ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Emergenza dei profughi siriani, lontana dagli occhi, vicina al cuore.
Card.Francesco Montenegro
Nove anni di conflitto siriano hanno messo in ginocchio non solo un paese ma un’intera regione che oggi deve a fare i conti con milioni di profughi che premono ai confini dell’Unione Europea. La Giordania, la Turchia, il Libano si trovano a distanza di tempo ancora sotto il peso di un’umanità sospesa tra il desiderio di rientrare nel proprio paese e la necessità di trovare un luogo sicuro, lontano da un’area di crisi come quella medio orientale. Per questo lo sguardo è rivolto alla vicina Europa che in tanti cercano di raggiungere, in ogni modo, anche a rischio della vita.
Le immagini che ci sono giunte in questi anni, a partire dalla crisi migratoria del 2015, testimoniano non solo la difficile condizione di chi fugge dalla guerra, ma anche l’incapacità da parte della comunità internazionale di governare fenomeni complessi che richiedono invece lucidità e lungimiranza. Purtroppo, sembra che queste vengono a mancare, infatti le scelte adottate da diversi paesi, alcuni dei quali appartenenti all’Unione europea, pongono molti interrogativi, a partire da una corretta applicazione del diritto internazionale e dei relativi trattati e convenzioni.
Il caso ungherese è paradigmatico in quanto il paese magiaro, di fronte alla richiesta esplicita della Commissione Europea di aderire a un meccanismo di redistribuzione dei migranti giunti nel 2016 in Italia e in Grecia, in ossequio all’art.80 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) relativo al principio di solidarietà tra Stati membri nel settore dei controlli alle frontiere, dell'asilo e dell'immigrazione, è apparso da subito riluttante. L’impressione è che la nozione generale di solidarietà non sia entrata a far parte del vocabolario giuridico di questo paese. L’Ungheria, infatti, ha risposto negativamente alla richiesta della Commissione, non accogliendo sul proprio territorio nemmeno un profugo giunto nel sud Europa ma, al contrario, ha predisposto delle barriere anti immigrati lungo i confini con la Serbia e la Croazia. Inoltre nel 2017 ha approvato una legge che prevede la detenzione obbligatoria di tutti i richiedenti asilo compresi i minori non accompagnati, per i quali è stata prevista la detenzione all’interno di container di metallo, in campi circondati da filo spinato, fino al termine del procedimento della richiesta di protezione internazionale. Si tratta di una palese violazione del diritto internazionale e dell’Unione Europea, secondo cui la detenzione di rifugiati e richiedenti asilo può essere giustificata solo sulla base di un numero limitato di ragioni, e solo se si considera necessaria, ragionevole e adeguata[1], mentre i minori non dovrebbero mai essere detenuti in quanto la detenzione non costituisce in alcuna circostanza il miglior interesse di un minore.
Sulla violazione di norme nazionali, internazionali ed umanitarie c’è anche il caso dei minori non accompagnati che vengono respinti dalla Francia verso l’Italia. Il ripristino dei controlli alle frontiere interne, deciso dal governo francese alla fine del 2015, in concomitanza con la crisi migratoria di quegli anni, ha avuto come effetto anche la violazione di norme a protezione dei minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo. Com’è noto, ai sensi del Regolamento Dublino e della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, i minori non accompagnati che presentano domanda d'asilo in Francia, non possono essere rinviati in Italia: a differenza degli adulti, infatti, ai MSNA non si applica il criterio del paese di primo ingresso. Nel caso in cui invece il minore non manifesti la volontà di presentare domanda d'asilo in Francia (spesso perché non adeguatamente informato di tale diritto), e venga fermato nella zona di frontiera, le autorità francesi potranno respingerlo in Italia. La normativa francese stabilisce però precise garanzie che devono essere rispettate nel caso di respingimento di un Msna: in particolare deve essere nominato un tutore provvisorio (c.d. "administrateur ad hoc") e il respingimento non può essere effettuato prima del termine di 24 ore (c.d. "jour franc"). Mi risulta che tali norme e garanzie vengono normalmente disattese dalla polizia di frontiera francese senza che si abbia un efficace intervento dell’autorità giurisdizionale.
È evidente, dunque, che il rapporto fra diritti umani e immigrazione è senza dubbio controverso, soprattutto in questa particolare fase storica in cui le nostre società stanno affrontando un’accentuata mobilità umana. Per comprendere questa difficile relazione ritengo sia necessario volgere lo sguardo al passato e tornare al dibattito che anticipò la stesura della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nel secondo dopoguerra. Erano anni nei quali si avvertiva l’urgenza di trovare uno strumento giuridico “globale”, in grado di evitare quelle catastrofi umanitarie conseguenti a conflitti sanguinosi che avevano causato milioni di morti e altrettanti sfollati e profughi. Come si legge nel preambolo della Dichiarazione, si tratta di "barbarie che offendono la coscienza dell'umanità" e che giustificano per questo la costruzione di un percorso volto a trovare un terreno comune su cui consolidare le fondamenta dei cosiddetti diritti umani.
Se oggi l’idea di un diritto universale, ovvero valido per tutti gli uomini, è dato per acquisito, nei fatti però non è così. E non è stato così neanche nel passato, quando si è iniziato a lavorare alla stesura della dichiarazione dei diritti dell’uomo. Sul piano teorico e politico infatti non vi è accordo unanime circa la pretesa universalità dei diritti umani. Per questo motivo la necessità di trovare un loro fondamento è necessario se si vuole giustificarne non solo la loro universalità ma anche un ampio riconoscimento sul piano pratico. Su questo aspetto, però, sono molte le tesi avanzate e nessuna in grado di giungere a un fondamento che possa attribuire universalità ai diritti umani. Neanche il fondamento divino, così come si ritrova, ad esempio, nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America dove si legge che “tutti gli uomini sono stati creati uguali; che il Creatore li ha investiti di certi diritti inalienabili; che tra questi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità”. Per alcuni critici, infatti, il limite di questo fondamento sta nel fatto che si ispira a una visione di Dio creatore che si ritrova solo in alcune religioni e non in altre. Questo farebbe venire meno il valore universalistico della dichiarazione dei diritti umani. Soprattutto gli antropologi hanno spesso respinto qualsiasi tipo di paradigma universalista, in quanto non essendo in grado di dare ragione della multiforme variabilità delle culture, queste difficilmente potranno riconoscersi in un unico sistema di riferimento.
Il rapporto dicotomico tra universalismo e relativismo culturale ha quindi caratterizzato nei decenni il dibattito intorno alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e in particolare su un aspetto: presentare come naturali e universali dei principi che scaturivano in un determinato contesto e periodo storico, peraltro su iniziativa e per mano solo di alcuni paesi, in particolare dell’area euro-americana. Inevitabilmente questo significava non considerare le differenze culturali, religiose e sociali dei diversi contesti in cui i diritti sarebbero stati poi “praticati”, con inevitabili conseguenze[2].
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nonostante il contesto in cui sia nata e le mediazioni a cui sia stata sottoposta, può essere comunque considerata come il desiderio di unificare il mondo prescrivendo linee direttrici che tutte le strutture governative dovrebbero osservare, in un percorso che scriverebbe un nuovo diritto naturale dell'umanità. Il rischio, però, è che vi sia lo scivolamento verso una vera e propria “religione dei diritti umani”, capace di trasformare un documento sui diritti soggettivi in qualcosa di ben diverso.
Certamente alcuni sforzi sono stati fatti, ma la questione rimane e si complica dovendo fare i conti con società globalizzate nelle quali l’incontro tra storie e culture molto diverse non sempre riesce a trovare una giusta sintesi a cui si vuole forzatamente giungere attraverso documenti o dichiarazioni internazionali. Peraltro, come abbiamo visto in premessa, gli stessi paesi che rivendicano la paternità della dichiarazione dei diritti dell’uomo o della più recente Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, si rendono poi responsabili della loro non applicazione. E questo appare più vero se riferito alle questioni migratorie. La sentenza con la quale la Corte Europea dei diritti umani ha condannato l’Italia nel 2012 ne è una testimonianza viva. La Grand Chamber ha stabilito, nel caso Hirsi Jamaa e altri contro Italia, che il respingimento verso Tripoli dei 24 ricorrenti (appartenenti a un gruppo di circa 200 persone, molti somali e eritrei come i ricorrenti stessi) operato dalle navi militari italiane, costituiva violazione dell'art. 3 (tortura e trattamento inumano) della Convenzione europea dei diritti umani, perché la Libia non offriva alcuna garanzia di trattamento secondo gli standard internazionali dei richiedenti asilo e dei rifugiati e li esponeva anzi ad un rimpatrio forzato.
Si tratta di un caso fra tanti che denuncia come la visione, per alcuni romantica, dei diritti umani si infrange contro politiche e prassi che poco hanno a che fare con la tutela dei diritti soggettivi delle persone. L’esternalizzazione delle frontiere, l’innalzamento di muri, la chiusura dei confini all’interno dell’Europa sono la testimonianza di un umanesimo mancato. Come dire che l’universalità dei diritti umani è subordinata agli interessi particolari degli Stati. Ci ricorda Papa Francesco: “Noi figli, di quel sogno (chiamato Europa), siamo tentati di cedere ai nostri egoismi e costruire recinti particolari”. Per questo motivo, continua il Santo Padre, “Sogno un’Europa in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito a un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia”[3].
La vicenda dei siriani contro cui la polizia greca ha lanciato lacrimogeni nel tentativo di non farli entrare nel paese per esercitare il loro diritto alla richiesta di protezione internazionale o addirittura gli spari della guardia costiera greca contro dei gommoni carichi di profughi, ci ricordano come l’applicazione dei diritti umani sia spesso disattesa e non trova, malgrado tutto, un’adeguata attenzione neanche da parte degli organismi giurisdizionali.
Pensiamo alla norma che in Europa impone ai richiedenti asilo di rimanere nel primo luogo di ingresso, quello in cui presentano la richiesta di protezione internazionale (Regolamento Dublino)[4]. A queste persone spesso non viene data la possibilità di ricongiungersi con parenti o congiunti che si trovano in altri Paesi dell’Europa, così come previsto dallo stesso regolamento. Ritardi, inefficienze e talvolta mancanza di volontà sono i primi nemici di una corretta applicazione del diritto internazionale dei diritti umani che spesso, nella cultura giuridica, non viene purtroppo preso in giusta considerazione.
D’altronde, il positivismo giuridico è sempre apparso poco incline a utilizzare le norme internazionali prodotte in materia di diritti umani. Spesso si dubita della reale giuridicità di queste norme. L'esistenza di una norma di diritto internazionale generale che vincola gli Stati al rispetto dei diritti umani viene generalmente ammessa, ma non la sua applicazione in quanto considerata eccessivamente generica. Peraltro tali norme restano comunque in larga misura inefficaci dal punto di vista dell'effettività giuridica, in assenza di un'adeguata strumentazione istituzionale capace di garantirne l'applicazione a livello internazionale.
Penso, dunque, che l’immigrazione possa considerarsi un’occasione preziosa per cercare di costruire un modo di leggere da un punto di vista giuridico non formalista le norme di un particolare sistema dell'ordinamento giuridico internazionale, quelle del diritto internazionale dei diritti umani. In particolare, in un contesto dinamico e in costante divenire come quello attuale, attraversato da conflitti profondi e segnato da situazioni diffuse di crisi, dobbiamo riscoprire la forza del diritto internazionale dei diritti umani nella sua capacità di costruire un quadro di riferimento certo per la tutela giuridica e giurisdizionale dei diritti umani.
[1] Articolo 31, Convenzione del 1951 Convention; Articolo 18(1), Direttiva del Consiglio dell’Unione europea 2005/85/CE del 1° dicembre 2005 recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
[2] Ernesto Galli della Loggia, I diritti umani “campo di identità” dell'Occidente? Convegno Storia, Politica e Religione - 25 ottobre 2004 “ll problema è che le altre culture, gli altri protagonisti della scena internazionale non credono che i diritti umani siano procedurali, e pensano viceversa che, come in effetti è difficile negare, siano frutto di una determinata cultura, e proprio di quella dell’Occidente. Quindi non vedono affatto nei “diritti umani” quella sorta di identità metanazionale di cui tutti potrebbero fruire, bensì molto spesso, e proprio nelle sedi internazionali, vedono in quei diritti uno strumento dell’imperialismo ideologico dell’Occidente. [...]”
[3] Discorso di Papa Francesco alla cerimonia di conferimento del premio Carlo Magno, maggio 2016
[4] REGOLAMENTO (UE) N. 604/2013 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 26 giugno 2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide.
La giustizia di fronte all’emergenza coronavirus. Le misure straordinarie per il processo amministrativo.
Fabio Francario
Sommario: 1. Premesse - 2. Sospensione dei termini processuali - 3. Rinvio ex lege o con disposizione presidenziale della trattazione dei ricorsi e delle domande cautelari - 4. Possibilità di trattazione, a richiesta e comunque senza discussione in camera di consiglio, delle istanze cautelari durante il periodo di sospensione dei termini processuali - 5. Trattenimento in decisione di ricorsi e domande cautelari senza discussione in udienza pubblica o camerale, salvo che non venga espressamente chiesta anche da una sola delle parti e con possibilità di collegamento da remoto - 6. Peculiari modalità di deposito di atti e documenti
1. Premesse
Il decreto legge 8 marzo 2020 n. 11 prevede misure straordinarie e urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria anche con specifico riferimento al processo amministrativo.
Le disposizioni che interessano il processo amministrativo sono recate dall’art. 3.
In deroga alla disciplina generalmente dettata dal d. lgs. 104/2010., le nuove norme introducono misure che nel loro complesso prevedono:
-la sospensione dei termini processuali;
-il rinvio ex lege o con disposizione presidenziale della trattazione dei ricorsi e delle domande cautelari;
-la possibilità di trattazione, a richiesta e comunque senza discussione in camera di consiglio, delle istanze cautelari durante il periodo di sospensione;
-il trattenimento in decisione di ricorsi e domande cautelari senza discussione in udienza pubblica o camerale, salvo che non venga espressamente chiesta anche da una sola delle parti e con possibilità di collegamento da remoto;
-peculiari modalità di deposito di atti e documenti.
2. Sospensione dei termini processuali.
La prima misura introdotta consiste nella sospensione dei termini processuali nel periodo compreso tra l’8 marzo 2020, data di pubblicazione in GU del decreto, e il 22 marzo 2020. La sospensione dei termini processuali è generalmente disciplinata, con riferimento al periodo feriale, dall’art 54 deld lgs. 104/2010, al quale fa rinvio il comma 1, primo cpv, dell’art 3. La disciplina generale della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, in ragione del principio di effettività della tutela giurisdizionale e, con esso, della esclusione della possibilità di ammettere soluzione di continuità nella tutela cautelare, esclude che la sospensione si applichi anche ai procedimenti cautelari (art 54, comma 3, cod. proc. amm.). In linea con il suddetto principio generale, il decreto legge 11/2020 prevede che la tutela cautelare rimanga fruibile anche nel periodo di sospensione dallo stesso introdotto, sebbene soltanto nella forma del rito monocratico di cui all’art 56 d. lgs 104/2010 (v. infra).
Nessun particolare problema si pone per i termini che si pongono ad es. per la notifica o il deposito del ricorso. Questi s’interrompono e riprenderanno a decorrere al termine del periodo di sospensione.
Il problema sussiste invece per i termini che, calcolati a ritroso da un’udienza già fissata dopo la scadenza del periodo di sospensione, verrebbero a scadere durante il periodo della sospensione, ad es. per il deposito memorie e documenti. In tal caso, infatti, differentemente dall’ipotesi generale della sospensione feriale, le parti non hanno previamente avuto contezza dell’esistenza del periodo di sospensione e sarebbero nell’impossibilità di compiere quelle attività processuali i cui termini sarebbero già scaduti. Il problema dovrebbe trovare soluzione nell’esercizio del potere presidenziale di riordino dei calendari e dei ruoli d’udienza previsto dal successivo comma 2 (v. infra) e comunque nella facoltà di chiedere la rimessione in termini contemplata dal comma 7 con riferimento all’esercizio del suddetto potere presidenziale. Ove l’udienza non sia già stata rinviata d’ufficio, l’istanza di rimessione potrebbe infatti determinarne anche il rinvio al fine di consentire il rispetto del contraddittorio.
3. Rinvio ex lege o con disposizione presidenziale della trattazione dei ricorsi e delle domande cautelari
Dal momento che la sospensione dei termini processuali viene introdotta con riferimento ad un periodo in cui risultano già fissate udienze pubbliche e camerali (tanto cautelari, quanto dei riti speciali), il primo comma dell’art 3, al secondo cpv, ne dispone il rinvio “d’ufficio a data successiva al 22 marzo 2020”. Come chiarisce il Comunicato del 9 marzo dell’ “Ufficio stampa e comunicazione istituzionale della giustizia amministrativa”, si tratta di una “misura drastica ma necessaria al fine di consentire su tutto il territorio nazionale comportamenti coerenti con gli obbiettivi di contenimento del virus in questa prima fase in cui ci si attende il picco epidemiologico” e volta ad ottenere che “nessuna udienza sarà celebrata”. Il rinvio viene disposto ex lege per le udienze già calendarizzate fino al 22 marzo, ivi comprese le camere di consiglio previste per la discussione delle domande cautelari, che, a richiesta della parte, potranno essere eventualmente esaminate soltanto ai sensi dell’art. 56d.lgs 104/2010.
L’art 3 prevede poi che i presidenti titolari delle sezioni del Consiglio di Stato, il presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e i presidenti dei tribunali amministrativi regionali e delle relative sezioni staccate possano adottare “linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze coerenti con le eventuali disposizioni dettate dal Presidente del Consiglio di Stato” e possano altresì disporre il rinvio delle udienze “a data successiva al 31 maggio 2020, assicurando in ogni caso la trattazione delle cause rinviate entro la data del 31 dicembre 2020 in aggiunta all’ordinario carico programmato delle udienze fissate e da fissare entro tale data”. I rinvii a mezzo dei suddetti decreti presidenziali a data successiva al 31 maggio vanno comunque disposti dopo avere sentito sia l’autorità sanitaria regionale che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati della città ove ha sede l’Ufficio e, differentemente dal rinvio disposto ex lege per le udienze calendarizzate fino al 22 marzo, in tal caso non riguarda le udienze camerali per le domande cautelari e i ricorsi elettorali, che potranno svolgersi secondo le modalità indicate dal successivo comma 4. Analoga possibilità è prevista per le cause rispetto alle quali la ritardata trattazione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti, ma in tal caso è necessario che l’urgenza sia previamente dichiarata dai presidenti di cui al comma 2 con decreto non impugnabile.
4. Possibilità di trattazione, a richiesta e comunque senza discussione in camera di consiglio, delle istanze cautelari durante il periodo di sospensione dei termini processuali.
La sospensione dei termini processuali, in linea con il principio generale, non opera con riferimento alle domande cautelari. E’ tuttavia previsto il mutamento del rito, nel senso che durante il periodo di sospensione, e cioè fino al 22 marzo, le domande cautelari possono essere trattate solo seguendo il rito monocratico di cui all’art 56d lgs 104/2010, e sempre che vi sia un’espressa richiesta di parte in tal senso. La trattazione collegiale sarà in tal caso fissata “in data immediatamente successiva al 22 marzo 2020”. La misura assicura così il rispetto tanto del principio che non ammette soluzioni di continuità nella possibilità di fruizione della tutela cautelare, quanto dell’esigenza di evitare di tenere qualunque tipo di udienza dall’entrata in vigore del decreto legge fino al 22 marzo 2020.
5. Trattenimento in decisione di ricorsi e domande cautelari senza discussione in udienza pubblica o camerale, salvo che non venga espressamente chiesta anche da una sola delle parti e con possibilità di collegamento da remoto
Misure a carattere derogatorio vengono previste non solo con riferimento al periodo della sospensione dei termini processuali, che termina il 22 marzo, ma anche con riferimento ad un secondo periodo, che si suppone di transizione verso il ripristino della normalità, di durata fino al 31 maggio 2020.
Fino al 31 maggio 2020 si prevede in sostanza un procedimento semplificato per la decisione delle controversie, sia nel merito che per la cautela, che di regola esclude anche in tale periodo la discussione in udienza pubblica o camerale: “tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione sulla base degli atti” (art 3, comma 4). Differentemente dal primo periodo temporale destinato a concludersi il 22 marzo, nel quale opera la sospensione e nel quale la tutela cautelare può essere concessa solo e unicamente secondo il rito monocratico di cui all’art 56 d. lgs 104/2010, in questo secondo periodo che va fino al 31 maggio 2020 è comunque possibile che, a richiesta di almeno una delle parti, la causa venga trattata in udienza camerale o in udienza pubblica. A tal fine è necessaria la presentazione di apposita istanza che va notificata alle altre parti costituite e va depositata almeno due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione. Sempre il già citato comma quarto si preoccupa di precisare che “i difensori sono comunque considerati presenti a tutti gli effetti”, anche se non sia stata richiesta la discussione.
In ogni caso, in deroga all’articolo 87, comma 1, d. lgs 104/2010 “fino al 31 maggio 2020 le udienze pubbliche sono celebrate a porte chiuse” (art 3, comma 6).
Nel caso in cui sia stata chiesta la discussione, il comma 5 dell’art 3 consente ai presidenti (titolari delle sezioni del Consiglio di Stato, il presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e i presidenti dei tribunali amministrativi regionali e delle relative sezioni staccate) di organizzare lo svolgimento delle udienze pubbliche e camerali che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante collegamenti da remoto con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei difensori alla trattazione dell’udienza. In tal caso, sempre secondo il citato comma 5, “il luogo da cui si collegano magistrati, personale addetto e difensori delle parti è considerato aula di udienza a tutti gli effetti di legge”. La decisione deve essere ovviamente giustificata dalla situazione concreta di emergenza sanitaria e il verbale deve dare atto delle modalità con cui si accerta l’identità dei soggetti partecipanti e la libera volontà delle parti.
6. Peculiari modalità di deposito di atti e documenti
Il decreto legge prevede infine che, durante il periodo della sospensione dei termini processuali, ovvero entro il 22 marzo 2020, i presidenti titolari delle sezioni del Consiglio di Stato, il presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e i presidenti dei tribunali amministrativi regionali e delle relative sezioni staccate, per quanto di rispettiva competenza, possano adottare le misure organizzative necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d’intesa con le Regioni, e le prescrizioni di cui all’allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, al fine di evitare assembramenti all’interno degli uffici giudiziari e contatti ravvicinati tra le persone. Oltre alle già ricordate linee guida per la fissazione e la trattazione delle udienze e al rinvio delle udienze a data successiva al 31 maggio 2020, le misure organizzative possono prevedere la limitazione dell’accesso agli uffici giudiziari ai soli soggetti che debbono svolgervi attività urgenti; la limitazione dell’orario di apertura al pubblico degli uffici o, in ultima istanza e solo per i servizi che non erogano servizi urgenti, la sospensione dell’attività di apertura al pubblico; la predisposizione di servizi di prenotazione per l’accesso ai servizi, anche tramite mezzi di comunicazione telefonica o telematica, curando che la convocazione degli utenti sia scaglionata per orari fissi, e adottando ogni misura ritenuta necessaria per evitare forme di assembramento; la sospensione dell’obbligo del deposito di almeno una copia del ricorso in forma cartacea sia sospeso.
Tali misure devono armonizzarsi con le disposizioni di coordinamento dettate dal Presidente del Consiglio di Stato o dal Segretariato generale della Giustizia Amministrativa e devono essere comunque adottate dopo aver sentito l’autorità sanitaria regionale e il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati della città ove ha sede l’Ufficio.
di Roberta Palmisano
Sommario: 1.Premessa. - 2.Principi sovranazionali e normativa degli altri Paesi europei. - 3.La normativa italiana. - 4.Considerazioni.
1. Premessa.
La possibilità di mantenere il contatto con il mondo esterno è fondamentale per i detenuti perché questi contatti sono di vitale importanza per contrastare gli effetti dannosi del carcere. Il mantenimento di buone relazioni familiari contribuisce a ridurre il tasso di recidiva e il sostegno delle famiglie e dell’ambiente di provenienza aiuta il reinserimento nella comunità. Il mantenimento di contatti regolari con il genitore in carcere è fondamentale per lo sviluppo dei bambini, per le loro opportunità di vita e per arginare la possibilità che essi crescendo, vengano a loro volta in contatto con l’area penale.
Nel periodo che stiamo vivendo, in cui la gestione di pericoli di cui non conosciamo l’evoluzione ci preoccupa, ovviamente più forte e incontenibile si fa l’esigenza del detenuto di ricevere informazioni e aggiornamenti quotidiani dal proprio nucleo familiare e anche di condividere con esso paure e preoccupazioni.
2. Principi sovranazionali e normativa degli altri Paesi europei.
La Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee, adottate dal Consiglio dei Ministri l’11 gennaio 2006, al punto 24 prescrive: “I detenuti devono essere autorizzati a comunicare il più frequentemente possibile – per lettera, telefono, o altri mezzi di comunicazione - con la famiglia, con terze persone e con i rappresentanti di organismi esterni, e a ricevere visite da dette persone” e al punto 4: “Le modalità delle visite devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali”.
Il 21 dicembre 2010, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato le Regole delle Nazioni Unite per il trattamento delle donne detenute e le misure non detentive per le donne autrici di reati, note come le “Regole di Bangkok” (a riconoscimento del ruolo determinante svolto dal Regno di Tailandia nella loro elaborazione), riconoscono il ruolo centrale di entrambi i genitori nella vita del bambino. Esse contengono previsioni specifiche che riguardano i contatti con la famiglia. In vari Paesi europei quali ad esempio Francia, Svezia, Croazia, l’Austria, la Danimarca, l’Olanda, la Norvegia, il Belgio, la Svizzera e il Portogallo, la possibilità di incontrare i familiari in spazi adeguati e senza il controllo visivo e auditivo è una realtà consolidata da anni.
In Spagna si è autorizzati a fare 5 telefonate alla settimana, senza limiti di tempo ad un massimo di 10 numeri telefonici preventivamente autorizzati. Si telefona da 2 cabine telefoniche e presso ogni sezione ci sono due cabine; l’uso di una scheda telefonica e la digitazione del numero di identificazione (NIS) dà il via libera verso i numeri di telefono autorizzati. Il Regolamento penitenziario albanese prevede otto telefonate e quattro colloqui al mese: uno dei colloqui è prolungato fino a cinque ore, per i detenuti sposati e con figli, e le visite prolungate possono essere svolte in ambienti riservati.
Inghilterra, Galles e Scozia è stabilito un piano di assistenza finanziaria per consentire alle famiglie a basso reddito di visitare i loro parenti in carcere. Sono rimborsate le spese di viaggio, pasti e pernottamento per i coniugi, partner, ascendenti, discendenti, parenti collaterali e adottivi, le persone con le quali il detenuto viveva in un rapporto consolidato immediatamente prima della detenzione e comunque le persone che hanno in via esclusiva effettuato visite al detenuto per un periodo di quattro settimane. Sono finanziate due visite ogni 28 giorni con un massimo di 26 visite in un anno.
In Scozia, per ovviare alle difficoltà di relazioni familiari dei detenuti reclusi lontano dal loro luogo di origine è stato istituito un servizio di video-chiamata che consente visite-virtuali della durata di un’ora in aggiunta al numero di colloqui di cui il detenuto ha già usufruito.
3. La normativa italiana.
Gli artt. 29 e 31 della Costituzione tutelano i rapporti parentali e le relazioni affettive e salvaguardano i rapporti familiari e i doveri del genitore.
In coerenza con i principi costituzionali il mantenimento delle relazioni familiari è elemento fondamentale del trattamento rieducativo. L’art. 15 della legge 354/75 prevede che il trattamento del condannato e dell’internato è svolto agevolando opportuni rapporti con la famiglia. Ai rapporti con la famiglia è dedicato l’art. 28 dell’ordinamento penitenziario secondo cui “particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie”. L’art. 14 quater comma 4 prescrive che le restrizioni del regime di sorveglianza particolare non possano riguardare i colloqui con il coniuge, il convivente, i figli, i genitori, i fratelli.
L’art. 18 della legge 26 luglio 1975 n. 354 disciplina i colloqui con i congiunti ed esprime un “principio generale amplissimo”. La norma prevede che i colloqui si svolgano in appositi locali sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia e rimanda al dpr 230/2000 (Regolamento d’esecuzione) per la disciplina delle modalità e delle cautele.
Gli articoli 37 e 39 del Regolamento prevedono limitazioni numeriche rispettivamente per i colloqui visivi (sei colloqui al mese della durata massima di un’ora, quattro al mese per i detenuti in regime di 4-bis) e per i colloqui telefonici (conversazioni telefoniche della durata di dieci minuti una volta a settimana - e due al mese per i detenuti in regime di 4-bis con ascolto e registrazione). Sono disciplinati casi particolari e situazioni eccezionali per cui questi limiti possono essere superati. L’art. 37 comma 11 prevede che qualora risulti che i familiari non mantengono rapporti con il detenuto o l’internato, la direzione ne fa segnalazione al centro di servizio sociale per gli opportuni interventi.
L’art. 61 del Regolamento “Rapporti con la famiglia e progressione del trattamento” alla lett b) espressamente prevede la possibilità di trascorrere parte della giornata insieme ai familiari in appositi locali o all’aperto e di consumare un pasto in compagnia.
Nella maggior parte dei casi tutelare l’affettività significa tutelare i rapporti genitori detenuti-figli. La legge n°54 del 08/02/2006 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli” ha introdotto ufficialmente il principio della bigenitorialità inteso come diritto del minore a mantenere rapporti con entrambi i genitori e il decreto legislativo del 28 dicembre 2013, n. 154 “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”, all’art. 55 ribadisce che il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Nel caso di detenzione di uno dei due genitori quindi i figli mantengono il diritto alle relazioni con entrambi i genitori e non devono essere discriminati.
Per tutelare i bambini e gli adolescenti che vivono la condizione di avere padre, madre o entrambi i genitori in carcere, il 21 marzo 2014 è stato sottoscritta dal Ministro della Giustizia, dall’Autorità
Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e dall’Associazione Bambinisenzasbarre la Carta dei figli dei genitori detenuti, documento unico in Europa, che afferma i diritti fondamentali del minore il cui genitore sia recluso (oltre 100.000 in Italia).
La Carta impegna il sistema penitenziario all'accoglienza dei minori e istituisce un Tavolo permanente per il monitoraggio sull'attuazione dei suoi principi. Tra i punti fondamentali è sancito che di fronte all'arresto di uno o di entrambi i genitori, il mantenimento della relazione familiare costituisce un diritto del bambino, al quale va garantita la continuità di un legame affettivo fondante la sua stessa identità e un dovere/diritto del genitore di mantenere la responsabilità e continuità del proprio stato. La preservazione dei vincoli familiari svolge un ruolo importante per il genitore detenuto anche nella sua reintegrazione sociale e nella prevenzione della recidiva. L’impegno per l’Amministrazione penitenziaria è quello di creare un ambiente che accolga adeguatamente i bambini trovando il giusto equilibrio tra le esigenze di sicurezza e i necessari contatti familiari e grande rilevanza è data alla formazione del personale che sappia accogliere i bambini e i loro familiari.
Quanto alle norme amministrative va menzionata la circolare con cui è stata introdotta per i detenuti di media sicurezza la possibilità di chiamare telefoni mobili (nota Dap n. 0177644 del 2010). L’applicazione della circolare, limitata ai casi in cui il detenuto non abbia da almeno 15 giorni alcun tipo di colloquio con i congiunti e dichiari di non poterli contattare se non tramite cellulare, è comunque farraginosa e molto spesso è complesso l’accertamento relativo all’intestazione di utenze mobili straniere. Soltanto in alcuni istituti-pilota ha trovato poi applicazione la possibilità di utilizzare schede telefoniche per effettuare le chiamate “senza ricorrere ad apposite richieste e lunghe attese” (nota Dap n. 0258759 del 2015) e quella di utilizzare collegamenti audiovisivi, via Skype o mediante “la piattaforma Microsoft Lync” per “permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali” (nota Dap n. 366755 del 2015).
4. Considerazioni.
Allontanarsi dai propri affetti determina profondi cambiamenti nella persona, nell’identità, quasi sempre negativi. Valorizzare i legami personali ha grande importanza nel percorso di recupero: gli affetti e le responsabilità che ogni rapporto affettivo comporta contribuiscono in modo fondamentale a impiegare il tempo della pena per costruire un individuo responsabilmente pronto a reinserirsi nella società al suo termine.
L’estensione e la portata dei diritti dei detenuti può subire restrizioni unicamente in vista delle esigenze di sicurezza e in assenza di tali esigenze le limitazioni acquisiscono un valore afflittivo suppletivo rispetto alla privazione della libertà personale, non compatibile con l’art. 27 terzo comma della Costituzione.
Il principio da applicare non può che essere quello per cui il sacrificio imposto al singolo non deve eccedere quello minimo necessario per le esigenze di sicurezza sociale e penitenziaria.
Il numero limitato di telefonate attualmente consentito ha alimentato il “mercato illecito” di telefoni cellulari all’interno degli istituti. Molte delle fattispecie disciplinari e degli episodi di corruttela che hanno luogo in carcere hanno ad oggetto l’introduzione illecita di apparecchi cellulari e il più delle volte i telefoni sono acquisiti illegalmente dai detenuti al solo scopo di poter contattare i propri cari.
I detenuti che provengono dalla libertà, come ognuno di noi, sono abituati a vivere con il telefono cellulare in mano e a sentire i propri familiari più volte al giorno. Non vi è alcun dubbio che negli ultimi anni le comunicazioni ed in particolare le comunicazioni telefoniche sono aumentate esponenzialmente e questo ha cambiato radicalmente le abitudini di vita.
A fronte di questi sostanziali cambiamenti di vita, le abitudini di vita intramuraria non possono rimanere così distanti.
Ho sempre ritenuto che non vi siano ragioni per impedire in carcere, perlomeno ai detenuti definitivi per i quali ragioni di sicurezza non lo vietano, l’uso del proprio telefono cellulare opportunamente “bloccato” e abilitato a comporre esclusivamente i numeri autorizzati per un numero di chiamate limitate (che però il detenuto ha il diritto di effettuare nei tempi ritenuti pi opportuni) per evitare che le disponibilità eccessive di alcuni possano far scattare meccanismi di prevaricazione.
Il commento alla Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee evidenzia che: "Le autorità carcerarie dovrebbero essere attente al fatto che la tecnologia moderna offre nuovi modi di comunicare per via elettronica. E poiché questi modi sono in continuo sviluppo, emergono anche nuove tecniche per controllarli così che è possibile utilizzarli in modo che essi non pregiudichino le esigenze di sicurezza”.
Se in tempi ordinari soprattutto per i detenuti stranieri, la cui famiglia vive nel Paese di origine, la limitazione dei colloqui telefonici è difficilmente sopportabile, in questo periodo, in cui il contesto di emergenza sanitaria in cui viviamo genera in noi un’ansia generalizzata e in cui siamo sovraesposti alle informazioni, è inumano pensare che un detenuto debba contenere le proprie preoccupazioni e i momenti di sconforto (magari anche notturni) senza condividerli con i propri familiari.
Più volte il legislatore ha affrontato il problema della riforma dell’ordinamento penitenziario relativamente alla possibilità per il soggetto detenuto di coltivare, anche a distanza, i propri affetti ma le immagini e le notizie delle proteste e delle ingiustificate violenze che in queste ore hanno messo a ferro e fuoco alcuni istituti penitenziari italiani, ci fanno capire che questo è il tempo limite per introdurre al più presto tutte le misure necessarie, anche meramente organizzative.
Ancora qualche nota di commento al decreto legge n. 11 del 2020 alla luce della circolare applicativa del Procuratore della Repubblica di Napoli.
di Giuseppe Santalucia
Sommario: 1. L’emergenza sanitaria e le indagini preliminari. - 2. Le ragioni dell’apparente disinteresse del legislatore del decreto. - 3. La necessità dell’individuazione di regole. - 4. La sospensione dei termini processuali come misura generale e autonoma. - 5. Spunti di conferma dal dato letterale delle disposizioni di legge. - 6. La sospensione dei termini opera anche nelle indagini preliminari. - 7. La opportuna circolare del Procuratore della Repubblica di Napoli. - 8. Breve notazione conclusiva.
1. L’emergenza sanitaria e le indagini preliminari. Il decreto legge n. 11 del 2020, su cui la nostra Rivista ha già offerto dei contributi di prima lettura (https://www.giustiziainsieme.it/it/news/117-main/diritto-dell-emergenza-covid-19/905-la-giustizia-penale-di-fronte-all-emergenza-da-epidemia-da-covid-19-brevi-note-sul-d-l-n-11-del-2020-di-giuseppe-santalucia-2), non si è soffermato, nella regolazione dell’emergenza, sulle attività degli Uffici inquirenti.
L’attenzione è stata riposta essenzialmente sugli impegni di udienza, con una previsione generale circa la sospensione automatica dei termini relativi al compimento di attività in tutti i procedimenti per i quali vale la regola del rinvio officioso, e obbligatorio, delle udienze, e ciò anzitutto per il periodo intercorrente dal 9 al 22 marzo 2020.
Peraltro, anche nella regolazione del periodo immediatamente successivo, con inizio dal 23 marzo e cessazione al 31 magio 2020, il decreto legge ha concentrato lo sforzo regolativo sulle attività di udienza, non provvedendo a dare indicazioni operative per gli impegni investigativi del pubblico ministero.
2. Le ragioni dell’apparente disinteresse del legislatore del decreto. In linea generale, la scelta del legislatore del decreto può essere condivisa. Quel che va preso in considerazione, ai fini del differimento soprattutto obbligatorio e quindi relativo al primo periodo dell’emergenza, sono le attività processuali partecipate, che coinvolgono una pluralità di persone e quindi espongono per necessità a potenziali rischi di contagio. Con l’ulteriore importante precisazione che le attività di udienza, anche in caso di udienze cd. non partecipate, coinvolgono una pluralità di persone, oltre che i componenti del collegio anche il personale di cancelleria.
Sulla scelta dei tempi nel compimento degli atti di investigazione la discrezionalità è infatti molto ampia e quindi il pubblico ministero può determinarsi nel modo più opportuno – anche tenendo conto delle esigenze di prevenzione di rischi di contagio – nella gran parte dei casi e senza necessità di previsioni di legge.
3. La necessità dell’individuazione di regole. Ciò detto, però, non può trascurarsi che è di un qualche interesse poter stabilire, con sufficiente certezza, se un atto di indagine per il quale i difensori hanno diritto all’avviso possa essere compiuto nel periodo per il quale sono state previste le misure preventive del rinvio officioso delle udienze e della sospensione dei termini “per il compimento di qualsiasi atto …” (così, testualmente, il decreto legge).
4. La sospensione dei termini processuali come misura generale e autonoma. Ad un esame appena più approfondito del decreto legge una soluzione può essere prospettata.
Se si interpreta il decreto legge nel senso che la misura della sospensione dei termini è strettamente connessa al fatto che un’udienza in quei procedimenti sia stata fissata per il periodo dal 9 al 22 marzo 2020, e che quindi detta misura opera solo nei procedimenti in cui vi è stata necessità di disporre il rinvio dell’udienza, la questione della regolazione dei termini degli atti delle indagini preliminari perde in massima parte di interesse.
Le indagini preliminari, se si fa eccezione dei casi di incidente probatorio e dell’incidente cautelare – ma che non giovano ad una migliore interpretazione della normativa d’urgenza –, non vedono al loro interno lo svolgimento di udienze, sicché, non potendo essere comprese nell’ambito dei procedimenti in cui si rende necessario un provvedimento di rinvio (delle udienze), sarebbero fuori dall’applicazione della ulteriore misure della sospensione dei termini.
Se, invece, si leggono le disposizioni d’urgenza nel senso che la sospensione dei termini è misura che riguarda tutti i procedimenti ricadenti nell’ambito entro cui opera la previsione sul rinvio delle udienze, a prescindere dal fatto che in essi sia stata disposta udienza nel periodo individuato dal decreto legge, allora la misura della sospensione dei termini assume autonomia da quella, pur sempre concorrente, del rinvio officioso delle udienze e diviene suscettibile di applicazione anche nella fase procedimentale.
5. Spunti di conferma dal dato letterale delle disposizioni di legge. In questa ultima direzione sembra indirizzare la lettera della legge.
L’articolo 1 del decreto d’urgenza, nella sua articolazione in commi, utilizza espressioni differenti per indicare ora i procedimenti nei quali opera la sospensione dei termini “per il compimento di qualsiasi atto…”, ora i procedimenti nei quali si applicano le disposizioni in punto di sospensione della prescrizione, dei termini di custodia cautelare, di proposizione della richiesta di riesame, ecc. ecc., di cui ai commi 4 e 5 dell’articolo 2.
Per tali ultimi il riferimento è “ai procedimenti nei quali le udienze sono rinviate a norma del comma 1”, formula ben diversa da quella, valevole per la sospensione dei termini tout court, “dei procedimenti indicati al comma 1, ferme le eccezioni richiamate”
6. La sospensione dei termini opera anche nelle indagini preliminari. Se così è, la misura della sospensione dei termini ha portata generale, prescinde dall’eventualità che un’udienza sia stata rinviata, essendo sufficiente stabilire che il procedimento sia tra quelli in cui il rinvio dell’udienza dovrebbe essere comunque disposto, e trova applicazione anche nella fase procedimentale, quella delle indagini, facendo obbligo all’interprete di adattare le disposizioni del decreto legge, espressamente orientate sulla fase processuale.
Questa soluzione ho già indicato con il primo commento al decreto legge, scrivendo che la sospensione dei termini opera nei procedimenti interessati dal rinvio, ossia ricadenti nell’area tracciata per l’operatività della misura del rinvio officioso delle udienze.
I procedimenti indicati al comma 1, a cui fa riferimento il decreto legge, sono i “procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari”, con l’eccezione di alcuni, specificamente enumerati dal successivo articolo 2, al comma 2, lettera g).
Rispetto a tali procedimenti operano le due misure del rinvio officioso delle udienze, ovviamente se fissate nel periodo dal 9 al 22 marzo 2020, e della sospensione dei “termini per il compimento di qualsiasi atto…”, e ciò fanno in modo autonomo, nel senso che l’ultima non dipende dal fatto che un’udienza fosse stata già fissata in quel periodo e che quindi è stata rinviata.
7. La opportuna circolare del Procuratore della Repubblica di Napoli. Sulla base di questa interpretazione il Procuratore della Repubblica di Napoli ha provveduto a enucleare dalla disciplina del decreto legge le regole valevoli per le indagini preliminari, emanando la circolare interpretativa che ora si pubblica e che si segnala per l’esegesi attenta e puntuale del testo normativo, non sempre di facile lettura, che ha consentito utili e opportuni accorgimenti operativi.
Ha così stabilito, tra l’altro, che in tutti i procedimenti, fatta eccezione di quelli in cui la misura del rinvio delle udienze non potrebbe operare, sono sospesi i termini di legge per la durata delle indagini preliminari, anche nei procedimenti di criminalità organizzata.
In tutti questi procedimenti, che sostanzialmente sono la gran parte, gli atti cd. garantiti possono essere compiuti sempre che il pubblico ministero ne ravvisi l’indifferibilità con provvedimento adeguatamente motivato, in analogia a quanto il decreto legge prescrive per l’assunzione della prova urgente in incidente probatorio.
8. Breve notazione conclusiva. Le prescrizioni di circolare sono – è appena il caso di evidenziare – oltre che pienamente conformi al dettato normativo, anche le più rispondenti alle finalità emergenziali per le quali il provvedimento di urgenza è stato emanato.
L’impatto del d.l. n. 11/2020 sull’attività processuale delle Commissioni tributarie.
di Enrico Manzon
sommario: 1. Premesse. - 2. I procedimenti avanti alle Commissioni tributarie: le diverse tipologie. - 3. I procedimenti da rinviare e quelli non rinviabili. - 4. Una conclusione pratica ed un auspicio.
1. Premesse
L’art. 1, comma 4, del decreto legge 8 marzo 2020, n. 11 prevede che «Le disposizioni del presente articolo, in quanto compatibili, si applicano altresì al procedimenti relativi alle commissioni tributarie..».
Queste brevi note mirano a fornire prime –molto sommarie- valutazioni interpretative circa l’impatto di questa disposizione e quindi della correlativa fonte normativa sulle attività processuali degli organi provinciali e regionali della giurisdizione tributaria di merito.
2. I procedimenti avanti alle Commissioni tributarie: le diverse tipologie.
E’ necessario premettere una sintetica ricostruzione delle tipologie di procedimenti avanti alle Commissioni tributarie, ovviamente con l’attenzione esclusivamente rivolta agli aspetti che direttamente rientrano nella ratio di questa lex specialis, anzi meglio exceptionalis, dunque alle modalità di trattazione dei procedimenti stessi, principali ed incidentali.
Vi è anzitutto un procedimento “ordinario” di primo grado che ha essenzialmente due forme di svolgimento: la trattazione in camera di consiglio e la discussione in pubblica udienza (rispettivamente, artt. 33 e 34 d.lgs. 546/1992).
La prima attività processuale è espressamente “non partecipata” (art. 33, comma 2, d.lgs. 546/1992); la seconda al contrario prevede non solo la presenza delle parti e dei loro difensori, ma addirittura di quisque de populo.
Tali modalità processuali sono estese al grado di appello dall’art. 61, d.lgs. 546/1992.
Vi sono poi altre forme di giudizio principale ovvero incidentale, quali:
-il giudizio di revocazione, cui si applicano le stesse disposizioni del giudizio “ordinario” (art. 66, d.lgs. 546/1992);
-il giudizio di ottemperanza, per il quale l’art. 70, comma 7, d.lgs. 546/1992 prevede una camera di consiglio “partecipata”(dalle parti);
-i procedimenti incidentali di sospensione dell’atto impugnato, di sospensione degli atti volti al recupero di aiuti di Stato, di sospensione dell’esecutività delle sentenze di primo e di secondo rado, per i quali sono previste camere di consiglio “partecipate” (dalle parti), rispettivamente, dagli artt. 47, comma 4, 47-bis, comma 3, 52, comma 5, 62-bis, comma 4, d.lgs. 546/1992).
Le disposizioni del d.l. 11/2020 vanno quindi parametrate a queste forme processuali.
3. I procedimenti da rinviare e quelli non rinviabili
In primo luogo penso si debba convenire con chi su questa stessa rivista [De Stefano, L’emergenza sanitaria rimodula i tempi della giustizia: i provvedimenti sul civile (note a primissima lettura del d.l. n. 11 del 2020)] ha espresso l’opzione di un’interpretazione estensiva secundum ratio –peraltro molto chiara- del termine «udienze» impiegato dal legislatore.
Quindi il “rinvio secco” al 22 marzo (salvo proroghe ..) deve senz’altro considerarsi esteso anche al procedimento camerale ordinario di cognizione (in primo grado ed in appello) nonchè al giudizio di revocazione; tutti gli altri procedimenti suindicati prevedono la partecipazione delle parti e quindi il problema nemmeno si pone.
In secondo luogo bisogna chiedersi cosa sarà per la “ripresa post blocco” e quindi guardare in particolare alle pieghe dell’art. 2 del decreto.
A partire però dalla previsione dell’art. 1, comma 2, del decreto medesimo, secondo la quale sono sospesi anche i termini per le attività processuali finalizzate alla trattazione dei procedimenti (memorie).
Nel riorganizzare l’attività bisognerà prestare una particolare attenzione a questo aspetto della questione, perchè altrimenti si rischiano nullità processuali per violazione del diritto di difesa/principio del contraddittorio (sul punto, v. ancora, per le analoghe problematiche del processo civile, De Stefano, cit.).
Ciò posto, il problema interpretativo più pressante risulta evidentemente essere quello delle eccezioni al rinvio d’ufficio ed a quello, correlato, delle misure discrezionali delegate ai Dirigenti giudiziari, quindi ai Presidenti delle Commissioni provinciali e regionali, previste rispettivamente dagli artt. 1, comma 1, ultima parte e 2, d.l. 11/2020.
Infatti, con riguardo alle due diverse modalità dell’intervento normativo (rinvio automatico al 22 marzo, discrezionale fino al 31 maggio), si pone per entrambe la questione dei procedimenti incidentali cautelari analoghi a quelli civilistici indicati nella lett. g) del comma 1, dell’art. 2 del d.l.: «..procedimenti di cui all’articolo 283, 351 e 373, del codice di procedura civile e, in genere, in tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio per le parti».
Peraltro, ancorchè si tratti di procedimenti “partecipati” sia per le inibitorie civili che per quelle tributarie, non sembrano ravvisabili elementi di “incompatibilità” che inducano a ritenere non completamente estensibile l’eccezionale disciplina processual-civilistica a quella speciale tributaria, nelle articolazioni che sopra si sono sinteticamente indicate.
Ebbene, non può non notarsi una sensibile differenza tra tali, molto “essenziali”, scelte normative e la più articolata e “protettiva” disciplina data con l’art. 3 del decreto ai procedimenti avanti agli organi di giustizia amministrativa, che tuttavia non può essere applicata a quelli avanti le Commissioni tributarie, stante il generale rinvio di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. 546/1992.
Comunque sia, per i sub-procedimenti cautelari ed inibitori tributari non appaiono ravvisabili ragioni di rinvio, né “secco” né “discrezionale”, ma solo l’applicabilità di misure di natura preventiva sulle modalità di esercizio delle attività.
4. Una conclusione pratica ed un auspicio.
Sul piano delle situazioni concrete e volendo dunque calare l’intervento nella realtà, non bisogna dimenticare che l’edilizia giudiziaria tributaria spesso presenta situazioni di precarietà e promiscuità che possono essere anche deteriori rispetto a quelle, anch’esse non sempre “ottimali”, degli uffici giudiziari ordinari.
Se dunque lo scopo –dichiarato ed evidente- della normativa indifferibile ed urgente è quello di limitare al massimo il “contatto sociale” nelle aule di giustizia, allora i Presidenti delle Commissioni dovranno esercitare con particolare attenzione e prudenza le prerogative loro date dall’art. 2 del decreto.
E l’auspicio è che ciò avvenga
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