La sanzione per l’inottemperanza all’ordine di demolizione (nota a Cons. Stato, Ad. Plen., 11 ottobre 2023, n. 16)
di Cristina Fragomeni
Sommario: 1. I fatti della controversia – 2. La nozione di sanzione. L’iter sanzionatorio di cui all’art. 31, d.P.R. n. 380/2001 – 3. Segue: la sanzione dell’acquisizione gratuita della res abusiva al patrimonio comunale – 4. Segue: la sanzione amministrativa pecuniaria – 5. Rilievi conclusivi.
1. I fatti della controversia.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si pronuncia sulla natura e sulle conseguenze dell’illecito dovuto alla mancata ottemperanza all’ordine di demolizione.
Nel caso in specie, l’appellante è nuda proprietaria di un fondo agricolo donato dal padre, il quale ha conservato sul medesimo il diritto di usufrutto. All’esito del sopralluogo effettuato dal personale dell’Amministrazione procedente, viene rilevata la presenza di opere risalenti ad un’epoca remota in relazione alle quali non si è riscontrata la sussistenza di titoli edilizi. Conseguentemente, l’Amministrazione comunale emette un’ordinanza di demolizione nei confronti della nuda proprietaria nonché dell’usufruttuario. La prima propone impugnazione avverso l’ingiunzione, rappresentando la propria estraneità agli abusi, che sarebbero stati perpetrati dal padre in epoca anteriore alla donazione. L’adito TAR per la Campania, con sentenza n. 3870/2017, respinge il ricorso.
Nelle more del giudizio di primo grado, il Comune, constatata l’inottemperanza all’ordinanza oggetto di impugnazione, dispone l’acquisizione dell’immobile al suo patrimonio indisponibile e irroga ai titolari dei diritti reali la sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4 bis, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per la realizzazione di opere edilizie sprovviste di titolo, in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, ai sensi del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Per chiedere l’annullamento di detto provvedimento insorge l’usufruttuario innanzi al TAR per la Campania. Il gravame è respinto con sentenza n. 4032/2017, confermata dalla Settima Sezione del Consiglio di Stato (sentenza n. 10087/2022).
L’odierna appellante agisce per l’annullamento dello stesso verbale di accertamento dell’inottemperanza edilizia dinanzi al TAR per la Campania. Il mezzo di tutela è affidato alle seguenti censure: a) violazione del principio di irretroattività delle norme introduttive di misure sanzionatorie, in quanto l’ingiunzione edilizia sarebbe stata notificata ai titolari dei diritti reali anteriormente all’introduzione del comma 4 bisnel corpo dell’art. 31, d.P.R. n. 380/2001; b) violazione dell’art. 31, comma 4, d.P.R. n. 380/2001, in quanto la ricorrente, rivestendo la qualità di nuda proprietaria, non avrebbe potuto ottemperare all’ordine di demolizione nonché in quanto la stessa, non essendo autrice degli abusi edilizi, non avrebbe dovuto essere sanzionata con la perdita della nuda proprietà; c) illegittimità derivata del provvedimento impugnato, emesso sulla scorta dell’ordinanza di demolizione, stante la pendenza di un giudizio di impugnazione avverso quest’ultima. Il ricorso è giudicato infondato e rigettato, con sentenza n. 4033/2017, in quanto: a) la violazione del predetto principio di irretroattività deve escludersi in ragione del carattere permanente dell’illecito integrato dall’inottemperanza all’ordinanza di demolizione: la ricorrente avrebbe potuto ottemperare anche una volta spirato il termine; la protrazione della sua inerzia ha legittimato l’Amministrazione all’irrogazione della sanzione pecuniaria; b) la sanzione demolitoria ha natura oggettiva e reale e colpisce, in quanto tale, l’attuale proprietario del bene, prescindendo dall’accertamento del dolo o della colpa in capo al soggetto a cui è imputata la trasgressione; c) in ragione della legittimità del provvedimento presupposto, è esclusa la caducazione, per l’asserita invalidità derivata, del provvedimento impugnato.
La pronuncia del TAR è appellata dinanzi al Consiglio di Stato. In tale sede, l’appellante contesta la qualificazione dell’inottemperanza all’ordine di demolizione come illecito permanente, sostenendo che, scaduto il termine di novanta giorni, l’ablazione della proprietà del bene precluderebbe l’imputabilità al privato dell’inottemperanza: a quel punto, sia la condotta sia l’illecito sarebbero consumati in via definitiva. Giungerebbe, pertanto, in considerazione non un illecito permanente, ma un illecito istantaneo, con annessa illegittimità dell’operato dell’Amministrazione, la quale avrebbe inflitto la sanzione di cui all’art. 31, comma 4 bis, d.P.R. n. 380/2001, a fronte di una condotta omissiva che si sarebbe esaurita prima dell’entrata in vigore della legge 11 novembre 2014, n. 164, in violazione dell’art. 25 della Costituzione, dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dell’art. 11 delle disp. prel. cod. civ. L’appellante, da ultimo, lamenta l’illegittimità dell’immissione dei manufatti abusivi nel patrimonio comunale e insiste per la declaratoria di illegittimità derivata del provvedimento impugnato.
La Sesta Sezione del Consiglio di Stato, investita dell’impugnazione, con ordinanza n. 3974/2023, rimette all’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., la risoluzione di quattro questioni: a) se l’inottemperanza all’ordine di demolizione comporti la produzione di effetti traslativi automatici alla scadenza del termine di novanta giorni, fissato ai fini della demolizione; b) se l’art. 31, comma 4 bis, d.P.R. n. 380/2001, assoggetti a sanzione l’illecito integrato dall’abuso edilizio ovvero un illecito autonomo di natura omissiva consistente nella mancata ottemperanza all’ingiunzione di demolizione; c)se l’inottemperanza in questione configuri un illecito permanente ovvero istantaneo con eventuali effetti permanenti; d) se, infine, la sanzione prevista dal comma 4 bis dell’art. 31, d.P.R. n. 380/2001, sia irrogabile ai soggetti destinatari della notifica di un’ordinanza di demolizione il cui termine per ottemperare risulti scaduto anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 164/2014.
Il presente lavoro focalizza l’attenzione sulle prime due questioni, tra quelle elencate, sottoposte al vaglio della Plenaria.
2. La nozione di sanzione. L’iter sanzionatorio di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.
Nella legislazione vigente, non ricorre alcuna definizione del concetto di sanzione, tantomeno di quello di sanzione amministrativa[1].
In senso generale, può definirsi «sanzione» la conseguenza sfavorevole riconnessa alla perpetrazione di un illecito, applicata coattivamente (dallo Stato ovvero da altro ente pubblico). La sanzione si sostanzia, secondo un’opinione, nella «misura retributiva» applicata al trasgressore, effetto, diretto e immediato, della condotta antigiuridica che costui ha tenuto[2]. Posto che la natura eminentemente afflittiva integra il connotato saliente della sanzione, ne deriva l’impossibilità di qualificare come sanzione il ripristino, in qualsiasi forma, dello status quo ante, all’esito della trasgressione (cosiddette sanzioni ripristinatorie)[3]: il termine «sanzione» sarebbe adoperato, in tali circostanze, tanto dalla dottrina quanto dalla giurisprudenza, in maniera inappropriata. La sanzione amministrativa, in senso proprio, il cui tratto caratterizzante è costituito dall’ascriversi la relativa irrogazione nell’esercizio di una potestà amministrativa, è così identificata, in via residuale, nella misura afflittiva non integrante né una sanzione penale né una sanzione civile[4].
E’ bene precisare che l’obiettivo perseguito dalla pubblica amministrazione, in sede di applicazione di sanzioni amministrative è, in generale, non soltanto quello di punire, ma anche quello di tutelare un interesse pubblico specifico[5]. Del resto, com’è stato opportunamente rilevato, tra il punire e l’amministrare non si manifesta alcuna divergenza sul piano ontologico; tra la natura afflittiva della sanzione e la cura dell’interesse pubblico intercorre uno stretto legame[6], tale che gli stessi interessi tutelati dall’Amministrazione, “partecipando” all’esercizio della funzione sanzionatoria, influiscono sulla commisurazione della sanzione[7].
In dottrina, alle posizioni che individuano la finalità delle sanzioni amministrative nella tutela degli interessi pubblici devoluti all’Amministrazione[8], si affiancano quelle di quanti hanno intravisto un nesso con l’autotutela.
Nell’ambito della sua teoria della sanzione amministrativa, Feliciano Benvenuti ha concepito la sanzione come elemento costitutivo della norma, che riveste una posizione paritaria rispetto al precetto sul quale agisce, imponendo il rispetto della norma medesima ai soggetti dell’ordinamento. L’illustre Autore porta a compimento la prefata teoria collocando le sanzioni amministrative nel solco dell’autotutela decisoria: le sanzioni attuerebbero le finalità dell’autotutela mediatamente, comportando «speciali svantaggi» a carico dell’inadempiente, così indotto, nella prospettiva di questi ultimi, ad ottemperare agli obblighi di cui è destinatario[9]. Il risvolto finale della tesi del Benvenuti si sintetizza nella qualificazione della sanzione come mezzo dell’azione amministrativa, stante la relativa funzionalità alla realizzazione delle pretese della pubblica amministrazione[10].
In senso analogo, si è, pur successivamente, sostenuto che il conferimento alla pubblica amministrazione della capacità sanzionatoria completerebbe lo strumentario di cui essa è stata dotata al fine di realizzare la «propria azione specifica»[11].
Tracciata la distinzione tra «sanzione amministrativa di un illecito» e «misura ripristinatoria di una situazione (di fatto) abusiva»[12], si possono considerare le misure repressive disciplinate dal d.P.R. n. 380/2001.
Giova, innanzitutto, premettere che, nel linguaggio corrente, si impiega l’espressione «abuso edilizio» con riferimento all’illecito scaturente dalla violazione delle norme urbanistiche[13].
In dottrina è stato evidenziato il carattere polisemantico del termine «abusivismo», adoperabile al fine di indicare sia la condotta antigiuridica di chi costruisce contra legem sia anche il concreto risultato delle costruzioni abusive, che incidono sulla «realtà del territorio»[14].
Il sistema repressivo degli abusi edilizi e urbanistici rinviene organica sistemazione nel Titolo IV del Testo unico in materia edilizia. Tale sistema è innestato su quattro tipologie di sanzioni (penali, civili, amministrative, accessorie) nonché su un complesso di obblighi, facenti capo ad una pluralità di soggetti (ufficio tecnico erariale, segretari comunali, polizia giudiziaria, etc.), tesi ad incrementare l’efficacia del sistema medesimo[15]. Il regime sanzionatorio in argomento è delineato dal legislatore in modo apparentemente conforme ai criteri del livello di «gravità dell’infrazione formale perpetrata» e dell’«intensità del danno urbanistico sostanziale arrecato»[16]. L’art. 31, d.P.R. n. 380/2001, ricalcando e attualizzando il contenuto dell’art. 7, L. 28 febbraio 1985, n. 47[17], regola la risposta dell’ordinamento alla fattispecie di abuso più grave: gli interventi edilizi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali. La disciplina richiamata definisce, al primo comma, il solo intervento totalmente difforme rispetto al permesso di costruire[18], mentre rimanda al successivo art. 32 ai fini della determinazione delle variazioni essenziali[19].
La vicenda in esame trae origine dall’omesso riscontro di titoli abilitativi in relazione ad opere oggetto di sopralluogo. Si è trattato, nello specifico, coerentemente con quanto constatato dal giudice di primo grado, di interventi di nuova costruzione, con realizzazione di nuove volumetrie che, incidendo sull’assetto edilizio esistente, necessitano del preventivo rilascio del permesso di costruire; cosicché si è ritenuta configurata la fattispecie dell’espletamento dell’attività costruttiva in difetto del permesso di costruire.
L’illecito in discorso ricorre nelle ipotesi di mancata richiesta del provvedimento ovvero di domanda del permesso di costruire non ancora evasa; di avvio dei lavori in esito all’emanazione del permesso, ma prima del rilascio del provvedimento medesimo; di decadenza del permesso (per inutile decorso del termine di inizio dei lavori ovvero del termine di conclusione degli stessi); di annullamento del permesso[20].
Acclarata l’esecuzione di interventi abusivi, l’iter sanzionatorio, strutturato in modo bifasico, ha inizio con la notificazione al proprietario e al responsabile dell’abuso dell’ingiunzione di demolizione o di rimozione degli effetti dell’attività abusiva[21], conseguenza diretta dell’abuso edilizio.
L’ordine di demolizione del manufatto abusivo è una misura sanzionatoria preordinata alla restitutio in integrum dello stato dei luoghi (carattere ripristinatorio), tramite la previa rilevazione dell’inosservanza delle disposizioni urbanistiche. La fattispecie presupposto dell’ordine di ripristino muove, nel caso che si esamina, dalla situazione antigiuridica derivante dall’inosservanza delle disposizioni che condizionano la trasformazione della res al consenso dell’Amministrazione. L’ordine di ripristino ha, dunque, natura di atto di esercizio del potere di autotutela decisoria, volto all’eliminazione degli effetti dovuti all’attività di trasformazione illecita[22].
L’ingiunzione di demolizione, avendo ad oggetto l’opera abusiva, attiene anche a quelle accessorie e complementari ed alle aggiunte successive sulle quali si ripercuote l’illiceità dell’originaria edificazione[23].
Si deve rammentare che l’ordinanza di demolizione corrisponde ad un atto vincolato per il quale non è richiesta la previa comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, alla luce della preclusione all’Amministrazione di valutazioni di interesse pubblico concernenti il mantenimento del bene, poiché il bilanciamento tra l’interesse pubblico e quello privato è già effettuato a monte dal legislatore[24]. Il presupposto di fatto, che si colloca alla radice dell’ordine demolitorio, è, pertanto, costituito dall’abuso del quale il destinatario si presume abbia contezza, in quanto compreso nella sua «sfera di controllo»[25]. Si pone come corollario della natura vincolata del provvedimento in argomento, la sufficienza, sotto il profilo motivazionale, dell’indicazione dei presupposti di fatto che ne hanno sorretto l’emissione nonché delle norme che si assumono violate; sicché l’ordinanza di demolizione non deve essere analiticamente motivata[26]. Il carattere doveroso degli atti volti al perseguimento dell’illecito conduce, altresì, ad escludere la necessità di un onere motivazionale aggiuntivo che supporti l’ingiunzione di demolizione emanata a notevole distanza temporale dalla realizzazione dell’abuso; in altri termini, l’ordine di demolizione non richiede una motivazione calibrata in relazione alla ricorrenza di un interesse pubblico attuale al ripristino della legalità violata. L’eventuale tardiva emanazione non risulta idonea a determinare il consolidamento di un affidamento legittimo in capo al proprietario dell’abuso, stante l’impossibilità, in casi siffatti, di delineare, di fatto, una sorta di «sanatoria extra ordinem» nonché di riconnettersi al quadro generale dell’autotutela[27].
Un minoritario orientamento giurisprudenziale assumeva, invece, che il considerevole lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il perdurare dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza generassero una posizione di affidamento idonea a fondare un onere di congrua motivazione che specificasse l’interesse pubblico, diverso da quello al ripristino della legalità violata, in vista della cui tutela era sacrificato l’interesse privato di segno opposto (tesi propugnata, in sede ricorsuale, dall’odierna appellante)[28].
Da ultimo, quanto al soggetto passivo dell’ordinanza di demolizione, costante giurisprudenza, in linea con il tenore letterale dell’art. 31 del Testo unico, conclude per la sua individuazione nel soggetto avente il potere di rimuovere concretamente l’opera abusiva, vale a dire, in virtù della titolarità del diritto dominicale, nel proprietario attuale, indipendentemente dalla sua coincidenza con il responsabile dell’abuso, attesi il carattere permanente dell’illecito, la natura reale del medesimo, il carattere ripristinatorio dell’ordinanza (che prescinde dall’accertamento del dolo ovvero della colpa in capo al soggetto a cui è imputata la trasgressione), la preminenza dell’interesse pubblico urbanistico[29]. Tant’è vero che si ricomprende nella nozione di «responsabile dell’abuso» non solo il soggetto che ha materialmente commesso la violazione contestata, ma anche colui il quale dispone dell’immobile, che, pertanto, nelle qualità di detentore e utilizzatore, ha il dovere di provvedere alla demolizione funzionale alla restaurazione dell’ordine violato[30].
Eventualmente, come chiarito da una giurisprudenza piuttosto compatta, il proprietario di un’opera abusiva realizzata da altri che intenda sottrarsi all’effetto sanzionatorio di cui all’art. 31, d.P.R. n. 380/2001, della demolizione o dell’acquisizione, all’esito dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, «deve provare la intrapresa di iniziative che, oltre a rendere palese la sua estraneità all’abuso, siano però anche idonee a costringere il responsabile dell’attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall’autorità amministrativa», risultando, d’altro canto, del tutto insufficiente al medesimo fine la posizione di una condotta di pedissequa adesione alle iniziative comunali[31].
Nella vicenda che si esamina, la nuda proprietaria ha avuto modo di contestare l’ingiunzione di demolizione insistendo sulla propria estraneità agli abusi, verosimilmente riconducibili al padre, e, dunque, sull’asserita impossibilità di essere punita per un’attività che non ha posto in essere. Il motivo è destituito di fondamento per le considerazioni espresse. Coerentemente con una consolidata giurisprudenza, approfondisce l’Adunanza Plenaria nella pronuncia in commento, l’acquirente dell’opera abusiva o del sedime su cui la stessa è stata realizzata, subentra nella totalità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al proprietario precedente e afferenti al bene ceduto, inclusa l’abusiva trasformazione, soggiacendo agli effetti dell’ingiunzione di demolizione successivamente impartita, pur risalendo il compimento dell’abuso ad un’epoca anteriore alla traslazione della proprietà.
3. Segue: la sanzione dell’acquisizione gratuita della res abusiva al patrimonio comunale.
Ai sensi del richiamato art. 31, comma 3, nell’ipotesi di accertata inerzia dei destinatari dell’ordine di reintegro dello stato dei luoghi abusivamente alterato, che si protragga per oltre novanta giorni decorrenti dalla notificazione, sia il bene che l’area di sedime nonché quella necessaria, ai sensi delle vigenti prescrizioni, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, subiscono l’immissione ex lege nel patrimonio comunale, con il limite del decuplo della superficie abusiva complessiva[32]. L’accertamento dell’inottemperanza attesta il trasferimento della proprietà del bene all’interno del patrimonio pubblico e costituisce il titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione gratuita nei registri immobiliari.
La sanzione in esame, comportando l’estinzione ex lege del diritto di proprietà, punisce la condotta di chi disattenda l’ordine di ripristino e funge da deterrente per quanti siano inclini alla commissione di un abuso[33].
A mente di un risalente orientamento della giurisprudenza costituzionale, l’acquisizione al patrimonio comunale della superficie su cui insiste la costruzione abusiva, così come la misura demolitoria che la precede, costituisce la reazione dell’ordinamento al duplice illecito perpetrato da chi, realizzata un’opera abusiva, non ottemperi all’obbligo di demolirla, conformemente al principio secondo cui «l’ordinamento reagisce, oltre che sulle cose costituenti il prodotto dell’illecito, anche su quelle strumentalmente utilizzate per commetterlo». La sanzione in commento, autonoma e conseguente all’inottemperanza all’ingiunzione, secondo tale orientamento, sarebbe volta a stimolare il responsabile dell’abuso all’esecuzione della demolizione nel termine fissato, contestualmente escludendo che essa possa colpire il proprietario estraneo all’abuso; diversamente, la sanzione risulterebbe inidonea all’espletamento della funzione di prevenzione speciale in vista della quale è irrogata[34].
Nel caso in esame, la Plenaria, non accogliendo la tesi dell’estraneità della nuda proprietaria all’abuso, ha reputato legittima l’emanazione nei suoi confronti dell’ordinanza di demolizione e dell’atto di acquisizione. Pur essendo l’abuso edilizio imputabile all’attuale usufruttuario, egli ha, successivamente, posto in essere un atto a titolo derivativo in favore della figlia, attuale nuda proprietaria del fondo, che, subentrando nella posizione giuridica del donatario, diviene destinataria dell’obbligo propter rem di effettuare la demolizione. Il Comune, in casi siffatti, afferma la Plenaria, ha il dovere di adottare gli atti di cui agli artt. 27 e 31, d.P.R. n. 380 del 2001, così come li avrebbe emanati nei riguardi del dante causa. Se si fosse attivata ai fini del ripristino dell’ordine giuridico compromesso, la nuda proprietaria avrebbe preservato il diritto reale di cui era titolare, a fronte della condotta illecita del responsabile dell’abuso. Avendo poi la stessa ricevuto la notifica dell’ordinanza di demolizione, contenente la precisazione delle conseguenze riconnesse all’omessa ottemperanza, trova applicazione anche nei suoi confronti la regola dell’acquisizione di diritto, decorso il termine di novanta giorni.
La producibilità di effetti traslativi automatici in conseguenza dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione, decorso il termine predetto, è oggetto di uno dei quesiti rimessi all’Adunanza Plenaria. Copiosa giurisprudenza ha avuto già modo di sottolineare l’automaticità dell’effetto traslativo della proprietà originato dall’inottemperanza; in termini più puntuali, il provvedimento di acquisizione costituirebbe l’effetto automatico innescato dall’inottemperanza ad un precedente ordine di ripristino. Sulla scorta di quando evidenziato, l’ordinanza di acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio comunale costituirebbe un atto dovuto, privo di discrezionalità, per il quale non è richiesta alcuna specificazione dell’interesse pubblico sotteso all’acquisizione medesima[35].
Alla giurisprudenza favorevole alla qualificazione dell’acquisizione come effetto automatico dell’inottemperanza all’ordine di demolizione[36], si è opposto l’indirizzo, di segno diverso, a mente del quale, in ragione della sua indole afflittiva, la sanzione acquisitiva che si commenta può essere legittimamente irrogata in presenza di un’inottemperanza volontaria all’ingiunzione, protrattasi per oltre novanta giorni, senza che l’interessato abbia dedotto un valido impedimento di fatto ovvero di diritto alla tempestiva demolizione. Tale valutazione dell’elemento psicologico, asseritamente necessaria, precluderebbe la produzione di eventuali automatismi[37]. In senso conforme, parte della dottrina ha valorizzato la volontarietà dell’inottemperanza ai fini della valutazione in ordine alla legittimità del provvedimento di acquisizione[38]. Emblematica del cennato orientamento è la tesi secondo cui la previsione dell’acquisizione di diritto al patrimonio comunale dell’immobile abusivo deve essere interpretata alla luce dei principi generali in materia di adempimento, tenuto conto, segnatamente, del dettato dell’art. 1218, primo comma, Cod. civ., che obbliga il debitore inadempiente al risarcimento del danno, facendo salva la prova della riferibilità dell’inadempimento o del ritardo all’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile allo stesso debitore. Di conseguenza, sull’interessato graverebbe l’onere di denunciare tempestivamente all’Amministrazione l’eventuale causa dell’impossibilità nonché i fatti noti comprovanti la rilevanza del caso concreto[39].
La ricostruzione evocata è stata ripresa e avallata dalla giurisprudenza più recente, stando alla quale l’acquisizione della res abusiva è legittima nella misura in cui l’inottemperanza all’ordine di demolizione, che persista da oltre novanta giorni, sia volontaria o colpevole; ovvero l’inerzia dell’interessato sussista in difetto di validi impedimenti di diritto o di fatto alla demolizione. La produzione dell’effetto ablativo sarebbe, quindi, preclusa nelle ipotesi di inottemperanza non volontaria nonché di appartenenza dell’area a soggetto estraneo all’illecito edilizio, che non abbia ricevuto la notifica dell’ordine di demolizione[40]. In tal senso, il presupposto essenziale per l’applicazione della sanzione in argomento deve correttamente identificarsi non già nell’inottemperanza all’ordine di demolizione, bensì nella volontaria inottemperanza allo stesso, che perduri da oltre novanta giorni, a far data dalla comunicazione (condotta colpevolmente omissiva).
L’Adunanza Plenaria si approssima alle considerazioni innanzi esposte. Con la pronuncia che si annota, ribadita la natura afflittiva dell’acquisizione gratuita, si esclude la possibilità di adozione dell’atto di immissione delle opere abusive nel patrimonio comunale qualora l’inottemperanza non sia imputabile al destinatario dell’ordine di demolizione per «malattia completamente invalidante». L’onere di fornire la prova relativa incombe, conformemente al principio della vicinanza alla fonte della prova, sullo stesso destinatario dell’ordine di demolizione ovvero, eventualmente, sul suo rappresentante legale. Resta fermo per la Plenaria, in adesione alla tesi della natura dichiarativa dell’atto amministrativo di accertamento e in ossequio alle regole dell’obbligo propter rem, che l’acquisto del bene indicato nell’ordinanza di demolizione, allo spirare del termine di novanta giorni, si svolge ipso iure[41].
Alla luce della sentenza che si commenta, risulta, dunque, temperata l’inflessibilità dell’indirizzo giurisprudenziale superiormente riportato, sulla scorta del quale l’avocazione alla mano pubblica del manufatto abusivo sarebbe un effetto automatico dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione.
Infine, per quanto attiene alle sorti dell’obbligo di demolizione decorsi i novanta giorni fissati per l’adempimento, l’Adunanza Plenaria ne evidenzia la conversione ex lege in un obbligo diverso, cioè quello di rimborsare all’Amministrazione le spese sopportate per la demolizione ex officio della res abusiva (novazione oggettiva dell’obbligo ricadente propter rem sull’autore dell’abuso e sui suoi aventi causa). L’obbligo del responsabile, dunque, muta nel tempo. Decorso il termine di esecuzione spontanea dell’ordine demolitorio e immessa l’area interessata dall’abuso nel patrimonio comunale, risulterebbero irragionevole la permanenza dell’obbligo in capo al privato di demolire un bene ormai rientrante nella proprietà dell’Ente e irrilevante il relativo adempimento al fine dell’esclusione dell’illecito.
Si tratta delle medesime valutazioni effettuate dalla Sezione remittente, la quale ha osservato, ancora, che, decorso il termine di novanta giorni, l’interessato conserverebbe comunque l’obbligo di collaborare con l’Amministrazione, in quanto l’adempimento all’ordine di demolizione, ancorché tardivo, gli consentirebbe di arginare effetti più gravi, quali la privazione dell’area ulteriore rispetto a quella di sedime[42].
4. Segue: la sanzione amministrativa pecuniaria.
La sanzione amministrativa pecuniaria incarna l’archetipo delle sanzioni amministrative. Più precisamente, la sanzione amministrativa, intesa in senso stretto[43], è tendenzialmente assimilata alla sanzione pecuniaria, nella cui struttura si specchierebbe. La sanzione così intesa mira a punire il responsabile dell’illecito tramite l’irrogazione di una pena che, assumendo come riferimento non la condotta, ma il suo autore, punta «alla riprovazione giuridica dell’illecito stesso nonché alla dissuasione dalla reiterazione di comportamenti simili»[44].
Con la l. 11 novembre 2014, n. 164, di conversione del cosiddetto Decreto “Sblocca Italia” (D.L. 12 settembre 2014, n. 133)[45], il contenuto dell’art. 31 del Testo unico in materia edilizia è stato arricchito tramite l’introduzione dei commi 4 bis, 4 ter, 4 quater. Ai sensi del primo comma tra quelli menzionati, con l’atto di accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire ovvero con successivo atto integrativo autoritativo, l’autorità competente irroga, prontamente, una sanzione amministrativa pecuniaria di importo oscillante tra i 2000 e i 20000 euro. Tale sanzione di carattere personale si affianca a quella reale dell’acquisizione gratuita del manufatto abusivo al patrimonio dell’Ente (entrambe «sanzioni in senso stretto»[46], che muovono dal presupposto dell’accertamento dell’inottemperanza all’ordine demolitorio), spingendo, per tale via, i responsabili alla rimozione dell’abuso.
La sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4 bis, risponde all’esigenza di mantenere indenne l’Amministrazione comunale dalle spese di ripristino provenienti da ordinanze di demolizione disattese (in tal senso depone il vincolo di destinazione previsto al comma 4 ter del medesimo articolo). La ratio della riforma del 2014 deve, dunque, rintracciarsi nell’intento di sollevare l’Amministrazione dall’onere economico costituito dalla eliminazione delle opere abusive[47]. In aggiunta, si è osservato che la misura repressiva in argomento sarebbe stata introdotta all’interno del sistema sanzionatorio vigente al fine di indurre il trasgressore alla diretta esecuzione della demolizione, considerate le concrete difficoltà, riscontrate sul piano empirico, che questa implica, sia se svolta dal responsabile sia se svolta d’ufficio[48].
A rafforzare la tesi ora esposta, l’Adunanza Plenaria pone l’accento sulla necessità di potenziare la protezione dei valori tutelati ai sensi degli artt. 9, 41, 42 e 117, Cost., tenuto conto dell’alterazione della funzione sociale della proprietà cagionata dal responsabile dell’illecito.
Tra le questioni che la Sezione remittente sottopone all’Adunanza Plenaria, si inserisce quella afferente all’oggetto della sanzione pecuniaria in argomento: se esso consista nell’abuso edilizio ovvero nell’illecito integrato dall’inottemperanza all’ordine di demolizione. Sul punto, sedimentata giurisprudenza ha, in molteplici occasioni, chiarito che il comma in discorso sottopone a sanzione non la realizzazione dell’abuso edilizio, ma, esclusivamente, la mancata ottemperanza spontanea al provvedimento di demolizione emesso dalla pubblica amministrazione; in altri termini, il disvalore del comportamento punito è l’inottemperanza all’ordine di ripristino legittimamente impartito in reazione ad un accertato abuso edilizio[49].
L’interpretazione fornita dall’Adunanza Plenaria, secondo cui il principio dell’imputabilità dell’illecito omissivo sanziona l’inottemperanza, si pone in linea con la giurisprudenza richiamata. Del resto, depone nel medesimo senso lo stesso tenore letterale della norma esaminata («L’autorità competente, constatata l’inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria»), che istituisce una consequenzialità logica tra la constatazione (previa) della mancata ottemperanza e l’irrogazione (successiva) della sanzione pecuniaria da parte dell’autorità competente.
5. Rilievi conclusivi.
All’esito dell’indagine condotta con il presente lavoro, due risultano i punti fermi:
a) deve escludersi la possibilità di emissione dell’atto di acquisizione delle opere abusive al patrimonio comunale qualora l’inottemperanza non sia imputabile al destinatario dell’ordine di demolizione per «malattia completamente invalidante»;
b) tanto la sanzione pecuniaria introdotta con la riforma del 2014 quanto la sanzione dell’immissione del manufatto abusivo nel patrimonio comunale colpiscono un illecito amministrativo omissivo propter rem, distinto dal primo illecito consistente nella realizzazione dell’abuso, che spiega la sua rilevanza anche sul piano penale[50].
Quanto al primo punto, non possono trascurarsi, in conclusione, le perplessità che permangono a fronte di una sentenza dell’Adunanza Plenaria in cui, in punto di declinazione delle cause ostative all’adozione dell’atto di acquisizione al patrimonio dell’Ente locale delle costruzioni realizzate abusivamente, si riferisca esclusivamente alla sussistenza di una patologia invalidante.
In disparte l’osservazione che precede, a noi pare densa di significato la questione afferente alla natura afflittiva ovvero ripristinatoria delle sanzioni trattate, che si ripropone, in senso circolare, in fase di chiusura.
Le misure ripristinatore (sanzionatorie lato sensu), diversamente dalle sanzioni afflittive (ispirate ad una logica punitiva)[51], mirano a restaurare, come si è visto, un bene ovvero un interesse che ha subito lesione tramite un’attività di ripristino[52], che, nella materia affrontata, è di tipo materiale, in quanto eventualmente surrogabile da un intervento dell’Amministrazione[53]. Le misure ripristinatorie difettano, inoltre, di contenuto afflittivo, per cui non esigono l’integrazione dell’elemento soggettivo[54].
L’indole afflittiva della sanzione ha costituito l’argomento dirimente per concludere nel senso della rilevanza della volontarietà dell’inottemperanza all’ordine demolitorio al fine dell’applicazione della misura di cui all’art. 31, comma 3, e nel senso, ancora, dell’assoggettamento alla sanzione di cui al comma 4 bis del medesimo articolo dell’illecito integrato dalla stessa inottemperanza. Più puntualmente, ha ritenuto l’Adunanza Plenaria che, in considerazione della natura afflittiva dell’immissione gratuita e della sanzione pecuniaria ad essa correlata[55], trovi applicazione in materia «il principio per il quale deve esservi l’imputabilità dell’illecito omissivo della mancata ottemperanza».
La Plenaria, in tal modo, si discosta dall’orientamento giurisprudenziale precedente, a mente del quale la sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4 bis, d.P.R. n. 380/2001, presenterebbe natura ripristinatoria[56]. A cagion d’esempio, la sentenza in commento è successiva di qualche mese rispetto alla pronuncia n. 3670/2023, in cui la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha rimarcato il fine ripristinatorio e non afflittivo cui, in linea di principio, sarebbero ispirate le sanzioni edilizie, escludendo, lungo tale direzione, l’applicabilità alle medesime del divieto di retroattività[57].
Il riconoscimento alla sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4 bis, di una valenza afflittiva, operato dall’Adunanza Plenaria, ne determina una sostanziale assimilazione alle sanzioni penali. Il principale corollario delle riflessioni svolte è costituito dall’applicazione in materia, tra gli altri, del principio della irretroattività delle norme sanzionatorie sfavorevoli e retroattività delle norme sanzionatorie favorevoli. Come parimenti rilevato in dottrina, la sanzione pecuniaria condivide il suo carattere afflittivo con la sanzione penale, da cui, tuttavia, si discosta in ragione della fisiologica attinenza alla sfera dei rapporti tra Amministrazione e cittadino, là dove la sanzione penale pertiene a violazioni connotate da gravità maggiore, tali da coinvolgere interessi generali facenti capo alla società[58].
Conclusivamente, ferma restando la condivisibilità delle considerazioni effettuate dall’Adunanza Plenaria in merito al carattere afflittivo connaturato alle sanzioni analizzate, non può omettersi di richiamare, in questa sede, la rilevata evoluzione delle misure ripristinatorie, in materia urbanistico-edilizia (dall’art. 32, l. 17 agosto 1150, n. 1942 al sistema disciplinato dagli artt. 27-36, d.P.R. n. 380/2001), avvenuta all’insegna dell’inasprimento dei relativi procedimenti nonché della sovrapposizione culturale dei medesimi con il modello sanzionatorio[59]. Ciò ha sicuramente alimentato la riduzione delle distanze esistenti tra le categorie ora esaminate.
[1] In dottrina, le sanzioni amministrative sono state autorevolmente definite come «pene in senso tecnico», irrogabili dall’Amministrazione senza l’ingerenza del giudice. Sul punto si veda G. Zanobini, Le sanzioni amministrative, Torino, Bocca, 1924, 38 ss. Tale paradigmatica monografia ha sancito, sul piano lessicale, un decrescente impiego del termine «contravvenzione», ai fini dell’indicazione dell’inosservanza della normativa amministrativa, cui ha fatto adeguato riscontro la predilezione accordata al diverso termine «sanzione». In tal senso, M. Lunardelli, Sanzioni e misure ripristinatorie: una rivalutazione del pensiero di Feliciano Benvenuti, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, 2021, 4, 185 – 186.
[2] In tal senso, E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2020, 333.
[3] Con riferimento ai provvedimenti ripristinatori, si è posto in luce che i medesimi «rappresentano un episodio della dialettica fra autorità e libertà tipico del diritto amministrativo perché, senza il previo controllo di un giudice, essi incidono imperativamente sulla posizione giuridica della persona e sono eseguiti, ove la legge lo preveda, direttamente dalla pubblica amministrazione». In tal senso, C. Gabbani, La logica dei provvedimenti ripristinatori, in Il diritto dell’economia, 2018, 3, 911.
[4] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, cit., 334.
[5] La Corte costituzionale, a suo tempo, ha osservato che le sanzioni amministrative, a differenza di quelle penali, lungi dal costituire uno «strumento di difesa dei valori essenziali del sistema», si sostanziano in «un momento ed un mezzo per la cura dei concreti interessi pubblici affidati all’amministrazione». Cfr. Corte cost., 14 aprile 1988, n. 447.
[6] S. Cimini, Il potere sanzionatorio, in A. Cagnazzo, S. Toschei, F. Tuccari (a cura di), La vigilanza e la procedura di irrogazione delle sanzioni amministrative, Milano, Giuffrè, 2021, 460.
[7] M. T. P. Caputi Jambrenghi, Il principio di obbligatorietà, in A. Cagnazzo, S. Toschei, F. Tuccari (a cura di), Sanzioni amministrative in materia di edilizia, Torino, Giappichelli, 2014, 10.
[8] Confermerebbe tale visione il carattere apparentemente complementare delle sanzioni irrogabili dalle autorità indipendenti rispetto alle funzioni dalle medesime esercitate. A titolo esemplificativo, basti pensare all’ANAC, il cui potere sanzionatorio è connesso alla funzione di prevenire la corruzione; conseguentemente, l’Autorità, con l’irrogazione di sanzioni amministrative, protegge gli interessi pubblici rimessi alla sua cura dall’ordinamento. In tal senso, E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, cit., 334; S. Cimini, Il potere sanzionatorio, in A. Cagnazzo, S. Toschei, F. Tuccari (a cura di), La vigilanza e la procedura di irrogazione delle sanzioni amministrative, cit., 462.
[9] In senso contrario si veda, a titolo esemplificativo, G. Coraggio, voce Autotutela, I) Diritto amministrativo, in Enc. Giur., IV, Roma, 1988, 2.
[10] Cfr. per i riferimenti sulla teoria esposta M. Lunardelli, Sanzioni e misure ripristinatorie: una rivalutazione del pensiero di Feliciano Benvenuti, cit., 187 ss.
[11] A. Travi, Sanzioni amministrative e pubblica Amministrazione, Padova, CEDAM, 1983, 240; S. Licciardello, Sulle sanzioni a tutela della concorrenza e del mercato. Italia e Francia a confronto, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1993, 108.
[12] A. Travi, Incertezza delle regole e sanzioni amministrative, in Diritto amministrativo, 2014, 4, 638 ss. Sostiene l’Autore che la confusione tra le due categorie sia in parte da imputarsi alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, inidonea alla modifica dell’assetto delle sanzioni amministrative esistente all’interno dell’ordinamento nazionale. Sull’autonomia dell’illecito amministrativo rispetto all’orientamento della Corte di Strasburgo, si veda Corte cost., 26 marzo 2015, n. 49.
[13] G. Pagliari, Manuale di diritto urbanistico, Milano, Giuffrè, 2019. L’attività edilizia persegue il fine precipuo di controllare la conformità urbanistica dei progetti di trasformazione preordinati alla realizzazione degli interventi edilizi; sicché tra edilizia e attività di controllo urbanistico intercorre un rapporto di identificazione. Si è rilevato che, all’esito delle riforme introdotte dal 2001, l’urbanistica costituisce esclusivamente una funzione e non più una materia, mentre l’edilizia si estrinseca in una funzione autonoma, ancorché connessa a quella urbanistica. In tal senso, A. Bartolini, voce Urbanistica, in Enciclopedia del diritto. I tematici, vol. III – Le funzioni amministrative, 2022, 1286.
[14] In tal senso, F. Saitta, Commento all’art. 36 d.P.R. 380/2001, in M.A. Sandulli (a cura di), Testo unico dell’edilizia, Milano, Giuffrè, 2015, 863. Il fenomeno dell’abusivismo edilizio, che ha tradizionalmente attanagliato il nostro territorio, è stato, nel tempo, contrastato attraverso il ricorso ai condoni (negli anni 1985, 1994, 2003) nonché al «teorico» aggravamento del trattamento sanzionatorio previsto per le violazioni più gravi (dal 1977). M. A. Sandulli, voce Edilizia, in Enciclopedia del diritto. I tematici, vol. III – Le funzioni amministrative, 2022, 412. In senso critico rispetto al pregiudizio inferto dall’abusivismo al patrimonio culturale nazionale, si veda L. Casini, Abusi e condoni edilizi: dalla clandestinità al giusnaturalismo, in Giorn. dir. amm., 2019, 1.
[15] F. Salvia, C. Bevilacqua, N. Gullo, Manuale di diritto urbanistico, Milano, CEDAM, 2021, 265.
[16] In tal senso, F. Salvia, C. Bevilacqua, N. Gullo, Manuale di diritto urbanistico, cit., 267. L’ultimo tra i criteri indicati sembra essere quello prevalente; per effetto dello stesso potrebbe, ad esempio, avvenire che l’intervento eseguito in difetto di permesso edilizio (fattispecie di abuso più grave) sia, in dati casi, sanato, nei limiti della conformità alla normativa sostanziale urbanistica di quanto abusivamente realizzato.
[17] L’art. 7, L. n. 47/1985, configura in via definitiva l’azione repressiva della pubblica amministrazione, la cui «natura obbligatoria e vincolata» riceve forma per effetto dell’art. 15, L. 28 gennaio 1977, n. 10. E. Bonelli, Effettività del sistema sanzionatorio edilizio e tutela dei diritti fondamentali protetti dalla Cedu, in www.federalismi.it, 2018, 24, 5.
[18] Trattasi di interventi che danno luogo ad un organismo edilizio completamente diverso da quello oggetto di permesso, per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione, ovvero alla realizzazione di volumi edilizi eccedenti i limiti definiti nel progetto e tali da costruire un organismo edilizio, o parte di esso, dotato di «specifica rilevanza» nonché «autonomamente utilizzabile». Sussiste, dunque, difformità totale nell’ipotesi di costruzione di aliud pro alio, vale a dire nell’ipotesi in cui i lavori svolti tendano alla realizzazione di opere non incluse tra quelle assentite, dotate di autonomia e novità sui piani costruttivo e della valutazione economico-sociale. Cfr. Cass. pen., Sez. III, 17 febbraio 2010, n.16392. A mente di un più risalente orientamento giurisprudenziale, la difformità totale sussisterebbe allorché i lavori concernano un’opera differente «per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione» rispetto a quella oggetto dell’atto di concessione. Cfr. Cass. pen., Sez. III, 7 ottobre 1987.
[19] La definizione delle variazioni essenziali al progetto approvato è rimessa, ai sensi dell’art. 32, alla potestà regionale, entro i limiti definiti dall’art. 32 medesimo (ricorrenza delle condizioni previste dalle lettere a) – e) del comma 1). Complessivamente, trattasi di modifiche significative, idonee ad alterare il progetto dell’intervento edilizio originario nei suoi tratti caratterizzanti, configurando una categoria intermedia tra la difformità totale (limite superiore) e quella parziale (limite inferiore). In tal senso, F. Gaverini, Differenze e conseguenze nelle variazioni essenziali e non essenziali, in A. Cagnazzo, S. Toschei, F. Tuccari (a cura di), Sanzioni amministrative in materia di edilizia, cit., 231.
[20] G. Pagliari, Corso di diritto urbanistico, Milano, Giuffrè, 2015, 718. Quanto all’ipotesi di permesso emanato, ma non rilasciato, l’Autore ne ammette la rilevanza a condizione che si aderisca alla tesi che subordina la realizzazione del provvedimento al ritiro da parte del titolare del permesso. L’impostazione secondo cui il permesso di costruire acquisterebbe esistenza ed efficacia dal momento della relativa emanazione, ad avviso dello stesso Autore, desterebbe perplessità, a fronte della maggiore condivisibilità, sotto il profilo logico, della tesi che qualifica il pagamento del contributo di costruzione (in tutto o in parte) come condizione di efficacia del permesso stesso. Ciò posto, con stretto riferimento al dato testuale (la legge parla di «assenza»), non può prescindersi dal constatare che l’emanazione del permesso di costruire realizza la condizione richiesta dalla legge per l’esclusione del carattere abusivo dell’attività edilizia, indipendentemente dal ritiro del permesso.
[21] Considerato che il Testo Unico in materia edilizia, diversamente dalla precedente normativa, impiega non soltanto il termine «opere», ma anche il termine «interventi» (comprensivo delle «trasformazioni urbanistico-edilizie» che non si siano concretate nella realizzazione di opere), l’ordine impartito dall’Amministrazione non può circoscriversi alla sola demolizione, inidonea alla repressione delle fattispecie di abuso nel cui ambito non si siano registrate «trasformazioni fisiche», ma deve estendersi anche alla rimozione degli effetti dell’abuso. In tal senso, V. Mazzarelli, Diritto dell’edilizia, Torino, Giappichelli, 2004, 224. Nella medesima prospettiva, definisce la rimessione in pristino «la sanzione-base» che consente di ottenere la rimozione della totalità degli effetti dell’abuso F. Salvia, Il difficile cammino della legalità nel campo urbanistico (con particolare riferimento al profilo sanzionatorio), in Riv. giur. urb., 2010, 2, 345 ss.
[22] L’antigiuridicità, si è osservato, può ricadere non sulla condotta in sé, bensì sul risultato dell’attività di trasformazione della res, in ragione del conferimento alla stessa di caratteristiche non compatibili con quelle contemplate alla stregua della disciplina sostanziale; il che si registra nella fattispecie dell’intervento edilizio realizzato in difformità dal permesso di costruire. In tal senso, C. Gabbani, La logica dei provvedimenti ripristinatori, cit., 921 ss.
[23] D. Galasso, L’ordine di demolizione ha natura amministrativa non penale, in Diritto & Giustizia, 2022, 44, 7 ss.
[24] Sulla natura vincolata e obbligatoria del potere repressivo esercitato dall’Amministrazione in materia urbanistico-edilizia, si vedano A. Iannelli, Le violazioni edilizie amministrative, civili e penali, Milano, Giuffrè, 1981; R. Ursi, Commento ad art. 27 Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, in M. A. Sandulli (a cura di), Testo Unico dell’edilizia, cit., 671 ss.
[25] Cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 4 maggio 2023, n. 4537; Sez. VI, 7 novembre 2022, n. 9715; Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3208. Una diversa impostazione ritiene più conforme alla ratio della L. 7 agosto 1990, n. 241 la tesi della necessaria comunicazione di avvio del procedimento nella materia esaminata, in quanto l’accertamento del fatto e il suo corretto inquadramento giuridico integrerebbero momenti imprescindibili della valutazione amministrativa in ordine all’esistenza delle condizioni per l’emissione del provvedimento, sicché risulterebbero indiscutibili l’interesse del destinatario a presentare le proprie osservazioni e la relativa partecipazione. In tal senso, G. Pagliari, Corso di diritto urbanistico, cit., 745; quanto alla giurisprudenza, si vedano, invece, TAR, Abruzzo, Pescara, 11 marzo 2008, n. 157; Cons. Stato, Sez. V, 29 gennaio 2004, n. 296; TAR, Campania, Napoli, Sez. VIII, 28 dicembre 2007, n. 16550.
[26] Cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 5 maggio 2011, n. 2496; TAR Liguria, Genova, Sez. I, 4 agosto 2011, n. 1220.
[27] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9. Sul punto si è fondatamente osservato che, avuto riguardo alle ipotesi di sussistenza dei presupposti per la sanatoria del permesso, appurata la doppia conformità dell’opera alla normativa urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione sia al momento della presentazione dell’istanza ai sensi dell’art. 36, d.P.R. n. 380/2001, l’acquisizione della conformità non consente di evitare il ripristino: quest’ultimo, in casi siffatti, non può dunque definirsi come preordinato alla ricomposizione dell’interesse al corretto assetto urbanistico-edilizio, integrando, diversamente, una conseguenza dell’originaria carenza del titolo. Difettando l’esigenza di ricostituire «un assetto territoriale secundum legem», in presenza delle predette circostanze, «non sembra ragionevole né proporzionato prescindere totalmente da qualsiasi valutazione dell’elemento soggettivo e, più in particolare, dell’affidamento creato nel proprietario incolpevole da una protratta inerzia delle p.a. competenti a vigilare sull’attività edilizia». In tal senso, M. A. Sandulli, voce Edilizia, in Enciclopedia del diritto. I tematici, cit., 432 – 433. In termini critici sempre rispetto al profilo della tutela del legittimo affidamento del privato, si vedano P. Tanda, L’Adunanza Plenaria n. 9/2017 si pronuncia sul ruolo del fattore tempo nell’esercizio del potere repressivo della p.a. in materia urbanistico-edilizia, in www.federalismi.it, 2018, 1; L. Droghini, G. Strazza, L’ordinanza di demolizione degli abusi edilizi tra tempo, legittimo affidamento e obbligo di motivazione, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, 2018, 113 ss; C. Contessa, Rassegna di giurisprudenza del Consiglio di Stato, in Giur. it., 2017, 2581 ss.
[28] Cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 10 giugno 2008, n. 646; TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, 4 dicembre 2007, n. 924; Cons. Stato, Sez. V, 29 maggio 2006, n. 3270; Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 23 aprile 2001, n. 183.
[29] Cfr. TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 19 luglio 2022, n. 1963; Cons. Stato, Sez. II, 12 settembre 2019, n. 6147; TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 13 agosto 2013, n. 1619.
[30] Cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 16 luglio 2020, n. 610; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 10 agosto 2020, n. 1559; TAR. Toscana, Firenze, Sez. III, 16 marzo 2020, n. 333.
[31] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 maggio 2015, n. 2211; Sez. VI, 30 marzo 2015, n. 1650; Sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4125. Sulla figura così delineata del «proprietario incolpevole» si vedano D. Chinello, L’acquisizione gratuita di immobili abusivi e la figura del proprietario incolpevole, in Giur. it., 2015, 11, 2468 ss; A. Liguori, L’acquisizione al patrimonio comunale nei confronti degli eredi estranei all’abuso, in Nuove aut., 2017, 2, 375 ss.
[32] Acquisita la proprietà, con ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio comunale competente, si procede alla demolizione dell’opera abusiva nonché al ripristino dello stato dei luoghi, a spese dei responsabili dell’abuso, salva l’eccezione prevista al comma quinto del citato art. 31. Su tale ultimo punto, si veda F. Saitta, La “redenzione dalla colpa”. Ovvero della conservazione dell’immobile abusivo, tra giudice amministrativo e giudice penale, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, 2022, 4, 309 ss.
[33] Cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. III, 28 agosto 2017, n. 4146.
[34] Cfr. Corte cost., 15 luglio 1991, n. 345, sulla previsione, analoga rispetto a quella analizzata, di cui all’art. 7, L. n. 47/1985.
[35] Cfr. Cons. Stato, Sez. II, 7 febbraio 2020, n. 996; Sez. V, 27 aprile 2012, n. 2450; Sez. V, 1° ottobre 2001, n. 5179.
[36] Cfr., ex multis, TAR Lazio, Roma, Sez. I, 4 aprile 2011, n. 2930; Tar Toscana, Firenze, Sez. III, 20 gennaio 2009, n. 24.
[37] TAR Liguria, Genova, Sez. I, 21 novembre 2005, n. 1490.
[38] G. Margiotta, Differenze e conseguenze nella difformità totale e parziale, in A. Cagnazzo, S. Toschei, F. Tuccari (a cura di), Sanzioni amministrative in materia di edilizia, cit., 263.
[39] G. Pagliari, Corso di diritto urbanistico, cit., 748. Precisa, inoltre, l’Autore che la causa di impossibilità sospenderebbe il termine di novanta giorni, mentre il suo venir meno determinerebbe l’obbligo dell’interessato di attivarsi, senza un previo atto dell’autorità. Ancora, quanto al profilo della tempestività, la denuncia effettuata a fronte dell’atto accertativo dell’inottemperanza sarebbe tardiva, salva la prova dell’impossibilità di comunicare l’impedimento.
[40] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 giugno 2020, n. 2813; Sez. VI, 29 marzo 2019, n. 2100; Sez. VI, 10 settembre 2018, n. 5308. In senso analogo depone anche un più risalante orientamento facente capo alla Corte di Cassazione, che subordina l’automatica acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio del Comune all’inottemperanza «ingiustificata» all’ordine di demolizione della costruzione abusiva, prescindendo dalla notifica all’interessato dell’accertamento formale della mancata ottemperanza. Cfr. Cass. pen., Sez. III, 17 novembre 2009, n. 2912; Sez. III, 8 ottobre 2009, n. 39075.
[41] Cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 18 maggio 2020, n. 3120; Sez. VI, 25 giugno 2019, n. 4336. Se l’atto di acquisizione del bene al patrimonio comunale identifica, per la prima volta, l’area acquisita ulteriormente al manufatto abusivo, l’ordinanza ha natura parzialmente costitutiva avuto riguardo solo a quest’ultima.
[42] Le medesime osservazioni sono effettuate dall’indirizzo giurisprudenziale minoritario che attribuisce natura istantanea all’illecito derivante dell’inottemperanza all’ordine demolitorio, il quale si consumerebbe una volta spirato il termine fissato ai fini della demolizione spontanea. Tale conclusione sarebbe sorretta dalla lettura sistematica della normativa recante la disciplina della materia de qua. Cfr. TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 22 gennaio 2020, n. 189; Cons. Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2018, n. 178. Negli stessi termini si è espressa l’Adunanza Plenaria nella sentenza in commento, rilevando la coincidenza tra il momento di consumazione dell’illecito e lo spirare del termine assegnato dall’autorità amministrativa con l’ingiunzione di demolizione. Considerata la persistenza della lesione di valori costituzionalmente presidiati, ai sensi degli artt. 9, 41, 42, 117, Cost. (sino a che non sia ripristinata la legalità violata, tramite il rilascio di un titolo abilitativo o la materiale demolizione delle opere), ritiene, ancora, la Plenaria che l’omessa ottemperanza all’ingiunzione rivesta la peculiare natura di illecito con effetti permanenti.
[43] La sanzione è intesa in senso stretto allorquando l’ordinamento, considerate le ricadute negative sull’ordine pubblico generale scaturenti dalla posizione di una condotta antigiuridica, reagisce attraverso la produzione di un danno al responsabile, prescindendo dall’effettiva ricomposizione dell’interesse che ha subito lesione. In tal senso, M. A. Sandulli, La potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione (Studi preliminari), Napoli, Jovene, 1981; Id., Le sanzioni amministrative pecuniarie. Profili sostanziali e procedimentali, Napoli, Jovene, 1983; E. Rosini, Sanzioni amministrative, Milano, Giuffrè, 1991.
[44] A. Di Lascio, Sanzioni amministrative pecuniarie e reali, in A. Cagnazzo, S. Toschei, F. Tuccari (a cura di), La vigilanza e la procedura di irrogazione delle sanzioni amministrative, cit., 574.
[45] Tra gli obiettivi che la riforma del 2014 ha perseguito, per il tramite di una serie di modifiche apportate al d.P.R. n. 380/2001, si annoverano la semplificazione delle procedure edilizie, la riduzione degli oneri gravanti su cittadini e imprese, l’introduzione di nuovi mezzi di agevolazione dell’attività edilizia privata, l’incentivazione di processi di sviluppo sostenibile.
[46] M. A. Sandulli, Edilizia, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, 2022, 3, 215.
[47] Cfr. TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 20 marzo 2018, n. 336.
[48] F. Salvia, C. Bevilacqua, N. Gullo, Manuale di diritto urbanistico, cit., 268.
[49] Cfr. TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 12 ottobre 2022, n. 768; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 9 dicembre 2020, n. 5940; TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 12 luglio 2016, n. 1105. Nello stesso senso in dottrina, là dove si è affermato che l’abuso edilizio comporta, in qualità di «unica e diretta conseguenza», l’ordine di ripristino, sottratto all’applicazione dei principi e delle regole in materia di misure punitive; diversamente, l’acquisizione gratuita del bene e la sanzione pecuniaria costituiscono sanzioni in senso stretto derivanti dall’inottemperanza, «ciò che riduce a questa seconda fase l’ambito di operatività dei presupposti per l’applicazione delle pene». M. A. Sandulli, voce Edilizia, in Enciclopedia del diritto. I tematici, cit., 432.
[50] Sul rapporto tra processo amministrativo e processo penale in materia, si veda F. Francario, Illecito urbanistico o edilizio e cosa giudicata. Spunti per una ridefinizione della regola del rapporto tra processo penale ed amministrativo, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, 2015, 4, 99 ss.
[51] Tale species è stata definita, in particolare, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che ha concorso alla delineazione di uno «statuto di regole fondato su garanzie convenzionali di natura sostanziale e processuale (artt. 6 e 7)». Precisamente, i criteri per l’identificazione della categoria di sanzioni in argomento sono costituti: «i) dalla qualificazione giuridica dell’illecito; ii) dalla natura dell’illecito, desunta dall’ambito di applicazione, di carattere generale, della norma che lo prevede (deve essere rivolto alla generalità dei consociati) e dallo scopo perseguito che deve essere non risarcitorio ma afflittivo; iii) dal grado di severità della sanzione, che è determinato con riguardo alla pena massima prevista dalla legge applicabile e non di quella concretamente applicata». In tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 11 novembre 2019, n. 7699, con espresso riferimento a Corte eur. dir. uomo, Grande Camera, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Bassi.
[52] M. A. Sandulli, voce Sanzione, IV) Sanzioni amministrative, in Enc. giur., vol. XXVIII, Roma, 1992, 2.
[53] C.E. Paliero, A. Travi, La sanzione amministrativa. Profili sistematici, Milano, Giuffrè, 1988, 43. In altri termini, come efficacemente chiarito da granitica giurisprudenza, si tratta di misure preordinate «alla soddisfazione diretta dell’interesse pubblico specificamente pregiudicato dalla violazione». Cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 26 luglio 2017, n. 3694; TAR Campania, Napoli, Sez. V, 7 luglio 2023, n. 4099.
[54] M. Lunardelli, Sanzioni e misure ripristinatorie: una rivalutazione del pensiero di Feliciano Benvenuti, cit., 190.
[55] In dottrina, la natura afflittiva nonché tipicamente sanzionatoria delle misure menzionate è stata reputata innegabile; il carattere tipicamente sanzionatorio delle medesime risulterebbe dalla stessa applicazione dei cosiddetti «Engel criteria» (nota 52). M. A. Sandulli, voce Edilizia, in Enciclopedia del diritto. I tematici, cit., 412.
[56] In tal senso, le già menzionate TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 20 marzo 2018, n. 336; TAR, Campania, Napoli, Sez. III, 28 agosto 2017, n. 4146. In tali pronunce, il riconoscimento della natura ripristinatoria della sanzione di cui all’art. 31, comma 4 bis, d.P.R. n. 380/2001, conduce ad escludere l’operabilità di una riduzione del relativo importo ai sensi dell’art. 16, L. n. 689/1981, che sarebbe stata ammessa nella differente ipotesi di adesione alla tesi della natura punitiva della sanzione medesima.
[57] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2023, n. 3670.
[58] A. Di Lascio, Sanzioni amministrative pecuniarie e reali, cit., 575.
[59] C. Gabbani, La logica dei provvedimenti ripristinatori, cit., 951-952.