Il preavviso di diniego e la costruzione della decisione amministrativa (nota a Tar Campania, Napoli, sez. III, 7 gennaio 2021, n. 130). di Marco Brocca
Sommario: 1. La vicenda. 2. La soluzione del giudice. 3. Spunti di riflessione. La fisionomia del preavviso di diniego e le novità normative. 4. Le potenzialità dell’istituto.
1. La vicenda
Il ricorrente, in qualità di imprenditore agricolo, presentava domanda di concessione di un contributo nell’ambito di un bando regionale dedicato al sostegno delle aziende agricole. A seguito di dichiarazione di inammissibilità della domanda, l’imprenditore agricolo presentava controdeduzioni/osservazioni ai sensi dell’art. 10-bis della legge 241/1990, con le quali esponeva le ragioni ritenute prevalenti per la revisione del giudizio dell’amministrazione nel senso dell’accoglibilità della domanda, allegando correlata documentazione a sostegno delle proprie tesi.
La commissione dava atto, con un apposito verbale di riesame, di aver analizzato le controdeduzioni e l’allegata documentazione e di aver concluso il giudizio di revisione nel senso di confermare la conclusione dell’istruttoria in termini di “domanda non ammissibile”, esito confluito nella graduatoria definitiva, che è stata impugnata dal ricorrente dinanzi al giudice amministrativo.
Le censure sollevate da parte ricorrente sono molteplici, ma il Tar si concentra sulla prima, relativa alla violazione dell’art. 10-bis legge 241/1990, giudicata dirimente e assorbente le ulteriori contestazioni dedotte, con l’effetto di ritenere sussistenti i presupposti per la definizione immediata del ricorso nel merito e di decidere con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a.
2. La soluzione del giudice
Per dirimere la questione il giudice si sofferma sull’asserita violazione dell’art. 10-bis della legge 241/1990, disposizione che, come noto, disciplina l’istituto della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda.
Il ricorso è accolto perché – a detta del giudice – il provvedimento impugnato è sprovvisto di quella parte motivazionale necessaria in presenza di osservazioni presentate ex art. 10-bis. Riscontrano i giudici “la assoluta genericità, carenza di motivazione, illogicità, sommarietà ed indeterminatezza dell’impugnato verbale nel quale sono state usate delle mere formule di stile che configurano una motivazione apparente [...], l’amministrazione resistente nel procedimento di riesame si è limitata a confermare quanto precedentemente valutato, non dando puntuale ragione, nel provvedimento finale, del mancato accoglimento delle osservazioni presentate, in altri termini, omettendo ogni motivazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato, in relazione alle risultanze dell’istruttoria, la propria decisione, con connessa lesione delle finalità e garanzie partecipative. Tale valutazione è mancata anche nella istruttoria preordinata alla emanazione del provvedimento finale e segnatamente nel verbale di riesame […].
Il Tar, nell’accogliere il ricorso, si sofferma sulla portata della norma e sulle finalità e garanzie dell’istituto del cd. preavviso di diniego. Esso è collocato anzitutto nelle sue coordinate essenziali: si tratta di un supplemento procedimentale la cui attivazione è indefettibile e infungibile per l’amministrazione procedente (almeno nei procedimenti ad istanza di parte e secondo l’ambito delimitato dalla norma) e, al contempo, costituisce una “opportunità” per il privato, il quale può anche non avvalersene e quindi attendere il provvedimento finale. Alla facoltà del privato corrisponde un obbligo per l’amministrazione, quello di prendere in considerazione il materiale ricevuto e di darne conto nella motivazione del provvedimento finale. Con l’ulteriore avvertenza che il preavviso di diniego, quale che sia la reazione del privato, cristallizza l’apparato delle ragioni ritenute dall’amministrazione ostative all’accoglimento dell’istanza, nel senso che il provvedimento finale dovrà reggersi soltanto sulle ragioni già esternate in sede di comunicazione ex art. 10-bis, in una una sorta auto-vincolo e di limitazione dello jus variandi. In altre parole, si tratta di un momento di interlocuzione tra p.a. e cittadino ulteriore e successivo a quello della fase istruttoria connotata dalle forme tipiche della partecipazione; non soltanto una seconda chance per il privato di addivenire all’accoglimento dell’istanza, ma un momento di confronto, più pregnante e potenzialmente più utile perché si colloca in uno stadio più avanzato del processo di ‘costruzione’ della decisione amministrativa, quando la determinazione amministrativa è ormai ‘matura’ e quindi le parti possono interagire non più ai fini della raccolta del materiale istruttorio, ma ormai rispetto al contenuto dispositivo della decisione amministrativa da adottare. Un istituto che implica un’utilità reciproca per le parti in causa: per il privato, che, come detto, può saggiare in sede procedimentale un ultimo tentativo per convincere l’amministrazione all’accoglimento della propria istanza (ovvero, da altra angolatura, il privato può comprendere e assimilare le ragioni della non accoglibilità della propria domanda con la conseguenza di desistere da reazioni impugnatorie e questo genera un evidente effetto deflattivo del contenzioso); per l’amministrazione che può svolgere al meglio la propria ‘missione’ di adozione di decisioni le più ponderate e meditate possibili, anche sul piano della condivisibilità del destinatario.
Lo sforzo di comprensione e consapevolezza della portata dell’istituto emerge nella sentenza e accompagna come un fil rouge ogni passaggio e presa di posizione del giudice, non soltanto per affrontare e risolvere il caso di specie, ma anche per esaminare i tanti dubbi interpretativi che la norma di riferimento ha suscitato nella pratica e ha indotto la giurisprudenza a formulare orientamenti non sempre univoci. In questa direzione si pongono le seguenti affermazioni del Tar:
1) la confutazione delle osservazioni presentate dal privato in risposta alla comunicazione dei motivi ostativi addotti dall’amministrazione ex art. 10-bis legge 241/1990 deve risultare nella motivazione del provvedimento finale, nel senso che nella parte motivazionale che correda l’atto una ‘quota’ deve essere specificamente dedicata all’esternazione delle ragioni per cui non sono condivisibili le osservazioni presentate dal privato; peraltro, questa motivazione non deve essere puntuale e analitica, essendo sufficiente una motivazione che complessivamente e logicamente chiarisca le ragioni del mancato adeguamento dell’azione amministrativa alle deduzioni difensive del privato[1];
2) la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza determina una limitazione dello jus variandi, nel senso che l’amministrazione non potrà, in sede di emanazione del provvedimento finale, addurre nuove ragioni rispetto a quelle già prospettate con il preavviso di diniego[2];
3) non può invocarsi la cd. sanatoria processuale di cui all’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, legge 241/1990 e ciò vale sia per l’ipotesi, più lampante, di omesso avviso dei motivi ostativi sia per il caso di omessa considerazione, in sede di emanazione del provvedimento finale, delle controdeduzioni presentate dal privato. Questa impossibilità si spiega in ragione della diversità ontologica tra la garanzia preliminare di cui all’art. 7 legge 241/1990 e quella sostanziale ex art. 10-bis[3]. La comunicazione ex art. 7 e quella ex art. 10-bis condividono la dimensione garantistica e partecipativa, peraltro la garanzia dell’art. 10-bis – evidenziano i giudici – «svolge un ruolo diverso, e consente alla parte di intervenire a sostenere le proprie ragioni, nella fase predecisoria, contestando l’apparato motivazionale predisposto dall’amministrazione all’esito del procedimento. La partecipazione alla fase decisoria e predecisoria assume una valenza rispetto al formarsi della decisione amministrativa che ha valore ulteriore e diversa da quella che assume la partecipazione alla fase istruttoria, sicchè la mancata previsione del vizio di violazione dell’art. 10-bis tra quelli suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo non può essere ascritta ad una lacuna, ma ad una scelta legislativa, non emendabile dall’interprete». Si tratta, infatti, di fase procedimentale avanzata, in cui «le osservazioni del privato potrebbero condurre ad un esito provvedimentale diverso da quello preannunciato, e la loro attenta valutazione trasfusa nella motivazione costituisce estrinsecazione di garanzia sostanziale, sì che non può dedursi un superamento in sede giudiziale di quanto non espresso in sede amministrativa»; ecco perché «le osservazioni del privato introdotte nella sede procedimentale esigono una specifica controdeduzione, proprio nella appropriata sede amministrativa (che potrebbe essere anche l’unica, senz’altro per i motivi di merito)», nella consapevolezza che «il procedimento amministrativo è la naturale sede in cui il contrasto tra PA e cittadino deve emergere ed essere affrontato, mentre il ricorso al giudice amministrativo rappresenta il rimedio esperibile quando gli strumenti del procedimento non hanno consentito di comporre il dissidio e permesso al privato di conseguire il bene della vita cui aspira. Pertanto, trasportare in sede giurisdizionale quanto doveva essere oggetto di adeguata e piena verifica amministrativa non risponde al principio del giusto procedimento, come definito anche in sede sovranazionale. Vien in rilievo al riguardo l’articolo 6 della CEDU […] che pone le garanzie del giusto processo e ancor prima del giusto procedimento».
3. Spunti di riflessione. La fisionomia del preavviso di diniego e le novità normative
A quindici anni dalla sua introduzione[4], il preavviso di diniego sembra ancora alla ricerca della propria identità, fermo su un crinale incerto quanto ad applicazione e, ancora prima, concezione. Alla consapevolezza dell’effetto utile dell’istituto, per la capacità di contribuire in modo essenziale alla costruzione della decisione amministrativa in virtù del contraddittorio tra p.a. e cittadino innescato in una fase molto avanzata del procedimento, si contrappone l’idea che si tratta di uno strumento poco incisivo rispetto al processo unilaterale di determinazione della volontà dell’amministrazione, che si traduce per questo in un (ulteriore) adempimento formale e, dal punto di vista del privato, in un’arma processuale in caso di violazione della relativa disciplina. I piani sono separati, ma collegati, perché è di tutta evidenza che una piena e convinta applicazione dell’istituto e dei sottesi canoni della correttezza e collaborazione tra le parti possa neutralizzare la sua alterazione in adempimento inutile e sterile, anzi disfunzionale nell’economia del procedimento e comodo appiglio processuale per il privato. Si aggiunga che la dimensione garantistica dell’istituto rileva su un duplice piano, quello del privato, in termini di rafforzamento del confronto dialettico con l’autorità procedente, e quello dell’amministrazione che può giovarsi del contraddittorio predecisorio ai fini dell’adozione della più corretta decisione amministrativa.
Di questa prospettiva vi è contezza nella decisione in commento, in cui si evidenzia il binomio degli obiettivi di «effettività della partecipazione del privato» e di «emanazione di un provvedimento il più possibile completo», ovvero, in altre parole, di «trasparenza» e di «dialogo» tra amministrazione e amministrato.
I giudici trovano conferma della visione ‘rafforzata’ dell’istituto nel dato normativo più recente, pur nella consapevolezza dell’inapplicabilità ratione temporis al caso di specie.
Il riferimento è al cd. decreto semplificazioni (decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 conv. in legge 11 settembre 2020, n. 120), il cui art. 12 ha modificato l’art. 10-bis legge 241/1990. I profili emendati che appaiono qui di interesse sono tre: 1) la portata della motivazione del provvedimento finale rispetto alle osservazioni presentate dal privato; 2) i margini di valutazione dell’amministrazione in caso di riedizione del potere a seguito di annullamento giudiziale; 3) i limiti di applicazione della sanatoria processuale ex art. 21-octies legge 241/1990. La direzione seguita dal legislatore è, come si vedrà, evidente: quella di potenziare l’istituto nella sua portata condizionante la successiva attività decisionale. Come si vedrà, emerge una fisionomia dell’istituto rafforzata in termini di vincolo conformativo e preclusivo non soltanto rispetto al provvedimento finale, ma addirittura in caso di riedizione del potere conseguente ad annullamento giurisdizionale; il rilievo della specificità dell’istituto comporta il corollario dell’impossibilità di parificazione con altri istituti, come la comunicazione di avvio del procedimento, e dunque la non riconducibilità della violazione dell’art. 10-bis tra i vizi non invalidanti il provvedimento amministrativo (discrezionale).
La norma riformata dispone che, in presenza di osservazioni presentate dal privato ex art. 10-bis, il responsabile del procedimento o l’autorità competente «sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego», statuizione che evidentemente ribadisce e rafforza la doverosità della valutazione da parte della p.a. dell’apporto dei privati e del riscontro nella motivazione del provvedimento, con l’avvertenza, aggiunta dalla riforma, che in sede motivazionale l’autorità può intervenire «indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni». Dunque, la norma interviene sull’obbligo di motivazione provvedimentale nella direzione di perimetrarne il contenuto[5]: con la motivazione l’amministrazione, da un lato, deve prendere puntuale posizione rispetto alle osservazioni avanzate dai privati, dall’altro non può discostarsi dai motivi ostativi esternati con la comunicazione ex art. 10-bis, potendo soltanto aggiungere ragioni ostative che valgono come risposta alle osservazioni del privato. In altre parole, la comunicazione dei motivi ostativi determina una cristallizzazione del materiale su cui si fonderà la decisione, con l’effetto di un rafforzamento della fase istruttoria e di quella predecisoria e la rappresentazione che emerge del preavviso di diniego è di un adempimento che “va preso sul serio”, perché segna “un punto di non ritorno” nella costruzione della decisione amministrativa. Il nuovo dato normativo sembra disattendere l’orientamento della giurisprudenza più lassista e sostanziale, che legittima la p.a. a svolgere, in sede di adozione del provvedimento e di suo compendio motivazionale, una valutazione complessiva delle osservazioni del privato e a precisare ulteriormente le proprie posizioni giuridiche, con il limite della riconducibilità di queste ulteriori argomentazioni nello «schema» delineato dalla comunicazione ex art. 10-bis»[6].
Non solo. Nel nuovo dettato normativo emerge che l’effetto preclusivo del preavviso di diniego si prolunga e si riverbera anche sull’attività amministrativa ulteriore ad una pronuncia giurisdizionale di annullamento. La disposizione recita che «in caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell’esercitare nuovamente il suo potere l’amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato».
In altre parole, la fisionomia rafforzata del preavviso di diniego come linea di confine infraprocedimentale che plasticamente chiude l’attività istruttoria e si riversa sul corredo motivazionale del provvedimento amministrativo, si applica anche in caso di riesercizio del potere doveroso a seguito di annullamento del giudice. In questo caso alla portata conformativa tipica della sentenza di annullamento (variabile, come noto, in base alla tipologia delle censure accolte) si aggiunge una sorta di effetto preclusivo ex lege, che impedisce all’amministrazione di porre a fondamento della decisione, in sede di rinnovazione del potere innescato dalla sentenza caducatoria, motivi già emergenti dall’istruttoria e non esternati in sede provvedimentale.
La valorizzazione legislativa dell’istituto, dunque, investe sia l’ambito procedimentale sia quello post-processuale, con l’aggiunta che quest’ultimo si salda anche con l’ambito processuale, rispetto al quale l’istituto è ulteriormente rinforzato. Il riferimento è al riformato art. 21-octies, che esclude espressamente l’applicabilità della sanatoria processuale di cui al secondo comma, secondo periodo (quella riferita all’omessa comunicazione di avvio del procedimento), al provvedimento illegittimo per violazione dell’art. 10-bis. La norma disattende categoricamente quell’orientamento giurisprudenziale che opera un parallelismo tra gli istituti di cui all’art. 7 e art. 10-bis in nome di una presunta identità funzionale ed estende la sanatoria processuale relativa alla mancanza di comunicazione di avvio del procedimento all’ipotesi del preavviso di diniego. All’esito della riforma la violazione dell’art. 10-bis costituisce sempre un vizio di legittimità dell’atto amministrativo discrezionale, potendo rilevare come vizio non caducante solo in relazione ad attività vincolata (ipotesi di cui al secondo comma, primo periodo dell’art. 21-octies), in evidente differenziazione rispetto al vizio relativo all’avviso di avvio del procedimento per il quale si applicano entrambe le ipotesi di sanatoria dell’art. 21-octies.
La saldatura tra ambito processuale e ambito post-processuale si spiega perché, in assenza della previsione che delimita i motivi ostativi in caso di riedizione del potere e in presenza della disposizione che rende impossibile la sanatoria processuale per l’attività amministrativa di tipo discrezionale inficiata dalla violazione dell’art. 10-bis, si potrebbe verificare quello scenario paventato e stigmatizzato dalla giurisprudenza di una «defatigante alternanza tra procedimento e processo»[7]: ossia di una riespansione piena del potere di valutazione (discrezionale) dell’amministrazione che potrebbe fondare la determinazione di diniego su elementi già noti ma non esternati, con l’effetto di prestarsi a ulteriore contenzioso.
La previsione che inibisce all’amministrazione di invocare, in sede di riedizione del potere, motivi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato non arriva ad azzerare l’ambito valutativo dell’amministrazione ovvero a predefinirne l’esito (non potrebbe farlo), ma certamente circoscrive lo spettro entro il quale l’amministrazione dovrà rivalutare la vicenda. In altre parole, l’efficacia oggettiva del giudicato amministrativo non esclude in assoluto la possibilità di riedizione del potere sfavorevole per il privato, ma comporta una perimetrazione dell’ambito motivazionale dell’amministrazione. L’effetto della norma è di contribuire a quella «riduzione progressiva della discrezionalità amministrativa»[8] a seguito di passaggio processuale, che la giurisprudenza più recente postula in un’accezione forte come risvolto del carattere conformativo della sentenza e suffraga sulla base di una interpretazione articolata ed evolutiva del codice del processo amministrativo, da cui ricava un modello di giurisdizione piena ed effettiva, in cui la garanzia della legalità dell’azione amministrativa si salda con la tutela sostanziale delle pretese del privato. Il riferimento non è solo ai principi di giustiziabilità delle pretese e di effettività della tutela, che hanno copertura costituzionale (artt. 24, 103 e 113 Cost.) e sovranazionale (artt. 6 e 13 CEDU), cui si uniforma il codice (art. 1), bensì ai nuovi strumenti di cognizione “ad esecuzione integrata” (art. 34 c.p.a.) ovvero al contenuto della domanda, che richiama l’aspettativa del privato di conseguire il bene della vita (art. 31, comma 3, art. 34, comma 5, art. 40 c.p.a.). Questa giurisprudenza si ricollega con quella che, ispirandosi ai medesimi principi e muovendo dalla consapevole accettazione della permanenza di spazi non coperti dalla sentenza, ritiene doveroso che l’amministrazione, in sede di riesame della vicenda controversa, sia particolarmente rigorosa nella verifica di tutti i profili rilevanti, dunque non soltanto di quelli investiti dalla sentenza, dovendo esaminare l’affare nella sua interezza e sollevando tutte le questioni che ritenga di interesse una volta per tutte e senza la possibilità di tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione a profili non ancora esaminati (principio del cd. one shot temperato)[9].
Mutuando da autorevole dottrina, il preavviso di diniego pare configurato dalla novella legislativa come un «onere di preclusione procedimentale»[10], in una duplice accezione: nel procedimento amministrativo originato da un’istanza privata, quale spartiacque tra la fase istruttoria e quella decisoria, il preavviso di diniego cristallizza i motivi (ostativi) tra i quali l’autorità decidente può attingere per fondare il provvedimento di diniego, essendole precluse ulteriori ragioni; nel procedimento amministrativo doveroso conseguente a sentenza caducatoria, il preavviso di diniego diviene il primo atto (endoprocedimentale) refrattario al recepimento di motivi già emergenti nella precedente istruttoria e non esternati nel provvedimento annullato.
La novella legislativa, pure evidentemente proiettata nella direzione di consolidare l’istituto, presenta delle zone d’ombra in quanto lascia insolute alcune questioni del precedente regime ovvero suscita nuovi punti problematici.
La regola della simmetria dei motivi ostativi condensati nel preavviso con quelli esternati nel provvedimento, con la sola eventualità di addurre motivi ulteriori purchè in funzione di replica delle osservazioni vale, appunto, «qualora gli istanti abbiano presentato osservazioni» e questo si spiega in nome del rafforzamento dell’effettività della partecipazione che il legislatore ha voluto perseguire. Ma in assenza di osservazioni, quale intensità deve avere la corrispondenza tra il preavviso di diniego e il provvedimento? L’idea di una possibile riespansione della motivazione in sede provvedimentale può fondarsi sul dato letterale della norma che correla appunto il parallelismo motivazionale al caso di presentazione delle osservazioni e può spiegarsi come corollario della mancata partecipazione del privato; purtuttavia, l’ipotesi di mancata presentazione delle osservazioni può anche significare accettazione delle ragioni ostative e acquiescenza del privato, con l’effetto che il destinatario del provvedimento non può ritrovare nel provvedimento finale motivi ulteriori a quelli già rinvenuti nel preavviso. L’esito del ragionamento è ribaltato rispetto alla prima tesi, perché l’eventuale allargamento del corredo motivazionale può aversi soltanto in presenza di osservazioni avanzate dal privato e si giustifica nell’esclusiva accezione di «conseguenza delle osservazioni», come recita la norma.
Ulteriore questione riguarda l’ambito applicativo del limite allo jus variandi in sede di riesercizio del potere ovvero se questa preclusione scatti in presenza di annullamento giurisdizionale per accertata violazione della disciplina dell’art. 10-bis oppure si estenda ad ogni provvedimento preceduto da preavviso di diniego e annullato per qualsivoglia vizio di legittimità. La lettera della norma non pare risolutiva («In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato»), sebbene una lettura più coerente e stretta all’oggetto della disposizione induca alla prima opzione; peraltro l’interpretazione estensiva asseconda il rafforzamento dell’istituto sotteso alla ratio della riforma e determinerebbe un’innovazione di notevole impatto, per la sua portata generale, come è stato evidenziato dalla prima dottrina che ha esaminato la questione[11].
Anche a voler aderire all’accezione estensiva, si ritiene che la portata innovativa della norma sia da calibrare, comunque, con peculiari situazioni: si pensi al caso di annullamento del provvedimento per motivi attinenti alla fase istruttoria (difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, ecc.) che comporta la rinnovazione di questa fase, con il quesito conseguente dell’applicabilità o meno del limite dei motivi ostativi già noti secondo l’art. 10-bis: alla tesi che ritiene inapplicabile l’art. 10-bisperché la rinnovata istruttoria supera e azzera quella precedente colpita dal decisum giudiziale, può contrapporsi altra tesi che ritiene persistente il limite di cui all’art. 10-bis con la precisazione che in sede di riesercizio del potere l’amministrazione dovrà discernere nello spettro dei motivi risultanti dalla nuova istruttoria da portare a sostegno del provvedimento quelli già emersi dall’istruttoria precedente sebbene inficiata, come tali inutilizzabili, e quelli frutto della nuova istruttoria, invece rilevanti. Altra vicenda riguarda l’emersione di elementi nuovi, sopravvenuti o rilevati successivamente per causa non imputabile all’amministrazione. In quanto non «già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato» essi sono da ritenere esclusi dall’ambito applicativo dell’art. 10-bis, con l’effetto della loro piena rilevanza in sede di riadozione del provvedimento, ma con l’avvertenza – valida anche per la vicenda dell’istruttoria da rinnovare a seguito di sentenza caducatoria – che i nuovi motivi necessitino di un apposito preavviso di diniego.
Il nuovo tenore dell’art. 21-octies ha escluso, come visto, l’applicabilità della sanatoria processuale riferita dalla norma all’omessa comunicazione di avvio del procedimento, alle ipotesi di violazione dell’art. 10-bis, sconfessando quell’orientamento giurisprudenziale che invece l’ammetteva sul presupposto di un’identità funzionale tra i due istituti di partecipazione. È da comprendere se e come questo divieto si riverberi su quell’orientamento giurisprudenziale che, in base a una lettura sostanzialistica della partecipazione e in virtù del principio di raggiungimento dello scopo, parifica la comunicazione di avvio del procedimento e il preavviso di diniego, negando ai casi di violazione degli artt. 7 e 10-bis la capacità invalidante del provvedimento ogniqualvolta l’interessato abbia aliunde ottenuto equipollenti forme di comunicazione e/o sia stato comunque messo nella condizione di interloquire con l’amministrazione[12].
4. Le potenzialità dell’istituto
Una lettura sistematica delle modifiche alla legge 241/1990 ad opera del decreto semplificazioni offre un ulteriore elemento di riflessione. Il riferimento è all’art. 12, comma 1, lett. a) del decreto-legge n. 76/2020 conv. in legge 120/2020, che ha aggiunto all’art. 1 della legge 241/1990 il comma 2-bis, secondo cui «I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede». In questo modo i principi di collaborazione e buona fede, configurati dalla giurisprudenza quali corollari del principio di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost. e applicati per specifiche questioni relative anzitutto all’attività negoziale della p.a., quindi estesi all’attività procedimentalizzata, e codificati dal legislatore dapprima per specifici settori (si pensi alla disciplina dei rapporti tra amministrazione finanziaria e cittadini-contribuenti, in cui i suddetti principi sono espressamente enunciati nello statuto dei diritti del contribuente), sono stati assurti al rango di «principi generali dell’attività amministrativa».
Questi principi forniscono una determinante chiave di lettura degli istituti di partecipazione, di cui esaltano l’aspetto dialogico e l’aspirazione a un approccio di tipo costruttivo e non conflittuale tra le parti del procedimento. Questo è particolarmente evidente in relazione al preavviso di diniego, perché, come visto, con esso l’interesse del privato alla partecipazione nel processo decisionale, tradotta nella fase istruttoria in un momento episodico e solitario di presentazione di memorie e documenti che l’amministrazione dovrà valutare, anch’essa in forma separata nel momento terminale del procedimento, si concretizza in uno spazio di dialogo più concreto e avanzato. Il confronto tra le parti non riguarderà genericamente l’istanza del privato (o il progetto dell’amministrazione nei procedimenti officiosi), ma si innescherà allorquando l’amministrazione ha maturato il proprio convincimento sulla vicenda ed è pronta a esternarlo. L’aspirazione del privato alla prevedibilità degli esiti dell’azione e al suo apporto costruttivo trovano compimento perché il contraddittorio potrà vertere sulla decisione dell’amministrazione, prefigurata ma non formalizzata e suscettibile ancora di adattamenti e precisazioni. Con il preavviso di diniego la relazione si fa più stringente e dialogica, perché le parti possono confrontarsi reciprocamente sul progetto della decisione in un momento avanzato del procedimento, nel quale i soggetti hanno consapevolezza e convinzione del problema e l’una, l’amministrazione, anticipa la decisione e l’altro, il cittadino, avanza osservazioni/contestazioni. Una comunicazione che si fa bidirezionale e paritaria[13] e, seppure non compromette l’autoritatività e l’unilateralità del potere decisorio dell’amministrazione, realizza sostanzialmente un «contraddittorio sulla decisione»[14].
I principi di collaborazione e buona fede ora codificati esortano, pertanto, le amministrazioni a maggior rigore e scrupolo nell’applicazione dell’art. 10-bis e, ancor prima, a una maggiore consapevolezza del significato dell’istituto, quello di un essere un modus procedendi che assolve la sua funzione solo se consente un effettivo ed utile confronto dialettico con l’interessato prima della formalizzazione dell’atto amministrativo. Lo sforzo è riposto principalmente sul versante dell’autorità, la quale è chiamata a un atteggiamento di apertura piena ai possibili esiti del procedimento, senza preclusioni dettate dal convincimento già maturato e quindi con un’attenzione massima agli apporti del privato. In caso contrario, l’istituto vedrebbe frustrate le proprie finalità e si tradurrebbe in uno sterile adempimento formale e un inutile aggravio procedimentale, un’ulteriore «foglia di fico»[15] alla realtà dei processi decisionali, più eloquente rispetto alle altre perché interverrebbe in un momento alquanto avanzato del procedimento per “ammantare” decisioni già prese.
Il preavviso di diniego, come noto, apre diversi scenari. L’istante può ribadire la propria posizione, secondo una duplice direzione: omettendo la presentazione di qualsivoglia osservazione, per cui il preavviso di diniego vale come mera anticipazione del provvedimento negativo con l’effetto che il privato ha il vantaggio di conoscere in anticipo la decisione dell’amministrazione per preparare, per tempo, le conseguenti mosse, anzitutto la contestazione processuale; oppure può apportare elementi di valutazione aggiuntivi, anche con l’allegazione di ulteriori documenti, su cui l’amministrazione ha il dovere di pronunciarsi. In quest’ultima accezione l’istituto funge da autentico strumento di contraddittorio “in contestazione” e disvela il senso più intenso della partecipazione, perché il cittadino si inserisce nel processo decisionale non soltanto apportando elementi utili sul piano istruttorio, ma potendo prendere posizione sulla progettata decisione finale, con l’intento di mutarne la direzione, e sulla presupposta condizione che l’amministrazione interlocutrice sia disposta a rivedere la propria opinione e non sia affatto prevenuta e arroccata sulle proprie posizioni. Peraltro, l’utilità del contraddittorio predecisorio si riverbera anche sulla “qualità” del provvedimento finale, perché quest’ultimo sarà frutto di una valutazione dell’amministrazione più completa e meditata.
Il privato può anche convincersi delle ragioni dell’amministrazione e, dunque, persuadersi dell’inaccoglibilità della propria istanza, e questo convincimento può risultare per silentium dalla mancata presentazione di osservazioni ex art. 10-bis, ma, in ipotesi, può anche essere formalizzato mediante presentazione di osservazione con contenuto di presa d’atto e accettazione dei motivi esternati dall’amministrazione, oppure può risultare implicitamente dal ritiro dell’istanza. In questo caso il preavviso di diniego funge da strumento di conoscenza e di fattore di persuasione o, meglio, di promozione dell’accettazione[16] e condivisione della scelta amministrativa, con non indifferenti riflessi deflattivi del contenzioso.
Ma è possibile uno scenario “intermedio”. Attraverso le osservazioni conseguenti al preavviso di diniego, il privato può avanzare proposte modificative dell’istanza, affinchè questa si renda accoglibile e l’opzione può essere promossa direttamente dal privato, in assenza di indicazioni dell’amministrazione, ovvero in risposta alle soluzioni modificative o alternative proposte dall’amministrazione a corredo dei motivi ostativi dell’istanza.
Il profilo è delicato, perché la disposizione dedicata al preavviso di diniego non offre appigli in questo senso e neanche le modifiche apportate dalla riforma del 2020 all’art. 10-bis toccano questo aspetto, sebbene argomentazioni significative possono ricavarsi proprio dai codificati principi all’art. 1, comma 2-bis legge 241/1990.
Questo approccio presuppone una logica più complessa rispetto a quella netta del “sì o no”, del “tutto o niente”, dell’approvazione o del rigetto tout court, e implica flessibilità e non intransigenza delle posizioni personali, disponibilità a rivedere il progetto iniziale, accettabilità di modifiche o ridimensionamenti delle istanze iniziali. Dal versante dell’amministrazione è richiesto uno spirito di collaborazione procedimentale[17], e dunque uno sforzo nel senso dell’ascolto attento e dell’esame approfondito delle ragioni del privato, ma anche la ricerca di soluzioni funzionali alla conclusione positiva del procedimento, nell’ottica di accogliere le ragioni del privato senza abdicare alla ragione suprema di cura dell’interesse pubblico.
Seguendo questa strada, il contraddittorio si presterebbe a una funzione peculiare, ulteriore alle accezioni tipiche di integrazione istruttoria e di contestazione predecisoria, che potrebbe dirsi di natura conciliativa o pre-contenziosa in senso lato[18], e sarebbe tale da sviluppare al massimo grado il significato del contraddittorio nella direzione della costruzione, dialogica e risolutiva, della decisione amministrativa[19].
Un’eco di questa impostazione è rinvenibile in parte della giurisprudenza, la quale, valorizzando la ratio di rafforzamento del confronto procedimentale sottesa al preavviso di diniego, ricava una declinazione di significati che vanno dall’esposizione esaustiva dei rispettivi punti di vista all’apporto di chiarimenti ed esplicazioni sino allo sforzo di «raggiungere e concordare soluzioni alternative che avrebbero potuto condurre il procedimento ad un esito finale diverso»[20]. In altre parole, questo orientamento vede nel contraddittorio innescato dal preavviso di diniego la sede utile per le parti non soltanto per esporre i rispettivi punti di vista e per chiarire le rispettive ragioni, ma anche per avanzare e discutere opzioni modificative o alternative alla pretesa iniziale, sulla base della convinzione che questo momento di confronto, per il valore aggiunto che ricava dalla collocazione nel procedimento, sia infungibile rispetto alla fase istruttoria né sia riproducibile nella sede giudiziale.
Questa opzione apre non poche questioni procedurali relative, ad esempio, al ruolo e all’ordine di intervento delle parti, ossia se attenga al privato avanzare, in prima battuta, le modifiche migliorative dell’istanza ovvero le soluzioni alternative oppure se l’amministrazione debba, contestualmente alla formulazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, identificare proposte modificative ovvero, ancora prima, verificarne la possibilità. È ragionevole ritenere che la prima opzione sia più aderente al dato normativo, perché esso identifica nei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza il contenuto della comunicazione, mentre nulla dice in merito all’ambito delle osservazioni proponibili dal privato, fissando solo il vincolo per l’amministrazione di presa in esame di esse e di esternazione delle ragioni del mancato accoglimento. Addossare all’amministrazione l’onere di individuare e proporre le soluzioni modificative dell’istanza ovvero quelle alternative significherebbe appesantire il ruolo dell’amministrazione con un evidente sbilanciamento tra le parti e il rischio di mortificare principi di buona amministrazione, come quelli di economia e non aggravio procedimentale. Pertanto, spetta al privato proporre soluzioni modificative per rendere accoglibile la domanda, come spetta al privato l’onere di confutare il prefigurato diniego dell’amministrazione, portando a sostegno della domanda ulteriori argomentazioni. Alla stessa stregua l’amministrazione deve esprimersi sulle proposte modificative avanzate dal privato alla stessa stregua della presa in esame delle ragioni addotte dallo stesso sin dalla presentazione della domanda. In entrambi i casi, vige il limite, mutuabile dall’art. 10, della pertinenza all’oggetto del procedimento, con i relativi corollari[21], ma nel caso delle proposte modificative/alternative questo limite assume ulteriore pregnanza. La modifica della domanda non può essere di consistenza tale da snaturare l’impianto originario dell’istanza, perché questo implicherebbe l’elusione delle garanzie che accompagnano il procedimento sin dal suo inizio e che coinvolgono anche altri soggetti (si pensi ai destinatari della comunicazione di avvio del procedimento, diversi dalle destinatario del procedimento, ovvero gli altri soggetti che possono esercitare i diritti di partecipazione), i quali sono esclusi dal contraddittorio ex art. 10-bis, ovvero imporrebbe un supplemento procedimentale incompatibile con gli ordinari tempi di conclusione del procedimento[22]. In siffatti casi, pertanto, si tratterebbe sostanzialmente di una nuova domanda, che dovrebbe innescare un nuovo procedimento[23].
Dalla prospettiva dell’amministrazione, è da ammettere comunque (come possibile e non doverosa) lo sforzo di individuare e porre all’attenzione del privato, attraverso la comunicazione ex art. 10-bis, modifiche e/o soluzioni alternative[24], nell’ottica della massima collaborazione tra le parti, combinata con il rispetto di altrettanti, fondamentali principi procedimentali.
L’impostazione che qui si discute, peraltro, non è nuova nel panorama normativo e lo schema del contraddittorio in chiave “costruttiva”, che importa la proposizione di soluzioni modificative al progetto iniziale per favorire la conclusione positiva del procedimento, è rinvenibile nella legge 241/1990 e soprattutto nella legislazione settoriale. In quest’ottica può leggersi l’evoluzione della disciplina della conferenza di servizi, protesa alla ricerca di correttivi (come il cd. dissenso costruttivo e gli effetti del dissenso qualificato) per garantire la funzionalità della conferenza e favorirne la positiva conclusione[25]. Il meccanismo caratterizza anche il nuovo art. 17-bis, relativo, come noto, ai rapporti tra pubbliche amministrazioni in tutti i casi in cui il procedimento è destinato a concludersi con una decisione pluristrutturata, con evidente applicazione del canone della leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni[26].
Lo schema del contraddittorio “costruttivo” è presente, più convintamente, nella legislazione settoriale. Ne sono esempi il procedimento di rilascio del permesso di costruire (art. 20, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) e quello per l’autorizzazione all’insediamento di attività produttive di cui all’art. 25 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, incardinato presso lo sportello unico di cui all’art. 6 d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447 (cd. procedimento unico)[27].
Nel primo caso l’organo competente, qualora ritenga che il titolo abilitativo non possa essere rilasciato, valuta l’eventualità che la domanda non accoglibile sia emendabile e, di conseguenza, esterna al richiedente le proposte modificative con le relative motivazioni. Il privato è chiamato a pronunciarsi sulle modifiche e, in caso di adesione, è tenuto a modificare il progetto e integrare la relativa documentazione (art. 20, comma 4, d.P.R. 380/2001). La norma, peraltro, pone delle condizioni all’attivazione e alla buona riuscita del contraddittorio: le modifiche devono essere «di modesta entità» al progetto originario e l’adeguamento deve avvenire entro un arco temporale prefissato (dal responsabile del procedimento per l’adesione e di quindici giorni per l’integrazione della documentazione). Soprattutto, la portata della norma è ridimensionata o, meglio, è condizionata dall’atteggiamento dell’amministrazione, dalla sua predisposizione verso il contraddittorio, in pratica dalla “buona volontà” del responsabile del procedimento, che ha la facoltà e non l’obbligo di valutare la modificabilità del progetto. L’iniziativa resta confinata al versante dell’amministrazione ed è del tutto eventuale. Una valorizzazione del principio di leale collaborazione induce a ritenere che il responsabile del procedimento prima di esternare le ragioni ostative all’accoglimento della domanda attraverso il provvedimento finale e, ancora prima, attraverso il preavviso di diniego, debba valutare la fattibilità di soluzioni modificative che rendano assentibile il progetto. Si tratta di operazione non particolarmente onerosa, perché andrebbe circoscritta alle modifiche di lieve entità. In altre parole, l’autorità non potrebbe rigettare la domanda per riscontrate difformità, che risultano modeste e facilmente superabili[28], e simmetricamente può porre a fondamento del diniego solo difformità insuperabili ovvero rimuovibili ma solo a condizione di modificare sostanzialmente il progetto[29].
La disciplina relativa all’insediamento di attività produttive è, come noto, improntata a un largo favor per l’iniziativa economica privata, che si traduce seguendo le tecniche della concentrazione e della semplificazione di tipo organizzativo (sportello unico, uso della telematica, ecc.) e funzionale (autocertificazione per la conformità alla normativa di settore, silenzio assenso, ecc.); in questo contesto si colloca anche la previsione di un contraddittorio stretto tra cittadino e amministrazione, evidentemente finalizzato al raggiungimento del risultato dell’intrapresa economica, ma anche strutturato in modo da garantire un assetto degli interessi approfondito e condiviso[30].
È prevista, infatti, l’audizione in contraddittorio quale momento di confronto tra l’amministrazione e il richiedente, attivabile quando emergono degli elementi problematici ritenuti dal legislatore superabili, come quelli attinenti alle caratteristiche tecniche dell’impianto ovvero alla localizzazione (art. 6, comma 4, d.P.R. 447/1998). L’indizione dell’audizione resta eventuale, peraltro la sua conclusione implica uno spettro ampio di soluzioni, compresa quella delle modifiche concordate al progetto originario, e il risultato può essere particolarmente avanzato, perché può tradursi nella definizione di un vero e proprio accordo amministrativo ai sensi dell’art. 11 legge 241/1990.
L’opzione dialogica trova ampia attuazione, perché è collocata in una fase avanzata del procedimento, successiva a quella dell’acquisizione del materiale istruttorio, e perché è congegnata in modo da potersi sviluppare secondo molteplici formule, compresa quella più semplice, di tipo orale, svincolata dalla forma cartacea. Non solo. Lo schema del contraddittorio non è ridotto a un’interazione di tipo bidirezionale tra richiedente e amministrazione, ma aspira ad allargarsi per ricomprendere tutti quei soggetti che possono subire un pregiudizio dalla realizzazione dell’impianto produttivo. Costoro («i soggetti, portatori di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dalla realizzazione del progetto dell'impianto produttivo», comma 13) possono intervenire nel procedimento non soltanto con la rituale presentazione di memorie e osservazioni, ma anche chiedendo di essere ascoltati in contraddittorio ovvero nell’ambito di apposita conferenza di servizi (art. 4, comma 4). In questo modo, l’interesse alla positiva conclusione del procedimento, che pare ispirare l’intera disciplina, non emerge in termini assoluti, perché deve confrontarsi con l’esigenza della pienezza del contraddittorio.
Nell’ordinamento vi sono casi in cui il meccanismo del contraddittorio di tipo “costruttivo” è collegato specificamente all’art. 10-bis legge 241/1990. L’intento di avvicinare ulteriormente le parti, attraverso un rapporto dialettico che favorisca la soluzione positiva del procedimento senza rinunciare alla massimizzazione della cura dell’interesse pubblico, ispira la disciplina del procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica semplificata (art. 146, comma 9, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42; d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31).
Qui la semplificazione è declinata in forme accentuate ma usuali – di tipo documentale, organizzativo, procedurale – cui si aggiungono inedite soluzioni di interazione tra le parti funzionali alla conclusione positiva del procedimento.
La prima soluzione si verifica nel caso in cui l’amministrazione procedente si avveda della non accoglibilità dell’istanza perché non conforme al regime paesaggistico dell’area. In questo frangente l’amministrazione deve procedere secondo lo schema dell’art. 10-bis legge 241/1990, con l’avvertenza che la comunicazione non può limitarsi a esternare i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, ma deve esplicare «le modifiche indispensabili affinchè sia formulata la proposta di accoglimento» (art. 11, comma 6, d.P.R. 31/2017). Il preavviso di diniego innesca, in questo modo, un intermezzo procedimentale che si snoda attraverso la presentazione da parte del privato di osservazioni e adeguamenti progettuali e l’ulteriore esame dell’amministrazione procedente, il cui esito sarà l’accoglimento della domanda ovvero il rigetto motivato «con particolare riguardo alla non accoglibilità delle osservazioni o alla persistente incompatibilità paesaggistica del progetto adeguato» (comma 6). Quest’ultima formula lascia intendere che il ricorrente non sia vincolato a recepire tout court le modifiche progettuali indicate dall’amministrazione, ma che può presentare delle altre su cui l’amministrazione si pronuncerà nuovamente. In altre parole, nel momento terminale del percorso decisionale l’amministrazione non dovrà limitarsi a verificare il recepimento pieno delle modifiche progettuali da essa prospettate, ma dovrà sforzarsi di valutare anche quelle differenti che, dal punto di vista del privato, assicurano l’adeguamento del progetto in chiave di compatibilità paesaggistica. Lo spirito che permea questa parentesi procedimentale sembra quello del contraddittorio aperto al massimo grado per la costruzione di una decisione satisfattiva delle ragioni di entrambe le parti[31].
Quasi a compensazione di questo supplemento istruttorio è previsto che, in caso di persistenza della valutazione negativa, l’amministrazione procedente chiuda il procedimento con l’adozione del provvedimento negativo, senza il passaggio dinanzi alla soprintendenza, invece obbligatorio nello schema ordinario. Soluzione che risponde, evidentemente, al principio di economicità dell’azione amministrativa[32] e che non viola quello di leale collaborazione istituzionale, posto che l’autorità competente assume una funzione di “filtro” rispetto alla soprintendenza, che è sgravata dall’esame di istanze già ritenute inaccoglibili[33].
Pur nel silenzio della norma, è da ritenere che l’elemento delle modifiche progettuali per rendere accoglibile la domanda possa essere omesso nel preavviso di diniego, ove l’amministrazione riscontri che l’incompatibilità paesaggistica del progetto sia insuperabile in modo assoluto, nel senso che neanche l’introduzione di modifiche di adeguamento riescono a superare la difformità del progetto alle prescrizioni d’uso ovvero ai valori paesaggistici qualificanti il bene considerato, con l’ovvia precisazione che l’amministrazione dovrà esternare questo profilo in modo adeguato nel preavviso di diniego, in luogo della prospettazione delle modifiche progettuali. Questa soluzione può essere mutuata dalla norma che l’ammette espressamente in sede di valutazione della soprintendenza, in ragione della identità di ratio e struttura delle due valutazioni.
In effetti, quando è superata positivamente la prima valutazione, quella dinanzi all’amministrazione procedente, la proposta di accoglimento della domanda è sottoposta all’esame della soprintendenza (comma 7). All’esito della valutazione le soluzioni sono diversificate. Se la valutazione è positiva, l’amministrazione procedente adotta il provvedimento finale conformandosi al parere (vincolante) della soprintendenza.
Se la valutazione è negativa, occorre distinguere: se i motivi sono insuperabili, nel senso che il progetto «risulti incompatibile con i valori paesaggistici che qualificano il contesto di riferimento ovvero contrasti con le prescrizioni d’uso eventualmente presenti» (comma 7), la soprintendenza dovrà effettuare la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda, nella quale fornirà «idonea ed adeguata motivazione» dell’impossibilità di rendere compatibile il progetto. Se i motivi ostativi sono superabili, nel senso che possono essere apportate modifiche al progetto per renderlo compatibile dal punto di vista paesaggistico, nel preavviso di diniego dovranno essere indicate «le modifiche indispensabili per la valutazione positiva del progetto» (comma 7).
In entrambi i casi si apre un momento di contraddittorio in cui il privato può presentare osservazioni e, ove possibile, «il progetto adeguato». La soprintendenza, nel caso in cui ritenga di non poter mutare il proprio convincimento, adotterà direttamente il provvedimento di diniego in luogo dell’autorità procedente. Anche sulla soprintendenza incombe un onere motivazionale rinforzato: il provvedimento di diniego deve essere accompagnato da «specifica motivazione, con particolare riguardo alla non accoglibilità delle osservazioni o alla persistente incompatibilità del progetto adeguato con la tutela dei beni vincolati» (comma 7).
Una lettura congiunta dell’art. 1, comma 2-bis, e dell’art. 10-bis della legge 241/1990 sembra avvalorare e veicolare la linea direttrice che affiora da questi riferimenti normativi, sparsi e settoriali: quella di un “dialogo procedimentale” pieno ed effettivo, serio e leale, dialettico e propositivo, tra pubblica amministrazione e privati quale metodo irrinunciabile nella costruzione della decisione amministrativa.
***
[1] In giurisprudenza già Cons. Stato, sez. II, 20 febbraio 2020, n. 1306, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. IV, 27 marzo 2019, n. 2026, in www.giustizia-amministrativa.it; Consiglio di Stato, sez. V, 25 luglio 2018, n. 4523, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 2 luglio 2020, n. 367, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Toscana, Firenze, sez. III, 21 aprile 2020, n. 464, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Campania, Napoli, sez. III, 2 marzo 2020, n. 947, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Puglia, Lecce, sez. III, 27 dicembre 2018, n. 1934, in www.giustizia-amministrativa.it.
[2] Si tratta di principio uniforme in giurisprudenza, la quale precisa che «anche se non deve sussistere un rapporto di identità, tra il preavviso di rigetto e la determinazione conclusiva del procedimento, né una corrispondenza puntuale e di dettaglio tra il contenuto dei due atti, ben potendo la p.a. ritenere, nel provvedimento finale, di dover meglio precisare le proprie posizioni giuridiche, occorre però che il contenuto sostanziale del provvedimento conclusivo di diniego si inscriva nello schema delineato dalla comunicazione ex art. 10 bis l. n. 241 del 1990, esclusa ogni possibilità di fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, non enucleabili dalla motivazione dell’atto endoprocedimentale» (Tar Liguria, Genova, sez. I, 25 febbraio 2015, n. 232, in Foro amm., 2015, p. 580; similmente, Consiglio di Stato, sez. III, 29 luglio 2014, n. 4021, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Campania, Napoli, sez. VI, 9 marzo 2020, n. 1041, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Veneto, Venezia, sez. III, 21 gennaio 2019, n. 72, in www.giustizia-amministrativa.it ; Tar Friuli-Venezia Giulia, Trieste, sez. I, 12 dicembre 2017, n. 371- 29/07/2014, n. 4021, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 12 gennaio 2016, n. 49, in Foro amm., 2016, p. 185).
[3] Il punto non è pacifico in giurisprudenza: nel senso dell’applicabilità dell’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, della legge 241/1990, in virtù della riconosciuta identità sostanziale di funzioni sottese alle due comunicazioni, v., ad esempio, Tar Campania, Napoli, sez. I, 1 marzo 2017, n. 1185, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 7 febbraio 2014, n. 883, in Foro amm., 2014, p. 678; Tar Campania, Napoli, sez. III, 30 aprile 2009, n. 2246, in Foro amm., 2009, p. 1170; Tar Basilicata, Potenza, sez. I, 27 novembre 2008, n. 901, in Foro amm., 2008, p. 3137; Tar Campania, Salerno, sez. I, 11 febbraio 2008, n. 183, in Foro amm., 2008, p. 576; Tar Lazio, Roma, sez. I, 8 gennaio 2008, n. 73, in Foro amm., 2008, p. 110. Nel senso, cui aderisce la sentenza in commento, della diversità ontologica con impossibilità di sostenere un parallelismo tra i due istituti e connessa non riconducibilità dell’art. 10-bisnell’ambito applicativo dell’art. 21-octies, secondo comma, secondo periodo, della legge 241/1990, v., ad esempio, Cons. Stato, sez. VI, 6 agosto 2013, n. 4111, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Sicilia, Catania, sez. II, 20 gennaio 2017, n. 121, in Foro amm., 2017, p. 246; Tar Veneto, Venezia, sez. III, 31 marzo 2014, n. 35, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Toscana, Firenze, sez. III, 3 maggio 20143, n. 715, in Foro amm., 2013, p. 1519; Tar Liguria, Genova, sez. I, 27 dicembre 2011, n. 1922, in Foro amm., 2011, p. 3889; Tar Puglia, Bari, sez. II, 14 gennaio 2010, n. 53, in Foro amm., 2010, p. 264; Tar Campania, Napoli, sez. IV, 28 dicembre 2009, n. 9603, in Foro amm., 2009, p. 3553. Peraltro, in giurisprudenza è ricorrente l’affermazione secondo cui «l’istituto del c.d. preavviso di rigetto, di cui all’art. 10-bis, l. 7 agosto 1990, n. 241 ha lo scopo di far conoscere all’amministrazione procedente le ragioni fattuali e giuridiche dell’interessato che potrebbero contribuire a far assumere una diversa determinazione finale, derivante dalla ponderazione di tutti gli interessi in gioco; tuttavia, tale scopo viene meno ed è di per sé inidoneo a giustificare l’annullamento del provvedimento nei casi in cui il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, sia in quanto vincolato, sia in quanto, sebbene discrezionale, sia raggiunta la prova della sua concreta e sostanziale non modificabilità» (Cons. Stato, sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1081, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. II, 17 giugno 2019, n. 4089, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. II, 30 maggio 2019, n. 3611, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2019, n. 1156, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 256, in Foro amm., 2019, p. 62; Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 3 ottobre 2019, n. 4726, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Campania, Napoli, sez. III, 1 dicembre 2016, n. 5555, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Lazio, Roma, sez. III. 24 novembre 2015, n. 13258, in Foro amm., 2015, p. 2886), massima da cui si ricava l’accostamento, incidenter tantum, del caso di violazione dell’art. 10-bis sia alla prima ipotesi di sanatoria processuale di cui all’art. 21-octies, secondo comma, che attiene ai provvedimenti vincolati, sia alla seconda fattispecie, relativa ai provvedimenti discrezionali. La questione è stata affrontata dal legislatore, con il recente decreto semplificazioni, su cui si dirà al par. 3.
[4] La dottrina che si è occupata dell’istituto è notevole: v., oltre agli Autori citati nelle note successive, P. Chirulli, La partecipazione al procedimento (artt. 7, 8, 10-bis l. n. 241 del 1990 s.m.i.), in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2020, pp. 291 ss.; F. Trimarchi Banfi, L’istruttoria procedimentale dopo l’articolo 10-bis della legge sul procedimento amministrativo, in Dir. amm., 2011, pp. 353 ss.; S. Fantini. Il preavviso di rigetto come garanzia "essenziale" del cittadino e come norma sul procedimento, in Urb. app., 2007, 11, pp. 1388 ss.; C. Videtta, Note a margine del nuovo art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, in Foro amm. Tar, 2006, pp. 837 ss.; E. Frediani, Partecipazione procedimentale, contraddittorio e comunicazione: dal deposito di memorie scritte e documenti al preavviso di rigetto, in Dir. amm., 2005, pp. 1005 ss.; S. Tarullo, L’art. 10 bis della legge n. 241/90: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione istruttoria, in Giustamm, 2005, pp. 1 ss.
[5] In ordine al contenuto della motivazione rileva anche la preclusione di fondare il preavviso di diniego su «inadempienze o ritardi attribuibili all’amministrazione», previsione introdotta dall’art. 9, comma 3, della legge 1 novembre 2011, n. 180, e che la giurisprudenza, soffermandosi sul termine «attribuibile» in luogo di altri come «imputabile», ha letto nel senso che «il legislatore non ha voluto dare alcun rilievo allo stato soggettivo: anche un ritardo incolpevole ma oggettivamente riferibile all’amministrazione sarà dunque rilevante (mentre la colpa continuerà ovviamente a rilevare a fini risarcitori)»: così Tar Lombardia, Milano, sez. II, 14 novembre 2013, n. 2520, in Foro amm. Tar, 2013, 3296.
[6] V. nota 2.
[7] Cons. Stato, sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1321, in Dir. proc. amm., 2019, p. 1171; Cass. civ., sez. un., 7 settembre 2020, n. 18592, in Giustamm, n. 9, 2020; Tar Lazio, Roma, sez. II-bis, 30 giugno 2020, n. 7254, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Lazio, Roma, sez. II-bis, 30 luglio 2020, n. 8888, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Lazio, Roma, sez. II-bis, 3 agosto 2020, n. 8956, in www.giustizia-amministrativa.it. Il tema è sempre più consapevolmente affrontato dalla giurisprudenza: si veda, ad esempio, l’affermazione di Cons. Stato, Adunanza plenaria, 9 giugno 2016, n. 11, in Foro amm., 2016, p. 1470, in tema di giudicato amministrativo a formazione progressiva, secondo cui «»l’esecuzione del giudicato amministrativo (sebbene quest’ultimo abbia un contenuto poliforme), non può essere il luogo per tornare a mettere ripetutamente in discussione la situazione oggetto del ricorso introduttivo di primo grado, su cui il giudicato ha, per definizione, conclusivamente deciso; se così fosse, il processo, considerato nella sua sostanziale globalità, rischierebbe di non avere mai termine, e questa conclusione sarebbe in radicale contrasto con il diritto alla ragionevole durata del giudizio, all’effettività della tutela giurisdizionale, alla stabilità e certezza dei rapporti giuridici (valori tutelati a livello costituzionale e dalle fonti sovranazionali alle quali il nostro Paese è vincolato); da qui l’obbligo di esecuzione secondo buona fede e senza che sia frustrata la legittima aspettativa del privato alla stabile definizione del contesto procedimentale».
[8] V. nota precedente.
[9] «Ciò allo scopo di evitare che la realizzazione dell’interesse sostanziale possa essere frustrato dalla reiterazione di provvedimenti, basati sempre su inediti supporti motivazionali»: ad esempio, Cons. Stato, IV, 54 marzo 2011, n. 1415, in Foro amm. CdS, 2011, p. 846; Cons. St. sez. III, 14 febbraio 2017, n. 660, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2018, n. 5371, in Foro amm., 2018, p. 1464.
[10] M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989, pp. 115 ss., richiamato, con specifico riferimento al preavviso di diniego, da D. Vaiano, Preavviso di rigetto e principio del contraddittorio nel procedimento amministrativo, in Scritti in onore di Leopoldo Mazzarolli, Padova, 2007, IV, pp. 447 ss.; Id., Il preavviso di rigetto, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, 2017, pp. 643 ss.; F. Saitta, La partecipazione al procedimento amministrativo, in AA.VV., Istituzioni di diritto amministrativo, Torino, 2017, p. 190; G. Milo, Il preavviso di diniego dopo la legge 11 settembre 2020, n. 120, in AmbienteDiritto, 2020, n. 4, p. 1152.
[11] G. Milo, Il preavviso di diniego, cit., p. 1151.
[12] In questo senso, con specifico riferimento all’art. 10-bis, v., ad esempio, Cons. Stato, 6 novembre 2007, n. 5729, in Foro amm. CdS, 2007, p. 3097; Tar Umbria, Perugia, sez. I, 5 maggio 2014, n. 241, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 15 gennaio 2018, n. 5, in Com. It., 2008, p. 69; Tar Veneto, Venezia, 7 settembre 2005, n. 3430, in www.giustizia-amministrativa.it.
[13] F. Merusi, Diritti fondamentali e amministrazione (o della «demarchia» secondo Feliciano Benvenuti), in Dir. amm., 2006, 543 ss., il quale vi ravvisa un esercizio attivo di diritti di libertà (p. 550).
[14] Ivi, p. 550.
[15] L’espressione è utilizzata da R. Ferrara, La legge sul procedimento amministrativo alla prova dei fatti: alcuni punti fermi...e molte questioni aperte, in Dir. e proc. amm., 2011, p. 65, per avanzare dubbi sulla consistenza del dato normativo relativo alla partecipazione e sul dato della scarsità di riforme che lo ha interessato a fronte di modifiche più sostanziose di altri istituti.
[16] Sulla logica, sottesa all’art. 10-bis, dell’accettazione che fa da pendant con quella del contraddittorio in contestazione v. M. Protto, Il rapporto amministrativo, Milano, 2008, p. 188. In termini generali, sul criterio dell’accettabilità giuridica della scelta amministrativa v. le osservazioni di F. Manganaro, Principio di legalità e semplificazione dell’attività amministrativa. I. Profili critici e principi ricostruttivi, Napoli, 2000, pp. 119 ss.
[17] S. Tarullo, Il principio di collaborazione procedimentale. Solidarietà e correttezza nella dinamica del potere amministrativo, Torino, 2008.
[18] P. Lazzara, Art. 10 bis, in A. Romano (a cura di), L’azione amministrativa, Torino, 2016, p. 384, che pure solleva l’esigenza di accogliere questa prospettiva con cautela, in ragione dei risvolti che il mutamento dell’oggetto implica rispetto alle garanzie procedimentali, anzitutto quella dell’art. 7 legge 241/1990.
[19] V. Cerulli Irelli, Lineamenti di diritto amministrativo, Torino, 2017, p. 330; Id., Verso un più compiuto assetto della disciplina dell’azione amministrativa. Un primo commento alla legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241”, in ASTRID Rassegna, 2005, p. 11; M. Ramajoli – R. Villata, Procedimento. Art 10 bis l. n. 241/1990, in Libro dell'anno del Diritto 2012 – Treccani, Roma, 2012, p. 2; D. Vaiano, Commento dell’art. 10-bis, cit., p. 641; A Carbone, Il contraddittorio procedimentale. Ordinamento nazionale e diritto europeo convenzionale, Torino, 2016, p. 269.
[20] Tar Campania, Salerno, sez. I, 9 marzo 2016, n. 589, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 23 luglio 2014, n. 2003, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 16 dicembre 2013, n. 1129, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Lazio, Roma, sez. II-bis, 8 ottobre 2013, n. 8682, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Campania, Napoli, sez. VII, 9 dicembre 2013, n. 5640, in Foro amm. Tar, 2013, p. 3831; Tar Campania, Salerno, 5 agosto 2013, n., 1740, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Sicilia, Catania, sez. I, 27 giugno 2013, n. 1855, in Foro amm. Tar, 2013, p. 2146; Tar Veneto, Venezia, sez. I, 8 luglio 2011, n. 1162, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Lazio, Latina, sez. I, 18 marzo 2010, n. 322, in Foro amm Tar, 2010, p. 953.
[21] Per esempio, la mera “disponibilità” ad apportare modifiche sostanziali al progetto è stata considerata irrilevante, perché generica, rispetto all’art. 10-bis: Tar Campania, Napoli, sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2952, in www.giustizia-amministrativa.it.
[22] Tar Campania, Napoli, sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2952, cit.
[23] Tar Toscana, Firenze, sez. II, 12 maggio 2017, n. 684, in www.giustizia-amministrativa.it.
[24] Tar Puglia, Bari, sez. III, 25 novembre 2011, n. 1807, in Foro amm. Tar, 2011, p. 3636.
[25] Per entrambe le tipologie di conferenza di servizi – quella semplificata e quella simultanea – l’amministrazione dissenziente è tenuta ad accompagnare il dissenso con la specificazione delle modifiche necessarie ai fini dell’assenso (art. 14-bis, comma 3; art. 14-ter, comma 3), previa valutazione della fattibilità delle stesse («ove possibile», art. 14-bis, comma 3). La norma si preoccupa anche del profilo dei rapporti tra proposta di modifica e progetto iniziale. Infatti, in sede di conferenza simultanea, l’amministrazione procedente, se valuta che le condizioni e prescrizioni avanzate a corredo del dissenso non comportano «modifiche sostanziali» alla decisione oggetto della conferenza e le ritiene accoglibili, previa consultazione con i privati e con le altre amministrazioni interessate, adotta la determinazione motivata di conclusione positiva della conferenza (art. 14-bis, comma 5). In caso contrario è da ritenere che la questione debba rimettersi alla conferenza in modalità sincrona, per una nuova valutazione collegiale (art. 14-bis, comma 6). Il meccanismo è utilizzato anche per la disciplina del dissenso qualificato. In caso di opposizione avanzata da amministrazione preposta alla cura di interesse sensibile, prima della formale devoluzione della questione al consiglio dei ministri, è prevista, per iniziativa della presidenza del consiglio dei ministri, l’indizione di una riunione alla quale parteciperanno l’amministrazione procedente, quella dissenziente e le altre presenti alla conferenza e l’obiettivo di questa riunione è «l’individuazione di una soluzione condivisa» (art. 14-quinquies, comma 4), segno dell’apertura a un metodo amministrativo orientato alla ricerca di soluzioni appaganti i diversi punti di vista, anche quando questa ricerca imponga un supplemento di attività e uno sforzo reciproco, che implichi pure la rinuncia parziale alle proprie pretese o ragioni. Per questo la devoluzione all’organo politico per eccellenza, il consiglio dei ministri, è configurata come l’extrema ratio e, peraltro, anche in questa sede l’organo non è chiamato a una valutazione risolutiva netta, incentrata sulla mera alternativa di accoglimento o meno dell’opposizione, perché sono possibili soluzioni intermedie, come l’accoglimento parziale dell’opposizione con modifica diretta del contenuto della determinazione di conclusione della conferenza (art. 14-quinquies, comma 6). Si tratta di un modo di procedere che altro non è che un’applicazione del principio di leale collaborazione tra amministrazioni, espressamente richiamato dalla norma (art. 14-quinquies, comma 4).
[26] Infatti, l’amministrazione alla quale è stato chiesto l’assenso può rappresentare esigenze istruttorie ovvero «richieste di modifica», con l'avvertenza che queste devono essere «motivate e formulate in modo puntuale» e nel termine originario (comma 1). La revisione dello schema di provvedimento da parte dell’amministrazione procedente innesca un nuovo momento di confronto con l’altra amministrazione e, nel caso in cui questa non rilascia l’assenso, la questione è devoluta al Presidente del Consiglio dei ministri, il quale «previa deliberazione del Consiglio dei ministri, decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento» (comma 2).
[27] Ulteriori forme avanzate di contraddittorio tra p.a. e privati, non solo nelle modalità (interpelli, audizioni, ecc.), ma pure negli esiti possibili, comprensivi di soluzioni concordate, anche modificative o alternative alle istanze o proposte iniziali, sono rinvenibili in molteplici procedimenti dell’amministrazione finanziaria ovvero in quelli di competenza di autorità indipendenti, nonché nel settore ambientale (si pensi al procedimento di valutazione di impatto ambientale) e nella disciplina delle grandi opere infrastrutturali.
[28] Tar Lazio, Latina, sez. I, 4 febbraio 2008, n. 86, in www.giustizia-amministrativa.it.
[29] Nel senso di «obbligo» dell’amministrazione, che comunque sussiste solo qualora le modifiche non siano tali da comportare «un ampio “ripensamento” del progetto e, in sostanza, nella presentazione di un progetto qualitativamente diverso» v. Tar Lazio, Latina, sez. I, 4 marzo 2009, n. 168, in www.giustizia-amministrativa.it. Riconduce al difetto di istruttoria la mancata verifica della proponibilità di modifiche di modesta entità al progetto originario Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 21 gennaio 2015, n. 376, in www.giustizia-amministrativa.it.
[30] Sottolinea che le due parti in causa – impresa e amministrazione – non si pongono in termini di antagonismo, ma di comune obiettivo dello sviluppo del territorio di riferimento e che in questa peculiare configurazione del rapporto tra le parti può scorgersi un’utile chiave di lettura dell’intera disciplina, G. De Giorgi Cezzi, Il procedimento semplificato mediante autocertificazione per la realizzazione di impianti produttivi nel regolamento sullo sportello unico, in E. Sticchi Damiani – G. De Giorgi Cezzi – P.L. Portaluri – F.F. Tuccari, Localizzazione di insediamenti produttivi e semplificazione amministrativa. Lo sportello unico per le imprese, Milano, 1999, pp. 17-18. Evidenzia il profilo della collaborazione tra pubblico e privato quale elemento centrale e tratto distintivo della nuova disciplina, anche in ragione delle traduzioni originali in essa contenute, G. Gardini, Un nuovo modello di azione pubblica: il procedimento di autorizzazione all'insediamento di attività produttive in base al d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, in Dir. amm., 1998, p. 572. Sulle novità in termini di «partecipazione qualitativa» v. I.M. Impastato, La conferenza di servizi «aperta» nel D.P.R. n. 447 del 1998 ovvero della «semplificazione partecipata», in Dir. amm., 2001, pp. 481 ss.
[31] Sottolinea l’importanza riservata dalla norma al cd. dissenso costruttivo P. Marzaro, Autorizzazione paesaggistica semplificata e procedimenti connessi, in Riv. giur. urb., 2017, p. 229.
[32] S. Amorosino, Il nuovo regolamento di liberalizzazione e semplificazione delle autorizzazioni paesaggistiche (d.P.R. n. 31 del 2017), in Riv. giur. urb., 2017, p. 186.
[33] Cons. Stato, sez. atti norm., 1° settembre 2016, n. 1404, in Foro amm., 2016, p. 2140.