Decreto semplificazioni: contratti pubblici, concorrenza e tutela.
di Alessandra Coiante
Sommario: 1. Premessa: le principali modifiche in materia di contratti pubblici – 2. Le principali deroghe nelle procedure sotto soglia – Segue: Le principali deroghe nelle procedure sopra soglia – 3. Il Collegio consultivo tecnico e la sospensione dell’esecuzione dell’opera – 4. Le nuove “incisioni” sulla tutela giurisdizionale” – 5. Prime considerazioni
1. Premessa: le principali modifiche in materia di contratti pubblici
Il tanto atteso decreto semplificazioni(d.l. 16 luglio 2020, n. 76), “ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di realizzare un’accelerazione degli investimenti e delle infrastrutture attraverso la semplificazione delle procedure in materia di contratti pubblici”, ha introdotto, nel Capo I, una serie di disposizioni di carattere prevalentemente temporaneo (operanti dalla data in vigore del decreto fino al 31 luglio 2021) finalizzate al raggiungimento del suddetto obiettivo.
Ai primi due articoli, al dichiarato fine di “incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici e a far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19”, viene previsto un regime derogatorio per le procedure sotto soglia (art. 1 “Procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale in relazione all’aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia”) e sopra soglia comunitaria (art. 2 “Procedure per l’incentivazione degli investimenti pubblici in relazione all’aggiudicazione dei contratti pubblici sopra soglia), applicabile a tutte le procedure in cui la determina a contrarre (o altro atto di avvio del procedimento equivalente) venga adottata entro il 31 luglio 2021.
L’art. 3 delinea una disciplina derogatoria e semplificata in materia di controlli antimafia e detta disposizioni a regime sui Protocolli di legalità[1]; mentre l’art. 4 introduce tutta una serie di disposizioni che vanno ad incidere, anche a regime, sulla fase di conclusione dei contratti e sul codice del processo amministrativo.
L’art. 5 detta, invece, un regime derogatorio all’art. 107 del Codice dei contratti pubblici (di seguito anche solo c.c.p.)., sulla sospensione dell’esecuzione delle opere pubbliche.
A parziale e ipotetico bilanciamento di tale riduzione di garanzie, l’art. 6 introduce, un nuovo “organismo”, di cui si darà conto, con cui le Stazioni appaltanti (di seguito anche solo “SA”) e gli operatori economici dovranno imparare a rapportarsi: il Collegio consultivo tecnico.
L’art. 7 istituisce un “Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche” con il fine di «garantire la regolare e tempestiva prosecuzione dei lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 35 del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50, nei casi di maggiori fabbisogni finanziari dovuti a sopravvenute esigenze motivate nel rispetto della normativa vigente, ovvero per temporanee insufficienti disponibilità finanziarie annuali (…)”
L’art. 8 prevede invece “altre disposizioni urgenti” che si applicheranno non solo alle procedure che saranno avviate dalla data di entrata in vigore del decreto fino al 31 luglio 2021, ma a tutte le procedure pendenti i cui bandi o avvisi sono già stati pubblicati alla data di entrata in vigore del decreto[2].
L’art. 9, norma di chiusura del Capo I, detta alcune «Misure di accelerazione degli interventi infrastrutturali», tra le quali rientra quella di individuare “con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro il 31 dicembre 2020, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, sono individuati gli interventi infrastrutturali caratterizzati da un elevato grado di complessità progettuale, da una particolare difficoltà esecutiva o attuativa, da complessità delle procedure tecnico - amministrative ovvero che comportano un rilevante impatto sul tessuto socio-economico a livello nazionale, regionale o locale, per la cui realizzazione o completamento si rende necessario la nomina di uno o più Commissari straordinari che è disposta con i medesimi decreti”.
Altro punto di rilievo è la riforma in materia di responsabilità erariale e di abuso d’ufficio a cui sono stati dedicati gli artt. 21 e 23.
Nei seguenti paragrafi si intende dare conto di alcune delle predette modifiche concentrando l’attenzione, in particolar modo, su quelle incidenti sulla concorrenza e sulla tutela giurisdizionale[3].
2. Le principali deroghe nelle procedure sotto soglia
Per l’affidamento di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35 c.c.p.[4] le stazioni appaltanti devono procedere, in deroga a quanto previsto dall’art. 36, comma 2[5],come segue.
L’art. 36 c.c.p. prevede l’utilizzo dell’affidamento diretto, anche senza la previa consultazione di alcun operatore economico, per lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 40.000. Tale soglia è stata innalzata, dal decreto semplificazioni, sino a 150.000 euro. In particolare, è stato previsto l’affidamento diretto “per lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 150.000 euro e, comunque, per servizi e forniture nei limiti delle soglie di cui al citato articolo 35”. Per tali affidamenti l’art. 36 c.c.p., inoltre, prevede la possibilità di richiedere almeno trepreventivi per i lavori e almeno cinque per servizi e forniture, indicazione che è stata del tutto rimossa nella disciplina derogatoria dettata dal decreto.
Viene poi prevista, quale altra modalità possibile di affidamento, la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara di cui all’art. 63 c.c.p., da utilizzare, viene specificato, nel rispetto del principio di rotazione degli inviti.
Tale procedura potrà essere utilizzata: a) per l’affidamento di servizi e forniture di importo pari o superiore a 150.000 euro e fino alle soglie di cui all’articolo 35 c.c.p., previa consultazione, ove esistenti, di almeno cinque operatori economici; b) per l’affidamento di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro, previa consultazione, ove esistenti di almeno cinque operatori economici; c) per lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro e inferiore a un milione di euro, previa consultazione di almeno dieci operatori economici; d) per l’affidamento di lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie di cui all’articolo 35 c.c.p., previa consultazione di almeno quindici operatori economici
In base a quanto previsto dall’art. 36 c.c.p., ciò che rileva maggiormente è la notevole diminuzione del numero minimo di operatori da consultare: per i lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro si è passati da dieci a cinque, per i lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro e inferiori a un milione di euro, da quindici a dieci.
L’incisione forse più rilevante è stata fatta, tuttavia, per gli affidamenti di lavori di importo pari o superiore al milione di euro e fino alle soglie di cui all’art. 35 c.c.p. (quindi, ad esempio, fino a 5 milioni per gli appalti di lavori). Per tale tipologia di affidamenti è stato previsto anche qui l’utilizzo della procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara in luogo della procedura aperta di cui all’art. 60 c.c.p.
Sempre nell’ottica dell’accelerazione, viene inoltre precisato che, salve le ipotesi in cui la procedura sia sospesa per effetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria[6], l’aggiudicazione o l’individuazione definitiva del contraente avviene entro il termine di due mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento, aumentati a quattro mesi nei casi in cui deve essere applicata la procedura negoziata di cui all’art. 63 c.c.p.
Il mancato rispetto di tali termini, la mancata tempestiva stipula del contratto e il tardivo avvio dell’esecuzione dello stesso possono essere valutati ai fini della responsabilità del RUP per danno erariale[7] e se, invece, risultano imputabili all’operatore economico, costituiscono causa di esclusione dalla procedura o di risoluzione del contratto per inadempimento che opera di diritto e viene dichiarata dalla stazione appaltante.
Viene poi precisato che gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente che contenga gli elementi di cui all’art. 32, comma 2, c.c.p.
Per la procedura di negoziazione senza previa pubblicazione del bando viene stabilito, invece, che le stazioni appaltanti procedono a loro scelta (pur se nel rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento) all’aggiudicazione dei relativi appalti, sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ovvero del prezzo più basso. In caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso le stazioni appaltanti devono procedere all’esclusione automatica delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia (di cui dell’articolo 97, comma 2, 2 -bis e 2 -ter, del decreto c.c.p) anche qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque.
Il quarto comma introduce una disciplina derogatoria anche per la garanzia provvisoria di cui all’art. 93 c.c.p. Viene previsto, infatti, che la stessa non venga richiesta dalle stazioni appaltanti salvo che ricorrano particolari esigenze in considerazione della tipologia e della specificità della singola procedura che devono essere specificate dalla stazione appaltante nell’avviso di indizione della gara o in altro atto equivalente. Nell’ipotesi in cui sussistano i presupposti motivati per la richiesta, la garanzia è comunque dimezzata rispetto all’ammontare previsto dall’art. 93 c.c.p.
Il quinto comma precisa, inoltre, che tutta la disciplina derogatoria stabilita da questo primo articolo si applichi anche alle procedure per l’affidamento dei servizi di organizzazione, gestione e svolgimento delle prove dei concorsi pubblici di cui agli articoli 247 e 249 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, fino all’importo di cui alla lettera d), comma 1, dell’articolo 35 c.c.p. (750.000 euro).
Da tale breve disamina di questo primo articolo del decreto dedicato alle procedure sotto soglia comunitaria, traspare una prima linea direttrice di tale intervento riformatore: garantire una partecipazione ampia e adeguatamente aperta alla competizione tra imprese rallenta gli appalti pubblici. Da qui il favor per l’affidamento diretto e la procedura negoziata senza bando (con il confronto con un numero quanto più ridotto di operatori), mentre sembra essere stato “dimenticato” che la tutela della concorrenza deve essere garantita e rispettata anche nelle procedure sotto soglia. Da qui il mancato utilizzo della procedura aperta per gli appalti di importi più che rilevanti.
Segue: Le principali deroghe nelle procedure sopra soglia
L’art. 2 del decreto è dedicato invece alle procedure sopra soglia comunitaria.
Il secondo comma dispone che, salvo quanto previsto dal comma 3, le stazioni appaltanti procedono all’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di importo pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 35 c.c.p., mediante procedura aperta, ristretta o, previa motivazione sulla sussistenza dei presupposti previsti dalla legge, mediante la procedura competitiva con negoziazione di cui agli artt. 61 e 62 del c.c.p. (e di cui agli articoli 123 e 124, per i settori speciali) con i termini ridotti di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c) del medesimo decreto[8].
Al terzo comma viene stabilita invece la possibilità di applicare la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, di cui all’art. 63 c.c.p. nella misura strettamente necessaria quando, per ragioni di estrema urgenza derivanti dagli effetti negativi della crisi causata dalla pandemia COVID-19 o dal periodo di sospensione delle attività, determinato dalle misure di contenimento adottate per fronteggiare la crisi, i termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie non possono essere rispettati.
In merito a tale previsione non si comprende come potranno essere interpretate le ragioni di estrema urgenza, in una fase in cui l’emergenza (almeno) sanitaria risulta rientrata: quale urgenza derivante dagli effetti negativi della pandemia potrà essere qualificata addirittura come “estrema” tale da giustificare l’applicazione della procedura di cui all’art. 63 c.c.p. ? Si aggiunga poi che il comma 2, lett. c) dell’art. 63 c.c.p. prevede, tra i casi in cui è consentito l’utilizzo della procedura negoziata senza bando, l’ipotesi della sussistenza di ragioni di estrema urgenza derivanti da eventi imprevedibili dall’amministrazione aggiudicatrice. L’imprevedibilità della disciplina ordinaria viene quindi sostituita da non meglio precisati effetti negativi derivanti dalla crisi causata dalla pandemia, aprendo così a un ampio ventaglio di possibilità applicative.
Il quarto comma dispone, inoltre, che nei casi di cui al terzo comma (recte: in caso di applicazione della procedura di cui all’art. 63 c.c.p.) e “nei settori dell’edilizia scolastica, universitaria, sanitaria e carceraria, delle infrastrutture per la sicurezza pubblica, dei trasporti e delle infrastrutture stradali ferroviarie, portuali, aeroportuali, lacuali e idriche, ivi compresi gli interventi inseriti nei contratti di programma ANAS-Mit 2016-2020 e RFI-Mit 2017 – 2021 e relativi aggiornamenti, nonché gli interventi funzionali alla realizzazione della transizione energetica”, per quanto non espressamente disciplinato dallo stesso art. 2, le stazioni appaltanti, per l’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, e per l’esecuzione dei relativi contratti, operano: i) in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale; ii) fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159; iii) nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all'Unione europea, ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE, dei principi di cui agli articoli 30 (principi generali per l’affidamento e l’esecuzione), 34 (principi in materia di sostenibilità energetica e ambientale) e 42 (in materia di conflitto di interesse) del c.c.p. e delle disposizioni in materia di subappalto.
Tale previsione desta non poche perplessità in particolar modo nella parte in cui viene prevista la deroga “ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale”: sembrerebbe doversi intendere derogato non solo il Codice dei contratti pubblici ma anche, a titolo meramente esemplificativo, tutta la normativa in materia antitrust sia nei settori sopra elencati ma anche “nei casi di cui al terzo comma” quindi nei casi di applicabilità della procedura negoziata senza bando.
La legittimità di tale regime derogatorio dovrebbe essere garantita dall’indicazione (anch’essa di non facile interpretazione) del rispetto dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all'Unione europea, ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE e dei principi di cui agli articoli 30, 34 e 42 c.c.p. e delle disposizioni in materia di subappalto.
Viene poi stabilito anche per le procedure sopra soglia (similmente a quanto previsto per le procedure sotto soglia) che, salva l’ipotesi in cui la procedura sia sospesa per effetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria, l’aggiudicazione o l’individuazione definitiva del contraente avviene entro il termine di sei mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento. Anche qui viene specificato che il mancato rispetto dei termini, la mancata tempestiva stipulazione del contratto e il tardivo avvio dell’esecuzione dello stesso possono essere valutati ai fini della responsabilità del responsabile unico del procedimento per danno erariale e, qualora imputabili all’operatore economico, costituiscono causa di esclusione dell’operatore dalla procedura o di risoluzione del contratto per inadempimento che opera di diritto e viene dichiarata dalla stazione appaltante.
La disciplina delle procedure sopra soglia risultante dal decreto semplificazioni è quindi caratterizzata da una possibile diminuzione dei termini procedimentali, dalla possibilità di applicare la procedura negoziata senza bando ogni qualvolta ricorrano ragioni di estrema urgenza derivanti da non chiari “effetti negativi della crisi causata dalla pandemia”, da deroghe generali “ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale” che non rendono di certo chiara la disciplina applicabile.
3. Il Collegio consultivo tecnico e la sospensione dell’esecuzione dell’opera
Un’altra importante novità introdotta dal decreto semplificazioni per i lavori tesi alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di cui all’art. 35 c.c.p.[9] è l’istituzione di un Collegio consultivo tecnico[10], organo finalizzato, da quanto si evince anche dalla Relazione illustrativa, “a prevenire controversie relative all'esecuzione dei contratti pubblici” e operante anche quest’ultimo fino al 31 luglio 2021 (art. 6).
La costituzione del Collegio, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del decreto, è obbligatoria, presso ogni SA, prima dell’avvio dell’esecuzione, o comunque non oltre dieci giorni da tale data, con i compiti previsti dall’articolo 5 e con funzioni di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto stesso. Viene inoltre previsto che, per i contratti la cui esecuzione sia già iniziata alla data di entrata in vigore della novella presente, il Collegio deve essere nominato entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla medesima data.
Il comma 5 prevede, peraltro, che le SA, tramite il loro responsabile unico del procedimento, possano costituire un collegio consultivo tecnico formato da tre componenti per risolvere problematiche tecniche o giuridiche di ogni natura suscettibili di insorgere anche nella fase antecedente alla esecuzione del contratto, ivi comprese le determinazioni delle caratteristiche delle opere e le altre clausole e condizioni del bando o dell’invito nonché la verifica del possesso dei requisiti di partecipazione, dei criteri di selezione e di aggiudicazione[11].
Le disposizioni dettate dall’art. 6 vanno lette in combinato disposto anche con quanto previsto dallo stesso decreto all’art. 5, rubricato “Sospensione dell’esecuzione dell’opera pubblica”, che disciplina i compiti del Collegio consultivo nel caso di sospensione dell’esecuzione dell’opera.
Con riguardo alla sospensione viene previsto, in deroga all’art. 107 c.c.p., che la sospensione, dell’esecuzione di lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 35 c.c.p., anche se già iniziati, può avvenire, esclusivamente, per il tempo strettamente necessario al loro superamento, unicamente per: a) cause previste da disposizioni di legge penale, dal codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nonché da vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea. In tal caso, viene previsto che si debba provvedere “ai sensi del comma 4”: nel caso in cui la prosecuzione dei lavori, per qualsiasi motivo (ivi incluse la crisi o l’insolvenza dell’esecutore anche in caso di concordato con continuità aziendale ovvero di autorizzazione all’esercizio provvisorio dell’impresa) non possa proseguire con il soggetto designato, la stazione appaltante, previo parere del collegio consultivo tecnico, salvo che per gravi motivi tecnici ed economici sia comunque, anche in base al citato parere, possibile o preferibile proseguire con il medesimo soggetto, dichiara senza indugio (in deroga alla procedura di cui all’articolo 108, commi 3 e 4) del c.c.p. la risoluzione del contratto, che opera di diritto, e provvede secondo le modalità alternative previste dallo stesso comma; b) gravi ragioni di ordine pubblico, salute pubblica o dei soggetti coinvolti nella realizzazione delle opere, ivi incluse le misure adottate per contrastare l’emergenza sanitaria globale da COVID-19; c) gravi ragioni di ordine tecnico, idonee a incidere sulla realizzazione a regola d’arte dell’opera, in relazione alle modalità di superamento delle quali non vi è accordo tra le parti. In questa ipotesi è stabilito che il collegio consultivo tecnico “entro quindici giorni dalla comunicazione della sospensione dei lavori ovvero della causa che potrebbe determinarla, adotta una determinazione con cui accerta l’esistenza di una causa tecnica di legittima sospensione dei lavori e indica le modalità, tra quelle di cui al comma 4, con cui proseguire i lavori e le eventuali modifiche necessarie da apportare per la realizzazione dell’opera a regola d’arte. La stazione appaltante provvede nei successivi cinque giorni”; d) gravi ragioni di pubblico interesse.
Per le ipotesi di cui comma 1, lettere b) e d) è previsto che su determinazione del collegio consultivo tecnico, le SA o le autorità competenti, “previa proposta della stazione appaltante, da adottarsi entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione allo stesso collegio della sospensione dei lavori, autorizzano nei successivi dieci giorni la prosecuzione dei lavori nel rispetto delle esigenze sottese ai provvedimenti di sospensione adottati, salvo assoluta e motivata incompatibilità tra causa della sospensione e prosecuzione dei lavori”.
Di particolare rilievo risulta poi il comma 6 ove è stabilito che “salva l’esistenza di uno dei casi di sospensione di cui al comma 1, le parti non possono invocare l’inadempimento della controparte o di altri soggetti per sospendere l’esecuzione dei lavori di realizzazione dell’opera ovvero le prestazioni connesse alla tempestiva realizzazione dell’opera”. Al secondo periodo viene precisato che in sede giudiziale, sia nella fase cautelare che in quella di merito, il giudice deve tenere conto “delle probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché del preminente interesse nazionale o locale alla sollecita realizzazione dell’opera”. Inoltre, l’accoglimento della domanda cautelare viene sottoposto alla previa valutazione circa ai “la irreparabilità del pregiudizio per l’operatore economico, il cui interesse va comunque comparato con quello del soggetto pubblico alla celere realizzazione dell’opera”.
4. Le nuove “incisioni” sulla tutela giurisdizionale”
L’art. 4 detta tutta una serie di modifiche che vanno a incidere sulla conclusione dei contratti pubblici e sul codice del processo amministrativo[12].
Al primo comma viene prevista la modifica dell’art. 32, comma 8, c.c.p. nei termini che seguono.
In particolare, tale disposizione al primo periodo prevedeva che: “Divenuta efficace l’aggiudicazione, e fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell’invito ad offrire, ovvero l’ipotesi di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario”.
Nel decreto è stata prevista non solo la sostituzione dell’inciso “ha luogo” con quello “deve avere luogo” ma ora l’ipotesi di differimento concordata con l’aggiudicatario deve risultare comunque “giustificata dall’interesse alla sollecita esecuzione del contratto”. Dopo questo primo periodo così modificato ne è stato poi aggiunto un altro ove viene previsto che: “La mancata stipulazione del contratto nel termine previsto deve essere motivata con specifico riferimento all’interesse della stazione appaltante e a quello nazionale alla sollecita esecuzione del contratto e viene valutata ai fini della responsabilità erariale e disciplinare del dirigente preposto. Non costituisce giustificazione adeguata per la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto, salvo quanto previsto dai commi 9 e 11, la pendenza di un ricorso giurisdizionale, nel cui ambito non sia stata disposta o inibita la stipulazione del contratto. Le stazioni appaltanti hanno facoltà di stipulare contratti di assicurazione della propria responsabilità civile derivante dalla conclusione del contratto e dalla prosecuzione o sospensione della sua esecuzione”[13].
La disposizione così modificata prevede dunque come obbligatoria la stipula del contratto entro i 60 giorni successivi all’aggiudicazione, fatto salvo: a) l’eventuale esercizio dei poteri di autotutela; b) l’indicazione di un diverso termine all’interno del bando (o dell’invito ad offrire); c) l’ipotesi di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario. Quest’ultima ipotesi tuttavia è sottoposta alla condizione che sia comunque giustificata dall’interesse (pubblico) alla sollecita esecuzione del contratto.
Viene poi previsto che l’eventuale mancata stipula del contratto nel termine previsto deve essere motivata con specifico riferimento sia all’interesse della stazione appaltante che a quello “nazionale” alla sollecita esecuzione del contratto e viene valutata ai fini della responsabilità erariale e disciplinare del dirigente preposto.
A tale proposito, viene peraltro specificato che la pendenza di un ricorso giurisdizionale non costituisce giustificazione adeguata alla mancata stipula del contratto nel termine previsto, salvo quanto previsto dall’art. 32, commi 9 e 11 c.c.p. (sul c.d. stand still sostanziale e processuale), ovvero che essa sia frutto di una inibitoria giurisdizionale. Non è chiaro il senso del termine “disposto”, ma è verosimile che il legislatore intendesse fare riferimento alla sospensione della procedura e, nella fretta, abbia “troncato” la frase prima del complemento oggetto (il testo della legge è tronco alla parola “disposto”, ma è verosimile si tratti di un errore materiale) o inibito detta stipula.
Viene inserita, peraltro, la possibilità per le SA di stipulare contratti di assicurazione della propria responsabilità civile derivante dalla conclusione e dalla prosecuzione o sospensione dell’esecuzione del contratto fuori dalle suddette inibitorie ex lege o iussu iudicis[14].
Modifiche di particolare rilievo vengono previste anche per il rito speciale appalti[15].
Anzitutto, l’art. 4, comma 2, dispone che in caso di impugnazione degli atti relativi alle procedure di affidamento di cui agli articoli 1 (procedure sottosoglia) e 2, comma 2, (procedure sopra soglia aperta, ristretta e negoziata di cui agli artt. 61 e 62 c.c.p) “qualora rientranti nell’ambito applicativo dell’articolo 119, comma 1, lettera a) del c.p.a.”[16] si applica l’articolo 125, comma 2, del medesimo codice. Quest’ultima disposizione stabilisce un particolare onere motivazionale della decisione cautelare, inteso a verificare l'impatto della pronuncia sull'interesse pubblico legato alla celere realizzazione dell'appalto che verrebbe dunque estesa addirittura anche alle procedure sottosoglia.
Al comma 3 del medesimo articolo viene prevista, inoltre l’integrale applicazione dell’art. 125 c.p.a. in caso di impugnazione degli atti relativi alle procedure di affidamento di cui all’art. 2, comma 3, (procedure negoziate nel sopra soglia), compresa, quindi, la previsione riguardante i limiti alla caducazione del contratto a seguito dell’accertata illegittimità dell’aggiudicazione[17]
Ulteriori modifiche (a regime) sono state apportate anche all’art. 120 c.p.a.
In particolare, il comma 6 viene così modificato: “Il giudizio è di norma definito, anche in deroga al comma 1, primo periodo dell’articolo 74, in esito all’udienza cautelare ai sensi dell’articolo 60, ove ne ricorrano i presupposti, e, in mancanza, viene comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata d'ufficio e da tenersi entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente”[18].
Rilevanti modifiche vengono apportate anche al comma 9 che secondo la nuova formulazione ora prevede che: “Il giudice deposita la sentenza con la quale definisce il giudizio entro quindici giorni dall’udienza di discussione. Quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa, il giudice pubblica il dispositivo nel termine di cui al primo periodo, indicando anche le domande eventualmente accolte e le misure per darvi attuazione, e comunque deposita la sentenza entro trenta giorni dall’udienza”[19].
Da tali “incisioni” si evince un chiaro e definitivo favor (quasi a tutti i costi) per la sollecita definizione del merito in sede cautelare.
Nonostante l’art. 120 c.p.a. già prevedesse non solo che il giudizio venisse comunque definito in forma semplificata ma anche la possibilità di definizione immediata nell’udienza cautelare, ciò non è sembrato sufficiente, bensì si è optato per una ordinaria anticipazione del momento decisorio alla fase cautelare. Trascurando, tuttavia, che tale fase, per sua natura e per i tempi strettissimi intercorrenti tra l’udienza e il deposito dei documenti e degli scritti difensivi, non permette di avere una “cognita causa”. A ciò si aggiungano le difficoltà che potrebbero incontrare, nel tentare di garantire tale tutela, sezioni specializzate nella materia degli appalti (si pensi alla V sezione del Consiglio di Stato) gravate da un elevato quantitativo di questioni da dover definire all’esito di una valutazione ad horas.
Sia per le modifiche al comma 6 ma anche per quelle apportate al comma 9, vale sempre la considerazione per cui una tutela “celere” (sempre più celere, in un rito già accelerato all’interno di un processo, quello amministrativo, già particolarmente veloce) non sempre sta a significare la garanzia di una tutela “piena ed effettiva”[20] soprattutto quando, come è stato evidenziato in diverse occasioni, le lentezze e le lungaggini che “paralizzano” gli appalti pubblici non risiederebbero né nella garanzia della concorrenza, né tanto meno nella garanzia del giudice amministrativo, bensì risiederebbero a monte, soprattutto nelle fasi di programmazione e progettazione e non anche (o almeno non solo) in quella di scelta del contraente né in quella giurisdizionale, meramente eventuale [21].
Sarebbe stato forse più utile cogliere quest’opportunità di “semplificazione” per sciogliere, ad esempio, l’annosa questione che vede protagonista proprio l’art. 120 c.p.a. che, al comma 5, fa decorrere il dies a quo per l’impugnazione degli atti (sia per la proposizione del ricorso principale che dei motivi aggiunti) dalla “dalla ricezione della comunicazione di cui all'articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163” (…) ovvero “in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto”.
L’intera previsione, come anche solo il richiamo all’art. 79 del precedente codice, ha creato non pochi problemi interpretativi[22], alcuni dei quali sono stati affrontati da una recentissima pronuncia dell’Adunanza Plenaria (n. 12/2020)[23].
Il Massimo Consesso della Giustizia Amministrativa, dirimendo i quesiti interpretativi che gli erano stati sottoposti, ha poi trasmesso copia della pronuncia alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, “affinché sia disposta una modifica legislativa ispirata alla necessità che vi sia un ‘sistema di termini di decadenza sufficientemente preciso, chiaro e prevedibile', disciplinato dalla legge con disposizioni di immediata lettura da parte degli operatori cui si rivolgono le direttive dell'Unione Europea”.
La possibilità di garantire maggiore certezza alla disciplina della decorrenza di cui all’art. 120, comma 5, c.p.a. è stata invece del tutto ignorata dal decreto.
5. Prime e brevi considerazioni
Da tale breve disamina della disciplina contenuta nel decreto semplificazioni e che dovrà essere applicata (almeno in parte) solo fino al 31 luglio 2021 può forse ipotizzarsi che la semplificazione tanto attesa forse, anche stavolta, tanto semplice non sarà.
Dai primi articoli traspare una prima tendenza: la concorrenza, la massimizzazione della partecipazione degli operatori economici alle procedure, la preferenza per procedure aperte, trasparenti e con più operatori rallentano gli appalti pubblici. Da qui la preferenza (in gran parte nel sotto soglia) per affidamenti diretti e procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando di gara. Ma è davvero così? È davvero la garanzia della concorrenza a rallentare gli appalti pubblici?
Si pensi, ad esempio, alle opere pubbliche. In media nel nostro Paese la realizzazione di un’opera pubblica dura circa 4,4 anni. La fase di progettazione dell’opera è (in media) la fase più lunga e da sola rappresenta più della metà della durata complessiva media (2,5 anni). In media, invece, si impiegano 0,6 anni per la fase di affidamento dei lavori e 1,3 per la loro esecuzione. Sui tempi di realizzazione incidono, tuttavia, i c.d. “tempi di attraversamento” ossia i tempi intercorrenti tra la fine di una fase procedurale e l’inizio di quella successiva oppure addirittura tra le sottofasi (es. tra la progettazione preliminare e quella definitiva), che equivarrebbero in media circa al 54% della durata complessiva della realizzazione di un’opera (valore che sale al 60% se si prende in considerazione la sola fase della progettazione)[24]. L’allungamento di questi tempi sarebbe dovuto in gran parte a “inefficienze amministrative” quali, ad esempio, lungaggini burocratiche e incertezze negli iter autorizzativi.
Sulla base di tali considerazioni, l’aver agito diminuendo la partecipazione degli operatori economici alle procedure di gara e prevedendo non chiari regimi derogatori, porterà davvero a una velocizzazione del procedimento di realizzazione delle opere pubbliche? È davvero l’apertura al confronto competitivo tra imprese che non permette la celere realizzazione delle opere e che rende tale mercato inefficiente?
Tali scelte (almeno a prima lettura) sembrerebbero fondate sull’erronea convinzione che sia la tutela della concorrenza[25] la causa delle inefficienze di tale mercato, come se la garanzia di accesso al mercato sia un interesse unicamente degli operatori privati, come se sia un “lusso” di cui in periodi di crisi (anche economica)si può fare a meno, dimenticando forse che la stessa sia anche (se non principalmente) l’interesse pubblico della (buona) amministrazione ad ottenere le migliori prestazioni, i migliori servizi a prezzi adeguati[26].
L’interesse “nazionale” alla celere realizzazione delle opere, ma anche “l’interesse della stazione appaltante” sono stati inseriti con una certa costanza in diverse disposizioni e sono spesso stati delineati come interessi che devono prevalere praticamente ad ogni costo.
A prima vista sembrerebbero “reminiscenze” di quella visione c.d. contabilistica[27] della normativa in materia di appalti pubblici, venuta poi meno con l’avvento della disciplina UE, ove l’obiettivo primario era quello di garantire le condizioni (economiche) più favorevoli per l’amministrazione e ove la concorrenza veniva tutelata solo di riflesso (e comunque nell’interesse esclusivo dell’amministrazione)[28].
La necessità di garantire un rilievo primario all’interesse della stazione appaltante e quello alla celere realizzazione delle opere a discapito quasi di ogni altro interesse in gioco, sarà una tendenza valida solo fino al luglio 2021?
Sempre nell’ottica di “velocizzare” la realizzazione delle opere pubbliche viene riconosciuto un ruolo di primaria importanza alla figura del “Commissario straordinario” (art. 9 del decreto), a conferma del fatto che l’Amministrazione “ordinaria” viene considerata inadeguata a garantire, tramite procedure non straordinarie, il perseguimento dell’interesse pubblico. Da qui il paradosso che vede le regole dell’evidenza pubblica piegate o forzate proprio laddove (nell’ambito della realizzazione di opere strategiche per lo sviluppo del Paese), invece, dovrebbero dispiegare la loro massima efficacia[29]. Si conferma così il tendenziale favor per l’Amministrazione straordinaria. Eppure, le premesse non sembravano puntare tutte in questa direzione.
Si pensi alla proposta di riforma che era stata presentata, nel mese di giugno, al Presidente del Consiglio dal “Comitato di esperti in materia economica e sociale”[30] ove veniva sconsigliato uno spasmodico utilizzo dell’Amministrazione commissariata[31] in favore invece: a) nel breve periodo, dell’applicazione delle Direttive UE (con possibilità di minime integrazioni per le parti non direttamente applicabili) alle opere di interesse strategico; b) nel lungo periodo, della riforma integrale del Codice dei contratti pubblici in quanto ritenuto l’unico luogo ove possa avvenire un corretto bilanciamento tra i diversi interessi in gioco.
La disciplina delineata nei primi articoli del decreto nasce tesa alla semplificazione, eppure tale obiettivo sembrerebbe doversi raggiungere tramite norme di non chiara interpretazione e nuovi organismi, esterni all’amministrazione, ma che probabilmente comporteranno anche costi ulteriori per la stessa. Nuovi organismi che portano con sé, come visto, nuove competenze e nuovi ruoli che andranno ad inserirsi all’interno di una “macchina”, quella amministrativa, che dovrà comunque imparare a funzionare con “il nuovo”, a recepirlo e ad integrarlo. Cosa che, data anche solo la formulazione delle disposizioni richiamate, non sembra un’impresa di poco conto.
Tutto questo in un tempo ristretto, nell’arco di circa un anno.
Simile discorso è stato fatto, già in sede di commento alla bozza del decreto, anche in merito alle disposizioni analizzate in materia di processo amministrativo. Anche in tal caso è stato ricordato che “un intervento legislativo che assume l'ambiziosa etichetta della semplificazione deve sempre ricordare che l'opzione zero è quasi sempre la migliore”[32].
Norme che richiedevano, invece, chiarimenti e semplificazioni sono rimaste intoccate mentre si è andato ad incidere su disposizioni che forse non avevano bisogno di rimaneggiamenti e che invece sono state modificate a regime. A ciò si aggiunga che il processo amministrativo è di per sé un processo celere, specie nel rito (appunto, accelerato) in materia di contratti pubblici.
Velocizzare ancora di più il processo attraverso il favor per la decisione del merito in sede cautelare, a scapito probabilmente di una tutela piena ed effettiva, abbreviare i tempi del processo e, in particolar modo, quelli della decisone, saranno davvero questi interventi che garantiranno di realizzare “un’accelerazione degli investimenti e delle infrastrutture” e raggiungere così l’obiettivo della riforma?
[1] Il comma 1 prevede la generalizzazione del sistema del rilascio della documentazione antimafia in via d’urgenza, nei procedimenti avviati su istanza di parte, che hanno ad oggetto l’erogazione di benefici economici comunque denominati, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e pagamenti da parte di pubbliche amministrazioni, qualora il rilascio della documentazione non sia immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia di cui all’articolo 96 del Codice antimafia (d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159). Al secondo e terzo comma viene stabilito che per le verifiche antimafia riguardanti l’affidamento e l’esecuzione dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, debba procedersi al rilascio di informativa liberatoria provvisoria immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia nonché tramite l’immediata acquisizione degli esiti delle interrogazioni di tutte le ulteriori banche dati disponibili. L’informativa liberatoria provvisoria consente di stipulare contratti o altri atti sotto condizione risolutiva. Qualora la documentazione successivamente pervenuta accerti poi la sussistenza di una delle cause interdittive, i soggetti che secondo il Codice antimafia (art. 83, commi 1 e 2) sono tenuti all’acquisizione della documentazione antimafia, sono legittimate a recedere dai contratti, fatto “salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite” (comma 4). Il comma 5 stabilisce che con decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, possono essere individuate ulteriori misure di semplificazione relativamente alle Prefetture competenti al rilascio della documentazione antimafia e ai connessi adempimenti. Al comma 6 è precisato che, per quanto non espressamente disciplinato dai commi precedenti, si applicano le disposizioni del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.In merito ai protocolli di legalità, viene previsto l’inserimento di un nuovo articolo (art. 83 bis) all’interno del Codice antimafia ove è stabilito che: “Il Ministero dell’interno può sottoscrivere protocolli, o altre intese comunque denominate, per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di criminalità organizzata, anche allo scopo di estendere convenzionalmente il ricorso alla documentazione antimafia di cui all’articolo 84. I protocolli di cui al presente articolo possono essere sottoscritti anche con imprese di rilevanza strategica per l’economia nazionale nonché con associazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale di categorie produttive, economiche o imprenditoriali, e possono prevedere modalità per il rilascio della documentazione antimafia anche su richiesta di soggetti privati, nonché determinare le soglie di valore al di sopra delle quali è prevista l’attivazione degli obblighi previsti dai protocolli medesimi. I protocolli possono prevedere l’applicabilità delle previsioni del presente decreto anche nei rapporti tra contraenti, pubblici o privati, e terzi, nonché tra aderenti alle associazioni contraenti e terzi”.
[2] Per tali procedure: a) è sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza e, nel caso di servizi e forniture, l’esecuzione del contratto in via d’urgenza ai sensi dell’articolo 32, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016, fermo restando quanto previsto dall’articolo 80 del medesimo decreto legislativo; b) le stazioni appaltanti possono prevedere, a pena di esclusione dalla procedura, l’obbligo per l’operatore economico di procedere alla visita dei luoghi, nonché alla consultazione sul posto dei documenti di gara e relativi allegati ai sensi e per gli effetti dell’articolo 79, comma 2, decreto legislativo n. 50 del 2016. esclusivamente laddove detto adempimento sia strettamente indispensabile in ragione della tipologia, del contenuto o della complessità dell’appalto da affidare; c) in relazione alle procedure ordinarie, si applicano le riduzioni dei termini procedimentali per ragioni di urgenza di cui agli articoli 60, comma 3, 61, comma 6, 62 comma 5, 74, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 50 del 2016. Nella motivazione del provvedimento che dispone la riduzione dei termini non è necessario dar conto delle ragioni di urgenza, che si considerano comunque sussistenti; d) le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture possono essere avviate anche in mancanza di una specifica previsione nei documenti di programmazione di cui all’articolo 21 del decreto legislativo n. 50 del 2016, già adottati, a condizione che entro trenta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore del presente decreto si provveda ad un aggiornamento in conseguenza degli effetti dell’emergenza COVID-19. Di particolare rilievo anche la modifica prevista dall’art. 8, comma 5, lett. b) all’articolo 80, comma 4, c.c.p. E’ stato previsto, infatti, che il quinto periodo di tale ultima disposizione sia sostituito dalla seguente previsione: “Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione ai sensi rispettivamente del secondo o del quarto periodo”.Viene così introdotta una nuova causa di esclusione per irregolarità contributive non definitivamente accertate. Viene poi precisato che l’irregolarità che legittima l’esclusione debba essere una “grave violazione” ossia un’irregolarità fiscale o contributiva pari ad almeno 5.000 euro (art. 48 commi 1 e 2 bis del d.p.r . 602/1973). Tale previsione, tuttavia, non si applica “quando l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, ovvero quando il debito tributario o previdenziale sia comunque integralmente estinto, purché l’estinzione, il pagamento o l’impegno si siano perfezionati anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione delle domande.”.
[3] Per una disamina articolo per articolo delle novità più rilevanti in materia di contratti pubblici sia consentito il rinvio a A. Coiante, Le principali novità del decreto semplificazioni in materia di Contratti pubblici, in lamministrativista.it, 20 luglio 2020.
[4] Le attuali soglie comunitarie, modificate da ultimo dai Regolamenti (UE) 2019/1827, 1828, 1829, 1830, sono in vigore dal 1 gennaio 2020 e sono così individuate: nei settori ordinari, per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni la soglia di rilevanza europea è di euro 5.350.000. Per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative centrali è invece di euro 139.000. Per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali; tale soglia si applica anche agli appalti pubblici di forniture aggiudicati dalle autorità governative centrali che operano nel settore della difesa la soglia è di euro 214.000 mentre è di euro 750.000 per gli appalti di servizi sociali. Nei settori speciali, le soglie di rilevanza comunitaria sono di: euro 5.350.000 per gli appalti di lavori; di euro 428.000 per gli appalti di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione; e di euro 1.000.000 per i contratti di servizi, per i servizi sociali.
[5] Tale disposizione prevede che “fermo restando quanto previsto dagli articoli 37 e 38 e salva la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie” le stazioni appaltanti possono procedere all’affidamento di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35, secondo le seguenti modalità: “a) per affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, mediante affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici o per i lavori in amministrazione diretta; b) per affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i lavori, o alle soglie di cui all’articolo 35per le forniture e i servizi, mediante affidamento diretto previa valutazione di tre preventivi, ove esistenti, per i lavori, e, per i servizi e le forniture, di almeno cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti. I lavori possono essere eseguiti anche in amministrazione diretta, fatto salvo l’acquisto e il noleggio di mezzi, per i quali si applica comunque la procedura di cui al periodo precedente. L’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l’indicazione anche dei soggetti invitati; c) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro, mediante la procedura negoziata di cui all’articolo 63 previa consultazione, ove esistenti, di almeno dieci operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici. L’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l’indicazione anche dei soggetti invitati; c-bis) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro e inferiore a 1.000.000 di euro, mediante la procedura negoziata di cui all’articolo 63 previa consultazione, ove esistenti, di almeno quindici operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici. L’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l’indicazione anche dei soggetti invitati; d) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 1.000.000 di euro e fino alle soglie di cui all’articolo 35, mediante ricorso alle procedure di cui all’articolo 60, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 97, comma 8”.
[6] Disposizione da raccordare con l’art. 32 c.c.p. (per come modificato dal decreto) secondo cui “Non costituisce giustificazione adeguata per la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto, salvo quanto previsto dai commi 9 e 11, la pendenza di un ricorso giurisdizionale, nel cui ambito non sia stata disposta o inibita la stipulazione del contratto”. Si veda infra.
[7] Tale previsione deve essere letta alla luce di quanto previsto dagli artt. 21 e 23 del decreto in materia di responsabilità erariale e di abuso d’ufficio. In particolare, L’art. 21 sulla “Responsabilità erariale” prevede che all’art.1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, dopo il primo periodo venga inserito il seguente: “La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso.” Tale disposizione risulterebbe così modificata: “La responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l'insindacabilità' nel merito delle scelte discrezionali. La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso. In ogni caso è esclusa la gravità della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall'emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell'esercizio del controllo”. Inoltre, viene previsto, al secondo comma dell’art. 21, che per i fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 luglio 2021, “La responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente.” Emerge dunque una normativa che, da un lato, riduce le ipotesi di responsabilità erariale commissiva e, dall’altro, tale limitazione di responsabilità non viene applicata all’omissione e all’inerzia dei decisori. Sulla stessa linea si pongono le modifiche previste (art. 23) per il reato di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 c.p. Viene previsto, infatti, che “all’articolo 323, primo comma, del codice penale, le parole “di norme di legge o di regolamento,” sono sostituite dalle seguenti: “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. La disposizione sarebbe quindi così modificata: “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni”. Per un’approfondita analisi della tematica e delle modifiche previste nel decreto, si rinvia al Webinar del 13 luglio 2020 “Abuso d’ufficio e responsabilità amministrativa: il difficile equilibrio tra legalità ed efficienza”, introdotto e coordinato da M.A. Sandulli e visionabile al link: https://www.youtube.com/watch?v=1IgaLDRdCU8&t=8s. ; e anche al contributo di V. Manes, Semplificare l’abuso d’ufficio. “Bene il governo, ma la discrezionalità è sempre dei Pm, ilfoglio.it, 15 luglio 2020.
[8] Si veda la nota n. 2.
[9] Le stazioni appaltanti possono decidere di istituire il Collegio consultivo anche per le opere diverse dalle suddette con tutti i compiti previsti dall’art. 6 o anche solo alcuni di essi (comma 4).
[10] Ai sensi dell’art. 6, comma 2, è previsto che “Il collegio consultivo tecnico è formato, a scelta della stazione appaltante, da tre componenti, o cinque in caso di motivata complessità dell’opera e di eterogeneità delle professionalità richieste, dotati di esperienza e qualificazione professionale adeguata alla tipologia dell’opera, tra ingegneri, architetti, giuristi ed economisti con comprovata esperienza nel settore degli appalti delle concessioni e degli investimenti pubblici, anche in relazione allo specifico oggetto del contratto e alla specifica conoscenza di metodi e strumenti elettronici quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture (BIM), maturata per effetto del conseguimento di un dottorato di ricerca ovvero di una dimostrata pratica professionale per almeno cinque anni nel settore di riferimento”.
[11] In tale caso due componenti sono nominati dalla stazione appaltante e il terzo componente è nominato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per le opere di interesse nazionale, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e Bolzano o dalle città metropolitane per le opere di interesse locale.
[12] Per un’analisi approfondita di tali modifiche, con riferimento alla bozza del decreto, si rinvia al contributo di M. Lipari, La proposta di modifica del rito appalti: complicazioni e decodificazioni senza utilità?, in lamministrativista.it, 3 luglio 2020. In generale sulle criticità della normativa “emergenziale” nel processo amministrativo v. ex multis: M.A. Sandulli, Cognita causa, rielaborazione della Relazione al webinar del 30 giugno/1 luglio 2020 su L'emergenza Covid e i suoi riflessi sul processo amministrativo. Principi processuali e tecniche di tutela tra passato e futuro, in Questa rivista, 6 luglio 2020 e ivi gli ulteriori richiami (il webinar è visionabile ai seguenti link: https://www.youtube.com/watch?v=8fBPo-RfN8s&t=20s; https://www.youtube.com/watch?v=Jz6Tv-fGk6E). Sulla normativa emergenziale in tema di giustizia amministrativa e sul ruolo del giudice amministrativo si richiamano i seguenti webinar: Il processo amministrativo e il Covid-19 introdotto e coordinato da M.A. Sandulli e ascoltabile su https://www.youtube.com/watch?v=qv33zNnY6I8; il webinar organizzato dall’AIPDA su Poteri del giudice amministrativo e efficienza della pubblica amministrazione in materia di appalti, coordinato da C. Barbati e ascoltabile su https://www.youtube.com/watch?v=HZhPESkwTD8; il webinar Emergenza sanitaria, diritto e (in)certezza delle regole, introdotto e coordinato da M.A. Sandulli, https://www.youtube.com/watch?v=o8vebWv7iKw.
[13] Da ciò risulta il nuovo testo dell’art. 32, comma 8, c.c.p.: “Divenuta efficace l’aggiudicazione, e fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione deve avere luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell’invito ad offrire, ovvero l’ipotesi di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario, purché comunque giustificata dall’interesse alla sollecita esecuzione del contratto. La mancata stipulazione del contratto nel termine previsto deve essere motivata con specifico riferimento all’interesse della stazione appaltante e a quello nazionale alla sollecita esecuzione del contratto e viene valutata ai fini della responsabilità erariale e disciplinare del dirigente preposto. Non costituisce giustificazione adeguata per la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto, salvo quanto previsto dai commi 9 e 11, la pendenza di un ricorso giurisdizionale, nel cui ambito non sia stata disposta o inibita la stipulazione del contratto. Le stazioni appaltanti hanno facoltà di stipulare contratti di assicurazione della propria responsabilità civile derivante dalla conclusione del contratto e dalla prosecuzione o sospensione della sua esecuzione”.
[14] Sulla inadeguatezza di alcune delle scelte compiute in sede di riforma v. M. A. Sandulli, L'Adunanza Plenaria n. 12/2020 esclude i “ricorsi al buio” in materia di contratti pubblici, mentre il legislatore amplia le zone grigie della tutela, lamministrativista.it, 16 luglio 2020, ora anche in Questa rivista, ove è stato evidenziato il sistema che verrebbe a delinearsi dalla scelta di estendere la portata dell’art. 125 , ma anche da quella di prevedere un'ipotesi specifica di responsabilità erariale e disciplinare a carico dei funzionari che, anche in pendenza di contenziosi, non procedono tempestivamente alla stipula e all'avvio dell'esecuzione dei contratti o, se il ritardo è imputabile all'operatore economico, l'esclusione di dritto di quest'ultimo dalla procedura o la risoluzione del contratto per suo inadempimento. Da tali possibilità conseguirebbe, infatti, che “gli affidamenti contra legem per i quali il soggetto leso non sia riuscito a superare i riferiti ostacoli frapposti all'accoglimento dell'istanza cautelare producono indisturbati i loro effetti, con pregiudizio irreparabile dei concorrenti (soprattutto le PMI) illegittimamente esclusi o mal valutati e degli utenti (esposti anche a rischi di sicurezza) e, soprattutto, della legalità. Si tratta di danni seri e gravi, che si aggiungono a quello del rischio del risarcimento gravante sulla stazione appaltante e, di risulta, sulla collettività, che il decreto avrebbe cercato di attenuare riconoscendo la possibilità delle stazioni appaltanti di stipulare (evidentemente a caro prezzo) appositi contratti di assicurazione (!)”.
[15] Le modifiche realizzate sembrerebbero confermare i timori avanzati da S. Cogliani nella sua relazione nel Webinar “Emergenza sanitaria, diritti e (in)certezza delle regole” del 30 aprile 2020 (introdotto e coordinato da M.A. Sandulli e visionabile al link: https://www.youtube.com/watch?v=o8vebWv7iKw&t=10s) ove poneva l’attenzione sulla possibilità che il periodo emergenziale venisse utilizzato come “cavallo di Troia” per inserire definitivamente norme speciali e accelerate all’interno del processo amministrativo. Sul rapporto tra normativa emergenziale e garanzia di una tutela effettiva v. ex multisanche F. Francario, Diritto dell’emergenza e giustizia nell'amministrazione. No a false semplificazioni e a false riforme, in Osservatorio emergenza covid-19, federalismi.it ove l’A. evidenzia che l’emergenza Covid 19 ha reso il processo amministrativo “oggetto di un attacco concentrico, arrecato ab externo, dalla tendenza a depotenziarne efficacia e incisività nei confronti dell’attività contra jus della pubblica amministrazione , e , per così dire , dall’interno, attraverso una strisciante ma costante riduzione delle garanzie tipiche di un processo giurisdizionale che tende a ricondurlo nei limiti originari di una procedura paragiurisdizionale”.
[16] Tale richiamo sarebbe del tutto inutile, in quanto il rito di cui all'art. 125 presuppone l'applicabilità degli articoli 119 e 120 e anche fuorviante, perché lascia supporre che le innovazioni sostanziali portate dal decreto in itinere potrebbero riferirsi a procedure di scelta del contraente non soggette al rito speciale. Così M. Lipari, op. cit.
[17] Sui limiti di tale scelta si rinvia ancora una volta al contributo di M. Lipari, op.cit.
[18] A fronte di quanto previamente previsto dallo stesso comma 6: “Il giudizio, ferma la possibilità della sua definizione immediata nell'udienza cautelare ove ne ricorrano i presupposti, viene comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata d'ufficio e da tenersi entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente”.
[19] Il comma 9 prevedeva che: “Il Tribunale amministrativo regionale deposita la sentenza con la quale definisce il giudizio entro trenta giorni dall'udienza di discussione; le parti possono chiedere l'anticipata pubblicazione del dispositivo, che avviene entro due giorni dall'udienza”.
[20] Su queste tematiche e sulla deriva verso una prevalenza del processo breve sul processo giusto v. ex multis: M.A. Sandulli, Il tempo del processo come bene della vita, in federalismi.it, 1 ottobre 2014.
[21] A. Pajno, nel Webinar “Ripresa economica e riforma dei contratti pubblici: quali problemi per quali soluzioni?” del 4 maggio 2020, ha ricordato che la fase più lunga sarebbe quella della progettazione e che ulteriori ritardi procedurali sono dovuti ai diversi momenti di “traghettamento” da una fase all’altra.
[22] Si richiama anche la questione sottoposta dal TAR Puglia, Lecce, (ord. 2 marzo 2020, n.297) alla Corte costituzionale sempre in merito all’art. 120, comma 5, c.p.a. e alla disciplina della decorrenza in esso contenuta. Il TAR, infatti, ha proposto q.l.c. in merito all’art. 120, comma 5, c.p.a. nella parte in cui fa decorrere il termine di trenta giorni per la proposizione dei motivi aggiunti dalla ricezione della comunicazione dell’aggiudicazione di cui all’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006, per contrasto con il diritto di difesa e il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost.
[23] Per un’analisi della pronuncia v. S. Tranquilli, L'Adunanza Plenaria sul dies a quo per impugnare l'aggiudicazione: il mancato coordinamento tra Codice e c.p.a. non deve pregiudicare il diritto di difesa, in lamministrativista.it, 3 luglio 2020.
[24] Dati e considerazioni ricavate dal Paper della Banca D’Italia “Questioni di Economia e finanza. Capitale e investimenti pubblici in Italia: effetti macroeconomici, misurazione e debolezze regolamentari”, 19 ottobre 2019 n. 520.
[25] Intesa in particolar modo quale concorrenza per il mercato.
[26] Di tale avviso anche G. Olivieri, Semplificazione e tutela della concorrenza: valori a confronto, relazione nel webinar Contratti pubblici e decreto semplificazione, presieduto e coordinato da G. Severini, 20 luglio 2020. Sulle recenti derive “patologiche” della tutela della concorrenza v. F. Cintioli, Per qualche gara in più, Rubettino, 2020.
[27] Con la precisazione, tuttavia, che la normativa in materia di contabilità dello stato (si fa riferimento al r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e al regolamento attuativo approvato con r.d. 23 maggio 1924, n. 824) era in gran parte finalizzata a garantire una corretta gestione del denaro pubblico, questo intervento riformatore sembra, invece, prospettare costi ulteriori (e forse non necessari) per l’amministrazione (si pensi ai contratti di assicurazione o ai costi che deriveranno dalla nomina del Collegio consultivo tecnico).
[28] Sull’originaria anima “contabilistica” dei contratti pubblici v. M. Clarich, Contratti pubblici e concorrenza, relazione per il 61 Convegno di Studi Amministrativi su “La nuova disciplina dei contratti pubblici fra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione”, Varenna 17-19 settembre 2015, in astrid-online.it, 19, 2015. Su queste tematiche v. anche ex multis: S. Simone-L. Zanetti, Appalti pubblici e concorrenza, in (a cura di) L. Fiorentino, Lo Stato compratore. L’acquisto di beni e servizi nelle pubbliche amministrazioni, Bologna, 2007, 119 ss. Sugli interessi astrattamente tutelabili mediante il ricorso alle procedure di gare v. M. Cafagno, Lo Stato banditore. Gare e servizi locali, Milano, 2001, 120.
[29] Tale tendenza è stata riscontrata anche da A. Farì, L’uso strategico dei contratti pubblici, in (a cura di) M. Cafagno-F. Manganaro, L’intervento pubblico nell’economia, Firenze University Press, 2016, 441 ss.
[30] Per approfondimenti sia consentito rinviare a A. Coiante, Il futuro del Codice dei contratti pubblici al vaglio del Comitato di esperti per il rilancio dell’economia italiana nel periodo post emergenza, in lamministrativista.it, 10 giugno 2020.
[31] In particolare, veniva rilevato che gli interventi tesi alla accelerazione delle “grandi opere”, forzando in modo significativo passaggi o competenze, hanno spesso portato a significative reazioni in sede contenziosa. Allo stesso modo, norme speciali o emergenziali e commissariamenti non hanno mai condotto a risultati positivi concreti se non in casi condizionati da alti livelli di pressione sociale (i due esempi riportati sono stati quelli di Expo2015 e del Ponte di Genova).
[32] M. Lipari, op. cit.