ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
C. cost. n. 111 e l’incostituzionalità dell’art. 344 bis c.p.p.* di Giorgio Spangher
Con la recente sentenza n. 111 la Corte costituzionale ha dischiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 568, c. 4, c.p.p., per violazione degli artt. 24, c. 2, e 111, c. 2, Cost., in quanto interpretato nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza di appello che, in fase predibattimentale e senza alcuna forma di contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.
Con questa decisione i giudici costituzionali hanno evidenziato l’illegittimità della sentenza delle Sezioni unite con la quale si era dichiarato che nell’ipotesi di sentenza predibattimentale d’appello, pronunciata in violazione del contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all’art. 129, c. 2, c.p.p.
Com’è noto, la sentenza era stata oggetto di una “spezzatura” all’interno del Collegio riunito che, infatti, aveva visto la sostituzione del relatore originario.
L’impostazione non era stata condivisa dalla prima sezione della Cassazione che – ai sensi dell’art. 618, c. 1 bis, c.p.p., aveva rimesso la questione alle Sezioni Unite.
Il presidente del Collegio riunito, ritenendo di confermare l’assunto della sentenza, aveva restituito gli atti alla prima sezione che ha sollevato l’incidente di costituzionalità ora accolto dalla Corte costituzionale.
L’impostazione fatta propria dalle Sezioni Unite muoveva dalla premessa che a fronte di una nullità assoluta, connessa a difetto di contraddittorio, in relazione alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., l’invalidità e la regressione del processo soccombono di fronte all’ipotesi di estinzione del reato, in relazione al valore costituzionale della durata ragionevole del processo.
Anche a prescindere dalla rinuncia alla prescrizione, il rinvio per un nuovo giudizio dovrebbe escludersi in presenza dei necessari accertamenti di fatto finalizzati al riconoscimento dell’operatività dell’art. 129 c.p.p. mentre in presenza di una evidente prova di innocenza questa sarebbe applicabile dalla stessa Cassazione.
Diverso si è configurato dapprima l’approccio della sezione prima della Cassazione e poi della Corte costituzionale.
Invero, per il Supremo Collegio, la sentenza predibattimentale di cui all’art. 649 c.p.p. non può essere emessa nel giudizio d’appello, rendendosi necessaria la pienezza della giurisdizione ed il conseguente contraddittorio tra le parti, avviato dall’atto d’appello da loro proposto. La questione prospetta questioni, qui non affrontate in caso di appello del p.m. nei confronti di una sentenza di proscioglimento.
Mentre con la sentenza delle Sezioni Unite questa valuta la necessità dell’annullamento o meno, alla luce dei suoi poteri, prescindendo dalla mancanza del contraddittorio in fase di atti preliminari il giudizio d’appello (e conseguentemente anche in limine al giudizio di secondo grado) ove il collegio non si sia pronunciato in fase preliminare stante l’inoperatività dell’art. 469 c.p.p., la prima sezione e la Corte ritengono necessario che in ordina all’operatività dell’art. 129 c.p.p. sia necessario comunque il contraddittorio.
Punto centrale delle riflessioni è il rapporto tra durata ragionevole del processo (e sottostante economia processuale) e diritto al processo giusto da parte dell’imputato, evidenziato anche dal fatto che alla difesa sarebbe sottratto un grado di giudizio.
Non possono non essere riprodotti alcuni passaggi della motivazione di C. Cost. n. 111.
La nozione di “ragionevole” durata del processo (in particolare penale) è sempre il frutto di un bilanciamento delicato tra i molteplici – e tra loro confliggenti – interessi pubblici e privati coinvolti dal processo medesimo, in maniera da coniugare l’obiettivo di raggiungere il suo scopo naturale dell’accertamento del fatto e dell’eventuale ascrizione delle relative responsabilità, nel pieno rispetto delle garanzie della difesa, con l’esigenza pur essenziale di raggiungere tale obiettivo in un lasso di tempo non eccessivo.
Il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie, in quanto ciò che rileva è esclusivamente la durata del “giusto” processo, quale delineato proprio dall’art. 111 Cost.
Un processo non “giusto”, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata. In realtà, non si tratterebbe di un vero bilanciamento, ma di un sacrificio puro e semplice, sia del diritto al contraddittorio sancito dal suddetto art. 111 Cost., sia del diritto di difesa, riconosciuto dall’art. 24, c. 2, Cost.: diritti garantiti da norme costituzionali che entrambe risentono dell’effetto espansivo dell’art. 6 Cedu e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
I principi dettati sia dall’art. 111, c. 2, Cost., sia dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con l. 4 agosto 1955, n. 848, delineano, così, la ragionevole durata come canone oggettivo di efficienza dell’amministrazione della giustizia e come diritto delle parti, comunque correlati ad un processo che si svolge in contraddittorio davanti ad un giudice imparziale.
Verosimilmente, non potendo operare anche nel contraddittorio l’art. 461 c.p.p. sarà necessario aprire il dibattimento e verificare la situazione di operatività o meno dell’art. 129 cpv. c.p.p..
Queste affermazioni devono ora confrontarsi con le implicazioni della declaratoria di improcedibilità del giudizio di impugnazione con quello d’appello in particolare, anche alla luce del mancato richiamo della declaratoria di cui all’art. 344 bis c.p.p. nell’art. 129, primo e secondo comma, c.p.p.
E’ opinione diffusa che la declaratoria di improcedibilità sia emessa de plano dal giudice per effetto del decorso infruttuoso Invero, si ritiene che la stessa impedisca ogni decisione di segno diverso sotto vari profili, esclusa forse solo la confisca obbligatoria.
Sono note le questioni connesse al riconoscimento o meno di una causa di inammissibilità e gli effetti a fini civilistici Ora è indubitabile che la decisione della Corte costituzionale apre scenari nuovi rispetto a queste questioni, soprattutto in relazione all’operatività dell’art. 129 c.p.p., suscettibili di superare le riferite conclusioni, rendendosi tuttavia necessaria la prospettazione di una questione di legittimità costituzionale non potendo la questione essere risolta solo per via interpretativa, rendendosi necessari molti “passaggi” argomentativi.
Sembrerebbe che con la delega il legislatore voglia farsi carico di alcune di queste questioni, soprattutto quella relativa al cpv. dell’art. 129 c.p.p. riconoscendone l’operatività.
Tuttavia, è chiaro che una simile previsione aprirebbe il vaso di Pandora delle ricadute, degli effetti, delle implicazioni dell’art. 344 bis c.p.p. già prospettate per gli altri profili di questioni di costituzionalità.
* in tema L'art. 344 bis c.p.p.: questioni di incostituzionalità e criticità applicative di G. Spangher
Il “nuovo” ufficio per il processo: un modello organizzativo aperto all’intelligenza artificiale di Federica Barbieri
Sommario: 1. Premessa. - 2. L’ufficio per il processo: dal passato al presente. - 3. I compiti attribuiti allo staff dell’ufficio per il processo: a) i tirocinanti e i giudici onorari. - 3.1. b) i nuovi addetti all’ufficio per il processo. - 3.2. Un modello organizzativo flessibile. - 4. L’innovazione tecnologica nella giustizia: cenni generali. - 4.1. L’ ufficio per il processo come volano dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari. - 5. Considerazioni conclusive.
1. Premessa
Ormai da anni si discute dell’importanza, all’interno del sistema giustizia, del fattore organizzativo, ritenuto una valida arma per combattere le inefficienze della giurisdizione, al cospetto di condanne del nostro Paese nelle sedi internazionali cagionate dalla durata eccessiva dei procedimenti giudiziari.
Invero, le questioni organizzative, a partire dalla modifica dell’art. 111 Cost. – che ha introdotto il principio della ragionevole durata del processo – sembrano oramai far parte dello studio dei sistemi giudiziari[1].
In effetti, la riforma della disposizione costituzionale citata ha avuto il pregio di porre all’attenzione di tutti gli operatori del processo civile il fattore tempo, quale elemento centrale dell’esercizio della funzione giurisdizionale[2].
In altri termini, sebbene il valore dell’efficienza della giustizia – definibile, secondo una visione tipicamente economica, come l’allocazione ottimale delle risorse rispetto ai risultati che la giustizia è chiamata a realizzare[3] – non trovi una formulazione legislativa espressa nelle fonti che regolano il procedimento giurisdizionale civile[4], esso può ritenersi inglobato proprio nel concetto di ragionevole durata del processo, costituzionalizzato nell’art. 111[5].
Si è compreso, quindi, che le riforme legislative, spinte dalla necessità di combattere, attraverso precisi interventi sul rito, la crisi della giustizia civile – cagionata, prevalentemente, dalla scopertura negli organici della magistratura e del personale amministrativo, dall’accumulo di arretrati, con conseguente sovraffollamento nelle aule di udienza e dall’allungamento dei tempi di definizione dei processi[6] – non possono da sole risolvere i problemi che affliggono il sistema giudiziario[7].
Si è diffusa, pertanto, la convinzione secondo cui l’effettiva tutela dei diritti soggettivi deve fondarsi necessariamente anche su tematiche e riflessioni intrinsecamente legate alla dimensione organizzativa della giustizia, cosicché le prerogative costituzionali della magistratura non debbono più inibire l’entrata nei sistemi giudiziari di una cultura efficientistica[8], ma devono essere concretamente bilanciate con essa. Va, però, evidenziato, a scanso di equivoci, che “la costituzionalizzazione del valore dell’efficienza non accredita una concezione della giustizia come impresa”[9], visto che le logiche aziendalistiche di risultato richiedono condizioni difficilmente realizzabili in “sistemi connotati da autonomia procedurale e di giudizio”[10], come quello giurisdizionale.
Si tratta, ad ogni modo, di una tematica piuttosto complessa che non può essere approfondita in questa sede, nella quale, invece, ci si soffermerà su uno dei catalizzatori della “organizzazione giudiziaria”, l’ufficio per il processo, ritenuto, sin dalle origini, un modello organizzativo preordinato al raggiungimento di efficienza della giustizia, da realizzare attraverso un potenziamento delle risorse umane e materiali, grazie alle quali diviene più agevole conseguire un aumento della produttività giudiziaria.
Invero, la struttura in parola, che nelle sue forme originarie prendeva il nome di “ufficio del giudice” (etichetta piuttosto equivocabile e, a parer di qualcuno, altrettanto pericolosa[11]), poggia sull’idea di una macchina organizzativa, nella quale operano diverse figure professionali, la cui attività è accomunata da un obiettivo condiviso, l’attuazione pratica del precetto costituzionale della ragionevole durata.
Proprio in tale scenario si colloca lo scopo della presente disamina, che si propone di investigare come l’ufficio per il processo, nella sua più recente rivisitazione normativa, persegua il suddetto obiettivo principe, creando, al contempo, “concime per l’innovazione del sistema giudiziario del Paese[12]” e costituendo, così, “il cavallo di Troia della innovazione dei Tribunali[13]”, ovvero, più precisamente, il volano dell’avvento dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari.
2. L’ufficio per il processo: dal passato al presente[14]
L’ufficio per il processo è una compagine organizzativa di supporto alla funzione giurisdizionale, che si innesta nel sistema giuridico italiano sulla scia di precedenti esperienze straniere, già operative da diversi anni, orientate, talvolta, nella direzione di un “ufficio del giudice” (cioè di un presidio organizzativo affidato al singolo magistrato e fondato perlopiù su un rapporto bilaterale tra giudice assistito e assistente giudiziario)[15] e, talaltra, nella direzione di un vero e proprio ufficio del processo (ovverosia di una impianto che supporta, complessivamente, il lavoro giurisdizionale e amministrativo)[16].
Le origini della struttura de qua, il cui tratto distintivo più marcato è rappresentato dalle professionalità variegate che la compongono[17], vanno più correttamente rinvenute in quel momento storico in cui alcuni studiosi del processo civile iniziarono a prestare particolare attenzione all’aspetto organizzativo della giustizia, nella condivisibile convinzione che lo stesso fosse una valida panacea per scongiurare il male di processi irragionevolmente lunghi[18].
Sebbene, quindi, si aggirasse già l’idea, tra gli operatori del diritto, di creare un supporto organizzativo per il giudice, il progetto inizia tuttavia a prendere concretezza alcuni decenni più tardi, quando, con la L. n. 221 del 2012, modificata dal D.L. n. 90 del 2014 (conv. in L. n. 114 del 2014), l’ufficio per il processo si affaccia sul territorio nazionale “come una struttura burocratica abbastanza rigida dell'amministrazione giudiziaria che si affianca alla classica organizzazione degli uffici”[19], preordinata a garantire la ragionevole durata del processo, “attraverso l’innovazione dei modelli organizzativi ed assicurando un più efficiente impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”.
Il precipuo obiettivo degli interventi normativi sopra menzionati è stato, dunque, quello di creare un impianto nel quale potesse svilupparsi il lavoro di squadra[20], ritenuto un mezzo utile al potenziamento dell’efficienza dei processi e, più in generale, uno strumento di miglioramento dell’organizzazione dell’ufficio giudiziario[21], anche con lo scopo di assicurare al magistrato il recupero esclusivo della funzione stricto sensu giurisdizionale, troppo spesso abbinata ad attività che esulano dal proprium della giurisdizione.
In altri termini, l’ufficio per il processo rappresenta una misura preordinata a combattere l’inadeguatezza del lavoro in solitaria del magistrato[22], il quale, ricoperto da numerose incombenze, sovente ha rivendicato un’assistenza nello svolgimento dell’attività giudiziaria[23].
È evidente, quindi, che l’istituzione dell’assetto de quo determina un netto mutamento della concezione del lavoro del giudice, segnando il passaggio da una gestione tipicamente individualistica (strettamente connaturata alla formazione professionale del magistrato[24] ) a una conduzione condivisa dell’attività lato sensu giurisdizionale, da realizzare per mezzo di una struttura partecipata da tirocinanti, giudici onorari e personale amministrativo, idonea a supportare le mansioni giudiziarie, in termini sia quantitativi, che qualitativi.
L’impianto organizzativo in parola, tuttavia, nonostante i meritevoli obiettivi, ha faticato a radicarsi immediatamente, a causa, da un lato, della mancanza di risorse umane, materiali e tecnologiche che potessero farlo funzionare[25], e, dall’altro, della carenza (quantomeno iniziale) di previsioni normative che potessero guidarne in modo puntuale la costituzione[26].
Sennonché, la disciplina legislativa del 2014 sopra citata è stata irrobustita con successivi interventi di normazione primaria e secondaria preordinati a catalizzare la costituzione dell’ufficio per il processo, al fine di renderlo in concreto una realtà operativa.
Invero, il Ministero della Giustizia, prima[27], e il C.S.M., poi[28], hanno dettato specificamente le misure organizzative della struttura de qua, stabilendo che la stessa, tenuto conto dello scopo per il quale è stata prevista, vada assegnata a supporto di uno o più giudici professionali, a seguito di una preventiva e imprescindibile valutazione, da parte del capo dell’ufficio, dei settori che necessitano di un intervento di eliminazione dell’arretrato e di abbattimento dei tempi di durata dei processi, considerati altresì gli obiettivi perseguiti con i programmi di gestione (ex art. 37, co. 1, d.l. n. 98/2011)[29].
In altri termini, l’ufficio per il processo – la cui adozione è divenuta nel frattempo obbligatoria presso i tribunali ordinari[30] e presso le corti d’appello[31] – non deve necessariamente “ricalcare in maniera pedissequa la struttura delle sezioni o dei settori del Tribunale”[32]; ciò significa, più precisamente, che la creazione dello stesso andrà modulata in relazione alle esigenze dell’ufficio giudiziario nel quale viene incardinato, ovvero, più esattamente, sulla base dei settori che abbisognano di un maggior supporto. Del resto, la composizione dell’assetto organizzativo de quo presuppone una preventiva individuazione, da parte del capo dell’ufficio, di “obiettivi specifici”, per la realizzazione dei quali verranno poi indicate, in modo altrettanto dettagliato, tanto le risorse umane da destinare alla struttura, quanto le attività da svolgere[33].
Neppure le linee guida dell’organo dell’autogoverno della magistratura, però, hanno di fatto consentito un pieno decollo della assetto de quo, la cui istituzione è stata talvolta compromessa anche da un mancato mutamento della cultura organizzativa del magistrato[34], il quale ha sempre più spesso continuato ad operare quale “monade assoluta”, mostrando un atteggiamento scettico e ritroso nei confronti di un impiego condiviso di risorse umane, facenti parte di un contesto preordinato al raggiungimento di un obiettivo comune[35].
Ciononostante, le esperienze virtuose che si sono affacciate sul panorama nazionale comprovano un impatto positivo della struttura in parola sul servizio giustizia; l’utilizzo dell’assetto organizzativo de quo è stato comunque assai variegato: l’ufficio è stato principalmente impiegato per aumentare la produttività e ridurre al contempo l’arretrato, nonché per migliorare la qualità del servizio giustizia, per potenziare la digitalizzazione, anche attraverso la creazione di archivi giurisprudenziali, per l’elaborazione più precisa dei dati statistici[36]. Le maggiori criticità si sono tuttavia riscontrate nella totale disomogeneità nella distribuzione delle risorse, che certamente non agevola l’istituzione dell’ufficio in tutte le realtà giudiziarie nazionali.
Invero, come si evince dai grafici seguenti, sebbene sia piuttosto elevata la percentuale dei tribunali ordinari che hanno istituito (al 2021) almeno un ufficio per il processo (Grafico n. 1), è comunque altrettanto significativo il discrimen sul territorio italiano del numero di giudici onorari (Grafico n. 2) e di tirocinanti (Grafico n. 3) per ufficio giudiziario.
Grafico n. 1[37]
Grafico n. 2[38]
Grafico n. 3[39]
Le ragioni del suddetto squilibrio, in verità, non sono univoche e potrebbero ascriversi a una pluralità di fattori difficilmente estensibili a tutti gli uffici giudiziari, soprattutto ove ci si riferisca alla difforme suddivisione dei giudici onorari. Quanto alla disomogenea distribuzione dei tirocinanti, potrebbe ritenersi che gli stessi siano prevalentemente concentrati al Centro Sud, ove lo stage formativo presso gli uffici giudiziari si rivela più conveniente rispetto alla pratica forense (che, nelle realtà centro – meridionali, generalmente, non viene retribuita, diversamente da quanto accade al Nord)[40].
Si tratta, tuttavia, di ipotesi comunque non generalizzabili, visto che, come si evince dal Grafico n. 3, esistono uffici del Sud con zero tirocinanti (v. per esempio Brindisi), o con una percentuale di tirocinanti piuttosto esigua (v. per esempio Catania), nonché tribunali del Nord con un numero considerevole di stagisti (v. per esempio Pordenone). Si potrebbe allora ritenere che i tirocinanti siano naturalmente più numerosi in quei circondari sedi di università[41], ma neppure tale ipotesi sembra molto persuasiva, dal momento che taluni Tribunali, pur non essendo situati in sedi universitarie, dispongono di un numero cospicuo di tirocinanti (v. per esempio Avellino e Pordenone).
Ciò posto, non è un caso che il nuovo pacchetto di riforme sulla giustizia del 2021[42] abbia puntato sull’implementazione della struttura de qua (estendendola persino alla Corte di Cassazione e alla Procura generale presso la Corte[43]) nella consapevolezza che l’obiettivo generale al quale aspira il PNRR – rappresentato, nell’àmbito del sistema giudiziario, da una riduzione dei tempi dei giudizi entro la metà del 2026[44] – sia conseguibile attraverso un potenziamento dell’ufficio per il processo, che costituisce, pertanto, “il cuore pulsante” dell’abbattimento dell’arretrato[45].
Non va quindi sottaciuto l’interesse mostrato (ancora una volta) per il fattore organizzativo, interesse che conferma, peraltro, una (seppure implicita) contezza del fatto che le sole modifiche agli istituti stricto sensu processuali, se non accompagnate da interventi di carattere strutturale, che incidano in misura più o meno ampia sull’organizzazione dell’ufficio, sono da sole insufficienti per conseguire il recupero di efficienza tanto agognato.
Orbene, va da subito rilevato che il legislatore del 2021 ha comunque preso le mosse dal modello di ufficio per il processo delineato nel 2014, provvedendo, al contempo, a correggere quelle storture che, come si è accennato sopra, hanno delimitato (se non addirittura impedito) una piena e generalizzata operatività dell’assetto organizzativo di cui si sta discorrendo.
Invero, se da un lato, sono state confermate le modalità di istituzione dell’ufficio – e, dunque, le previsioni secondo cui non necessariamente deve sussistere una “corrispondenza biunivoca tra il singolo ufficio giudiziario e un unico ufficio del processo costituito al suo interno[46]” – la prima novità dell’intervento normativo del 2021 va rinvenuta nella composizione dell’ufficio per il processo, del quale continueranno sì a far parte i tirocinanti, i giudici onorari/ausiliari e il personale di cancelleria[47], con l’aggiunta, però, degli addetti all’ufficio per il processo, funzionari dipendenti dal Ministero della giustizia, reclutati, con concorso, su base distrettuale[48].
Prima di passare ad esaminare le mansioni della figura di nuovo conio, quello che si vuole immediatamente evidenziare è il condivisibile intento del legislatore della riforma di ovviare alla variabilità e alla scarsità di risorse, di cui si parlava sopra, attraverso un modello di ufficio basato, invece, almeno in parte, su risorse umane stabili e certe, che prestano servizio per un arco temporale predefinito[49] e ritenuto sufficiente al raggiungimento degli outcomes di abbattimento dell’arretrato e di riduzione dei tempi processuali prefissati[50].
Non a caso l’introduzione dei nuovi funzionari assolve a un duplice scopo: da un lato mira a rendere operativa e funzionante la struttura de qua, dall’altro serve ad assicurare una celere definizione dei procedimenti giudiziari[51], visto che gli addetti, come si avrà modo di spiegare meglio a breve, prestano la propria attività lavorativa esclusivamente per la riduzione dell’arretrato.
In altre parole, con il PNRR, l’ufficio per il processo va ad assumere una sorta di strutturazione rafforzata, “destinata a innovare il lavoro degli uffici giudiziari”. La suddetta potenzialità innovativa risiede, più propriamente, non solo nell’ingente numero di addetti assunti, ma anche negli obiettivi di miglioramento complessivo dell’ufficio, da realizzare attraverso una struttura di assistenza al magistrato, uno staff che di fatto riesce, in primo luogo, a “sollevare il giudice dallo svolgimento di incombenze minori, semplici o di routine”[52] e, in secondo luogo, a “creare anche un supporto di qualità alla redazione di provvedimenti, allo studio delle questioni dottrinali e giurisprudenziali ecc.”[53]. In buona sostanza, con i nuovi addetti il magistrato dovrebbe pervenire ad instaurare una sorta di “collegialità decisionale”[54], ovvero un’organizzazione nella quale il giudice dovrebbe esercitare l’attività stricto sensu giurisdizionale, pervenendo al decisum dopo una preventiva elaborazione, da parte dello staff, dello scheletro del provvedimento[55].
Tra l’altro – e questa rappresenta la seconda novità dell’intervento normativo del 2021 – all’accelerazione impressa normativamente all’ufficio per il processo contribuiscono, stavolta, anche gli Atenei italiani, i quali svolgono il pregevole impegno di supportare l’attivazione e l’organizzazione della struttura de qua nelle diverse sedi giudiziarie, in tal modo “consolidando il rapporto tra il sistema della formazione universitaria e il contesto giudiziario[56]”.
3. I compiti attribuiti allo staff dell’ufficio per il processo: a) i tirocinanti e i giudici onorari
Sebbene sia abbastanza sfuggente la nozione di “ufficio per il processo”[57], l’etichetta allude a una struttura organizzativa, interna all’ufficio giudiziario[58], nella quale un insieme di soggetti (rectius, di professionalità variegate[59]) collabora in vista di un obiettivo comune: una maggiore efficienza dell’ufficio giudiziario[60].
Ne deriva, quindi, che l’elemento essenziale degli interventi normativi che disciplinano la struttura in parola va colto proprio nelle incombenze organizzative distribuite tra il personale addetto all’ufficio de quo.
Ebbene, accanto alle attività del personale di cancelleria, che svolge compiti di natura amministrativa individuati dal dirigente amministrativo, in sintonia con il capo dell’ufficio[61], sono ben delineate le mansioni attribuibili agli altri membri della struttura organizzativa oggetto della presente disamina.
Le attività dei giudici onorari di pace (GOP), a seguito dell’intervento riformatore avvenuto con d.lgs. n.116 del 2017[62], possono essere distinte in due grandi macroaree:
I. Attività para-giurisdizionali (o preparatorie): i GOP, ai sensi dell’art. 10, co. 10, d.lgs. n. 116 del 2017 «coadiuvano il giudice professionale a supporto del quale la struttura organizzativa è assegnata e, sotto la direzione e il coordinamento del giudice professionale, compiono anche per i procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione collegiale, tutti gli atti preparatori utili per l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte del giudice professionale, provvedendo, in particolare, allo studio dei fascicoli, all'approfondimento giurisprudenziale e dottrinale ed alla predisposizione delle minute dei provvedimenti. Il giudice onorario può assistere alla camera di consiglio»[63].
II. Attività giurisdizionali in senso stretto: il legislatore attribuisce ai GOP delle mansioni istruttorie e definitorie, consentendo al giudice professionale, nell’àmbito della sua autonomia organizzativa, di assegnare al giudice onorario compiti e attività non particolarmente complessi – ivi compresa l’assunzione dei testi (art. 10, co. 11, d.lgs. n. 116 del 2017). Più in particolare, è preferibile che vengano delegate al GOP le pronunce delle ordinanze di cui agli artt. 186 bis e 423 c.p.c, nonché i provvedimenti di liquidazione dei compensi degli ausiliari e i provvedimenti che risolvono questioni semplici e ripetitive.
Con specifico riguardo ai compiti definitori, il GOP può pronunciare (art. 10, co. 12):
a) i provvedimenti che definiscono procedimenti di volontaria giurisdizione, in materie diverse dalla famiglia, inclusi gli affari di competenza del giudice tutelare;
b) i provvedimenti che definiscono procedimenti in materia di previdenza e assistenza obbligatoria; c) i provvedimenti che definiscono procedimenti di impugnazione o di opposizione avverso provvedimenti amministrativi;
d) i provvedimenti che definiscono cause relative a beni mobili di valore non superiore ad euro 50.000, nonché relative al pagamento a qualsiasi titolo di somme di denaro non eccedenti il medesimo valore; e) i provvedimenti che definiscono cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, purché il valore della controversia non superi euro 100.000;
f) i provvedimenti di assegnazione di crediti che definiscono procedimenti di espropriazione presso terzi, purché il valore del credito pignorato non superi euro 50.000.
Le attività dei tirocinanti – la cui disciplina è rinvenibile nell’art. 73, d.l. n. 69 del 2013 (conv.in l. n. 98 del 2013) – possono essere distinte in quattro categorie:
I. Attività para-giurisdizionali (o preparatorie): i tirocinanti coadiuvano il magistrato formatore, svolgendo gli atti preparatori all’udienza (riordino e sistemazione dei fascicoli), collaborando nella creazione e nella gestione dei modelli di verbali d’udienza e di provvedimenti.
II. Attività d’udienza: i tirocinanti redigono il verbale d’udienza, sotto la direzione del giudice per mezzo dell’ausilio della consolle, provvedono alla verbalizzazione delle dichiarazioni rese dalle parti, redigono le bozze delle ordinanze istruttorie, possono partecipare ai collegi e alle camere di consiglio.
III. Attività di studio: i tirocinanti eseguono ricerche giurisprudenziali e dottrinali utili allo studio dei fascicoli e redigono le bozze dei relativi provvedimenti.
IV.Attività tipicamente amministrative: i tirocinanti collaborano in maniera costante con la cancelleria del giudice.
3.1. b) i nuovi addetti all’ufficio per il processo
Il mansionario dei nuovi funzionari è indicato in modo puntuale nell’allegato II del d. l. n. 80 del 2021[64], da cui si evince la “natura ibrida” degli addetti, i quali, per un verso, svolgono attività di supporto alla giurisdizione, e, per un altro, esercitano compiti tipicamente amministrativi[65].
Più precisamente, spettano agli addetti all’ufficio per il processo:
I. Attività para-giurisdizionali (o preparatorie): essi provvedono all’organizzazione dei fascicoli, delle udienze e del ruolo, con segnalazione all’esperto coordinatore o al magistrato assegnatario dei fascicoli che presentino caratteri di priorità di trattazione; condividono, all'interno dell'ufficio per il processo, riflessioni su eventuali criticità, con proposte organizzative e informatiche per il loro superamento; selezionano i presupposti per la mediabilità della lite[66]; svolgono inoltre attività di supporto ai processi di digitalizzazione e innovazione organizzativa dell'ufficio e monitoraggio dei risultati, e, più precisamente, eseguono analisi sui flussi di lavoro[67].
II. Attività di studio e attività d’udienza: i nuovi funzionari provvedono allo studio dei fascicoli (predisponendo, ad esempio, delle schede riassuntive per procedimento), supportano il giudice nel compimento delle attività pratico/materiali o di facile esecuzione (come la verifica di completezza del fascicolo, l'accertamento della regolare costituzione delle parti, il controllo delle notifiche, del rispetto dei termini, l’individuazione dei difensori nominati ecc.), redigono bozze di provvedimenti semplici, controllano la pendenza di istanze o di richieste e provvedono alla loro gestione, svolgono ricerche giurisdizionali e dottrinali, ricostruiscono la fattispecie dal punto di vista normativo, supportano per l’individuazione di indirizzi giurisprudenziali sezionali[68].
III. Attività di raccordo con la cancelleria: gli addetti svolgono, sotto la supervisione del direttore di cancelleria o di altro incaricato o referente, quei compiti che legano la sfera giurisdizionale e l’esecuzione ammnistrativa di tutti gli atti ad essa preliminari e conseguenti, quali lo spoglio delle nuove iscrizioni, la verifica dei presupposti di priorità di trattazione, lo “scarico” dell’udienza, le attività di notifica e comunicazione alle parti, l’accertamento della definitività del provvedimento e la cura della fase esecutiva[69].
3.2. Un modello organizzativo flessibile
Il modello organizzativo sopra delineato – caratterizzato, come si è visto, da un dettagliato schema di collaborazione, nell’àmbito del quale ciascun membro dell’ufficio ha un proprio compito, prestabilito dalla legge e comunque (quantomeno apparentemente) differente da quello delle altre figure presenti – sembrerebbe segnare la fine del modulo operativo previgente, connotato, perlopiù, da un “rapporto duale magistrato/tirocinante ovvero magistrato/GOP” [70], che lasciava spazio a un margine di manovra piuttosto ampio in ordine al tipo di organizzazione da adottare, tanto da parte del capo dell’ufficio giudiziario, quanto da parte del singolo giudice professionale.
Eppure, per quanto sia innegabile l’intentio legis di assegnare gli addetti all’ufficio del processo nella sua interezza, e non ad un singolo magistrato[71], non va comunque sottaciuto che tale ultima circostanza pare assai probabile che si verifichi in quelle realtà giudiziarie di piccole dimensioni nelle quali non si escludono poi in concreto forme di collaborazione quasi biunivoche tra un magistrato e un addetto[72].
In altri termini, si vuole qui evidenziare che la flessibilità organizzativa persiste anche nel modello operativo di nuovo conio, che continua quindi a essere improntato su modalità di cooperazione che, pur tenendo conto dei compiti prefissati dal legislatore, si modellano in base alle esigenze dell’ufficio. Flessibilità che si percepisce sia a monte, ovvero al momento dell’istituzione della “nuova” struttura rafforzata – alla quale si perviene a seguito della predisposizione, da parte del capo dell’ufficio, di “un progetto organizzativo che preveda l'utilizzo degli addetti selezionati in modo da valorizzare il loro apporto all’attività giudiziaria”[73] – sia a valle, ossia nella specifica ripartizione dei compiti tra le figure che compongono l’ufficio.
Basti pensare, a titolo esemplificativo, al modo con cui si è pensato di differenziare, all’interno dello stesso ufficio, le attività dei tirocinanti da quelle dei nuovi addetti, che per certi versi si somigliano.
Si consideri, a tal proposito, che nel Tribunale di Pisa, i “tirocinanti continueranno nell’opera di studio, ricerca, redazione di bozze di provvedimenti”, là dove, invece, “i funzionari avranno una funzione più ampia, che include il monitoraggio del ruolo, la prioritarizzazione delle istanze, lo screening delle cause ultratriennali a fini di ricalendarizzazione e individuazione del canale di definizione oltre che predisposizione di bozze di provvedimenti”; diversamente, presso il Tribunale di Verona si verifica una sorta di interscambiabilità tra tirocinanti e addetti, visto che, da un lato, non è stata fatta, al momento della costituzione dell’ufficio del processo, una distinzione tra le figure e, dall’altro, l’idea del presidente del tribunale è quella di inserire i tirocinanti proprio all’interno delle sezioni dell’ufficio che sono state meno favorite nell’assegnazione dei nuovi addetti[74]. Un discorso quasi analogo va speso per il Tribunale di Napoli Nord, presso il quale, oltre alle mansioni che il legislatore ha previsto per i nuovi funzionari, si affiancheranno anche compiti molto simili a quelli dei tirocinanti, principio che, però, non vale a parti invertite[75].
Ciò posto, è innegabile comunque che la nuova disciplina normativa abbia preso consapevolmente le distanze dal modello, originariamente immaginato, di “ufficio del giudice”, nel quale gli assistenti giudiziari vengono affiancati al singolo magistrato al fine di coadiuvarlo, specialmente nell’attività di studio e di ricerca. A ben vedere, quanto alla figura dei nuovi addetti, tuttavia, pare comunque che il legislatore italiano abbia voluto prendere consapevolmente le mosse da altri esempi rinvenibili nel panorama comparatistico[76], nonché all’interno del nostro stesso sistema[77], realizzando, però, una sorta di tertium genus[78], a metà strada tra quei plessi organizzativi che si servono di funzionari in possesso di una specifica preparazione ai quali vengono assegnati compiti sostitutivi di quelli del giudice[79], e quelle che, invece, ricorrono ad assistenti di fiducia del magistrato, che provvedano esclusivamente a una attività di supporto, consistente nella ricerca e nello studio della questio iuris[80].
A ogni modo, la “nuova” struttura attenzionata dalla riforma nasce “a servizio dell’intero ufficio[81], come raccordo con il sistema delle cancellerie e segreterie, di assistenza al capo dell’ufficio e ai Presidenti di sezione per le attività di innovazione, di monitoraggio statistico e organizzativo, di supporto alla creazione di indirizzi giurisprudenziali e di banca dati”[82].
E proprio su quest’ultimo aspetto si soffermeranno le pagine seguenti, nelle quali si analizzerà, più in particolare, il connubio tra ufficio per il processo e intelligenza artificiale, quale risultante dell’impronta chiaramente innovativa impressa dal legislatore della riforma alla giustizia.
4.1. L’innovazione tecnologica nella giustizia: cenni generali
Una volta delineato in termini generali il quadro operativo della compagine organizzativa di nuovo conio, bisogna a questo punto domandarsi in che misura la costituzione dell’ufficio per il processo possa incentivare o comunque assecondare le esigenze di digitalizzazione della giustizia, che guidano i recenti interventi normativi, nonché, più in generale, il PNRR.
Invero, quest’ultimo permette di “declinare sotto diversi aspetti l’azione riorganizzativa della macchina giudiziaria e amministrativa” anche con il fine di “aumentare il grado di digitalizzazione della giustizia mediante l’utilizzo di strumenti evoluti di conoscenza (utili sia per l’esercizio della giurisdizione sia per adottare scelte consapevoli), il recupero del patrimonio documentale, il potenziamento dei software e delle dotazioni tecnologiche, l’ulteriore potenziamento del processo (civile e penale) telematico”[83].
È evidente, quindi, come l’obiettivo del PNRR sia non tanto solo quello di potenziare l’informatizzazione del processo, quanto piuttosto quello di sfruttare al massimo le opportunità delle nuove tecnologie nell’organizzazione del lavoro giudiziario, anche con lo scopo di imprimere una capacità predittiva alla domanda di giustizia[84], in ossequio alle indicazioni eurounitarie, che reputano la trasformazione digitale uno dei potenti strumenti di efficientamento del sistema giustizia[85].
Invero, la digitalizzazione giudiziaria include sì la dematerializzazione di tutti gli atti e documenti tradizionalmente cartacei, ma abbraccia altresì la predisposizione di strumenti cognitivi funzionali ad un più consapevole esercizio della giurisdizione da parte del giudice[86].
Del resto, allo stato, sebbene il sistema giustizia detenga un ingente patrimonio di dati, costituito dai documenti delle parti e dagli atti dell’autorità giudiziaria, fonte di potenziale conoscenza sui procedimenti e idoneo ad apportare dei miglioramenti in termini quantitativi e qualitativi all’esercizio della giurisdizione, le potenzialità smisurate legate all’utilizzo delle tecnologie digitali non vengono appieno sfruttate: i sistemi documentali del processo telematico già digitalizzati, infatti, non vengono impiegati quali strumenti di conoscenza a servizio del magistrato, essendo, invece, perlopiù usati (in forma analogica) nei flussi amministrativi[87].
In questo contesto si inserisce, quindi, l’intelligenza artificiale[88], riconosciuta, negli ultimi anni, come uno dei più importanti sviluppi nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione[89], le cui sperimentazioni nel campo della giustizia sono, però, ancora in fase di definizione.
E infatti, è sempre più frequente il riferimento all’impiego dell’intelligenza artificiale quale “tecnologia abilitante nel processo giurisdizionale”, idonea, da un lato, a supportare, senza travalicare la discrezionalità del giudicante, il lavoro del magistrato, e, dall’altro, a contribuire all’abbattimento dei tempi di durata dei procedimenti giurisdizionali e ad aumentarne la prevedibilità[90].
In buona sostanza, l’innovazione organizzativa della giustizia si traduce, tra l’altro, in un potenziamento della sovrastruttura informatica per mezzo dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale, che sembra adeguata a favorire la “qualità della risposta di giustizia, prima ancora che la sua tempestività”[91], a patto che vengano rispettati i princìpi indicati dalla Cepej nella Carta etica del dicembre 2018[92].
E a ben vedere, le istituzioni europee[93], preso atto della “crescente importanza dell’intelligenza artificiale nelle nostre moderne società e dei benefici previsti quando questa sarà utilizzata pienamente al servizio della efficienza e qualità della giustizia”, raccomandano un utilizzo controllato delle “strumentazioni intelligenti” nel campo della giurisdizione, un utilizzo, cioè, che, da un lato, non si sostanzi in un vero e proprio affievolimento della funzione giudiziaria della tutela dei diritti,[94] e, dall’altro, rispetti i diritti fondamentali dell’uomo, in particolare quelli sanciti dalla Cedu e dalla Convenzione n. 108 del Consiglio d’Europa sulla protezione dei dati personali[95].
Alla stregua delle suddette indicazioni sovranazionali, i modelli attenzionati dal Ministero della giustizia si propongono di offrire un metodo italiano di utilizzo dell’intelligenza artificiale in àmbito giudiziario che favorisca:
- “l’emersione delle linee di tendenza della giurisprudenza di merito, a livello di singolo ufficio, di distretto e nazionale;
- l'analisi critica della giurisprudenza pregressa, per liberare il singolo giudice dagli eventuali pregiudizi inconsapevoli che ne limitano l’effettiva indipendenza;
- lo sviluppo di tendenze giurisprudenziali consapevolmente innovative che maturino sulla scorta di una conoscenza effettiva, il più ampia possibile, del mutamento del contesto normativo, giurisprudenziale e fattuale riferibile al singolo caso in esame, razionalmente scomposto nei suoi elementi essenziali, in un quadro semantico condiviso ma non rigido”[96].
Si evince, quindi, come le sperimentazioni proposte non siano indirizzate alla realizzazione di uno sviluppo robotico della giustizia (rectius, alla creazione di un giudice robot), che evidentemente potrebbe compromettere talune garanzie costituzionali legate principalmente alla indipendenza e alla autonomia della magistratura[97], ma siano preordinate ad “ampliare gli strumenti di conoscenza ed analisi, in fatto e in diritto, a disposizione del magistrato autonomo, così da renderlo autenticamente consapevole delle proprie scelte” [98], come si è accennato.
Sulla scorta di tali considerazioni, il PNRR, con il precipuo intento di creare una piena interoperabilità tra i sistemi della giustizia, propone di valorizzare l’esistente digitale giudiziario attraverso la realizzazione di un data base di giurisprudenza, come data lake.
Si tratta evidentemente di una scelta rispondente alla strategia di ammodernamento della P.A., che implica concretamente una “integrazione fra i dati messi a disposizione dai sistemi del Ministero e la mole di dati molto eterogenei presenti nella singola corte”[99] e che permette, quindi, un’estensione delle informazioni alle quali si ha accesso, visto che il sistema di data lake altro non è che un metodo di lavoro che potenzia l’archiviazione e la consultazione di big data[100].
4.1. L’ ufficio per il processo come volano dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari
Come già accennato, la strategia ministeriale descritta denota una chiara intenzione di applicare la tecnologia al campo della giurisdizione in modo sicuramente più penetrante rispetto a quanto già sperimentato con il processo civile telematico, nella condivisibile convinzione che l’obiettivo di una giustizia più efficiente può essere perseguito percorrendo contestualmente tre direzioni tra loro complementari: una strettamente processuale (che tocchi aspetti del rito), una endoprocessuale (che abbracci profili organizzativo/gestionali) e una extraprocessuale (che valorizzi le opportunità offerte dalle innovazioni tecnologiche).
In buona sostanza, innovazione tecnologica e innovazione organizzativa sono accomunate dal medesimo sostrato: il recupero di efficienza del sistema giudiziario italiano; tanto basta per interrogarsi sulla possibilità di ricorrere alle nuove tecnologie e, più specificamente, ai sistemi di intelligenza artificiale, all’interno dell’ufficio per il processo, al fine di rendere ancora più performante il complesso di attività che spettano alle professionalità incardinate nella compagine organizzativa sopra analizzata.
Naturalmente, le soluzioni che si prospettano di seguito si limitano a individuare delle aree in cui le potenzialità dell’intelligenza artificiale si rivelano più immediatamente percepibili, senza con ciò vantare alcuna pretesa di completezza rispetto a una tematica che risentirà indubbiamente anche degli obiettivi specifici che ciascuna struttura organizzativa fisserà al suo interno, nonché delle peculiarità dei singoli contesti giudiziari.
Orbene, si è visto che l’ufficio per il processo costituisce, soprattutto nelle intenzioni del legislatore del 2021, uno strumento essenziale per smaltire l’arretrato attualmente esistente presso gli uffici giudiziari italiani; e allora uno spazio applicativo dell’intelligenza artificiale potrebbe ragionevolmente prospettarsi proprio per agevolare quelle attività preordinate a ridurre le pendenze giudiziarie.
Ovviamente l’aggressione dell’arretrato richiede l’adozione di uno specifico modello volto a classificare in via del tutto preliminare il carico giudiziale dell’ufficio di riferimento, in base all’anno di iscrizione a ruolo, nonché in relazione alla possibile mediabilità di una controversia, ovvero ancora alla possibilità di ricorrere a una chiusura in rito del procedimento.
La suddetta classificazione, che potrebbe rivelarsi prima facie dispendiosa, consente in verità di pervenire a una nuova calendarizzazione della trattazione delle cause vetuste, che tenga conto di diversi fattori, quali, per esempio, la materia della controversia, il grado di difficoltà che essa presenta e la fase processuale nella quale il procedimento giurisdizionale risulta “intrappolato”.
È innegabile che tali attività potrebbero essere sviluppate ricorrendo a “sistemi intelligenti” in una prospettiva finalizzata a valorizzare le incontestabili potenzialità dell’intelligenza artificiale (rectius, la capacità di elaborare dei dati, ad una velocità difficilmente eguagliabile da un essere umano, e di trasformare gli input immessi, attraverso un ragionamento logico tipico della mente umana[101]), che avrebbe in concreto la mansione meramente ausiliaria (ma oltremodo significativa) di coadiuvare attività che restano comunque nella sfera di azioni dell’uomo.
Si pensi alla (già proposta) soluzione di implementare degli algoritmi con la funzione di esaminare e decidere eccezioni di rito, quali litispendenza, giudicato, continenza, nonché di valutare la completezza degli atti introduttivi[102] e della nota di iscrizione al ruolo, così da accelerare, in primis, l’attività preliminare di classificazione dei procedimenti cui si è accennato sopra, di spettanza degli addetti all’ufficio per il processo e, in secundis, l’intervento (necessario) del giudice nella fase istruttoria e in quella decisoria[103] .
Si tratterebbe cioè di sperimentare delle soluzioni innovative, attraverso cui gestire ed eseguire attività preliminari e semplici[104], senza escludere comunque l’intervento dell’utilizzatore (così come raccomandato nella Carta etica citata), e, quindi, nel caso specifico, del giudice, o dell’ufficio per il processo. Soluzioni che comunque ben si conciliano con le già diffuse tecniche di assegnazione automatica degli affari, le quali, oltre a garantire una piena attuazione del precetto costituzionale di cui all’art. 25, co.1, si rivelano poi in concreto assai funzionali a una distribuzione equilibrata e trasparente dei fascicoli ai singoli magistrati[105].
Restando nell’àmbito di quelle attività preordinate a combattere l’arretrato, si è accennato che il legislatore assegna, tra l’altro, agli addetti all’ufficio per il processo la mansione di supportare l’ufficio giudiziario di riferimento nell’individuazione di indirizzi giurisprudenziali, nella condivisibile convinzione che la circolarità della giurisprudenza possa costituire un valido antidoto contro le lungaggini giudiziali, determinando in concreto un incremento della produttività dell’ufficio[106].
Pure in tal caso potrebbe immaginarsi la messa a punto di sistemi complementari agli applicativi già in uso, al fine di facilitare l’attività degli operatori dell’ufficio e, al contempo, di garantire agli “utenti” del servizio giustizia un certo grado di prevedibilità della giurisprudenza, tale da disincentivare azioni giudiziali meramente pretestuose, che ingolfano ingiustificatamente i ruoli dei magistrati[107].
In quest’ottica gioca un ruolo decisivo la costruzione delle banche dati di merito, ovvero di archivi giurisprudenziali, ritenuti idonei (sin dalla costituzione originaria dell’ufficio per il processo), da un lato, a potenziare la trasparenza e la pubblicità delle decisioni, e, dall’altro, a permettere una previsione degli orientamenti dei giudici, anche per mezzo di una agevole ricerca per tipologia di affari[108].
Fermo restando che le raccolte giurisprudenziali de quibus potranno poi in concreto assumere forme diverse (e, segnatamente, potrebbero contenere una sorta di estratto dei provvedimenti emessi dall’ufficio, ossia un raggruppamento dei punti di motivazione, ovvero ancora un aggregato di dati statistici sui procedimenti trattati dall’ufficio[109]), è evidente come esse assolvano in via del tutto prioritaria a una funzione eminentemente organizzativa, visto che sono state pensate proprio per definire più rapidamente l’arretrato, per mezzo della valorizzazione di un consapevole confronto tra i giudici[110].
E allora, per facilitare l’attività degli addetti nella individuazione degli indirizzi giurisprudenziale e la successiva e conseguente creazione dell’archivio di merito, l’intelligenza artificiale potrebbe essere impiegata, in via preliminare, come uno strumento di catalogazione dei provvedimenti giudiziali (e, quindi, per classificare le decisioni giudiziali in base ai riferimenti normativi e giurisprudenziali), dopo il deposito di essi da parte dell’organo giurisdizionale[111].
Tra l’altro, in questo contesto, con il deliberato fine di potenziare quella circolarità giurisprudenziale cui si è accennato sopra, ma, al contempo, di garantire una risposta di giustizia di qualità, potrebbe immaginarsi altresì di introdurre un meccanismo automatico di segnalazione dell’esito di una eventuale impugnazione di un provvedimento adottato in primo grado. Segnalazione che potrebbe pervenire direttamente sull’applicativo della Consolle del magistrato che ha emesso il provvedimento, per consentirgli di acquisire una consapevolezza più profonda di quanto sia stato confermato ovvero disatteso rispetto al suo decisum, nonché, alla cancelleria dell’ufficio giudiziario, cosicché gli addetti a cui spetta il compito di individuare gli indirizzi giurisprudenziali possano fornire un apporto ancora più completo, che tenga conto, cioè, anche del tasso di riforma del provvedimento nei gradi successivi.
Non da ultimo, come si è già accennato, il legislatore assegna agli addetti all’ufficio per il processo il compito di selezionare i presupposti di mediabilità di una lite, conformandosi, in tal modo, a un contesto – quello della riforma della giustizia – in cui la risoluzione del problema dei ritardi giudiziari è affidata in via quasi prioritaria al potenziamento degli strumenti di definizione delle liti alternativi alla sentenza[112].
Si tratta evidentemente di una mansione di non poco rilievo – considerate le potenzialità deflazionistiche insite negli strumenti conciliativi, per mezzo dei quali i nuovi interventi normativi aspirano a “contrarre l’attesa cui rimane esposto il cittadino in lite allorquando chiede una soluzione di giustizia”[113] – che potrebbe rinvenire un valido supporto nelle strumentazioni di intelligenza artificiale.
In altre parole, non pare poi così peregrino immaginare, anche sulla scia di altre esperienze italiane, l’impiego di sistemi intelligenti nella creazione di una banca dati digitale conciliativa, contenente tanto le ordinanze ex art. 185 - bis c.p.c. e le ordinanze di invio in mediazione, quanto i verbali di conciliazione, ordinati per materia[114].
Più precisamente, a monte, ovvero in fase di realizzazione della suddetta banca dati, potrebbero essere adoperate tecniche di intelligenza artificiale per l’anonimizzazione dei dati sensibili (che altrimenti necessiterebbero di essere oscurati “manualmente”); a valle, poi, si potrebbero impiegare dei meccanismi di ricerca intelligente, ovvero di interrogazione del sistema attraverso la ricerca per “parole chiave”. Naturalmente, le potenzialità dell’intelligenza artificiale potrebbero spingersi anche oltre: attraverso specifici meccanismi di machine learning si potrebbe immaginare, infatti, di addestrare la macchina al fine di compiere una primissima scrematura dei fascicoli connotati da un alto tasso di mediabilità.
5. Considerazioni conclusive
Le soluzioni innanzi proposte, senza cadere nelle insidie solitamente addebitate alla “giustizia predittiva” – espressione di per sé alquanto equivocabile, dal momento che allude, nella sua versione più moderata, all’idea di una giustizia prevedibile e, nella sua accezione più estrema, ad una giustizia robotica, nella quale, cioè, il dictum giudiziale viene integralmente sostituito da una macchina all’uopo addestrata[115] – si fondano sull’idea di utilizzare l’intelligenza artificiale quale modulo organizzativo, al fine di migliorare l’efficienza complessiva dell’ufficio giudiziario, velocizzando il compimento di talune attività ripetitive, funzionali all’abbattimento delle pendenze vetuste, che collidono con il precetto costituzionale della ragionevole durata.
Invero, le considerazioni sopra svolte mettono in evidenza come sia alquanto riduttivo prospettare l’impiego delle strumentazioni di intelligenza artificiale esclusivamente in una fase stricto sensu giurisdizionale[116], con la sola finalità di calcolare l’esito di un provvedimento del giudice[117].
Si è visto, infatti, che talune attività, prodromiche all’esercizio della funzione giurisdizionale, possono essere agevolmente delegate ad una macchina, la quale è certamente idonea a fornire rapidamente risultati di gran lunga più precisi rispetto a quelli ottenibili a seguito di un intervento umano.
Si tratterebbe, peraltro, di sperimentazioni idonee a supportare i compiti degli uomini, in un settore, quale quello della giustizia, in cui le condizioni di eccessivo carico di lavoro del sistema legittimano l’impiego di algoritmi[118] al fine di rendere più comodo un lavoro “meccanico” e comunque scevro da margini di apprezzamento[119].
Detto in altre parole, l’intelligenza artificiale, nel contesto innanzi descritto, verrebbe messa a servizio delle persone (rectius: del personale dell’ufficio per il processo), realizzando di fatto la tanto agognata “contaminazione tra uomo e macchina”, che vede la seconda con un ruolo meramente servente rispetto al primo, che continua, invece, a rivestire una funzione centrale all’interno della “innovativa” metodica di lavoro[120].
Più precisamente, a titolo meramente esemplificativo, sono state illustrate sopra delle soluzioni che comporterebbero di fatto un cospicuo incremento della digitalizzazione della giustizia, mediante l’utilizzo di tecniche di intelligenza artificiale non solo in una fase preliminare di gestione del contenzioso, per agevolare l’attività di classificazione dei procedimenti iscritti, ma pure in una fase successiva, per facilitare la catalogazione, all’interno di un archivio elettronico, dei provvedimenti giurisdizionali emessi, nonché l’anonimizzazione dei dati sensibili ivi presenti.
A ogni modo, le soluzioni prospettate, come già accennato, non esauriscono le ipotesi di impiego dell’intelligenza artificiale all’interno della struttura organizzativa di “nuovo conio”, ma rappresentano senz’altro delle sperimentazioni che potrebbero implementarsi – ferma restando una preventiva valutazione di compatibilità e di coerenza di esse con gli obiettivi specifici dell’ufficio per il processo, individuati a monte dal “magistrato capo” – laddove, come si è ribadito a più riprese, si voglia perseguire, quale scopo primario, quello dell’abbattimento dell’arretrato e di deflazione dei ruoli giudiziari.
Del resto, sovente la tecnologia è stata vista, nell’àmbito delle riforme del sistema giurisdizionale, come un mezzo utile a migliorare le performance degli uffici giudiziari, in termini quantitativi (rectius: di aumento della produttività dei giudici) e in termini qualitativi (più in particolare, di aumento della prevedibilità delle decisioni)[121].
Ebbene, il primo profilo risulta assai caro anche al legislatore dell’ultima riforma, per il quale l’innovazione tecnologica fa da pendant al potenziamento dell’ufficio per il processo, misura organizzativa ritenuta assai idonea allo smaltimento dell’arretrato.
Si è visto, infatti, che l’intervento normativo del 2021 impone di rafforzare il lavoro di staff all’interno degli uffici giudiziari, con la finalità di supportare il magistrato e la giurisdizione nell’attività di studio, di ricerca e di redazione delle bozze di provvedimenti, realizzando, al contempo, una struttura pioniera dell’innovazione tecnologica, già avviata con l’implementazione del processo civile telematico.
Depone in tal senso non solo la mansione, affidata alla nuova “forza lavoro” incardinata nell’ufficio per il processo, di fornire un supporto ai processi di digitalizzazione, ma altresì l’opportunità rappresentata dal Ministero di istituire dei servizi trasversali di ufficio per il processo, dedicati in modo congiunto o separato ad alcune specifiche attività indicate per l’attuazione del PNRR, tra le quali spicca proprio quella di “accompagnamento alla digitalizzazione dell’ufficio e all’innovazione”[122].
Pare innegabile, quindi, de iure condito, che sia assai concreta la possibilità di ricorrere nell’ambito di una struttura organizzativa, potenziata dal punto di vista delle risorse umane, delle sperimentazioni innovative di strumenti di intelligenza artificiale che possano in qualche modo migliorare, sia qualitativamente che quantitativamente, le attività che il legislatore individua quali strumenti per consentire al sistema giustizia italiano di recuperare una certa dose di efficienza.
[1] Si considerino, ex multis, i contributi di C. Guarnieri, La giustizia in Italia. Come funziona la nostra macchina giudiziaria, Bologna, 2011; Aa. Vv., Processo e organizzazione. Le riforme possibili per la giustizia civile, (a cura di) G. Gilardi, Milano, 2004, D. Marchesi, Litiganti, avvocati e magistrati. Diritto ed economia del processo civile, 2003; S. Zan, Fascicoli e tribunali: il processo civile in una prospettiva organizzativa, 2003.
[2] C. Viazzi, L’inefficienza della giustizia civile e l’organizzazione del lavoro giudiziario: un rimedio decisivo, in AA.VV., Tecnologia, Organizzazione e Giustizia. L’evoluzione del Processo Civile Telematico, (a cura di) S. Zan, Bologna, 2004, 296 e ss.
[3] Cfr. R. Caponi., Il principio di proporzionalità nella giustizia civile: prime note sistematiche, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 389.
[4] Un riferimento normativo, seppure di soft law, si rintraccia nella regola n. 30 della Raccomandazione CM/Rec del 2010 n. 12, sull’indipendenza, efficacia e responsabilità dei magistrati, del Consiglio d’Europa agli Stati membri: «l’efficienza dei giudici e dei sistemi giudiziari è una condizione necessaria per la tutela dei diritti di ogni persona, per il rispetto delle esigenze di cui all’art. 6 della Convenzione, per la certezza del diritto e la fiducia del pubblico nello Stato di diritto» Rilevante è, poi, il testo della regola n. 31 ove è ribadito che «l'efficacia sta nell’emettere decisioni di qualità entro un termine ragionevole e sulla base di un apprezzamento equo delle circostanze. Il singolo giudice è tenuto ad assicurare un trattamento efficace degli affari di cui è responsabile, compresa l'esecuzione delle decisioni quando essa è di sua competenza».
[5] R. Caponi, Il principio, cit., 393. Secondo P. Ferrua, La ragionevole durata del processo tra Costituzione e Convenzione europea, in Quest.giust. n.1/2017, 109, il principio in esame potrebbe ricavarsi dal più generale principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. Secondo Corte Cost., 22 ottobre 1999, n. 388, in www.giurcost.org, il principio dell’efficienza va ricavato dall’art. 24 Cost.
[6] G. Mastropasqua, L’organizzazione del “servizio giustizia” tra rigidità e creatività, Bari, 2014, 8.
[7] A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014, 29; L. Verzelloni, Dietro alla cattedra del giudice: pratiche, prassi e occasioni di apprendimento, Bologna, 2009, 21.
[8] Fatica a radicarsi, infatti, una lettura in chiave organizzativa del fenomeno, a causa della diffusa preoccupazione di intaccare i principi costituzionali che governano la giurisdizione. In tal senso v. F. Caruso, Tra standard di rendimento e carichi esigibili. L’inafferrabile misura del lavoro dovuto dal magistrato indipendente. Una riflessione a margine del recente referendum indetto dall’ANM, in www.questionegiustizia.it, 6 marzo 2016, § 7; R.W. Tobin, Creating the judicial branch: the unfinished reform, Williamsburg, 1999, 3 e ss. Detto in altri termini, l’indipendenza della magistratura, da una parte, e la precostituzione del giudice, dall’altra, sembrano non lasciare spazio all’ingresso di moduli organizzativi fondati su logiche del tutto estranee all’esercizio della funzione giurisdizionale. Cfr. W.J.M. Kickert, Public management of hybrid organizations: governance of quasi – autonomous executive agencies, in International Public Management Journal, n. 4/2001, 143.
[9] M. Romei Passetti, L’art. 111 Cost. e il principio di efficienza dell’organizzazione giudiziaria, in Giust. civ., 2001, II, 513.
[10] Basti pensare alla programmabilità e al controllo dell’attività, nonché alla possibilità di apportare modifiche all’iter produttivo, così L. Marini, Il tempo nell’organizzazione giudiziaria: obbligo o risorsa? Relazione al corso del C.S.M., Diritto, processo, tempo, Frascati, 2004, 4.
[11] R. Braccialini, L’ufficio per il processo tra storia, illusioni, delusioni e prospettive, in www.questionegiustizia.it, 1 giugno 2020, § 1, secondo il quale “l’etichetta “ufficio del giudice” è politicamente pericolosa e operativamente fragile: da un lato, accredita l'idea che tutta la responsabilità del buon funzionamento dell'amministrazione giudiziaria dipenda esclusivamente dal giudice; dall'altra, in termini pratici si sostanzia nella rincorsa dei singoli magistrati ad accaparrarsi l'assistente più bravo, lo stagista più preparato, il giudice onorario più collaborativo”.
[12] Queste le parole di F. Cottone nell’intervista di C. Morelli, ’Non solo efficienza: dal progetto Ufficio del Processo ci aspettiamo innovazione di sistema’, in www.altalex.com, del 7 gennaio 2022.
[13] C. Morelli, L’Ufficio del Processo fa il pieno di innovazione e tecnologia, in www.altalex.com, del 7 gennaio 2022.
[14] Lo scritto esamina la disciplina dell’ufficio per il processo istituito presso i tribunali ordinari. Esula dal presente lavoro, quindi, l’analisi dell’ufficio per il processo presso la Corte di cassazione e le Corti d’appello.
[15] Basti pensare: ai Judicial Assistants, giovani avvocati che operano, per un periodo di tempo determinato e retribuito, presso la Corte d’Appello inglese con il compito di effettuare ricerche giurisprudenziali e redigere i provvedimenti; ai Law Clerks americani, assistenti legali che svolgono “dietro le quinte dell’aula d’udienza” un lavoro di studio, di preparazione di bozze di provvedimento e di preliminare istruzione del procedimento; agli assistenti giudiziari presenti presso la Corte costituzionale austriaca; agli assistenti giudiziari che operano in Germania, sia presso la Corte Costituzionale federale, che presso i Tribunali federali; alla variegata categoria degli assistants de justice francese (che include sia juristes assistants, ovvero personale in possesso di specifici requisiti che viene assunto a tempo pieno o part-time, sia assistenti giudiziari in senso stretto, ovvero laureandi che offrono un contributo all’attività giurisdizionale del magistrato, intervenendo in una fase di preparazione alla decisione, per mezzo di ricerche giurisprudenziali e di redazione di bozze; nonché ai référendaire che assistono i giudici e gli avvocati generali della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ovvero ancora, per restare nei confini nazionali, agli assistenti di studio della Corte Costituzionale italiana, i quali svolgono delle ricerche sulle questioni da decidere. Per un’analisi comparatistica delle strutture che assistono il giudice v. A. Sanders, Judicial Assistants in Europe – A Comparative Analysis, in www.iacajournal.org, § 3.1; E. Aghina, Piano nazionale di ripresa e resilienza e risorse degli uffici giudiziari: il “nuovo” ufficio per il processo. intervista di Ernesto Aghina a Barbara Fabbrini, in www.giustiziainsieme.it, 8 agosto 2021; F. Auletta, L’ufficio del processo, in DPCI e C, 3/2021, 241 ss.; G. Grasso, Il piano nazionale di ripresa e resilienza e l’attuazione dell’ufficio per il processo, in www.lamagistratura.it, § 3.
§ 3; M. Sciacca, Gli strumenti di efficienza del sistema giudiziario, i nodi critici e l'incidenza della capacità organizzativa del giudice, in www.diritto.it, 25.
[16] Si consideri l’Oficina Judicial spagnola, organizzazione istituita nel 1985 a supporto e a sostegno dell’attività giurisdizionale di giudici e tribunali, che, per la struttura composita che la caratterizza, sembrerebbe più vicina all’idea di “ufficio del processo”, piuttosto che a quella di “ufficio del giudice”. Sul punto v. amplius C. Iglesias Canle, La disciplina legale della nuova “oficina judicial” spagnola, in www.judicium.it. Peraltro, non si escludono realtà giudiziarie nelle quali i due modelli, quello di ufficio per il processo e quello di ufficio del giudice, si fondono e gli assistenti giudiziari vengono assegnati a un collegio di giudici (come accade, per esempio, in Finlandia, Danimarca, Bulgaria) ovvero alla trattazione di specifici casi (come accade nella Slovenia). V. sul punto A. Sanders, Judicial, cit., § 3.1.
[17] Ad essa sono assegnati: i laureati in giurisprudenza che svolgono lo stage formativo a norma dell’art. 73, d.l. n. 69 del 2013, il personale di cancelleria, i giudici onorari di tribunale, nonché, per le Corti d’appello, i giudici ausiliari di cui agli artt. 62 e seguenti del d.l. n. 69 del 2013, convertito con modificazioni dalla l. n. 98 del 2013.
[18] Invero, l’idea di creare un ufficio per il processo risale agli inizi degli anni 2000, quando venne abbozzata una prima formula che, però, malgrado le diverse sollecitazioni, non fu immediatamente tradotta in un articolato normativo. Sul punto v. R. Braccialini, Per un modello leggero (ma non un “guscio vuoto”!) di ufficio per il processo, in www.questionegiustizia.it, 2 maggio 2017.
[19] Così letteralmente. Braccialini, L’ufficio per il processo, cit., § 3.
[20] Cfr. M.G. Civinini, Il "nuovo ufficio per il processo" tra riforma della giustizia e PNRR. Che sia la volta buona!, in www.questionegiustizia.it, 8 settembre 2021,§ 2.
[21] Sul rapporto tra ufficio per il processo e recupero dell’efficienza degli uffici v. B. Fabbrini, Convenzioni e collaborazioni tra enti locali. L’ufficio per il processo, in Aa.Vv., Giustizia in bilico i percorsi di innovazione giudiziaria: attori, risorse e governance, (a cura di) M. Sciacca, L. Verzelloni, G. Miccoli, Roma, 2003, 335.
[22] Come sostenuto da S. Boccagna, Il nuovo ufficio del processo e l’efficienza della giustizia, tra buone intenzioni e nodi irrisolti, in DPCI e C, 3/2021, 261, “va salutato con favore il definitivo superamento dell’idea, che faceva del nostro ordinamento un unicum nel panorama comparatistico, secondo la quale il giudice andrebbe visto come una sorta di «cavaliere solitario»”.
[23] M. Ciccarelli, Tirocini formativi e ufficio per il processo: un’occasione da non sprecare, in wwwquestionegiustizia.it, 15 luglio 2014, § 2.
[24] E. C. Friesen, Constraints and conflict in Court Administration, in Public Admninistration Review, March – April, 1971, 120.
[25] R. Braccialini, L’Ufficio per il processo tra storia, illusioni, delusioni e prospettive, in www.questionegiustizia.it, 1° giugno 2020.
[26] D. Cavallini, L’ufficio per il processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 982; M. Ciccarelli, I mobili confini di un possibile Ufficio per il processo, in www.questionegiustizia.it, 25 novembre 2020.
[27] Ministero Della Giustizia, D.M. 1° ottobre 2015.
[28] C.S.M., Ufficio per il processo: esito del monitoraggio sulla istituzione e sul funzionamento; ruolo della magistratura e diritto transitorio. Delibera del 18 giugno 2018, in www.csm.it.
[29] Più precisamente, nell’àmbito del progetto tabellare, ovvero nella variazione tabellare istitutiva dell’ufficio per il processo, il capo dell’ufficio deve stabilire gli obiettivi da raggiungere e indicare il settore nel quale raggiungerli, nonché le risorse da destinarvi.
[30] Cfr. C.S.M., Linee guida per l’Ufficio del Processo ex art. 50 D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 – Modalità operative. Delibera del 15 maggio 2019, in www.csm.it.
[31] Cfr. C.S.M., Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2020/2022, (delibera in data 23 luglio 2020 e successive modifiche in data 8 aprile 2021, 13 ottobre 2021 e 7 dicembre 2021), art. 10.
[32] C.S.M., ivi, 4.
[33] Cfr. C.S.M., Delibera del 15 maggio 2019, cit. § 5.
[34] M.G. Civinini, Il "nuovo ufficio per il processo", cit., § 2.1.
[35] Naturalmente alla mancanza di una cultura organizzativa si accompagnano altri fattori che hanno compromesso in modo più o meno incisivo la creazione dell’ufficio per il processo. Si consideri, per esempio, l’insufficienza di risorse materiali e umane e, più precisamente, l’imprevedibilità dei flussi in ingresso dei tirocinanti (su cui v. meglio Infra), nonché la carenza di postazioni informatiche con collegamento alla rete internet e a ItalgiureWeb. Cfr. C.S.M., Questionario sull’ufficio del processo – spoglio e analisi dei risultati. Delibera del 18 giugno 2018, in www.csm.it.
[36] C.S.M., Delibera del 18 giugno 2018, cit.
Ma ancor prima dell’intervento normativo del 2014 si segnalano alcune esperienze virtuose: quella del Tribunale fiorentino che, ancor prima del 2014, ha messo a punto un modello di ufficio per il processo “artigianale”, per il quale v. le considerazioni di B. Fabbrini, Convenzioni e collaborazioni tra enti locali. L’ufficio per il processo, in Aa.Vv., Giustizia in bilico: i percorsi di innovazione giudiziaria: attori, risorse e governance, (a cura di) M. Sciacca, L. Verzelloni, G. Miccoli, Roma, 2013, 342, nonché I. Pagni, L’Ufficio per il processo: l’occasione per una (ulteriore) osmosi virtuosa tra teoria e pratica, con uno sguardo alle riforme processuali in cantiere, in www.questionegiustizia.it, 7 novembre 2011, § 1; un percorso simile è stato intrapreso dal Tribunale di Milano, ove l’ufficio del giudice è stato dapprima sperimentato in soli due sezioni e poi è stato diffuso in tutto l’ufficio nel 2012; v. sul punto G. Grasso, L’attuazione dell’ufficio per il processo, in Foro it., 2019, III, 409.
[37] Nel grafico è riportato il numero di Tribunali ordinari che, al 2 luglio 2021, a seguito del monitoraggio eseguito dal Ministero della Giustizia Direzione generale di statistica e analisi organizzativa, disponeva di almeno un ufficio per il processo. Più precisamente, su 140 Tribunali presenti sul territorio nazionale, 5 non hanno fornito una risposta; tra quelli che, invece, hanno fornito i propri dati, 122 disponevano di almeno un ufficio per il processo. In 322 uffici per il processo istituiti sul territorio nazionale, il numero complessivo di giudici onorari assegnati è pari a 1154, i tirocinanti ex art. 73 complessivamente assegnati sono invece 1154. Fonte: Ministero della Giustizia Direzione generale di statistica e analisi organizzativa, Ufficio per il processo. Monitoraggio 2020, in www.giustizia.it.
[38] Il grafico è riferito alla percentuale di GOT presenti nel settore civile, rispetto ai giudici togati, dei menzionati uffici giudiziari (scelti a campione) alla data del 30.06.2017. Fonte: C.S.M., Ufficio per il processo: esito del monitoraggio sulla istituzione e sul funzionamento; ruolo della magistratura e diritto transitorio, cit.
[39] Il grafico è riferito alla percentuale di tirocinanti presenti nel settore civile, rispetto ai giudici togati, dei menzionati uffici giudiziari (scelti a campione) alla data del 30.06.2017. Fonte: C.S.M., Ufficio per il processo: esito del monitoraggio sulla istituzione e sul funzionamento; ruolo della magistratura e diritto transitorio, cit.
[40] M. Ciccarelli, Tirocini formativi, cit., § 2.
[41] Id., ibidem.
[42] Il riferimento è al D. L. n. 80 del 2021 contenente Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia, conv. in L. n. 113 del 2021. Sulle riforme della giustizia v., ex multis, recentemente, P. Biavati, La riforma del processo civile: motivazioni e limiti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2022, 45 ss.
[43] Art. 1, co. 26, lett. da c) a f) L. n. 134 del 2021. L. n. 134 del 2021.
[44] Più precisamente:
- l'abbattimento dell’arretrato civile del 90%, in tutti i gradi di giudizio;
- l'abbattimento dell’arretrato della giustizia amministrativa del 70% in tutti i gradi di giudizio;
- la riduzione del 40% della durata dei procedimenti civili;
- la riduzione del 25% della durata dei procedimenti penali.
Il PNRR punta a migliorare la giustizia attraverso tre diverse linee d’azione: il potenziamento dell’ufficio per il processo, l’implementazione della digitalizzazione della giustizia, la riqualificazione del patrimonio immobiliare dell’amministrazione giudiziaria.
[45] M.G., Civinini, Il "nuovo ufficio per il processo", cit., § 4.2. Si consideri pure che, secondo il rapporto Ocse del 2013 sul panorama della giustizia comparata, i sistemi giudiziari che prevedono uno staff e un supporto al giudice presentano anche una durata inferiore dei procedimenti.
[46] Cfr. Ministero della Giustizia, Circolare 21 dicembre 2021 – Reclutamento, mansioni, formazione e modalità di lavoro dei primi 8.250 addetti all’ufficio per il processo assunti ai sensi del decreto-legge n. 80 del 2021, in www.giustizia.it, ove si prevede che “l’unico criterio di costruzione delle strutture all’interno di un ufficio giudiziario è quello della ragionevolezza e della adeguatezza rispetto alle problematiche che attingono le singole realtà locali, anche in un’ottica dinamica in costante rapporto con l’evoluzione della concreta situazione all’interno dell’ufficio”.
[47] Cfr. art. 1, co. 18, lett. A, d. l. n. 80 del 2021; ai soggetti indicati si aggiungono poi i cd. reserch officers che collaborano con le Sezioni specializzate in protezione internazionale, in forza del Protocollo stilato con l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo.
[48] Si tratta di un concorso riservato ai laureati in giurisprudenza, economia e commercio e scienze politiche, con una struttura bifasica: una prima selezione per titoli e una seconda selezione mediante prova scritta con quesiti a risposta multipla. Cfr. sul punto amplius A. Leopizzi, Gli addetti all’ufficio per il processo e gli altri nuovi profili professionali previsti dal Progetto Capitale Umano – PNRR. Riflessioni e prospettive, in www.unicost.eu. Il criterio di distribuzione degli addetti terrà conto delle sedi nelle quali si registra un maggiore arretrato.
[49] Più precisamente, l’art. 11, co. 1, d.l. n. 80 del 2021 prevede che “il Ministero della giustizia richiede alla Commissione RIPAM, che può avvalersi di Formez PA, di avviare procedure di reclutamento, nel periodo 2021-2024, in due scaglioni, di un contingente massimo di 16.500 unità di addetti all’ufficio per il processo, con contratto di lavoro a tempo determinato della durata massima di due anni e sette mesi per il primo scaglione e di due anni per il secondo”.
Le prime 8.000 unità (circa) sono in servizio dal mese di febbraio 2022.
[50] M.G., Civinini, Il "nuovo ufficio per il processo", cit., § 5.
[51] Cfr. R. L. Luongo, Le funzioni degli “addetti” agli uffici per il processo nel sistema della giustizia ordinaria, in www.judicium.it.
[52] Ministero della Giustizia, Circolare 3 novembre 2021– Piano Nazionale di ripresa e resilienza – Avvio progetto Ufficio per il processo – Informazione e linee guida di primo indirizzo sulle attività organizzative necessarie per l’attuazione, in www.giustizia.it.
[53] Id., ibidem.
[54] S. Occhipinti, PNRR e carenza di effettività della giustizia, le risposte della Riforma, in www.altalex.com, 14 gennaio 2022.
[55] Id., ibidem.
[56] Così, quasi letteralmente, I. Pagni, L’Ufficio per il processo: l’occasione per una (ulteriore) osmosi virtuosa tra teoria e pratica, con uno sguardo alle riforme processuali in cantiere, in www.questionegiustizia, 17 novembre 2021. Più precisamente, 57 Atenei italiani, consorziati in modo tale da coprire tutto il territorio nazionale, hanno presentato sei macro-progetti, approvati con Decreto del Direttore generale Ufficio per la coesione il 5 gennaio 2022, per un totale di oltre 51 milioni di euro. I suddetti progetti, da condurre in stretto raccordo con gli uffici giudiziari, mirano a potenziare il sistema giustizia, coerentemente con gli obiettivi del PNRR. V. amplius C. Morelli, L’Ufficio del Processo, cit.
[57] G. Finocchiaro, Dei tirocini formativi e dell’“ufficio per il processo”, in Riv. dir. proc., 2015, 974.
[58] D. Cavallini, L’ufficio, cit., 982.
[59] Non a torto è stato definito come la “culla genetica delle nuove professionalità (per gli stagisti) o per conferme/irrobustimento di professionalità già esistenti (per i neo- Gop)”, così, letteralmente, R. Braccialini, Da “gusci vuoti” a “officine dei diritti”, in www.questionegiustizia.it, del 9 gennaio 2018.
[60] R. Braccialini, L’ufficio per il processo, cit., § 1.
[61] C.S.M., Linee guida per l’Ufficio del Processo ex art. 50 D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, cit., 3.
[62] Il d. lgs. n. 116 del 2017 ha previsto che nel corso dei primi due anni dal conferimento dell'incarico, i giudici onorari di pace (nominati dopo l'entrata in vigore delle nuove disposizioni) devono essere assegnati all'ufficio per il processo e possono svolgere esclusivamente i compiti e le attività allo stesso inerenti.
La disciplina legislativa menzionata corrisponde alla riforma organica della magistratura onoraria; prima dell’innovazione legislativa, la disciplina della magistratura organica era contenuta esclusivamente nella normazione secondaria del C.S.M. Le suddette previsioni normative vanno comunque integrate con le più recenti norme introdotte dall’intervento del 2021 e, più precisamente, con l’art. 1, co. 24, lettere h), i), d. l. n. 80 del 2021, secondo cui presso gli uffici per il processo già esistenti all’interno dei tribunali ordinari devono essere assegnati i magistrati onorari applicati ai tribunali per i minorenni al momento dell’istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, per le funzioni da svolgere nell’ambito delle sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.
[63] L’inquadramento dei giudici onorari all’interno dell’ufficio per il processo ha destato, in dottrina, qualche dubbio. Per un’opportuna disamina, v. S. Di Leo, Ufficio per il processo. Criticità costituzionali, in www.giustiziainsieme.it, 19 novembre 2021.
[64] La disciplina è altresì contenuta all’interno dell’art. 1, co. 18, lett. b), l. n. 206 del 2021.
[65] Non è lecito ritenere, tuttavia, che la nuova figura costituisca un tertium genus nella dicotomia tra personale amministrativo e giudici, dal momento che la si può ricomprendere appieno nella categoria del personale amministrativo. Così, quasi letteralmente, A. Leopizzi, Gli addetti, cit., § 3.
[66] Secondo quanto previsto dall’ art. 1, co. 18, lett. b), n. 1, l. n. 206 del 2021.
[67] Previsione, quest’ultima, introdotta con l’art. 1, co. 18, lett. b), n. 5, l. n. 206 del 2021
[68] Diversamente da quanto previsto dal PNRR, la normativa nazionale non ingloba, tra i compiti degli addetti, quello di collaborare alla raccolta della prova dichiarativa nel processo civile. Sul punto v. R. L. Luongo, Le funzioni, cit., passim.
[69] Cfr. Ministero della Giustizia, Circolare 21 dicembre 2021, cit.
[70] Così, quasi letteralmente, M.G., Civinini, Il "nuovo ufficio per il processo", cit., § 5.
[71] F. Auletta, L’ufficio, cit., 242.
[72] Cfr. Ministero della Giustizia, Circolare 21 dicembre 2021, cit.
[73] Alla redazione del progetto organizzativo i capi degli uffici giudiziari hanno dovuto provvedere entro il 31 dicembre 2021. Cfr. art. 12, 3° co. 3, d.l. n. 80 del 2021.
[74] E. Aghina, M. G. Civinini, A. Magaraggia, F. Mannino, P. Picardi, L’esordio operativo dell’ufficio per il processo nei tribunali, in www.giustiziainsieme.it, 21 febbraio 2022, § 4.
[75] Id., ibidem.
[76] Si pensi alla figura dei giudici assistenti della Corte EDU, ovvero ai referendari della Corte di Giustizia dell’Unione europea.
[77] Basti pensare agli assistenti della Corte costituzionale.
[78] S. Boccagna, Il nuovo ufficio, cit., 262.
[79] Si considerino, per esempio, i funzionari tedeschi.
[80] Si pensi, per esempio, ai referendari della Corte di Giustizia dell’Unione euopea.
[81] Cf. F. De Santis Di Nicola, Addetti al nuovo “ufficio del processo” (artt. 11 ss. D.L. n. 80 del 2021) vs. assistant-lawyers presso la Cancelleria della Corte europea dei diritti dell’uomo: due modelli a confronto, in DPCI e C, 3/2021, 265.
[82] Cfr. Ministero della Giustizia, Circolare 3 novembre 2021, cit.
[83] Cfr. Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza, 59.
[84] C. Morelli, ’Non solo efficienza, cit.
[85] Cfr. European e-Justice Strategy and Action Plan 2019-2023, in www.consilium.europa.eu.
[86] Ministero Della Giustizia, Ricognizione della digitalizzazione del processo civile e penale e della transizione digitale del Ministero della giustizia, febbraio 2021, in www.giustizia.it, 52.
[87] Id., ivi, 7.
[88] La Cepej ha definito l’intelligenza artificiale come un “insieme di metodi scientifici, teorie e tecniche finalizzate a riprodurre mediante le macchine le capacità cognitive degli esseri umani”.
[89] Cfr. Piano d’azione 2019-2023 in materia di giustizia elettronica europea.
[90] Ministero Della Giustizia, Ricognizione, cit., 6 ss.
[91] Id., ivi, 7.
[92] Cepej, Carta etica sull’uso dell’Intelligenza Artificiale nei Sistemi giudiziari europei e nei relativi ambienti, 3 dicembre 2018, consultabile al seguente url:
https://rm.coe.int/carta-etica-europea-sull-utilizzo-dell-intelligenza-artificiale-nei-si/1680993348.
[93] Alla Carta etica adottata dalla Cepej, ha poi fatto seguito la nascita del Comitato Ad hoc sull’intelligenza artificiale del Consiglio d’Europa (Cahai), che, nel dicembre 2020, ha adottato all’unanimità lo studio di fattibilità di un quadro normativo sulla concezione, lo sviluppo e l’applicazione dell’intelligenza artificiale e che è attualmente al lavoro proprio per l’elaborazione di un precisa cornice giuridica di riferimento.
[94] Bichi R., Intelligenza Artificiale, cit., 1772.
[95] La Carta, più precisamente, individua cinque principi ai quali gli operatori dovrebbero attenersi nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale negli ambienti giudiziari. In primo luogo, il principio del rispetto dei diritti fondamentali, che impone che, “quando gli strumenti di intelligenza artificiale sono utilizzati per dirimere una controversia, per fornire supporto nel processo decisionale giudiziario, o per orientare il pubblico, è essenziale assicurare che essi non minino le garanzie del diritto di accesso a un giudice e del diritto a un equo processo (parità delle armi e rispetto del contraddittorio)”. In secondo luogo, attraverso il principio di non discriminazione, invita a vigilare sia nella fase della elaborazione, che in quella di utilizzo dell’algoritmo, affinché vengano neutralizzati i rischi di discriminazione. Sollecita poi gli operatori a rispettare il principio della qualità e della sicurezza in ordine al trattamento di decisione e dati giudiziari – che impone un utilizzo di fonti certificate e una elaborazione di dati in ambienti sicuri. Il quarto principio previsto dalla Carta è quello di trasparenza, imparzialità ed equità, che implica la previsione di metodologie di trattamento dei dati accessibili e comprensibili. Infine, il quinto principio, quello del controllo da parte dell’utente, presuppone che l’utilizzatore venga informato, con un linguaggio chiaro e comprensibile, del carattere vincolante o meno delle soluzioni proposte dagli strumenti di intelligenza artificiale, delle diverse possibilità disponibili e del suo diritto di ricevere assistenza legale e di accedere a un tribunale, nonché di qualsiasi precedente trattamento di un caso mediante l’intelligenza artificiale, prima o nel corso di un procedimento giudiziario, con la conseguente previsione del diritto di opposizione, al fine di far giudicare il suo caso direttamente da un tribunale ai sensi dell’art. 6 della CEDU. Sulla spiegazione dei cinque principi si veda amplius A. Ziroldi, Intelligenza artificiale e processo penale tra norme, prassi e prospettive, in www.questionegiustizia.it, 19 ottobre 2019.
[96] Cfr. Ministero Della Giustizia, Ricognizione, cit., 8.
[97] Sul punto v. F. Santagada, Intelligenza artificiale e processo civile, in Judicium, 4/2020, 484; E. Battelli, Giustizia predittiva, decisione robotica e ruolo del giudice, in Giust. civ., 1/2020, 289 ss; M. Luciani, La decisione giudiziaria robotica, in Riv. AIC, 3/2018, 876.
[98] Cfr. Ministero Della Giustizia, Ricognizione, cit., 7.
[99] C. Morelli, L’Ufficio del Processo, cit.
[100] Il metodo data lake viene generalmente contrapposto al sistema di data warehouse: mentre il secondo è un archivio di dati strutturati e filtrati per una specifica finalità, attraverso l’adozione di un approccio di “Schema – on – write”, il primo è un insieme di dati grezzi, che vengono appunto acquisiti nel loro formato nativo.
[101] Così si veda E. Battelli, Giustizia predittiva, cit., 283; S. Crisci, Intelligenza artificiale ed etica dell'algoritmo, in Foro Amm., 2018, 1787 ss.
[102] J. Nieva- Fenoll, Intelligenza artificiale e processo, Torino, 2019, 23 ss.
[103] F. Santagada, Intelligenza artificiale e processo civile, cit., 494.
[104] R. Natoli, P. Vigneri, La tecnologia amica del processo: dall’eredità dell’emergenza pandemica ai sistemi di giustizia predittiva, in www.giustiziainieme.it, 16 marzo 2022, § 3.
[105] Sia consentito il rinvio, sul punto, a F. Barbieri, L’intelligenza aumentata nell’organizzazione dell’ufficio giudiziario, in Giusto proc.civ., 3/2021, 866 ss.
[106] Nel senso agevolare la fase di studio delle cause e la stesura dei provvedimenti. In tal senso v. M. Ciccarelli, Le banche dati di giurisprudenza e l’ufficio per il processo, in www.questionegiustizia.it, 8 marzo 2022, § 5.
[107] Sugli obiettivi di prevedibilità e di pubblicità dell’archivio di merito v. C. Castelli, D. Piana, Giustizia predittiva. La qualità della giustizia in due tempi, in www.questionegiustizia.it, 15 maggio 2018.
[108] Cfr. D.M. 1° ottobre 2015, art. 7.
[109] V. M. Ciccarelli, Le banche dati, cit., § 6.
[110] C. Castelli, D. Piana, Giustizia predittiva, cit., § 2.1.
[111] È stato ricordato da M. Ciccarelli, Le banche dati, cit., § 6, che in verità “l’applicativo Consolle del Magistrato è già dotato di funzionalità di catalogazione dei provvedimenti e di ricerca giurisprudenziale. Tuttavia, il generalizzato mancato utilizzo delle funzioni di catalogazione (riferimenti normativi e giurisprudenziali, parole testuali, voci e sotto-voci) impedisce al sistema di ricerca di operare efficacemente, rendendo di fatto possibile solo la ricerca per estremi del provvedimento o per parole testuali nell’intero provvedimento. Migliorare il funzionamento di questo strumento sarebbe di estrema importanza, perché renderebbe non solo disponibili, ma anche agevolmente reperibili con i consueti sistemi di ricerca e su tutto il territorio nazionale i provvedimenti di merito. Ma occorre essere consapevoli che si tratta di una banca dati strutturalmente diversa da quelle degli UPP, che può costituire un utile complemento, ma che da sola è inidonea a supportare le necessità organizzative di cui si è detto.”
[112] M. Delia, Le ADR nei moduli organizzativi del processo civile e nella programmazione del PNRR, in www.questionegiustizia.it.
[113] Id., ibidem.
[114] Si consideri che la creazione di una banca dati conciliativa, adottata per la prima volta presso il Tribunale di Bari, è stata validata, dal CSM, tra le buone pratiche (n. 2526) suscettibili di essere replicate in altri uffici giudiziari. Cfr. Csm, Manuale ricognitivo delle buone prassi e dei modelli di organizzazione più diffusi negli uffici giudiziari italiani, in www.csm.it. Sull’esperienza barese v. V. Spagnoletti, La banca dati conciliativa (BDDC) e la rilevazione informatica dell'incidenza dell'attività conciliativa del giudice sulla definizione del contenzioso civile, in www.ilprocessotelematico.it, 23 febbraio 2016; M. Delia, Il giudice e le nuove combinazioni endoprocessuali nei moduli della mediazione. Gli artt. 185 e 185 bis c.p.c., in Nuova proc. civ., 2/2015.
[115] Sul concetto di giustizia predittiva v. le considerazioni di C. Castelli, Giustizia predittiva, in www.questionegiustizia.it, 8 febbraio 2022; E. Fabiani, Intelligenza artificiale e accertamento dei fatti nel processo civile, in Giusto proc. civ.,1/2021, 50; L. Viola, Interpretazione della legge con modelli matematici. Processo, a.d.r., giustizia predittiva, II, Milano, 2017, 62.
[116] Così F. De Stefano, L’intelligenza artificiale nel processo?, in www.giustiziainsieme.it, 6 marzo 2020, § 5.
[117] A. Carratta, Decisione robotica e valori del processo, in Riv. dir. proc., 2020, 496.
[118] M. Luciani, La decisione robotica, in Riv. AIC, 3/2018, 874.
[119] Si ritiene, in generale, che l’automazione debba ritenersi preclusa laddove i margini di discrezionalità dell’uomo siano piuttosto elevati. Si considerino, ex multis, le considerazioni di E. Battelli, Giustizia predittiva, decisione robotica e ruolo del giudice, in Giust. civ., 1/2020, 283 ss.
[120] Sia la Carta etica sopra citata, sia il Libro Bianco, presentato il 21 marzo 2018 dall’Agenzia per l’Italia digitale (AgID), evidenziano che l’interazione tra intelligenza artificiale e persone deve sostanziarsi in un’ottica antropocentrica, tale per cui dovrà essere la prima a essere messa a servizio delle seconde (e non viceversa). Sul Libro bianco v. M. Tresca, I primi passi verso l’Intelligenza Artificiale al servizio del cittadino: brevi note sul Libro Bianco dell’Agenzia per l’Italia digitale, in Riv. dir. media, 3/2018.
[121] C. Castelli, D. Piana, Giusto processo e intelligenza artificiale, Santarcangelo di Romagna, 2019, 17.
[122] Cfr. Ministero della Giustizia, Circolare 3 novembre 2021, cit.
All’incrocio tra processo penale e processo mediatico di Andrea Apollonio
Recensione a “Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo” di Vittorio Manes
Il grande pregio del libro di Vittorio Manes è quello di aver illustrato con precisione chirurgica e analisi scientifica le storture della "Giustizia mediatica" riuscendo a scindere i media (quel quarto potere libero per sua stessa natura: il più svincolato dei poteri, almeno sulla carta) dagli attori della giustizia (del terzo potere, il più vincolato alle forme ed ai principi): perché solo questi secondi possono essere razionalmente additati quali artefici/responsabili del "tribunale" penale mass-mediatico. Ma il sistema giustizia, andrebbe aggiunto, non è composto solo da magistrati che indagano e decidono e da avvocati che difendono, ma anche, volgendo lo sguardo più in alto, dalla politica che in Parlamento è chiamata a legiferare, mentre fuori guarda ai media come proprio - e ormai unico - strumento di legittimazione. E allora se un corto circuito c'è, come c'è, e questo saggio da ultimo lo disvela, forse bisognerebbe chiedersi se il vero artefice/responsabile della "giustizia mediatica" non sia proprio l'odierna politica.
Che la "giustizia mediatica" sia, nell'attuale temperie storica, un problema di carattere sociale e giuridico, è un dato consolidato nell'opinione pubblica come nella letteratura scientifica e di settore. Ne è testimone, tra l'altro, l'impegno di Giustizia Insieme nel promuovere un dibattito a più voci sul tema, con molteplici commenti pubblicati; dibattito avviato, in particolare, a seguito del ben noto recepimento della direttiva europea sulla presunzione di innocenza del 2021, ed arricchito dal secondo convegno della Rivista ("Processo mediatico e presunzione di innocenza"), del 1 aprile 2022. Non poteva forse essere altrimenti - non poteva cioè rimanere in ombra e senza apposita segnaletica l'incrocio tra processo penale e processo mediatico - per la qualità e quantità di spunti di riflessione conversi nelle ultime settimane: come da poche settimane, per l'appunto, è apparso, a firma del magistrato Edmondo Bruti Liberati, "Delitti in prima pagina. La giustizia nella società dell'informazione" (Raffaello Cortina, 2022), anch'esso recensito sulle colonne di Giustizia Insieme. Un testo di pregio, che adotta una chiave perlopiù storico-analitica.
Oggi, quale nuovo e autorevole prodotto di questo fermento, appare il saggio del professore (e avvocato) Vittorio Manes, "Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo", pubblicato per i tipi de Il Mulino, che a quello può certo dirsi complementare, affrontando la questione da un'altra prospettiva, maggiormente tecnica, e nella esplicita consapevolezza che, come dichiara l'autore già in premessa, sia "ormai insoddisfacente limitarsi a considerare il problema come inevitabile voce passiva da sacrificare sull'altare della libertà di espressione".
Interessante, anzitutto, il modo in cui ci si cala nel campo assiologico-valoriale del diritto e del processo penale. Un'operazione teorica che va svolta necessariamente ad ampio spettro.
Così, secondo l'autore, se quello della "giustizia mediatica" è un lessico declinato sulla "riprovevolezza morale", che si sofferma sul biasimo per la propria condotta di vita o per il modo di essere, fuori da ogni cifratura giuridico-penale delle condotte, ne consegue il rischio che le imputazioni del fatto formulate dagli uffici requirenti possano sfuggire ai principi di tipicità e tassatività; imputazioni soggette ad un vero e proprio "potere definitorio mediatico", talvolta formulate sull'onda di una vox populi che si propaga "sulla stessa decisione giudiziale, alimentando stupore e dissenso, se non vibranti critiche, ove questa abbia il coraggio di discostarsi dalla qualificazione giuridica dei fatti suggellata [appunto] dalla vox populi".
Anche la valutazione dell'elemento soggettivo del reato può essere influenzata dalla voce pubblica, perché nella narrazione mediatica "il sensazionalismo si associa, di regola, alla riprovevolezza dolosa delle condotte rappresentate", anche se queste risultano caratterizzate da un gradiente colposo. E' la rivisitazione del tema - questo sì, più tradizionale - del rapporto tra prevenzione generale e colpevolezza, che nel libro di Manes viene arricchito - con una sintassi trasversalmente tecnica - tanto dalle lezioni dei grandi autori (Jakobs) quanto dall'analisi degli ultimi interventi normativi, che "rappresenta[no] un osservatorio privilegiato di queste relazioni". Tra questi, la "legittima difesa domiciliare" è vero e proprio banco di prova, giacché "nelle singole vicende processuali, la linea di confine dell'agire scriminato sembra un sismografo del senso comune, e della rappresentazione che ne offre il sistema mass-mediatico".
Non mancano le distorsioni sul piano processuale, che principalmente si avvertono rispetto al principio di presunzione di innocenza, su cui, come detto, è da ultimo intervenuto il recepimento della relativa direttiva euro-unitaria (d.lgs. n. 188/2021), salutato dall'autore come "un argine alla violenza dei giudizi anticipati di colpevolezza". Ma disfunzioni ancora più gravi potrebbero registrarsi in punto di imparzialità del giudice e di autonomia della giurisdizione.
Di particolare interesse è, a questo proposito, la disamina degli attori socio-istituzionali della "giustizia mediatica". Pubblici ministeri e avvocati sembrerebbero intanto i principali indagati della strumentale diffusione di notizie giudiziarie, della narrazione mass-mediatica di vicende che andrebbero trattate, anche nella comunicazione, con uno strumentario tecnico e non sensazionalistico: con l'inevitabile e immediata spontanea costituzione di "tribunali" popolari - e l'apparizione di improvvisati tribuni - in tv e sui social. Nel mezzo, vi è appunto il giudice, visto da Manes "stretto nella morsa", che rischia di perdere, in questo quadro, una volta montata l'onda delle notizie e dei (pre)giudizi, ogni obiettività: una "morsa mediatica" da cui non è facile svincolarsi.
La declinazione cui procede Manes dimostra chiaramente che il (parallelo) processo mass-mediatico non ha solo una cifra culturale, ma è in grado di intaccare i principi, di produrre i suoi effetti sui diritti fondamentali e sul giusto processo: giusto e doveroso, quindi, che gli studiosi lo indaghino e additino i responsabili del voyerismo giudiziario. Sebbene, tra questi, forse uno ne manca.
Un' indagine ben equilibrata tra cause ed effetti, mai fine a se stessa, perché corredata da quelle indicazioni di profilassi che da tempo ormai si invocano, e da più parti (quali l'individuazione di specifici percorsi di formazione e aggiornamento degli operatori del diritto, oppure l'adozione di modelli di "responsabilità condivisa" per i giornalisti), e dal costante accenno all'attualità.
Tanti i casi giudiziari richiamati e ricamati ai margini dello sviluppo dell'indagine: alcuni eclatanti e noti, altri locali, e ve ne sono molti pescati da altri ordinamenti nazionali, tutti utili a comprendere in una direzione pratica le degenerazioni del processo mediatico. Ma è proprio muovendosi tra i casi concreti che emerge la necessità di chiarire - epperò questo chiarimento, tra le pieghe dei numerosi temi trattati, non si coglie - che l'immagine pubblica di un uomo che esercita pubbliche funzioni, filtrata attraverso un'inchiesta giudiziaria, se non può avere - d'accordo - una rilevanza strettamente penalistica rispetto alle imputazioni e alle decisioni, può assumere carattere giuridico se vistosamente - e appunto pubblicamente - infranta; ed una rilevanza sociale ancora più marcata.
Basti solo pensare, rispetto al primo dato, al dettato costituzionale di cui all'art. 54: "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore": ed è anche a partire da questi due concetti meta-giuridici - che pure sono ripresi nella nostra Grundnorm - che nel tempo è stata elaborata, sopratutto nella giurisprudenza civilistica, la tutela dell'immagine pubblica (recte: il danno all'immagine dello Stato).
Quanto al secondo dato: il processo è, a rigore, un procedimento logico-inferenziale che si basa sulle evidenze probatorie raccolte dall'organo inquirente: quantificare il peso delle influenze esterne, proprio perché indebite, proprio perché in astratto insussistenti, è impossibile; ma è del pari impossibile immaginare un processo, ad esempio ad un importante politico o ad un alto funzionario statale, che non sia calato nel rispettivo contesto sociale, in cui maturano giudizi collettivi che sono gli stessi, poi, che orientano l'elettorato e, in ultima analisi, la sovranità popolare; da cui derivano, direttamente o indirettamente, tutti i poteri dello Stato.
Tutto questo per dire che se la tecnica giuridica del processo non può e non deve, nei suoi ingranaggi, scontare gli influssi dei media e, per questo tramite, della società, immaginare un processo ad un uomo politico, ad un funzionario statale, o anche ad un alto prelato, in special modo per fatti connessi alle loro funzioni, che non abbia una qualsivoglia risonanza esterna, vuol dire svolgere un ragionamento astratto che, portato alle estreme conseguenze, può arrivare a minare il diritto di informazione: diritto ad informare la cittadinanza che, da parte degli organi preposti, va esercitato correttamente, questo sì, perché come rileva Manes richiamando la giurisprudenza costituzionale, "allorquando la stampa produce effetti antigiuridici, finisce col non assolvere più la propria funzione sociale che le è propria", di offrire cioè al pubblico informazioni obiettive pregiudizievoli di tutti gli interessi coinvolti". Un bilanciamento che vede diritti del singolo e diritti collettivi; un bilanciamento - e questo va forse ricordato, perché è proprio la Costituzione a ricordarcelo - che fatalmente si sbilancia ogniqualvolta finiscono nell'imbuto giudiziario funzioni pubbliche.
Non può quindi stupire che il responsabile della comunicazione di uno dei principali partiti italiani coinvolto in un'inchiesta giudiziaria sia "finito vittima della stessa macchina" comunicativa, né può stupire che "suscita indignazione morale la sola idea che un magistrato dello Stato possa prevedere un dress code per i suoi collaboratori o borsisti, chieder loro che si vincolino a tutta una serie di clausole deontologico-comportamentali, anche indubbiamente eccentriche e bizzarre", né può ritenersi privo di significato sociale il concetto di "responsabilità morale omissiva" adombrata sui quei vertici della Chiesa che avrebbero coperto casi di pedofilia. Informazioni, opinioni, giudizi, che devono rimanere - d'accordo - fuori dall' iter iuris del processo penale, centrato sul fatto, ma che neppure possono essere tacciati di essere storture mass-mediatiche: perché è proprio questo l'ambito in cui i media svolgono il ruolo di "cani da guardia" della democrazia. Le interazioni non sono - d'accordo - sul piano strettamente giuridico, del processo penale; ma ci sono, e vanno colte su un piano più generale.
D'altro canto, un processo penale che in taluni casi si proietti all'esterno - rispetto al solo fatto accertato o da accertare, ed anche al netto della decisione adottata - non può considerarsi un effetto indesiderato, una clandestina fuga dal processo stesso; piuttosto, può dirsi l'assolvimento dei principi di pubblicità dell'amministrazione della giustizia e di partecipazione, anche diretta, del popolo alle decisioni giudiziarie. Un processo penale, proprio perché è uno dei motori del circuito democratico, può, sempre nei casi di pubblica rilevanza, proiettarsi all'esterno e qui incontrare altre regole (giacché, come correttamente ricorda l'autore, "il circuito mediatico non ha alcuna cura né rispetto per la mediazione tecnica delle categorie penalistiche, né dimostra interesse alcuno per i dispositivi formalizzati"); ma se pure si dovesse sostanziare in "un rimprovero morale (o moraleggiante), un crucifige che di fatto sottende logiche punitive quia peccatum est", il relativo dato meta-giuridico andrebbe inquadrato nel medesimo circuito democratico. Breve: la distinzione troppo netta, da compartimenti stagni, tra censura morale e disvalore penale è non solo un irrealizzabile esperimento da laboratorio, ma non sembra neppure rispondere appieno al disegno costituzionale.
Questo, forse, l'unico chiaroscuro argomentativo, l'unico eccesso di astrazione di un testo che si colloca a buon diritto tra i classici del pensiero penalistico di matrice bolognese (si vedano i saggi di Bricola, Sgubbi, Insolera), che con fughe via via più precipitose dalla dogmatica (e a proposito: viste le ormai innumerevoli nervature, che anche questo testo spiega, ha ancora senso parlare di dogmatica?) si preoccupa di allacciare, spiegando gli uni e le altre, gli istituti giuridici alle fenomenologie sottese e a quelle che si innescano.
Il grande pregio del libro di Vittorio Manes è quello di aver illustrato con precisione chirurgica e analisi scientifica le storture della "Giustizia mediatica" riuscendo a scindere i media (quel quarto potere libero per sua stessa natura: il più svincolato dei poteri, almeno sulla carta) dagli attori della giustizia (del terzo potere, il più vincolato alle forme e dai principi): perché solo questi secondi possono essere razionalmente additati quali artefici/responsabili del "tribunale" penale mass-mediatico.
Ma il sistema giustizia, andrebbe aggiunto, non è composto solo da magistrati che indagano e decidono e da avvocati che difendono, ma anche, volgendo lo sguardo più in alto, dalla politica che in Parlamento è chiamata con razionalità a legiferare, mentre fuori occhieggia strabicamente ai media come proprio - e ormai unico - strumento di legittimazione. Perché non può tacersi che l'opinione pubblica, nel cui seno si registrano le perversioni della giustizia mediatica, è quella stessa cui la politica, in perenne ricerca di facili consensi, attinge a colpi schizofrenici di tweet, di talk, di post su Facebook, di comparsate a favore di telecamera, propinando opinioni raffazzonate e intrise di populismo su ogni vicenda giudiziaria che possa, da una parte o dall'altra, veicolare consenso. E allora se un corto circuito c'è, come c'è, e questo saggio da ultimo lo disvela, forse bisognerebbe chiedersi se il vero artefice/responsabile della "giustizia mediatica" non sia proprio l'odierna politica.
Carlo Smuraglia, un amico e un riferimento
di Vito D’Ambrosio
Una amica “diversamente giovane” mi ha detto,una volta “capirai che stai invecchiando quando, guardandoti intorno, non vedrai più alcuni amici, più o meno tuoi coetanei. Allora ti renderai conto che dovrai rendere testimonianza anche per loro”.
Ho capito quanto avesse ragione proprio in questi giorni quando un destino strano ha fatto scomparire, dall’elenco dei miei amici, due grandi figure, che per anni mi hanno onorato di amicizia, simpatia e apprezzamento, non so quanto meritato. Valerio Onida, infatti, e Carlo Smuraglia sono morti a distanza di pochi giorni (Valerio il 14 maggio e Carlo ieri, 31 maggio), facendomi misurare il peso degli anni. Di Valerio mi riservo di scrivere nel futuro prossimo, di Carlo, invece, voglio fissare qualche ricordo oggi, poche ore dopo la sua scomparsa, nella giornata particolare della festa della Repubblica.
Ho incontrato Carlo Smuraglia ad una cena in casa di amici, a Milano, quando, eletto nelle liste del PCI, ricopriva la carica di Presidente del Consiglio Regionale. Non lo conoscevo ancora personalmente, ma conoscevo bene, e apprezzavo, le sue riflessioni ed approfondimenti in materia di diritto del lavoro, che insegnava all’Università di Milano. Mi stupì il suo spigliato umorismo, la sua affabilità, la sua “leggerezza” e così diventai suo amico da quella sera, negli anni settanta. Nei tempi successivi non ci “perdemmo di vista”, sentendoci qualche volta, ed incontrandoci più raramente. Grande e lieta fu la mia sorpresa quando me lo ritrovai al Consiglio Superiore della Magistratura, eletto dal Parlamento, una esperienza quadriennale che cementò la nostra amicizia; Carlo per poco non fu eletto al vertice del Consiglio (ed io mi ci ero impegnato assai), ma diventò, da subito, l’alter ego del vicepresidente Cesare Mirabelli, con la sua autorevolezza, la pacatezza dei suoi interventi, sempre lucidi, sempre schierati in favore delle tesi e delle decisioni più aperte, sempre appassionato quando erano in gioco principi e persone che incarnavano i valori della Costituzione, quella Costituzione davvero nel suo cuore, come, anni dopo, si intitolò un piccolo, ma nella sostanza grande, libro, “Con la Costituzione nel cuore”, una biografia politica, culturale, professionale, nella forma di un’intervista.
L’occasione di una sintonia totale di posizioni e di motivazioni fu la vicenda che vide la sconfitta di Giovanni Falcone, amico di entrambi: a Falcone fu incredibilmente preferito, come capo dell’ufficio istruzione di Palermo, un magistrato più anziano di lui, ma che della mafia si era occupato poco o niente, e che infatti pose rapidamente fine alla novità del suo predecessore, il consigliere Caponnetto, il quale aveva intuito come soltanto un lavoro di squadra, in pool, sarebbe stato in grado di opporsi efficacemente alla crescita del fenomeno mafioso, non soltanto in Sicilia. Ed infatti il “frutto” più cospicuo di quel tipo di indagine collettiva era stato un grandioso processo, il maxi processo per antonomasia, mezzo milione di pagine che rinviarono a giudizio più di 400 soggetti, figuranti e protagonisti di una spietata “guerra di mafia” che , stabilì, dopo centinaia di omicidi, il predominio della nuova “mafia” di Corleone su quella tradizionale palermitana. E del maxi processo, dopo alterne vicende giudiziarie, si occupò infine la Cassazione, approvando definitivamente il cosiddetto “ teorema Buscetta”, un boss mafioso che collaborò con Falcone e che rivelò a Falcone le modalità di organizzazione e funzionamento della Cupola mafiosa, grande e sanguinario consiglio di amministrazione, che decideva le questioni più importanti, facendo eseguire immediatamente quella sua specie di “sentenze” (del processo in Cassazione fui testimone personale, avendo fatto parte del “collegio accusatorio” formato da tre magistrati, decisione mai adottata né prima, né dopo quella vicenda).
La nostra sconfitta rimase come tramite tra noi, i dieci componenti del Consiglio che avevano votato per Falcone, ma ancora di più fu un ponte incrollabile e speciale tra me e Smuraglia, che continuammo a restare amici anche dopo l’esperienza in Consiglio, lui al Senato, io in prestito alla politica come Presidente della giunta regionale delle Marche. Lui esponente di spicco del PCI, nella sue successive trasformazione, fino all’ultima, il PD, che Carlo abbandonò senza esitazioni. Finite le nostre esperienze politiche, fui sorpreso da una sua telefonata che mi convocava a Roma per lavorare, con un piccolo gruppo di sua scelta e fiducia, alla stesura di un testo, con il quale tentammo di fornire argomenti solidi, e semplici, al movimento antifascista coagulato nell’ANPI, del quale Carlo era stato presidente a lungo, e rimase presidente onorario, unica sua concessione a chi voleva fargli proseguire quella esperienza. Così nacque, a lungo curato da Smuraglia, quel testo “Antifascismo quotidiano”, che non si è riusciti a presentare pubblicamente perché edito in piena pandemia, ma che, dopo una introduzione ampia ha approfondito “strumenti molto importanti al fine del raggiungimento di risultati concreti. Strumenti di tipo istituzionale –leggi, sentenze ed argomenti- che… vanno conosciuti e utilizzati non solo dagli esperti, ma dai cittadini che intendono reagire agli atti di di arroganza e di violenza, con cui si cerca di riportarci indietro nel tempo, magari riproducendo situazioni che sono costate moltissimo al Paese, non solo sul piano economico ma anche e soprattutto sul piano umano”(Dalla “Introduzione” di Carlo Smuraglia, che fornì anche alcuni significativi e puntuali contributi).
Il mio amico aveva alcune peculiarità caratteriali, che hanno rafforzato sempre più la mia amicizia. Tra queste una sua “intrepidezza civile”, per così dire, che sceglieva sempre strade diritte, mai nascondendosi “prudentemente”, come altri avrebbero fatto, ed hanno fatto. Per tutte due esempi: la sua scelta partitica rapida e definitiva, con abbandono della “vecchia casa”, il PCI trasformato in PD, motivata da Smuraglia con l’inaccettabilità, per lui, di alcune trasformazione profonde in senso assai diverso da quello delle origini.
Ancora.
Voglio ricordare la sua convinzione su una questione che tanto ha diviso soggetti e associazioni, quella della vicinanza all’Ukraina nella sua resistenza alla brutale e inspiegabile aggressione da parte della Federazione russa. Sulla fornitura o meno di armi a quel Paese, Smuraglia assunse una limpida posizione, in difformità anche di quelle di una buona parte della sua ANPI. In una intervista televisiva, a specifica domanda, rispose che non era possibile restare accanto ad una Paese così ferocemente aggredito senza fornirgli anche le armi necessarie per la sua resistenza; proprio alla Resistenza fece riferimento, ricordando l’entusiasmo con il quale le formazioni partigiane accoglievano i pacchi, piovuti da aerei amici e contenenti le armi, indispensabili per resistere. E, mentre parlava, vedevo accendersi, sulla sua faccia lunga e magra, quella espressione negli e degli occhi, vivacissimi, che avevo notato tante volte nella sedute del CSM, quando si profilavano posizioni troppo distanti dalle sue.
Carlo non era solo un politico, un docente, un avvocato di valore, sempre impegnato nella difesa dei principi della Costituzione. Come prova dei suoi molteplici interessi, mi piace ricordare anche la sua passione musicale: appena trasferito a Roma, aveva sottoscritto un abbonamento ai concerti di Santa Cecilia, conservando quello alla Scala. E per merito suo conobbi e visitai quel museo speciale nato dalla collocazione di marmi romani tra le macchine della ex Centrale elettrica Meomartini.
Smuraglia aveva indubbiamente una sua “scorza” dura, poco elastica, che sembrava consentire soltanto colloqui seri, confronti politici, anche serrati, ammirazione, ma certo nessuna “scivolata” su terreni più intimi, più distaccati da quello della ragione; ma non era così. Più volte mi è capitato che, in uno dei nostri incontri, improvvisamente e del tutto inaspettatamente, facesse capolino, un “lampo” di tenerezza, di umanità profonda, che non durava a lungo, ma illuminava la persona di Smuraglia pure nel suo profilo interno. Una “tenerezza seria” direi, ,quasi pudica, ma forte della sua debolezza. Quando ,nel parlare di uno dei suoi figli che gli dava preoccupazione per la preferenza del gioco del pallone rispetto all’impegno dello studio, gli scappava, ad un certo punto, la qualifica “lazzarone”, sentivi che in quel termine, sicuramente più negativo nella tradizione meneghina rispetto a quella italiana, risuonava anche la strana,nascosta, ma ben presente tenerezza “paterna”che a volte ci lega a quello, dei nostri figli, che più ci preoccupa. E quando, tanti anni dopo, mi chiese di collocare un suo intervento politico, in una manifestazione dell’Anpi nella sua città natale, Ancona, in un orario per lui certamente scomodo, bloccai il mio tentativo di convincerlo a restare anche la notte, invece di strapazzarsi per tornare a Milano, quando mi chiarì che non se la sentiva di lasciare sola di notte sua moglie Enrica -la “Chicca”per lui- a causa di forti, preoccupanti e ancora non chiariti sbalzi di pressione.
Io sapevo molto poco della sua vita, lontano dalle luci dell’ affascinante protagonismo intellettuale, eppure, con l’approfondirsi della nostra amicizia, qualche volta -sempre poche- ricordava appunto la nascita del suo rapporto con la Chicca, con la quale e per la quale si trasferì sollecitamente da Pisa a Milano. Così come mi raccontava, sempre con accenni asciutti, l’atmosfera dei suoi soggiorni estivi in qualche isola greca, soggiorni appesantiti dalla decisione di portarsi a rimorchio un gommone a motore, eppure vissuti in piena libertà.
Ci saremo scambiati, nei quasi cinquanta anni della nostra amicizia, una decina di abbracci, non di più, ma quei contatti fisici, prolungamento spontaneo di strette di mano molto calorose, erano sempre carichi di significato, ci facevano certi che il nostro “rapporto” conservava intatto il suo valore.
Di più non mi sento di dire, perché rischierei di sfiorare il campo scivoloso della retorica, da lui sempre aborrito, anche quando ricordava la sua esperienza di partigiano, che, diceva sempre, aveva acquistato il significato e il valore di una “svolta profonda” nell’Italia di allora, quando si era trasformata da insieme di esperienze “parziali e personali” a tessera di un mosaico composto con il contributo appassionato di tanti.
Di Carlo si potrebbero ricordare tante altre cose, ma mi piace concentrare tutto nella sua qualità di insostituibile punto di riferimento umano, politico e culturale, che mi ha arricchito con la sua amicizia. Davvero uno degli ultimi testimoni di un’epoca, e di un’esperienza, che inserirono il nostro Paese, dopo la cupa parentesi fascista, nell’atmosfera, sempre vivace e perciò mai piatta, della democrazia.
Riposa tranquillo, amico mio.
Nel mio piccolo cercherò di diventare testimone anche per te, e di te.
Ancona 2 giugno 2022, Festa della Repubblica.
Il processo amministrativo dopo il Covid
di Francesco Volpe
1. Di tutti i lasciti del periodo pandemico al processo amministrativo, il più rilevante è dato dall’acquisita familiarità con una telematizzazione spinta del giudizio.
L’esperienza ha dimostrato che alcune di queste novità emergenziali non sono incompatibili con un ordinato svolgimento del processo e con l’organizzazione del lavoro nella Curia e negli studi legali[1]. Ne sono sortite, anzi, non poche conseguenze migliorative[2].
I timori legati al necessario apprendistato tecnologico si sono rivelati eccessivi e oggi possiamo riconoscere che l’epidemia ha fatto compiere un salto o, meglio, ha consolidato quel salto iniziato nel 2016 con l’introduzione del processo telematico.
2. Nel complesso, tutto questo è stato un bene.
Alcuni aspetti del consolidamento tecnologico lasciano, però, perplessi.
Ad esempio, il sistema ripone troppa fiducia sulle p.e.c. Esse sono il pilastro di tutto il p.a.t., ma sono uno strumento molto fragile, cosicché il processo telematico rischia di rivelarsi una statua di bronzo dai piedi d’argilla.
Anche senza affrontare i profili tecnici (è noto che i software di posta elettronica sono tra i mezzi di trasmissione dei dati meno solidi), una p.e.c., in definitiva, è una semplice mail e sono molti i disguidi che possono portare a trascurarla.
Ecco che l’affollamento della casella può far saltare un messaggio; che l’utilizzo di diversi dispositivi di consultazione può far segnare come letta una mail quando in realtà non è stata letta per niente. La p.e.c. arriva quando vuole lei e non una volta al giorno con il portalettere: si è portati a leggerla subito, quando si sta facendo dell’altro e perciò si rimanda a dopo il prendersene cura. Ma dopo ci si dimenticherà di farlo.
Si obietterà che questi inconvenienti sono superabili con l’ordinaria diligenza.
Non è del tutto vero, perché detti fattori vanno moltiplicati per il numero delle loro incidenze, che quando è elevato li trasforma in un dato statistico. Non si tratta di chiedersi se l’errore capiterà; ci si deve chiedere quando capiterà, magari facendo perdere un avviso di perenzione o la notifica di un appello.
È, tuttavia, irragionevole che l’esito di una causa possa dipendere da una disattenzione, tutto sommato, non troppo grave[3].
3. Anche altre novità vanno considerate con molta attenzione, benché fossero in gestazione da tempo, avendo trovato nell’epidemia solo un pretesto.
La prima riguarda il trasferimento integrale della competenza sulla disciplina del p.a.t. dal Presidente del Consiglio dei Ministri al Presidente del Consiglio di Stato[4].
Era già discutibile in sé che detta disciplina fosse riferita a un atto amministrativo neppure di natura regolamentare, perché l’art. 108 Cost. stabilisce pur sempre il principio della riserva di legge nella materia processuale[5].
Ma è più grave ancora che la disciplina del processo telematico sia stata consegnata al giudice che poi è chiamato ad applicarla, perché, per essere terzo rispetto alle parti, quel giudice deve essere terzo anche rispetto al regime del processo.
Inoltre, il trasferimento delle competenze sembra avere trasformato lo stesso ruolo del Consiglio di Stato. In modo simile a certe autorità indipendenti, il Consiglio di Stato ha acquisito, con la competenza sul p.a.t., un carattere di autorità di regolazione. Questo carattere, oggi, è solo marginale, ma i suoi sviluppi non sono prevedibili, visto che già si vorrebbe recuperare il dimenticato art. 14 del Testo Unico del 1924, dove si dice che lo stesso Consiglio “formula quei progetti di legge ed i regolamenti che gli vengono commessi dal Governo”[6].
Ad ogni modo, si è obiettato che il trasferimento delle competenze sul p.a.t. sarebbe solo formale, perché la disciplina del processo telematico resterebbe affidata alle stesse persone. Cioè proprio ai Consiglieri di Stato, chiamati ad agire ora come investiti della funzione a loro propria, ora come magistrati distaccati presso il Governo.
Questo rilievo è persuasivo, ma pone l’accento sul non meno sensibile problema delle cosiddette porte girevoli. Si tratta di un tema di viva attualità, dai contorni opachi e tale da incidere persino sull’effettività della rappresentanza democratica e sul principio di divisione dei Poteri[7].
4. Un altro lascito dell’epidemia è stato l’accentuarsi della pluralità dei riti, perché sono stati introdotti anche quello a stralcio[8] e quello d’immediata definizione (art. 72 bis c.p.a)[9].
Sono attualmente vigenti undici riti speciali e, anche nelle controversie ordinarie, sussistono otto sistemi alternativi per giungere a sentenza[10]. Questi ultimi dipendono quasi tutti dalla decisione del giudice e non dipendono dalle peculiarità della domanda presentata.
Il tutto vale a prescindere dalle prassi informali – favorite dall’adozione di protocolli locali - che aggravano la frammentazione dei riti, regionalizzandoli.
Il vecchio processo amministrativo, costruito in modo molto semplice (sia pure perché legato all’esistenza della sola azione di annullamento), si sta così trasformando in una selva intricata, con varietà di termini decadenziali e di preclusioni, a imitazione delle più discutibili riforme portate al processo civile.
La questione dei termini evidenzia non poche incongruenze. Basti pensare agli incerti confini dei processi a termini dimidiati[11] o alla stranezza per cui un provvedimento di diniego segue il regime ordinario dell’art. 29, mentre il pressoché equivalente silenzio-inadempimento va contestato con le forme degli artt. 31 e 117 c.p.a.[12].
Ogni preclusione – come, ad esempio, quelle che operano sui documenti e sulle memorie producibili ex art. 73 c.p.a., quando il giudice definisce la lite in sede cautelare – può, invece, portare a sentenza una causa immatura e rendere una giustizia meno puntuale.
L’affanno di svuotare i ruoli non giustifica sempre una risoluzione delle cause tanto sommaria. Il risultato, anzi, è incompatibile con la cura, per altri aspetti ricercata, di formare un ceto magistratuale particolarmente preparato. Non ha senso dotarsi di un giudice di raffinata professionalità, se poi le controversie vengono trattate in modo sbrigativo.
5. Un’altra riforma da cui possono derivare serie conseguenze è data dall’art. 17, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, che ha abrogato la cancellazione della causa dal ruolo e ha stabilito forti limiti al potere del giudice di concedere rinvii, a completamento di quanto a suo tempo introdotto con l’irrinunciabilità dell’istanza di fissazione dell’udienza.
La riforma ha lo scopo di ridurre i casi in cui il collegio vede sprecato il proprio studio dei fascicoli dall’insorgenza di sopravvenute istanze di differimento.
Detta motivazione è condivisibile solo in parte, perché la lite, infine, è nella disponibilità delle parti, rispetto alla quale le esigenze del giudice non debbono prevalere. Non si capisce, dunque, perché, se tutte le parti costituite chiedessero un differimento, il giudice dovrebbe essere vincolato a imporre la definizione immediata della controversia[13].
Va sfatato il mito retrostante a queste impostazioni. Il processo non è un servizio pubblico contingentato, perché è ben di più. È una delle funzioni fondamentali e, anzi, costitutive dello Stato. Per questo motivo, la giustizia non può essere erogata in modo contingentato. Si aumentino dunque i ruoli dei magistrati, ma non si diminuiscano le tutele.
È, d’altra parte, risaputo che ogni intervento operato d’ufficio dal giudice, quando non sia meramente strumentale alla prosecuzione della causa, altera la posizione processuale delle parti, favorendone alcune a scapito delle altre, con potenziale violazione del principio della parità delle armi. Tutto questo è quel che appunto può avvenire quando il giudice nega il rinvio o quando gli è preclusa la cancellazione della causa dal ruolo che le parti gli abbiano concordemente sollecitato.
Aggiungo che la cancellazione della causa dal ruolo, di cui compariva un breve cenno solo nell’art. 71 c.p.a., era un istituto sottovalutato, perché male utilizzato.
Essa era talvolta imposta dal giudice con coloriture para-sanzionatorie del ricorrente, se ritenuto colpevole di una condotta processuale disinvolta.
Non era questo, tuttavia, il corretto utilizzo dell’istituto. La cancellazione avrebbe dovuto corrispondere alla sospensione volontaria del processo, disciplinata dall’art. 296 c.p.c.[14] In quanto tale, la cancellazione era uno strumento utilizzabile solo su istanza di tutte le parti costituite in una prospettiva di piena disponibilità della controversia.
Con la cancellazione della causa dal ruolo, si è perso, così, uno strumento che, se correttamente impiegato, sarebbe stato utile nell’interesse di tutte le parti per una proficua gestione della lite e, indirettamente, per una opportuna definizione degli stessi rapporti della fattispecie sostanziale.
6. La cancellazione della causa dal ruolo stimola a parlare dell’istanza di fissazione dell’udienza, a riguardo della quale la novità è data dal fatto che non c’è stata nessuna novità, quando invece essa sarebbe stata opportuna.
Quanto, infatti, all’istanza di fissazione da prodursi in conseguenza del deposito del ricorso, questa è diventata un formalismo che non merita di essere conservato.
Ha acquisito rilievo, invece, l’istanza collegata alla perenzione ultraquinquennale[15], che, come è noto, consente al giudice di sgravarsi dal dovere di rispondere sul merito della domanda in virtù del proprio stesso inadempimento al preliminare dovere di fissare l’udienza.
In Italia, la perenzione per decorrenza infruttuosa del processo fu introdotta insieme all’istituzione delle sezioni regionali della Corte dei conti, quale strumento eccezionale per sfoltire l’ormai ingestibile arretrato accumulatosi nel contenzioso previdenziale[16]. Solo in ragione di tale eccezionalità, e non senza incertezze, poteva essere sostenuta la sua compatibilità con l’art. 24 della Costituzione.
Trasfusa nel processo amministrativo, detta perenzione è diventata un istituto ordinario.
Esso, però, è incivile ed è indegno di uno Stato moderno, che si vanti di garantire la piena tutela dei diritti.
Ne è consapevole qualunque avvocato abbia dovuto spiegare a un cliente che, dopo cinque anni, non solo il ricorso non è stato definito, non solo non è mai stato considerato dal giudice, ma è anche necessario ripetere un atto di impulso per evitare l’estinzione del processo.
7. Dal Covid è derivata un’ulteriore novità, benché essa non sia esclusiva del processo amministrativo[17]. Alludo all’Ufficio del processo e, con esso, alla creazione di una sorta di assistenti del giudice, i cui compiti sono ancora poco definiti.
In generale, temo che l’Ufficio del processo possa risolversi in uno strumento poco utile; altrimenti, sarà tale da portare a conseguenze inaccettabili.
Se, infatti, agli addetti all’Ufficio spettasse un semplice compito istruttorio sul fascicolo, il giudice sarebbe naturalmente portato a dubitare dell’affidabilità dello studio preliminare consegnatogli e, quindi, sarebbe spinto a ripetere in prima persona l’attività già da altri svolta, con dispersione dei mezzi impiegati.
Diverso sarebbe se all’addetto, fattosi novello Barbarius Philippus[18], fosse affidato, in modo surrettizio e sostanziale, un vero compito decisionale. È evidente, però, che questo secondo modello, benché effettivamente utile all’accelerazione dei processi, sarebbe in contrasto con il corretto svolgimento della funzione giurisdizionale, che può essere esercitata solo dai magistrati che ne siano stati ritualmente investiti.
In ogni caso, l’incarico degli addetti all’Ufficio del processo, durando poco più di un anno, è troppo breve. Si impegnano tempo e risorse per la formazione di queste nuove figure e, dopo averle addestrate, ci si priva del loro contributo proprio quando esso comincerebbe a essere davvero proficuo.
Pure i compensi di questi assistenti giudiziari, a mio avviso, sono troppo modesti, sia per la delicatezza della funzione assegnata, sia al fine di attrarre forza lavoro qualificata e, perciò, anche affidabile.
8. Vi sono due ultimi lasciti del periodo pandemico, ma non sono scritti nelle leggi.
Quanto al primo, dopo questi due anni, mi pare di cogliere una sorta di atmosfera rarefatta, quasi come l’aria che si respira in alta montagna, nel modo con cui i processi vengono celebrati. L’ambiente sembra sterilizzato e questo mal si concilia con il fatto che il giudizio è dialettica, concitazione e sangue.
Ho la sensazione – inevitabilmente soggettiva – che stia emergendo un processo amministrativo piùaristocratico e ripiegato su una tipologia elitaria di contenzioso. Quando a me pare che la funzione del giudice amministrativo sia quella di garantire a ciascun cittadino un sistema di tutele prossimo e facilmente esperibile contro la preminente autorità imperativa dello Stato.
Il giudice amministrativo è, infatti, il giudice delle libertà e dei diritti pubblici soggettivi.
A me pare che il giudice amministrativo decida sempre meno sulle libertà e sempre più su questioni di forte impatto economico, legate a un sistema produttivo così tanto influenzato dagli interventi della mano pubblica.
Il giudice amministrativo è diventato anche un giudice di controversie tra privati, perché tali sono molte liti in materia di appalti, in cui la parte resistente assiste indifferente allo scontro per l’aggiudicazione della gara tra il ricorrente e il controinteressato, vere parti sostanziali del processo.
Quando pure, in questi due anni, il giudice si è occupato di libertà (mi riferisco, ad esempio, al contenzioso sugli obblighi di prevenzione sanitaria), l’impressione è che talvolta siano state seguite linee interpretative poco coraggiose, se non conformiste o addirittura supplettive dell’azione dell’autorità amministrativa[19].
Un mutamento nel senso ora raffigurato costituirebbe un tradimento della natura storicamente e ideologicamente propria del giudice amministrativo. Inoltre, esso potrebbe portare, negli anni e con le prassi, all’instaurazione di un modello di giustizia octroyée, che deve essere contrastata con energia.
9. Vi è, infine, un ultimo lascito di fatto del Covid che è dato dalla diminuzione del contenzioso.
Quasi in ogni parte d’Italia, i nuovi ruoli si sono assottigliati e pure l’arretrato probabilmente si è ridimensionato.
Forse, si dovrebbe approfittare dell’occasione per tentare una riforma generale del processo amministrativo, capace di condurre a una maggiore celerità dei giudizi e a una maggiore efficacia delle tutele, senza troppo temere l’impatto sullo svolgimento delle funzioni correnti che una tale iniziativa potrebbe arrecare.
Se si condivideranno queste considerazioni, mi si consentirà di esprimere le mie proposte de iure condendo, maturate (e revisionate) lungo alcuni anni.
Esse passano attraverso alcuni punti fondamentali, che qui riepilogo.
1) In primo luogo, propongo la trasformazione del rito da un modello di vocatio iudicis impura a un modello di vocatio iudicis pura[20]. In concreto, ciò significa posticipare la notificazione del ricorso alla resistente e ai controinteressati a un momento successivo al suo deposito e, soprattutto, successivo al decreto del giudice (da notificarsi unitamente) che fissa l’udienza di trattazione della controversia. Ciò consentirebbe di disporre fin dall’inizio di una prima udienza (a cui eventualmente assegnare funzioni di udienza-filtro, davanti al giudice in composizione monocratica) e di superare il più grave problema del processo amministrativo, che è dato dal non sapere se e quando l’udienza sarà fissata e il processo comincerà a marciare.
2) In secondo luogo, traendo ispirazione da quanto avviene in Germania, propongo che, operate le dovute eccezioni e limitazioni, il ricorso produca un automatico effetto sospensivo del provvedimento impugnato. Questo contribuirebbe a sollecitare la definizione dei giudizi (perché il giudice sarebbe preoccupato di non compromettere l’attività dell’amministrazione), fatta salva, in ogni caso, la possibilità per la parte resistente e per i controinteressati di chiedere provvedimenti cautelari a efficacia invertita rispetto al sistema attuale. Al potere imperativo dell’amministrazione si opporrebbe così un contropotere del privato idoneo a bloccare gli effetti del provvedimento. Il tutto, nella prospettiva di una parità dei rapporti più concreta di quella avanzata da chi vorrebbe ampliare le forme pattizie dell’attività amministrativa, le quali, peraltro, non sono prive di pericoli, giacché, sostituendosi al provvedimento, consentono di giungere a una regolamentazione della fattispecie sostanziale diversa da quella che i principi di tipicità e nominatività consentirebbero.
3) In terzo luogo, a imitazione del modello francese, propongo l’istituzione di Corti di appello, eventualmente su base ultraregionale, con sindacato esteso al fatto, a compensazione di un sindacato del Consiglio di Stato che dovrebbe essere ristretto alle sole questioni di diritto, unitamente alla previsione, in capo a quest’ultimo giudice, di un potere di rinvio al giudice del merito. Ciò affiderebbe al Consiglio di Stato una funzione nomofilattica più raffinata, perché non inquinata dalla specificità della valutazione dei fatti di causa.
4) In quarto luogo, propongo la diminuzione dei casi di competenza funzionale del T.A.R. Lazio, per favorire una deconcentrazione del contenzioso e per disincentivare l’attuale eccessiva vicinanza del giudicante ai più importanti centri decisionali dell’azione amministrativa.
Tutte queste proposte devono intendersi accompagnate da altre, più di dettaglio, sulle quali è possibile qui diffondersi.
Come tutte le proposte, esse sono discutibili, ma non lo è il tema della riforma generale del processo.
Dopo tutto, “se non ora, quando”?
[1] Il giudizio è condiviso anche da M.A. Sandulli, Il giudice amministrativo come giudice dell’emergenza, giustiziainsieme.it, 2021.
[2] Di particolare rilievo è stata l’introduzione delle c.d. udienze da remoto, vale a dire celebrate con forme telematiche, fatte oggetto di una disciplina variamente modificata e articolata (soprattutto per quanto attiene alla produzione di note d’udienza sostitutive dell’udienza stessa). Con la sperabile cessazione del periodo pandemico, esse sono state conservate nel c.d. rito a stralcio, introdotto con la riforma operata dall’art. 17, d.l. 8 giugno 2021, n. 80, ma è prevedibile che il loro utilizzo verrà esteso anche a altre ipotesi. L’udienza da remoto, nella breve esperienza qui seguita, non ha mancato, tuttavia, di suscitare alcune perplessità, non solo per i motivi, facilmente intuibili, collegati al difetto di compresenza delle parti e del magistrato, ma anche – e a mio modo di vedere – soprattutto per i debiti di collegialità che ne potrebbero derivare. Sul tema si è assistito alla produzione di un fiorente e vivace dibattito. Cfr. F. Volpe, Riflessioni dopo una prima lettura dell’art. 84, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 in materia di processo amministrativo, lexitalia.it, 2020; Id., Nota all’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, lexitalia.it. 2020; Ancora sulla disciplina emergenziale del processo amministrativo, lexitalia, 2020; Udienze telematiche tra passato e modernità, amministrativistiveneti.it, 2020; R. de Nictolis, Il processo amministrativo ai tempi della pandemia, Federalismi.it, 2020; A. D’Urbano - R. Santi, L’abolizione (temporanea?) della fase orale nel processo amministrativo per l’emergenza sanitaria. Il Consiglio di Stato (ordinanze nn. 2538 e2539 del 2020) riapre alla possibilità di discussione, federalismi.it, 2020; F. Francario, La giustizia amministrativa di fronte all’emergenza coronavirus. Le misure straordinarie per il processo amministrativo, giustiziainsieme.it 2020; ID. Le nuove misure straordinarie per il processo amministrativo, giustiziainsieme.it; Il non-processo amministrativo nel diritto dell’emergenza CoVid-19, giustiziainsieme.it; M.A. Sandulli, Un brutto risveglio? L’oralità “condizionata” del processo amministrativo,lamministrativista.it, 2020; Id., Pregi e difetti del diritto dell’emergenza per il processo amministrativo, giustiziainsieme.it, 2020; Covid-19, fase 2. Pregi e difetti del diritto dell’emergenza per il processo amministrativo, giustiziainsieme.it, 2020; F. Saitta, Da Palazzo Spada un ragionevole no al «contraddittorio cartolare coatto» in sede cautelare. Ma il successivo intervento legislativo sembra configurare un’oralità... a discrezione del presidente del collegio, federalismi.it, 2020; N. Paolantonio, Il processo amministrativo dell’emergenza: sempre più speciale, lamministrativista.it, 2020; G. Vercillo, Giusto processo amministrativo e rito emergenziale istituito dall’art. 84 del D.L. n. 18/2020, federalismi.it, 2020; C. Cacciavillani, Controcanto sulla disciplina emergenziale del processo amministrativo (con riferimento all’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28), giustamm.it; S. Tarullo, L’udienza telematica nel processo amministrativo: perché non si debba rimpiangere un’occasione perduta, giustamm.it, 2020; C. Volpe, Pandemia, processo amministrativo e affinità elettive, giustamm.it, 2020. V. Sordi, Il principio dell’oralità secondo la giurisprudenza amministrativa nel periodo dell’emergenza Covid19, giustiziainsieme.it, 2020; P. Clarizia, Il processo amministrativo e le sfide della digitalizzazione, Giornale dir. amm., 2021, 559.
[3] L’eventualità ricorre, soprattutto, nell’ipotesi in cui venga inviato dalla segreteria l’avviso di perenzione ultraquinquennale, con il conseguente onere di riproporre l’istanza di fissazione nel termine di centoventi giorni. Reputo che sarebbe un già apprezzabile rimedio prevedere una reiterazione scadenzata dell’avviso, in modo da ridurre, proporzionalmente, la possibilità che l’avviso venga ignorato. Dal punto di vista organizzativo, il rimedio sarebbe facilmente attuale, essendo automatizzabile l’invio di messaggi di posta elettronica a date prestabilite.
[4] La riforma è stata attuata con l’art. 4, d.l. 30 aprile 2020, n. 28, successivamente modificato dall’art. 25, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il quale ha soppresso la preventiva audizione delle associazioni forensi di categoria, in origine prevista come una sorta di compensazione per il trasferimento delle competenze alla Presidenza del Consiglio di Stato. Della questione mi sono già occupato nello scritto F. Volpe, Ombre sul cielo del processo amministrativo (nuove regole tecniche, udienze da remoto e Consiglio di Presidenza), in unioneamministrativisti.it, 2021.
[5] Tema non troppo trattato in dottrina, forse anche perché, come qualcuno ha evidenziato, dato per scontato. Sul punto, G. Sorrenti, Riserva di legge in materia processuale e latitudine del sindacato di discrezionalità, Studi in onore di G. Silvestri, 1, Torino, 2016, 2275, s.
[6] Si veda l’art. 1, comma 4, della proposta di legge n. 3514 – XVIII legislatura, presso la Camera dei deputati (già approvata in Senato sub proposta n. 2230), avente a oggetto “Delega al Governo in materia di contratti pubblici”: “Ove il Governo, nell’attuazione della delega di cui al presente articolo, intenda esercitare la facoltà di cui all’articolo 14, numero 2°, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, di cui al regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, il Consiglio di Stato si avvale, al fine della stesura dell’articolato normativo, di magistrati di tribunale amministrativo regionale, di esperti esterni e rappresentanti del libero foro e dell’Avvocatura generale dello Stato, i quali prestano la propria attività a titolo gratuito e senza diritto al rimborso delle spese. Sugli schemi redatti dal Consiglio di Stato non è acquisito il parere dello stesso”. Si tratta, tuttavia, di un’applicazione dell’art. 14, cit., impropria, perché estesa alle leggi delegate e non ai semplici disegni di legge e, dal punto di vista sostanziale, potrebbe costituire infine una sorta di subdelega dell’attività di produzione normativa, la cui compatibilità costituzionale sarebbe discutibile. Del resto, questa iniziativa non può ritenersi fattualmente insignificante, in quanto l’iniziativa del Consiglio di Stato andrebbe a sostituire la pronuncia dell’altrimenti dovuto parere. Benché, in effetti, la sezione Atti normativi del Consiglio esprima spesso indicazioni piuttosto puntuali su quello che dovrebbe essere il definitivo testo normativo, altra è la funzione consultiva e altra è una funzione di vero e proprio impulso.
[7] Il tema è stato portato anche all’attenzione dell’opinione pubblica da alcuni pamphlet. V. S. Rizzo, Potere assoluto, ed. Solferino, 2022, 150 s.; Anonimo, Io sono il potere – confessioni di un capo di gabinetto raccolte da Giuseppe Salvaggiulo, ed. Feltrinelli, 2020, passim.
[8] Art. 17, co. 5 e 6, d.l. 9 giugno 2021, n. 80: “5. Ferme restando le udienze straordinarie annualmente individuate dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa ai sensi dell'articolo 16, comma 1, delle norme di attuazione del codice del processo amministrativo, di cui all'allegato 2 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, al fine della trattazione dei procedimenti di cui all'articolo 11, comma 1, del presente decreto, sono programmate dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa ulteriori udienze straordinarie, in un numero necessario e sufficiente al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi stabiliti, per la Giustizia amministrativa, dal PNRR. A tal fine, il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa aggiorna il numero di affari da assegnare al presidente del collegio e ai magistrati componenti dei collegi. Il Presidente del Consiglio dei ministri, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adegua alle finalità del PNRR, sentito il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, il decreto previsto dall' articolo 16, comma 1, delle norme di attuazione del codice del processo amministrativo, di cui all'allegato 2 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
6. La partecipazione dei magistrati alle udienze straordinarie di cui al comma 5 è su base volontaria. Le udienze si svolgono da remoto. Non possono essere assegnati alle udienze straordinarie di smaltimento gli affari di cui agli articoli da 112 a 117 del codice del processo amministrativo, di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. La partecipazione dei magistrati alle udienze straordinarie di cui al comma 5 costituisce criterio preferenziale, da parte del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, nell'assegnazione degli incarichi conferiti d'ufficio”.
[9] Introdotto dal medesimo art. 17, citato alla nota che precede: “1. Il presidente, quando i ricorsi siano suscettibili di immediata definizione, anche a seguito della segnalazione dell'ufficio per il processo, fissa la trattazione alla prima camera di consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell'ultima notificazione e, altresì, al decimo giorno dal deposito del ricorso. Le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio. Salvi eccezionali motivi, non è possibile chiedere il rinvio della trattazione della causa. Se è concesso il rinvio, la trattazione del ricorso è fissata alla prima camera di consiglio utile successiva. 2. Se è possibile definire la causa in rito, in mancanza di eccezioni delle parti, il collegio sottopone la relativa questione alle parti presenti. Nei casi di particolare complessità della questione sollevata, il collegio, con ordinanza, assegna un termine non superiore a venti giorni per il deposito di memorie. La causa è decisa alla scadenza del termine, senza che sia necessario convocare un'ulteriore camera di consiglio. Se la causa non è definibile in rito, il collegio con ordinanza fissa la data dell'udienza pubblica. In ogni caso la decisione è adottata con sentenza in forma semplificata”.
[10] Sia consentito rinviare a F. Volpe, In quanti modi il processo amministrativo giunge a sentenza?, amministrativistiveneti.it, 2021.
[11] Se ne è occupata, ad esempio, la pronuncia Cons. di Stato, Ad. Pl., 27 luglio 2016, n. 22, annotata da G.A. Giuffré, I termini dimidiati previsti dal rito speciale appalti si applicano anche alle concessioni di servizi?, lamministrativista.it, 2016.
[12] Sul tema si voglia considerare la monografia, in corso di pubblicazione di S. Florian, L'azione di adempimento tra rifiuto di provvedimento e silenzio dell'Amministrazione.
[13] Sposa, invece, la posizione contraria la pronuncia Cons. G.A.R.S., 31 gennaio 2022, n. 153 (ord.), secondo la quale: “Nell'ordinamento processuale vigente non esiste norma giuridica o principio ordinamentale che attribuisca alle parti in causa il diritto al rinvio della discussione del ricorso, fuori dai casi tassativi di diritto a rinvio per usufruire dei termini a difesa previsti dalla legge. Al di fuori di tali ipotesi, le parti hanno solo la facoltà di illustrare le ragioni che potrebbero giustificare un eventuale differimento dell'udienza. Ciò in quanto alle parti spetta la disponibilità delle proprie pretese sostanziali e, in funzione di esse, del diritto di difesa in giudizio, ma le stesse non hanno anche la disponibilità dell’organizzazione e dei tempi del processo, che compete al giudice, al fine di conciliare e coordinare l’esercizio del diritto di difesa di tutti coloro che si rivolgono al giudice. La decisione finale sui tempi della decisione della controversia spetta al giudice, e la domanda di rinvio deve fondarsi su “situazioni eccezionali” (come recita il comma 1-bis dell’art. 73 c.p.a.: “Il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza (…)”). Tali situazioni eccezionali possono essere integrate solo da gravi ragioni idonee a incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti”.
[14] Cons. di Stato, VI, 11 ottobre 2021, n. 6811: “A differenza di quanto previsto dal codice di rito laddove disciplina all’art. 296 c.p.c. la sospensione del processo su istanza di parte che, in forza del rinvio operato dall’art. 39 c.p.a., costituiva, almeno nel più recente assetto dell’ordinamento processuale amministrativo, il referente di diritto positivo della cancellazione della causa dal ruolo, istituto non previsto espressamente dal processo amministrativo”. Sui rapporti tra la cancellazione dell’a causa dal ruolo e l’istituto della sospensione volontaria del processo civile, v. Cons. di Stato, VI, 14 dicembre 2020, n. 7957; Cons. di Stato, V, 20 ottobre 2004, n. 6799.
[15] Si rammenti, perciò, l’art. 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, che ha ridotto a centoventi giorni il termine, previsto dall’art. 82 cp.a., per il deposito dell’istanza utile a evitare la perenzione del processo.
[16] Art. 6, d.l. 15 novembre 1993, n. 453: “Per i giudizi in materia pensionistica pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, entro il termine perentorio di un anno dalla data dell'insediamento della sezione giurisdizionale competente, la parte che vi ha interesse deve proporre al presidente della sezione istanza per la prosecuzione del giudizio.
2. La mancata o non tempestiva proposizione dell'istanza di cui al comma 1 produce l'estinzione del giudizio, che viene dichiarata d'ufficio.
[17] Art. 17, co. 2 e 3, d.l. 9 giugno 2021, n. 80. Si considerino anche le Linee guida per lo smaltimento dell’arretrato della Giustizia amministrativa, approvate con d.P.C.d.S., 8 febbraio 2022.
[18] R. Lucifredi, M.E. Lucifredi Peterlongo, Contributi allo studio dell'esercizio di fatto di pubbliche funzioni. Barbarius Philippus... servus fugitivus ... praetor designatus est, Milano, 1965, passim.
[19] Desta interesse, ad esempio, la sentenza Cons. di Stato, III, 20 ottobre 2021, n. 7045, che, in materia di obbligo vaccinale, sembra avere, tra l’altro, introdotto materiale probatorio scientifico non allegato dalle parti.
[20] Rivedo così la mia opinione, a suo tempo espressa nello studio F. Volpe, Per una riforma del processo amministrativo, dir. proc. amm., 2007, 550 s., in cui presi posizione a favore di un processo impostato sulla vocatio ad iudicem.
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