Sommario: 1. Il processo e la statuizione del Consiglio di Stato circa il servizio di noleggio di monopattini sul territorio comunale. – 2. Il noleggio dei monopattini in free-floating e la disciplina di riferimento sostanziale. – 3. Il servizio pubblico e quello erogato in regime di libero mercato: l’applicazione della Dir. 2006/123/CE. – 4. La procedura selettiva dell’operatore: l’esclusione dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici. – 5. La pubblicizzazione del servizio a seguito dell’“assunzione” da parte della p.A.: un criterio da verificare caso per caso.
1. Il processo e la statuizione del Consiglio di Stato circa il servizio di noleggio di monopattini sul territorio comunale.
Nella sentenza in commento, il Consiglio di Stato statuisce un principio destinato a guidare le prossime procedure selettive comunali di operatori che offrono un servizio di micromobilità – hoverboard; segway; monopattini; monowheel, etc. – nei Comuni italiani: procedure in costante crescita, stante la spinta – complici la transizione ecologica ed energetica – alla ricerca di forme di mobilità sostenibile nei centri abitati.
Invero, l’utilizzo di monopattini – o mezzi leggeri a essi assimilabili – a propulsione elettrica ha subìto nell’ultimo lustro un significativo incremento d’incidenza sugli ambienti urbani: ciò è dovuto anzitutto a un branding costante della sostenibilità[1], mirato a diminuire le emissioni di CO2 nell’aria e a raggiungere obiettivi di neutralità climatica entro il 2050[2], nonché – di poi – a una spinta verso la sostituzione dei carburanti fossili con energia proveniente da fonti rinnovabili o comunque ecosostenibili[3]. Le città, così, si stima possano essere più vivibili, meno inquinate, maggiormente orientate alla c.d. mobilità dolce: la elevata qualità della vita che sul loro territorio si radica, diventa essa stessa un bene immateriale meritevole di tutela[4]. Nondimeno, perché questo valore possa diffondersi sul territorio, e dunque permeare la cultura, esso non può esser lasciato alla singola iniziativa del privato che acquisti un monopattino elettrico: sempre più enti territoriali comunali, dunque, scelgono di farsi essi stessi vettori di questo valore, mettendo a disposizione mezzi in sharingsul loro territorio tramite operatori economici a ciò deputati.
Il vantaggio, dal punto di vista dell’utente, è indubbio: lo spostamento da un punto all’altro della città può esser effettuato agevolmente, senza restar bloccato nel traffico e con una fatica tutto sommato limitata, con pagamento digitale tramite app – pagando solo “lo sblocco” del mezzo e la corsa – e percorrendo un tragitto a sua libera scelta, fuori da una rete predeterminata di tratti, in modalità c.d. free-floating.
La diffusione del mezzo genera, altrettanto indubbiamente, qualche effetto collaterale: primo fra tutti, la compromissione della sicurezza del traffico veicolare. Come si vedrà tra poco, infatti, non esiste ancora una disciplina legislativa organica sull’utilizzo e sulla circolazione dei mezzi di micromobilità a propulsione elettrica – né, per il vero, si attestano sul punto richieste unanimi, poiché la normativizzazione del fenomeno potrebbe tradursi in un appesantimento dello strumento e potrebbe indurre a non utilizzarlo con frequenza – né spesso le sedi viarie sono dotate di adeguate piste ciclabili destinate anche a questi mezzi, i quali circolano dunque liberamente in carreggiata e sui marciapiedi.
È anche questa la ragione per la quale sempre più spesso i Comuni scelgono di regolamentare tramite il rilascio di licenze il servizio di noleggio dei monopattini elettrici sui territori di loro competenza: se per un verso essi diffondono la cultura della mobilità dolce, per altro verso proteggono la pubblica incolumità, il decoro urbano e la fluidità del traffico viario.
La tendenza, tuttavia, si presta a un equivoco di fondo, che si ritrova spesso nei contenziosi tra i Comuni e le società produttrici di monopattini elettrici[5]: e cioè che gli enti territoriali, nel momento in cui selezionano gli operatori economici atti a erogare il servizio di micromobilità, lo devono fare applicando il Codice dei contratti pubblici[6], ricadendo la selezione – e il successivo contratto – nello schema della concessione di servizio pubblico.
È quanto accaduto anche nella sentenza in commento, nella quale la società Helbiz Italia S.r.l., pretermessa nella selezione pubblica per l’offerta di monopattini, ha contestato all’Amministrazione comunale di Verona di non aver applicato le disposizioni del Codice dei contratti, così agendo in violazione di legge ed eccesso di potere.
Il Giudice di primo grado[7] e quello d’appello sono stati, però, concordi nello statuire il contrario, così rigettando le doglianze della società ricorrente (e poi appellante): «Alla procedura per l’individuazione di operatori interessati a svolgere il servizio di noleggio di monopattini elettrici con sistema di free floating sul territorio comunale si applicano le sole disposizioni del codice dei contratti pubblici, espressive di principi generali e aventi portata applicativa generalizzata. Nel caso in cui – per il contingentamento del numero di titoli disponibili – il rilascio delle autorizzazioni avvenga all’esito di una procedura comparativa tra gli interessati, non oggetto di specifica disciplina normativa, le regole proprie di un ordinario procedimento di autorizzazione devono essere declinate in rigoroso rispetto dei criteri di imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità cui ogni procedura selettiva deve conformarsi».
Ciò in quanto il servizio di noleggio dei monopattini non è riconducibile allo schema né dell’appalto né della concessione di servizio pubblico e non rientra nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 50/2016, sicché l’Amministrazione non è tenuta all’ossequio a tutte le sue disposizioni, a meno di un suo volontario e dichiarato autovincolo. Né può ritenersi che il Codice abbia una vis expansiva in tutte le sue disposizioni: il legislatore, definendo puntualmente l’ambito di applicazione del Codice, ha inteso escludere che l’articolato complesso normativo di cui al d.lgs. n. 50 del 2016 si applichi alla generalità delle procedure a evidenza pubblica.
Solo le disposizioni del Codice espressive di principi generali hanno portata applicativa generalizzata, sicché, al di fuori dell’ambito di applicazione del Codice e delle Direttive appalti trovano applicazione, non le singole disposizioni del d.lgs. n. 50 del 2016, ma solo i principi generali – nazionali e unionali – di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità, principi tutti che richiedono la predeterminazione dei criteri e delle modalità di selezione dei candidati.
La sentenza in commento è ricca di statuizioni rilevanti anche sotto alcuni profili specifici delle procedure selettive[8]: ai nostri fini, tuttavia, richiede un esame puntuale la concezione del servizio di noleggio dei monopattini come attività economica privata e non come servizio pubblico.
2. Il noleggio dei monopattini in free-floating e la disciplina di riferimento sostanziale.
Anzitutto, il quadro normativo di riferimento. Come detto nel paragrafo precedente, non v’è ancora una disciplina organica che regoli la circolazione di questi mezzi[9], ma il legislatore ha di recente introdotto disposizioni che si riferiscono al procedimento per la loro diffusione sui territori comunali e alle loro dotazioni di sicurezza.
La disciplina primaria è contenuta in un atto ministeriale, il d.m. 4 giugno 2019 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti[10], e nell’art. 1, commi 75 ss., l. 27 dicembre 2019, n. 160 (c.d. Finanziaria per il 2020), e si sviluppa in un’articolata e complessa interrelazione di disposizioni che hanno carattere procedimentale e sostanziale, in particolare per la convivenza tra l’utilizzo dei monopattini e la circolazione stradale del traffico veicolare.
Anzitutto, il d.m., rubricato «Sperimentazione della circolazione su strada di dispositivi per la micromobilità elettrica», il quale si propone l’obiettivo di «individuare specifici criteri per l’autorizzazione della sperimentazione della circolazione su strada, di dispositivi per la mobilità personale a propulsione prevalentemente elettrica»; obiettivo che interseca anche necessità ambientali di abbassamento delle soglie d’inquinamento atmosferico[11].
Il decreto definisce «le modalità di attuazione e gli strumenti operativi della sperimentazione della circolazione su strada di dispositivi per la mobilità personale a propulsione prevalentemente elettrica»[12], prevedendo che questi dispositivi debbano avere precise caratteristiche costruttive che ne garantiscano la sicurezza – anche in termini di velocità e potenza massima – e la visibilità anche su sedi viarie buie[13]. In secondo luogo, il d.m. attribuisce ai Comuni compiti di delicata vigilanza sui dispositivi dei quali autorizzano la circolazione: anzitutto essi sono gli unici enti che – con provvedimento adottato nelle forme di cui all’art. 7, Codice della strada, ovvero con ordinanza del sindaco o con delibera della giunta comunale – possono autorizzare la circolazione dei dispositivi «esclusivamente in ambito urbano» e limitatamente alle strade che hanno determinate caratteristiche costruttive e realizzative[14]. La medesima delibera della giunta comunale determina anche le modalità di sosta dei veicoli consentite e provvede a istituire forme di informazione della cittadinanza[15]. Il d.m. introduce anche norme di comportamento per gli utenti: solo maggiorenni, o almeno titolari di patente AM, da soli e senza passeggeri, a velocità moderata e ad andatura costante[16].
Il d.m. è stato poi integrato, e in parte superato, come detto, dalla Finanziaria per il 2020, il cui art. 1, commi 75 ss. regola ulteriormente l’utilizzo e la circolazione dei monopattini – anzi, è dedicato esclusivamente ai monopattini – tramite disposizioni che, equiparando espressamente questi mezzi ai velocipedi, ne disciplinano le caratteristiche costruttive[17], dettano prescrizioni di utilizzo e circolazione per gli utenti[18], per gli operatori di noleggio[19], e obblighi di vigilanza per i Comuni, specie in merito alla sosta dei dispositivi[20]. La Finanziaria rinvia anche a un adeguato apparato sanzionatorio nel caso di violazione delle disposizioni[21].
Quanto, invece, alla disciplina del servizio, e quindi alla relazione che s’instaura tra il Comune e l’operatore economico, vale solo l’art. 1, co. 75-ter, l. Finanziaria per il 2020, in base al quale «Fermo restando quanto previsto dai commi da 75 a 75-vicies bis, i servizi di noleggio dei monopattini elettrici a propulsione prevalentemente elettrica, anche in modalità free-floating, possono essere attivati esclusivamente con apposita deliberazione della Giunta comunale, nella quale devono essere previsti, oltre al numero delle licenze attivabili e al numero massimo dei dispositivi in circolazione: a) l’obbligo di copertura assicurativa per lo svolgimento del servizio stesso; b) le modalità di sosta consentite per i dispositivi interessati; c) le eventuali limitazioni alla circolazione in determinate aree della città».
Dalla disposizione, per il Giudice amministrativo, si ricavano due elementi, sui quali ruota la decisione in commento: a)per lo svolgimento del servizio di noleggio dei monopattini elettrici è necessario il rilascio di un titolo autorizzativo (indicato dal legislatore nella “licenza”) e b) il numero degli atti che possono essere rilasciati è contingentato.
3. Il servizio pubblico e quello erogato in regime di libero mercato: l’applicazione della Dir. 2006/123/CE.
Quindi, secondo la norma, la Giunta comunale è l’organo competente ad attivare il servizio di noleggio di monopattini elettrici; la sua deliberazione prevede per legge:
- il numero delle licenze attivabili;
- il numero massimo di dispositivi da far circolare;
- l’obbligo della copertura assicurativa;
- le modalità di sosta dei dispositivi consentite;
- le eventuali aree della città a percorrenza limitata.
Il servizio di noleggio dei monopattini è, in altre parole, un servizio soggetto ad autorizzazione: in altre parole, esso è offerto dal libero mercato, per il quale valgono le regole della concorrenza, non quelle della regolazione pubblica.
Questo è uno snodo delicato del ragionamento del Giudice, sviluppato anche in decisioni su controversie analoghe, cui pure in questa sede si farà riferimento: il percorso argomentativo merita attenzione perché funge da presupposto per l’esclusione dell’applicabilità del Codice dei contratti pubblici alle procedure selettive.
Ora, qui abbiamo un ente territoriale comunale che sceglie di selezionare operatori economici privati per l’offerta di un servizio sul proprio territorio: il servizio è remunerato all’operatore da parte dell’utenza, dunque l’operatore si assume un rischio tipicamente imprenditoriale. Le modalità di erogazione sono anche regolate nei loro elementi essenziali dalla normativa – il d.m. 4 giugno 2019 e soprattutto la l. n. 160/2019 – nonché dalla delibera della Giunta comunale. Sembrerebbero dunque esservi tutti i requisiti della concessione di pubblico servizio: la regolazione, l’ente pubblico, la gestione, l’operatore economico, l’utenza pagante, il rischio imprenditoriale[22]. È questo che, d’altra parte, spinge gli operatori che rispondono alle manifestazioni d’interesse emanate dalle Amministrazioni comunali a impugnare gli esiti selettivi, quando non satisfattivi della loro pretesa, per mancata applicazione del Codice dei contratti pubblici.
In realtà, la visione è piuttosto miope, poiché quello erogato dagli operatori economici non è, in effetti, un servizio pubblico: bensì, come detto, un servizio economico in libero mercato. Il quale, per ragioni di tutela della pubblica incolumità, necessita di una previa autorizzazione pubblica allo svolgimento (appunto, la “licenza”).
A ben vedere, come sottolineato dalla giurisprudenza, manca, nelle fattispecie di noleggio dei monopattini elettrici, un requisito fondamentale del servizio pubblico: ovvero la sua «assunzione» da parte dell’ente territoriale, il quale poi lo «affida» a un soggetto esterno per la sua gestione.
L’assunzione del servizio da parte dell’ente sancisce, in altre parole, il riconoscimento politico del bisogno della collettività che non può essere soddisfatto dal mercato – non solo i residenti, ma più in generale la platea di utenti[23] – e trasforma l’attività che ne costituisce oggetto in attività di interesse pubblico[24], che la stessa A.c. deve provvedere a regolare in modo da assicurare che essa sia effettivamente funzionale allo scopo cui è destinata. Entrano, dunque, in vigore in quel momento tutti i principi, di fonte costituzionale (artt. 2 e 97 Cost.), ma anche europea, che regolano i servizi pubblici: legalità; doverosità del servizio (i pubblici poteri devono garantire direttamente o indirettamente alla collettività l’erogazione del servizio secondo criteri quantitativi e qualitativi predeterminati); il principio della continuità della gestione ed erogazione dei servizi; il principio di imparzialità; il principio di universalità (le imprese che gestiscono servizi pubblici devono offrire prestazioni anche a fasce di clienti e in aree territoriali non convenienti); il principio dell’accessibilità dei prezzi per tutti; il principio dell’economicità (nel senso che il gestore del servizio deve poter conseguire un margine ragionevole di utile); il principio di trasparenza; il principio di proporzionalità[25].
Quando, poi, la gestione del servizio non è assunta dalla stessa Amministrazione, ma affidata a un operatore economico – laddove la gestione sia in grado di produrre un utile e sia, dunque, d’interesse economico – la scelta della p.A. può ricadere o su uno o più affidatari definiti “concessionari”, selezionati mediante procedure di evidenza pubblica, che opereranno in regime di monopolio o di oligopolio (c.d. concorrenza per il mercato), oppure su un numero indeterminato di soggetti autorizzati a erogare il servizio in concorrenza fra loro, nel rispetto però degli obblighi di servizio pubblico stabiliti dal regolatore (c.d. concorrenza nel mercato).
È così assicurata la gestione del servizio in modalità imprenditoriale, con degli aggiustamenti necessari derivanti dal fatto che il concessionario – dovendo assolvere a obblighi di servizio[26] che valgono in ogni condizione, proprio per garantirne la fruibilità all’utenza – potrebbe anche non produrre utili e dunque ricevere una compensazione economica dall’Amministrazione: è la tipica deroga al c.d. divieto di aiuti di Stato, sancito dalla giurisprudenza unionale[27].
Ma tutto questo, nella fattispecie del noleggio dei monopattini, è assente.
Manca, cioè, come detto, l’assunzione politica del bisogno della collettività, la cui soddisfazione è pienamente incontrata da un mercato florido e concorrenziale di produttori di monopattini elettrici. Si tratta, come già detto, di un’attività imprenditoriale di servizio al pubblico ma erogata da privati e regolata dal libero mercato: a essa, insomma, non si applicano le Direttive appalti né il Codice dei contratti pubblici, bensì la Direttiva 2006/123/CE, Bolkestein, sui servizi liberalizzati nel mercato europeo. Ovvero la Direttiva che sottrae le attività di servizio[28] a qualunque controllo amministrativo ex ante, dunque al potere amministrativo concessorio o autorizzatorio[29], attuando i principi unionali della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi nell’Unione.
Poiché allora il servizio è liberalizzato[30], trova applicazione l’art. 9, Dir. 2006/123/CE, in base al quale queste attività – facendo parte del libero mercato – possono essere soggette alla previa autorizzazione soltanto qualora lo richiedano ragioni imperative d’interesse generale. L’autorizzazione è, dunque, una eccezione che va intesa in senso molto restrittivo, i cui presupposti vanno applicati e rinvenuti rigidamente.
La ragione imperativa d’interesse generale è, in questa fattispecie[31], la tutela della pubblica incolumità sulle strade: la necessità di regolazione dell’attività di noleggio dei dispositivi sorge cioè in ragione del proliferare dei soggetti che ha spontaneamente iniziato a erogare il servizio in modalità free-floating (che consente la restituzione dei beni in luoghi non determinati) e per evitare che questa attività sia svolta in maniera pericolosa e disordinata, in modo da scongiurare impatti negativi sul sistema di circolazione stradale, sull’ordine e la sicurezza urbana nonché sull’uso del suolo pubblico. È escluso che la regolazione abbia la specifica finalità di garantire a tutti gli amministrati la possibilità di usufruire del servizio secondo i principi di imparzialità, universalità, continuità, trasparenza, più sopra illustrati[32].
Le restrizioni sono dunque introdotte a esclusiva tutela dell’interesse pubblico volto a scongiurare la circolazione “selvaggia” dei dispositivi, e non anche (come avviene nell’ambito del servizio pubblico) al fine di assicurare un minimo di redditività per il privato[33]: il ricorso all’evidenza pubblica deriva, infatti, dal numero limitato di monopattini introducibili nel territorio comunale e, quindi, dalla natura ristretta del mercato di riferimento ai sensi dell’art. 1, comma 75-bis e ss., l. n. 160 del 2019[34].
La limitatezza del mercato di riferimento induce, allora, a una selezione degli operatori da ammettere all’erogazione del servizio, in attuazione dell’art. 12, Dir. 2006/123/CE – recepito in Italia dall’art. 16, d.lgs. n. 59/2010[35]. Una selezione che, a ben vedere, non è regolata interamente dal Codice dei contratti pubblici – trovandosi in diverso ambito disciplinare – bensì puramente i principi di non discriminazione, trasparenza, proporzionalità[36].
4. La procedura selettiva dell’operatore: l’esclusione dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici.
Per il Giudice amministrativo, logica conseguenza della configurazione del servizio come liberalizzato e della mancata assunzione del medesimo da parte dell’Amministrazione comunale è che il provvedimento col quale il Comune ha avviato la procedura selettiva non poteva essere soggetto all’applicazione del Codice dei contratti pubblici, bensì solo ai suoi principi generali: quelli sì, gli unici dotati di vis expansiva e, d’altra parte, richiamati dalla stessa Direttiva 2006/123/CE.
Ciò, beninteso, non vietava all’Amministrazione di fare applicazione delle disposizioni del Codice: tanto che il Comune – nella fattispecie decisa dalla sentenza in commento – aveva richiamato l’art. 80 sui requisiti generali del prestatore. Ma, al contempo, in difetto di espressa previsione negli atti di procedura, deve escludersi che il Comune si fosse in generale autovincolato all’applicazione del Codice.
Né il Codice, di per sé, è estensibile in via analogica a tutte le procedure evidenziali: l’ambito oggettivo e soggettivo del testo normativo sui contratti pubblici è ben definito, trattandosi di norma speciale, sicché ne è esclusa l’analogia legis[37]. Solo le norme che costituiscano espressione di principi generali hanno, come detto, portata applicativa generalizzata.
5. La pubblicizzazione del servizio a seguito dell’“assunzione” da parte della p.A.: un criterio da verificare caso per caso.
Le ricostruzioni giurisprudenziali – da ultimo, quella in commento – profilano l’attività di noleggio e condivisione dei monopattini a propulsione elettrica come servizio offerto dal libero mercato: sicché il Comune, quando decide di rilasciare licenze agli operatori economici, lo fa solo per ragioni d’interesse pubblico, ovvero per disciplinare un’attività che, altrimenti, rischierebbe d’esser dannosa per l’incolumità e il decoro urbano.
Il costrutto normativo – risultante dal combinato disposto del d.m. 4 giugno 2019 e della l. n. 160/2019 – si presta a questa lettura: la quale, in effetti, dev’essere fatta con estrema attenzione. Invero, non è così facile distinguere tra la fattispecie del pubblico servizio – ricadente nella disciplina degli appalti pubblici – e quella del servizio liberalizzato su autorizzazione pubblica – ricadente nella Direttiva Bolkestein.
In entrambi i casi figura un ente territoriale che sceglie, in qualche misura, di rivolgersi a imprese – o comunque a soggetti a esso esterni – perché costoro eroghino il servizio all’utenza secondo un quadro regolamentare eterodeterminato.
Quel che fa la differenza tra l’uno e l’altro, però, è l’atto politico di “assunzione” del servizio da parte dell’ente territoriale: il riconoscimento, cioè, del rilievo pubblicistico dell’attività da prestare all’utenza, la quale – così – avrà un diritto soggettivo a usufruirne secondo i principi europei più sopra citati, l’universalità e l’accessibilità anzitutto.
Manca, invece, nel servizio privato liberalizzato, questa componente di doverosità dell’Amministrazione: sicché il rapporto tra utente e operatore economico resta sul piano della libera contrattazione, esulando dalla garanzia dell’erogazione secondo condizioni calmierate.
Nondimeno, c’è qualche nota stonata: la restrizione all’ingresso degli operatori, tramite il rilascio della licenza, è indubbiamente una limitazione della concorrenza. Concorrenza che, peraltro, in alcune città, spesso non esiste: in diversi Comuni la licenza è rilasciata a un solo operatore che offre i propri mezzi in numero bastevole per coprire il territorio in condizioni di sicurezza. Sicché, all’utente non è davvero offerta la scelta concorrenziale (gli operatori hanno anche tariffe diverse), ma semplicemente sta a lui scegliere se aderire o meno all’unica tipologia di erogazione presente sul territorio.
D’altra parte, se lo sharing non è servizio pubblico, allora l’utente non ha un diritto nei confronti dell’Amministrazione che lo regola: perché non è lei, ad esserselo “assunto” in riconoscimento di qualche interesse pubblico da tutelare.
Di fatto, il sistema oggi non è diverso da quello dei taxi, tale per cui spesso il rilascio di licenze è fortemente condizionato, con una sicura barriera all’ingresso di operatori sul mercato, non graditi a chi già vi opera: restano memorabili le sentenze della Corte di giustizia circa il servizio Uber Pop in Francia e Spagna[38].
La giurisprudenza – come anche la sentenza in commento – non pare escludere, tuttavia, che in astratto il noleggio possa qualificarsi come servizio pubblico: perché emerge dalle pronunce che v’è una verifica sulla concreta assunzione di quel servizio da parte dell’Amministrazione. Ove essa non vi sia, allora il servizio è offerto dal libero mercato e ricade nello schema della Direttiva 2006/123/CE.
Ma non pare vietato dal diritto UE che lo Stato possa riconoscere che un certo servizio sia escluso dall’applicazione di quella Direttiva: «possono essere considerati servizi d’interesse economico generale soltanto i servizi la cui fornitura costituisca adempimento di una specifica missione d’interesse pubblico affidata al prestatore dallo Stato membro interessato. Tale affidamento dovrebbe essere effettuato mediante uno o più atti, la cui forma è stabilita da ciascuno Stato membro, e precisare la natura di tale specifica missione» (considerando n. 70 della Direttiva 2006/123/CE).
Sicché, nelle città cambiano molto rapidamente, nelle quali la digitalizzazione diventa quotidianità e la cultura della mobilità sostenibile, rapida e dolce, fa parte della vita degli utenti, è probabile che sia opportuno iniziare a qualificare anche il noleggio dei monopattini come servizio pubblico: l’“assunzione” da parte dei Comuni si fa auspicabile, perché riuscirebbe a regolare meglio le condizioni di erogazione del servizio e controllerebbe meglio la circolazione dei mezzi, ma soprattutto ne garantirebbe l’omogenea e universale prestazione sul territorio.
Tornerebbe, in veste nuova, il tema dei servizi pubblici di trasporto locale, che ingloberebbe nella sua “missione” in senso unionale – oltre ai mezzi che già conosciamo ampiamente e che provengono dal secolo scorso, quali bus, tram, metropolitane, mezzi che siano su gomma o su rotaia – anche i nuovi mezzi, elettrici, sostenibili, ma garantiti dall’Amministrazione locale. Applicare lo schema della concessione di servizio pubblico potrebbe così garantire uno standard di mezzi numerico ma anche qualitativo, assicurarne l’universalità nell’accesso, consentire di sanzionare più prontamente le condotte scorrette di utenti e operatori, nonché – ovviamente – applicare procedure selettive che siano più puntualmente disciplinate.
Ma soprattutto, consentirebbe alle Amministrazioni locali di constatare che le proprie collettività di riferimento stanno cambiando: ne evolvono i valori, le esigenze, gli interessi. Ai quali bisogna far fronte. Una “buona Amministrazione” dovrebbe prenderne atto.
[1] L’operazione di branding attribuisce al valore metagiuridico della «sostenibilità» un rilievo patrimoniale sul mercato, modificando l’asset dei marchi: in altre parole, oggi, il segno celebre, il marchio, ha un valore evocativo e suggestivo, sì da orientare acquisti e comportamenti attratti maggiormente da quel determinato valore in un certo momento storico. Si assiste così al proliferare di società e imprese che si attribuiscono una produzione di beni e/o servizi “sostenibili” e al graduale mutamento del comportamento dei consumatori e utenti, i quali preferiscono acquistare un bene – o usufruire di un servizio – più in linea con quel valore. V. in proposito, sotto l’aspetto civilistico-commerciale, C. Mignone, I segni celebri. Proprietà, funzione, usi civili, Napoli, 2022, spec. p. 20 ss.
[2] Vedi il sito ufficiale del Parlamento europeo, recante la normativa finora adottata e gli obiettivi declinati della neutralità climatica: https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20190926STO62270/neutralita-carbonica-cos-e-e-come-raggiungerla?&at_campaign=20234-Green&at_medium=Google_Ads&at_platform=Search&at_creation=RSA&at_goal=TR_G&at_audience=neutralità%20climatica&at_topic=Carbon_Neutral&at_location=IT&gclid=EAIaIQobChMInePsud_t_wIVmPuyCh0QtwfzEAAYASAAEgIhpfD_BwE.
[3] La ricerca di autonomia energetica rispetto all’acquisto di carburanti fossili ha in sé ragioni ecologiche e geopolitiche. Sia consentito il rinvio a C. Napolitano, A. Gorgoni, Energy As A Common: New Paths Of Production. The Key-Role Of Energy Communities In The Italian Context, in Ius Publicum, n. 1/2023, pp. 1-38.
[4] Si v. in proposito P.L. Portaluri, Spunti su diritto di ricorso e interessi superindividuali: “quid noctis, custos”?, in Riv. giur. ed., n. 5/2019, pp. 401 ss., il quale – nell’enfatizzare la perdita del paradigma bipolare tra bene e interesse, nell’ambito del processo amministrativo, ed esaminando la proliferazione di interessi diffusi che prescindono dalla materialità dei beni a essi sottesi, i quali sfuggono alla dominicalità tradizionale – così afferma: «La considerazione del territorio quale “punto di ricaduta” degli interessi espressi da una comunità a vario titolo insediata ne individua una peculiarità di sostrato materiale: quegli interessi non sono sempre sostanziati da singoli beni, individuati e determinati, ma non di rado da un bonum (comune) materiale tale perché riferibile a un novero più o meno indistinto di soggetti, i quali possono goderne con modalità assai diverse fra loro. […] È infatti necessario vedere anzitutto quel bene (comune) materiale nella sua accezione complessiva e organica, esito e risultante di una molteplicità complessa di fattori causali fra loro interagenti verso quell’assetto finale, meritevole di tutela […]. Questo bene – ripeto: indubbiamente materiale, eppure al contempo evanescente nella sua stessa pensabilità in termini di stringente ed esclusiva fisicità – può essere sottoposto (più facilmente nel primo dei tre esempi appena fatti) a una sorta di trasmutazione: indossando occhiali distorcenti, può essere confuso con altri beni, che invece ne ricevono beneficio. Il primo può essere costituito da uno o più beni (immobili, ma anche mobili o semi-mobili, come impianti di c.d. mobilità dolce, bike sharing, aree a verde pubblico, assetti viari con abbondanza di woonerf: il catalogo è vasto ed eterogeneo) che generano nel loro complesso gli effetti positivi meritevoli di tutela. I secondi sono beni – si pensi ad abitazioni, uffici, etc. – che quella sommatoria di qualità trasferiscono ai loro fruitori. Il bene materiale protetto è quello complessivo più sopra descritto per primo, o uno di quelli – specifici e puntuali – di cui alla seconda esemplificazione? Dalla risposta dipende – ovvio – l’ampiezza dell’accesso all’azione e dunque la possibilità che il bene (comune) materiale riesca a ricevere o meno tutela».
[5] Si v. per esempio, oltre alla sentenza in commento, anche Tar Lombardia, III, 03 luglio 2020, n. 1274; Id., 10 giugno 2021, n. 1416.
[6] Ancora il riferimento è al d.lgs. n. 50/2016. Il nuovo Codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 36/2023, non è ancora pienamente efficace, alcune sue disposizioni entrando in vigore il 1 luglio 2023, altre il 1 gennaio 2024. Su di esso, però, si è già espressa autorevole dottrina, per esempio circa gli aspetti della tutela giurisdizionale: cfr. M.A. Sandulli, Procedure di affidamento e tutele giurisdizionali: il contenzioso sui contratti pubblici nel nuovo Codice, in Federalismi.it, n. 8/2023. Tra le trattazioni organiche sul Codice già pubblicate, cfr. C. Contessa, P. Del Vecchio, Codice dei Contratti Pubblici. Annotato articolo per articolo. D.lgs. 31 marzo 2023 n. 36, vol. I, Napoli, 2023.
[7] Tar Veneto, I, 18 marzo 2022, n. 476.
[8] Si riportano qui di seguito gli altri principi enucleabili dalla pronuncia, pubblicati in www.giustizia-amministrativa.it:
«La valutazione delle offerte nonché l’attribuzione dei punteggi da parte della commissione rientrano nell’ampia discrezionalità di cui essa gode, con la conseguenza che, fatto salvo il limite della abnormità della scelta tecnica, sono inammissibili le censure che impingono nel merito di valutazioni per loro natura opinabili, e sollecitano il giudice amministrativo a esercitare un sindacato sostitutivo, al di fuori dei tassativi casi sanciti dall’art. 134 c.p.a.».
«Per ciò che concerne la competenza dei commissari, il requisito dell’esperienza nello specifico settore non riguarda indistintamente tutti i componenti della commissione. Lo stesso va, infatti, interpretato non secondo un approccio formale e atomistico, che tenga conto delle sole professionalità tecnico-settoriali implicate dagli specifici criteri di valutazione la cui applicazione sia prevista dalla lex specialis, ma secondo un approccio di natura sistematica e contestualizzata, che valorizzi le professionalità occorrenti a valutare sia le esigenze della pubblica amministrazione, alle quali quei criteri siano funzionalmente ordinati, sia i concreti aspetti gestionali ed organizzativi sui quali vanno ad incidere. Non è imposta, in sostanza, una rigida corrispondenza tra competenza dei membri della commissione e ambiti materiali che concorrono all’integrazione del complessivo oggetto del contratto. La presenza, pertanto, di componenti portatori di diverse esperienze professionali, sia di natura gestionale ed amministrativa, sia di natura tecnica, risponde, in un rapporto di complementarietà, alle esigenze valutative imposte dall’espletamento della procedura evidenziale (Nella fattispecie in esame, il comune aveva correttamente individuato professionalità adeguate per l’esame delle proposte rispetto all’oggetto della procedura ovvero il noleggio di monopattini elettrici in sharing nei dirigenti degli uffici che si occupano di viabilità, sicurezza, mobilità e traffico e di attività produttive, atteso che gli aspetti di maggior rilevanza pubblica del servizio riguardano l’impatto dei dispositivi di micro-mobilità sulla circolazione stradale, sul decoro cittadino e sull’ambiente)».
«Se è vietato per il seggio di gara enucleare criteri o sub criteri non previsti e avulsi da quelli stabiliti nella lex specialis o che comportino l’alterazione del peso di quelli ivi contemplati, è invece consentito alla commissione effettuare una declinazione ed una specificazione dei criteri e dei sub criteri. Tale modus operandi è legittimo in quanto la commissione non ha in alcun modo modificato i criteri di valutazione, cui aveva autovincolato la propria discrezionalità, ma, a ulteriore garanzia della trasparenza del percorso motivazionale che presiede all’attribuzione dei punteggi per le offerte, ha solo specificato le modalità applicative di tale operazione, senza apportare una modifica sostanziale ai criteri di valutazione e ai fattori di ponderazione fissati nell’avviso nonché senza alcuna modifica postuma».
«Nelle procedure di evidenza pubblica, l’incompatibilità del presidente non è automatica, ma va valutata sempre in concreto sulla base di comprovate ragioni di interferenza e condizionamento. Il ruolo di responsabile unico del procedimento può coincidere con le funzioni di commissario di gara o di presidente della commissione giudicatrice, a meno che non sussista la concreta dimostrazione dell’incompatibilità tra i due ruoli, desumibile da una qualche comprovata ragione di interferenza e di condizionamento tra gli stessi (Nella fattispecie in esame, la sezione concludeva che l’appellante non aveva allegato e provato alcun elemento oggettivo da cui potesse evincersi, anche solo a livello indiziario, una situazione di interferenza o condizionamento tale da alterare il confronto competitivo tra i partecipanti alla manifestazione di interesse, limitandosi invece ad insistere sull’applicazione incondizionata della causa di incompatibilità di cui all’art. 77, comma 4, del codice dei contratti pubblici)».
[9] È di questi giorni la notizia dell’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri di un disegno di legge sulla sicurezza stradale che introduce novità circa i monopattini elettrici – per esempio obbligo di indossare il casco, obbligo di targa e assicurazione (art. 7, d.d.l. del 28 giugno 2023) – e delega il Governo alla riforma del Codice della Strada, la cui prima approvazione risale al 1992.
[10] In https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2019-07-12&atto.codiceRedazionale=19A04569&elenco30giorni=false.
[11] Si legge nell’epigrafe del d.m.: «Considerato che presso diverse zone ed agglomerati del territorio nazionale si registrano superamenti dei valori limite di qualità dell’aria per il materiale particolato PM10 ed il biossido di azoto;
Ritenuto che sussista pertanto la necessità di adottare interventi addizionali rispetto a quelli fino ad oggi previsti al fine di prevenire e fronteggiare i superamenti dei valori limite di concentrazione atmosferica del materiale particolato PM10 registrati a partire dal 2005 sul territorio nazionale;
Considerato che tale necessità è stata espressa anche nel protocollo d’intesa per l’adozione coordinata e congiunta di misure per il miglioramento della qualità dell’aria del 4 giugno 2019, che individua tra le attività da porre in essere, l’adozione del presente decreto;
Ritenuto quindi che le presenti disposizioni possano ritenersi utili ai fini del contrasto all’inquinamento atmosferico, in virtù dei benefici derivanti dalla variazione della quota modale degli spostamenti per la mobilità personale con dispositivi a propulsione prevalentemente elettrica».
[12] Art. 1, d.m. 4 giugno 2019.
[13] Per esempio, art. 2, d.m. cit.: «I dispositivi non auto-bilanciati sono dotati di motore elettrico avente potenza nominale massima non superiore a 500W e di segnalatore acustico. 4. Il dispositivo auto-bilanciato del tipo segway deve essere dotato di segnalatore acustico. 5. Da mezz’ora dopo il tramonto, durante tutto il periodo dell'oscurità e di giorno, qualora le condizioni atmosferiche richiedano l’illuminazione, tutti i dispositivi di cui al comma 1 sprovvisti o mancanti di luce anteriore bianca o gialla fissa e posteriormente di catadiottri rossi e di luce rossa fissa, utili alla segnalazione visiva, non possono essere utilizzati, ma solamente condotti o trasportati a mano. 6. I dispositivi non possono essere dotati di posto a sedere per l’utilizzatore e sono destinati ad essere utilizzati da quest’ultimo con postura in piedi. 7. I dispositivi in grado di sviluppare velocità superiori a 20 km/h, al fine di poter essere utilizzati nell’ambito della sperimentazione di cui all’art. 1, devono essere dotati di regolatore di velocità, configurabile in funzione di detto limite. In ogni caso, per poter essere utilizzati su aree pedonali, tutti i dispositivi devono essere dotati di regolatore di velocità, configurabile altresì in funzione di una velocità non superiore a 6 km/h».
[14] Art. 5, d.m. cit.: «i comuni valutano che le stesse [le infrastrutture stradali e/o parti di strada, n.d.r.] abbiano caratteristiche geometriche, funzionali e di circolazione adeguate in relazione alla tipologia dei dispositivi per la micromobilità elettrica ammessi a circolare sulle stesse ed agli altri utenti della strada».
[15] Artt. 3 e 4, d.m. cit.. In particolare, art. 4, co. 3: «I comuni provvedono nella delibera della giunta comunale relativa alla sperimentazione di cui all’art. 4 comma 1 e ai successivi atti applicativi, ad esplicitare che per la sosta i conduttori dei dispositivi si attengano a quanto previsto nella regolamentazione di cui al comma 1. Nella medesima delibera i comuni, qualora istituiscano o affidino servizi di noleggio dei dispositivi in condivisione, anche in modalità free-floating, prevedano di rendere obbligatoria l’attivazione di una adeguata azione di informazione nei confronti degli utilizzatori da parte delle società responsabili del servizio circa le regole di utilizzo, fra le quali quelle relative alla sicurezza stradale, alla velocità, alle modalità consentite di sosta. I comuni prevedono, nella istituzione o nell’affidamento del servizio di noleggio, l’obbligo di coperture assicurative per l’espletamento del servizio stesso».
[16] Art. 6, d.m. cit.
[17] Art. 1, co. 75 e 75-bis, l. n. 160/2019: «I monopattini a propulsione prevalentemente elettrica possiedono i seguenti requisiti:
a) le caratteristiche costruttive di cui all’allegato 1 annesso al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 4 giugno 2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 162 del 12 luglio 2019;
b) assenza di posti a sedere;
c) motore elettrico di potenza nominale continua non superiore a 0,50 kW;
d) segnalatore acustico;
e) regolatore di velocità configurabile in funzione dei limiti di cui al comma 75-quaterdecies;
f) la marcatura ‘CE’ prevista dalla direttiva 2006/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006.
75-bis. A decorrere dal 30 settembre 2022, i monopattini a propulsione prevalentemente elettrica commercializzati in Italia devono essere dotati di indicatori luminosi di svolta e di freno su entrambe le ruote. I monopattini a propulsione prevalentemente elettrica già in circolazione prima di tale data devono essere adeguati alle prescrizioni del primo periodo entro il 1° gennaio 2024».
[18] Cfr. per esempio art. 1, co. da 75-octies a 75-quinquiesdecies.
[19] Per esempio, art. 1, co. 75-sexiesdecies: «Gli operatori di noleggio di monopattini elettrici, al fine di prevenire la pratica diffusa del parcheggio irregolare dei loro mezzi, devono altresì prevedere l’obbligo di acquisizione della fotografia, al termine di ogni noleggio, dalla quale si desuma chiaramente la posizione dello stesso nella pubblica via».
Art. 1, co. 75-septiesdecies: «Gli operatori di noleggio di monopattini elettrici sono tenuti ad organizzare, in accordo con i comuni nei quali operano, adeguate campagne informative sull’uso corretto del monopattino elettrico e ad inserire nelle applicazioni digitali per il noleggio le regole fondamentali, impiegando tutti gli strumenti tecnologici utili a favorire il rispetto delle regole».
[20] Art. 1, co. 75-quinquiesdecies: i Comuni possono individuare le aree di sosta, garantendo adeguata capillarità, privilegiando la scelta di localizzazioni alternative ai marciapiedi. Tali aree possono essere prive di segnaletica orizzontale e verticale, purché le coordinate GPS della loro localizzazione siano consultabili pubblicamente nel sito internet istituzionale del comune. Ai monopattini a propulsione prevalentemente elettrica è comunque consentita la sosta negli stalli riservati a velocipedi, ciclomotori e motoveicoli.
[21] Art. 1, co. da 75-duodevicies a 75-vicies ter.
[22] Lo spiega Tar Lombardia, n. 1274/2020, cit.: «il “servizio pubblico” presuppone la decisione della pubblica amministrazione di farsi carico del soddisfacimento di un bisogno proprio della collettività da essa amministrata che il mercato non è in grado di soddisfare adeguatamente, e consiste nell’espletamento del servizio a tal fine necessario il quale può essere svolto secondo modalità differenti che si possono però raggruppare in due grossi insiemi: a) gestione diretta da parte della stessa amministrazione; b) gestione affidata a soggetti estranei all’amministrazione».
[23] È questo che contraddistingue d’altra parte il “servizio pubblico locale”: «la dinamicità delle città moderne (quantomeno di alcune di esse) ha chiaramente posto in crisi l'equivalenza collettività locale-utenza, avendo mostrato che gli utenti dei servizi sono in significativa proporzione diversi dai residenti ed anzi sono portatori di interessi in profondo conflitto con quelli di questi ultimi. […] Della qualità dei servizi, del modello di loro gestione, del loro costo si risponde al momento del voto, così che l’ente locale virtuosamente opera per l’efficienza perché è sul piano dell’efficienza che sarà giudicato. Il dato su cui si fonda il sistema è però ormai, se non falso, assai smorzato. Vi sono realtà urbane in cui i residenti (i votanti, dunque) non rappresentano che una piccola parte degli utenti, eppure restano gli unici a poter condizionare le scelte. È così, ad esempio, per i servizi di trasporto e di gestione dei rifiuti in città come Venezia, in cui i proprietari di seconde case sono forse più numerose dei residenti, o come Bologna, in cui l’utenza è rappresentata in parte assai rilevante da studenti fuori sede e da stabili pendolari. Si tratta di utenti che, pur assumendo su di sé buona parte dei costi dei servizi e pur beneficiando per primi di buone gestioni o risentendo di inefficienze, sono tenuti in secondaria considerazione dai decisori, immuni dal loro giudizio sul piano politico. Posizione, la loro, ovviamente resa delicata anche dal sistema sostanzialmente monopolistico che l’ordinamento legittima in alcuni settori nevralgici dei servizi»; e ancora «il concetto di servizio pubblico locale è ancora centrale se non ai fini dell’analisi sistematica dei principi e delle norme, almeno nella prospettiva dello studio di una relazione complessa e trilaterale, unica nel panorama giuridico, tra l’interesse di cui l’amministrazione è portatrice, l’interesse delle collettività di riferimento (quella dei residenti e quella, ben distinta dalla prima, degli utenti) e l’interesse individuale dell’esercente il servizio» (M. Dugato, La crisi del concetto di servizio pubblico locale tra apparenza e realtà, in Dir. amm., n. 3/2020, pp. 510 ss.)
[24] Sui servizi pubblici la dottrina è sterminata. Sia qui sufficiente il rimando a R. Cavallo Perin, La struttura della concessione di servizio pubblico locale, Torino, 1998; G. Napolitano, Servizi pubblici e rapporti di utenza, Padova, 2001; L. De Lucia, La regolazione amministrativa dei servizi di pubblica utilità, Padova, 2002; R. Villata, Pubblici servizi, Milano, 2003; L.R. Perfetti, Contributo ad una teoria dei servizi pubblici locali, Padova, 2005; G. Piperata, Tipicità e autonomia nei servizi pubblici locali, Milano 2005; M. Cammelli, Concorrenza per il mercato e regolazione dei servizi nei sistemi locali, in E. Bruti Liberati (a cura di), La regolazione dei servizi di interesse economico generale, Torino, 2010, pp. 127 ss.; D. Sorace, I servizi «pubblici» economici nell’ordinamento nazionale ed europeo, alla fine del primo decennio del XXI secolo, in Dir. amm., n. 1/2010, pp. 1 ss.; T. Bonetti, Servizi pubblici locali di rilevanza economica: dall’“instabilità” nazionale alla deriva europea, in Munus, 2012, pp. 417 ss.; A. Romano Tassone, I servizi pubblici locali: aspetti problematici, in Dir. proc. amm., 2013, pp. 855 ss.
[25] Ex multis, Cons. Stato, I, 7 maggio 2019, n. 1389.
[26] CGCE, 20 febbraio 2001, in C-205/99, Analir, spiega che l’obbligo di pubblico servizio s’impone al gestore laddove possa essere dimostrata un’effettiva esigenza di servizio pubblico e nella misura in cui tale imposizione sia effettuata in base a criteri non discriminatori e sia giustificata rispetto all’obiettivo di interesse pubblico perseguito.
[27] Hanno fatto ormai storia i cc.dd. criteri Altmark – da CGCE, 14 luglio 2003, in C-280/00, Altmark – per i quali eventuali sovvenzioni pubbliche vòlte a consentire l’esercizio di servizi pubblici sono escluse dal divieto di aiuti di Stato laddove possano esser considerate una compensazione che rappresenta la contropartita delle prestazioni fornite dalle imprese beneficiarie per adempiere obblighi di servizio pubblico. Ciò accade al verificarsi di quattro condizioni concomitanti: «in primo luogo, l’impresa beneficiaria sia stata effettivamente incaricata dell'adempimento di obblighi di servizio pubblico e detti obblighi siano stati definiti in modo chiaro; in secondo luogo, i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione siano stati previamente definiti in modo obiettivo e trasparente; in terzo luogo, la compensazione non ecceda quanto necessario per coprire interamente o in parte i costi originati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto dei relativi introiti nonché di un margine di utile ragionevole per il suddetto adempimento; in quarto luogo, quando la scelta dell’impresa da incaricare dell’adempimento di obblighi di servizio pubblico non venga effettuata nell’ambito di una procedura di appalto pubblico, il livello della necessaria compensazione sia stato determinato sulla base di un’analisi dei costi che un’impresa media, gestita in modo efficiente e adeguatamente dotata di mezzi di trasporto al fine di poter soddisfare le esigenze di servizio pubblico richieste, avrebbe dovuto sopportare per adempiere tali obblighi, tenendo conto degli introiti ad essi attinenti nonché di un margine di utile ragionevole per il suddetto adempimento».
[28] La nozione di «servizio» rilevante ai fini dell’applicazione della Direttiva Bolkestein è quella per cui si intende tale qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo 57 TFUE fornita normalmente dietro retribuzione. Cfr. CGUE, Grande Sezione, 22 settembre 2020, n. 724.
[29] La distinzione non rileva ai fini del diritto europeo, intendendosi per «autorizzazione» qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un'autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio (art. 4, par. 6, Dir.).
[30] La liberalizzazione è cosa diversa dalla semplificazione e presuppone che non sia necessario neanche il formarsi di un titolo abilitativo (anche implicito) e che l’attività possa essere liberamente esercitata senza una previa autorizzazione o presa d’atto dell’amministrazione: R. Chieppa, Le nuove forme di esercizio del potere e l’ordinamento comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. com., n. 6/2009, pp. 1319 ss.
[31] In altra fattispecie, relativa alla locazione d’immobili a uso turistico per brevi periodi, la Corte di giustizia ha rilevato che la ragione d’imporre la previa autorizzazione risiedeva nella lotta contro la scarsità di alloggi cittadini (a Parigi) destinati alla locazione (CGUE, Grande Sezione, n. 724/2020, cit.).
[32] Tar Lombardia, n. 1274/2020, cit.
[33] Tar Lombardia, n. 1416/2021, cit.
[34] Cons. Stato, n. 4368/2023 in commento.
[35] In base al quale «Nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attività di servizi sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili, le autorità competenti applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali ed assicurano la predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle modalità atti ad assicurarne l’imparzialità, cui le stesse devono attenersi».
[36] Art. 10, parr. 1 e 2, Dir. 2006/123/CE, Condizioni di rilascio dell’autorizzazione: «1. I regimi di autorizzazione devono basarsi su criteri che inquadrino l’esercizio del potere di valutazione da parte delle autorità competenti affinché tale potere non sia utilizzato in modo arbitrario.
2. I criteri di cui al paragrafo 1 devono essere: a) non discriminatori; b) giustificati da un motivo imperativo di interesse generale; c) commisurati all’obiettivo di interesse generale; d) chiari e inequivocabili; e) oggettivi; f) resi pubblici preventivamente; g) trasparenti e accessibili».
[37] Tar Lazio, I, 14 luglio 2020, n. 8066: «Va esclusa l’applicabilità, in via analogica, ai contratti attivi della p.A. di norme o istituti del Codice degli appalti, atteso che la disciplina contenuta nel Codice non è una disciplina generale ma speciale e ha pertanto un ambito di applicazione particolare».
[38] CGUE, Grande Sezione, 20 dicembre 2017, in causa C-434/15, Uber Spain; e CGUE, 10 aprile 2018, in causa C-320/16, Uber France SAS.