Sommario: 1. Premessa. - 2. L’applicabilità del rinvio pregiudiziale nel processo tributario. - 3. Il rinvio pregiudiziale e la questione di giurisdizione. - 4. Conclusioni.
1. Premessa.
L’ordinanza n. 428 del 31 marzo 2023 della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Agrigento e il successivo provvedimento della Prima Presidente della Corte di Cassazione del 18 aprile 2023 offrono l’opportunità di soffermarsi sul rinvio pregiudiziale alla Corte Suprema nel giudizio tributario.
Al riguardo, il disegno di legge governativo n. 2636 del 1° giugno 2022, che ha condotto alla L. n. 130/2022 sulla riforma del processo tributario, prevedeva (all’art. 2, comma 1) l’introduzione nel c.p.c. dell’art. 363-bis, che avrebbe contemplato la richiesta da parte del Procuratore Generale presso la Cassazione dell’enunciazione, ad opera della Suprema Corte, del principio di diritto in materia tributaria, nonché [all’art. 2, comma 2, lett. g)] l’inserimento nel D.L.vo n. 546/1992 dell’art. 62-ter sul rinvio pregiudiziale alla Cassazione da parte dei giudici tributari di merito.
Come noto, queste disposizioni non sono state approvate dal Parlamento.
Pertanto, può farsi solo riferimento alle norme, per così dire, “generali” contenute nel c.p.c., ossia agli artt. 363 e 363-bis[1].
Mentre l’applicabilità dell’art. 363 in ambito tributario non ha sollevato particolari dubbi[2], una parte della dottrina ha avanzato delle perplessità sulla possibilità per i giudici tributari di avvalersi del rinvio pregiudiziale[3].
La Corte agrigentina – che per prima si è avvalsa dell’art. 363-bis in materia tributaria – sostiene, invece, che detto rinvio possa operare nel giudizio tributario e ne ha chiesto conferma alla Corte Suprema proprio avvalendosi del relativo istituto.
La Prima Presidente, ritenuta la questione ammissibile poiché controversa e suscettibile di ripetersi in una pluralità di giudizi tributari, ha rimesso la decisione in proposito alle Sezioni Unite della Cassazione, unitamente a quella sull’altro profilo evocato nell’ordinanza di rimessione, riguardante una questione giuridica in tema di giurisdizione, su cui mi soffermerò in seguito.
2. L’applicabilità del rinvio pregiudiziale nel processo tributario.
Viene in rilievo, anzitutto, l’utilizzabilità nel processo tributario del rinvio pregiudiziale.
Il convincimento espresso dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Agrigento è pienamente condivisibile ed è perciò auspicabile che le Sezioni Unite della Cassazione lo confermino quanto prima poiché l’art. 363-bis può operare nel giudizio tributario grazie alla clausola generale di applicabilità delle norme del c.p.c., in quanto compatibili, recata dall’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 546[4].
Non v’è dubbio, infatti, sulla compatibilità dell’art. 363-bis con la disciplina del processo tributario.
In particolare, non è di ostacolo il fatto che l’art. 363-bis, comma 1, n. 1) prescriva che la questione sia necessaria alla definizione “anche parziale” della lite.
Vero è che in materia tributaria non sono ammesse sentenze parziali (dall’art. 35, comma 3, del D.L.vo n. 546), ma ben può porsi la necessità di risolvere – attraverso il rinvio pregiudiziale – una questione di diritto occorrente per decidere una delle molteplici domande avanzate dalle parti al giudice tributario.
Né crea ostacoli l’espressione “giudice di merito”, che si rinviene nell’art. 363-bis, comma 1: ad essa non può assegnarsi il significato di “giudice ordinario di merito”, sì da escluderne la riferibilità ai giudici tributari. Il legislatore ha solo inteso prevedere che di questo istituto possano avvalersi i giudici – “di merito” appunto – diversi dalla Cassazione, ma da ciò non può desumersi l’inibizione al relativo impiego per i giudici speciali, quali quelli tributari, che ordinariamente applicano le norme del c.p.c. nell’espletamento della loro funzione giurisdizionale, per quanto non disposto dal D.L.vo n. 546 e con esso compatibili.
D’altronde, opinando diversamente, si verrebbe a legittimare una disparità di regime assolutamente irragionevole in quanto i giudici tributari, pur facendo impiego delle norme sul processo civile e vedendo impugnate le loro pronunce di appello dinanzi alla Cassazione civile, non potrebbero invocare l’intervento della Corte Suprema per dirimere i dubbi sussistenti su questioni esclusivamente di diritto. Regime vieppiù irragionevole, oltretutto, se si considera quanto è cospicua la mole delle cause fiscali pendenti di fronte alla Cassazione e come il rinvio possa concorrere a ridurla.
Per altro verso, non rileva che, secondo l’art. 363-bis, ultimo comma, il principio di diritto enunciato dalla Corte Suprema mantenga la propria efficacia vincolante, in caso di estinzione del giudizio, “anche nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda tra le stesse parti”.
La circostanza per cui l’estinzione del processo tributario sorto a seguito dell’impugnazione di un atto impositivo ne determini l’irretrattabilità e inibisca la riproposizione delle domande svolte nel giudizio estinto non può addursi per escludere l’operatività del rinvio pregiudiziale dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria.
Il precetto recato nell’ultimo comma dell’art. 363-bis può comunque spiegare effetti nel giudizio tributario di rimborso: la relativa estinzione non preclude la riproposizione della stessa domanda nei confronti della medesima parte, nel rispetto del termine di prescrizione del diritto di restituzione azionato.
Ancora, l’art. 363-bis, comma 2 prevede che “Il procedimento è sospeso dal giorno in cui è depositata l’ordinanza, salvo il compimento degli atti urgenti e delle attività istruttorie non dipendenti dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale”.
Anche questo precetto non contraddice l’assetto del processo tributario. A seguito del rinvio pregiudiziale, la riscossione provvisoria della pretesa impositiva e/o sanzionatoria si presta comunque a essere inibita – pur essendo il giudizio sospeso – poiché il comma 2 in esame rende esperibile, da parte del giudice a quo, la tutela cautelare, riconducibile com’è alla nozione degli “atti urgenti” ivi menzionati.
Non si vedono, dunque, ragioni per negare la compatibilità dell’art. 363-bis con il regime processualtributario.
Ma quel che più conta, come anticipato, è che il rinvio pregiudiziale può assolvere una funzione tanto rilevante quanto positiva nel giudizio tributario.
Sebbene sia innegabile che in ambito tributario più che in altri comparti dell’ordinamento la questione giuridica risulti spesso strettamente connessa a quella fattuale, sì da renderne difficile l’enucleazione, è parimenti incontestabile la ricorrenza di casi nei quali a lungo si discute, con alterne vicende, nelle fasi di merito di temi prettamente giuridici senza che sussista alcun contrasto fra le parti sulla ricostruzione dei fatti di causa, che si presentano perfettamente analoghi in ciascuna controversia.
Si pensi, per esempio, all’applicazione della cosiddetta “cedolare secca”[5] ai contratti di locazione di immobili a uso abitativo a imprese che li mettono a disposizione dei propri dipendenti. Sul punto, in presenza di dati fattuali del tutto pacifici, si registrano prese di posizioni contraddittorie nella giurisprudenza di merito[6]. Oppure si considerino le recenti rimessioni alle Sezioni Unite sul diritto a detrarre l’IVA assolta su immobili di proprietà di terzi dei quali si abbia la detenzione[7] o sulla distinzione fra le nozioni di crediti d’imposta non spettanti e crediti d’imposta inesistenti (cui si correla un diverso termine decadenziale di recupero e un diverso regime sanzionatorio, sia amministrativo che penale)[8], che ben avrebbero potuto formare oggetto di rinvio pregiudiziale.
Sono consapevole che non saranno numerosi i casi nei quali, a fronte di una ricostruzione incontrovertibile dei fatti, emerga “una questione esclusivamente di diritto” controversa.
Però, quando ciò accada, il rinvio pregiudiziale può consentire la formazione in tempi più rapidi rispetto al passato dell’orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità. Ed è ragionevole immaginare che ne possa discendere una significativa riduzione del contenzioso sia nelle fasi di merito che dinanzi alla Corte Suprema, soprattutto ove si tenga presente la spiccata serialità di molte controversie tributarie.
Fra l’altro, l’Agenzia delle Entrate non potrà sottrarsi dal favorire detto rinvio, in ragione della funzione che essa assolve, ex art. 5, comma 1, della L. n. 212/2000, di diffondere la corretta conoscenza delle norme tributarie, al fine di agevolarne il rispetto da parte dei contribuenti. Anzi, è lecito aspettarsi che sia proprio l’Amministrazione finanziaria a promuovere il rinvio pregiudiziale allo scopo di pervenire sollecitamente alla soluzione di questioni giuridiche che la vedono contrapposta ai privati.
Nulla, invero, vieta che siano le parti a chiedere al giudice di ricorrere all’istituto in esame, pur restando poi rimessa solamente all’organo giudicante la determinazione se disporre o meno il rinvio pregiudiziale.
Inoltre, come giustamente evidenzia l’ordinanza della Corte agrigentina, l’istituzionalizzazione normativa, grazie all’art. 3, comma 1, della L. n. 130/2022, della sezione tributaria presso la Corte di Cassazione ne ribadisce e rafforza il fine di assicurare l’uniformità interpretativa del diritto tributario, in attuazione dell’art. 65, comma 1, del R.D. n. 12/1941. Talché il rinvio pregiudiziale rappresenta uno strumento per garantire “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge”, come appunto prescrive l’art. 65, comma 1, di cui sarebbe davvero irragionevole negare la fruizione ai giudici tributari.
Tutto induce, quindi, a ritenere operante l’art. 363-bis nel giudizio tributario, sì che non v’è da dolersi della mancata approvazione di una norma ad hoc caratterizzata da diversi presupposti applicativi, così come prospettata nel disegno di legge n. 2636, anche perché il processo civile dinanzi alla Cassazione non può che essere unitario e non v’è alcuna necessità di un regime “speciale” per la materia tributaria[9]. Ed è stata probabilmente quest’ultima, corretta, valutazione che ha spinto il legislatore a stralciare la norma sul rinvio pregiudiziale contenuta nel disegno di legge n. 2636. Difatti, l’imminente introduzione dell’art. 363-bis, con il D.L.vo n. 149/2022 in attuazione della L. n. 206/2021 sulla riforma del processo civile (sviluppatasi parallelamente a quella sul giudizio tributario), l’avrebbe resa del tutto inutile e distonica, ben potendo i giudici tributari avvalersi della disposizione processualcivilistica.
3. Il rinvio pregiudiziale e la questione di giurisdizione.
Come accennato, l’ordinanza della Corte di Agrigento pone alla Cassazione un’ulteriore questione oltre a quella attinente all’applicabilità del rinvio pregiudiziale nel giudizio tributario.
Essa scaturisce da un contrasto di indirizzi interpretativi dei giudici tributari circa la sussistenza o meno della giurisdizione delle Corti di Giustizia Tributaria per le cause nascenti dall’impugnazione degli atti di scarto telematici del contributo a fondo perduto contemplato dall’art. 25 del D.L. n. 34/2020, poi convertito dalla L. n. 77/2020, tra le misure di sostegno all’economia introdotte nell’ambito dell’emergenza pandemica.
Il punto controverso è rappresentato dal comma 12 dell’art. 25, secondo cui, per un verso, l’Agenzia delle Entrate recupera il contributo non spettante, irrogando le sanzioni previste dall’art. 13, comma 5, del D.L.vo n. 471/1997, e, per l’altro, per “le controversie relative all’atto di recupero si applicano le disposizioni previste da decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”.
Ci si può, pertanto, chiedere se anche le cause – qual è quella interessata dall’ordinanza della Corte agrigentina – aventi ad oggetto (non l’atto di recupero, ma) l’accertamento del diritto del privato a ottenere il contributo possano rientrare nella giurisdizione tributaria.
Non solo, come correttamente segnala la Corte remittente, si pone addirittura il dubbio se il contributo controverso abbia natura tributaria, ossia se possa considerarsi alla stregua di un credito d’imposta, e quindi se possa ritenersi lecitamente individuata dal legislatore la giurisdizione tributaria per le cause relative all’atto di recupero o se, invece, sussista in ogni caso la giurisdizione del giudice ordinario allorché una lite verta sul menzionato contributo.
Peraltro, v’è ancor prima da chiedersi “se l’art. 363-bis c.p.c. vada inteso nel senso che il sindacato riservato alla Corte in sede di esame della questione di diritto che concerne l’individuazione della giurisdizione rispetto alla controversia pendente sia o non compatibile con la richiesta adottata in sede di rinvio pregiudiziale”, come si legge nell’ordinanza.
Anche in questo caso, il convincimento espresso dai giudici agrigentini è condivisibile.
Sebbene sia indubbio che – come riconosce la giurisprudenza ricordata dalla Corte di Agrigento[10] e il successivo provvedimento della Prima Presidente della Cassazione – le Sezioni Unite, quando sono chiamate a individuare la giurisdizione in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, possono e devono esaminare i fatti di causa, ciò non esclude che il rinvio pregiudiziale possa essere impiegato per risolvere la questione, “esclusivamente di diritto”, concernente la giurisdizione, quando – come nel caso – occorra solamente interpretare una norma, non essendovi controversia sui profili fattuali.
D’altronde, né il regolamento preventivo di giurisdizione rimesso all’esclusiva iniziativa delle parti, né la rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione con l’indicazione del giudice munito di giurisdizione, né il potere di quest’ultimo di sollevare il conflitto di giurisdizione possono indurre a negare il ricorso al rinvio pregiudiziale per chiarire la questione di giurisdizione.
Infatti, indipendentemente dai ricordati strumenti che l’ordinamento processuale pone a disposizione delle parti e del giudice per sollevare e risolvere le questioni di giurisdizione, nulla impedisce che – quando i fatti siano pacifici e debba solo interpretarsi una norma che potrebbe porsi in numerosi altri casi – l’organo giudicante possa, grazie al rinvio pregiudiziale, chiedere l’intervento chiarificatore della Corte Suprema per stabilire quale sia il giudice tenuto ad attribuire il torto e la ragione.
Del resto, ciò non collide con la disciplina contenuta nell’art. 59 della L. n. 69/2009, rammentata nel provvedimento della Prima Presidente della Cassazione.
Ivi si evidenzia, giustamente, che la norma testé indicata “tende ad evitare soluzioni di continuità nel processo” e la “finalità acceleratoria si completa con il formarsi del cd. giudicato implicito sulla giurisdizione ove il potere officioso non sia esercitato entro il primo grado di giudizio e non vi sia impugnazione sul punto”.
Tuttavia, il rinvio pregiudiziale ben può contemperarsi con tale disposizione.
Infatti, ne è senz’altro precluso l’impiego laddove il giudice sia convinto del proprio difetto di giurisdizione o, al contrario, non abbia dubbi in proposito e si pronunci in primo grado sul merito della causa.
Ma qualora, come nella vicenda che ci occupa, il giudice – in presenza di un quadro fattuale non controverso – abbia un dubbio, destinato a ripresentarsi in altre controversie, corroborato da contrastanti prese di posizione da parte della giurisprudenza di merito o della dottrina perché non dovrebbe avvalersi del rinvio pregiudiziale per risolvere la questione di giurisdizione?
Così, può ottenersi più rapidamente certezza sulla questione di giurisdizione rispetto al caso in cui il giudice la neghi e altrettanto faccia il giudice dal primo indicato.
Vero è che il rinvio pregiudiziale determina la sospensione del processo, come precisa il provvedimento della Prima Presidente della Corte Suprema, ma altrettanto accade se le parti accedono al regolamento preventivo di giurisdizione (a meno che il giudice ritenga l’istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata, come stabilisce l’art. 367, comma 1, c.p.c.) o se il secondo giudice solleva il conflitto di giurisdizione.
In sintesi, il rinvio pregiudiziale può attivare l’intervento delle Sezioni Unite in termini anticipati rispetto a quanto potrebbero fare le parti o il secondo giudice, consentendo di risolvere più celermente la questione di giurisdizione.
Inoltre, anche la perplessità enunciata nel provvedimento della Prima Presidente in ordine al fatto che gli “effetti della pronuncia sul rinvio pregiudiziale sul giudizio a quo possono non essere rilevanti se sganciati dal collegamento con la fattispecie concreta” si presta ad essere superata.
Il rinvio pregiudiziale può legittimamente essere avviato solo quando il giudice si è reso conto che i profili fattuali non sono controversi o sono già stati accertati.
Cosicché se ne può prospettare l’impiego per risolvere la questione di giurisdizione solo quando “non verrebbe in alcun modo rimessa alla Corte” di Cassazione “alcuna questione di fatto, ma unicamente l’interpretazione della regola astratta di diritto ai fatti come rappresentati dal giudice a quo”, come ben ha evidenziato la Corte di Agrigento.
Ancora, è convincente l’argomento impiegato dall’ordinanza di rimessione sulla irragionevolezza che si registrerebbe qualora si negasse al giudice di fruire del rinvio pregiudiziale sulla questione di giurisdizione quando costui può, d’ufficio, affermare il proprio difetto di giurisdizione. Detto altrimenti, se il giudice può negare la propria giurisdizione, perché non può – in un’ipotesi dubbia e in presenza di tutti i requisiti posti dall’art. 363-bis – chiedere l’intervento della Cassazione per risolvere la relativa questione?
Prima di terminare sul punto, sia concesso a chi scrive esprimere la propria impressione sulla sussistenza o meno nella specie della giurisdizione tributaria.
Come hanno osservato i giudici agrigentini, l’unico collegamento fra il contributo regolato dall’art. 25 e la materia tributaria è rappresentato dal criterio per la relativa quantificazione, ancorato com’è alla redditività del richiedente. A ciò possono aggiungersi le circostanze che i beneficiari sono individuati rinviando alla disciplina fiscale degli esercenti le attività d’impresa e professionali e l’organo preposto all’erogazione del contributo e al controllo circa la relativa spettanza è l’Agenzia delle Entrate.
Questi elementi, però, non consentono di conferire natura tributaria alla prestazione.
Difatti, non siamo in presenza di un credito tributario, utilizzabile in compensazione a fronte delle imposte dovute, ma di un “contributo a fondo perduto” corrisposto dall’Agenzia delle Entrate “mediante accreditamento diretto in conto corrente bancario o postale intestato al soggetto beneficiario”, come si legge nell’art. 25, comma 11. Siamo, cioè, dinanzi a un’erogazione straordinaria volta a compensare i minori ricavi o proventi degli esercenti le attività indicate nell’art. 25, comma 1, che nulla ha a che vedere con le obbligazioni d’imposta gravanti su costoro.
Viene, perciò, da pensare che ci si trovi al cospetto di una fattispecie assimilabile a quella dell’attribuzione ai giudici tributari della giurisdizione sulle liti riguardanti violazioni di natura non tributaria, ancorché le correlate sanzioni fossero inflitte dall’Agenzia delle Entrate. E, come sempre osservano i giudici di Agrigento, la Corte Costituzionale – con la sentenza n. 130 del 14 maggio 2008 – ha riconosciuto l’illegittimità dell’art. 2, comma 1, del D.L.vo n. 546 nella parte in cui prevedeva la giurisdizione tributaria per siffatte controversie.
In conclusione, è ragionevole ritenere che competano al giudice ordinario le cause relative al contributo in discussione, stante la sua natura “non tributaria” e l’assenza di ogni profilo di discrezionalità nella relativa erogazione. Aspetto, quest’ultimo, che consente di escludere la giurisdizione del giudice amministrativo, come correttamente afferma l’ordinanza in commento.
4. Conclusioni.
Le considerazioni che precedono evidenziano quanta fiducia merita riporre nel rinvio pregiudiziale, quale utile strumento per ridurre il contenzioso tributario.
Peraltro, nella nostra materia, l’art. 363-bis non risponde alla sola finalità, costituzionalmente garantita dall’art. 111, comma 2, di assicurare la ragionevole durata del processo, ma può anche rappresentare un decisivo stimolo per gli Enti impositori all’esercizio dell’autotutela, dando attuazione al principio di buon andamento ex art. 97, comma 2, Cost. Infatti, allorché il principio di diritto enunciato a seguito di rinvio smentisca l’interpretazione fatta valere a conforto delle pretese impositive e/o sanzionatorie, queste ultime potranno essere ritirate, con evidente beneficio per i contribuenti e consentendo altresì agli Enti suddetti di evitare la soccombenza in giudizio.
Si aggiunga che il rinvio pregiudiziale è rispettoso del principio del contraddittorio perché le parti devono essere sentite prima che il giudice disponga il rinvio e possono presentare “brevi memorie” prima della pubblica udienza dinanzi alla Cassazione ex art. 363-bis, comma 4.
Né appare violato l’art. 101, comma 2 Cost. poiché il vincolo per il giudice di merito è analogo a quello che discende dall’enunciazione del principio di diritto in caso di cassazione della sentenza con rinvio ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.[11] o a quello che discende, per il giudice che ha promosso il rinvio pregiudiziale, dall’interpretazione di una norma unionale affermata dalla Corte di Giustizia Europea.
Anzi, è proprio alla prospettiva del “dialogo fra le Corti”, cui fa riferimento pure l’ordinanza della Corte agrigentina, che in ultima istanza si ispira l’art. 363-bis, che evidentemente si fonda sulla cooperazione e sulla reciproca fiducia che deve contraddistinguere le relazioni fra i giudici di merito e di legittimità.
Si è sostenuto, peraltro, che l’istituto “più che volto a rispettare un principio di nomofilachia, … sembra finalizzato ad introdurre surrettiziamente un principio di vincolatività dei precedenti”[12].
Non penso, però, che questa prospettiva possa realizzarsi, essenzialmente perché il giudice di merito non vincolato dal principio di diritto si uniformerà ad esso solo se troverà convincente la pronuncia della Cassazione che lo ha enunciato. Ciò in termini analoghi a quel che da sempre accade quando tale giudice decide se condividere o meno l’indirizzo interpretativo espresso dalla Corte Suprema.
Né mi sembra concretamente prospettabile l’eventualità che il rinvio pregiudiziale permetta al giudice di merito di sottrarsi dal decidere la questione di diritto sottopostagli dai contraddittori.
Quello in esame è, comunque, un istituto “eccezionale”, cui può ricorrersi soltanto quando i profili fattuali non siano controversi o siano stati già accertati ed emergano “gravi difficoltà interpretative”, che – di regola – possono verificarsi quando vi è un contrasto nella giurisprudenza di merito o, per quanto in specie attiene all’ambito tributario, fra la giurisprudenza di merito e la consolidata prassi amministrativa: tant’è vero che il giudice remittente deve specificamente indicare le “diverse interpretazioni possibili”.
Non solo, occorre anche che la questione sia “suscettibile di porsi in numerosi giudizi”, di modo che il giudice, al cospetto di una quaestio iuris complessa ma presumibilmente non ricorrente, è tenuto a deciderla.
Parimenti, il rinvio pregiudiziale non è ammesso laddove esista anche un solo precedente della Cassazione sulla questione giuridica sollevata: ne discende che questo istituto non può impiegarsi per invocare la revisione dell’indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, non condivisa dal giudice di merito.
In ogni caso, non v’è da dubitare che il Primo Presidente della Cassazione eserciterà un adeguato “filtro” delle questioni oggetto di rinvio pregiudiziale, come previsto dall’art. 363-bis, comma 3, sanzionando come inammissibili quelle che non rispettino le condizioni enunciate dal precedente comma 1.
Da un altro punto di vista, non mi pare che si possa addurre l’eventuale scarso ricorso all’istituto per criticarne l’introduzione. Se la Cassazione risolvesse anche poche questioni giuridiche controverse in materia tributaria, l’innovazione avrebbe comunque conseguito un effetto decisamente positivo, concorrendo a rafforzare la stabilità e la certezza dei rapporti giuridici in una materia di così significativa rilevanza economica e sociale qual è quella tributaria, evitando i relativi contenziosi e consentendo risparmi di denari e risorse sia per gli Enti impositori che per i privati. Ciò, essenzialmente, in ragione della ricordata spiccata serialità delle cause fiscali.
Insomma, va espresso il fermo auspicio che le Sezioni Unite confermino l’operatività del rinvio pregiudiziale nel processo tributario e ne riconoscano altresì l’applicabilità alle questioni di giurisdizione.
Ne risulterà valorizzata la funzione nomofilattica, consentendone una maggiore tempestività – grazie anche al celere procedimento disciplinato dall’art. 363-bis, comma 3[13] – e quindi una più significativa incidenza, da cui potrà discendere la riduzione del contenzioso di merito e anche di quello (decisamente eccessivo) pendente dinanzi alla Suprema Corte[14].
Attualmente, possono occorrere vari anni perché le cause fiscali vengano decise dal giudice di legittimità e si formino quindi gli indirizzi interpretativi suscettibili di orientare le condotte degli Enti impositori e dei contribuenti, nonché le decisioni dei giudici di merito.
Il ritardo con cui si pronuncia la Cassazione si riverbera così sul processo di merito, finendo per incentivarne l’introduzione o la prosecuzione.
L’enunciazione del principio di diritto a seguito del rinvio pregiudiziale potrà, pertanto, assolvere un utile ruolo deflattivo sul contenzioso tributario, forse consentendo anche di evitare il troppo frequente ricorso a misure normative di definizione agevolata delle liti tributarie pendenti cui abbiamo assistito negli ultimi anni.
[1] L’art. 363-bis è stato inserito nel c.p.c. dal D.L.vo n. 149/2022.
[2] In tal senso, v. L. Salvato, Verso la riforma del processo tributario: il “rinvio pregiudiziale” ed il ricorso nell’interesse della legge, in Giustizia Insieme, 19 luglio 2021, par. 4. Con ogni probabilità, l’intento del disegno di legge n. 2636, nel prospettare una norma ad hoc sull’iniziativa del Procuratore Generale per conseguire il principio di diritto in materia tributaria, era quello di favorirne e incrementarne la concreta operatività. Comunque, ben ha fatto il legislatore a non ratificare sul punto il disegno di legge. Difatti, sarebbero risultate innovate rispetto all’art. 363 le condizioni di ammissibilità del cosiddetto “ricorso nell’interesse della legge” e ciò avrebbe creato una discutibile disparità di regime fra la materia civile e quella tributaria.
[3] Cfr., in particolare, C. Glendi, Rinvio pregiudiziale nel processo tributario? Antinomie ai vertici, da risolvere presto e bene, in Dir. prat. trib., n. 6/2022, pp. 2196 ss.
[4] Analogamente, v. R. D’Angiolella, Riflessioni sulla riforma del processo tributario in Cassazione. La nuova Sezione Tributaria della Cassazione, la pace fiscale ed il rinvio pregiudiziale, in Giustizia Insieme, 15 dicembre 2022, par. 3. Così si è espresso, seppure in termini dubitativi, anche l’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Cassazione nella relazione n. 96 del 6 ottobre 2022.
[5] Disciplinata dall’art. 3 del D.L.vo n. 23/2011, secondo cui il locatore dell’immobile ad uso abitativo può optare, in luogo dell’ordinario regime impositivo, per un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali e delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione.
[6] V., per tutte, Comm. Trib. Reg. Toscana, sez. 1, 13 giugno 2022, n. 791 (per la tesi contraria all’operatività del regime della “cedolare secca” nel caso descritto nel testo) e Corte Giust. Trib. II grado Veneto, sez. 5, 16 gennaio 2023, n. 53 (per l’impostazione opposta).
[7] V. Cass., sez. trib., 29 maggio 2023, n. 14975.
[8] V. Cass., sez. trib., 8 febbraio 2023, n. 3784.
[9] Nello stesso senso, v. E. Manzon, La Cassazione civile-tributaria alla sfida del PNRR, in sintesi ed in prospettiva, in Giustizia Insieme, 23 novembre 2022, par. 3, nonché R. D’Angiolella, Riflessioni sulla riforma del processo tributario, cit., par. 3.
[10] V., ad esempio, Cass., sez. un., 9 gennaio 2020, n. 156.
[11] Di contrario avviso è G. Scarselli, Note sul rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione di una questione di diritto da parte del giudice di merito, in Giustizia Insieme, 5 luglio 2021, par. 8, che evidenzia come “giudice del merito e giudice del rinvio non possono essere messi sullo stesso piano, poiché mentre il giudice del rinvio opera quale giudice che completa, in fase rescissoria, la stessa impugnazione rescindente affidata alla Corte di cassazione, il giudice del merito non ha questo legame con la cassazione, non è giudice dell’impugnazione, ed opera in un processo che è aperto a tutte le novità che non siano già precluse dallo stato di avanzamento del processo stesso”. Sebbene sia fuor di dubbio la diversità delle funzioni assolte del giudice nei due casi in esame, sembra del tutto ragionevole che il principio di diritto enunciato dalla Cassazione sia sempre vincolante perché, nella prima ipotesi, discende dal naturale svolgimento dell’impugnazione per cassazione della sentenza e dalla separazione fra la fase rescindente e quella rescissoria e, nell’altra, dalla responsabilità che il giudice di merito assume, in piena libertà e in spirito di cooperazione con la Corte Suprema, quando ritiene di rivolgersi a quest’ultima per risolvere una quaestio iuris.
[12] Cfr. G. Scarselli, I punti salienti dell’attuazione della riforma del processo civile di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, in Giustizia Insieme, 15 novembre 2022, par. 6.
[13] Secondo l’art. 363-bis, comma 3, il Primo Presidente della Corte di Cassazione, ricevuta l’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale e ravvisate le condizioni di ammissibilità dettate dal precedente comma 1, “entro novanta giorni assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice per l’enunciazione del principio di diritto”.
[14] Pure E. Manzon, La Cassazione civile-tributaria alla sfida del PNRR, cit., par. 3 si esprime in termini analoghi. Meno ottimistiche, invece, sono le previsioni di successo del rinvio pregiudiziale espresse da R. D’Angiolella, Riflessioni sulla riforma del processo tributario, cit., par. 3. Sull’argomento, v. anche A.-M. Perrino, Il giudizio di legittimità in materia tributaria, in AA.VV., Il giudizio tributario, a cura di C. Consolo, G. Melis, A.-M. Perrino, Milano, 2022, pp. 544 ss., secondo cui – a seguito dell’introduzione del rinvio pregiudiziale (della cui operatività in materia tributaria, peraltro, l’Autrice non dubita) – prevalgono le considerazioni negative rispetto a quelle positive.