La “transizione” come ordinamento giuridico[i]
di Giuseppe Severini (Presidente di Sezione emerito del Consiglio di Stato)
Sommario: 1. Il paradigma giuridico della “transizione” – 2. Sulla relazione tra resilienza, transizione e sostenibilità – 3. Su natura e latitudine del PNRR – 4. La consistenza giuridica della “transizione” – 5. Il risultato tempestivo come principio dell’ordinamento della “transizione” – 6. La normativa sulla “transizione” e l’ordinamento generale – 7. Insidie e incongruenze normative.
1. Il paradigma giuridico della “transizione”
Nel linguaggio del diritto, l’alternarsi di paradigmi giuridici è segnato – com’è in genere per i mutamenti prospettici - dall’ingresso attraverso i “cancelli delle parole”[ii] di nuove formule che relativizzano quelle finora egemoni.
Si tratta di solito, almeno in origine, di espressioni dal significato non preciso ma di cui è manifesto l’orientamento – il c.d. valore, di cui esprimono il “punto di attacco” - e che sintetizzano indirizzi, principi, obiettivi, modelli organizzativi nuovi, tesi a ridurre o modificare gli spazi di quelli ancora dominanti, cui si addebitano incoerenze e disfunzionalità[iii]. Il passaggio successivo, di consolidamento, è che il loro nuovo “diritto fondato sui valori” venga mediante congrue fonti di diritto specificato attraverso, finalmente, un “diritto fondato sulle norme”[iv]. Il che, però, avviene spesso in modo meno coerente e compiuto di quanto ci si potrebbe attendere in nome della sicurezza giuridica.
Così oggi, a guardare al punto di attacco, il paradigma della transizione è segnato dall’ingresso di nuove formule linguistiche quali resilienza, transizione, sostenibilità, e così via. Si direbbero parole-chiave utili a una rilevazione formale di novità ma in realtà recano nel mondo del dover essere nuovi concetti[v], seppur in attesa di più compiuti significati giuridici dal reale valore precettivo: per il che occorre una sufficiente determinatezza di oggetto e una definita e adeguata strumentazione organizzativa e procedimentale.
Già nel linguaggio comune, del resto, il loro ingresso, nel senso che oggi si intende, non pare ancora di accezione precisa. Sono espressioni per lo più mutuate dall’inglese (resilience, transition, sustainability, …) e già la non perfetta corrispondenza semantica all’apparenza fonetica (c.d. false friends: omonimi ma non sinonimi) genera indeterminatezze e malintesi. Per noi, ad es., lo accentua quanto è mostrato da, tertium comparationis, la traduzione dall’inglese al francese (résilience, transition, durabilité, …): lì il significato di sustainability meglio si misura, più che con una tollerabilità nell’equilibrio complessivo del pianeta, con la sua costanza nella dimensione temporale, come sarebbe più efficace per noi con il parlare di stabilità o durevolezza o simili[vi]. Quanto alla transition, è espressione di cui venne fatto ampio uso nel dopo-Guerra Fredda a indicare la transizione alla democrazia liberale e al mercato del mondo ex-sovietico e più ancora la convergenza globale, con la “fine della storia”, nell’immaginato nuovo ordine mondiale[vii].
2. Sulla relazione tra resilienza, transizione e sostenibilità
Questo paradigma ha un modello in scala nell’esperienza, concretizzata circa dal 2005, delle c.d. Transition Towns (dapprima Kinsale, in Irlanda e Totnes, in Inghilterra, poi diffusa altrove) promossa dall’ambientalista Rob Hopkins nell’assunto di preparare quelle comunità alle sfide del riscaldamento globale e del picco dei costi e delle disponibilità energetiche tradizionali, e in vista della generale prevenzione di conseguenze irreparabili provenienti da inquinamento, distruzione della biodiversità, ecc.. Dal che l’incentrarsi sulla resilienza – cioè adattività: la capacità di adattarsi flessibilmente ai cambiamenti che impattano dall’esterno, senza attendere di degenerare – da orientare, mediante appunto i mezzi della transizione, verso il nuovo equilibrio durevole concretato nella sostenibilità: anzitutto verde ma anche digitale, cioè tecnologica. Come dire: la resilienza è la condizione di presa di conoscenza del disequilibrio generato e di formazione di una nuova visione e volontà di reazione; la sostenibilità è l’obiettivo da allora raggiungere mediante un percorso uniforme pianificato e guidato, sinteticamente chiamato transizione.
In questa prospettiva, la transizione non viene assunta a mero effetto, ma considerata un insieme complesso di programmi, di piani, di norme e di risorse dedicate; e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è – in termini definitori[viii] e delimitatori – viene indicato a suo strumento di base, organizzativo e pianificatorio, sul quale essa si incentra[ix].
3. Su natura e latitudine del PNRR
Il PNRR, per il vero, è un atto di non ben definita natura[x] e delimitazione, oltre che di non facile lettura anche per la sua dimensione (attualmente, 271 pagine) e soprattutto per il linguaggio spesso atecnico ed estraneo ai canoni di chiarezza e precisione, essenziali alla sicurezza giuridica, evidentemente non assunta nel suo consapevole valore. È, nell’ordinamento interno, lo strumento di attuazione dell’insieme degli atti di diritto derivato UE relativi al Green Deal: atti essenzialmente della Commissione UE, anzitutto il Recovery Plan UE o “Piano per la ripresa dell'Europa”, basato sulla strumentazione finanziaria Next generation EU, finalizzata a una “ripresa sostenibile, uniforme, inclusiva ed equa”[xi]. È importante rilevare che, in quanto oggetto di sostanziale negoziazione con, e approvazione da parte della, Commissione europea, in virtù del regolamento UE n. 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021, “che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza”, può essere modificato; e che ciò vale anche per gli accordi operativi (operational arrangements) che a valle di esso dettagliano per contenuti e meccanismi di verifica le sue tabelle (mediante milestonee target). Si tratta insomma di un complesso di atti essenzialmente politico-programmatici, di loro non normativi, che può sempre essere rinegoziato – specie al mutare delle circostanze - con la stessa Commissione europea.
Quel che importa qui rilevare è che ci si trova di fronte alla transizione intesa non come mero risultato di passaggio da una situazione ad un’altra, idealmente istantaneo pur se articolato e frammentato; ma come situazione di durata che si articola e sviluppa mediante vari strumenti dedicati e lungo prestabilite e cogenti coordinate temporali: un processo complesso, in parte decentrato e articolato in varie competenze: comunque una situazione intermedia che muove verso obiettivi assunti a valori primari di policy generale (essenzialmente, transizione ecologica e transizione digitale, ma anche – a quanto vi viene assunto - recupero di vari “ritardi che storicamente penalizzano il Paese, relativi ai giovani, alla parità di genere e al divario territoriale”). È perciò – suggerisce la stessa matrice del termine – una fase attiva di trasformazione complessiva, permanente lungo un tempo stabilito e stimato necessario alla sua implementazione, governato da istituti particolari rispetto a quelli ordinari, che nondimeno permangono parallelamente.
4. La consistenza giuridica della “transizione”
Per il giurista cui compete affrontare operativamente il tema con il suo proprio strumentario e alla luce delle categorie che caratterizzano e compongono lo Stato di diritto, la conseguenza di questa rilevazione porta anzitutto a ricercare i fondamenti del nuovo paradigma che così si delinea. La transizione, in questa prospettiva, non è solo un obiettivo di politica generale: essa concretizza di suo, per quel tratto di tempo, un ordinamento giuridico, come sembra suggerire in nuce l’esperienza proattiva di quelle piccole città – metafora dell’ordinamento giuridico[xii] -, con suoi propri principi e sue proprie regole, che coesiste a fianco di quello ordinario e con quello variamente interagisce, in proporzione agli obiettivi suoi propri e alle invarianze di quello.
Non solo: si direbbe che la pretesa sia quella di un ordinamento giuridico - è da rilevare - non di semplice deroga episodica ma di tendenziale eccezione: non, cioè, una serie incoerente di regole speciali rispetto a quelle ordinarie; bensì formule organizzative e procedimentali specifiche ed orientate a una loro referenzialità che tendono a porsi come un insieme di eccezioni.
Il fondamento di questo carattere poggia sull’assetto orientato che l’UE, facendo leva coercitiva sulle cinquantuno condizionalità di utilizzazione[xiii] che ha posto alle sue capacità di finanziamento, figura - in vista di una prospettiva globale - per gli Stati membri a fronte dell’emergenza ambientale e climatica: ciò sulla scorta di quanto già assunto progettualmente con le politiche proposte dalla Commissione tra 2019 e 2020 e sintetizzate appunto in European Green Deal, ovvero Patto Verde per l’Europa, che assume l’obiettivo generale di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano trascende tuttavia questo obiettivo generale perché si sviluppa intorno a tre assi strategici: non soltanto transizione ecologica ma anche digitalizzazione e innovazione, e inclusione sociale. E a tal fine, con un’evidente ampiezza di latitudine, si articola in sei missioni(digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute). Queste sono figurate corrispondere ai sei pilastri posti dall’art. 3 del regolamento (UE) 2021/241 (“che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza”) del 12 febbraio 2021: a)transizione verde [dove centrale è il principio di “non arrecare un pregiudizio significativo” (“Do No Significant Harm” (DNSH) all’ambiente, sulle cui basi - da sviluppare da noi anzitutto sulla base di fonte primaria – va tecnicamente valutata la compatibilità effettiva delle singole iniziative]; b)trasformazione digitale; c) crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, che comprenda coesione economica, occupazione, produttività, competitività, ricerca, sviluppo e innovazione, e un mercato interno ben funzionante con PMI forti; d) coesione sociale e territoriale; e) salute e resilienza economica, sociale e istituzionale, al fine, fra l'altro, di rafforzare la capacità di risposta alle crisi e la preparazione alle crisi; e f) politiche per la prossima generazione, l’infanzia e i giovani, come l'istruzione e le competenze.
In effetti, se si guarda alle varie e molteplici formule in cui il PNRR declina la transizione, con i suoi traguardi e obiettivi, parrebbe conseguenziale constatare che il principio ispiratore di questo diritto della transizione tenda a porsi come eccezione al carattere generale dello Stato di diritto quale democrazia procedurale che impronta, nel diritto amministrativo, la prevalenza della struttura del procedimento, metodo acquisitivo e dialettico per produrre di volta in volta la miglior cura degli interessi pubblici.
5. Il risultato tempestivo come principio dell’ordinamento della “transizione”
È nondimeno da rammentare l’assunto, formulato da Schumpeter[xiv], Kelsen[xv],Bobbio[xvi], Dahl[xvii] e ampiamente ripreso, che la democrazia acquisti ormai crescente carattere procedurale piuttosto che sostanziale. Come proiezione dello Stato di diritto, si incentra ben più sul come che sul cosa; sul rispetto di regole e procedure, improntate a confronto, partecipazione e trasparenza, piuttosto che sul conseguimento comunque di risultati prefigurati una volta per tutte intorno a un progetto. Da questa connotazione discende, nella formulazione operativa, la concezione garantistica del procedimento amministrativo sviluppata nella seconda metà del sec. XX che ha dato corpo all’impianto della legge n. 241 del 1990[xviii].
Avviene invece che in quest’ordinamento della transizione sia affiancata alla dimensione procedurale un’accentuazione sostanziale, e non soltanto arricchendo di norme speciali, essenzialmente semplificatorie, quelle ordinarie. ciò in vista dell’esigenza di fondo di raggiungere – resistendo anche al mutamento dell’indirizzo politico parlamentare - entro un tempo prefissato gli obiettivi stabiliti di sostenibilità, vista la loro indefettibilità una volta considerata la non sostenibilità dell’impiego delle risorse sinora praticato.
Il risultato parrebbe dunque, in buona parte, entrare nel metodo e condizionarlo, andando oltre le implicazioni della democrazia rappresentativa, che ha nelle norme poste dal legislatore la centrale fonte del diritto e nel costrutto delle fonti che ne deriva il suo corollario[xix]. Il principio fondamentale cui fare riferimento e che tende a innervare le previsioni discendenti dal PNRR è, in questa prospettiva, ancorato all’effetto risolutivo del mancato rispetto delle condizionalità imposte dalla Commissione UE. Diviene perciò centrale il conseguimento del risultato prestabilito[xx]. Questa convergenza si potrebbe sintetizzare in un enunciato prescrittivo che vale al tempo stesso come metodo e come criterio interpretativo: il conseguimento tempestivo del risultato stabilito dal PNRR.
Questo principio del risultato tempestivo si pone dunque come il precipitato reale della coercitività di fatto del supporto finanziario UE e delle inerenti condizionalità, in rapporto al quale il cosa va a orientare il come. È agevole rilevare che domina la scena del PNRR: o mediante norme ad hoc (ad es., le norme processuali acceleratorie del contenzioso sui contratti pubblici poste dapprima dal d.-l. 7 luglio 2022, n. 85 e poi definite dall’art. 12-bis del d.-l. 7 luglio 2022, n. 85, come conv. dalla l. 5 agosto 2022, n. 108) o – in un’asistematicità di fonti che talora sembra quasi echeggiare tratti di quella dell’emergenza sanitaria, e comunque poco apprezzabile dall’operatore pratico – additando comunque con norme di chiusura soluzioni che, ove ragionevole, fronteggino le non poche contraddizioni e lacune delle norme ad hoc. È in questo complesso scenario che si pone anche la questione del rilievo da attribuire a non-norme, pur copiosamente prodotte al riguardo (come ad es. le ormai numerose circolari della Ragioneria Generale dello Stato).
6. La normativa sulla “transizione” e l’ordinamento generale
Così, se si ha riguardo al c.d. “decreto semplificazioni-bis”, cioè al decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), conv. dalla l. 29 luglio 2021, n. 108 – probabilmente il principale strumento normativo per definire modi e forme organizzative con cui dar seguito al PNRR[xxi] – queste considerazioni conducono a rilevare che l’interpretazione va affrontata alla luce, seppur in misura proporzionata, non soltanto delle forme procedimentali (come normalmente sarebbe e che comunque per le ragioni di sistema ricordate rimangono prevalenti), ma anche del risultato tempestivo cui sono funzionali. Del resto, è lo stesso art. 1, comma 2, a esplicitarlo quando stabilisce, appunto con norma di chiusura, che «ai fini del presente decreto e della sua attuazione assume preminente valore l'interesse nazionale alla sollecita e puntuale realizzazione degli interventi inclusi nei Piani indicati al comma 1, nel pieno rispetto degli standard e delle priorità dell'Unione europea in materia di clima e di ambiente». Il che vale in particolar modo per quel Titolo III, che introduce procedure speciali per alcuni progetti PNRR, appunto di eccezione a quelle ordinarie, come ad es. all’art. 44, dedicato a semplificazioni procedurali in materia di nominate opere pubbliche di particolare complessità o di rilevante impatto[xxii].
Con queste tendenziali coordinate di base il giurista si trova ad affrontare in termini operativi le forme della transizione e i suoi istituti, pur senza poter deflettere da proporzionalità e ragionevolezza che restano immanenti all’intero ordinamento e dimenticare le implicazioni del fondamento rappresentativo della democrazia. Di più: benché ordinamento particolare, il diritto della transizione è pur sempre componente dell’ordinamento generale e di quello partecipa a muovere dall’esigenza indeclinabile di gerarchia delle fonti: in primis i principi e le norme costituzionali, che permangono ineludibili, ma anche i caratteri generali dell’ordinamento, nel quale resta iscritto il carattere di democrazia procedurale. Nei fatti, l’esperienza degli addetti già dà conto della gravosità della ricognizione delle fonti e del loro coordinamento per risolvere adeguatamente antinomie e affrontare lacune.
Ne viene che - in un contesto amministrativo dove incautamente, nella formulazione del PNRR, non pare essere stato dato il rilievo necessario alla dimensione giuridica, anche linguistica – passa ad essere fatale compito dell’interprete, sia amministrativo che giurisdizionale, definire compiutamente il rapporto tra strumentazione ed obiettivi. Nell’attendere a ciò, è bene che egli presti attenzione alle insidie che si annidano nella mera attenzione al risultato della transizione, se vi si è guardato prescindendo dalla strumentazione procedimentale o dalla sua adeguatezza. Guardare al mero risultato è piuttosto compito del livello politico. L’onere del giurista operativo o decidente sarà invece, e in misura non indifferente, prendere sì in debita considerazione il risultato tempestivo, perché entra in termini capitali in questo ordinamento: ma anche rapportarlo ai termini, da vagliare, in cui nelle late sei missioni del PNRR, oltre che nelle riforme “orizzontali” (p.a. e giustizia) e “abilitanti”(semplificazione e concorrenza) - vi è congruenza con l’assunto emergenziale; e, con questi riferimenti, affrontare le questioni della coerenza e della sufficiente specificazione dei nuovi principi e precetti recati anzitutto dal Green Deal[xxiii].
7. Insidie e incongruenze normative
È qui il caso di porre attenzione all’insidia insita nella dilatazione, che viene avanzata all’interno di più d’una delle ricordate missioni, della strumentazione PNRR a temi che esulano dell’oggetto proprio dell’emergenza ambientale che lo giustifica, cui vengono associati temi assunti come “ritardi che storicamente penalizzano il Paese” e perciò solo emergenziali anch’essi. Il Recovery Plan è infatti strumento di eccezione e come tale non può essere ampliato per essere portato a base di una sorta di New European Order, di decostruzione in tutti questi ampi spazi del sistema della democrazia rappresentativa, della sua forma costituzionale di governo e della sua proiezione oggettiva nel sistema delle fonti del diritto. Tanto più ci si discosta con questi temi eccentrici dalle strette esigenze del Green Deal, tanto più le basi della ricordata coercitività che vi è immanente entrano in una tale, seria sofferenza, non potendo la democrazia essere commissariata e divenire indifferente alla sua intima dinamica. Non è plausibile ravvisare nel PNRR un’implicita abrogazione – al di fuori del confronto rappresentativo proprio del procedimento legislativo - degli àmbiti normativi che quei temi regolano, pena una eccezione radicale a quei riguardi dell’ordinamento stesso.
Analogamente, è il caso di rilevare, proprio dal punto di vista dell’incoerenza delle fonti, l’effetto paradossale dell’elevazione del grado di insicurezza giuridica da incompiutezza delle norme, con il suo riflesso inevitabile di crescente giudiziarizzazione a supplenza, che pure è di suo assunto come un assai serio fattore di “ritardo” (e non solo di “ritardo”, a quei propositi, si tratta). È facile infatti immaginare che – a dispetto degli snellimenti così dettagliatamente immaginati o presunti per la riforma “orizzontale” della giustizia – molte, com’è conseguente quando il dato normativo è malcerto, saranno le nuove questioni che verranno portate davanti ai giudici: e che tra queste le conclamate finalità particolari costituiranno un parametro di rilievo nel figurare inediti profili di eccesso di potere e sospetti di nuove irragionevolezze.
Ne viene in sintesi che, fermo che le condizionalità pongono una coercitività di fatto del risultato tempestivo, permane compito del giurista riportare nel giusto equilibrio le clausole incongrue di questo ordinamento e ricomporre le incertezze che gli presenterà in itinerel’incoerenza con cui, ad oggi, si è in più parti inteso procedere nel disegnarlo.
[i] elaborazione dell’introduzione all’incontro “Diritto amministrativo e PNRR”, organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia e dalla Camera Amministrativa dell’Umbria, 23 settembre 2022.
[ii] è la nota immagine di N. IRTI, Un diritto incalcolabile, Milano 2016, 57.
[iii] Il mutamento di paradigma (paradigm shift) è fenomeno concettualizzato dal filosofo della scienza statunitense Thomas Samuel Kuhn in The Structure of Scientific Revolutions (1962) per indicare, in filosofia della scienza e in sociologia, il nuovo complesso di regole metodologiche, modelli esplicativi, criterî di soluzione di problemi che connota una comunità scientifica in una fase particolare dell’evoluzione della loro disciplina: es. il passaggio dalla concezione copernicana a quella tolemaica, o dal creazionismo all’evoluzionismo, ecc.; ma vale anche in economia per il passaggio dal monetarismo al keynesismo e da questo al neoliberismo e così per il diritto: cfr., in relazione alle trasformazioni del mondo contemporaneo e al loro impatto sui sistemi giuridici, G. ZACCARIA, Postdiritto. Nuove fonti e nuove categorie, Bologna 2022. Nel diritto, appunto, quell’ultimo passaggio, nel diritto, agli inizi degli anni ’90 ha condotto alla rivoluzione reticolare e diffusiva delle privatizzazioni e alla tendenziale decostruzione del diritto amministrativo classico: cfr. F. OST e M. V. DE KERCHOVE, De la pyramide au réseau? Pour une théorie dialectique du droit, Bruxelles 2002; S. CASSESE, La crisi dello Stato, Roma-Bari 2002; B. SORDI, Diritto pubblico e diritto privato. Una genealogia storica, Bologna 2020, 211 ss.; F. BOTTINI, Le néolibéralisme et l'“utilitarisation du droit public. Avant-propos, in Néolibéralisme et droit public, a cura di F. Bottini, Paris 2017, 23; A. ZOPPINI, Il diritto privato e i suoi confini, Bologna 2020, 239 ss.; G.P. CIRILLO, Sistema istituzionale di diritto comune, Padova 2021; F. DENOZZA, Regole e mercato nel diritto neoliberale, in n Rispoli Farina M., Sciarrone Alibrandi A. e Tonelli E., Regole e mercato, Torino2017, XV; O. GIOLO, Il diritto neoliberale; Napoli 2020.
[iv] secondo la nota rilevazione critica di C. SCHMITT, La tirannia dei valori, Milano 2008 [Die Tyrannei der Werte, Stuttgart 1967], 53 ss..
[v] Su resilienza, v. ad es. J. RIFKIN, L'età della resilienza. Ripensare l'esistenza su una terra che si rinaturalizza, Milano 2022, che contrappone all’Età del Progresso, incentrata sul principio di efficienza, l’Età della Resilienza, incentrata sull’adattività.
[vi] È questo uno slittamento tralaticio, data dagli anni ’90 con il consolidarsi della traduzione di sustainable development in sviluppo sostenibile anziché durevole(cioè in vista e a beneficio delle le future generazioni) come appunto in francese è grazie a développement durable. È comunque acquisito che questa sostenibilità dev’essere comune ai suoi tre pilastri, le tre dimensioni: ambientale, economica e sociale e che ciò dev’essere stabile. Sicché non c’è autentica sostenibilità se tale non è, in una, da tutti i tre punti di vista.
[vii] La c.d. “Transition to a New World Order”. Cfr. da ultimo A. COLOMBO, Il governo mondiale dell'emergenza. Dall'apoteosi della sicurezza all'epidemia dell'insicurezza, Milano 2022, 7 ss..
[viii] L’art. 2, lett. b), del regolamento (Ue) 2021/241 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza, definisce la resilienza come « la capacità diaffrontare gli shock economici, sociali e ambientali e/o i persistenti cambiamenti strutturali in modo equo, sostenibile e inclusivo».
[ix] Il che, del resto, era ormai già nelle prospettive attuali originate dall’innovazione tecnologica e digitale: cfr. A. BARTOLINI; voce Urbanistica, in Enc. Dir.- i Tematici III 2022, Milano 2022, in particolare il paragrafo di chiusura dedicato a “L’urbanistica della transizione”, dove si collega la transizione digitale all’idea di «smart city» (o «città intelligente»).
[x] Cfr., per un’attenta ricostruzione del procedimento e di alcune criticità di contenuti, G. MONTEDORO, Il ruolo di Governo e Parlamento nell'elaborazione e nell'attuazione del PNRR, in www.giustizia-amministrativa.it, 13 ott. 2021. Sulle prospettive ancora incipienti del PNRR, cfr. M.A. SANDULLI, Sanità, misure abilitanti generali sulla semplificazione e giustizia nel PNRR, in
www.federalismi.it, Osservatorio di diritto sanitario, 28 luglio2021.Sulla natura del PNRR, cfr. N. LUPO, Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e alcune prospettive di ricerca per i costituzionalisti, in www. ivfederalismi.it, n. 1/2022, V, che evidenzia come nella dottrina si parli di atto di “indirizzo politico ‘normativo’”. Questo impegnerebbe anche governi e parlamenti futuri, anche a prescindere dal responso elettorale [così A. SCIORTINO, PNNR e riflessi sulla forma di governo italiana. Un ritorno all’indirizzo politico «normativo»?, in www.federalismi.it, 18/2021, 235 ss., spec. 260]; ovvero di “una sorta di “commissariamento”, di una “vera e propria intromissione nella struttura politica, istituzionale e sociale dei Paesi che hanno richiesto l’assistenza finanziaria del Recovery, che potrebbe portare a una sorta di omologazione strutturale degli Stati membri potendo arrivare persino a cambiarne significativamente forma di Stato e di governo” [così F. SALMONI, Piano Marshall, Recovery Fund e il containment americano verso la Cina. Condizionalità, debito e potere, in www.costituzionalismo.it, 2/2021, p. 51, spec. 77 ss.]; ovvero di “una pianificazione a valenza principalmente se non esclusivamente politica, perciò “con un grado di vincolatività diretta piuttosto limitata per i soggetti istituzionali coinvolti nella sua attuazione” [così M. CLARICH, Il PNRR tra diritto europeo e nazionale: un tentativo di inquadramento giuridico, in Astrid-Rassegna, n. 12/2021, 11 ss.]; ovvero un atto sostanzialmente legificato che impegna, quanto ai risultati indicati, “non solo l’amministrazione chiamata ad eseguire il Piano, ma anche gli altri operatori giuridici, gli interpreti tutti, inclusa la giurisdizione ovviamente”, imponendo una decisa valorizzazione della discrezionalità amministrativa e della sua efficacia al fine di assicurare il conseguimento tempestivo dei risultati in questione” [così F. CINTIOLI, Risultato amministrativo, discrezionalità e PNRR: una proposta per il Giudice, in www.lamagistratura.it, 13 novembre 2021]; ne viene “una compressione della funzione legislativa” perché il PNRR “s’inserisce […] nel nostro sistema delle fonti […] in modo dirompente condizionandone il contenuto, i tempi ed i soggetti che avranno la possibilità di elaborare ed approvare i testi. L’unica strada percorribile, per un’attuazione celere della normativa richiesta dal PNRR, è data da atti normativi di provenienza governativa, decreti legge, leggi delega e conseguenti decreti legislativi, sui quali lo spazio per l’influenza degli altri interlocutori istituzionali, Parlamento e Regioni, è assai compresso” [così E. CATELANI, Profili costituzionali del PNRR, in www. https://www.associazionedeicostituzionalisti.it, n. 5/2022, che mette in evidenza quanto e come l’assetto del PNRR incida sulla forma di governo e sulla stessa forma di Stato; cfr. Id., P.N.R.R. e ordinamento costituzionale: un’introduzione, in https://www.rivistaaic.it, n. 3/2022]; in questo contesto, ci si è chiesti “se la disciplina di esecuzione del PNRR presenti una differente capacità sostitutiva del diritto UE rispetto ai parametri costituzionali, dato che il PNRR fa corpo con norme UE” [E. CAVASINO, L’esperienza del PNRR: le fonti del diritto dal policentrismo alla normazione euro-governativa, ibidem].
[xi] Sia consentito rinviare a G. SEVERINI e U. BARELLI, Gli atti fondamentali dell’Unione europea su “transizione ecologica” e “ripresa e resilienza”: prime osservazioni, in Riv- giur. ambiente, https://rgaonline, aprile 2021 e in www.giustizia-amministrativa.it.
[xii] cfr. A. ROMANO, Autonomia nel diritto pubblico, in Dig. disc. pub., II, 1987, 32. Il concetto origina, sull’esperienza comunale, dal De Regimine Civitatis di Bartolo da Sassoferrato (tra il 1355 e il 1357).
[xiii] Il concetto di condizionalità (cross-compliance / écoconditionnalité) come rispetto di regole per accedere a sostegni UE, finalizzate allo sviluppo sostenibile, nasce nel contesto della Politica Agricola Comune (PAC): introdotto dal Consiglio europeo nel 1997, ripreso dall’AGENDA 2000 ed istituito dal regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio del 29 settembre 2003.
[xiv] J. A. SCHUMPETER, Capitalism, Socialism and Democracy, 1942; trad. it. Capitalismo, socialismo e democrazia, Milano 1955.
[xv] H. KELSEN, Foundations of Democracy, in Ethics, 1955, 66, 1, 2, trad. it. I fondamenti della democrazia e altri saggi, Bologna 1966, 186.
[xvi] N. BOBBIO, Democrazia, in Dizionario di politica a cura di N. Bobbio, N. Matteucci e G. Pasquino, Torino 1990, 287-297.
[xvii] R. DAHL, On Democracy, Yale 1998, trad. it. Sulla democrazia, Bari 2002.
[xviii] lo evidenzia M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, IV ed., Bologna 2013, 237. Sulle origini, v. M. NIGRO, Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (Il problema di una legge generale sul procedimento amministrativo), in L'azione amministrativa tra garanzia ed efficienza, Napoli 1981, 21 ss..
[xix] Il che è di immediato e serio riflesso sulle garanzie costituzionali inerenti le libertà e i diritti fondamentali, oltre che riguardo agli equilibri istituzionali, al riparto delle competenze ed alla separazione dei poteri: G. CERRINA FERONI, PNRR, digitale: gli impatti su diritti e ordinamento costituzionale, in https://www.agendadigitale.eu.
[xx] cfr. F. CINTIOLI, Risultato amministrativo, discrezionalità e PNRR: una proposta per il Giudice, cit., spec.te § 7.
[xxi] L’art. 1, comma 1, dice che il decreto-legge «definisce il quadro normativo nazionale finalizzato a semplificare e agevolare la realizzazione dei traguardi e degli obiettivi stabiliti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza».
[xxii] Per un quadro più ampio sulle fonti normative primarie di attuazione del PNRR, v. il dossier del Servizio studi del Senato della Repubblica, n. 4 della XIX legislatura e, sull’attuazione del PNRR, v. il dossier del Servizio studi della Camera dei Deputati (reperibili, rispettivamente, in https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/19/DOSSIER/0/1361099/index.html e https://temi.camera.it/leg18/temi/piano-nazionale-di-ripresa-e-resilienza.html).
[xxiii] Riguardo a uno di questi temi non congruamente specificato, benché di urgente importanza perché la previa dimostrazione del suo rispetto (non è chiaro su quali parametri tecnici e su quali evidenze) condiziona l’accesso ai finanziamenti previsti dal PNRR, cfr. U. BARELLI, Il PNRR ed il principio "Do No Significant Harm" (DNSH)., in corso di pubblicazione.