ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
La giustizia civile nei ragionamenti critici di un giurista illuminista e riluttante
Intervista di Vincenzo Antonio Poso a Giuliano Scarselli
«Mala tempora currunt. Scritti sull’ultima riforma del processo civile»
Il libro, pubblicato da Pacini Giuridica nel mese di febbraio 2023, che raccoglie gli scritti di Giuliano Scarselli sull’ultima riforma del processo civile introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ma anche su alcuni temi alla stessa connessi, tra i quali: la nuova azione di classe, la composizione negoziata della crisi d’impresa, la riforma della magistratura tributaria, l’applicazione di schemi tipici di common law, la riforma dell’ordinamento giudiziario, il progetto di riforma volto ad inserire in Costituzione una c.d. Alta Corte quale organo di impugnazione delle decisioni del CSM) è l’occasione di questa conversazione a tutto campo con l’Autore che, come si legge nella seconda di copertina, invita i lettori ad una «riflessione sui mutamenti che stiamo vivendo, con il dovuto distacco e senso critico, e senza che niente sia dato per scontato e/o inevitabile».
V. A. Poso A cosa serve il processo civile? Una prima domanda che può sembrare, forse, troppo banale.
G. Scarselli Non è affatto una domanda banale.
Sinceramente, non so cosa rispondere.
Forse potrei rispondere utilizzando una frase di Giuseppe Chiovenda, il quale diceva che il processo civile “deve dare a chi ha un diritto, praticamente tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire”.
Questo dovrebbe essere lo scopo del processo civile: in tutte le ipotesi di crisi di collaborazione, il processo, e quindi lo Stato, deve dare, e/o essere in grado di dare, alla parte che ha subito un torto, quelle stesse utilità che avrebbe avuto in forza del diritto sostanziale se quel torto non ci fosse stato.
Anche un bambino direbbe: certo, questo è lo scopo del processo civile! Non può essere altrimenti!
Il paradosso, però, è che oggi non solo il processo civile non è in grado di fare ciò, ma addirittura da più parti si ritiene che le finalità del processo civile non debbano più essere queste, perché, come taluni sostengono, questa è una visione troppo individualista, troppo liberale, del processo civile, perché bisogna invece mediare, perché bisogna tener conto della ragionevole durata dei processi, perché v’è il rischio che il cittadino abusi degli strumenti di tutela, perché il PNRR non vuole, e poi ce lo chiede l’Europa, vogliamo scherzare?
E allora, chissà. Un tempo si diceva che il processo servisse a far guadagnare gli avvocati, oggi escludo radicalmente che possa avere anche questa funzione, visto che gli avvocati non li paga più nessuno.
Non si sa, dunque, a cosa serva il processo civile; ed infatti, secondo me, a breve non ci sarà più; l’ho scritto anche in più di un saggio.
V. A. Poso Torniamo seri. Quanto c’è di tecnica, e quanto c’è di ideologia nel processo civile?
G. Scarselli Ci sono entrambi, in misura direi paritetica.
Prima, viene l’ideologia, e poi la tecnica. Prima si tratta di stabilire cosa si voglia fare, quali siano gli obiettivi, le priorità, gli equilibri; successivamente segue la tecnica, ovvero le modalità con le quali il tutto deve essere realizzato.
L’ideologia, poi, si riduce a questo: trovare un equilibrio tra libertà e autorità, tra privato e pubblico, tra cittadino e Stato.
Una volta trovato l’equilibrio, seguono le norme.
L’analisi di una riforma dovrebbe così separare questi due momenti.
Dovremmo chiederci: quali sono gli equilibri? Ci convincono? Sono corretti?
E, una volta risposto a ciò, dovremmo poi ancora domandarci: le norme scritte sono chiare, sono coerenti, hanno individuato il percorso più semplice e breve per raggiungere l’obiettivo dato?
Oggi, però, la parte ideologica, o meglio dire politica, del processo civile, sembra non interessare più la maggioranza della dottrina, che è invece soprattutto presa dall’analisi degli aspetti tecnici, dall’esegesi delle norme.
Io soffro un po’ di questa situazione.
Si va a verificare, ad esempio, se una norma, che disciplina un problema specifico e settoriale, può essere interpretata in un certo modo piuttosto che in un certo altro, quando a me, quasi sempre, mi sembra che interpretata in un modo o nell’altro, poco cambia.
Poi ci sono invece le rivoluzioni degli equilibri, i mutamenti dei rapporti tra cittadino e Stato, e di quelli nessuno parla, nessuno dice niente.
Per questo ho esclamato: mala tempora currunt!
V. A. Poso Nel corso degli anni molte sono state le riforme del processo civile, sempre per rispondere a esigenze contingenti, mai con uno sguardo d’insieme, di sistema.
G. Scarselli Direi che lo “sguardo d’insieme” si è perso da tempo; tuttavia, è forse opportuno precisare che con “sguardo d’insieme” possono intendersi due cose assai diverse tra loro.
Ed infatti per “sguardo d’insieme” può intendersi l’esigenza di fare sistema, ovvero di fare in modo che la disciplina processuale sia rispondente ad un ordine sistematico e scientifico; e per “sguardo d’insieme” può intendersi invece quell’equilibrio ideologico del quale abbiamo detto, la consapevolezza delle ricadute “politiche” che ogni scelta “tecnica” ha.
Orbene, quanto al primo aspetto, l’idea di dar ordine sistematico al processo civile era obiettivo dei nostri padri, dei processualisti del primo Novecento, di Giuseppe Chiovenda, di Francesco Carnelutti.
Oggi penso che il tema sia superato.
Il processo civile ha funzioni pratiche, serve per tutelare il diritto sostanziale, non può essere assimilato ad una scienza, sinceramente non credo lo sia.
Il processo civile deve funzionare in ordine all’obiettivo di rendere giustizia, non altro.
Per mia natura, poi, devo confessare, non amo l’ordine più del disordine, credo che entrambi siano necessari.
Importante, viceversa, a mio avviso, è che vi sia l’altro “sguardo d’insieme”, che non si trascuri che nel disciplinare il processo civile è prioritario stabilire il rapporto che si vuole tra libertà e autorità, e solo dopo aver chiaro questo aspetto si può procedere a comporre una norma processuale, oppure ad analizzarla.
E, vede, penso che anche su quest’ultimo aspetto sia necessario porre una nuova distinzione: poiché, a fronte di molti che sembrano oggi non percepire il problema, ve ne sono altri che non lo vogliono affrontare.
Non v’è commento della riforma che si occupi di questo aspetto, non v’è nessuno che si domandi in che modo si possa, ad esempio, ridurre i tempi del processo senza comprimere la misura di libertà che il cittadino ha diritto di pretendere a fronte dell’autorità.
V. A. Poso Sotto questo profilo vorrei muovere dalla stagione del riformismo coraggioso, dal nuovo processo del lavoro introdotto dalla l. 11 agosto 1973, n. 533, che ancora oggi rappresenta un modello per la tutela dei diritti. O non è così?
G. Scarselli La riforma del processo del lavoro fu senz’altro coraggiosa ed importante per l’epoca, e si inserì perfettamente nelle novità di quegli anni ’70, insieme alla legge sul divorzio, alla riforma del diritto di famiglia, allo statuto dei lavoratori.
Che possa però essere oggi un modello, direi senz’altro di no.
Non condivido in primo luogo l’idea che per superare le diseguaglianze tra i litiganti possono aumentarsi i poteri del giudice, poiché, tutto al contrario, dinanzi al giudice, le parti sono sempre, inevitabilmente, tutte eguali, e il giudice deve in ogni momento mantenere la sua equidistanza e la sua terzietà.
Il processo non ha infatti niente a che vedere con l’art. 3, 2° comma Cost.
Lo Stato deve superare le diseguaglianze tra i cittadini sul piano del diritto sostanziale, non su quello processuale.
Si tratta, questa, della principale differenza tra diritto sostanziale e processo, ed è una differenza che purtroppo il processo del lavoro del 1973 in parte dimenticò.
In secondo luogo, oggi l’idea che l’oralità possa costituire aspetto centrale del processo, secondo gli schemi del processo del lavoro del 1973, appare davvero superata.
Con la (sostanziale) soppressione delle udienze, secondo un percorso già tracciato dalla riforma del giudizio di cassazione del 2016 e portata ora avanti con i nuovi artt. 127 bis e ter c.p.c., l’oralità nel processo civile possiamo dire che è morta.
Poi andrebbero ripensate le preclusioni degli atti introduttivi del processo, sulle quali io personalmente ho avuto sempre posizioni critiche, che furono al contrario la grande novità del processo del lavoro del 1973.
V. A. Poso Preciso che condivido solo in minima parte queste sue osservazioni. Comunque sia, tralasciando altri interventi normativi si arriva alla l. 26 novembre 1990, n. 353 che, a Suo dire, è la pietra d’inciampo di una serie di errori che si sono avuti nei vent’anni successivi nel porre rimedio alla crisi della giustizia civile.
G. Scarselli Sì, a mio sommesso parere la riforma del 1990 è stata l’inizio della discesa.
È stata la prima riforma che in modo espresso si è mossa sulla base della sfiducia nella classe forense.
Basti pensare alla prima udienza ex art. 183 c.p.c., ove si prevedeva, appunto, la comparizione personale delle parti per consentire al giudice un contatto diretto con le stesse al di là degli avvocati.
È stata poi una riforma che, più che di problemi concreti, si è occupata della risoluzione di nodi teorici: si pensi, solo a titolo di esempio, alla nullità della citazione ex art. 164 c.p.c., o alla riforma della tutela cautelare ex artt. 669 bis e ss. c.p.c.
Ed è stata una riforma che ha avuto a modello proprio il processo del lavoro del 1973, con il preciso obiettivo di aumentare i poteri del giudice e di inquadrare i diritti delle parti entro rigide preclusioni fino ad allora inesistenti.
Le riforme che poi si sono susseguite hanno fatto propri questi criteri.
Con una aggravante, però, che è bene tener presente: esse, quasi sempre, sono state pensate e studiate dall’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, ovvero da magistrati, i quali, per loro forma mentis, le hanno quasi sempre progettate dal loro punto di vista, orientate, più che a risolvere i problemi del processo tout court, a risolvere i problemi che hanno i magistrati nell’adempiere ai loro compiti nel processo.
E gli avvocati, in queste dinamiche, non sono mai riusciti ad esercitare un ruolo, perché hanno tenuto (quasi sempre) in debita considerazione che per sedere ai tavoli delle commissioni dovevano avere posizioni morbide e accondiscendenti, ed hanno così quasi sempre accettato, con qualche sola rarissima eccezione, questo metodo riformatore.
Di riforma in riforma, non v’è stato poi niente di nuovo, solo l’aggravarsi del metodo già fatto proprio dalla riforma del 1990.
V. A. Poso Insomma, un rincorrersi di riforme tutte uguali alle precedenti.
G. Scarselli Sì, dal 1990 non si fanno che tre cose: si contrae il diritto di agire in giudizio, si aumentano i poteri del giudice, si aumentano i tributi giudiziari e/o comunque i rischi economici legati all’esercizio del diritto di azione. Non si fa altro.
Ed anche la riforma di cui al d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, che oggi ci interessa, ha precisamente questi difetti.
Anch’essa, come le precedenti, vede nella parte che introduce una causa non il soggetto che ha subito un torto e chiede l’intervento dello Stato per porre rimedio a quel torto, ma solo e semplicemente un rompiscatole da arginare.
È vero che in alcuni casi la parte attrice è veramente un rompiscatole che pretestuosamente fa valere in giudizio un diritto che non ha, ma nella normalità dei casi, direi, è invece un soggetto che ha un problema, e che si rivolge allo Stato proprio perché spera che lo Stato gli risolva quel problema e gli renda giustizia.
E lo Stato, dinanzi a questi cittadini, e dinanzi anche a quelli che ormai, demoralizzati e demotivati, subiscono torti senza più nemmeno reagire, non può avere l’atteggiamento del disinteresse e della superficialità, non può dar tutela e attuazione al diritto sostanziale solo se il tutto possa farsi brevemente, non può chiedere, sempre e in primo luogo, di mediare, perché mediare è quasi sempre indurre la parte a rinunciare a qualcosa per chiudere velocemente un processo, e ciò costituisce deroga al principio chiovendiano secondo il quale, come abbiamo detto all’inizio, la tutela giurisdizionale deve invece dare a chi ha un diritto, tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire.
V. A. Poso Non a caso, riprendendo il titolo di una Sua raccolti di scritti pubblicata da Giuffrè Editore nel 2012 si faceva portatore di un manifesto di intenzioni «Per un ritorno al passato».
G. Scarselli Beh, sono considerato un conservatore, anche se non mi ritengo tale.
Non si tratta infatti di essere progressisti o conservatori; di volere il futuro o il passato.
Si tratta di definire gli equilibri che sopra ho indicato.
Il difetto di queste riforme, per me, non sta tanto nella tecnica, spesso anche pregevole, ma proprio nell’equilibrio.
V. A. Poso Arriviamo, quindi, all’ultima riforma, c.d. Cartabia, approvata dal Governo con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in attuazione della delega contenuta nella l. 26 novembre 2021, n. 206. Qual è lo spirito di questa riforma, il cui evolversi ha seguito fin dal suo inizio, a partire dal maxiemendamento 1662/S/XVIII? Le chiedo anche: era proprio necessaria una riforma così estesa per rendere adeguato ai tempi (e alle richieste degli organi europei) il nostro processo civile?
G. Scarselli Evidentemente no, per ridurre i tempi della giustizia era sufficiente fare una cosa: aumentare il numero dei magistrati.
Lo ha detto anche il Presidente della Commissione Francesco Paolo Luiso, io l’ho rilevato altresì nella mia audizione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati: questa riforma non è pertinente con l’obiettivo che intende perseguire, non è in grado di ridurre i tempi del processo. Modificare il rito non serve per ridurre i tempi del processo, se vogliamo ridurre i tempi del processo va aumentato il numero dei magistrati.
Lo diceva soprattutto un grande magistrato del passato, Lodovico Mortara, nel 1919, nelle sue Istituzioni di ordinamento giudiziario, per il quale il numero dei magistrati e dei cancellieri deve essere portato ad una misura idonea al bisogno del pubblico servizio.
Ma su questa ovvietà, sa cosa mi è stato risposto? Che i soldi del PNRR non potevano essere spesi per questo, né impiegati per aumentare l’organico, ma solo per strutturare l’ufficio del processo; così vuole l’Europa.
E allora, dico io, andiamo avanti con l’ufficio del processo, e pace a Lodovico Mortara.
V. A. Poso Siamo sempre allo stesso punto: più risorse economiche e più persone, soprattutto magistrati. Ricordo, da ultimo, le proposte del Dott. Marco Modena e del Prof. Andrea Proto Pisani.
G. Scarselli Si, condivido sul punto le proposte del Dott. Marco Modena e del Prof. Andrea Proto Pisani.
V. A. Poso Tra i materiali della legge, tuttavia, ci sono anche i lavori della Commissione presieduta dal Prof. Francesco Paolo Luiso che rappresentano il canovaccio sul quale è stato cucito il testo del decreto legislativo, che non ha recepito tutto ciò che gli studiosi avevano indicato.
G. Scarselli Sì, per quel che so io il canovaccio non è stato recepito, se non in parte.
Tuttavia, non ho informazioni precise perché non ho fatto parte della Commissione.
Il Governo ha rivisto il testo della relazione della Commissione Luiso (e dell’articolato normativo predisposto) e ha mantenuto inalterata la versione rimaneggiata anche dopo numerose critiche giunte a seguito della sua prima pubblicazione, e in quella forma lo ha presentato al Parlamento quale disegno di legge delega.
Il Parlamento lo ha dovuto approvare senza discussione, in quanto su esso veniva messa da parte del Governo la fiducia.
E, sempre al fine di evitare la discussione parlamentare, il disegno di legge delega veniva riscritto, seppur con analogo contenuto, in un solo articolo a fronte di 16 articoli che conteneva il progetto n. 1662. Questo unico articolo era lungo ben 39 pagine.
Il tutto, sia consentito, in una situazione un po’ grottesca, poiché ai sensi dell’art. 76 Cost., una legge delega dovrebbe essere una legge con la quale il Parlamento delega il Governo a fare un decreto legislativo nel rispetto di certi principi; qui è stato il Governo che, imponendo la legge al Parlamento, di fatto ha delegato sé stesso a fare quella medesima cosa.
V. A. Poso Insomma, mi par di capire: gli studiosi consigliano e il Parlamento (e il Governo) decide. È così?
G. Scarselli Non il Parlamento, il Governo decide, e forse nemmeno il Governo, perché è la UE che dà le direttive.
Per scherzo ho scritto che non si sa più con chi prendersela.
V. A. Poso I temi della riforma, anche quelli trattati nel Suo libro, sono molti e non li possiamo affrontare tutti. Non sbaglio, però, se dico che, in estrema sintesi, la critica alla nuova riforma sia tutta nel pensiero di Montesquieu, tratto da Lo spirito delle leggi, che compare anche in esergo: l’esasperata semplificazione delle formalità della giustizia non considera che «le difficoltà, le spese, le lungaggini, i pericoli stessi della giustizia, sono il prezzo che ogni cittadino paga per la sua libertà».
G. Scarselli Sì, trovo Montesquieu oggi ancora più attuale, e ancora più necessario che in passato, e per questo ho inserito in esergo quella frase tratta da Lo spirito delle leggi.
Sono oggi in discussione due valori che a me al contrario sembrano vitali: la libertà dei cittadini e la separazione dei poteri.
Dobbiamo difendere questi valori, e dobbiamo così non dimenticare mai questo grande filosofo francese.
V. A. Poso Le critiche, generalizzate, al processo telematico e digitale, che costituiscono nel volume la sua prima preoccupazione, le trovo ingenerose, anche perché tutto è nato prima della pandemia. C’è una ragione dirimente che possa convincere non solo me del contrario?
G. Scarselli Io non sono contrario a priori al processo telematico e digitale.
Ho scritto, e lo ripeto, che ben venga il processo telematico se serve per il deposito di atti, per procedere a comunicazioni e/o notificazioni, per consentire talune (ma solo talune) udienze a distanza, per facilitare la sottoscrizione e/o l’autentica di un atto o per avere immediato accesso al fascicolo del processo; ma certo il mezzo informatico non può essere utilizzato oltre ciò, e non può essere pensato né per condizionare o limitare l’esercizio del diritto di azione da parte degli avvocati, né per limitare e/o circoscrivere lo ius dicere del giudice.
Credo che su questo potremmo essere tutti d’accordo.
Altrimenti il rischio è quello di impedire ogni evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali e avere una giustizia che guarda solo al passato, mai al futuro; è quello di impedire ai cittadini, attraverso i loro difensori, di potersi esprimere, di ipotizzare degli scenari, di opporre una teoria o un orientamento; significherebbe considerare del tutto inutile, se non addirittura eversivo, il pensiero dottrinale; significherebbe impedire alle parti di sottoporre al giudice, oltre agli aspetti giuridici di una lite, anche quelli umani o di semplice equità; significherebbe trasformare la scienza giuridica in matematica, attribuendo al precedente una forza che nel nostro sistema non ha e non deve avere; preluderebbe ad un mondo di eguali e obbedienti, ad un mondo dove non esistono più i diritti soggettivi ma solo tanti, indistinti, interessi; preluderebbe ad un mondo dove la persona non è più il centro del sistema ma solo un irrilevante punto inserito in una grande macchina che tutto determina e decide.
In breve, si tratterebbe di reprimere tutto ciò che viceversa uno Stato libero e democratico deve garantire.
Spero che l’avvocatura (un tempo baluardo delle libertà), si renda conto che dinanzi a questa prospettiva non può restare silente come in tante recenti occasioni ha fatto, poiché certo nessuno si rivolgerà più ad un avvocato se il compito di questi sarà solo quello di riempire un formulario o mettere delle crocette su un modulo.
V. A. Poso Una seconda critica riguarda l’invadenza del Governo, soprattutto con il Ministero della Giustizia, in materie riguardanti l’esercizio della funzione giurisdizionale (norme sull’azione di classe, codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, riforma della magistratura tributaria).
G. Scarselli È un grande tema (e un segnale d’allarme) che, come vede, chiama ancora in causa Montesquieu.
Esattamente ho notato, nello studio delle ultime riforme ruotanti intorno alla giustizia civile, che sempre più il Governo, soprattutto con il Ministero della Giustizia, si è ricavato degli spazi nell’esercizio della funzione giurisdizionale che prima non aveva.
Sono piccole cose, molte certamente prive di quella malizia che io invece ho lasciato intendere vi sia stata.
Però il timore è che una giustizia che si immagina predittiva, se non addirittura presto resa almeno in parte da macchine, potrebbe trovare eccessive tutte quelle disamine del filosofo francese, e fuorvianti le idee dell’illuminismo rispetto alle nuove esigenze di celerità ed efficienza.
In Italia si ritiene ancora che una cosa sia la Giustizia, altra cosa il Ministro della Giustizia.
Dobbiamo vigilare affinché questa contrapposizione non si perda, dobbiamo ricordare che ai sensi dell’art. 110 Cost. il Ministro della Giustizia si deve occupare solo dei servizi, non dell’esercizio della funzione giurisdizionale.
V. A. Poso Il principio di libertà della forma degli atti viene superato dalla riforma; e questo è oggetto di critica, al netto delle disarmonie rilevate tra la legge delega e il decreto legislativo di attuazione.
G. Scarselli Sì, è oggetto di critica sotto due profili: a) in primo luogo perché la determinazione delle forme viene demandata ad un decreto del Ministro della Giustizia, e a me pare veramente discutibile che il Ministro della Giustizia possa indicare a giudici e avvocati la misura e i criteri di redazione degli atti; b) ed in secondo luogo perché si sta marciando verso l’idea che gli atti giudiziari si debbano tutti adeguare a delle misure e a dei criteri standard perché una prima lettura degli stessi deve esser affidata a breve a delle macchine.
Non possiamo far finta che non ci siamo accorti di ciò.
Si tratta di una prospettiva non solo totalmente nuova, bensì anche, a mio parere, inquietante, poiché al Ministro della Giustizia spettano solo, lo ripeto, “l’organizzazione e il funzionamento dei servizi”, e certo non rientrano, né sono mai rientrati, nel concetto di servizi relativi alla giustizia, le modalità di stesura degli atti processuali.
Si tratta di una novità che potrebbe alterare lo stesso rapporto che fino ad oggi abbiamo avuto tra giudici e Ministro.
V. A. Poso C’è poi il tema della valutazione, per così dire, in chiave economica, delle decisioni giurisdizionali, improntate a criteri di immediatezza e prevedibilità, con l’abbandono di inutili formalismi, che contraddicono, però, importanti principi costituzionali, primo fra tutti quello della indipendenza e della terzietà del giudice.
G. Scarselli Beh, quando uscì la proposta di riforma del processo civile da parte dell’Osservatorio conti pubblici italiani della Università Cattolica di Milano mi consultai con la mia cara amica Giuliana Civinini e sembrò ad entrambi una proposta così bizzarra da non credere.
Si proponeva di “disincentivare, sia per i clienti sia per gli avvocati, il ricorso in giudizio”, di “condannare l’attore soccombente in appello o in cassazione a pagare un importo pari al quadruplo del contributo unificato”, di “limitare la possibilità di ricorso in cassazione ai casi attualmente affidati alle sezioni unite”, di “creare un organo giurisdizionale di supporto (alla cassazione) che operi sotto la direzione del primo presidente per trasferire allo stesso la funzione di filtro”, di rendere il ricorso di cognizione sommaria “l’unica forma di atto introduttivo di una causa civile per tutti i livelli di giudizio”, fino a proporre il diniego di idoneità quadriennale ai magistrati “le cui cause vengono annullate dalla cassazione o totalmente riformate in appello in una percentuale superiore al 40 per cento della media nazionale”, o fino a sostenere che “Non c’è una ragione perché una controversia tra privati debba essere necessariamente gestita solo dallo Stato”.
Pensi: “creare un organo giurisdizionale di supporto”, veramente incredibile.
Ci si chiese come fosse possibile che simili proposte provenissero da una Università, e pensammo subito di scrivere insieme un articolo in risposta, se non altro per sottolineare che vi sono regole costituzionali che forse gli economisti ignorano ma che vanno rispettate, e che la ragionevole durata dei processi non può essere l’unico valore che lo Stato deve perseguire, perché, tutto al contrario, ci sono altri valori da tenere in considerazione, primo fra tutti la qualità delle decisioni giurisdizionali, la indipendenza e la terzietà del giudice, il diritto all’azione e al contraddittorio, il diritto alle prove e alle impugnazioni; ed anzi, se si deve dare una scala di valori, quest’ultimi diritti non possono venire affatto dopo la ragionevole durata, perché nessun processo è giusto se per durare poco sacrifica questi principi.
V. A. Poso L’esigenza di ridurre i tempi della giustizia civile, è, comunque, particolarmente sentita dagli operatori pratici e soprattutto dai cittadini. Ha una proposta concreta per realizzare positivamente questo obiettivo?
G. Scarselli Mi sia consentito separare la risposta in due momenti.
In primo luogo, io credo si debbano seguire le normali regole del rapporto tra domanda ed offerta per ridurre i tempi della giustizia.
Ho scritto da tempo che se la crisi del processo civile dipende da una sproporzione tra la domanda di giustizia dei cittadini e l’offerta di giustizia dello Stato, lo Stato semplicemente deve migliorare l’offerta per adeguarla alla domanda, non altro.
Invece la risposta che si dà per risolvere il problema, ormai da trenta anni, è quella di contrarre la domanda, non di migliorare l’offerta.
In tutti i sistemi economici una forte domanda è considerata in senso positivo, nella giustizia no.
Dobbiamo invece considerare che il numero eccessivo di cause non necessariamente è, né deve essere, un problema: esso è infatti segno di benessere e di consapevolezza dei cittadini di avere dei diritti.
Si migliori l’offerta invece di contrarre la domanda, ovvero si investa nel fenomeno giustizia potenziando mezzi e persone, e con un po’ di intelligenza il sistema giustizia potrebbe addirittura essere fonte di guadagno per lo Stato.
Sotto questo profilo torno alle proposte di Marco Modena e Andrea Proto Pisani.
In secondo luogo, poi, noi sentiamo tutti giorni questo mantra della durata eccessiva dei processi. Tutti i media ripetono questa cosa all’infinito, cosicché, alla fine, tutti si convincono che, effettivamente, il problema primo della giustizia sia indiscutibilmente quello della durata.
Io, però, non penso questo, e credo che anche molti giudici e avvocati siano di questo avviso.
Prima della ragionevole durata, ripeto, vengono il diritto alla difesa e al contraddittorio, il diritto alle prove, alle impugnazioni, all’accesso ad una giustizia che non sia semplicemente punitiva, all’idea che il giudice deve essere terzo, imparziale e indipendente, ecc.…
Per fortuna oggi questo è affermato solennemente anche dalla Cassazione (ordinanza 24 gennaio 2023, n. 2057), la quale ha statuito che: “Il principio della ragionevole durata del processo è certamente divenuto punto costante di riferimento nell’esegesi delle norme processuali…….ma, come è stato sottolineato anche in dottrina, mai è dato al giudice, in nome del citato principio, eludere distinte norme processuali improntate alla realizzazione degli altri valori di cui pure si sostanzia il processo equo: e tali sono per l’appunto il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio, e, in definitiva, il diritto a un giudizio nel quale le parti siano poste in condizioni di interloquire con compiutezza nelle vari fasi in cui esso si articola”.
V. A. Poso Molti hanno enfatizzato l’ufficio del processo; ma davvero questo istituto è sufficiente a risolvere ogni problema?
G. Scarselli L’ufficio del processo, che più correttamente dovrebbe chiamarsi l’ufficio del giudice, certamente può migliorare la produttività di un Tribunale; tuttavia, presenta anche aspetti delicati ai quali non mi sembra sia stata data la giusta rilevanza.
La giustizia è infatti amministrata in nome del popolo, e quindi non può essere delegata ad un team di giovani, per quanto coordinati da un magistrato, appena usciti dalle università, assunti a tempo determinato e con compensi minimi; la giustizia deve essere resa personalmente dai magistrati, secondo scienza e coscienza, così come è sempre stato.
E tanto è più pericoloso l’ufficio del processo, quanto più si penserà ad esso in termini di riduzione dei tempi processuali, perché ogni tempo guadagnato con esso equivarrà ad una semplificazione e ad una banalizzazione della funzione giurisdizionale.
I Tribunali non sono aziende, e l’idea che il primo obiettivo da perseguire sia solo, o soprattutto, quello della brevità dei tempi, attraverso una standardizzazione aziendalistica delle decisioni, costituisce, a mio parere, un vulnus.
V. A. Poso È condivisibile la Sua critica alla «smaterializzazione della giustizia», che potrebbe essere anche la strada, veloce, per la rottamazione della giustizia civile. Farei, però, una distinzione tra udienze da remoto e udienze a trattazione scritta, anche in considerazione di quelli che sono gli effettivi adempimenti da realizzare e gli interessi delle parti da tutelare. E faccio mia la preoccupazione che, a lungo andare, il processo delle parti possa trasmodare nel processo delle carte, superando in tal modo il concetto stesso di udienza che necessariamente si deve svolgere di fronte al giudice, con il contraddittorio delle parti.
G. Scarselli Penso che quanto da Lei riportato sia esattamente il futuro che abbiamo dietro l’angolo.
L’idea tradizionale di udienza, ovvero l’idea che la giustizia si rende con l’incontro personale e diretto tra le parti, i difensori e il giudice, è idea che contrasta con un procedimento predittivo e meccanicizzato.
Se si vuole, gli artt. 127 bis c.p.c. e 127 ter c.p.c. rappresentano già il ponte tra il vecchio e il nuovo modo di intendere il processo, e certo una udienza a distanza è forse preferibile ad una udienza cartolare, ma credo che il problema resti nella sua interezza in entrambi i casi.
Ci attende una nuova procedura, dove le udienze non esisteranno praticamente più, perché l’udienza costituisce il momento dell’incontro tra gli esseri umani, e questa nuova giustizia vuole prescindere dall’essere umano, e ritiene infatti che gli esseri umani, meno si incontrano, meglio è.
Triste è poi per me immaginare che, per molti, la sparizione delle udienze sarà salutata con sollievo; si dirà: una perdita di tempo in meno, un contatto antipatico che i nuovi mezzi informatici riescono fortunatamente ad evitare.
V. A. Poso Una piccola digressione sull’atto di citazione, che Lei difende oltremodo. Mi ero fatto l’idea che fosse il ricorso lo strumento più adeguato di introduzione del giudizio, sempre che i tempi di fissazione dell’udienza risultassero contingentati e sottoposti a termini perentori (superando le prassi peggiori anche del rito del lavoro), seguendo il modello del ricorso per cassazione che porta all’attenzione del Supremo Collegio una causa già fatta, per così dire (con qualche rimodulazione necessaria per il giudizio di merito, per consentire l’attività istruttoria, in senso lato).
G. Scarselli Lo scritto sulla difesa dell’atto di citazione va considerato un gioco, nient’altro, un divertimento che mi sono concesso.
Senz’altro il ricorso può essere considerato lo strumento più adeguato di introduzione del giudizio, e senz’altro è così per i laburisti.
Mi sono semplicemente concesso il lusso di fare un passo indietro, di andare a scavare sull’ideologia che sta dietro la scelta tra citazione e ricorso.
Volevo fosse chiaro a tutti che la scelta tra citazione e ricorso non è soltanto tecnica, è una scelta anche ideologica.
Ho ricordato al riguardo la posizione del fascismo e mi sia consentito richiamarla anche qui: “Il congegno della citazione non ha per sé che la storia; trascurabile pregio per chi debba costruire un codice moderno; storicamente si spiega, appunto, la citazione, con una concezione del processo affatto opposta a quella che domina oggi ed ispira il progetto (Solmi) del quale si discute; quando si credeva che il processo fosse un affare tra le parti e perciò si riteneva che la domanda al giudice non potesse essere proposta se le due parti non fossero davanti a lui, era naturale che, prima di proporla, l’attore dovesse invitare il convenuto e perfino potesse trascinarlo in giudizio; ma adesso, quando sappiamo che in giudizio le parti non parlano tra loro, sibbene ciascuna di loro parla con il giudice, il principio del meccanismo dev’essere non tanto trasformato, quanto capovolto” (Giuseppe NAPPI, Commentario al codice di procedura civile, Società Editrice Libraria, Milano, 1942, II, 46).
In sostanza, la difesa dell’atto di citazione nient’altro era, per me, se non la difesa dell’ultimo simbolo della libertà nel processo civile.
V. A. Poso Nel novellato art. 342 c.p.c. (ma anche per il rito del lavoro con il riformato art. 434 c.p.c.) viene rafforzata l’inammissibilità dell’appello, anche per gli aspetti formali, con il rischio che la carenza dei requisiti formali ridondi nella carenza dei requisiti di cui ai nn. 1,2 e 3 dell’art. 324 c.p.c. Qualcosa di analogo vale anche con riferimento all’art. 366 c.p.c. per il ricorso per cassazione.
G. Scarselli Certo, si rischia che da domani un atto di impugnazione (e forse anche un atto difensivo tout court) possa essere dichiarato inammissibile perché privo di chiarezza oppure di sinteticità.
La trovo una cosa inammissibile, e scusate il gioco di parole.
Le Corti, infatti, a mio sommesso parere, non possono dare una esegesi delle disposizioni in tal senso, poiché l’inammissibilità di una impugnazione deve discendere da una condizione specifica e non da presupposti incerti e rimessi alla discrezionalità del giudice.
È la legge che, per prima, deve indicare in modo chiaro e specifico quali siano le ragioni di una possibile inammissibilità dell’impugnazione; e tra queste non possono esservi, nemmeno in via mediata e indiretta, quelle della chiarezza e/o sinteticità dell’atto di impugnazione.
Tra il serio e faceto si potrebbe allora dire questo: la chiarezza, la sinteticità e la specificità dell’atto non possono costituire condizioni di inammissibilità dell’impugnazione, poiché, a loro volta, non sono condizioni chiare e specifiche.
V. A. Poso Alcune critiche riferite al sistema sanzionatorio con l’aggiunta o la revisione, in senso peggiorativo, di pene pecuniarie diversamente modulate sono condivisibili. Ma l’abuso del processo può essere senza alcuna sanzione?
G. Scarselli Voglio essere chiaro sull’argomento, il testo dell’art. 96 c.p.c. nella versione degli anni ’50 era per me più che sufficiente; tutto quello che è stato fatto dopo è un eccesso, e non lo condivido.
Cerco di precisare, seppur nei limiti di una intervista: a) il diritto di azione comprende anche il diritto all’azione infondata; sanzionare l’azione infondata significa porsi in contrasto con l’art. 24 Cost.; b) l’abuso del processo deve essere tipicizzato dal legislatore, non può essere rimesso alla discrezionalità del giudice; c) l’abuso del processo non può costituire illecito amministrativo contro lo Stato ma solo illecito civile contro la parte che lo subisce; oggi lo si configura invece quale illecito amministrativo, per giunta senza le garanzie dell’illecito amministrativo, poiché tanto l’individuazione della fattispecie quanto la sanzione non è individuata dalla legge ma rimessa alla discrezionalità del giudice; d) l’abuso del processo non può che essere individuato dinanzi a liti di particolare gravità, poiché per tutto il resto deve suonare ancora forte l’avvertimento di Salvatore Satta: “se la forza della matematica è quella di non essere un’opinione, la forza del diritto è invece proprio quella di essere un’opinione”; e) l’aggravamento dei costi e dei rischi economici del processo è in contrasto con l’art. 3 Cost., poiché danneggia i diritti delle classi meno abbienti; lo diceva un liberale, non un comunista, quale Pasquale Stanislao Mancini, già nell’ottocento, per il quale, se si introducono ostacoli, costi o sanzioni all’esercizio dell’azione in giudizio, allora “una comune prudenza determinerà sovente il cittadino a sopportare in pace torti anche gravi piuttosto che ricorrere a mezzi cotanto onerosi di riparazione. Allora le liti diverranno il lusso dei ricchi, la giustizia un loro privilegio e non un bene ed un diritto egualmente garentito a tutti”.
V. A. Poso Che la nostra tradizione di civil law debba essere preservata lo penso anche io (non fosse altro per la mia formazione non solo universitaria ma anche mentale, quale allievo di Giuseppe Pera), ma davvero, se questa scelta fosse ineludibile, l’affermazione della common law sarebbe così preoccupante?
G. Scarselli Si tratta di un fenomeno che deve essere studiato, si tratta di rendere tutti consapevoli che qualcosa sta cambiando, che le nostre tradizioni stanno subendo una modificazione.
Peraltro, il termine common law è stato usato da me in senso meramente riassuntivo del fenomeno e per niente preciso; per scherzo, mettendo insieme l’inglese con il dialetto romanesco, io l’ho chiamata la common law de noantri.
È preoccupante?
Poco, se è una evoluzione naturale del sistema di tutela dei diritti.
Molto, se è qualcosa che qualcuno forzatamente vuole.
V’è comunque da vigilare, poiché in una logica di globalizzazione i paesi di civil law potrebbero essere in qualche modo indotti od obbligati ad abbandonare le loro tradizioni in favore di quelle della common law, visto che questa ultima meglio si presta ad una semplificazione dei processi.
Il rischio è poi che questa trasformazione mini il concetto stesso di “diritto soggettivo” e trasformi ogni diritto delle persone in meri interessi.
In ogni caso questa globalizzazione, portata avanti in nome della semplificazione e della immediatezza, ha per conseguenza, per i paesi di civil law, la banalizzazione assoluta del lavoro dei giudici e degli avvocati.
Nel medioevo vi era il c.d. causidico (dal latino causidicus, ovvero, colui che: “dice la causa”) il quale poteva agire in giudizio senza essere esperto di diritto.
Egli, infatti, si limitava a riportare i fatti; e questo era sufficiente, in quanto il causidico era solo un rappresentante della parte e non svolgeva ulteriori particolari funzioni.
A breve (io spero di no, ma credo di sì) ritorneremo ai causidici, poiché nient’altro sarà infatti richiesto agli avvocati se non rappresentare i litiganti e riferire i fatti controversi.
V. A. Poso Gli interventi normativi volti a rafforzare la vincolatività dei precedenti, che si sono susseguiti dal 2006 in poi, sino all’ultima riforma, sono molti. Anche questo è oggetto di critiche da parte Sua. Non è disposto ad accettare l’onere della vincolatività, ma nemmeno il principio della tendenziale vincolatività dei precedenti? A me sembra, questo, un modo adeguato per arrivare alla certezza del diritto applicato.
G. Scarselli Certo, dobbiamo salvaguardare e tutelare la certezza del diritto e il trattamento eguale di tutti i cittadini di fronte alla legge e nei processi, non c’è dubbio di ciò.
Ho solo detto, però, che una cosa è la nomofilachia, altra cosa la vincolatività dei precedenti; una cosa la civil law, altra cosa la common law.
Oggi queste distinzioni sembrano perse, e questo mi preoccupa.
La nomofilachia non può estendersi fino a ricomprendere la vincolatività delle decisioni della Corte di Cassazione.
Sono due concetti diversi, e tale a mio parere devono restare.
Ad ogni modo si tratta di un tema complesso che non può essere dibattuto in un’intervista.
Sto scrivendo proprio in questi giorni un articolo su questo, che penso di pubblicare a breve.
V. A. Poso Una piccola digressione. In un articolo che non fa parte degli scritti raccolti nel libro recensito, pubblicato sulla Rivista Judicium, 25 gennaio 2023, Sulle relazioni dell’ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, Lei pone il problema della nomofilachia e dell’indipendenza interna dei magistrati e del rapporto con quest’ultima delle relazioni di detto Ufficio, degno di essere approfondito, come se ci fosse un condizionamento, seppure indiretto ( e non voluto) nei confronti di tutti i magistrati (compresi quelli della stessa Corte di Cassazione). A me sembra – e per questo non condivido le Sue conclusioni – che diversi sono i piani in cui si muovono la nomofilachia, derivante dalle decisioni assunte dalla Suprema Corte, e le relazioni dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo: che necessariamente sono funzionali alla nomofilachia (e in tal senso è varia la loro articolazione nel sistema interno della Corte), ma rispondono, anche, all’esigenza di una periodica informazione all’esterno sui principali orientamenti della Corte di Cassazione
G. Scarselli Lo scritto al quale Lei fa riferimento pretende solo di essere momento di discussione su un aspetto che non mi pare secondario.
Le relazioni dell’Ufficio del Massimario non si limitano ad informare all’esterno sui principali orientamenti della cassazione ma prendono posizione sull’interpretazione delle nuove leggi.
Peraltro la legge sull’ordinamento giudiziario non prevede che l’Ufficio del Massimario svolga funzioni per l’esterno, ma solo compiti per l’interno della Suprema Corte.
Le relazioni sono utili e quasi sempre ben fatte, ma non è questo il problema.
Il problema è che i giudici del merito possono trovarsi in imbarazzo nell’interpretare personalmente la nuova legge, se questa è già stata interpretata dall’Ufficio del Massimario, ovvero dalla stessa Corte di Cassazione.
È conforme ciò all’indipendenza interna della magistratura?
È chiaro che i giudici del merito non sono tenuti a rispettare le indicazioni del Massimario, né il Massimario lo pretende; ma in un sistema che sempre più va verso l’uniformità delle decisioni e verso la gerarchizzazione della magistratura, per un giudice del merito assumere una posizione non conforme alle indicazioni del Massimario potrebbe essere difficile.
Ho quindi invitato a dibattere questi aspetti e valutare quale debba essere il giusto equilibrio tra nomofilachia e indipendenza della magistratura.
V. A. Poso In alcuni scritti raccolti nel libro oggetto di questa conversazione viene criticata la tendenziale prospettiva della nostra giurisprudenza a rendersi (sempre più) fonte del diritto. Cosa è che non la convince? La libertà o l’arbitraria interpretazione dei giudici?
G. Scarselli Anche qui, ho solo rilevato un dato, non ho espresso giudizi.
Non è questione di vedere se la cosa convince o non convince; nel nostro sistema la giurisprudenza non è fonte di diritto, punto.
Se invece lo diviene, allora significa che il nostro sistema di diritto è mutato.
Questo ho scritto; ed anche questo non è un tema secondario che possa essere trascurato.
E certo, se si arriva a dire, come è stato fatto (v. Corte Cost. 24 ottobre 2013, n. 248 e Corte Cost. 2 aprile 2014, n.77) che il giudice, in forza dell’art. 2 Cost. può mutare il tenore delle clausole di un contratto se queste sono “sbilanciate a danno di una parte”; oppure si arriva a dire (così Cass. 5 novembre 1999, n. 12310, ma vedi anche Cass. 13 settembre 2005, n. 18128; Cass. 24 settembre 1999, n. 10511; Cass. 20 aprile 1994, n. 3775), che il giudice, in una valutazione complessiva della relazione giuridica, “e a prescindere specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge”, può determinare, il “dovere di agire” ritenuto più equo, io credo che qualche domanda sia necessario porsela.
Perché, sia consentito, la certezza del diritto non sorge solo dalla nomofilachia, sorge anche dall’antica circostanza che, se io stipulo un contratto, faccio affidamento sulla relazione giuridica che in base a quel contratto mi lega ad un'altra persona.
Ma se il giudice, in deroga al contratto, può stabilire un’altra cosa, allora un problema di certezza del diritto devo pormelo, oltre al fatto che mi devo chiedere se ciò sia conforme al nostro sistema di civil law, visto che da noi, appunto, la giurisprudenza non è fonte del diritto.
V. A. Poso Una conclusione puramente accademica e di scuola. Dei processualisti dell’età aurea chi ha interpretato meglio di tutti lo spirito del processo civile?
G. Scarselli Il problema è che “lo spirito del processo civile” è soggettivo; se cambia lo spirito, cambia anche il processualista classico che meglio di tutti lo abbia interpretato.
A mio parere, comunque, questi è stato Piero Calamandrei.
So che così la pensava anche Franco Cipriani.
V. A. Poso E dopo di lui possiamo ritenere Virgilio Andrioli, non giurista, ma Maestro di giuristi, di intere generazioni di studiosi, molti dei quali diventati Maestri come lui?
G. Scarselli Sì, Virgilio Andrioli è stato un uomo e un giurista eccezionale.
Ricordo in proposito le parole di Andrea Proto Pisani: “voglio ricordare soprattutto l’affetto, l’umanità e l’intransigenza morale di Andrioli e proporlo come esempio in questo difficile momento che l’Università e la società tutta sta attraversando, spesso avendo dimenticato i valori che la Costituzione negli articoli 2 e 3 voleva porre a fondamento della nostra convivenza”.
E poi quelle di Francesco Carnelutti, riferite alle Lezioni di Virgilio Andrioli sul processo civile: “Andrioli è, secondo me, il miglior fenomenologo del diritto processuale che noi abbiamo in Italia; oserei dire, se mi si perdona il bisticcio, che la sua padronanza dei fenomeni processuali, così sub specie legis come sub specie judicii, è fenomenale”.
Sempre Proto Pisani dice del Maestro: “giudice della Corte costituzionale o collega di facoltà scontroso perché per natura inadatto alla mediazione propria dei collegi”.
Orbene, devo confessare che ho sempre apprezzato Virgilio Andrioli anche per il suo carattere, e amavo soprattutto la sua parlata, con un romanesco ostentato.
E torno a Piero Calamandrei.
V’è la possibilità di ascoltare su YouTube il discorso celebre che egli tenne agli studenti di Milano sulla Costituzione il 26 gennaio 1955.
Se lo si ascolta, si nota che Piero Calamandrei parlava quasi in vernacolo.
Si pensi: Piero Calamandrei che parla fiorentino e Virgilio Andrioli che parla in romanesco; e tutti noi, oggi, che ci sforziamo a parlare in inglese!
V.A. Poso Condivido il giudizio su Piero Calamandrei e Virgilio Andrioli (di questi due Maestri Giuseppe Pera ci ha dato sempre diretta testimonianza).Mi viene alla mente un giudizio lusinghiero a proposito della Sua densa monografia “ La condanna con riserva”, Giuffrè Editore, Milano, 1989, in due lettere di Virgilio Andrioli del 6 febbraio 1990 ( pubblicate con il n. 64 e il n. 65 , in appendice al libro dedicatogli dai suoi allievi, a cura di Andrea Proto Pisani, “ L’affetto, l’umanità e l’intransigenza morale di un Maestro: Virgilio Andrioli. Ricordi dei suoi allievi e lettere”, Jovene Editore, Napoli, 2020, pp. 150 e 151). E ovviamente, per il tempo presente, il riferimento è proprio al Suo Maestro fiorentino, Andrea Proto Pisani, un’altra voce calamitosa contro l’ultima riforma.
G. Scarselli Sì, ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Virgilio Andrioli, una rarità per un giurista della mia generazione.
L’ho conosciuto la prima volta nel 1989: lui aveva 80 anni, io 29.
Non dimenticherò mai quell’incontro.
Il suo giudizio sul mio lavoro rimarrà per sempre la mia più grande soddisfazione professionale, qualunque altra cosa mi possa succedere.
Andrea Proto Pisani ha portato avanti la sua voce, e lo ha amato come un padre, forse più di un padre.
Voglio ricordare anche qui, a chiusura di questa intervista, un fatto per me indelebile.
Virgilio Andrioli, nell’ultimo periodo della sua vita, perse per ragioni di salute la capacità di intendere e volere, e Andrea Proto Pisani (Virgilio Andrioli non aveva figli) fu nominato dal Tribunale di Roma suo tutore.
Nell’ultimissimo periodo della sua vita Virgilio Andrioli non era più in grado di riconoscere le persone, ma Andrea Proto Pisani continuava egualmente a fargli visita, a passare del tempo con lui.
Virgilio Andrioli non lo riconosceva, e Andra Proto Pisani stava lì, stava lì egualmente.
Cos’altro posso aggiungere?
V. A. Poso Nulla. Questo e molti altri ricordi si possono leggere nell’intervista, intensa e passionale, che mi è stata rilasciata da Andrea Proto Pisani, “Ancora oggi in compagnia e a colloquio con il mio Maestro Virgilio Andrioli”, pubblicata su Giustizia Insieme il 7 novembre 2020.
Quali impatti avranno su di noi i Large Language Models e CHAT GPT (e quali saranno le conseguenze per il mondo del diritto)
di Fiorenzo Pilla
Sommario: 1. Introduzione - 2. Internet e la trasformazione della conoscenza - 3. L’universo digitale ci sta cambiando…e probabilmente ci cambierà ancora - 4. La delega ai sistemi digitali e la “consapevolezza” come strumento per affrontare il futuro - 5. Cosa sono i LLM e come funzionano - 6. Problemi effettivi e potenziali legati all’utilizzo dei LLM - 7. Conoscere per comprendere: predisporsi ai futuri impatti nel mondo del dritto.
1. Introduzione
I Large Language Model, e su tutti il più conosciuto tra essi, Chat GPT, hanno cambiato in brevissimo tempo il modo in cui concepiamo la tecnologia.
In un mondo in cui la quantità di informazioni e di dati disponibili è in costante crescita, i Large Language Model propongono al pubblico un nuovo modo per accedere e utilizzare queste informazioni: dialogare in linguaggio naturale con un sistema che fornisca l’illusione di una relazione con un’entità senziente, in grado di rispondere alle nostre domande e di elaborare testi, più o meno complessi, nella forma che più ci aggrada.
Ai Large Language Model, infatti, possiamo chiedere di scrivere un’e-mail su un argomento specifico, di produrre un articolo con un determinato numero di battute su un tema a nostra scelta, possiamo finanche indicargli di scrivere una poesia imitando lo stile dell’autore che più ci aggrada.
In tutti questi casi, il risultato potrà essere più o meno completo e dettagliato, ma nella gran parte delle occasioni fornirà la sensazione di trovarsi davvero di fronte a un prodotto dell’ingegno umano.
Al di là delle comprensibili tentazioni di rendere complessa ed eccessivamente tecnica la definizione, il funzionamento e i possibili campi di fruizione di tali modelli, tentazioni che possono riguardare sia gli operatori del diritto che quelli delle tecnologie, per comprendere appieno quanto dirompente possa essere stata la diffusione nell'utilizzo di questi strumenti, non solo nel definire il nostro rapporto con l'universo digitale, ma anche nell'esperienza quotidiana, è utile, se non necessario, riflettere su come l'avvento della diverse rivoluzioni digitali che si sono susseguite nell’ultimo quarto di secolo, a partire dalla prima, legata al World Wide Web, abbia modificato in maniera radicale il nostro rapporto con l'idea stessa di conoscenza.
2. Internet e la trasformazione della conoscenza
La diffusione dell'accesso a Internet, infatti, ha rappresentato una svolta epocale nella composizione e nella struttura delle fonti del sapere, una svolta tale da portare il filosofo Silvano Tagliagambe a definirla una seconda rivoluzione copernicana[1].
Il passaggio è stato rapido e repentino.
Se per lungo tempo, a partire dal Fedone di Platone, passando dal Novum Organum di Francis Bacon, fino al contemporaneo Albert Einstein, per rappresentare la conoscenza umana e le sue molteplici ramificazioni ci si è riferiti alla metafora dell'Albero, le tecnologie digitali hanno reso tale metafora non più applicabile su larga scala.
Nell'Albero, le radici formano le basi della conoscenza, il fusto simboleggia la sua struttura centrale e le diverse ramificazioni disegnano le molteplici branche del sapere.
Con Internet, tutto è cambiato, si è passati da una struttura gerarchica a una struttura distribuita e interconnessa, rappresentata proprio dalla nuova metafora della Rete.
Nella Rete, infatti, non esiste una base o un centro e i nodi sono tutti ugualmente importanti nella trasmissione del sapere. Ancora più importanti sono le interconnessioni tra i nodi, perché più la Rete è fitta, più è efficiente[2].
Se al tempo della prima diffusione di questa idea la natura democratica che sottendeva la metafora era apparsa come il preludio a una libertà totale nella costruzione del sapere, svincolata da oligopoli e concentrazioni, questa promessa appare, oggi, in buona parte disattesa.
Non solo.
Se da un lato la disponibilità planetaria ed orizzontale delle fonti ci ha garantito l'accesso, in potenza, a un sapere sconfinato, dall'altro, per le modalità con cui si è realizzata, ha influito su molti aspetti del nostro rapporto con l'assimilazione dei contenuti, prospettando finanche una modifica dei processi che poniamo alla base della ricerca e della memorizzazione.
3. L’universo digitale ci sta cambiando…e probabilmente ci cambierà ancora
Oggi, grazie a ricerche e studi che hanno esaminato la natura di questa metamorfosi[3], appare sempre più plausibile che l'evidente cambiamento nella proposizione e fruizione del sapere non riguardi solo un approccio funzionale e di natura pratica, ma investa anche la sfera fisiologica e le connessioni sinaptiche che definiscono i percorsi attraversati dai dati che elaboriamo nei nostri processi mentali.
Il nostro cervello, infatti, per adattarsi alla realtà che lo circonda, modifica i collegamenti neuronali e il modo in cui reagiscono agli stimoli esterni, generando i nuovi percorsi cerebrali che questi stimoli possono percorrere.
L'utilizzo del digitale, in forma consistente e costante, può amplificare queste modulazioni, sia per la sua natura di nuova realtà con cui socialmente ci troviamo a interagire, sia per le modalità con cui questa fruizione si realizza: rapida, breve, frequente.
Quel che emerge dai citati studi è un impatto, in generale, sulle capacità metacognitive, ovvero su quei processi mentali che ci permettono di organizzare e controllare le attività cognitive e di pensiero. Appare plausibile che le capacità metacognitive stiano parzialmente cedendo il passo alla componente più istintuale e affettiva, legata, nel panorama di contesto, ai processi di piacere e di ricompensa. Questo ribilanciamento sarebbe estremamente rilevante dal momento che i processi di razionalizzazione del pensiero contribuiscono in maniera essenziale all'acquisizione e al consolidamento di ciò che impariamo e lo fanno utilizzando l'attesa come strumento fondamentale, soprattutto nel caso di processi di lunga durata. In pratica, quando dobbiamo conservare memoria di elementi, ragionamenti, riflessioni che richiedono un impegno sia in termini di applicazione che di tempo necessario all'apprendimento, le pause di attesa predispongono alcune condizioni necessarie affinché i processi di assimilazione si svolgano correttamente e con successo.
La frenesia, la scarsa profondità e la bulimia informativa che caratterizzano molte delle nostre interazioni digitali quotidiane confliggono con questa architettura di processi e generano condizioni diverse alle quali le nostre menti provano ad adattarsi, portando come conseguenza una progressiva riduzione delle capacità di attenzione e concentrazione.
Appare evidente, oggi, una diffusa e pervasiva incapacità di affrontare l'attesa, sia essa quella relativa al caricamento di una pagina Web, sia quella per una coda inaspettata nello svolgimento di una commissione, sia, ancora, un allungamento del tempo di accesso per la fruizione di un contenuto.
In tutti questi casi, e in altri a essi assimilabili, è percepibile e palpabile un aumento diffuso del nervosismo, del disagio e del fastidio.
Se l'osservazione empirica ci permette di valutare gli impatti sociali di questi fenomeni, quel che ai più, probabilmente, sfugge è la conseguenza che ne deriva: se non siamo capaci di aspettare, non riusciamo a imparare.
E sempre nell'osservazione empirica della quotidianità, nei dialoghi e nelle interazioni relazionali emerge come, di pari passo con il progredire nella frequenza e rilevanza degli accessi al digitale, si diffonde la scarsa capacità di scatenare il meccanismo di ricompensa, il più efficace tra i driver dei nostri processi mentali, nel caso di elaborazioni che richiedano una quantità di tempo più consistente; a questo corrisponde una costante ricerca di ricompense a breve o a brevissimo termine, un esempio su tutti lo scrolling compulsivo di notizie o post sui social network, non in grado di fornirci il grado di benessere e di piacere di cui abbiamo bisogno.
L'osservazione correlata evidenzia come, se in passato la possibilità di utilizzare informazioni in maniera efficace era strettamente legata alla possibilità e alla capacità del singolo di riuscire a memorizzarle, oggi ci si sia socialmente affidati a una memoria "di accesso" e non di "di contenuto": non avendo più la necessità di memorizzare le informazioni in sé, conserviamo memoria dei percorsi da utilizzare per ricercarle, e ciò accade, nella maggior parte dei casi, attraverso un rapido utilizzo, e una conseguente rapida consultazione, degli strumenti digitali a nostra disposizione.
4. La delega ai sistemi digitali e la “consapevolezza” come strumento per affrontare il futuro
Possiamo condividere, quindi, la visione di una progressiva delega al contesto tecnologico di talune parti che hanno da sempre caratterizzato la natura del processo di acquisizione del sapere, delega che include il processo di ricerca delle fonti, spesso demandato alla elaborazione algoritmica dei motori di ricerca, e della memoria.
Possiamo persino spingerci a paventare una ridotta capacità di imparare che esuli dalle motivazioni sociali e si spinga a includere impatti fisiologici.
E proprio per l'esperienza che abbiamo accumulato negli ultimi cinque lustri, sebbene brevissima dal momento che in termini di evoluzione sociale venticinque anni possono essere considerati poco più di un battito di ciglia, è fondamentale che l'avvento dei nuovi Large Language Model sia accolto, sì, con entusiasmo e fiducia, ma anche con profonda consapevolezza.
È necessario comprenderne le caratteristiche, interrogarsi sui contesti in cui possano costituire valido supporto e, soprattutto, riflettere sui rischi di diversa natura che un loro utilizzo poco informato possa comportare. È necessario, oltre che auspicabile, inoltre, che una riflessione di questo tipo coinvolga anche le componenti legislativa e giudiziaria, dal momento che, mai come oggi, è urgente non rimanere indietro nella valutazione di impatto su entrambi i versanti, considerata la velocità estrema con cui le innovazioni digitali si impongono nella società contemporanea.
Se è vero, come è vero, che la consapevolezza nasce dalla conoscenza, dobbiamo, come primo passo, interrogarci su cosa siano davvero i Large Language Model e come quello che tra essi a oggi appare il più utilizzato ed efficiente, Chat GPT, abbia origine e funzionamento.
5. Cosa sono i LLM e come funzionano
Un Large Language Model è un tipo di modello di intelligenza artificiale addestrato per elaborare e generare testo in modo simile a come lo farebbe un essere umano. Semplificando, un Large Language Model è un sistema in grado di elaborare il linguaggio naturale e di produrre testo coerente e significativo.
Per addestrare un Large Language Model, si utilizzano enormi quantità di dati (articoli di giornale, libri, pagine Web, messaggi di social media, ecc.) in modo che, attraverso la loro analisi e una programmazione parallela, possa apprendere e progressivamente affinare le regole del linguaggio, la grammatica, le regole di costruzione delle frasi, le parole che si usano più frequentemente.
Per avere un’idea di cosa si intenda con “enormi quantità di dati”, basti pensare che, durante la fase di addestramento, al modello CHAT GPT sono stati dati in pasto una versione filtrata dell'intero Web, raccolta tra il 2011 e il 2021, e collezioni di libri in formato digitale composte da milioni di volumi differenti sugli argomenti più disparati.
Una volta addestrato, il modello può produrre nuovo testo in base a un input iniziale.
Se si pone una domanda al modello, esso può generare una risposta basata sulla elaborazione dei termini che compongono la domanda e del contesto di riferimento, il che rende gli Large Language Model utili in una vasta gamma di applicazioni: generazione di testo creativo, assistenza all'elaborazione del linguaggio naturale, traduzione automatica, sintesi del testo e molto altro ancora.
Quel che è importante sottolineare, però, è che questo processo di elaborazione non include una comprensione semantica del testo.
L'enorme capacità di calcolo di cui questi sistemi dispongono permette loro di eseguire una valutazione statistica sulla sequenza di parole e frasi legate ai termini presenti nella domanda. Nessun ragionamento, quindi, nessuna valutazione di merito, solo una ricerca, e in continua evoluzione, della probabilità che la parola successiva inserita nel testo sia la più appropriata e significativa rispetto alle parole che la precedevano.
6. Problemi effettivi e potenziali legati all’utilizzo dei LLM
Questa circostanza porta con sé due ordini di problemi.
Il primo è di natura fattuale. L'elaborazione statistica delle parole non garantisce alcuna attendibilità che vada oltre la costruzione di uno scritto verosimile nella forma. I meccanismi di risposta si basano sulle occorrenze, sui lemmi, sulle informazioni di cui parlavamo, e queste informazioni comprendono di tutto, elementi validi ed elementi che non lo sono. I Large Language Model sono sprovvisti di un qualsivoglia vaglio critico che permetta di approcciare in maniera razionale o semantica il testo progressivamente costruito e i comprensibili tentativi operati dai ricercatori per porre un filtro agli argomenti che appaiono più scomodi o rischiosi sono stati, fino a oggi, aggirati o elusi, a volte finanche dagli stessi Large Language Model.
Va da sé che un qualsiasi ausilio alla produzione di testo da parte di questi sistemi va ipotizzato tenendo sempre e comunque presente la necessità di una attenta e approfondita analisi ex post, e questo vale in particolar modo per i contesti in cui la parola scritta ha consistenti impatti sul piano pratico, andando a influenzare o intervenire su aspetti rilevanti della vita dei singoli.
Il secondo è di natura elaborativo\sociale e riguarda l'accesso alle informazioni e il riferimento alle fonti e, anche in questo caso, può essere utile ricordare quanto già accaduto in passato per dotarsi di una cornice d'esperienza in cui inquadrare gli eventi correnti e le prospettive future.
Come scrivevamo in precedenza, la promessa della prima era Internet di fornire un'informazione libera da vincoli e condizionamenti è stata parzialmente disattesa. Se è vero, da un lato, che in Rete è possibile trovare ogni tipo di notizia, opinione, orientamento, è altrettanto vero che, oggi, gli utenti dedicano, mediamente, poco tempo e ancor meno attenzione alla valutazione di quanto gli viene proposto. Nella maggior parte dei casi, si affida il proprio quesito a un motore di ricerca o a un'applicazione social lasciando che siano i sistemi algoritmici a indicarci le fonti che è più utile proporci.
L'utilità cui ci riferiamo è duplice perché comprende, sì, l'interesse dell'utente alla esplorazione del risultato, dal momento che questo è uno dei passi fondamentali per la sua fidelizzazione, ma, sull'altro versante, persegue l'interesse economico del motore stesso che non chiede alcun pagamento monetario agli utilizzatori e utilizza la pubblicità mirata come fonte di guadagno.
Questo sistema si è trasformato, progressivamente, nella concretizzazione pratica, come scrivevamo, di una delega agli algoritmi da parte degli utenti, delega avente ad oggetto la scelta delle fonti attraverso cui informarsi, con le conseguenti distorsioni che un affidamento totale della dieta informativa a un soggetto terzo, non super partes, può portare con sé.
Eppure, con i Large Language Model, nell'attuale forma di interazione dialogica, si fa un passo verso una delega ancora più forte.
A oggi, nelle risposte previste da Chat GPT, ad esempio, non è presente alcuna indicazione sull'origine dei dati cui la produzione della risposta o del testo fa riferimento; la limitata possibilità di scelta della fonte offerta dai motori di ricerca è completamente sparita.
Utilizzando i Large Language Model non solo ci affidiamo a loro nella scelta sul tipo di informazioni da reperire e sul dove recuperarle, gli stiamo affidando anche la loro analisi, elaborazione e presentazione.
7. Conoscere per comprendere: predisporsi ai futuri impatti nel mondo del dritto
Le conseguenze e i temi che questo cambiamento epocale può lasciar presagire sono molteplici e riguardano sia il versante teorico che l'applicazione pratica del diritto.
Sul piano civile, ad esempio, si pongono questioni riguardanti la responsabilità civile dei proprietari dei modelli nel caso di eventuali danni causati dal loro utilizzo da parte di terzi, come potrebbe accadere, ad esempio, nelle circostanze tutelate dal diritto d'autore.
Sul piano penale, invece, i Large Language Model possono essere utilizzati per commettere crimini, come la diffusione di contenuti illegali o pericolosi, il furto di dati sensibili o la frode. In questi casi, il legislatore e i giudici sono chiamati a considerare la questione della responsabilità penale dei proprietari dei modelli di linguaggio, nonché quella degli utenti che li utilizzano per commettere crimini.
Un aspetto particolarmente delicato, inoltre, è quello che riguarda l'impatto sulla privacy degli utilizzatori o di soggetti terzi.
Abbiamo scritto di come l'uso dei Large Language Model richieda la disponibilità di grandi quantità di informazioni per l'addestramento del modello e ciò comprende anche la raccolta e l’elaborazione di dati personali. Questi, possono essere raccolti tramite diversi canali, ad esempio social media, siti Web, e-mail e chat.
Appare chiaro, a tal proposito, che sia quanto meno da sollevare la questione relativa al consenso sulla loro raccolta ed elaborazione in un contesto che potrebbe andare ben oltre i termini di utilizzo sottoscritti dagli utenti delle diverse piattaforme di riferimento. Si consideri, ad esempio, la profilazione automatizzata, che si traduce nell'elaborazione delle informazioni personali per ottenere informazioni sul comportamento, le preferenze o le caratteristiche dell'utente.
Oggi, è difficile immaginare tutti gli impatti e le conseguenze sostanziali che queste nuovissime tecnologie potranno avere nel futuro prossimo e in quello più remoto.
Quel che, però, sappiamo di certo è che andranno ben oltre questi scenari, esemplificativi e non certo esaustivi; abbiamo, tuttavia, più di due decadi di esperienza alle spalle su come innovazioni digitali di questa portata abbiano avuto un impatto rilevante sul nostro modo di vivere la quotidianità e, di conseguenza, sul nostro sviluppo personale e sociale.
Partendo proprio da questa esperienza, sarà fondamentale utilizzare il, probabilmente breve, tempo che ci separa dal momento in cui l’adozione dei sistemi di intelligenza Artificiale di questo tipo sarà diffusa su larga scala, perché gli operatori del diritto imparino a conoscerli quanto più a fondo possibile. In questo modo potranno predisporsi, se non a prevedere tutti gli impatti sul piano giuridico e normativo, quantomeno a normare, sul versante legislativo, e a trattare, sul versante giudiziario, scenari che includano la presenza di queste e altre modalità di utilizzo delle intelligenze artificiali. Avremo la possibilità, così, di far tesoro di quanto osservava Randy Pausch, celebre informatico e professore all’University of Virginia, che ricordava come l'esperienza è ciò che otteniamo quando non otteniamo ciò che vogliamo.
[1] copernicana [Tagliagambe S., 1998, Rete, paradigma della conoscenza, Repubblica.it, online, https://www.repubblica.it/online/internet/mediamente/tagliagambe/tagliagambe.html, 14 febbraio 2023]
[2] [AA.VV., 1997, The Father of the WEB, Wired.com, online, https://www.wired.com/1997/03/ff-father/, 14 febbraio 2023]
[3] [Leonardi G., 2021, L’attesa nella neuropsicologia: uno sguardo ai processi cognitivi sottostanti nell’era delle nuove tecnologie in DNA - Di Nulla Academia Rivista di studi camporesiani, vol. 2, n.1, pagg 249-260]
Il contributo si inserisce nell'approfondimento del tema Accesso in magistratura, precedenti contributi Accesso alla magistratura -, Riflessioni sul concorso in magistratura di Mario Cigna Il tirocinio formativo ex art. 73 d.l. n. 69/2013 di Ernesto Aghina, Il procedimento per la nomina e selezione dei giudici e pubblici ministeri nella Repubblica Federale Tedesca di Cristiano Valle, Percorsi di accesso alla magistratura in Ungheria di Anna Madarasi, L’accesso alla magistratura francese di Antonio Musella[*] sotto la voce della rivista Ordinamento giudiziario.
Accesso alla magistratura - 1. Pensieri sparsi sul concorso in magistratura di Giacomo Fumu
È sempre complesso parlare del concorso in magistratura, selezione di quella parte della classe dirigente impegnata nella giurisdizione, funzione istituzionale propria di uno dei poteri dello Stato; e prova che, per questo, richiede al candidato solida preparazione, capacità espositiva, equilibrio, resistenza all’emozione e contemporaneamente pretende dall’amministrazione efficienza e progettualità, perché le attività concorsuali non vengano alterate da inconvenienti e disagi tali da limitare la possibilità dell’aspirante magistrato di esprimere al meglio le proprie potenzialità o da rendere difficoltoso alla commissione esaminatrice lo svolgimento del proprio compito con regolarità e serenità.
La recente modifica legislativa della normativa sull’ingresso in magistratura apportata con il decreto-legge 23 settembre 2022, n. 144 (art. 33), non a caso in tema di realizzazione del PNRR e quindi necessariamente collegata al perseguimento dell’obiettivo di riduzione del contenzioso pendente «anche tramite la celere assunzione di nuovi magistrati», ha abbreviato i tempi del percorso per sostenere l’esame; ormai non si può più ritenere che l’accesso in magistratura sia governato (e garantito quanto a specializzazione degli aspiranti) da un concorso di secondo grado: venute meno le referenze consistenti nell’avvenuto conseguimento del diploma della scuola per le professioni legali, nell’abilitazione alla professione forense, nel dottorato di ricerca o nello svolgimento con successo del tirocinio presso gli uffici giudiziari, a far data dal concorso bandito con il decreto ministeriale del 18 ottobre 2022 si può accedere a sostenere la prova avendo come titolo esclusivamente la laurea in giurisprudenza.
Si è molto discusso sulla opportunità di simile riforma: l’intenzione del legislatore del 2006 (d.lgs. n. 160/06) era chiaramente quella di operare una preselezione in ammissione fondata sui titoli e quindi sul merito, nell’ambito di una complessiva rivisitazione dell’ordinamento giudiziario nella quale si prevedeva per i magistrati una periodica valutazione di professionalità ed, ai fini del conferimento degli uffici, era attribuito un limitato rilievo al criterio dell’anzianità.
Ma la delimitazione della platea dei concorrenti così perseguita era funzionale non solo all’ingresso in magistratura di elementi già in possesso di una formazione giuridica propria, bensì anche a ragioni di carattere organizzativo: eliminata la preselezione informatica che era stata introdotta con il d.lgs. n. 398/97, si intendeva contenere il numero degli ammessi alle prove allo scopo di renderle materialmente gestibili anche con un contenimento della spesa (si tenga conto che per il concorso bandito con il D.M. 29 ottobre 2019, appena concluso, erano state presentate 13.283 domande di partecipazione, mentre per il primo concorso post-riforma le domande sono state 21.768).
La diversa opzione legislativa ha comunque certamente avuto il pregio di eliminare quella che appariva essere un’inaccettabile disparità fra aspiranti magistrati fondata sul censo, poiché i tempi non brevi per l’acquisizione del titolo abilitante alla partecipazione al concorso, uniti ai fisiologici ritardi del suo svolgimento, di fatto favorivano chi si trovasse in possesso di un’indipendenza economica che potesse consentire di dedicarsi esclusivamente e senza impedimenti alla preparazione della prova ed attendere l’esito del suo svolgimento.
Ed è invero possibile tuttavia che il neolaureato abbia maggiore vivacità e freschezza intellettuale di chi ha lasciato da anni gli studi universitari e possa quindi affrontare la necessaria preparazione e la prova di esame con brillantezza e migliori possibilità di successo, fresco di studi ma soprattutto di metodo, facendo ingresso in magistratura in un’età ancora giovane magari portatrice di quell’ entusiasmo per la funzione che va sempre più scemando.
Viene qui in rilievo, immediatamente, la questione centrale della preparazione al concorso: che tuttavia non muta a seconda di quali requisiti di ammissione siano richiesti, perché per gli uni (titolati) e per gli altri (semplicemente laureati) la prova da superare è la medesima.
L’esperienza concreta ha dimostrato una assai limitata utilità, a tal fine, delle scuole di specializzazione per le professioni legali, sostanzialmente ripetitive dei corsi universitari. L’iniziativa della preparazione è rimasta dunque essenzialmente in mano al singolo ed alla sua capacità di autorganizzazione.
La scelta operata dagli aspiranti magistrati appare essere regolarmente quella di frequentare una scuola di preparazione a gestione privata (anche se spesso legittimamente facente capo a magistrati non ordinari).
È noto che intorno alla preparazione del concorso è sorta una fitta rete didattica, di regola collegata anche a specifiche iniziative editoriali concernenti codici e manuali, nella quale di regola all’insegnamento si affianca l’esperienza concreta della scrittura di elaborati con relativa correzione e, a volte, un’analisi precisa sia dello storico degli argomenti già oggetto delle tracce nei concorsi passati sia della produzione giurisprudenziale o scientifica dei componenti della commissione per riuscire a cogliere quali argomenti potranno essere oggetto del tema assegnando.
L’esperienza di presidente della commissione del concorso, ruolo che ho svolto in due diverse occasioni, mi ha indotto a meditare su quali possano essere individuati come i limiti dell’attuale metodo di preparazione.
L’impressione che ho globalmente tratto è che non si induca più lo “studente”, o che questi a ciò non sia in grado di provvedere in autonomia, a conoscere e comprendere il sistema ed a ragionare per principi.
Lo studio dei principi e delle dottrine generali del diritto civile, del diritto penale e del diritto amministrativo consente invero al candidato, qualsiasi argomento venga individuato dalla commissione, di ragionare - con l’aiuto delle norme - sull’istituto intorno al quale è chiamato a discutere: e la mancanza di una preparazione sistematica si mostra palesemente quando, consistendo di regola la traccia nell’indicazione di una parte generale e di una parte più specifica a questa collegata, il candidato sia in grado di argomentare, eventualmente anche con compiutezza, sulla prima e si dimostri invece non più all’altezza sulla seconda, sì da cadere nel giudizio di inidoneità per incompletezza (parlo di incompletezza in quanto nessuna commissione ha mai dichiarato inidoneo un elaborato nel quale il candidato, pur non esponendo teorie rientranti nell’ ”ortodossia”, abbia mostrato conoscenza della materia e capacità di argomentazione giuridica).
A mio avviso questa è il segnale di una preparazione che ormai si consuma “per compartimenti stagni”: si affronta un argomento, si studia un istituto, ma senza inquadrarlo nel sistema e coglierne i collegamenti e tutte le implicazioni, pur sempre teoriche, che dai principi generali derivano nella sua applicazione ovvero nella sua “vita” nell’ordinamento.
È così tali limiti si sono palesati per esempio quando, dovendo il candidato esaminare la problematica del contratto preliminare ad effetti anticipati, non è stato poi in grado di affrontare adeguatamente le connesse questioni, al cui esame pur era chiamato dalla traccia, concernenti la tutela del promissario acquirente immesso nel godimento anticipato del bene; ovvero quando, richiesto di parlare della natura della responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato, con riferimento in particolare ai delitti colposi, ha trascurato di affrontare la questione dirimente della compatibilità fra un reato per definizione “contro l’intenzione” e il presupposto di detta responsabilità consistente in una condotta posta in essere nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
Questo è momento centrale del contenuto della preparazione del concorso in magistratura: occorre conoscere i principi generali per inquadrare nel sistema che lo comprende l’istituto sul quale si è chiamati a discutere nonché mostrare nell’elaborato di essere in grado di ricostruirlo ed illustrarne caratteristiche ed applicazione, lasciando da parte qualsiasi argomentazione di contorno estranea alla traccia.
La circostanza che dopo la parentesi dovuta alla pandemia sia (ri)entrata in vigore la normativa ordinaria, la quale non opera alcun riferimento alla consegna di un “sintetico elaborato teorico” (come si leggeva nei decreti-legge n. 44/21 e 118/21), non significa certo che non debba perseguirsi l’essenzialità e che la preparazione del candidato non debba essere finalizzata anche ad affinare la capacità di esporre il proprio ragionamento con sintesi e chiarezza, così mostrando conoscenza, consapevolezza ed insieme capacità di espressione (auspicabilmente con grafia non ostile).
Né, tanto meno, può concludersi nel senso che possa essere proposto ai concorrenti, anziché un elaborato teorico, un compito con risoluzione di un caso pratico: la storia stessa del concorso e delle tracce succedutesi negli anni esclude questa eventualità e mi conferma nella considerazione, che già ho avuto modo di esternare (Migliorare il CSM nella cornice costituzionale, atti del convegno di Giustizia Insieme, Padova 2020, 59), per cui il concorso in magistratura debba continuare ad avere la natura di selezione di giovani giuristi; non vale ricercare che l’aspirante magistrato sappia ben confezionare un decreto ingiuntivo o un decreto di sequestro preventivo per equivalente: la prova di selezione dei magistrati deve tendere ad individuare coloro che conoscono l’ordinamento, che si orientano nel sistema, che sanno ragionare e trarre le conclusioni dai principi generali nonché discutere con linguaggio tecnico e comprensibile la questione racchiusa nella traccia del tema da svolgere.
A questo deve tendere la preparazione e questi devono prospettarsi come criteri di selezione anche nella discussione orale, in cui la varietà dei temi (diciassette materie, alcune raggruppate nel voto) consente di cogliere e valutare la cultura generale del candidato.
Tornando rapidamente alle questioni nell’ordine in cui sono state più su esposte è opportuno soffermarsi sullo svolgimento delle prove scritte, che costituiscono un momento topico non solo per il concorrente ma anche per il ministero della Giustizia e per la commissione esaminatrice.
Con il prossimo concorso bandito per 400 posti (DM 18 ottobre 2022) si rivede l’antico: superata l’emergenza pandemica non operano più le regole derogatrici del regime ordinario che prevedevano una contrazione del tempo a disposizione per la consegna degli elaborati (rispettivamente quattro e cinque ore nelle prove scritte tenutesi rispettivamente nel 2021 nel 2022) e la redazione, come si è detto, di un “ sintetico elaborato teorico” da parte dei candidati: si torna così alle canoniche otto ore a disposizione per lo svolgimento del tema.
Si prospettano tuttavia alcune novità con riferimento alla selezione dei testi di legge consultabili durante la prova scritta, poiché il legislatore ha ritenuto di semplificare e rendere omogenea e per tanti versi più sicura un’operazione che da un lato impegna per più giorni la commissione esaminatrice ed il personale amministrativo e da un altro si mostra come possibile fonte di disparità di trattamento e comunque oggetto di controversie con le case editrici.
È noto che in base ad una risalente disposizione contenuta nell’art. 7 del regio decreto n. 1860 del 15 ottobre 1925 è consentito ai candidati di consultare durante la prova i semplici testi dei codici, delle leggi e dei decreti dello Stato da essi «preventivamente comunicati» alla commissione e da questa posti a loro disposizione «previa verifica».
Tutto ciò implica evidentemente un notevole dispendio di energie ed è fonte di disagio per gli stessi concorrenti, i quali si devono recare anche alcuni giorni prima della prova presso la sede del concorso onde eseguire detto deposito atteso che la “preventiva comunicazione” si sostanzia nella materiale presentazione alla commissione esaminatrice, da parte di ciascun candidato, dei codici e dei testi di legge dei quali egli intende servirsi per la stesura del tema; e che la “previa verifica” consiste nel controllo da parte dei commissari dei testi depositati, non potendo avere ingresso codici illustrati, annotati e/o commentati con dottrina e giurisprudenza.
Ma tale “verifica” ha assunto livelli di difficoltà - e qui si è posto il delicato problema che il legislatore si è orientato a risolvere – per la valutazione di ammissibilità di quei codici i quali, pur non dimostrando all’evidenza i caratteri vietati di illustrazione e annotazione delle norme, sono dotati di indici così diffusi e particolareggiati tali da suggerire percorsi argomentativi e dunque fornire al candidato un aiuto non consentito.
La questione ha assunto aspetti problematici sotto un duplice profilo. Innanzitutto, considerato il numero sempre elevato dei concorrenti che depositano i testi e la necessaria distribuzione dei commissari in più sottocommissioni addette alla ricezione e al controllo (pluralità che ha raggiunto livelli elevati nello svolgimento delle prove degli ultimi due concorsi, tenutesi in varie sedi) si è evidenziata la difficoltà di rendere omogenei tra le diverse commissioni, magari allocate in città diverse, i criteri di valutazione dell’atipicità o anomalia degli indici come su descritta, tenendo conto dell’ormai rilevante numero di case editrici specializzate nella pubblicazione di codici destinati essenzialmente alle prove di concorso.
Appare evidente come in siffatta situazione possa avvenire che, nonostante le sempre utili previe intese e le indicazioni tese all’uniformità provenienti dal presidente della commissione, possa essere ammessa o rifiutata da una sottocommissione l’utilizzazione di un codice che è stata invece rispettivamente rifiutata o ammessa da un’altra, con il rischio concreto di non frequenti e non volute ma pur sempre deprecabili disparità di trattamento.
Peraltro il giudizio di incompatibilità con le regole legge disciplinanti l’ingresso dei testi normativi nelle aule di concorso non riguarda solamente il singolo candidato: sono particolarmente interessante a questa valutazione le case editrici, per le quali un giudizio di esclusione ha evidenti conseguenze sul piano dell’immagine e su quello economico. Da ciò un contenzioso amministrativo che ormai da tempo accompagna le decisioni delle commissioni sulla ammissibilità dei testi.
Il legislatore, come si è detto, ha inteso risolvere la questione con una disposizione che, interpolando l’art. 7 del regio decreto n. 1860 del 1925, ha previsto come alternativa alla ordinaria procedura di deposito e controllo dei codici la possibilità che il decreto ministeriale di adozione del diario delle prove scritte (il quale, per il concorso in atto, sarà pubblicato il 31 marzo 2023) consenta la consultazione dei testi normativi «mediante modalità informatiche», da individuarsi con decreto del Ministero della giustizia da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge 21 ottobre 2021, n. 147, di conversione del decreto legge n. 118/2021.
Della emanazione del predetto decreto attuativo tuttavia non si hanno ad oggi notizie: si comprende quale difficoltà sia insita non solo nella predisposizione di circa 22.000 adeguate postazioni informatiche, equivalenti al numero dei candidati che hanno presentata la domanda di partecipazione e che teoricamente potrebbero presentarsi a sostenere la prova scritta, ma anche nella individuazione di quale criterio di selezione delle norme da porre a disposizione dei candidati debba essere seguito.
Si deve riconoscere che la realizzazione di simile obiettivo risolverebbe in radice entrambi i problemi di cui si è detto, perché la banca dati sarebbe la medesima per tutti i concorrenti, così eliminando qualsiasi disparità sull’accesso alla conoscenza dei testi, e perché non si porrebbe più la questione di un’editoria privata borderline che offre strumenti elusivi dei divieti di legge; tuttavia sembra di comprendere che per ora l’amministrazione ministeriale non sia ancora in grado di dotarsi degli strumenti adeguati, per cui continuano a valere tutte le considerazioni sull’argomento che sono state finora svolte.
Altro momento di particolare delicatezza nelle cadenze iniziali del concorso è quello della riunione plenaria della commissione, da tenersi prima dell’inizio delle correzioni, per la fissazione dei criteri di valutazione degli elaborati.
Si deve riconoscere che la formula descrittiva dei criteri utilizzata e trascritta nei verbali è, risalendo nel tempo, sostanzialmente la medesima. Tuttavia tale riunione è un’occasione fornita ai commissari per riflettere ancora sugli argomenti proposti con le tracce, per approfondire ulteriormente i temi da svolgere rispetto a quanto già meditato in “camera di consiglio” al momento della scelta, per individuare quali possano considerarsi i punti chiave che indefettibilmente devono essere trattati dal candidato per raggiungere la valutazione di idoneità
Proprio per favorire la miglior conoscenza reciproca ed il maggior approfondimento delle questioni da parte di tutti i commissari, la riunione plenaria di cui si parla è stata nei miei concorsi l’occasione per ascoltare le relazioni, svolte dai componenti professori universitari e magistrati esperti della materia, sugli argomenti oggetto delle tracce e ricevere da loro indicazione sul materiale di studio rilevante, distribuito anche in copia per la consultazione. È invero attraverso la condivisione delle problematiche da affrontarsi che i criteri astrattamente definiti cominciano a prendere forma reale, e la messa alla prova dell’importanza ed efficacia dello studio comune si presenta immediatamente dopo, cioè quando, come prevede la legge, si procede alla correzione in assemblea plenaria dei compiti di almeno 20 candidati.
È in questo momento che gli astratti criteri cominciano a concretizzarsi ed a rendersi attuali di fronte alle evidenze degli elaborati.
Sono personalmente convinto che per ottenere il miglior risultato delle prime operazioni, che cinicamente si potrebbero definire “di prova”, sia opportuno procedere ad una correzione comune di un “pacchetto” che vada ben al di là degli elaborati di 20 candidati; per questo motivo le mie commissioni hanno superato abbondantemente questo numero, con un esito realmente significativo di una raggiunta condivisione dei criteri di valutazione che ha portato in entrambi i concorsi a mantenere costante, fin dal primo mese dei lavori, la media delle idoneità.
La medesima esperienza vale per le prove orali e per la determinazione dei relativi criteri di apprezzamento. Anche qui le formule si ripetono da tempo ma anche qui la preventiva riunione plenaria dei commissari, lo scambio franco delle opinioni e degli intendimenti, la capacità di lavorare in gruppo trovano la sintesi che può consentire lo svolgimento di una prova orale in cui siano condivise ed applicate con costante equità non solo le regole di valutazione ma anche e soprattutto le modalità di espletamento della prova, che rivestono un ruolo rilevante per la tenuta psicologica del candidato in un momento di particolare impegno ed emozione.
Tutto ciò con l’auspicio che il Ministero e, per la sua parte, il Consiglio superiore della magistratura, consentano che le commissioni di esame possano operare in condizioni logistiche che favoriscano l’efficienza dell’azione e quindi la bontà dei risultati anche sotto il profilo della tempestività degli esiti: l’esperienza di chi scrive è stata sotto questo aspetto perfetta nel primo concorso, per il quale alla commissione vennero dedicati gli uffici di un intero piano in un edificio ministeriale allocato in uno dei più bei quartieri di Roma, e disastrosa nella seconda occasione, in cui i commissari sono stati costretti ad operare nonostante il virus in locali di via Arenula angusti e malsani.
E che su ventinove commissari solo undici siano stati contagiati dal Covid è stato veramente un gran risultato.
L’Ufficio per il processo: la parola ai funzionari (il Tribunale penale)
Intervista di Ernesto Aghina a Enzo Fallarino (Napoli), Erica Guida (Torino), Manfredi Pacifici (Roma) e Monica Ramolini (Milano)
Si conclude l’acquisizione delle valutazioni sulla funzionalità dell’Ufficio per il processo, ad un anno dal suo esordio operativo, offerte dai funzionari chiamati a comporlo.
Dopo le analisi dedicate alla Corte di Cassazione - L’Ufficio per il processo: la parola ai funzionari (la Corte di Cassazione) - alla Corte d’Appello civile - L’Ufficio per il processo: la parola ai funzionari (la Corte d’Appello civile) - e alla Corte d’Appello penale - L’Ufficio per il processo: la parola ai funzionari (la Corte d’Appello penale), vengono in rilievo ora le opinioni espresse dai componenti degli U.P.P. costituiti presso gli uffici giudiziari di primo grado.
Con riferimento all’esperienza dell’ UPP nel settore penale del Tribunale, sono raccolte le esperienze di alcuni funzionari in attività presso quattro uffici giudiziari italiani (il dott. Enzo Fallarino per il Tribunale di Napoli, la dott.ssa Erica Guida per il Tribunale di Torino, il dott. Manfredi Pacifici per il Tribunale di Roma e la dott.ssa Monica Ramolini per quella di Milano), che costituiscono un campione significativo delle modalità lavorative anche per la rilevanza dei Tribunali di appartenenza, caratterizzati dalla rilevanza del carico di lavoro e quindi dai conseguenti interventi adottati per fronteggiarlo.
Anche nel settore penale, come in quello civile, resta confermata, per la diversità delle risposte concernenti l’assetto organizzativo dei vari UPP, come nei Tribunali non sia operativo un unico modello organizzativo, ma si confrontino una pluralità di “uffici” per il processo, derivati dalle difformità delle esigenze locali.
Così ad esempio, anche nel settore penale, si registrano difformità (anche sensibili) nella ripartizione dell’attività tra supporto ai servizi amministrativi ed ai giudici; nella partecipazione (o meno) alle udienze, anche con compiti di verbalizzazione; e allo svolgimento di attività “da remoto” (può essere utile evidenziare a tale proposito che la rilevazione operata dal ministero al 30.6.2022 indica l’impiego di funzionari dell’ UPP in lavoro agile nel 43% dei Tribunali).
Risulta invece costante il collegamento diretto del funzionario al singolo magistrato (o al collegio), evidenziando un modello collaborativo per certi versi analogo a quello sperimentato sin qui per i tirocinanti ex art. 73 del d.l. n. 69/2013, nonostante le circolari ministeriali abbiano costantemente rimarcato la distinzione tra “ufficio per il processo” e “ufficio del giudice”.
A tal proposito sembra interessante il rilievo, percepibile nella comprensiva cautela di alcune risposte, del condizionamento operativo (intrinseco al collegamento diretto tra funzionario e giudice) derivante dalla maggiore o minore “attenzione” del magistrato ai compiti attribuiti all’ UPP, indice di una non generalizzata fiducia dei giudici nella nuova risorsa messa a loro disposizione.
Analogamente risulta ribadita in modo unanime la soddisfazione dei funzionari per le attività svolte, indicate come corrispondenti alle aspettative, avvalorando un riscontro che va messo senz’altro all’attivo dell’esordio operativo dell’UPP
In tutta evidenza, la pregressa esperienza di tirocinio formativo (comune ad una quota rilevante dei funzionari), ha agevolato la funzionalità operativa di chi aveva un bagaglio di esperienze “mirato”, spesso riferibile al medesimo ufficio giudiziario.
Quanto invece alla criticità, oltre a quelle (generalmente avvertite in quasi tutti gli uffici), relative all’inserimento iniziale dei funzionari all’interno degli uffici giudiziari, ascrivibili anche a difficoltà di “adattamento”, sia di ordine logistico che relazionale, ed al contemperamento tra mansioni molto diverse tra loro, emergono problematicità legate allo status dei funzionari e (conseguentemente) alla loro migrazione verso impieghi più stabili.
Come ampiamente prevedibile, la precarietà intrinseca all’inserimento nell’ UPP viene evidenziata come limite all’impegno e, soprattutto, incentivo alla partecipazione ad altri concorsi.
Da tanto deriva un progressivo depauperamento degli organici degli Uffici per il processo che, già significativo in alcune aree geografiche, è inevitabilmente destinato ad aggravarsi, una volta esaurito il già intervenuto scorrimento delle graduatorie degli idonei, anche nei distretti provvisti del maggior numero di aspiranti.
A tanto va aggiunto l’imminente concorso per l’accesso alla magistratura, “meta” agognata da molti funzionari, che si somma a non poche selezioni per l’accesso alla P.A. che, indipendentemente dalle suggestioni delle singole attività, risultano inevitabilmente caratterizzati da una stabilità di impiego che l’UPP non può (allo stato) garantire.
Forse la costante diminuzione delle risorse umane può costituire la maggiore criticità per il supporto garantito dall’UPP, non risultando realistico che possano supplire a questa carenza i g.o.p. in via di inserimento nei Tribunali, componenti dell‘ UPP nel primo biennio di attività, nella quasi totalità dei casi impegnati nel settore civile di destinazione definitiva, e con i vistosi limiti previsti (specie nel settore penale) in tema di compiti a loro delegabili previsti dall’art.10 del d.lgs.vo n. 116/2017.
Più in generale, per una iniziale verifica dell’attività degli UPPP., si segnala l’analisi operata dall’ A.N,M. (se pure relativa ad un campione ridotto di distretti), in occasione del recente congresso nazionale, e consultabile sul sito web: Microsoft PowerPoint - Presentazione_UPP_XIV_CommissioneANM _ 6.1.pptx (associazionemagistrati.it) .
Dal monitoraggio operato (ed in via di aggiornamento), sono ricavabili alcuni dati comunque significativi:
- la percentuale di scopertura dei funzionari dell’UPP (al settembre 2022) era già al 25% (con dati anche molto maggiori nei distretti di Genova, Trento e Venezia);
- il numero dei funzionari degli UPP operanti nel settore civile è pari al 58% del totale;
- solo nel 56% dei casi si dà atto della previsione di un controllo periodico (generalmente trimestrale) della performance;
- il 79% dei dirigenti degli uffici rispondenti ha rilevato come maggiore criticità del funzionamento degli UPP la carenza di organico del personale amministrativo.
Il completamento della ricognizione statistica potrà offrire ulteriori ed interessanti elementi di valutazione del primo anno di operatività dell’UPP cd. “recovery”, in attesa dei dati relativi allo smaltimento dell’arretrato e riduzione del disposition time, al dicembre 2022.
1. La formazione iniziale è risultata coerente rispetto alle attività da svolgere?
(FALLARINO) La formazione che ci è stata proposta all’atto dell’immissione in servizio era principalmente indirizzata all’utilizzo degli applicativi in uso nel Tribunale, nonché in generale alla conoscenza del funzionamento degli uffici giudiziari e, più in particolare, dei servizi di cancelleria connessi alla funzione giurisdizionale. Questa si è articolata, principalmente, in corsi online da seguire nei primi giorni successivi alla presa di servizio.
Non può dirsi che tale formazione non sia stata utile, in considerazione del largo utilizzo che degli applicativi si fa nell’ambito dell’ufficio. Bisogna però rilevare che, almeno con riferimento all’attività da me svolta in sezione, hanno avuto massima rilevanza, da un lato, il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013, dall’altro, l’esperienza sul campo col magistrato formatore prima, assegnatario poi, nelle aule giudiziarie e in camera di consiglio, che mi hanno consentito di muovermi agilmente all’interno dei fascicoli e di risolvere in tempi sempre più brevi le principali problematiche connesse alla funzione giurisdizionale.
(GUIDA) Solo in parte; per il settore penale, utili sono state le lezioni sul processo penale fascicolo penale, la liquidazione delle spese di giustizia, la banca dati Italgiureweb.
(PACIFICI) La formazione iniziale è risultata efficace e coerente con le attività svolte. In particolare, la formazione per quanto riguarda la cancelleria si è concentrata su:
- redazione dei verbali d’udienza;
- utilizzo dei sistemi SICP e TIAP;
- adempimenti pre e post udienza demandati ai singoli funzionari;
- funzionamento generale della Cancelleria.
Con riferimento, invece, alle attività di supporto ai Magistrati a cui siamo assegnati questi ci hanno bene indirizzato e spiegato lo standard e le modalità di lavoro richieste.
(RAMOLINI) Io sono stata assunta a febbraio 2022 ma avevo già iniziato il tirocinio ex art. 73 da settembre 2021 e ho proseguito con la stessa Giudice affidataria. La formazione svolta durante il primo periodo di tirocinio è stata del tutto coerente e più che sufficiente per le attività che mi sono state assegnate in qualità di UPP Quanto all’attività di supporto alla cancelleria, mi è stato fornito supporto in una prima fase iniziale per la preparazione all’attività di verbalizzazione e poi di volta in volta nel caso di bisogno.
2. Quale il rapporto percentuale tra attività di supporto alla cancelleria e ai giudici?
(FALLARINO) Appena entrati in servizio, è stato redatto dal Presidente di Sezione un ordine di servizio che, nell’assegnare ogni funzionario a un magistrato, indicava anche le giornate da svolgere in supporto alla cancelleria e quelle da trascorrere in ausilio ai giudici, con una percentuale del 50% per ciascuna attività.
Tale rapporto percentuale è, col tempo, mutato in maniera distinta per ogni singolo funzionario e non necessariamente nella stessa direzione. Ciò: sia in ragione del rapporto particolare che ogni funzionario ha instaurato col proprio magistrato assegnatario, sia in ragione delle aspettative dei funzionari stessi e della concreta disponibilità dei giudici, sia, infine, per le esigenze delle singole cancellerie.
Tanti funzionari addetti all’UPP hanno, nel tempo, progressivamente ridotto l’attività di supporto ai magistrati per dedicarsi maggiormente ai servizi di cancelleria; altrettanti hanno invece percorso la strada opposta.
Va rilevato, da ultimo, che tale rapporto percentuale, con l’entrata in vigore, prevista per il 1 novembre 2022, del Decreto Legislativo del 10 ottobre 2021, n. 151 – che ha finalmente inquadrato in maniera chiara la figura del funzionario addetto all’UPP quale figura di ausilio all’attività giurisdizionale e di supporto al giudice – è destinato ad essere rivisto.
(GUIDA) Nella mia sezione, un 80% del lavoro è rappresentato dalle attività di supporto ai giudici, ed un 20% al supporto alla cancelleria.
(PACIFICI) Il lavoro prevalente è sicuramente quello di supporto ai magistrati. Per quanto riguarda la Sezione cui sono stato affidato, nella prima riunione effettuata il Presidente ha chiaramente stabilito che noi UPP avremmo dovuto svolgere le funzioni di cancellieri in aula una volta a settimana e curarci degli adempimenti di cancelleria relativi a quell’udienza. Il resto della nostra attività è demandato interamente al supporto ai giudici che è, a mio avviso, prevalente.
(RAMOLINI) Per quanto riguarda la sezione in cui lavoro, attualmente l’attività di supporto alla cancelleria può essere quantificata in una percentuale variabile tra il 25% e il 35% a seconda della durata delle udienze. Nello specifico, dopo un periodo di formazione iniziale, ci è stato assegnato il compito di subentrare ai cancellieri nella verbalizzazione delle udienze monocratiche solo nell’orario pomeridiano, mentre dalla ripresa dopo il periodo estivo verbalizziamo per l’intera giornata di udienza monocratica del Giudice di riferimento.
Il resto della settimana è dedicato all’attività di supporto al Giudice e alla preparazione dei verbali per l’udienza successiva. Oltre a questo, su incarico del Presidente di sezione e della cancelleria abbiamo realizzato una tabella excel condivisa, con il riepilogo e il monitoraggio di tutti i fascicoli sospesi per messa alla prova e per irreperibilità degli imputati, occupandoci anche di disporre il rinnovo attuale delle ricerche.
3. Quali compiti ti sono concretamente attribuiti nella collaborazione all’attività giudiziaria? Partecipi all’udienza?
(FALLARINO) Premesso che sono in servizio presso una sezione dibattimentale penale, la mia fortuna è stata quella di essere assegnato al magistrato con il quale avevo svolto lo stage ex art. 73 d.l. 69/2013, con cui si era già creato un profondo rapporto di fiducia. Pertanto, i compiti attribuitimi sono stati da subito di responsabilità.
Principalmente, con riferimento alla funzione di raccordo con il cancelliere addetto al ruolo monocratico, mi occupo di controllare, per ogni udienza, il buon esito delle notifiche e il sollecito di quelle ancora non evase. Con riguardo alle funzioni più strettamente giurisdizionali, assisto il giudice durante l’udienza, procedendo alla scrittura delle bozze delle sentenze più semplici man mano che i processi vengono incamerati (prescrizioni, remissioni di querela o reati minori). Inoltre, partecipo attivamente alla camera di consiglio al termine dell’udienza con ricerche giurisprudenziali e mediante il confronto dialettico con il magistrato assegnatario per la decisione dei processi più complessi, dei quali, talvolta, mi è affidata la redazione della minuta della sentenza. Infine, mi occupo dei calcoli della prescrizione per i fascicoli appellati e della redazione di alcuni decreti di liquidazione.
Partecipo sempre all’udienza monocratica e, una volta al mese, affianco il giudice onorario che sostituisce il mio magistrato assegnatario, in quell’occasione studiando interamente l’udienza. Qualche volta, quando vengono trattati processi di particolare interesse, partecipo all’udienza collegiale e alla relativa camera di consiglio, ma questo principalmente in un’ottica di formazione e arricchimento della mia cultura giuridica.
(GUIDA) Partecipo quasi esclusivamente alle udienze relative a procedimenti penali in relazione ai quali potrei scrivere la bozza di sentenza. Concretamente i compiti attribuiti sono: preparazione di un elenco dei beni sequestrati/dissequestrati, redazione delle schede ex art. 165-bis c.p.p., redazione di bozze di sentenza (comprensive di motivazione) e di ordinanze di convalida dell’arresto, controllo delle notifiche per le udienze-filtro. Relativamente alle attività di cancelleria, esecuzione notifiche in caso di riassegnazioni dei procedimenti penali o di differimenti d’udienza, iscrizione dei fascicoli provenienti dal GUP, attività di monitoraggio (sul programma cd. Giada, di pesatura dei fascicoli).
(PACIFICI) Le attività di collaborazione all’attività giudiziaria sono: ricerca giurisprudenziale e dottrinaria su specifiche questioni di interesse per un determinato procedimento; relazione e sintesi dei fascicoli rilevanti; predisposizione delle maschere di sentenza; ulteriori attività legate a specifico procedimento. Assistiamo alle udienze più significative rispetto ai procedimenti sui quali forniamo assistenza.
(RAMOLINI) Oltre alla materiale preparazione dei verbali in vista della verbalizzazione dell’udienza, studio i fascicoli e approfondisco le questioni che mi vengono indicate. Prima e dopo l’udienza mi confronto con il magistrato a cui sono stata assegnata in merito alla decisione e, successivamente, redigo le bozze delle sentenze di alcuni dei fascicoli che ho studiato.
Partecipo a tutte le udienze monocratiche del giudice di riferimento, solitamente con il compito di verbalizzarle.
4. Lo smart-working è utilizzato? Se sì, in che rilievo? E’ stato utile? E che tipo di attività è stata assegnata?
(FALLARINO) Per quanto riguarda il dibattimento, non è previsto al momento smart working e, a quanto ne sappia, nemmeno negli altri settori del Tribunale di Napoli. In Corte d’Appello ho appreso che a qualcuno è stato concesso, ma non ne ho conoscenza diretta.
(GUIDA) Sì, è stato utilizzato ma al solo fine di seguire le lezioni online caricate dal Ministero della Giustizia (webinar su Microsoft Teams e corsi sul sito giustizia.lezione-online.it). Da questo punto di vista, è sicuramente più utile seguire quei corsi da remoto, piuttosto che in ufficio, alla luce del fatto che un certo numero di UPP condivide lo stesso locale. Avrebbe, tuttavia, potuto essere implementato per la redazione dei provvedimenti da casa.
(PACIFICI) Lo smart working è stato attivato per un giorno alla settimana il mese scorso (metà settembre ndr) ed è utilizzato per l’attività di ricerca. È sicuramente utile in quanto permette di svolgere tutta l’attività di supporto all’attività dei magistrati più comodamente (ad esempio, è sicuramente utile per consultare libri e articoli senza doverli portare in ufficio).
(RAMOLINI) Nella sezione in cui lavoro lo smart-working è previsto un giorno alla settimana a seconda delle nostre esigenze e dei giorni di udienza. L’attività prevalente che mi è stata assegnata è quella di studio delle questioni giuridiche e di redazione delle sentenze, riesco a svolgerla anche da casa e trovo che sia molto utile per concentrarmi in maniera ottimale.
5. L’organizzazione dell’UPP prevede una attribuzione del funzionario al singolo magistrato o alla materia? Quali i vantaggi o le criticità della scelta organizzativa adottata?
(FALLARINO) Nella sezione alla quale sono assegnato è prevista l’attribuzione del funzionario al singolo magistrato anche se, da quando siamo entrati in servizio, molti colleghi hanno rassegnato le proprie dimissioni, avendo vinto altri concorsi. Attualmente, in sezione, la situazione è di due funzionari UPP su cinque magistrati.
La scelta di assegnare il funzionario al magistrato è, a mio avviso, una buona scelta organizzativa, consentendo di creare un rapporto di fiducia tra il primo e il secondo e dando l’opportunità al magistrato, col tempo, di assegnare incarichi di crescente responsabilità, certamente utili al conseguimento degli obiettivi che l’Ufficio per il Processo è chiamato a perseguire.
(GUIDA) L’organizzazione prevede un’attribuzione del funzionario al collegio giudicante, con possibilità di seguire anche le cause monocratiche dei singoli componenti. Il vantaggio è differenziare le materie trattate: a fronte di un’attribuzione collegiale limitata ai reati fallimentari, tributari e prevalentemente di reati contro il patrimonio (es. rapina), con i singoli giudici è possibile vedere anche altre fattispecie. Inoltre tale organizzazione permette di avere comunque un rapporto a tu per tu con il magistrato senza che diventi “esclusivo”: considerato che vi sono due o tre funzionari per collegio, si cerca di “ruotare” il giudice affiancato di volta in volta nelle cause monocratiche.
(PACIFICI) All’interno della mia sezione ci sono otto funzionari UPP assegnati ai tre collegi di cui essa è composta (nello specifico, tre al primo collegio, tre al secondo e due al terzo). Questa suddivisione presenta diversi vantaggi: rende più chiaro quale attività svolgere; permette l’istaurarsi di un rapporto più stretto con i magistrati che compongono il collegio; rende più agevole ed efficace la pianificazione dell’attività di supporto al magistrato.
(RAMOLINI) All’interno della nostra sezione siamo stati assegnati al singolo magistrato in via temporanea, è stata infatti prevista una rotazione periodica prima ogni sei mesi, ora ogni nove mesi. Poiché i funzionari UPP sono in numero minore rispetto ai magistrati della sezione, il vantaggio è che in questo modo con la rotazione possiamo fornire supporto a tutti; lo svantaggio è che ogni Giudice ha un diverso modo di organizzare il lavoro e assegna mansioni leggermente diverse a noi dell’UPP, quindi ogni cambio comporta un periodo iniziale di “adattamento” nel quale, inevitabilmente, siamo meno efficienti.
6. Le mansioni svolte si sono rivelate in linea con le tue aspettative?
(FALLARINO) Le mansioni svolte da quando ho preso servizio sono state ibride tra la cancelleria e l’ausilio ai giudici. Al di là delle propensioni personali, che mi portano a prediligere la parte giurisdizionale del mio ufficio, devo dire che tutti i compiti svolti in questi mesi sono stati in linea con le mie aspettative. È stato molto interessante imparare, affiancando i funzionari giudiziari della sezione, tutto quanto ciò che accade dopo la sentenza: dal suo deposito con le contestuali comunicazioni ex art. 548 c.p.p. alla preparazione di un fascicolo per l’impugnazione, fino all’attestazione dell’irrevocabilità. Accanto a questo, estremamente gratificante è l’attività di assistenza al magistrato che mi consente di mettermi continuamente alla prova e funge da impareggiabile supporto all’attività di studio personale.
(GUIDA) Sì, anche se mi aspettavo che i giudici facessero “maggiore affidamento” sulla figura dell’UPP, individuando i fascicoli di volta in volta “attribuibili” al funzionario per la redazione del provvedimento, per poter essere sgravato di una buona parte del proprio lavoro.
(PACIFICI) Assolutamente si.
(RAMOLINI) Sì, ho continuato a svolgere le mansioni che mi venivano già assegnate durante il tirocinio e si sono aggiunti alcuni compiti di supporto alla cancelleria, come mi aspettavo quando mi sono iscritta a questo concorso.
7. Quali sono state le maggiori criticità riscontrate nello svolgimento del lavoro?
(FALLARINO) Le maggiori criticità nel lavoro sono senza dubbio legate alla carenza di organico in ufficio, ciò sia per quanto riguarda la cancelleria – dove si è generato, nel tempo, un rilevante accumulo di arretrato – sia per quanto riguarda i magistrati – la sezione in cui presto servizio è sotto organico di un’unità da molto tempo e, a breve, rischia di scendere a due unità. Tale circostanza rende maggiormente difficoltoso lo svolgimento dell’incarico e il perseguimento delle finalità dell’UPP, in quanto costringe tutto l’ufficio a lavorare sull’emergenza e, soprattutto, a sopperire spesso e volentieri a criticità di altri settori dell’ufficio in un’ottica di collaborazione, con conseguente rallentamento, tuttavia, dell’attività precipua dell’UPP.
(GUIDA) In primis, quanto detto al punto precedente sul ricorso alla figura dell’UPP. Vi sono molte volte in cui è il funzionario a dover chiedere ai magistrati di ricevere dei fascicoli da studiare o di cui preparare qualche attività.
In secundis, il coordinamento con la cancelleria, individuando chiaramente la quantità (es. uno o più giorni alla settimana) e/o la qualità (in termini di mansioni) del lavoro da fare per la stessa.
Poi, la gestione dell’orario lavorativo e degli spazi: non c’è stato un orario definitivo sino a, praticamente, un mese abbondante dopo l’assunzione, né erano state individuate le stanze dove avremmo potuto svolgere la prestazione lavorativa. Ad alcuni colleghi sono stati “assegnati” come uffici delle stanze deputate alle camere di consiglio al piano -2, quando la sezione si trova al 3° piano.
(PACIFICI) Innanzitutto, la non paragonabilità della nostra figura a chi è assunto in pianta stabile nell’amministrazione. Non lo dico per lamentarmi del contratto a tempo determinato (sapevamo tutti fin dal bando di concorso la tipologia contrattuale) ma il non poter accedere ad alcuni benefici, ad esempio: (se non erro) il programma ministeriale PA 110elode, il non poter partecipare a bandi di formazione all’interno della PA (come ad esempio il recentissimo bando per lo scambio formativo con istituzioni europee o di altri Stati membri). Oltre ovviamente al problema del reperimento degli spazi all’interno di edifici spesso vecchi (problema che non riguarda la mia sezione, reputo comunque che doversi ritenere fortunati per avere una postazione personale e comoda all’interno di un ufficio dopo aver vinto un concorso pubblico sia assurdo).
(RAMOLINI): Inizialmente è stato difficile capire quali fossero le mansioni specificamente assegnate a noi dell’UPP e la divisione dei compiti con il personale della cancelleria, soprattutto con riferimento agli adempimenti post udienza che, allo stato attuale, non rientrano nelle nostre mansioni. Credo inoltre che la modalità organizzativa della rotazione di noi addetti UPP, seppur utile per la nostra formazione e per riuscire a fornire supporto a tutti i magistrati della sezione, sia meno efficiente rispetto ad una assegnazione fissa, in un’ottica di aumento della produttività che sarebbe più agevole da realizzare lavorando sempre con lo stesso metodo e con lo stesso Giudice di riferimento.
8. Si è avuta una generale percezione dei progressi organizzativi e operativi dell’ufficio di appartenenza?
(FALLARINO) Ritengo sia ancora un po’ presto per dirlo, sebbene si è dato recentemente atto in sezione di un generale miglioramento delle statistiche. In particolare, è stato possibile rilevare l’incremento apprezzabile delle definizioni dei processi con riferimento ai ruoli monocratici, che il Presidente della nostra sezione, nella relazione sull’amministrazione della giustizia del 2022, ha attribuito in parte anche all’avvento dell’UPP
Sono fiducioso che, se questo ufficio sarà mantenuto e rinforzato in futuro (davvero tante sono state già le defezioni, solo nella nostra sezione tre unità), il contributo al perseguimento degli obiettivi indicati dal P.N.R.R. potrà essere davvero rilevante.
(GUIDA): In parte sì, ad esempio dal momento in cui sono stati consegnati tutti i pc ed autorizzati gli UPP ad usare gli applicativi più importanti (ACT, SICP, SNT).
(PACIFICI) Sicuramente l’attività di supporto alla cancelleria ha permesso di alleggerire il carico di lavoro generale. Con riferimento alla funzione di supporto all’attività giudiziaria l’impressione è positiva ma non saprei dirlo con certezza in quanto il poco tempo trascorso non permette di avere un riscontro certo.
(RAMOLINI) Più che una generale percezione dei progressi organizzativi e operativi dell’intera sezione di appartenenza, ho notato dei miglioramenti nell’organizzazione del lavoro e nella produttività dei singoli magistrati a cui ho fornito supporto in questi mesi. Complessivamente, comunque, credo che la redazione di una tabella excel per tutti i procedimenti sospesi per irreperibilità e per messa alla prova della sezione – il cui monitoraggio era prima rimesso ai singoli giudici – costituisca un significativo miglioramento dal punto di vista organizzativo.
L’Ufficio per il processo: la parola ai funzionari (il Tribunale civile)
Intervista di Ernesto Aghina a Francesca Romana Carlone (Pescara), Alessia Nusca (Tivoli), Federica Puzzo (Marsala) e Filippo Rosasco (Genova)
Si conclude l’acquisizione delle valutazioni sulla funzionalità dell’Ufficio per il processo, ad un anno dal suo esordio operativo, offerte dai funzionari chiamati a comporlo.
Dopo le analisi dedicate alla Corte di Cassazione - L’Ufficio per il processo: la parola ai funzionari (la Corte di Cassazione) - alla Corte d’Appello civile - L’Ufficio per il processo: la parola ai funzionari (la Corte d’Appello civile) - e alla Corte d’Appello penale - L’Ufficio per il processo: la parola ai funzionari (la Corte d’Appello penale), vengono in rilievo ora le opinioni espresse dai componenti degli U.P.P. costituiti presso gli uffici giudiziari di primo grado.
L’UPP si evidenzia nella sua peculiare importanza nel settore civile dei Tribunali, specie in considerazione degli ambiziosi obiettivi imposti dal P.N.R.R., ed è per questo che assumono particolare interesse le valutazioni operate da chi è protagonista di un modello organizzativo che rinviene la sua origine proprio nel settore civile del Tribunale.
I funzionari intervistati (la dott.ssa Francesca Romana Carlone per il Tribunale di Pescara, la dott.ssa Alessia Nusca per il Tribunale di Tivoli, la dott.ssa Federica Puzzo per il Tribunale di Marsala e il dott. Filippo Rosasco per il Tribunale di Genova), costituiscono un campione geograficamente articolato ed offrono significative indicazioni sull’assetto dell’UPP in un settore dove risulta impegnata la percentuale prevalente dei funzionari destinati agli uffici di primo grado.
Resta confermata, dalle diversità delle risposte concernenti l’assetto organizzativo dei vari UPP, come nei Tribunali non sia attivo un unico modulo operativo, ma si confrontino una pluralità di “uffici” per il processo, modellati secondo esigenze diversificate.
Così ad esempio si registrano difformità (anche sensibili) nella ripartizione dell’attività tra supporto ai servizi amministrativi ed ai giudici; nella partecipazione ( o meno) alle udienze; e allo svolgimento di attività “da remoto” (può essere utile evidenziare a tale proposito che la rilevazione operata dal ministero al 30.6.2022 indica l’impiego di funzionari dell’ UPP in lavoro agile nel 43% dei Tribunali).
Risulta invece costante il collegamento diretto del funzionario al singolo magistrato, evidenziando un modello collaborativo per certi verso analogo a quello sperimentato sin qui per i tirocinanti ex art. 73 del d.l. n. 69/2013, nonostante le circolari ministeriali abbiano costantemente rimarcato la distinzione tra “ufficio per il processo” e “ufficio del giudice”.
Analogamente risulta ribadita in modo unanime la soddisfazione dei funzionari per le attività svolte, indicate come corrispondenti alle aspettative, avvalorando un riscontro che va messo senz’altro all’attivo dell’esordio operativo dell’ UPP
Quanto invece alla criticità, oltre a quelle (generalmente avvertite in quasi tutti gli uffici), relative all’inserimento iniziale dei funzionari all’interno degli uffici giudiziari, ascrivibili anche a difficoltà di “adattamento”, sia di ordine logistico che relazionale, ed al contemperamento tra mansioni molto diverse tra loro, emergono problematicità legate allo status dei funzionari e (conseguentemente) alla loro migrazione verso impieghi più stabili.
Come ampiamente prevedibile, la precarietà intrinseca all’inserimento nell’ UPP viene evidenziata come limite all’impegno e, soprattutto, incentivo alla partecipazione ad altri concorsi.
Da tanto deriva un progressivo depauperamento degli organici degli Uffici per il processo che, già significativo in alcune aree geografiche, è inevitabilmente destinato ad aggravarsi, una volta esaurito il già intervenuto scorrimento delle graduatorie degli idonei, anche nei distretti provvisti del maggior numero di aspiranti.
A tanto va aggiunto l’imminente concorso per l’accesso alla magistratura, “meta” agognata da molti funzionari, che si somma a non poche selezioni per l’accesso alla P.A. che, indipendentemente dalle suggestioni delle singole attività, risultano inevitabilmente caratterizzati da una stabilità di impiego che l’UPP non può (allo stato) garantire.
Forse la costante diminuzione delle risorse umane può costituire la maggiore criticità per il supporto garantito dall’UPP, non risultando realistico che possano supplire a questa carenza i g.o.p. in via di inserimento nei Tribunali, componenti dell’UPP nel primo biennio di attività, ma generalmente utilizzati nei compiti delegati dal giudice (specie nel settore civile), nei limiti previsti dall’art.10 del d.lgs.vo n. 116/2017.
Più in generale, per una iniziale verifica dell’attività degli UPPP., si segnala l’analisi operata dall’ A.N,M. (se pure relativa ad un campione ridotto di distretti), in occasione del recente congresso nazionale, e consultabile sul sito web: Microsoft PowerPoint - Presentazione_UPP_XIV_CommissioneANM _ 6.1.pptx (associazionemagistrati.it) .
Dal monitoraggio operato (ed in via di aggiornamento), sono ricavabili alcuni dati comunque significativi:
- la percentuale di scopertura dei funzionari dell’UPP (al settembre 2022) era già al 25% (con dati anche molto maggiori nei distretti di Genova, Trento e Venezia);
- il numero dei funzionari degli UPP operanti nel settore civile è pari al 58% del totale;
- solo nel 56% dei casi si dà atto della previsione di un controllo periodico (generalmente trimestrale) della performance;
- il 79% dei dirigenti degli uffici rispondenti ha rilevato come maggiore criticità del funzionamento degli UPP la carenza di organico del personale amministrativo.
Il completamento della ricognizione statistica potrà offrire ulteriori ed interessanti elementi di valutazione del primo anno di operatività dell’UPP cd. “recovery”, in attesa dei dati relativi allo smaltimento dell’arretrato e riduzione del disposition time, al dicembre 2022.
1. La formazione iniziale è risultata coerente rispetto alle attività da svolgere?
(CARLONE) Occorre distinguere le attività formative tra quelle che riguardano le attività di supporto al magistrato e quelle che si riferiscono alle attività di supporto alla cancelleria: in merito alle prime, la formazione è stata svolta principalmente attraverso l’affiancamento al magistrato (v. utilizzo di Consolle del magistrato) e la partecipazione all’udienza, nonché attraverso la partecipazione a webinar e a corsi offerti dal Ministero della Giustizia; con riguardo alle seconde, la formazione è stata offerta dal personale amministrativo attraverso l’affiancamento nello svolgimento delle attività di lavorazione dei fascicoli e, in particolare, nell’utilizzo degli applicativi (SICID, SIAMM, SIECIC), di scarico dei provvedimenti dei giudici e di preparazione dell’udienza.
La formazione iniziale risulta tendenzialmente coerente rispetto agli odierni incombenti degli Addetti UPP.
(NUSCA) La formazione iniziale predisposta dal Ministero ha riguardato per lo più la gestione operativa dei fascicoli telematici con riferimento all’utilizzo degli applicativi informatici.
Tuttavia, ciò che ha contribuito maggiormente alla formazione è stato l’aiuto fornito dal personale della cancelleria nonché dai magistrati, i quali, sono stati necessariamente coinvolti in via diretta nella formazione del funzionario assegnatogli.
(PUZZO) Sì, la formazione iniziale è risultata complessivamente coerente rispetto alle attività oggi svolte dagli addetti UPP, in particolar modo quella pianificata dal Tribunale.
Durante i primi mesi di servizio, infatti, ogni sezione ha organizzato alcuni cicli di incontri con gli addetti per fornire adeguata formazione sulle principali tipologie di provvedimenti che gli stessi sarebbero poi stati chiamati a redigere.
Con riferimento alla sezione civile, si è trattato in particolare di incontri volti ad illustrare la più recente giurisprudenza in materia di diritto di famiglia, le modalità ed i processi logico-giuridici preposti all’accoglimento o al rigetto dei mezzi istruttori, le tecniche redazionali dei principali provvedimenti (sentenze, ordinanze, verbali) nonché di incontri approfonditi sul tema del patrocinio a spese dello Stato.
È stata poi creata una banca dati interna alla sezione corredata da molteplici precedenti forniti dai singoli magistrati.
Un incontro formativo è stato poi riservato per illustrare le modalità di scarico e comunicazione dei provvedimenti del giudice.
Quanto alle restanti attività di cancelleria (scarico dell’udienza, gestione del ruolo, conoscenza approfondita del SICID), la formazione degli addetti è avvenuta nel corso dei mesi mediante il costante supporto dei funzionari, cancellieri e operatori già in servizio presso le cancellerie di riferimento.
(ROSASCO) Sì; per quanto riguarda la formazione generale sono stati messi a disposizione dei corsi per l’utilizzo degli applicativi informatici. L’ulteriore attività di formazione è stata svolta direttamente dalle singole sezioni. Ad esempio, per quanto riguarda la sezione Lavoro, è stata fornita la formazione necessaria per la gestione dei fascicoli di accertamento tecnico preventivo.
2. Quale il rapporto percentuale tra attività di supporto alla cancelleria e ai giudici?
(CARLONE) 40 (supporto alla cancelleria) - 60 (supporto al giudice).
(NUSCA) Se pur formalmente l’attività di cancelleria dovrebbe estrinsecarsi nei termini del 25%, inevitabilmente, anche al fine di coadiuvare il magistrato e di sopperire ad eventuali mancanze e/o assenze di organico, la stessa viene svolta in misura superiore (che può stimarsi nel 40%).
(PUZZO) Il rapporto percentuale tra i due tipi di attività varia molto a seconda del settore specifico cui l’addetto è preposto.
Con riferimento alla sezione lavoro, infatti, il rapporto è equo e gli addetti si occupano in egual misura delle attività relative alla redazione di bozze ed a quelle di cancelleria.
Lo stesso equilibrio, poi, si rinviene nel settore delle esecuzioni e fallimenti.
Con riferimento al contenzioso ordinario, invece, gli addetti si occupano prevalentemente del supporto alla redazione di bozze per il giudice e l’attività di cancelleria risulta residuale, attestandosi circa nel 30% del lavoro complessivamente svolto dai funzionari ivi assegnati.
Complessivamente, pertanto, la ripartizione delle attività è equilibrata pur risultando comunque prevalente la funzione di supporto al giudice.
(ROSASCO) In linea generale, almeno per quanto riguarda le sezioni civili, si registra la tendenza a ripartire l’attività dei Funzionari UPP dando prevalenza al supporto ai giudici, ferma restando l’attribuzione di alcune mansioni di cancelleria.
Indicativamente, si potrebbe dunque stimare un rapporto percentuale del 70% di lavoro di supporto ai magistrati e del 30% alla cancelleria.
3. Quali compiti ti sono concretamente attribuiti nella collaborazione all’attività giudiziaria? Partecipi all’udienza?
(CARLONE) Con riferimento alle attività di supporto al magistrato:
assistenza in udienza (una volta a settimana) e redazione dei verbali su Consolle del Magistrato; redazione di bozze di provvedimenti interlocutori (ordinanze); redazione di abstract e massime di provvedimenti al fine della compilazione della banca dati; ricerche giurisprudenziali; redazione di bozze di provvedimenti decisori (sentenze); supporto informatico al magistrato affidatario;
(in alcuni casi anche aggiornamento e implementazione di modelli di redazione di provvedimenti e di punti di motivazione su Consolle del Magistrato; verifica settimanale delle pendenze ordinarie sul ruolo del magistrato; analisi quotidiana dei flussi delle sopravvenienze e delle udienze sul ruolo su Consolle del magistrato e proposte di soluzioni organizzative per la migliore gestione del medesimo; supporto nella formazione di calendari del processo e nel deposito dei provvedimenti).
Con riferimento alle attività di supporto della cancelleria:
preparazione della stampa del ruolo dell’udienza del giudice e del GOP in affiancamento (una volta a settimana); scarico dei verbali di udienza del giudice e del GOP in affiancamento (una volta a settimana) con relativi adempimenti (notifiche, acquisizione fascicoli di primo grado o cautelari); deposito di tutti i provvedimenti fuori udienza (decreti, ordinanze) del magistrato affidatario e del GOP in affiancamento e successivi adempimenti (notifiche); pubblicazione delle sentenze del magistrato affidatario e del GOP in affiancamento e successivi adempimenti (notifiche, trasmissione Agenzia delle Entrate, richiesta C.U.), movimentazione dei fascicoli cartacei per cause in riserva e in decisione nonché su richiesta del giudice.
Attività occasionalmente svolte:
interlocuzione diretta con CTU e professionisti per questioni attinenti al ruolo; assistenza in udienza collegiale (una volta ogni nove udienze) e redazione dei verbali su Consolle del Magistrato; scarico dei verbali dell’udienza collegiale (una volta ogni nove udienze) e successivi adempimenti (notifiche, invio Pec, richiesta documentazione); esame preliminare dei fascicoli relativi all’udienza del magistrato assegnatario ai fini della verifica dei requisiti formali per l’invio in mediazione delegata e successiva redazione di ordinanze di invio delle parti in mediazione delegata; partecipazione alle riunioni previste per i magistrati ed i GOP ai fini di cui all’art. 47 quater dell’O.G. e del punto 101.2 della circolare CT 1052/2020.
Con riguardo alle mansioni dell’Addetto UPP assegnato al 50% all’Ufficio del Processo – Affari generali e amministrativi:
attività trasversale di rilevazione e monitoraggio dei flussi di lavoro negli Uffici del processo civile (i.e. compilazione di fogli excel a cadenza settimanale con dati forniti dagli addetti UPP in relazione alle attività svolte); collaborazione con il Dirigente amministrativo e con i Direttori responsabili per i servizi trasversali di rilevazione e monitoraggio delle attività lavorative degli UPP.
(NUSCA) L’attività che principalmente svolgo per il magistrato riguarda lo studio dei fascicoli, con particolare attenzione alle questioni giuridiche rilevanti e all’individuazione della normativa applicabile, effettuando le ricerche giurisprudenziali inerenti le tematiche trattate e occupandomi della predisposizione di bozze di sentenze e provvedimenti.
Spesso mi occupo dello studio dei fascicoli in prima udienza così da facilitare il magistrato nell’individuazione dei fatti e delle questioni di diritto rilevanti, in tal modo permettendo allo stesso una più facile e veloce trattazione dell’udienza anche con riferimento alla fase istruttoria.
Periodicamente segnalo le istanze e i fascicoli più urgenti sui quali il magistrato deve pronunciarsi. Controllo gli eventuali atti pervenuti dai difensori, CTU e parti, ovvero tutto quanto è necessario al fine di garantire lo svolgimento dell’udienza.
Personalmente non partecipo alle udienze, ma alcuni miei colleghi svolgono detta attività, anche redigendo i verbali di causa.
(PUZZO) I compiti attributi agli addetti UPP, pur essendo complessivamente simili, variano in base al giudice con il quale ognuno di essi è chiamato a collaborare.
Nel mio caso il compito principale è certamente quello relativo alla redazione di bozze di provvedimenti semplici o talvolta, in base alle necessità del giudice, anche più complessi.
Si tratta, nella maggior parte dei casi, di provvedimenti definitori, di ordinanze volte ad ammettere i mezzi di prova richiesti dalle parti e – talvolta – dei verbali delle udienze che si tengono mediante la modalità di trattazione scritta.
Oltre alla redazione di bozze per il giudice, sono preposta allo scarico dei provvedimenti definitori da quest’ultimo depositati ed altresì allo scarico dei singoli verbali di udienza.
Quanto poi alle attività relative al momento immediatamente successivo all’udienza, mi occupo principalmente di verificare il corretto smistamento dei fascicoli rinviati, di quelli in riserva e di quelli che il giudice ha preso in decisione.
Infine, partecipo a tutte le udienze tenute dal giudice ed ho il compito di gestire il ruolo, di verificare il deposito e l’accettazione degli atti di parte qualora questi non siano immediatamente visibili al giudice nonché dell’attività di verbalizzazione quando in udienza sono presenti dei minori, così che il giudice possa avere con gli stessi un rapporto più diretto e non debba interrompere l’audizione per la trascrizione del contenuto delle dichiarazioni.
(ROSASCO) Nel lavoro di supporto ai giudici, le attività principali riguardano: la redazione di bozze di provvedimenti; lo studio dei fascicoli, con eventuale stesura della “scheda del processo” (ovvero di un documento di sintesi del fascicolo, delle questioni principali e delle risultanze istruttorie); ricerche giurisprudenziali, anche con riferimento alla ricerca di precedenti della sezione su determinate questioni.
Per quanto riguarda la verbalizzazione, rimane un’attività tendenzialmente residuale e sporadica.
4. Lo smart-working è utilizzato? Se sì, in che rilievo? E’ stato utile? E che tipo di attività è stata assegnata?
(CARLONE) Non è utilizzato.
(NUSCA) Per diversi mesi è stato stipulato uno specifico accordo interno, oggi revocato, per lo svolgimento delle mansioni con modalità agile per un giorno a settimana, durante il quale veniva svolta prevalentemente attività di ausilio al magistrato.
Ogni mese i funzionari predisponevano un report contenete l’attività espletata durante i giorni di smart- working.
Ritengo che l’utilizzo dello smart- working, tenuto conto della tipologia delle mansioni assegnate ai funzionari Upp, sia non solo utile, ma necessario, a fronte del contesto in cui siamo tenuti a lavorare, caratterizzato dalla mancanza di spazi e di postazioni fisse che garantiscano la possibilità di una adeguata concentrazione.
(PUZZO) Lo smart-working è utilizzato per tutti gli addetti della sezione civile. Le giornate di smart-working variano in base al singolo addetto e tale modalità risulta essere funzionale soprattutto per la redazione delle bozze più complicate, per le quali è necessario un elevato grado di concentrazione e approfondimento.
Durante le giornate destinate allo smart-working i singoli addetti sono chiamati a monitorare il proprio lavoro ed a consegnare, entro la prima settimana del mese successivo, l’elenco puntuale di tutte le attività svolte nell’ambito di tale modalità lavorativa.
(ROSASCO) Lo smart-working relativamente alla nostra figura ha trovato scarsa applicazione, pur restando uno strumento utile e in effetti utilizzato, per gli addetti con particolari esigenze personali e familiari.
L’attività assegnata in smart-working è simile a quella svolta in ufficio (studio dei fascicoli; stesura di provvedimenti; redazione di schede del processo). Dalle attività svolte in smart-working restano tendenzialmente escluse le mansioni di cancelleria.
5. L’organizzazione dell’UPP prevede una attribuzione del funzionario al singolo magistrato o alla materia? Quali i vantaggi o le criticità della scelta organizzativa adottata?
(CARLONE) L’organizzazione dell’UPP prevede una attribuzione del funzionario al singolo magistrato e non per materia, anche in considerazione della dimensione del Tribunale. Tale forma di organizzazione appare adeguata ai caratteri delle mansioni svolte in quanto consente di creare un rapporto personale con il magistrato affidatario, assorbendone le modalità di redazione dei provvedimenti e di gestione del ruolo, che favorisce anche un più rapido ed efficiente svolgimento delle attività di cancelleria di cui l’addetto si occupa.
(NUSCA) Nella sezione Lavoro ogni funzionario UPP è stato assegnato ad un singolo magistrato.
Ritengo che tale attribuzione non determini alcuna criticità e che sia la scelta più corretta in quanto ha permesso al funzionario di calibrare il proprio lavoro in funzione delle peculiari necessità del singolo magistrato.
(PUZZO) L’organizzazione dell’UPP prevede l’attribuzione del funzionario al singolo magistrato o ad un numero massimo di due magistrati.
Il vantaggio di tale scelta organizzativa risiede soprattutto nella conoscenza approfondita che ogni singolo addetto ha acquisito rispetto al ruolo del giudice cui è affiancato, delle modalità organizzative di quest’ultimo ed anche dello stile redazionale utilizzato per la stesura dei provvedimenti.
Non trascurabile, inoltre, è la formazione giuridica acquisita progressivamente da ogni singolo addetto, derivante dalla collaborazione con magistrati che si occupano stabilmente di tutto il settore del contenzioso ordinario.
Le criticità riscontrate non sono tanto relative alla modalità organizzativa adottata quanto piuttosto alla circostanza che, nel corso dei mesi, il numero degli addetti è diventato più esiguo ed è ancora destinato a diminuire così che potrebbe rendersi necessaria l’attribuzione di un singolo addetto a più magistrati per poter garantire che ognuno di essi possa avvalersi della collaborazione – seppur ridotta – di un funzionario.
(ROSASCO) La scelta adottata è stata quella di assegnare i funzionari ad un singolo giudice oppure, in alcune sezioni, a due o più giudici.
Il vantaggio di tale decisione rispetto a quella di assegnare i funzionari alla gestione di determinate materie consiste in un miglior coordinamento rispetto all’organizzazione del lavoro dei singoli magistrati, ferma restando la possibilità di questi ultimi di assegnare all’addetto UPP lo studio di determinate materie, com’è accaduto spesso.
6. Le mansioni svolte si sono rivelate in linea con le tue aspettative?
(CARLONE) L’iniziale poca chiarezza dell’attribuzione dei compiti assegnati riscontrabile nella creazione della figura dell’addetto UPP non ha consentito di orientare concretamente le proprie aspettative. Più in generale, si può ritenere che l’idea prevalente fosse quella di incarnare il ruolo di assistente del magistrato, poi effettivamente svolto, sebbene in concorso con le attività di supporto alla cancelleria.
(NUSCA) Si. Ritengo che le mansioni che sono stata chiamata a svolgere siano sostanzialmente in linea con le mie aspettative.
(PUZZO) Sì, complessivamente le mansioni si sono rivelate in linea con le mie aspettative.
(ROSASCO) Sì, in linea con le aspettative, risultando spesso le attività assegnate utili ai fini della formazione del funzionario.
7. Quali sono state le maggiori criticità riscontrate nello svolgimento del lavoro?
(CARLONE) In primo luogo, deve osservarsi che la principale criticità che gli addetti rilevano è l’incertezza del futuro lavorativo. È fonte di turbamento tanto da invogliare i funzionari a partecipare ad altri concorsi che permettono di ottenere prospettive future più stabili e, di conseguenza, privano di risorse l’ufficio, compromettendo il regolare svolgimento delle attività e imponendo una riorganizzazione continua delle mansioni affidate.
Inoltre, emerge una generale criticità a livello informatico data la penuria di supporto tecnico nel Tribunale, seppur persista la consapevolezza che il problema ha natura endemica.
(NUSCA) La maggiore criticità riscontrata è l’assenza di una postazione fissa di lavoro che permetta una adeguata concentrazione. L’ampiamento della pianta organica ha determinato una difficoltà nella gestione degli spazi e ciò ha comportato che spesso il funzionario, pur dovendo svolgere l’attività di redazione di provvedimenti per il magistrato, è costretto a lavorare all’interno della cancelleria che presuppone il ricevimento del pubblico e che pertanto non può ritenersi appropriata a tal fine.
Inoltre, la mancanza di strumenti adeguati rende spesso difficoltoso lo svolgimento dell’attività lavorativa.
(PUZZO) Indubbiamente il momento complessivamente più critico è stato quello dell’iniziale inserimento dei funzionari addetti all’UPP all’interno dell’organizzazione lavorativa del Tribunale.
È stato necessario, infatti, imparare a raccordarsi con le cancellerie, comprendere le esigenze del magistrato di riferimento e gestire lo svolgimento delle mansioni demandate ai funzionari creando il giusto equilibrio tra le attività di raccordo con la cancelleria e quella di ausilio alla redazione dei provvedimenti del magistrato.
(ROSASCO) Le criticità maggiori si sono incontrate nella fase iniziale del rapporto di lavoro, stante la difficoltà iniziale di comprendere quale sarebbe stato il ruolo dell’UPP, soprattutto con riguardo alla ripartizione tra lavoro di cancelleria e di supporto ai magistrati.
8. Si è avuta una generale percezione dei progressi organizzativi e operativi dell’ufficio di appartenenza? Quale il criterio di verifica dell’attività svolta dall’UPP?
(CARLONE) È stato percepito a livello generale un progresso nella gestione operativa dell’Ufficio, in particolare nel miglioramento dell’attività di raccordo tra i magistrati e il personale di cancelleria. La presenza degli Addetti UPP ha consentito altresì l’abbattimento dell’arretrato nelle attività di cancelleria nonché un sostanziale supporto al magistrato nella produzione dei provvedimenti.
Allo scopo di verificare l’attività svolta dall’UPP è stato realizzato un sistema di monitoraggio quantitativo su base settimanale; più nello specifico, ogni addetto UPP del settore civile compila un modulo online in cui inserisce il valore numero delle attività svolte, sia con riferimento a quelle di supporto al magistrato (es. bozze di sentenze, ordinanze e decreti) sia in relazione a quelle propriamente di cancelleria (es. scarico verbali, provvedimenti fuori udienza, presenza in udienza).
(NUSCA) Sicuramente l’apporto degli UPP ha migliorato sia in termini qualitativi che quantitativi l’operatività del Tribunale con una notevole riduzione dell’arretrato relativo sia a procedimenti penali che civili.
La verifica dell’attività svolta dai funzionari viene fatta attraverso le valutazioni dei magistrati e del funzionario responsabile della cancelleria.
(PUZZO) Con riguardo ai progressi organizzativi e operativi relativi al settore civile, occorre precisare che l’apporto degli addetti all’UPP varia a seconda della materia specificatamente trattata.
I risultati più evidenti e maggiormente apprezzabili sono sicuramente stati raggiunti nel settore del diritto del lavoro, in virtù della serialità dei provvedimenti da redigere.
Quanto al settore del contenzioso ordinario, invece, si è registrato un complessivo miglioramento con riguardo all’organizzazione del ruolo dei singoli giudici, del controllo del fascicolo e del monitoraggio delle istanze ma, sotto il profilo della produttività e quindi del numero complessivo di provvedimenti redatti, il risultato è alquanto modesto, forse proprio in ragione della complessità dei singoli provvedimenti e dell’eterogeneità delle materie trattate.
Per ciò che concerne il criterio dell’attività svolta dall’UPP, oltre al monitoraggio del lavoro svolto in smart-working, ogni addetto è chiamato a compilare una tabella mensile in cui elencare tutte le bozze di provvedimenti redatti (con relativo numero di ruolo del fascicolo e data di pubblicazione da parte del giudice del provvedimento redatto). All’interno della tabella di monitoraggio, poi, deve essere elencato il numero di udienze alle quali l’addetto ha partecipato, le bozze di atti diversi dai provvedimenti definitori o di ammissione dei mezzi di prova (ad esempio schede del processo, provvedimenti di liquidazione dei consulenti tecnici d’ufficio, provvedimenti di liquidazione o revoca del patrocinio a spese dello Stato) nonché tutte le altre attività – anche di cancelleria – relative ai singoli fascicoli lavorati dall’addetto UPP
(ROSASCO) Sì. Al di là delle percezioni individuali, il criterio di verifica dei progressi che presenta un maggior grado di oggettività è quello statistico. In molte sezioni si registra infatti un maggior numero di cause definite rispetto all’anno precedente all’assunzione dei funzionari UPP.
9. In che misura percentuale si rilevano attualmente scoperture nell’organico dell’UPP presso il tuo Tribunale?
(CARLONE) 8%, mancano attualmente due Addetti UPP.
(NUSCA) Attualmente credo che vi sia una scopertura del 20% dell’organico.
(PUZZO) Al momento attuale sono in servizio 19 funzionari addetti all’UPP a fronte dei 26 assegnati al Tribunale di Marsala, quindi la percentuale di scopertura è del 17%.
A ciò va poi aggiunto che un singolo addetto si trova in congedo per maternità e sono previste, per il mese di aprile, le dimissioni di un altro funzionario che inizierà a lavorare presso un’altra amministrazione con contratto a tempo indeterminato.
(ROSASCO) So che non vi è una copertura totale dei posti messi a disposizione presso il Tribunale di Genova; tuttavia, non saprei indicare la percentuale dei posti attualmente scoperti.
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