ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Leggende metropolitane. Il Pm è il bersaglio di populisti e garantisti. Lo stesso giorno e sullo stesso caso possiamo leggere critiche al Pm inefficace, garantista peloso, per taluno, e, per altri, giustizialista forcaiolo.
Il Pm è oggetto privilegiato di leggende metropolitane.
Leggenda metropolitana n.1.
E' una peculiarità italiana il ruolo centrale assunto dal Pm e dalla magistratura tutta.
“Vi sono stati tempi e luoghi nei quali i protagonisti centrali della giustizia penale […] sono stati i giudici. Oggi le figure centrali nei sistemi di giustizia penale in gran parte del mondo appaiono essere sempre più i pubblici ministeri.[2]
Così si apre un recentissimo studio coordinato da due professori americani dal titolo Prosecutors and democracy. Quanto allo strapotere della magistratura italiana, risale a 30 anni fa uno studio coordinato da un professore americano e da uno svedese intitolato The global expansion of judicial power[3].
Guardare appena fuori dai confini dello stivale non sarebbe difficile e questa “peculiarità italiana” evaporerebbe.
Leggenda metropolitana n.2.
Parte da questo pseudo sillogismo. Premessa maggiore: il “modello del processo accusatorio” prescrive la regola a); premessa minore: l’Italia ha adottato quel modello; conclusione: la regola a) deve essere prescritta in Italia.
Sillogismo perfetto nel mondo dei concetti, ma su questa terra non si triva il “modello del processo accusatorio”.
Un esempio di scuola di fallacia sillogistica. Poi a seguire questi pseudosillogismi si dovrebbe introdurre l’obbligo di assumere la posizione di testimone per l’imputato che intendesse rendere dichiarazioni.
Una grande studiosa francese, recentemente scomparsa, Mireille Delmas-Marty già qualche anno fa scriveva che ormai si deve considerare superata la vecchia disputa, di tipo ’teologico’, tra i sostenitori del modello accusatorio e i sostenitori del modello inquisitorio, a vantaggio di un modello ‘contraddittorio’”.[4]
Il modello accusatorio puro non esiste neppure nel mondo anglosassone, che è sempre più differenziato. Nei film di Perry Mason la difesa distrugge la tesi dell’accusa e la giustizia trionfa: happy end. La realtà è altra Negli Stati Uniti circa il 97% dei casi è definito con patteggiamenti tra il prosecutor, che ha una discrezionalità illimitata persino sulla qualificazione del reato e l’indagato, con un intervento del tutto marginale del giudice. Lo “splendore” del processo dinanzi ai giurati ove accusa e difesa si fronteggiamento in leale battaglia nell’interrogatorio e controinterrogatorio dei testimoni è riservato al 3% dei casi, per di più con una discriminazione economica decisiva in favore di coloro che possono permettersi la costosissima difesa dell’avvocato privato. Si dice che in Italia vi siano 50 milioni di Commissari Tecnici pronti a dettare la formazione della Nazionale di Calcio. Non 50 milioni ma sono in molti ad essersi improvvisati esperti di ordinamento giudiziario e processuale penale comparato. Sono disponibili agevolmente disponibili diversi testi in inglese e anche in italiano. Ma un esercizio più facile e gradevole è rivedere qualche buon vecchio film, oggi facilmente scaricabile sul proprio pc con modica spesa.
Due famosi film del 1957 ci mostrano il rito accusatorio declinato in modo marcatamente diverso nel mondo anglosassone nei due lati dell’oceano: La parola ai giurati (Twenty Angry Men) di Sidney Lumet protagonista Henry Fonda ambientato a New York e Testimone d’accusa (Witness for the Prosecution) di Billy Wilder con Charles Laughton e Marlene Dietrich ambientato a Londra.
A New York un aggressivo e superficiale procuratore distrettuale, che deve rispondere ai suoi elettori vuole comunque un colpevole per la sedia elettrica. A Londra l’accusa è rappresentata da un avvocato barrister del libero foro in toga e parrucca.
Nei film di Perry Mason la giustizia trionfa: happy end. Non sempre purtroppo la giuria, “fa giustizia”: il difensore, impersonato da Gregory Peck può smontare tutte le tesi dell’accusa, ma vince il pregiudizio come vediamo nel drammatico finale del film del 1962 Il Buio oltre la siepe di Robert Mulligan.
Leggenda metropolitana n.3.
L'assetto italiano del PM è anomalia assoluta rispetto al "modello" di Pm comune a tutte le altre democrazie occidentali.
Il modello Statunitense del District attorney statale, per lo più eletto in lista di partito insieme al sindaco e allo Sceriffo, capo della polizia locale e dell’Attorney General federale di nomina poltica è unico all’interno dello stesso mondo anglosassone. La figura della pubblica accusa ha subìto in Inghilterra una innovazione sostanziale con la creazione nel 1986 del Crown Prosecution Service, sempre molto distante dal sistema americano. Ma a chi da Londra volesse muoversi per trovare un processo penale con significative varianti e addirittura residui del sistema inquisitorio basterebbe spostarsi poco più a nord nell’isola britannica e raggiungere Edimburgo. Il sistema del Pm di Inghilterra e Galles non si applica in Scozia. Il Regno Unito è alquanto disunito sulla figura del Pm.
Lo studio tuttora più approfondito sul Pm in Europa esordisce con la constatazione “Il pubblico ministero rimane l’istituzione più diversificata in Europa”.[5]
“Quante figure di pubblico ministero…” è il titolo del capitolo sul Pm di un volume sulle procedure penali d’Europa, pubblicato anche in versione italiana[6].
Semplicemente, un modello di Pm comune alle democrazie occidentali non c’è. Vi sono molteplici figure di pm, riti processuali tendenzialmente accusatori e tendenzialmente accusatori e non necessariamente i secondi sono più garantisti dei primi. La comparazione non è scienza di modelli ma richiede attenta considerazione e degli assetti costituzionali ed istituzionali complessivi e del “diritto vivente”, spesso diverso da quello dei testi. Nella comparazione non vi è spazio per dilettantismi
Problemi aperti.
Pm, “avvocato dell’accusa” si dice. La ulteriore forzatura polemica “avvocato della polizia” è del tutto incompatibile con il nostro sistema processuale e, ancor prima, con i principi costituzionali. Il Pm può essere definito” avvocato dell’accusa” solo che si precisi “avvocato della pubblica accusa” e dunque con ruolo e doveri radicalmente distinti dall’ “avvocato della difesa”. Il Pm ha un duplice volto: costruisce e sostiene l’accusa, ma come parte pubblica ha un dovere di verità che lo differenzia radicalmente dall’avvocato difensore.
L’obbiettivo del processo penale è ovunque quello di stabilire la verità. A far giustizia di sbrigative posizioni che taluno ha voluto trarre dai principi del processo accusatorio, giova una citazione da un testo del 2001 di Lord Justice Auld (all’epoca presidente di un Royal Commission sulla riforma del processo penale inglese):Il processo penale non è un gioco. E’ la ricerca della verità secondo la legge, attraverso una procedura accusatoria nella quale l’accusa deve provare la colpevolezza secondo uno standard particolarmente elevato.[7]
Con la riscrittura nel 1999 dell’art. 111 della Costituzione si è costituzionalizzato non il mitico modello del “processo accusatorio”, ma il metodo del contraddittorio che, come ha scritto Glauco Giostra “costituisce uno strumento, ancor oggi il meno imperfetto, per la ricerca della verità, o, meglio, per ridurre il più possibile lo scarto tra la verità giudiziale e la verità storica”.[8]
Nel processo di fronte al giudice nel dibattimento accusa e difesa concorrono nel confronto contraddittorio alla raccolta delle prove.
Per il difensore, ferme le regole procedurali, unico obbiettivo e insieme rigoroso obbligo deontologico è la difesa del cliente; per il Pm, a livello di regola processuale e di obbligo deontologico, unico obbiettivo è la ricerca della verità, anche se contrasti con la sua iniziale tesi accusatoria e si traduca in acquisizioni a favore dell’imputato.
“Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità” (art.111 co. 2 Costituzione).
Ma il principio di parità non opera a tutto campo: il Pm nella richiesta al Giudice dell’Indagine Preliminare di emettere una misura cautelare è tenuto a presentare “gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell'imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate” (art. 291 codice di procedura penale). Ovviamente al difensore è precluso rendere noti elementi a carico dell’imputato.
L’inevitabile asimmetria tra accusa e difesa ci richiama il concetto di Pm come “parte imparziale”, spesso sbrigativamente liquidato come ossimoro: “quintessenza del fariseismo giuridico”, “più il pubblico ministero è parte e più il cittadino è garantito” così si esprime un noto avvocato penalista.[9]
Se qualche magistrato nella foga polemica si spinge a dire che il mondo invidia il modello italiano di Pm dice una evidente sciocchezza. Ma la nostra Costituzione è stata lungimirante: il tema della imparzialità ovunque è visto come nodo centrale nella definizione della figura del Pm. Non è un caso che negli ultimi decenni vi sia stata una straordinaria proliferazione a livello internazionale di testi, tra i quali lo Statuto della Corte Penale Internazionale, che pongono il principio dell’imparzialità del Pm (declinata talora con il termine “obbiettività” in lingua inglese). [10]
Il regolamento istitutivo della Procura Europea (Eppo) richiama il principio di imparzialità all’art 5.4:” L’Eppo svolge le indagini in maniera imparziale e raccoglie tutte le prove pertinenti, sia a carico che a discarico”.[11]
In un lavoro di due noti avvocati torinesi, Gianaria e Mittone, il concetto di ossimoro è rivisitato proprio con riferimento al ruolo del difensore. La sua è una “lealtà divisa” vissuta quotidianamente rispettando tanto lo Stato quanto chi è accusato di averne violato le regole. Può sembrare un ossimoro che vuol nascondere ambiguità, ma praticare con rigore dedizione la “lealtà divisa” significa manifestare l'identità forte della professione di avvocato. Questi non può avere perplessità: il suo posto è accanto al cittadino coinvolto nelle strettoie della giustizia, la sua fatica consiste nello studiare e praticare le scelte a questo più favorevoli”.[12]
Il bel saggio dei due avvocati torinesi da cui ho tratto questa citazione è intitolato “L’avvocato necessario”. In un ordinamento penale democratico l’avvocato è necessario a rappresentare l’istanza di “libertà” contro la pretesa di “autorità” delle istanze che esprimono il legittimo monopolio della forza da parte dello Stato, su cui si regge la civile convivenza.
Nel processo l’avvocato non è solo necessario, ma indispensabile. Per il Pm è “indispensabile” il confronto con un avvocato difensore, agguerrito che sia capace di convincerlo della infondatezza della tesi di accusa, inducendolo richiedere la archiviazione della indagine o l’assoluzione all’esito del dibattimento; ma capace anche di stimolarlo ad argomentare la sua tesi nel modo più convincente davanti al giudice, quando il Pm rimanga fermo della sua impostazione di accusa
Difesa e accusa, avvocati e pubblici ministeri: principi comuni, ruoli e regole deontologiche specifici. Semplificazioni ed elusioni di temi difficili non giovano all’analisi.
L’indebito “protagonismo”, la scarsa professionalità di alcuni Pm, sono patologie che vanno affrontate. La questione del ruolo del Pubblico Ministero, che in Italia, come ovunque nel mondo, ha assunto un ruolo centrale nel sistema della giustizia penale, non la si risolve con gli slogan e le scorciatoie semplicistiche o surreali.
Vi è stato chi, muovendo da regole di galateo nei rapporti tra giudici e Pm che non dovranno più “darsi del tu” si è avventurato addirittura sul terreno dell’edilizia giudiziaria: “gli studi professionali non sono nel palazzo di giustizia. Non deve esistere un palazzo di giustizia ma uno della giurisdizione e l'altro degli uffici della pubblica accusa”. [13] Dovranno forse i futuri piani regolatori delle città prevedere distanze minime tra i rispettivi palazzi di giudici e Pm e magari “zone verdi cuscinetto”? Una alternativa al Superbonus per sostenere l’edilizia?
Il Presidente dell’Unione delle Camere penali in una recente intervista alla domanda “Come replica a chi dice che, con la separazione e i due Csm, i Pm avrebbero ancora più potere?” non ha esitato a rispondere: Bisogna smetterla di prendere in giro le persone. Questo non è un argomento serio. Chi ci garantisce dal pubblico ministero è il giudice. Il Pm può essere anche un poliziotto allo stato puro, un appartenente ad uno squadrone della morte, cosa che comunque non avverrebbe, ma non potrebbe fare nulla perché, se il giudice non è d'accordo, non può arrestare, non può sequestrare, non può adottare misure di prevenzione patrimoniale.[14]
Un Pm “poliziotto allo stato puro”, dotato di discrezionalità illimitata lo conosciamo già: è quello dell’ordinamento statunitense, che penso nessuno, proprio nessuno, auspichi di replicare da noi. E poi dove sono finite tutte le giuste osservazioni sul grande potere che il Pm esercita nella fase iniziale segreta delle indagini, fuori del controllo del giudice e senza contraddittorio con la difesa?
La foga polemica porta fuori strada e altrettanto le battute sull’arbitro che, si dice “indosserebbe la stessa maglia di una delle due squadre in campo”. Ma il processo non è una partita in cui uno perde e uno vince e non vi sono due simmetriche squadre in campo, tanto diversi sono principi, ruoli e deontologia di accusa e difesa. Il singolo Pm o il singolo difensore potrà ritenersi non appagato dalla decisione del giudice che non ha accolto la rispettiva richiesta e potrà fare appello. Ma in quanto figure processuali la pubblica accusa ha “vinto la causa” anche se l’imputato è stato assolto, dopo che l’accusa è stata anche appassionatamente (e correttamente) sostenuta e la privata difesa ha “vinto” la causa anche se l’imputato è stato condannato dopo che la difesa è stata appassionatamente (e correttamente) sostenuta. L’obbiettivo comune è che vinca la verità, o meglio, per riprendere le parole già citate di Glauco Giostra che “sia ridotto il più possibile o scarto tra la verità giudiziaria e la verità storica”.
Questioni complesse non sopportano ricette semplicistiche o battute che muovono da una premessa inesistente.
Per il Pubblico ministero oggi il cantiere aperto è quello della professionalità, della accountability e della deontologia. Sono temi che toccano tutti e tre gli attori della giustizia: giudici, avvocati e pubblici ministeri. Piuttosto che separare, dividere occorre impegnarsi per unire, nella costruzione di una comune cultura tra tutti gli esponenti delle professioni giuridiche, Università compresa. Un progetto ambizioso, ma ineludibile. Questo è il vero cantiere aperto su cui devono misurarsi le diverse istituzioni della magistratura e dell’avvocatura e le rispettive associazioni nell’interesse della giustizia e della garanzia dei diritti.
[1] Intervento al IV Congressi Nazionale di Area Democratica per la Giustizia Palermo 30 settembre 2023
[2] M. Langer, D.A.Sklansky (edit.), Prosecutors and Democracy. A Cross-National Study, Cambridge University Press,2018, p.1
[3]C.N. Tate, T. Vallinder (edit),The global expansion of judicial power, New York University Press, 1995
[4] ”M. Delmas-Marty, Introduzione in Procedure penali d’Europa, a cura di M. Delmas-Marty, II ed. italiana a cura di M. Chiavario, Cedam, Padova, 2001, pp.10 e 21
[5] A. Perrodet, Etude pour un ministère public européen, LGDJ, Paris 2001, p.1 Le ministère public reste l’institution la plus diversifiée en Europe
[6] Procedure penali d’Europa, a cura di M. Delmas-Marty, II ed. italiana a cura di M. Chiavario, Cedam, Padova, 2001
[7]In A rewiew of the Criminal Courts of England and Wales, september 2001, www.criminal-courts-rewiew.org.uk, p. 11: «The criminal process is not a game. It is a search for truth according to law, albeit by an adversarial process in which the prosecution must prove guilt to a heavy standard»
[8] G. Giostra, Prima lezione sulla giustizia penale, Laterza, Bari-Roma 2020, p. 45
[9] G.Benedetto, Non diamoci del tu. La separazione delle carriere, Rubettino, Soveria Mannelli 2022, p.33 e 31
[10] M. Robert,Quale imparzialità per il pubblico ministero?, in Questione giustizia, 2005, 2, p. 402 ss...
[11] Regolamento (Ue) 2017/1939 del Consiglio del 12 ottobre 2017 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO»
[12] F. Gianaria, A. Mittone, L’avvocato necessario, Einaudi, Torino 2007 p. 49
[13] G.Benedetto, Non diamoci del tu, La separazione delle carriere, Rubettino, 2022 p 68
[14] Intervista di V. Stella all’ avv.Gian Domenico Caiazza, Il Ministro ascolti i cittadini e non i veri dei pm in congedo, Il Dubbio, 22 agosto 2023, p.1-2
“I diritti sotto attacco”. Introduzione di Egle Pilla Palermo, 29 settembre 2023
sommario: 1. premessa - 2 -Il tema delle riforme costituzionali - 3. Il lavoro - 4. La libertà di stampa - 5. L’immigrazione-6. I diritti. - 6.1 La famiglia -6.2. Il Carcere - 6.3. Il fine vita- 6.4 La violenza sulle donne.
1.Premessa.
Vorrei solo offrire qualche riflessione quanto alle ragioni che ci hanno spinto ad organizzare la Tavola rotonda “I diritti sotto attacco.”
Come avrete avuto modo di verificare dalla lettura del programma, quello di oggi pomeriggio è l’unico panel congressuale, al quale seguirà - sin da oggi e nei giorni a seguire - il dibattito libero che darà voce ai colleghi ed amici che vorranno intervenire e ad autorevoli esponenti della politica, dell’avvocatura, dell’accademia, dell’associazionismo, del giornalismo.
Questo momento preliminare di confronto tra esperti, dunque, rappresenta nelle nostre intenzioni, un’ideale linea di partenza per il percorso a seguire, un luogo per ragionare insieme dello stato di salute della nostra democrazia e dunque dei diritti fondanti lo stato democratico.
Li abbiamo definiti “diritti sotto attacco”, operando già in tal modo una scelta di campo, manifestando preoccupazione e nutrendo timore per la salvaguardia degli stessi.
Ma quali diritti? Quale attacco?
C’è un filo rosso che lega indissolubilmente i diritti di cui oggi discuteremo, che li annoda con forza e li rafforza: è la nostra Costituzione.
La Costituzione nel suo nucleo fondante e quindi nei valori tradotti in principi si anima quando, ponendosi a contatto con i casi della vita, ci aiuta a risolverli.
La Costituzione è sopra di noi, oltre le diverse sensibilità e non può cedere ad interessi particolari; il momento attuale, tuttavia, è un momento di grande incertezza e di fragilità e quando la Costituzione da luogo di concordia diventa terreno di controversia; quando la Costituzione non è più difesa, ma ritenuta non adeguata e dunque da modificare, occorre interrogarsi se e in che modo quei diritti in essa consacrati, valori fondativi di una identità democratica siano in pericolo.
Partendo da questa premessa, e non dimenticando la cornice più ampia che ha dato titolo al nostro congresso (Il ruolo della giurisdizione al tempo del maggioritarismo), abbiamo affidato a ciascuno dei nostri ospiti un tema che, nell’attuale contesto sociopolitico, rappresenta in maniera, più o meno dichiarata, il bersaglio di questi attacchi.
2. Il tema delle riforme costituzionali.
Uno dei punti più evocati nell’agenda di governo è sicuramente quello delle riforme istituzionali e del progetto di riforma costituzionale relativo al sistema di governo nelle forme del presidenzialismo o del premierato.
È atteso il testo di un disegno di legge, che ha visto una previa consultazione formale con i gruppi parlamentari delle opposizioni, cui ha lavorato il Ministero per le riforme istituzionali, per una svolta presidenzialista o molto più verosimilmente di premierato forte da intendersi quale elezione diretta del capo del Governo con potere di nomina e revoca dei ministri. Il progetto di riforma segue parallelamente quello dell’autonomia differenziate delle Regioni.
Il rischio di torsione del sistema costituzionale e di squilibrio tra i poteri dello Stato è forte quanto all’alterazione dei rapporti di forza tra Capo del Governo e Presidente della Repubblica, quest’ultimo visibilmente colpito nel suo ruolo di garante rispetto alla forza politica di un premier con un mandato diretto degli elettori.
Senza contare le ricadute in tema di delegittimazione dei partiti politici e di esautoramento del ruolo e delle funzioni del Parlamento quale luogo privilegiato di esercizio della vita democratica di un Paese.
Abbiamo pensato che sul punto l’avv. Anna Falcone, giurista ed esperta sugli specifici temi potesse rappresentarci criticità e scenari, fornendo spunti interessanti per il nostro successivo dibattito.
3. Il tema della riforma dell’ordinamento giudiziario
Il 9 settembre 2023. esattamente venti giorni fa, il Comitato Direttivo Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati ha deliberato un documento con il quale ha espresso grande preoccupazione per i disegni di legge in discussione dinanzi alla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati laddove, nel riprodurre fedelmente la proposta di iniziativa popolare presentata dalle Camere Penali nella XVII legislatura si propone:
- di cambiare la composizione dei Consigli Superiori della Magistratura, sia giudicante che requirente, aumentando i membri di nomina politica sino alla metà;
- di consentire la scelta per sorteggio dei componenti togati; di vietare ai Consigli superiori della magistratura di aprire pratiche a tutela dell’indipendenza dei singoli magistrati e di esprimere pareri sulle riforme in tema di giustizia;
- di abolire l’art. 107 Cost. comma terzo della Costituzione secondo il quale i magistrati si distinguono fra loro solo per diversità di funzioni;
- di ridurre il principio di obbligatorietà dell’azione penale, limitandolo ai soli casi e modi previsti dalla legge, modificando l’art.112 Cost.
L’intervento sulla Carta costituzionale è duplice: quanto alla separazione delle carriere e quanto ai casi e ai modi per l’esercizio dell’azione penale.
Quanto alla separazione delle carriere, considerata dal primo firmatario della proposta quale “riforma fondamentale per avere finalmente una giustizia efficiente giusta e trasparente”, in questa sede non penso sia il caso di sottrarre tempo alla discussione se non per evidenziare le altre preoccupanti indicazioni contenute nel disegno di legge relative ad un doppio consiglio della magistratura in cui i membri di nomina politica aumenteranno sino alla metà e all’interno del quale sarà vietato aprire pratiche a tutela della indipendenza dei magistrati e interloquire sulle riforme in tema di giustizia.
Due gli organi di autogoverno, due le magistrature con un evidente assoggettamento al controllo politico: i contrappesi e le garanzie del sistema costituzionale volte proprio ad assicurare l’indipendenza e l’autonomia della magistratura sono poste fortemente in crisi da una modifica di siffatta portata.
E quel principio di obbligatorietà dell’azione penale, custodito e difeso dall’art.112 della Costituzione, a garanzia non solo della indipendenza del PM, ma anche dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, è fortemente fiaccato allorquando una legge ordinaria può, per ragioni legate alle contingenze politiche più varie, stabilire chi e cosa perseguire.
Abbiamo pensato di parlarne con il Prof. Enrico Grosso, avvocato e ordinario di Diritto Costituzionale presso l’università di Torino.
3. Il lavoro
Abbiamo avvertito la necessità di confrontarci con il tema del diritto al lavoro nella sua duplice declinazione:
Il presidente Mattarella in occasione delle recenti tagiche morti dei cinque operai a Brandizzo ci ha detto che: “Morire sul lavoro è un oltraggio ai valori della convivenza civile; Il luogo di lavoro deve essere il posto da cui si ritorna. Sempre.”
Non si tratta solo di discutere dei singoli provvedimenti legislativi ed in particolare del “DL Lavoro” che hanno acceso il dibattito su alcuni temi controversi: la fine della stagione del reddito di cittadinanza, soppiantato dall’assegno di inclusione e dal supporto per la formazione e lavoro, la liberalizzazione dei contratti a tempo determinato e la estensione dei voucher.
Si tratta di analizzare la complessità del mondo del lavoro attuale, confrontandosi con l’assoluta esigenza di ridurre il tasso di disoccupazione in particolar modo quello giovanile, contrastando il lavoro sommerso e irregolare, e allo stesso tempo tutelare con un adeguato salario quelle categorie di lavoratori, per lo più in possesso di istruzione medio bassa, che appaiono i più fragili.
A fronte della capacità di individuare misure condivise per tutelare i lavoratori meno abbienti, come ad esempio quella del taglio del cuneo fiscale che sembra ormai accettato non solo dalle forze politiche, ma da tutte le organizzazioni datoriali e sindacali, vuoti di tutela e frizioni permangono nell’ adozione di misure di politiche attive che consentano per le categorie più deboli della nostra società l’ingresso nel mondo del lavoro.
Abbiano scelto quale nostro interlocutore l’onorevole Giuseppe Provenzano, deputato del Partito democratico di cui è stato vicesegretario sino al marzo scorso, nonché ex ministro per il Sud e della coesione.
4. Libertà di stampa
Conosciamo tutti il portato dell’art. 21 Costituzione e del diritto ad una informazione libera che trova il suo limite nella sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza, nel rispetto dell’altrui reputazione.
C’è un rapporto diretto tra il grado di democraticità di un sistema politico e la quantità di informazioni rilevanti che circolano al suo interno.
La sfida è proprio quella di garantire la massima tutela per il mondo giornalistico, cooperando per il raggiungimento di un pluralismo di opinioni e di una piena libertà di espressione svincolata da censure e da condizionamenti politici ed economici che possa garantire ai cittadini una reale conoscenza dei fatti e un libero accesso alle informazioni.
E’ chiaro che queste considerazioni così limpide e condivisibili- come si potrebbe affermare il contrario – devono fare i conti con il clima politico e con le censure più o meno esplicite che raggiungono i giornalisti.
E’ sotto gli occhi di tutti lo spoil system del “servizio pubblico” televisivo.
Una tempesta perfetta che ha privato la società civile d'ogni partecipazione diretta effettiva nella programmazione delle risorse al fine di evitare un regime di “monopolio informativo”.
Occorre essere sempre molto attenti a quanto accade al mondo della stampa e della informazione e ai segnali che da quel mondo ci arrivano.
Ne parleremo con il giornalista Giuseppe Salvaggiulo che ha cortesemente accettato il nostro invito, sempre attento al tema delle libertà e dei diritti.
5. L’immigrazione
E’ il tema del dibattito politico odierno; l’ossimoro emergenza strutturale lo definisce, svelandone tutta la sua drammaticità. Nessuno di noi si può chiamare fuori.
Fra qualche giorno saranno trascorsi 10 anni da quel tragico 3 ottobre 2013 che vide morire nel Mar Mediterraneo 368 persone.
E’ del 14 giugno 2023 il nostro comunicato che nel richiamare l’art. 10 comma 3 della Costituzione italiana e l’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sul diritto di asilo, dopo l’ennesima strage in mare sollecitava l’Europa e l’Italia quanto alle responsabilità nell’ostacolo agli accessi legali.
Aumentano gli sbarchi: dal primo gennaio ad oggi sono sbarcate in Italia 133.000 persone. Di gran lunga inferiori i rimpatri forzati: 2770.
Gli ormai tristemente famosi CPR (Centri di permanenza per i rimpatri) attorno ai quali l’attuale governo ha costruito la politica per l’immigrazione sono luoghi terrificanti in cui, oltre alle condizioni di degrado, la mancata conoscenza della lingua e l’assenza di mediatori culturali impediscono anche l’esercizio dei diritti dei richiedenti asilo per l’accesso alle procedure di protezione internazionale.
Il ruolo della magistratura è stato decisivo rispetto alle pronunzie di incostituzionalità dei Decreti sicurezza nel tentativo di fornire risposte alle molteplici istanze che l’hanno investita rispetto ad un sistema di tutela multilivello del diritto alla protezione dello straniero.
Richiamo solo il decreto ministeriale del 14 settembre pubblicato nella G.U del 21 settembre 2023 che prevede la richiesta di una cauzione pari a4.938 euro quale alternativa al trattenimento nel Centro di permanenza per il reimpatrio
Ne parleremo con Marco Tarquinio, giornalista e direttore dell’Avvenire sino alla primavera scorsa, profondo conoscitore dei molteplici temi richiamati.
6. I Diritti
La tutela dei diritti civili è nel patrimonio genetico della magistratura progressista ed è il fondamento di tante riflessioni. Guardando all’attualità, introduco il tema che sarà ripreso nella tavola rotonda.
6.1 La famiglia
A marzo 2023 una circolare del ministero dell’Interno si è rivolta ai Comuni italiani per interrompere il riconoscimento e le registrazioni all’anagrafe dei figli di coppie omogenitoriali, richiamando una sentenza pronunciata nel 2019 dalla Corte di Cassazione secondo cui le anagrafi italiane non possono trascrivere gli atti stranieri di bambini nati attraverso la gestazione per altri.
L’Eurocamera ha successivamente condannato l’Italia rispetto allo stop imposto dal Governo per le registrazioni delle adozioni delle coppie omogenitoriali.
Nello stesso mese di marzo la commissione Politiche europee del Senato ha bocciato l’adozione di un certificato europeo di filiazione, un documento unico in grado di provare la filiazione dei minori e garantire ai genitori residenti in Unione europea il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli in tutti gli Stati membri.
Il tema delle trascrizioni è legato a quello della gestazione per altri (GPA) che come sappiamo in Italia è una pratica vietata: coloro che desiderano avere un figlio ricorrendo a questa procedura si recano all’estero.
Il 31 maggio 2023 la Commissione Giustizia della Camera ha concluso il voto degli emendamenti alla proposta di legge che dichiara la gestazione per altri reato universale, ossia perseguibile anche se commesso all’estero (modifica legge 40/2004):.
6.2 Il carcere
Da magistrati e da magistrati di Area democratica per la giustizia a fronte dei decessi di due detenuti in sciopero della fame nel carcere di Augusta o in occasioni dei suicidi abbiamo richiamato ancora una volta l’attenzione sul condizione di crescente disagio manifestato dalle persone detenute, sulla carenza ormai cronica di risorse umane e materiali per potervi dare adeguata risposta e sulla stessa difficoltà di comunicazione e relazione con l’esterno, tanto da vedere sempre più persone utilizzare il proprio corpo per rivendicare condizioni detentive migliori o ascolto.
La pena non perda mai la propria finalità rieducativa e non si traduca in pura afflizione.
6.3 Il fine vita
Attendiamo dopo la sentenza 242/19 della Corte Costituzionale legata alla morte assistita di DJ Fabo che ha fissato le condizioni in presenza delle quali l’aiuto al suicidio non è punibile, una legge sulla eutanasia
6.4 La violenza sulle donne
Abbiamo detto il 25 novembre scorso che occorre che “maturi la piena consapevolezza che ogni forma di violenza contro le donne è in realtà una violazione dei diritti umani, non lede solo il corpo e la psiche di chi ne è bersaglio, ma impoverisce la collettività e mina lo stesso fondamento della dignità di ogni essere umano”.
Accanto alla produzione normativa quanto mai feconda in tema di contrasto alla violenza di genere e in attuazione delle direttive comunitarie, occorre una visione più complessiva che crei una rete di competenze qualificate e condivise, anelli di un’unica catena che agiscano sin dalla formazione nelle scuole, per proseguire attraverso i servizi sociali e strutture sul territorio che aiutino a crescere rifiutando ogni forma di violenza psicologica e fisica nei confronti di chi è diverso da noi.
1. Legge e diritto non sono sinonimi, ma concetti complementari, sono entità reali che si fondono nel crogiuolo dell’interpretazione. Il nostro sistema giurisdizionale, di tipo c.d. “continentale”, non cristallizza la giurisprudenza dei giudici con lo stare decisis, ma prevede un organo di nomofilachia centrale -la Corte di Cassazione- che in questi giorni festeggia i suoi 100 anni.
2. Un secolo è tanto e poco. In un secolo la Corte ha avuto una mutazione progressiva, da luogo esclusivo per i magistrati “eletti” e per un’utenza elitaria a contenitore di esperienze giudicanti/requirenti le più varie e ricettore di un flusso enorme di cause civili e penali. Conseguentemente si è accentuata l’ “ambiguità” e la precarietà dell’equilibrio del suo ruolo, geneticamente e costituzionalmente spartito tra produzione di diritto oggettivo “vivente” (c.d. jus constitutionis) e risoluzione di controversie concrete (c.d. jus litigatoris), tra controllo di legalità dei provvedimenti giurisdizionali e assicurazione dell’ uniforme interpretazione della legge.
3. Negli ultimi decenni e sempre di più, questo quadro operativo, di per sé a complessità crescente, è stato ed è ulteriormente implementato, ma complicato, dall’ingresso in scena delle Corti sovranazionali e dalla correlata ermeneutica multilivello, con tutti i conseguenti vincoli preventivi e postumi.
4. L’attualità della funzione di nomofilachia è dunque profondamente condizionata da questa tensione funzionale o, per essere più chiari, prima e soprattutto, dai suoi “numeri”. Le esigenze produttivistiche hanno assunto una chiara preponderanza, le ordinanze prevalgono di gran lunga sulle sentenze, il “dominio statistico” ha compresso enormemente il ruolo della motivazione. Il trend è: sempre più definizione di liti, sempre meno orientamento interpretativo, sempre maggiori rischi di oscillazione e contrasto giurisprudenziali. E’ questa una deriva di difficile governo, astretto com’è e come è giusto che sia dal dovere istituzionale ineludibile di preservare l’essenza stessa del giudizio accentrato di legittimità, che, al fondo, è quello di rendere concreto il principio supremo dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge.
5. E’ essenziale a tal fine l’attuazione di prassi che prevengano l’adozione da parte della giurisprudenza di merito di soluzioni interpretative difformi o ondivaghe.
In quest’ottica occorre valorizzare quanto più possibile il lavoro dell'ufficio del Massimario e assicurare la massima diffusione delle sue relazioni presso gli uffici di merito per prevenire il rischio di soluzioni interpretative difformi.
Per evitare il formarsi di deleteri contrasti di giurisprudenza all'interno della corte, occorre invece percorrere la via preventiva del confronto tra i giudici della Cassazione attraverso riunioni, sezionali e intersezionali, nonché il confronto periodico, del quale si sente la mancanza, con la Procura generale.
6. Deve essere poi considerato che la Cassazione non è esente dal rischio derivante da sollecitazioni, mediate dai giudici di merito, a guardare al “fenomeno” piuttosto che alla corretta applicazione del diritto, e così a privilegiare, di fatto, la libertà interpretativa a scapito della certezza giuridica.
L’attenzione al "fenomeno", ne occorre consapevolezza, trasfigura il ruolo e la funzione della Cassazione.
Il rischio può essere evitato solo attraverso il coordinamento interno e lo sforzo costante di tutti i magistrati della Cassazione e della Procura generale ad astenersi dal controllo sul fatto nella consapevolezza che non c’è danno peggiore di quello derivante dall’imprevedibilità della decisione perché condizionata dal fatto.
7. Al fine di garantire l’efficienza e l’uniformità della funzione di legittimità è essenziale valorizzare al massimo momenti di effettivo coordinamento tra Cassazione e Procura generale affinché le funzioni di legittimità siano coerentemente esercitate da tutti i magistrati della Cassazione e della Procura , e ciò al fine di prevenire la difformità delle decisioni e altresì garantite l’utile utilizzo delle risorse assai “scarse” rispetto al carico di lavoro.
8. D’altro canto l’importanza della comune appartenenza alla giurisdizione di legittimità dei consiglieri e dei pubblici ministeri della Cassazione tanto più deve essere riaffermata in questo momento, per la "difficile" attualità della politica giudiziaria ove si "aggira lo spettro" della separazione delle carriere. La Procura Generale presso la Corte non è collocata in una "zona franca". Il rischio, già per molti versi attuale a causa della limitazione nei mutamenti di funzioni tra giudicante e requirente, è la sua trasformazione progressiva in un -indesiderabile- pubblico ministero di ultimo grado.
9. Da questo contesto problematico, al netto di improbabili e forse nemmeno auspicabili modifiche costituzionali, la Corte può uscire soltanto “in avanti”, provando a governare cum modo i flussi degli affari e, allo stesso tempo, aprendo nuovi e forti canali di dialogo con i giudici di merito, così come è prassi consolidata con le Corti europee, nella consapevole prospettiva di avviare una necessaria linea di continuità giurisprudenziale a tutela dei diritti fondamentali.
Strumenti decisivi in questo senso sono la piena valorizzazione dell’Ufficio del processo e il rinvio pregiudiziale nel civile. Ma ovviamente non basta. Bisogna pensare a forme innovative, strutturate ed efficaci, di coordinamento giurisprudenziale preventivo, che si basino sull’attività formativa ed organizzativa della SSM, sia centrale sia decentrata. Un’idea – specifica - è quella di prevedere l’istituzione di conferenze (almeno) annuali Corte/Corti territoriali, Procura generali/Procure generali territoriali.
10. Dopo cento anni di Cassazione nazionale è dunque arrivato il tempo di un rapporto nuovo tra giurisdizione di merito e giurisdizione di legittimità. E’ indispensabile un profondo “cambio culturale”: bisogna pensare alla giurisprudenza come un’ azione comune, strutturata nello scambio e nel confronto tra i suoi “produttori”, che sono tutti i magistrati, giudicanti e requirenti. Bisogna concepire l’organizzazione dell’ interpretazione giudiziale in termini “circolari” e quindi riconoscere il plesso Corte di Cassazione/Procura Generale non più solo, in termini formali/oggettivi, quale “vertice funzionale” della giurisdizione nazionale, ma, in termini sostanziali/soggettivi, quale “centro” di un agire comunicativo corale, costante, osmotico, dunque autenticamente costituzionale.
approfondimenti sul tema:
Il ruolo del giudice ai fini della effettività dei precetti posti dalla legge di Giacomo Fumu
Un cambiamento del volto della giustizia Italiana di Antonella Di Florio
Appunti sui numeri della Cassazione di Pierpaolo Gori
Il passaggio dalla requisitoria orale a quella scritta di Pasquale Serrao D'Aquino
Il passaggio dalla requisitoria orale a quella scritta di Pasquale Serrao D'AquinoBrevi note sul dimenticato art. 110 Cost.* Di Giuliano Scarselli
Il passaggio dalla requisitoria orale a quella, di regola, scritta consente alla Procura Generale di lasciare sistematicamente una traccia del suo orientamento sulle diverse questioni, pur con le difficoltà di conciliare uniformità di indirizzo dell’Ufficio e autonomia dei Sostituti Procuratori Generali.
È un cambiamento di prospettiva che amplifica il contributo nomofilattico dell’Ufficio requirente.
Si tratta di un'opportunità, come spesso avviene, nata dalla drammatica necessità dell’emergenza pandemica, che va sfruttata al meglio. Occorre, infatti, che questi contributi interpretativi non siano circoscritti nella fruizione al solo Collegio del singolo procedimento ma, oltre che per esigenze di coerenza interna dell’Ufficio e di ineludibile dialettica processuale, anche per opportune trasparenza e informazione degli Uffici giudiziari e degli Avvocati, inserite nelle banche dati di fruizione pubblica, quanto meno per le requisitorie che hanno rilevanza nomofilattica o che riguardano casi di rilievo sociale, da collegarsi alle sentenze che decidono sul ricorso.
La separazione delle carriere in atto, frutto dell’intervento già operato sull’art. 13 del d.lgs. n. 160/2006 da parte dell’art. 12 della legge n. 71 del 2022 deve mettere la magistratura in allarme rispetto al destino della Procura Generale. Il suo profilo ordinamentale rischia di allontanarsi dal modello dell'Avvocato Generale delle Corte di giustizia dell'UE, ridimensionando tanto il suo contributo alla nomofilachia quanto la sua funzione di tutela del cittadino nel giudizio di ultima istanza, per trasformarla in un pubblico ministero nel terzo grado. Occorre resistere a questa involuzione e ribadire la necessità, per garantire la maggiore ricchezza di esperienze professionali di legittimità, di garantire sul piano ordinamentale una permanente circolarità di funzioni, non solo tra quelle di merito e di legittimità, ma anche tra funzioni di legittimità giudicanti e requirenti.
* sull'argomento Cassazione
Il ruolo del giudice ai fini della effettività dei precetti posti dalla legge di Giacomo Fumu
Appunti sui numeri della Cassazione di Pierpaolo Gori
Prima di occuparsi del ruolo, della posizione della Corte di cassazione e della necessità di un dialogo virtuoso con i giudici di merito è opportuno un chiarimento sulla nozione di “diritto vivente”, frequentemente evocata proprio con riguardo all’attività interpretativa della Corte di legittimità.
L’espressione è spesso usata in senso polemico, per significare la crescita incontrollata del diritto giurisprudenziale, per censurare quella che viene denunciata come indebita invasione di campo del giudiziario rispetto al legislativo, ovvero per evidenziare il distacco della Corte dai giudici del merito e dalle loro esigenze.
In realtà, in modo assolutamente approssimato, l’espressione diritto vivente, così come compare in numerose sentenze della nostra Corte costituzionale, non significa affatto “diritto libero” o “libera creazione del diritto”, bensì, più modestamente, “attuale stato dell’interpretazione giurisprudenziale di una norma suscettibile di diverse letture”.
In quanto “vivente” il diritto è mutevole e la sua cifra caratteristica è l’incertezza; una incertezza che il processo dovrebbe essere in grado di sciogliere.
Molto si parla di “prevedibilità della decisione”, ravvisando nella stessa il tratto che dovrebbe caratterizzare le moderne giurisdizioni, ma non si può pensare che la giurisprudenza sia immutabile, che la prevedibilità coincida con la immutabilità di ciò che è consolidato.
A ben vedere, l’esito di ogni processo ha sempre una componente di imprevedibilità e tante previsioni più o meno azzardate su “come andrà a finire” sono destinate ad essere smentite.
Ciò appartiene alla fisiologia, non alla patologia del giudiziario. Si possono fare pronostici su come il giudice interpreterà una norma (sostanziale o processuale), ma non si potrà mai dar per scontata l’opzione interpretativa che alla fine sarà preferita.
2. Le condizioni in cui opera la Corte di cassazione
All’indomani dell’unificazione della Corte di cassazione penale (1889), un giurista dei primi del novecento offriva una descrizione piuttosto sconfortante della situazione in cui versava la “nuova” Cassazione con sede nella Capitale, evidenziando i contrasti interni alle Sezioni, le oscillazioni interpretative mai risolte, le sentenze iperboliche, l’esasperante individualismo tra i giudici di legittimità.
È sorprendente constatare che gli stessi problemi che oggi riguardano la Corte di cassazione erano già presenti in anni così lontani e in contesti profondamente diversi.
Naturalmente, l’attuale difficoltà della Corte di legittimità, percepita spesso come distante dai giudici di merito, a “fare nomofilachia”, dipende da numerosi fattori, cui non è estranea, è opportuno ricordarlo, la stessa natura “ambigua” di questo giudice, che deriva dall’impianto delle norme fondamentali che regolano le sue funzioni: da un lato, l’art. 65 ord. giud. che stabilisce che la Corte di cassazione assicura l’esatta osservanza e l’uniformità dell’interpretazione della legge; dall’altro, l’art. 111, comma 7, Cost., che prevede che contro le sentenze è sempre ammesso ricorso per cassazione, per violazione di legge.
Si tratta di due disposizioni che disegnano il DNA della Corte di cassazione e che giustificano pienamente la fortunata definizione di questo giudice come di un “vertice ambiguo”, per sottolineare che, allo stesso tempo, svolge funzioni di corte suprema (ius constitutionis) e di corte di terza istanza che assicura una tutela dei diritti delle parti (ius litigatoris), ponendosi nel sistema costituzionale come strumento di tutela contro le “decisioni ingiuste” e insostituibile baluardo per le garanzie dell’imputato.
Proprio l’essere baluardo contro le decisioni ingiuste ha contribuito all’aumento esponenziale dei ricorsi con il conseguente ridimensionamento del ruolo di Corte suprema, svolto in maniera prevalente dalle Sezioni unite.
Le Sezioni semplici finiscono infatti per svolgere prevalentemente funzioni di giudice dello ius litigatoris, pronunciando un numero elevatissimo di decisioni, con il rischio conseguente di un aumento esponenziale dei contrasti giurisprudenziali tra Sezioni, ma anche all’interno della stessa Sezione, di contrasti consapevoli ed inconsapevoli, di obiettive difficoltà di individuare con chiarezza gli orientamenti consolidati.
Detto rischio è accentuato dall’attività di massimazione e, più in generale, dalle funzioni delle banche dati, in cui i giudici finiscono sempre per trovare quel che cercano, con conseguente difficoltà per la Corte di apparire coerente e stabile.
Ciò produce difficoltà nell’assicurare uniformità interpretativa e complica le possibilità di instaurare un corretto rapporto tra giudice di legittimità e giudice di merito.
3. Le norme e i fenomeni criminali: le sollecitazioni e la compressione dei diritti.
In questo contesto problematico la Corte di cassazione rende la propria giurisprudenza e dialoga con i giudici di merito.
Si sono registrate frequenti spinte, forti sollecitazioni alla Corte da parte dei giudici di merito – per lo più derivanti dalla esigenza di limitare manifestazioni criminali sempre più allarmanti - a guardare al “fenomeno” e non alle norme e alla corretta applicazione del diritto, ad assecondare e privilegiare, di fatto, una libertà interpretativa, anziché la certezza giuridica, a “trasformare” il ruolo e la funzione propri della Corte, intesa come invalicabile presidio di legittimità e luogo di garanzia dei diritti fondamentali delle persone.
Sollecitazioni finalizzate a privilegiare una lettura delle disposizioni penali “di tipo estensivo additivo”, in un’ottica volta a valorizzare le esigenze di difesa sociale, a ritenere erroneamente che la necessita di stabilità e la prevedibilità delle decisioni, garantita dalle Sezioni unite, sia assicurata dalla immutabilità di ciò che è consolidato.
Non vi è solo la nota vicenda del concorso esterno nell’associazione mafiosa (di cui tanto si parla), ma ci si può riferire anche al tema della c.d. corruzione funzionale, cioè del funzionario a libro paga (prima della modifica dell’art. 318 c.p. dovuto alla legge Severino); a certe applicazioni dell’abuso d’ufficio; alla lettura che la Corte di cassazione, per anni, ha fatto del reato di maltrattamenti in famiglia, estendendo la tutela anche al non più convivente, soluzione che, da ultimo, è stata significativamente criticata dalla Corte costituzionale (sent. n. 98 del 2021); ancora, alla giurisprudenza sul disastro innominato oppure all’applicazione del reato di getto pericoloso di cose esteso alle emissioni di onde elettromagnetiche o, ancora, alle malattie professionali e all’estensione della lottizzazione abusiva, fino alle confische senza condanna.
4. Il virtuoso dialogo tra giudice di legittimità e giudice di merito.
Si tratta di operazioni interpretative che, sotto diversi profili, sono state compensate da altri modelli di intervento, caratterizzati da una linea di proficuo dialogo con i giudici di merito, dalla comune scelta di innalzare qualitativamente e stabilizzare i livelli di garanzia, di respingere l’idea che il processo penale sia un inutile orpello volto sostanzialmente a garantire l’impunità, dalla considerazione per cui la necessità di “dare risposte” non può piegare le norme, limitare la legalità penale, conformare la funzione di accertamento con le regole del giusto processo.
Un innalzamento delle garanzie derivato dal progressivo e costante recepimento degli spunti offerti dalle decisioni di Strasburgo: si pensi, ad esempio, all’interpretazione evolutiva dell’art. 7 CEDU fornita dalla Corte di Strasburgo, che ha offerto un fondamento molto più solido al principio di retroattività della lex mitior e che ha portato poi le Sezioni unite Gatto ed Ercolano ad estenderne l’operatività anche in executivis; ai tentativi di ampliare la sfera operativa dell’istituto del ricorso straordinario di cui all’art. 625-bis c.p.p. per dare esecuzione a sentenze della Corte EDU (caso Drassich); alla valorizzazione dell’istituto della restituzione in termini per porre rimedio alla disciplina del processo contumaciale (caso Somogyi); alla sostanziale abrogazione per indeterminatezza del reato previsto dall’art. 75 d.lgs. n. 159 del 2011, che puniva il soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale per non aver rispettato l’obbligo di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”, operata dalle Sezioni unite Paternò nel 2017; alle Sezioni unite Caruso del 2019 sulla coltivazione di stupefacenti (ancora un intervento sulla tipicità del reato).
Non diversamente, sotto altro profilo, è necessario dialogare con la migliore dottrina, che ormai da tempo ha indicato come il diritto giurisprudenziale determini effetti, quali la retroattività dei mutamenti giurisprudenziali e la interpretazione estensiva (che, pur essendo riconducibile alla lettera dell’enunciato normativo, può non apparire ragionevolmente prevedibile), rispetto ai quali occorre riempire i vuoti di tutela che si aprono con soluzioni adeguate alla complessità delle questioni: la continua elaborazione della giurisprudenza di merito, per sua natura vicina alla percezione dei mutamenti e del novum dell’evoluzione sociale, e l’opera “uniformatrice” svolta dalla Corte di cassazione hanno il dovere di misurarsi seriamente con tali problemi nell’ottica della progressiva espansione della tutela dei diritti fondamentali.
Entro questa prospettiva assume un particolare rilievo l’esigenza di promuovere ed assicurare una maggiore uniformità interpretativa all’interno delle sezioni semplici della Corte di cassazione, attraverso l’organizzazione di apposite riunioni sezionali e intersezionali.
Una maggiore attenzione va riservata alla valutazione, sin dalle prime fasi del giudizio di merito, delle questioni oggetto di un possibile rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ovvero di un eventuale ricorso alla Corte EDU, ponendosi in una più ampia dimensione ordinamentale di tutela diffusa dei diritti della persona, la cui protezione “convenzionale” è in via primaria riservata alla sensibilità del giudice comune.
Si avverte, inoltre, l’esigenza di innalzare i livelli di formazione professionale dei magistrati e di potenziare il ruolo della Scuola superiore, orientando l’attività formativa anche sull’esperienza di dialoghi tematici volti ad approfondite la comune messa a fuoco delle questioni che più di frequente costituiscono oggetto di ricorsi proposti alla Corte di cassazione.
Potrebbe rivelarsi opportuna, infine, sulla base dell’esperienza ricavabile dall’esame di altri modelli ordinamentali vicino al nostro (ad es., il sistema francese), la possibilità di istituire conferenze permanenti dei presidenti delle Corti di appello e dei procuratori generali, che rispettivamente individuino e raccolgano sul territorio le comuni questioni problematiche da sottoporre all’attenzione della Corte, al fine di elaborare proposte virtuose e l’instaurazione di buone prassi in materia organizzativa, anche nella prospettiva di una più rapida fissazione e trattazione dei giudizi di impugnazione.
Approfondimenti sul tema:
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