periodo e comma 7 del decreto legislativo 116/2017 con cui deve essere individuato per ciascun ufficio del giudice di pace, il numero dei giudici onorari di pace che esercitano la giurisdizione civile e penale presso il medesimo ufficio nonché il numero dei giudici onorari di pace addetti all'ufficio per il processo del tribunale nel cui circondario ha sede l'ufficio del giudice di pace.
c. È necessario che nella nuova pianta organica dei GOP che il Ministero deve varare venga prevista una specifica quota riservata ai TPMF distinta da quella prevista per i Giudici di Pace e soggetta a regole diverse (e probabilmente è necessario un intervento sulla fonte primaria).
4. Previsione di Vice-Procuratori onorari presso il TPMF
a. La riforma non ha previsto tale figura presso le Procure presso il TPMF.
b. L’aumento di competenze delle Procure Distrettuali presso il TPMF rispetto alle Procure presso il TM rendono pressante l’esigenza di prevedere tali figure soprattutto alla luce dell’aumento delle competenze civili.
c. La previsione di tali figure richiede una norma di fonte primaria analoga all’art. 12 del d.lgs. 151/2022.
5. Determinazione delle piante organiche degli AUPP presso il TPMF
a. La presenza di addetti all’ufficio del processo presso il TPMF è specificamente prevista dall’art. 12 del d.lgs. 151/2022 che richiama l’art. 4 dello stesso decreto.
b. Peraltro, ad oggi, gli AUPP sono allocati solo presso i Tribunali ordinari e va quindi prevista una specifica dotazione anche per il TPMF
c. Sarebbe altresì opportuna la previsione di AUPP anche presso le Procure.
6. La peculiare situazione del Giudice Tutelare
a. L’art. 49 del d.lgs. 149/2022 prevede che i procedimenti civili pendenti davanti al tribunale ordinario al 16 ottobre 2024 sono definiti da questo sulla base delle disposizioni anteriormente vigenti.
b. Tale norma riguarda anche il Giudice Tutelare: pertanto i procedimenti pendenti a tale data davanti al GT del TO verranno definiti da quest’ultimo. Il GT del TPMF si occuperà invece dei procedimenti iscritti dal 17 ottobre 2024.
c. Di fatto si assisterà ad una duplicazione dei GT presso ogni circondario.
d. Va evidenziato che la norma non tiene conto della peculiarità delle procedure del GT (soprattutto ADS e Tutele) che svolge una attività di gestione delle procedure (più che di definizione che sopravviene per cause estranee all’attività del giudice).
e. Ciò comporta una durata non preventivabile di tali procedimenti e la sostanziale inutilità di creare due giudici e due cancellerie.
f. Peraltro i reclami verso i provvedimenti del Giudice del TO dovrebbero essere presentati al TPMF distrettuale con ulteriori complicazioni nella trasmissione di dati e fascicoli.
g. Qualunque diversa soluzione prevede però un intervento sulla fonte normativa primaria.
7. Nuova circolare sulle tabelle per il TPMF
a. L’assegnazione dei giudici ordinari, onorari esperti e onorari di pace alle sezioni distrettuali e/o circondariali del TPMF è tabellare: di conseguenza nella circolare tabelle va prevista una specifica normativa per il nuovo TPMF
b. La redazione di tale circolare è importante per rendere noti, oggettivi e trasparenti i criteri di assegnazione alla sezione distrettuale e a quelle circondariali.
c. La conoscenza di tali criteri è poi condizione necessaria per rendere appetibili le procedure di interpello e/o trasferimento verso il TPMF in modo da rendere prevedibile le assegnazioni sul territorio (che è esteso a tutta la Corte di Appello)
d. La redazione della circolare è poi necessaria anche per i TO che, a normativa invariata, dovranno continuare a gestire le pendenze al 16.10.2024.
e. Infine la circolare servirà ad individuare i criteri per l’istituzione dei posti di presidente di sezione che i Presidenti del TPMF dovranno proporre con le nuove tabelle (semidirettivi (art 46 ord giud. e art 49 circ. Tabelle 20-22).
8. Individuazione degli istituti di flessibilità per il personale nelle sezioni circondariali (art. 49)
a. Per assicurare la completa definizione delle misure organizzative relative al personale e ai locali, il funzionamento delle sezioni circondariali del TPMF può essere assicurato, fino al 31.12.2029, anche avvalendosi di istituti di flessibilità sia per il personale amministrativo che per il personale di magistratura.
b. Il direttore generale del personale e della formazione, sentiti gli uffici interessati, può destinare alle sezioni circondariali del personale amministrativo di altri uffici del distretto.
c. Il Consiglio superiore della magistratura può individuare ed applicare degli istituti di flessibilità per il personale di magistratura ordinaria e onoraria.
d. L’individuazione di tali istituti presuppone una rivisitazione, da parte del CSM, delle circolari su applicazioni e supplenze, nonché l’individuazione dell’organo che può decidere l’utilizzo di tali istituti.
e. Appare opportuno che la rivisitazione di tali circolari avvenga parallelamente alla redazione della nuova circolare tabelle.
9. Assegnazione dei magistrati titolari di funzioni dirigenziali (art. 47)
a. I Presidenti del Tribunale per i Minorenni e Procuratori delle relative Procure sono assegnati al TPMF e relativa Procura quali Presidenti e Procuratori a far data dal 31 dicembre 2024. Da sottolineare che di fatto si verificherà una vacanza nella copertura del posto di Presidente e Procuratore tra il 17 ottobre 2024 e il 31 dicembre 2024.
b. I Presidenti di sezione dei Tribunali ordinari, assegnati a sezioni che svolgono funzioni nelle materie attribuite alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, anche in via non esclusiva, sono destinati, a loro domanda, alle funzioni di presidente di sezione circondariale presso il corrispondente tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie a far data dal 1° gennaio 2030.
c. In caso di pluralità di aspiranti, si applica il criterio di assegnazione rappresentato dalla maggiore esperienza maturata nelle materie di competenza del costituendo tribunale.
d. Tale assegnazione non costituisce conferimento di nuove funzioni direttive o semidirettive.
e. Il periodo di svolgimento delle funzioni presso il tribunale per i minorenni, il tribunale ordinario e le relative procure si cumula con quello presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e la relativa procura della Repubblica.
f. Per la copertura dei posti di Presidente di sezione circondariale, ove istituiti a seguito dell’approvazione delle nuove tabelle, tra il 17 ottobre 2024 e il 31 dicembre 2029 occorrerà fare ricorso a ordinari bandi di concorso per semi-direttivi banditi dal CSM. Dovendo ancora iniziare la procedura per la formazione delle nuove tabelle e dovendosi poi espletare il bando semidirettivi prima di fine 2025 è realisticamente impossibile che vi siano presidenti di sezione e i Presidenti dovranno organizzare il nuovo Tribunale senza il supporto dei Presidenti di sezione.
10. Assegnazione dei magistrati al TPMF e Procura (art. 46)
a. L’assegnazione presuppone l’istituzione delle piante organiche
b. I magistrati oggi assegnati ai tribunali per i minorenni e alle procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni entrano di diritto a far parte dell'organico del TPMF e relativa Procura. L’ingresso è anche in soprannumero riassorbibile con le successive vacanze.
c. I magistrati assegnati alle corti di appello che svolgono, anche in via non esclusiva, funzioni nelle materie attribuite alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie sono assegnati, a loro domanda, al TPMF cui sono trasferite le funzioni da loro svolte. In questo caso l’assegnazione è entro i limiti della pianta organica del TPMF
d. I magistrati assegnati ai tribunali ordinari e che svolgono, anche in via non esclusiva, funzioni giudicanti nelle materie attribuite alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, sono assegnati, a loro domanda, all'ufficio cui sono trasferite le funzioni da loro svolte. In questo caso l’assegnazione è entro i limiti della pianta organica del TPMF.
e. Non è prevista alcuna assegnazione, né di diritto, né a domanda, per i magistrati delle Procure ordinarie presso i Tribunali che si occupano del settore civile.
f. Per l’assegnazione a domanda il criterio prioritario per la selezione, per il caso in cui gli aspiranti siano in numero superiore ai posti previsti nella pianta organica, è rappresentato dalla maggiore esperienza maturata nelle materie di competenza del costituendo tribunale.
g. L’assegnazione di diritto o a domanda non costituisce trasferimento ad altro ufficio giudiziario o destinazione ad altra sede in relazione alle norme sulle sedi disagiate etc. salvo il riconoscimento delle spese di trasferimento nel caso di fissazione della residenza in una sede di servizio diversa da quella precedente determinata dall'applicazione delle disposizioni del presente decreto.
11. Assegnazione dei giudici onorari (esperti) del Tribunale per i Minorenni al TPMF (art. 46)
a. I giudici onorari addetti ai tribunali per i minorenni sono addetti di diritto al TPMF cui sono trasferite le funzioni.
b. Da rilevare che le modalità di pagamento attuali (ad udienza) non appaiono compatibili con le nuove attività che svolgeranno nell’UPP per cui occorre un intervento legislativo sulla falsariga di quanto operato per i GOP.
c. Inoltre vanno contestualmente definiti i criteri di assegnazione agli uffici del processo presso le sezioni circondariali.
12. Assegnazione del personale amministrativo al TPMF e Procura (art. 46)
a. Il personale amministrativo assegnato ai tribunali per i minorenni e alle procure presso i tribunali per i minorenni può, previo interpello e a domanda, essere assegnato alle sezioni distrettuali del TPMF, anche in sovrannumero e con diritto di priorità su altri candidati.
b. Alle sezioni circondariali sarà assegnato il personale che risponderà ad appositi interpelli pubblicati dal Ministero della giustizia. Nell’interpello hanno diritto di priorità i candidati che nel corso della carriera abbia prestato servizio presso sezioni incaricate della trattazione di affari ora attribuiti alla competenza del TPMF.
c. Il Ministero della giustizia provvede senza ritardo alla pubblicazione del relativo interpello.
d. L’interpello dovrà riguardare anche gli AUPP una volta stabilita l’entità della relativa dotazione presso il TPMF.
13. Assegnazione dei GOP al TPMF (art. 46)
a. Una volta risolto il problema della pianta organica dei GOP presso le sezioni circondariali del TPMF dovrà essere previsto un meccanismo per la loro assegnazione al TPMF, meccanismo che dovrà necessariamente passare per un interpello.
b. Andrà inoltre prevista, nei nuovi bandi di assunzione di GOP, una quota di nomine per i TPMF (previo adeguamento dell’attuale normativa).
14. Redazione tabelle TPMF e regolamentazione uffici del processo
a. Sulla base delle piante organiche ed in applicazione della nuova circolare tabelle i Presidenti del TPMF dovranno redigere le tabelle per gli uffici e regolamentare gli uffici del processo presso il TPMF.
b. Dovranno essere adottate soluzioni per superare il problema della vacatio nella copertura dei posti di Presidente e Procuratore del TPMF, che si verificherà tra il 17 ottobre 2024 e il 31 dicembre 2024, problema che impedirà la formulazione delle tabelle anche dopo che il TPMF sarà entrato in vigore.
c. Peraltro è opportuno che le tabelle del nuovo TPMF siano definite prima del 17 ottobre 2024 in modo da rendere espliciti i criteri di allocazione delle risorse tra sezioni distrettuali e circondariali e negli Uffici per il Processo.
d. La proposta tabellare conterrà le eventuali proposte di istituzione dei posti di Presidente di sezione e, previa approvazione delle proposte il CSM dovrà bandire concorso per i semidirettivi (art 46 ord giud. e art 49 circ. Tabelle 20-22)
15. Redazione tabelle TO
a. In conseguenza delle modifiche alle piante organiche dei TO (conseguenti alla creazione delle piante organiche del TPMF a saldi di organico invariati) e al fine comunque di garantire la trattazione presso i TO dei procedimenti di famiglia pendenti alla data del 16.10.2024, i Presidenti dei TO dovranno riorganizzare le tabelle dei Tribunali Ordinari nonché l’organizzazione degli uffici del processo presso i TO.
b. Coincidendo la formazione delle prossime tabelle con l’avvio del nuovo Tribunale la circolare del CSM dovrà anche indicare come raccordare le due tabelle e/o chi e come dirimere eventuali contrasti
16. Redazione tabelle CDA
a. In conseguenza delle modifiche alle piante organiche della CDA (conseguenti alla creazione delle piante organiche del TPMF a saldi di organico invariati) i Presidenti delle CDA dovranno riorganizzare le tabelle delle CDA e relativi Uffici per il Processo.
b. Come meglio evidenziato al § 4 la CDA sarà competente per le impugnazioni in materia penale e per le impugnazioni dei provvedimenti collegiali del TPMF pronunciati quale giudice di primo grado: si tratta di flussi di lavoro invariati per il penale e nettamente inferiori per il civile.
c. Peraltro la CDA resterà competente per gli appelli nei confronti dei provvedimenti del TO relativi a procedimenti iscritti prima del 17 ottobre 2024. Poiché non è prevista una norma analoga a quella del TO (che prevede che le cause non definite al 31-12-2029 divengano comunque di competenza del TPMF) le CDA saranno chiamate a definire tali impugnazioni ben oltre il 31.12.2029 (calcolando un tempo di definizione di 2 o 3 anni per gli appelli contro i provvedimenti di primo grado si può stimare una competenza residua della Corte fino al 2032/2033).
d. Di conseguenza la revisione delle tabelle, conseguenti alla riduzione dell’organico, dovrà tenere conto sia della riduzione dei flussi di lavoro previsti in uscita dal TPMF quanto della permanenza di flussi di lavoro in uscita dal TO. Tali secondo flussi saranno inizialmente analoghi agli attuali e scenderanno con la progressiva definizione delle pendenze in primo grado.
17. Bando per la copertura dei posti di Giudice e Sostituto procuratore presso il TPMF tramite trasferimento.
a. Ove l’interpello per acquisire domande di assegnazione al nuovo TPMF non permetta la copertura di un adeguato numero di posti sarà necessario prevedere un bando nazionale del CSM per i trasferimenti orizzontali di magistrati ordinari.
b. In alternativa si dovrà ricorrere agli istituti di flessibilità di cui all’art. 49 O.G.
c. In ulteriore alternativa si dovrà attendere la copertura con assegnazione ai MOT (probabilmente possibile non prima della fine del 2025).
18. Assegnazione del personale amministrativo di altri uffici del distretto alle sezioni circondariali.
Sino al 31 dicembre 2029 al fine di assicurare la completa definizione delle misure organizzative relative al personale e ai locali, il funzionamento delle sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie può essere assicurato anche avvalendosi, mediante istituti di flessibilità, del personale amministrativo di altri uffici del distretto individuato con provvedimenti del direttore generale del personale e della formazione, sentiti gli uffici interessati.
19. Dotazione materiale e dotazione locali idonei
Il Ministero della giustizia provvede senza ritardo alla predisposizione della dotazione materiale e dei locali idonei.
20. Dotazione di programmi informatici
a. Il nuovo TPMF dovrà essere dotato di un sistema informatico unico.
b. Ad oggi il TM e il TO usano due versioni di Sicid differenziate in conseguenza delle modifiche apportate per adeguare il sistema alle esigenze del TM (modifiche non riportate sul sistema in uso presso i TO). È in fase di analisi un nuovo applicativo, ma non essendo ancora iniziate le fasi di test non si ritiene che possa essere introdotto per il 17.10.2024.
c. Dovrà essere garantita la completa migrazione dei dati da SIGMA a SICID prima del 17 ottobre 2024.
d. I procedimenti pendenti gestiti dai TO saranno gestiti sull’attuale SICID. Ove fosse scelta l’opzione di trasferire al TPMF anche i procedimenti del TO pendenti al 16.10.2024 si dovrà prevedere una migrazione dei dati onde permettere l’utilizzo di un nuovo sistema presso il nuovo TPMF.
e. Il sistema informatico tuttora non gestisce il trasferimento del procedimento ex art 38 disp. att. c.c. che, nel nuovo ufficio, non sarà più da TM a TO, ma all’interno della medesima sezione circondariale (art 38 che dovrà essere modificato con normativa primaria).
f. Il sistema informatico del TPMF dovrà essere adeguato per gestire anche reclami e impugnazioni in secondo grado.
g. Infine va segnalato che il sistema informatico in uso al TM non permette di estrarre nessuna statistica: il che, oltre a rendere impossibile la conoscenza degli attuali flussi di lavoro, rischia di pregiudicare anche l’attività del futuro TPMF.
21. Assegnazione del personale di polizia giudiziaria (art. 48)
Il personale delle sezioni di polizia giudiziaria delle procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni è di diritto assegnato o applicato alle sezioni di polizia giudiziaria delle procure della Repubblica presso i TPMF cui sono trasferite le relative funzioni.
3. I profili ordinamentali del nuovo TPMF
Norme di riferimento:
3.1. Istituzione del TPMF
IL TPMF è costituito in ogni sede di Corte di Appello e sezione di Corte di Appello (art. 49 O.G.)[1]
Si articola in:
3.2. Composizione del nuovo TPMF: i magistrati ordinari (art. 50)
Secondo l’art. 50 O.G.
CONSIDERAZIONI
3.3. Il settore penale della sezione distrettuale
L’art. 50-bis O.G. prevede che
a) in ogni sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie sono incaricati uno o più magistrati, come giudici singoli, dei provvedimenti previsti dal codice di procedura penale per la fase delle indagini preliminari. L'organizzazione del lavoro dei predetti giudici è attribuita al più anziano.
b) Nell'udienza preliminare e nel giudizio abbreviato richiesto dall’imputato in seguito a un decreto di giudizio immediato, la sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie giudica con collegio composto da un magistrato e da due giudici onorari esperti della stessa sezione (è stato abolito il riferimento a un uomo e una donna).
c) Nell’udienza dibattimentale e nel giudizio per il riesame la sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie giudica con collegio composto da due magistrati e da due giudici onorari esperti della stessa sezione.
L’art. 51 O.G. prevede che
d) Le funzioni di giudice di sorveglianza sono esercitate dal giudice addetto alla sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie
3.4. Istituzione dei Presidenti di sezione
Secondo l’art. 50 nel TPMF può essere istituito un posto di presidente di sezione
a. Se vi sono addetti più di dieci giudici
b. In numero non superiore alla proporzione di uno a dieci
Secondo l’art. 50.3 le sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie nelle quali sono istituiti posti di presidente di sezione sono dirette da un presidente di sezione.
Con le tabelle formate ai sensi dell'articolo 7-bis, al presidente di sezione è attribuito l'incarico di dirigere una o più sezioni circondariali.
Nelle sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie in cui non sono istituiti posti di presidente di sezione, dell'organizzazione del lavoro è incaricato il magistrato designato nelle tabelle formate ai sensi dell'articolo 7-bis.
CONSIDERAZIONI
In base all’art. 50 i presidenti di sezione vengono istituiti se al TPMF sono addetti 10 giudici (o multipli di 10). Ma in base all’art. 50.3 sembrerebbe che i Presidenti di sezione sono istituiti nell’ambito della singola sezione circondariale.
A sua volta l’art. 50.3 comma 2 stabilisce che con le tabelle formate ai sensi dell'articolo 7-bis, al presidente di sezione è attribuito l'incarico di dirigere una o più sezioni circondariali mentre l’art. 50.3 comma 3 prevede che nelle sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie in cui non sono istituiti posti di presidente di sezione, dell'organizzazione del lavoro è incaricato il magistrato designato nelle tabelle formate ai sensi dell'articolo 7-bis.
Sussiste quindi una antinomia che legittima una domanda: se il presidente di sezione viene istituito a livello distrettuale (quando i giudici addetti al TPMF sono almeno 10 o multipli di 10) ovvero a livello circondariale (in questo secondo caso si potrebbe istituire il posto di presidente di sezione solo se alla singola sezione circondariale sono addetti, tabellarmente, almeno 10 giudici).
Secondo la prima opzione una volta stabiliti quanti presidenti di sezione possono essere istituiti presso il TPMF dovrebbero essere assegnati a una o più sezioni con previsione tabellare (il termine “istituiti” di cui all’art. 50.3 andrebbe quindi inteso come “assegnati”). Solo ove ad una sezione circondariale non venga assegnato un presidente di sezione dell'organizzazione del lavoro è incaricato il magistrato designato nelle tabelle formate ai sensi dell'articolo 7-bis.
Va poi osservato che il ruolo di Presidente di sezione presso la sezione circondariale del TPMF non verrà coperto con il trasferimento (a domanda o di ufficio) dei presidenti di sezione delle sezioni specializzate (ove esistono) del Tribunale ordinario in quanto non è previsto alcun meccanismo di trasferimento fino al 31.12.2029.
Ciò rischia di determinare un azzeramento delle professionalità maturate perché tali semi-direttivi, restando nel TO e con un carico di lavoro (pendenze di famiglia al 17.10.2024) che progressivamente diminuirà, dovranno necessariamente essere assegnati ad altre sezioni.
L’unica modalità di trasferimento per tali giudici sarà quella di partecipare ai bandi nazionali indetti dal CSM per la copertura dei nuovi posti di presidente di sezione del TPMF.
Viceversa il trasferimento previsto al 1.1.2030 rischia di essere virtuale perché a tale data i posti di presidente di sezione istituiti presso i TPMF saranno probabilmente tutti coperti.
3.5. L’ufficio per il processo nel TPMF
Norme di riferimento:
La normativa che regola l’ufficio per il processo nel TPMF è contenuta in apposito capo del decreto legislativo 10 ottobre 2022 nr 151 che integra, sotto tale profilo, le norme di cui al d.lgs. 149/2022. Per quanto non previsto da tale capo si deve fare riferimento alle norme di cui ai capi I e II in quanto compatibili.
3.5.1. Costituzione e composizione dell’ufficio per il processo presso le sezioni distrettuali e le sezioni circondariali
Secondo gli artt. 12 e 13 del d.lgs. 151/2022 l’ufficio per il processo:
i. i giudici onorari di pace di cui agli articoli 10 e 30, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116;
ii. i tirocinanti di cui all'articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98;
iii. coloro che svolgono la formazione professionale a norma dell'articolo 37, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
iv. il personale delle cancellerie o delle segreterie giudiziarie;
v. gli addetti all’ufficio del processo (personale di cui agli articoli 11 e seguenti del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113);
vi. il personale di cui all'articolo 1, comma 19, della legge 26 novembre 2021, n. 206, e all'articolo 1, comma 27, della legge 27 settembre 2021, n. 134;
b. dai giudici onorari esperti di cui all’art. 6 RDL 1404/1934
c) è diretto e coordinato dal Presidente del TPMF per quanto attiene alla sezione distrettuale;
d) è diretto dai presidenti di sezione circondariale, o in mancanza, dai magistrati titolari di incarico di collaborazione, per quanto attiene alle sezioni circondariale e su attribuzione di tali compiti da parte del Presidente del TPMF
Nella sostanza, secondo gli artt. 12 e 13 del d.lgs. 151/2022 l’ufficio per il processo è costituito sia presso le sezioni distrettuali, che presso quelle circondariali del TPMF.
Il personale che compone tale ufficio è costituito dagli addetti all’ufficio del processo (AUPP), dai giudici onorari di pace (gli ex GOT dei Tribunali) e dai giudici onorari esperti (già giudici del TM). Le altre figure sono costituite dal personale amministrativo e tirocinanti (oggi ormai scomparsi dagli uffici in quanto il tirocinio non è più necessario per partecipare al concorso in magistratura).
Per definire, quindi, i compiti di ciascuna figura si deve fare riferimento sia alle norme generali, dettate per il Tribunale (art. 5 (processo civile) e 6 (processo penale) del d.lgs 151/2022 (da ritenersi applicabili anche al nuovo Tribunale per le persone, minori e famiglia.) sia alle norme specifiche dettate per il TPMF (art.13 e seguenti d.lgs. 151/2022) con riferimento specifico ai Giudici Onorari e ai Giudici Esperti.
In via generale i componenti dell’ufficio del processo possono essere autorizzati (dal presidente della sezione o da altro magistrato da questi delegato) allo svolgimento di specifiche attività connesse all’esercizio dell’attività giudiziaria, e nei limiti della stessa, fuori dalle sedi di Tribunale
Inoltre i componenti dell'ufficio per il processo che assistono il magistrato hanno accesso ai fascicoli processuali, partecipano alle udienze del processo, anche non pubbliche e dinanzi al collegio, e hanno accesso alla camera di consiglio, nei limiti in cui è necessario per l'adempimento dei compiti previsti dalla legge. Possono altresì essere ammessi alle riunioni indette dai presidenti di sezione.
Le norme specifiche per GOP (sezione circondariale) e Giudici onorari esperti (sezione distrettuale e sezione circondariale) delineano invece ulteriori e specifiche attività riservate a questi ultimi e tra loro anche molto differenti.
3.5.2. I funzionari addetti all’ufficio per il processo
Per quanto attiene ai funzionari addetti all’ufficio per il processo (AUPP) si possono richiamare i contenuti dell’art. 5 (processo civile) e 6 (processo penale) relativi ai Tribunali e Corti di Appello.
Nel settore civile i compiti degli AUPP possono essere:
a) attività preparatorie e di supporto ai compiti del magistrato, quali: studio del fascicolo, compilazione di schede riassuntive, preparazione delle udienze e delle camere di consiglio, selezione dei presupposti di mediabilità della lite, ricerche di giurisprudenza e dottrina, predisposizione di bozze di provvedimenti, assistenza alla verbalizzazione;
b) supporto al magistrato nello svolgimento delle verifiche preliminari previste dall'articolo 171-bis del codice di procedura civile nonché nell'individuazione dei procedimenti contemplati dall'articolo 348-bis del codice di procedura civile;
c) raccordo e coordinamento fra l'attività del magistrato e quella delle cancellerie e dei servizi amministrativi degli uffici giudiziari;
d) raccolta, catalogazione e archiviazione dei provvedimenti dell'ufficio, anche attraverso banche dati di giurisprudenza locale;
e) supporto per l'utilizzo degli strumenti informatici;
f) assistenza per l'analisi dei flussi statistici e per il monitoraggio di attività dell'ufficio;
g) supporto per l'attuazione dei progetti organizzativi finalizzati ad incrementare la capacità produttiva dell'ufficio, ad abbattere l'arretrato e a prevenirne la formazione.
Nel settore penale i compiti degli AUPP possono essere:
a) coadiuvare uno o più magistrati e, sotto la direzione e il coordinamento degli stessi, compiere tutti gli atti preparatori utili per l'esercizio della funzione giudiziaria da parte del magistrato, provvedendo, in particolare, allo studio dei fascicoli e alla preparazione dell'udienza, all'approfondimento giurisprudenziale e dottrinale e alla predisposizione delle bozze dei provvedimenti;
b) prestare assistenza ai fini dell'analisi delle pendenze e dei flussi delle sopravvenienze, del monitoraggio dei procedimenti di data più risalente e della verifica delle comunicazioni e delle notificazioni;
c) incrementare la capacità produttiva dell'ufficio, attraverso la valorizzazione e la messa a disposizione dei precedenti, con compiti di organizzazione delle decisioni, in particolare di quelle aventi un rilevante grado di serialità, e con la formazione di una banca dati dell'ufficio giudiziario di riferimento;
d) fornire supporto al magistrato nell'accelerazione dei processi di innovazione tecnologica.
Va evidenziato che tali compiti sono genericamente riferibili anche ai GOP e GOE.
3.5.3. Funzioni e compiti dei giudici onorari di pace (art. 14)
Il giudice onorario di pace assegnato alla sezione circondariale dell’ufficio del processo presso il TPMF svolge le seguenti funzioni e compiti[2]:
a) coadiuva il giudice professionale a supporto del quale la struttura organizzativa è assegnata
b) compie, anche per i procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione collegiale, tutti gli atti preparatori utili per l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte del giudice professionale sotto la direzione e il coordinamento del giudice professionale.
c) provvede, in particolare, allo studio dei fascicoli, all'approfondimento giurisprudenziale e dottrinale ed alla predisposizione delle minute dei provvedimenti.
d) può assistere alla camera di consiglio.
e) può essere delegato a compiti e attività anche relativi a procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione collegiale, purché non di particolare complessità,
f) in particolare può essere delegato:
Al giudice onorario di pace non può essere delegata la pronuncia di provvedimenti definitori, fatta eccezione per gli affari di competenza del giudice tutelare (art. 10 d.lgs. 116/2017).
Al giudice onorario di pace non può essere mai assegnata, neppure nei limiti di cui all’art. 11 comma 5 d.lgs. 116/2017, la trattazione (autonoma) di procedimenti civili in materia di famiglia (cfr. combinato disposto dei commi 1 e 6 lett. a) punto 5 del d.lgs. 116/2017): ossia non possono essere assegnati ruoli autonomi in materia di famiglia.
Il limite posto dal comma 6 lett. a) punto 5) del d.lgs. 116/2017 impedisce anche di destinare il giudice onorario di pace a compiti di supplenza (previsti dall’art. 13 d.lgs. 116/2017) di magistrati assenti o temporaneamente impediti.
3.5.4. Funzioni e compiti dei giudici onorari esperti (art. 15)
A differenza dei GOP, per i quali sono previsti compiti riferiti solo alle sezioni circondariali, i GOE possono invece svolgere funzioni e compiti anche nelle sezioni distrettuali.
I) Nell’ambito della sezione distrettuale i giudici onorari esperti svolgono le funzioni di componente del collegio nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario ossia:
I.a) In ambito penale:
I.b) In ambito civile:
I.c) in ambito c.d. “amministrativo”:
Nell’ambito della sezione distrettuale i giudici onorari esperti possono essere delegati a svolgere:
Nell’ambito della sezione distrettuale i giudici onorari esperti, nei settori dei minori stranieri non accompagnati e dei procedimenti relativi all’immigrazione:
Nell’ambito della sezione distrettuale i giudici onorari esperti, nei procedimenti amministrativi possono essere delegati a svolgere:
Nell’ambito della sezione distrettuale i giudici onorari esperti, nel settore delle adozioni possono essere delegati a svolgere:
Nell’ambito della sezione distrettuale i giudici onorari, nella materia penale, possono essere delegati a svolgere:
Nell’ambito delle sezioni circondariali i giudici onorari esperti possono essere delegati dal magistrato assegnatario del procedimento a:
Nell’ambito delle sezioni circondariali possono inoltre essere delegati dal Presidente o dal coordinatore della sezione, previo raccordo con gli enti territoriali e con gli enti del terzo settore, alla:
3.6. Composizione del nuovo TPMF: aspetti critici nell’assegnazione dei giudici esperti
L’art. 50 ord. giud. prevede infine che “Al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie sono inoltre addetti giudici onorari esperti”.
3.7. Composizione del nuovo TPMF: aspetti critici nell’assegnazione dei giudici onorari di pace
3.8. Composizione del nuovo TPMF: aspetti critici nell’assegnazione degli addetti all’Ufficio per il Processo
Il problema principale per l’assegnazione degli AUPP al nuovo TPMF è costituito dalla mancanza di una dotazione organica per tale nuovo ufficio: va ricordato che al TM non sono stati destinati AUPP mentre le sezioni famiglia condividono la dotazione organica del Tribunale.
Peraltro è giocoforza prevedere che i Tribunali ordinari tenderanno a mantenere le dotazioni loro riservate.
La materiale assegnazione degli AUPP richiede una procedura analoga a quella prevista per tutto il personale amministrativo che viene trasferito a domanda.
Anche per gli AUPP si porrà il problema della loro allocazione sulle sezioni circondariali.
Appare opportuno che, nell’ambito dei progetti di stabilizzazione e soprattutto in occasione di nuove assunzioni, previste dal PNRR, venga questa volta destinata una specifica quota di AUPP al nuovo TPMF.
3.9. Composizione del nuovo TPMF: il personale amministrativo
La normativa prevede due possibilità per l’assegnazione del personale amministrativo:
a) un interpello a domanda con preferenza per il personale che già esplica funzioni analoghe a quelle che dovrà esplicare nel nuovo TPMF;
b) la adozione di provvedimento del Dg del personale per l’applicazione di personale di altri uffici fino al 31.12.2009.
Per il personale amministrativo l’interpello si incrocerà inevitabilmente con le richieste di trasferimento su base nazionale.
Per l’assegnazione in flessibilità dovrà invece essere individuato l’ufficio territoriale proponente non potendo tale funzione essere demandata né all’ufficio destinatario né all’ufficio da cui proviene il personale applicato: tale ufficio va individuato nella Corte di Appello previa analisi dei flussi di lavoro distrettuali, delle scoperture di organico e delle esigenze del nuovo TPMF.
3.10. Composizione del nuovo TPMF: i dirigenti amministrativi
Per personale dirigenziale amministrativo la riforma non prevede specifici sistemi di interpello/trasferimento.
Peraltro la natura degli uffici, come era stato sottolineato anche dal DOG, richiedeva una posizione presso ogni sezione distrettuale nonché presso le sezioni circondariali di maggiori dimensioni per i distretti con più di tre circondari di tribunale.
Per le Procure il DOG aveva ipotizzato di prevedere un posto di dirigente solo per le sedi di maggiori dimensioni, in corrispondenza delle posizioni dirigenziali attualmente previste per le procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni.
Si tratta di un obiettivo di difficile raggiungimento stante il fatto che ora gli attuali uffici giudiziari patiscono una scopertura di circa il 50% rispetto all’attuale dotazione organica, il DOG aveva ritenuto necessario prevedere la posizione dirigenziale
Peraltro la presenza di un dirigente appare indispensabile in uffici di tale complessità e delicatezza e con una dislocazione territoriale così articolata.
In ogni caso dovranno essere almeno bandite le posizioni dirigenziali attraverso apposito interpello del Ministero in modo da dare la possibilità ai dirigenti di essere assegnati al nuovo TPMF.
[1] Allo stato le sedi di corte di appello sono 26, cui vanno aggiunte le 3 sezioni distaccate di Bolzano (Trento), Sassari (Cagliari) e Taranto (Lecce). Dalla previsione normativa discende, quindi, che il nuovo tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie dovrà essere articolato in 29 sezioni distrettuali e 140 sezioni circondariali
[2] Le funzioni e i compiti dei GOP sono regolamentate dagli articoli 10, 11, 13 e 14 del decreto legislativo 13 luglio 2017 n. 116
(Immagine: Frédéric Bazille, Réunion de famille, olio su tela, tra 1867 e 1868, Musée d'Orsay, Paris)
Verso una storia sociale del diritto? Alla ricerca di un nuovo paradigma metodologico per le scienze giuridiche
Recensione di Maurizio Zinni a La rappresentazione delle tradizioni giuridiche nella pop culture. Narrazione e percezione del giuridico tra immagini statiche e immagini dinamiche, a cura di A. Ligustro, R. Tarchi, G.M. Ruotolo, G. Martinico
Come per altri settori scientifici dal marcato impianto specialistico, il diritto appare ai non addetti ai lavori come un territorio ostile a qualsiasi genere di contaminazione e diffidente verso approcci teorici che non riflettano i cardini della dottrina giuridica e delle sue logiche epistemologiche. Per l’opinione pubblica, gli esperti di diritto - siano essi accademici, ricercatori, professionisti nel campo della giustizia come magistrati, avvocati, notai, consulenti giuridici e molti altre categorie che per necessità di spazio non è possibile menzionare – si confrontano su un terreno che non lascia spazio a criteri e linguaggi che non siano suoi propri. Gli stessi “specialisti” della materia sovente hanno difficoltà a trasporre le loro conoscenze in ambiti che non siano rigidamente delimitati dal feticcio della legge, della sua applicazione ed evoluzione nel tempo.
Eppure, come sottolineano giustamente i curatori di questo ponderoso volume (docenti di diritto internazionale e di diritto pubblico comparato), il diritto è una scienza che vive nel suo tempo e, quindi, è soggetta in maniera di volta in volta diversa al mutare delle dinamiche politiche, sociali, economiche. Non vi è solo, verrebbe da dire, la storia del diritto (disciplina anch’essa spesso declinata in un’ottica autoreferenziale e strettamente giuridica), ma anche il diritto nella storia, cioè i rapporti che questo e quelli che potrebbero essere definiti i suoi “sacerdoti” (giacché nei secoli passati e in parte anche oggi gli esperti in campo giuridico sono percepiti come depositari di un sapere quasi iniziatico incomprensibile ai più, un topos caratteristico spesso declinato in senso negativo più che positivo) hanno intrattenuto con il contesto storico circostante, non solo nelle sue ricadute politiche, ma anche sociali e culturali.
Contrariamente a quanto si è soliti pensare, il mondo delle idee non è un mero terreno di astrazioni teoriche senza alcuna ricaduta diretta sul reale. I sistemi di pensiero, gli schemi mentali di cui fanno parte anche (in molti casi soprattutto) i preconcetti e gli stereotipi irriflessi e introiettati all’interno dell’individuo per mancanza di conoscenza o per ignoranza, si qualificano come un fattore rilevante nel dare forma al reale. Grazie ad essi e in funzione di essi, il corpo sociale struttura, codifica e sviluppa orizzonti cognitivi più o meno solidi e duraturi nel tempo capaci di plasmare ed orientare l’agire dell’essere umano rispetto al passato, al tempo presente e, infine, al futuro che si vuole idealmente costruire. Ciò che l’individuo pensa del suo tempo, lo definisce non solo in relazione ad esso ma anche al suo stesso essere, dandogli una collocazione precisa ed un ruolo.
Utilizzando questa prospettiva di ricerca, quella che si squaderna agli occhi dello studioso è a tutti gli effetti una storia degli esseri umani nel tempo, di civiltà - al plurale – capaci di resistere e affermarsi tanto quanto il loro sistema di pensiero, la loro cultura, è stata in grado di consolidare un universo di riferimenti mitici, simbolici, ideali (molto spesso ideologici) capace di dare un senso al reale in perenne mutamento e, per questo, fonte costante per l’uomo di incertezza, paura, smarrimento.
Pur non avendolo esplicitato in maniera approfondita e problematica, è prendendo spunto da questa chiave interpretativa spiccatamente culturale - in senso ampio e non angustamente settoriale di cultura giuridica - che ha origine questo libro a più mani dedicato alla rappresentazione del diritto nell’industria culturale di massa degli ultimi decenni. L’idea dei curatori è quella di ragionare sull’immaginario giuridico diffuso dai principali media di massa e dalle forme di intrattenimento più popolari e ad ampia fruizione (film, serie di reti televisive pubbliche e private o di piattaforme streaming, documentari ma anche fumetti e letteratura) per capire in che maniera questo possa avere delle ricadute sulla percezione collettiva del giuridico e dei suoi principali attori.
Il comun denominatore dei numerosi contributi raccolti è la spiccata attenzione per i contenuti visuali. Non tutti i saggi sono dedicati alle immagini, siano esse fisse o in movimento, (basti pensare a quello su The Pale King di David Foster Wallace) ma la maggior parte di essi riflette su questo elemento in maniera, verrebbe da dire, tutt’altro che errata. Se il Novecento è stato definito dallo storico George Mosse come il secolo delle immagini, a maggior ragione la stessa cosa si può dire del XXI secolo. Le nuove generazioni ancor più che in passato navigano in un oceano di contenuti visuali di natura e caratteristiche variabili che lungi dal travolgerli, divengono il terreno condiviso per lo scambio di nozioni, idee, sentimenti.
Molte di queste riflessioni a cavallo fra cultura e diritto utilizzano proprio le immagini come base per un ragionamento più articolato che chiama in causa questioni scientifiche di non stretta pertinenza giuridica: la nozione del diritto, l’idea di giustizia, il concetto di legge e di punizione, lo status e le prerogative dei suoi rappresentanti multipli. Ecco così che tramite i fumetti di Tex Willer o quelli supereroistici della Marvel e della DC Comics, attraverso la saga di Star Wars o la serie britannica House of Cards, guardando al mondo e alle culture “altre” tramite le storie di Marjane Satrapi, i fumetti giapponesi anche conosciuti come manga o la serie egiziana Zavy ish-Shams, il volume costruisce un mosaico articolato e a più voci sull’idea che l’industria della comunicazione di massa e dell’intrattenimento ha del diritto e, per estensione, la società globale che questi prodotti culturali consuma.
Proprio il dialogo fra globale e nazionale appare una delle questioni più stimolanti (ma non coerentemente affrontate) di questa raccolta (per molti versi quasi rapsodica) di riflessioni. Personaggi come Batman o Luke Skywalker, testi come quelli della Rowling o di Foster Wallace, in senso più ampio generi quali il western o la fantascienza sono oramai patrimonio di una cultura globale e globalizzata, rispondono cioè a dei criteri linguistici e concettuali sempre più pensati per un pubblico senza confini o specificità. Allo stesso tempo, però, essi vengono letti, rielaborati, fatti a tutti gli effetti propri da sensibilità che sono pur sempre figlie di precisi contesti sociali, politici, religiosi, culturali, in ultima istanza se non nazionali, quantomeno identitari. Questo confronto fra presupposti e identità culturali sempre più omologate (soprattutto a livello generazionale) ma pur sempre connotate in senso particolare diviene uno dei tanti banchi di prova per leggere la problematicità della percezione del diritto nel tempo presente, su come modelli giuridici figli di determinate dinamiche storico-politiche possano mettere radici in contesti differenti e da questi venire modificati e percepiti in maniera peculiare.
Allo stesso modo, proprio il successo e la diffusione a livello transnazionale di prodotti culturali che danno del diritto e della sua amministrazione una rappresentazione sempre più tipizzata diviene un utile indicatore per cogliere i processi culturali di medio e lungo periodo che danno forma agli immaginari sociali della legge, della giustizia e dei loro tutori a livello globale, permettendo così di cogliere la presenza di tendenze di volta in volta delegittimanti verso l’autorità, giustizialiste nei confronti dell’applicazione della legge, in ultima istanza problematiche rispetto alla stessa percezione e comprensione di concetti cardine delle moderne democrazie rappresentative come quello, ad esempio, del rapporto fra cittadino e Stato attraverso il corretto funzionamento della giustizia.
Partendo dalle rappresentazioni pop si giunge, così, a confrontarsi con questioni centrali della contemporanea evoluzione dei sistemi politici e dei loro attori, su tutte la sempre più avvertita crisi di legittimità dello Stato sociale di diritto nato dopo la Seconda guerra mondiale. Una crisi che trova riflesso nel più generale attacco al politico e a tutto ciò che ad esso è collegato, compreso proprio il diritto come base giuridica della convivenza democratica.
Questioni importanti che originano da fonti apparentemente minime ma che, per essere affrontate in tutta la loro complessità, richiedono allo studioso di diritto di dotarsi di una serie di strumenti per loro natura estranei a quel settore disciplinare. Su tutti la capacità di leggere le immagini, di risalire agli autori e al contesto produttivo di riferimento, di scandagliare quel nodo forse insuperabile ma centrale per chiunque voglia cimentarsi con questi materiali a larghissima diffusione che è quello della ricezione pubblica. In questo senso, i saggi contenuti nel volume palesano un gap metodologico che può essere colmato solo riuscendo a cogliere le intrinseche potenzialità euristiche delle fonti iconiche e mediali di massa anche applicate al diritto. Senza voler entrare nell'analisi specifica di ogni singolo contributo, appare spesso sottotraccia come alcuni di essi manifestino ancora una certa diffidenza (forse sottovalutazione?) nei confronti dei temi della ricerca. Anche quando si riesce ad uscire fuori dalla dimensione del divertissement per studiosi di legge, si cerca frequentemente una sorta di rispecchiamento fra ambiti che per loro caratteristiche e finalità si sviluppano su territori linguistici e concettuali non assimilabili in modo immediato. Cercare di applicare la dottrina giuridica a logiche narrative orientate principalmente allo spettacolo e al successo economico ed usare come chiave interpretativa il diritto per leggere opere che usano quest’ultimo come uno dei tanti ingredienti di una ricetta volta ad intrattenere lo spettatore e ad appassionarlo, rischia di limitare il portato conoscitivo di questo meritorio incontro di mondi rendendolo, nella peggiore delle ipotesi, fine a sé stesso. Alla stregua di quegli studiosi che guardano i film storici solo per fare le pulci alla ricostruzione d’ambiente o ai costumi.
Quello che invece i curatori hanno intrapreso con questa raccolta pare andare nel senso opposto. Si inizia a delineare – almeno per il contesto nazionale - un nuovo modo di intendere lo studio del diritto e i suoi potenziali ambiti di applicazione. In questa sede la cultura viene riconosciuta, anche nelle sue forme più popolari, di massa e di consumo, come il luogo privilegiato per incontri, anche inaspettati, tra discipline diverse, il territorio fecondo per mettere in dialogo in maniera realmente interdisciplinare e multidimensionale le scienze storiche con quelle sociologiche, mediali, e ora anche giuridiche. La storia della cultura e della società contemporanea diviene così anche storia del diritto nel tempo e delle sue plurime percezioni e declinazioni sociali. Un cimento di estrema rilevanza scientifica che richiede un impegno crescente da parte degli studiosi e un necessario affinamento delle tecniche d’indagine, ma che pare sin da ora sgombrare il campo dalla obiezione più forte, più cogente ma, allo stesso tempo, più semplicistica e scontata: perché un giurista dovrebbe studiare un film, un fumetto, un romanzo, una canzone? Perché attraverso di loro può capire un po’ meglio non solo il posto che il diritto ha nel mondo oggi come in passato, ma anche come il mondo e gli individui che lo abitano hanno guardato ad esso nel corso del tempo e quali speranze, paure, desideri vi hanno riposto.
A. Ligustro, R. Tarchi, G.M. Ruotolo, G. Martinico (a cura di), La rappresentazione delle tradizioni giuridiche nella pop culture. Narrazione e percezione del giuridico tra immagini statiche e immagini dinamiche, Editoriale Scientifica, Napoli, 2023, pp. 728. ISBN 9791259767554.
Questo contributo inaugura la discussione aperta da questa Rivista sul disegno di legge di riforma costituzionale n. 935, comunicato alla Presidenza del Senato il 15 novembre 2023, che prende il nome di premierato.
Premierato sì, ma non così
di Stefano Ceccanti
Il tema del premierato fu sviluppato per la prima volta in modo compiuto da Maurice Duverger (che poi fu eletto dal Pci in Italia al parlamento europeo nel 1989) e dalla sinistra democratica e socialista francese, riunita nel Club Jean Moulin, attraverso il libro “Lo Stato e il cittadino”, negli anni che vanno dal 1956 al 1961.
L’idea era relativamente semplice. Il parlamentarismo della Quarta Repubblica francese, in presenza di partiti deboli e indisciplinati, non si adattava alle necessità di una grande democrazia, ma era preferibile pensare a una forma parlamentare rinnovata anziché a una soluzione di tipo presidenziale (che poi prevalse nella forma originale del semi-presidenzialismo voluta da de Gaulle).
Le grandi democrazie parlamentari, riflettevano Duverger e il Club Jean Moulin, si basano su una regolarità che si è affermata a partire dal Regno Unito: la legittimazione diretta in sede elettorale di una maggioranza e del suo premier, che poi viene formalizzata in Parlamento.
Dentro la categoria di forma parlamentare, in cui il Governo è emanazione della maggioranza parlamentare ed è bilanciato da vari gruppi di opposizione (nei Paesi anglosassoni si distingue tra il gruppo più grande, l’Opposizione, dalle ulteriori minoranze), va quindi collocata una sotto-tipologia neo-parlamentare in cui il rapporto fiduciario nasce dal voto, distinta dall’altra quella vetero-parlamentare in cui, come nella Quarta Repubblica, esso nasceva solo da combinazioni parlamentari. Anche le limitate eccezioni come quelle inglesi del cambio di Premier nel Regno Unito in corso di legislatura a ben vedere sono apparenti: si cambia a favore di un esponente in grado di garantire un rapporto migliore col corpo elettorale per le elezioni future. È sempre il legame fiduciario col corpo elettorale che viene alla luce.
A questo esito neo-parlamentare, che valorizza il ruolo dell’elettore, si può pervenire in vari modi, e molto dipende del sistema dei partiti. L’importante è adottare regole che in un contesto specifico siano in grado di produrre quell’esito, non mutuarle pedissequamente. È decisivo saper leggere concretamente il contesto in cui si opera.
Se il sistema è molto disciplinato, con pochi partiti, organizzati in prevedibili coalizioni e sulla base del rispetto della convenzione per cui si riconosce al primo partito dentro la coalizione di vedere scelto come Premier la persona che ha indicato prima del voto, l’esito neo-parlamentare si potrebbe anche avere anche con sistemi proporzionali. SI potrebbe poi puntellare, dopo il voto, tale esito con norme costituzionali relativamente flessibili. È il caso della Germania: grazie alla soglia di esclusione del 5 per cento, capace di ridurre il numero dei partiti presenti in Parlamento e, successivamente alle elezioni, soprattutto grazie all’articolo 68 della Costituzione. Esso consente al Cancelliere, con alcuni limiti, di prospettare uno scioglimento anticipato in caso di rigetto della fiducia. Un articolo ingiustamente misconosciuto, mentre è conosciuta e decisamente sopravvalutata la mozione costruttiva di cui all’articolo precedente, scarsamente efficace negli ordinamenti in cui tradizionalmente le crisi sono extra-parlamentari, come segnalano gli studiosi Lauvaux e Le Divellec.
Se invece il sistema dei partiti è meno disciplinato, si dovrà ricorrere in sede elettorale a sistemi più selettivi, che puntino a costruire una maggioranza chiara già in sede di voto, sistemi che aggreghino più che sbarrare, quindi con collegi uninominali o con premi, come già aveva avvisato Roberto Ruffilli negli anni ’80. In sede costituzionale si dovrà optare per regole più stringenti, in particolare di regolamentazione del potere di scioglimento, in modo che esso funzioni efficacemente come deterrente per le minoranze interne alla maggioranza. Detto in altri termini: in un contesto come il nostro le regole elettorali tedesche e la sola sfiducia costruttiva (sperimentata con esiti nulli nei Comuni italiani tra 1990 e 1993) non ci farebbe spostare dal vetero al neo-parlamentarismo.
Duverger e il Club Jean Moulin, a partire quindi da questa ispirazione, proposero per la Francia un sistema concreto di voto con due schede: una per il premier, l’altra per i deputati, con lo stesso identico metodo, uninominale a doppio turno per designare un vincitore insieme alla sua maggioranza e la clausola del simul stabunt simul cadent per mantenerlo durante la legislatura. Ogni crisi, sia originata per dimissioni-scioglimento del Premier, sia per mozione di sfiducia della Camera (sfiducia distruttiva) avrebbe ricondotto le dinamiche politiche all’elettore-arbitro.
I due livelli vanno distinti: al sistema elettorale si può chiedere, con criteri di ragionevolezza, di favorire al massimo grado un esito predeterminato, ma la stabilità successiva dipende dalle norme costituzionali.
Duverger criticava il sistema semi-presidenziale adottato in Francia, , pur essendo più noto a livello accademico soprattutto per il suo contributo dottrinale a tale sistema, perché non riteneva logico che il vertice dell’esecutivo venisse eletto (lui solo) per un mandato più lungo, rafforzando l’elemento personale, e solo in seguito si formasse una maggioranza con le elezioni legislative sfalsate nel tempo. Per di più riteneva il sistema meno equilibrato di quello neo-parlamentare sull’uso dello scioglimento. Il Premier che scioglie mette in causa sé stesso, il Presidente che scioglie invece resta in carica. Tuttavia rispetto al vetero-parlamentarismo della Quarta Repubblica lo riteneva pur sempre un male minore e per questo insieme al Club Jean Moulin votò Si al referendum del 1962 sull’elezione diretta, chiedendo però che in futuro anche il mandato del Presidente dovesse essere di cinque anni e non di sette e che si votasse lo stesso giorno per Parlamento e Presidente. A questo sistema si è avvicinata la riforma costituzionale francese del 2000 che ha equiparato i mandati anche se li ha messi in stretta sequenza e non in contestualità. Il punto è comunque che lo studioso del semi-presidenzialismo Duverger ha sempre ritenuto preferibile come prima opzione quella che Augusto Barbera definì un’alternativa neo-parlamentare al presidenzialismo.
Questa impostazione di Duverger, risultata perdente in Francia, ha anzitutto ispirato in Italia diversi studiosi: si vedano le conclusioni della celebre voce di Elia sulle forme di governo del 1970, il noto intervento di Mortati de 1973 sulla rivista “Gli Stati”, i lavori di Serio Galeotti e quelli appunto di Augusto Barbera. Quindi ha ispirato anche concrete riforme: la legge Ciaffi del 1993 sull’elezione diretta del sindaco che, anche grazie al lavoro parlamentare di Barbera e alla presenza costante di Duverger nel nostro Paese come parlamentare europeo per il Pci/Pds fino al 1994, ha ripreso esattamente la formulazione del 1956 sulla forma di governo (simul simul), mentre si è discostata dalla formula elettorale adottando il premio di maggioranza anziché i collegi uninominali. Quella soluzione fu ripresa anche per le Regioni nel doppio passaggio 1995 (riforma elettorale) e 1999 (riforma costituzionale, dopo che quella elettorale da sola aveva rivelato di essere impotente per il prosieguo della legislatura).
Essa fu anche malamente ripresa in Israele dove fu curvata in modo illogico: un premier eletto direttamente doveva galleggiare su un parlamento eletto con la proporzionale pura. Un modello destinato inevitabilmente al fallimento, ma appunto perché deviante rispetto all’impostazione originaria, non perché la rispecchiasse. Esattamente come, a parti invertite, de Gaulle immaginò un sistema nuovo (elezione del Presidente con maggioritario) a differenza di quello rivelatosi sbagliato a Weimar (elezione del Presidente con il proporzionale).
La Tesi 1 della coalizione dell’Ulivo e poi l’articolato del senatore Cesare Salvi alla Bicamerale per l’intero centrosinistra (simile ad un articolato di Cossutta e Bertinotti per Rifondazione Comunista) ripresero quel modello con alcuni adattamenti. Un sistema elettorale basato sui collegi uninominali (che agevola anche se non garantisce una maggioranza, ma che valorizza di più il voto al singolo parlamentare, che determina per così dire un effetto maggioritario più naturale rispetto al premio) e il riconoscimento del potere di scioglimento, ma con una flessibilità maggiore rispetto al simul simul praticato per comuni e regioni, riprendendolo dal modello spagnolo. Infatti in Spagna il Premier, ove abbia problemi di coalizione, ma sia ancora popolare nel Paese, può proporre al Re in modo vincolante elezioni anticipate per ricompattarla o andare effettivamente al voto (come ha fatto Sanchez pochi mesi fa), ma se invece si è logorato nel suo rapporto con l’opinione pubblica può anche vedersi sfiduciato con mozione costruttiva, e sua conseguente sostituzione al vertice dell’esecutivo. Un modello simile a quello evocato da Mortati nel 1973, presentato dal senatore dc Aldo Di Matteo nel 1992 in Parlamento congiuntamente a una proposta di iniziativa popolare delle Acli. Il testo Cossutta-Bertinotti, ispirandosi all’articolo 68 della Legge Fondamentale tedesca, lasciava invece alcuni margini al Capo dello Stato e alla Camera rispetto alla proposta di scioglimento del Cancelliere. Negli anni successivi, nel 2001, le proposte Tonini-Morando (Pd) e Malan (allora Fi, oggi Fdi) riprendevano il modello svedese in cui il Governo, anche sfiduciato può decidere se dimettersi o decidere per elezioni anticipate. Sono variazioni, pur importanti sul tema dello scioglimento come deterrente per Governi di coalizione superando la situazione attuale senza giungere alle rigidità del simul..simul.
Non si può quindi sostenere che l’ispirazione del Premierato coincida col modello illogico di Israele, che essa sia strutturalmente di destra quando nasce obiettivamente a sinistra, da Duverger a Salvi, e che non abbia dietro di sé riflessioni consolidate.
Tuttavia questo non può portare a considerare accettabile qualsiasi versione dello stesso, qualsiasi tentativo di partire dal Premierato per arrivare a qualsiasi soluzione tecnica. Anzitutto esso nasce in una condizione di sistema di partiti frammentato e il modo naturale di semplificarlo, spiegava sempre Duverger, è un sistema a doppio turno. Ce ne possono essere vari, basati sui voti o sui seggi, tuttavia c’è un’esigenza di legittimazione di un Premier e della sua maggioranza che non può ritenersi soddisfatta da una minoranza ristretta del corpo elettorale. Il secondo turno eventuale è una polizza di assicurazione contro forze estremiste che potrebbero essere in grado, col proprio elettorato militante, di arrivare in testa in un primo turno o di essere comunque determinanti nella coalizione più votata, ma non di vincere al secondo quando gli elettori possono manifestare le proprie seconde scelte. Basti vedere quanto accade in alcuni turni elettorali francesi. Il secondo turno ha un indubbio effetto deradicalizzante.
Il testo proposto dal Governo è elusivo su questo punto decisivo: non ci si spiega in quanti turni debba essere eletto il premier e come si formi la relativa maggioranza, anche in presenza di una giurisprudenza costituzionale che, in caso di adozione di premi di maggioranza innestati sulla proporzionale, accetta solo uno scostamento ragionevolmente limitato tra voti e seggi sulla base di una soglia significativa per accedere al premio. Il testo all’esame del Senato ci parla di elezione diretta e di maggioranza garantita in seggi, ma non ci spiega se il turno sia unico o doppio (come fanno in Europa con la previsione del ballottaggio a due le Costituzioni in materia di elezioni dirette), se si debba prevedere una soglia e cosa accada se essa non sia raggiunta. Inoltre, a differenza dei modelli sin qui proposti in modo più puntuale (ad esempio quelli Salvi e Cossutta-Bertinotti) che prevedevano un unico voto per i deputati in collegi con indicazione del relativo Premier, qui i voti restano almeno due (Camera e Senato distinti), ma forse diventano anche tre (non si capisce, dice lo studio del Servizio Studi della Camera) se si voti separatamente per il Premier oppure no. Per di più: cosa fare in caso di risultati divaricanti, specie tenendo conto che il voto per gli italiani all’estero sulle schede di Camera e Senato pesa per il due per cento (è loro pre-assegnato un limitato diritto di tribuna di 8 deputati e 4 senatori), mentre potrebbero pesare il dieci per cento su quella del Premier, essendo gli italiani all’estero cinque milioni? Il testo non lo dice.
Accanto a questi problemi relativi ai pesi, ci sono quelli dei contrappesi da aggiornare. Prendo l’aspetto più delicato, quello del Capo dello Stato. Non mi riferisco tanto alla questione dei suoi poteri che spesso sono citati in modo non convincente; l’adozione del Premierato ha senso se l’insieme delle norme porta a un ruolo più efficace del corpo elettorale, e quindi non può non limitare, sia pur senza annullarlo, il ruolo del Presidente sulla nomina del Governo e a responsabilizzare di più il Premier sullo scioglimento. Perché il Presidente sia davvero un secondo motore, che agisce in caso di crisi, e non diventi il primo a causa della debolezza del sistema dei partiti, occorre appunto valorizzare il ruolo del corpo elettorale. La questione dei poteri è stata nella sostanza risolta da un emendamento del senatore Pera che distingue quelli propri esentando i relativi atti dalla controfirma del Governo, ma resta invece intatto quello della sua elezione in Camere elette, sovrarappresentando lo schieramento vincente. Perché non ampliare la base elettorale del collegio aggiungendo i parlamentari europei eletti in Italia e un numero di sindaci uguale a quello dei consiglieri regionali e, al tempo stesso, elevare il quorum al 55 per cento in modo da rendere indisponibile la carica a una scelta della sola maggioranza che potrebbe incidere anche sull’effettivo esercizio dei poteri?
Sono le riflessioni che abbiamo maturato con un gruppo traversale di associazioni (Libertà Eguale, Io cambio, Magna Carta, Riformismo e Libertà) e che sono in sostanza riassumibili con lo slogan “Premierato sì, ma non così’”. È su questo confronto di merito che occorre indirizzarsi puntualmente. Se si riconosce che l’impostazione di fondo dovrebbe essere quella originaria di Duverger e del Club Jean Moulin, difficile poi non trovare accomodamenti ragionevoli sui punti problematici evidenziati.
(Immagine: Francesco Santosuosso, Parlamento, olio e acrilici su tavola, Biennale di Venezia 2011, regione Lombardia)
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