Gli approfondimenti della riforma Cartabia - 9. L’imputato del giusto processo (ovvero degli articoli 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen.) di Carlo Citterio
Il presente articolo si inserisce nella serie di approfondimenti dedicati da Giustizia Insieme (v. Editoriale) alle novità introdotte dalla riforma Cartabia nella materia penale. Di seguito i precedenti contributi:
1. Le nuove indagini preliminari fra obiettivi deflattivi ed esigenze di legalità
3. Pensieri sparsi sul nuovo giudizio penale di appello (ex d.lgs. 150/2022)
6. Riforma Cartabia e pene sostitutive: la rottura “definitiva” della sequenza cognizione-esecuzione
8. Prime riflessioni sulla nuova “revisione europea”
Sommario: 1. I ‘tipi’ dei soggetti del procedimento secondo il giusto processo: qual è il tipo/imputato del giusto processo. - 2. La dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. - 3.1. Lo specifico mandato per l’impugnazione della sentenza contumaciale (art. 571, comma 3, seconda parte, testo originario). - 3.2. La grande dimenticata: la procura speciale per l’impugnazione (571, comma 1). - 3.3. Le conseguenze del contrasto SU/Corte costituzionale sulla consumazione del diritto dell’imputato ad impugnare. - 4. Obbligo deontologico, responsabilità professionale e impugnazione in favore dell’imputato inconsapevole. Il ‘colloquio’ tra giudice e difensore sui contatti con l’imputato? - 5. L’imputato consapevolmente disinteressato e il giusto processo.
1. I ‘tipi’ dei soggetti del procedimento secondo il giusto processo: qual è il tipo/imputato del giusto processo.
Quando parliamo di giusto processo (art.111.1 Cost.) il pensiero corre subito alle norme del procedimento e del processo.
Credo utile anche una riflessione sui ruoli: imputato, pubblico ministero, difensore, giudice, persona offesa.
In particolare: esiste per ciascuno di questi ruoli un ‘tipo’ considerabile alla luce del giusto processo o, in termini diversi, quando enuncia i propri principi il giusto processo si parametra ad un determinato ‘tipo’ di imputato, pubblico ministero, difensore, giudice, persona offesa?
Ed allora, qual è l’imputato del giusto processo, in altre parole l’imputato/parametro che i principi del giusto processo presuppongono? Quali le sue caratteristiche ‘normali’? (e sarebbe interessante domandarsi poi quale sia il parametro/tipo di pubblico ministero, difensore, giudice, che i principi del giusto processo presuppongono).
2. La dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.
Uno dei punti della riforma Cartabia che ha suscitato le maggiori reazioni dell’Avvocatura è quello di due delle condizioni che i nuovi commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 pongono per l’ammissibilità dell’atto di impugnazione (appello e ricorso per cassazione). Con l’atto di impugnazione delle parti private e dei loro difensori deve essere depositata la dichiarazione o l’elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. Quando nel grado precedente del processo si è proceduto nei confronti dell’imputato ‘assente’ l’atto di impugnazione del difensore deve essere accompagnato sia dalla dichiarazione/elezione di domicilio che da un mandato specifico ad impugnare rilasciato dopo la pronuncia della sentenza (per tale dovendosi intendere ovviamente già la mera pubblicazione del dispositivo).
Per la dichiarazione/elezione di domicilio la norma non prevede invece che il rilascio sia successivo alla pronuncia della sentenza.
Le due norme dispongono quindi il deposito contemporaneo dei due documenti atto di impugnazione e dichiarazione o elezione di domicilio/mandato speciale ad impugnare), con la conseguenza che, in ogni caso, solo se il secondo documento sarà depositato entro la scadenza del termine per impugnare l’impugnazione sarà (quanto a questo aspetto) ammissibile.
Va preso atto che, condivisibilmente, la scelta del legislatore è stata quella di evitare alcun automatismo con una imposta/presunta elezione di domicilio presso il difensore che assiste l’imputato, quantomeno se di fiducia, dopo la proposizione dell’impugnazione, perché comunque foriero di potenziali problematiche sull’effettiva conoscenza della successiva citazione per quanto attiene all’evoluzione possibile del rapporto e ad un efficace contatto tra difensore (pur diligente) ed assistito.
Si è già ricordato che per la dichiarazione o elezione di domicilio (che appunto va depositata anche quando l’atto sia materialmente redatto e depositato dal difensore) non è prevista l’acquisizione dopo la pronuncia della sentenza. In realtà, per logica sistematica, essa dovrebbe essere successiva alla deliberazione della sentenza impugnata o, comunque, essere rilasciata da imputato consapevole della sua destinazione alla trattazione del processo di appello : infatti è appunto finalizzata a consentire la efficace e tempestiva citazione per quel giudizio di appello che proprio dall’imputato e nel suo interesse è espressamente richiesto.
È stato detto che nelle indagini preliminari e nel giudizio di primo grado è lo Stato che deve cercare la persona nei cui confronti si procede e informarlo dei passaggi essenziali in particolare della fase processuale, ma quando appellante è la parte privata, che è pertanto il soggetto processuale che attiva il secondo grado di giudizio, che era e rimarrebbe, ovviamente su tale piano sistematico, francamente poco comprensibile che l’ ‘attore’ possa discrezionalmente sottrarsi al tempestivo rintraccio per atti che sono indispensabili per giungere a quel giudizio rivisitante che proprio, ed eventualmente solo, lui ha chiesto. Si è risposto con il principio che difendendosi comunque da un esercizio di azione penale, anche nel giudizio di appello, sarebbe improprio richiedere la ‘collaborazione’ dell’imputato pur solo per la trattazione del secondo grado di giudizio.
Pare opportuno in proposito osservare che, depurata la questione da approcci sostanzialmente ideologici, qui il tema dell’imputato/tipo considerato dal giusto processo mostra tutta la sua attualità ed autonomia: la domanda infatti diviene se pretendere che chi propone appello o ricorso [i] indichi dove può essere trovato per la necessaria convocazione sia norma davvero incoerente, o addirittura ostile, ai principi del giusto processo nella prospettiva anche dei canoni e della giurisprudenza europei.
In realtà, la complessiva disciplina della citazione al e della trattazione del giudizio di appello rende palese che l’onere per chi chiede il giudizio di impugnazione di indicare il suo recapito effettivo ed efficace per l’ulteriore corso, oltre che pretesa certo non palesemente illogica è la precondizione del funzionamento del complesso del nuovo articolato sistema. Si pensi infatti al deposito solo informatico dell’atto di impugnazione o sua presentazione cartacea a cura della parte o suo incaricato presso l’ufficio che ha pronunciato la sentenza che si impugna [ii]; all’aumento di quindici giorni dei termini per impugnare nel caso di imputato assente; ai quaranta giorni quale termine per comparire; ai due anni o all’anno – a regime – entro i quali tendenzialmente deve intervenire la definizione; al fatto che l’inizio del decorso di tale termine di durata massima del giudizio di impugnazione probabilmente avverrà spesso quando il fascicolo non è ancora pervenuto al giudice di appello o di cassazione. Sono tutte norme e previsioni che presuppongono la possibilità di immediato contatto dell’appellante.
È noto che sul tavolo del ministro Nordio pende già un’articolata richiesta di modifica di tale disciplina. Sul punto quindi quanto mai attuali degli approfondimenti.
3.1. Lo specifico mandato per l’impugnazione della sentenza contumaciale (art. 571, comma 3, seconda parte, testo originario).
È utile ricordare che il codice Vassalli prevedeva, già dal testo originario, proprio lo specifico mandato per l’impugnazione della sentenza contumaciale [571, comma 3, seconda parte: “Tuttavia, contro una sentenza contumaciale, il difensore può proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste]. Si tratta quindi di esigenza già sentita e condivisa fin dall’impostazione di quello che avrebbe dovuto essere il nuovo avanzato processo di parti, il processo accusatorio: nell’impostazione teorico sistematica di quel processo accusatorio quindi si era considerato pienamente coerente l’onere per l’imputato di conferire il mandato speciale per l’impugnazione che apriva un nuovo grado del giudizio su sua richiesta.
È significativo che la ragione dell’introduzione del mandato speciale ad impugnare, nel caso di impugnazione in favore dell’imputato contumace, era stata indicata nella relazione accompagnatoria, e da alcuna dottrina, nell’intento di evitare effetti preclusivi in danno dell’imputato per la sua volontà di impugnare autonomamente la sentenza (Commento al nuovo codice di procedura penale, Utet, 1991, sub 571, p.46).
La necessità del mandato speciale venne esclusa dopo dieci anni, dall’art. 49 della legge 479/1999.
È interessante rilevare che la ragione addotta nei lavori parlamentari dalla Relazione non fu un ripensamento della correttezza sistematica dell’istituto ma, solo, di consentire la possibilità dell’impugnazione della sentenza contumaciale anche al difensore d’ufficio, oltre che al difensore di fiducia, operando la soppressione dell’ultima parte del comma 3 dell’articolo 571 del codice di procedura penale, in base alla quale il difensore può proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale solo se munito di apposito mandato. Quindi non venne affatto messa in discussione la coerenza sistematica del principio che il difensore di fiducia per impugnare le sentenze contumaciali dovesse munirsi di un mandato speciale ma, pare evincersi, si ritenne che ciò finisse per discriminare potenzialmente i difensori di ufficio, per i quali l’acquisizione di un mandato speciale, sia pure limitato alla legittimazione ad uno specifico atto di impugnazione altrimenti inibito (mandato che, pertanto, poteva non modificare la natura ufficiosa dell’assistenza legale limitandosi a legittimare il difensore al singolo atto), appariva almeno potenzialmente difficoltosa. Da qui l’eliminazione del mandato per tutti i difensori, anche nominati di fiducia [iii].
3.2. La grande dimenticata: la procura speciale per l’impugnazione (571, comma 1).
Credo davvero utile che il confronto sul tema si apra anche a considerare l’impatto, su di esso, della procura speciale tuttora prevista dall’art. 571, primo comma.
Tale norma, riprendendo del resto la disciplina dell’art. 192, primo comma, del codice di procedura penale del 1930, stabilisce che l’imputato possa proporre impugnazione anche per mezzo di un procuratore speciale, nominato anche prima della emissione del provvedimento.
Quindi, oggi, l’appello, nel caso di imputato presente, può essere proposto dall’imputato personalmente o dall’imputato a mezzo procuratore speciale o dal difensore. Nel di imputato nei cui confronti si è proceduto in assenza, dall’imputato personalmente o dall’imputato a mezzo procuratore speciale nonché dal difensore se munito di mandato speciale [iv].
Già nel 1995 la Corte di cassazione aveva evidenziato la differenza tra mandato speciale a proporre impugnazione, rilasciato al difensore, e procura speciale per proporre (in proprio) impugnazione.
Sez. 6, Sentenza n. 2320 del 07/06/1995 Cc. (dep. 17/08/1995), imp. Pirani, aveva infatti precisato che “Mentre il mandato speciale a proporre impugnazione non può essere rilasciato dall'imputato al difensore con riferimento all'eventuale mandato di contumace in un momento anteriore all'emissione della sentenza, analogo limite non sussiste per la procura speciale, la quale può essere rilasciata in via preventiva, in epoca anteriore alla pronuncia del provvedimento e per l'eventualità che si verifichino le condizioni per l'espletamento dell'atto che della procura medesima costituisce l'oggetto”.
È importante evidenziare che mai si è dubitato che la procura speciale ad impugnare, diversa dal mandato specifico ad impugnare, potesse essere rilasciata anche al difensore [v].
Evidenti le implicazioni, se la ricostruzione proposta è condivisibile: oggi in favore dell’assente in realtà il difensore, di fiducia o anche d’ufficio, può proporre appello o in ragione del mandato specifico ad impugnare rilasciato dopo la pronuncia del pur solo dispositivo ovvero perché nominato procuratore speciale ai sensi dell’art. 571, comma 1, con atto anche precedente tale pronuncia purchè indicante specificamente l’ambito impugnatorio della procura.
Ciò significa, in concreto, che il difensore, anche d’ufficio, che dubiti della possibilità di farsi rilasciare dall’assistito lo specifico mandato ad impugnare del comma 3 dell’art. 571, dopo la pronuncia della sentenza, o anche solo per cautela organizzativa, può proporre all’assistito di essere destinatario di una procura speciale rilasciata prima della deliberazione del primo grado per l’eventualità che, sulla base di criteri spiegati e concordati sia opportuno o necessario impugnare la pronuncia di primo grado.
Si tratta di riflessione che appare avere una rilevanza tutt’altro che secondaria quando si vanno ad esaminare le ragioni della contrarietà alla disciplina dell’art. 571, comma 3, che vengono dedotte.
3.3. Le conseguenze del contrasto SU/Corte costituzionale sulla consumazione del diritto dell’imputato ad impugnare.
L’appello proposto dal difensore quale procuratore speciale ai sensi dell’art. 571, comma 1 (quindi esercitando il potere proprio dell’imputato) avrebbe questa peculiarità importante: impedirebbe la vanificazione dei gradi del giudizio che si produce invece con la sua nuovamente sollecitata e richiesta possibilità di una sua impugnazione autonoma anche nel caso in cui l’assistito nulla sappia della presentazione dell’impugnazione, quindi impugnazione proposta quale difensore senza procura e senza mandato speciale di imputato che ignori la pendenza dei giudizi di appello e di cassazione.
La previsione del mandato speciale ad impugnare introdotto per l’imputato processato in assenza dall’art. 581, comma 1-quater, è stata determinata anche dalle ancora attuali conseguenze cui ha condotto il contrasto Sezioni Unite/Corte costituzionale: la sistematica sostanziale vanificazione dei gradi di giudizio di impugnazione attivati per iniziativa autonoma dei difensori, quando questi apparentemente non avevano avuto, e non hanno, previo contatto con gli assistiti in favore dei quali propongono l’atto di impugnazione.
Come noto il contrasto è intervenuto sul tema dell’unicità del diritto di impugnazione e quindi sulla sua possibile definitiva consumazione da parte del difensore (di fiducia o di ufficio). Le Sezioni Unite (sentenza 6026/2008) avevano affermato che l’impugnazione proposta dal difensore nell’interesse dell’imputato contumace (o latitante) precludeva alcuna restituzione in termini dell’imputato per (ri)proporre l’impugnazione già proposta e deliberata. Corte costituzionale sent. 317/2009 prende atto di tale diritto vivente e giudica la soluzione contraria alle regole costituzionali, concludendo che “è costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 24, 111, primo comma, e 117, primo comma, Cost., l'art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non consente la restituzione dell'imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato”.
Orbene, nel caso di impugnazione proposta dal difensore quale procuratore speciale ai sensi dell’art. 571, comma 1, la giurisprudenza di legittimità ha già insegnato che con tale procura speciale l’imputato consuma il proprio diritto ad impugnare (L'imputato che, dopo una sentenza emessa in contumacia nei suoi confronti, conferisce al proprio difensore procura speciale per proporre impugnazione, è privo di legittimazione a chiedere o a far chiedere dal suo fiduciario di essere rimesso in termini per impugnare autonomamente la decisione, nonostante la mancata notifica dell'estratto contumaciale, essendosi spogliato, mediante il rilascio della delega, del proprio diritto all'impugnazione: Sez.6, sent. 10537/2017).
Quindi, la soluzione della procura speciale rilasciata per l’impugnazione ai sensi dell’art. 571, comma 1, impedisce che i successivi giudizi di impugnazione attivati per iniziativa (delegata e nei termini di una discrezionalità di azione concordata al momento del rilascio di tale procura) possano essere messi poi nel nulla.
4. Obbligo deontologico, responsabilità professionale e impugnazione in favore dell’imputato inconsapevole. Il ‘colloquio’ tra giudice e difensore sui contatti con l’imputato?
Obbligo deontologico/etico avverso la sentenza ritenuta comunque ingiusta e timore di responsabilità professionale indifendibile sono sostanzialmente i nuclei essenziali delle ragioni del forte dissenso.
4.1.1. È certo apprezzabile l’impostazione deontologica che la classe forense richiama per sostenere una propria anche esclusiva competenza a contestare una sentenza ritenuta ‘ingiusta’, nell’interesse obiettivo pure dell’assistito non reperito e non consapevole.
Ma occorre tuttavia prendere atto quantomeno:
- della già commentata potenziale inutilità del complesso dell’attività giurisdizionale e amministrativa cui si dà in tal modo seguito ogni qualvolta le impugnazioni non siano state giudicate fondate (la casistica è ricca di vanificazione di entrambi i gradi di impugnazione, merito e legittimità, con il conseguente ripetuto mero impiego a vuoto delle non adeguate risorse, di uomini e mezzi, disponibili; né francamente si potrebbero richiedere maggior risorse per giustificare processi che poi evaporano per quelle che sono le norme vigenti);
- della ulteriore importante stretta che la disciplina dell’assenza riceve sia per il primo grado [nuovi 420-bis, 420-ter.1, 420-quater, 604.5-bis] che per il giudizio di appello [604.5-ter e 604.5-quater]. Proprio tale articolata disciplina, volta ad aumentare esponenzialmente l’aspettativa che alla regolarità formale della citazione al giudizio di primo grado corrisponda l’effettiva consapevolezza dell’interessato relativa alla trattazione processuale, contribuisce a creare le premesse fattuali per sollecitare l’attivazione dei difensori ad un contatto personale con l’assistito, che sia caratterizzato dall’articolata spiegazione del seguito procedimentale e della necessità di una non sostituibile responsabilizzazione dello stesso interessato;
- del fatto che la rivisitazione della disciplina in primo grado ha un’immediata ricaduta in quella delle questioni di nullità nel giudizio di appello [vi];
- dell’incisività della giurisprudenza di legittimità sull’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario d’ufficio e l’indagata o imputato (SU sent. 23948/2020, così massimata: Ai fini della dichiarazione di assenza non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, da parte dell'indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest'ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa(Principio affermato in relazione a fattispecie precedente all'introduzione dell'art. 162, comma 4-bis, cod. proc. pen. ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103));
- dell’introduzione dell’art. 162, comma 4-bis (con la necessità dell’assenso alla domiciliazione).
In realtà, va riconosciuto che nel giudizio di primo grado occorre ormai e quindi un’accurata conoscenza e valutazione di cosa è accaduto nel corso del procedimento e dall’epoca delle notificazioni della citazione a imputato e difensore/i e al loro rapporto. Perché non penso sia sbagliato, o eccessivo, affermare che è difficile che il giudizio di primo grado si possa dopo il d. lgs. 150/2022 ritualmente celebrare se il difensore, anche d’ufficio, non ha mai potuto avere un contatto con l’assistito, salvo forse il caso della notifica all’imputato a mani proprie e del rifiuto di costui ad avere contatto alcuno con il difensore.
Ma, in tal caso, ritorna la centralità del tema di quale sia l’imputato/tipo considerato dai principi del giusto processo: il rifiuto al contatto con il difensore che conduca all’impossibilità di impugnare una sentenza sfavorevole è condotta che, avuto riguardo all’imputato/tipo del giusto processo impone tutela anche quando conduca alla trattazione di processi di impugnazione poi vanificabili? Il rifiuto ad ogni responsabilizzazione pur nella consapevolezza delle conseguenze dannose possibili, merita o addirittura impone tutela? Si consideri che già ora il tema della colpevole mancata conoscenza è oggetto di specifiche previsioni normative (629-bis, primo comma ultima parte ed è stato oggetto della giurisprudenza di legittimità per l’applicazione dell’art. 175).
4.1.2. Le considerazioni che precedono rendono ineludibile confrontarsi con una tematica peculiare. Infatti l’esigenza di accertare l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale biunivoco, o le ragioni della sua mancanza, pone o accentua un problema che presenta profili delicati.
Il giudice di primo grado [e quello di appello che deve valutare se sussista questa sorta di condizione ostativa alla possibilità di eccepire o rilevare la nullità] non ha né può consultare il fascicolo del pubblico ministero, per cui diviene onere del rappresentante della parte pubblica, nei due gradi, acquisire e rappresentare i fatti di possibile pertinente rilievo procedimentale che si sono verificati nella fase delle indagini preliminari e fino all’eventuale udienza preliminare. Ma, e a me pare soprattutto, nel nuovo sistema diviene nevralgica la comprensione di quale sia stato il rapporto tra l’imputato ed il suo difensore, di fiducia o di ufficio che sia, in particolare dal momento della ricezione dell’avviso di fissazione dell’udienza da parte dello stesso difensore.
E questo aspetto, essenziale nell’economia della disciplina al fine di poter affermare o escludere anche la conoscenza della pendenza del processo, è nella conoscenza del solo difensore, quando l’imputato non sia presente ovvero manchino gli elementi documentali (una nomina, un’istanza, la presentazione di un certificato medico, ecc.) dal cui contenuto si possa evincere esaustivamente, anche solo sul piano logico, il dato della conoscenza della pendenza del processo (e non già del solo procedimento), se non specificamente della data dell’udienza.
Ed allora diviene fisiologia della relazione tra giudice e parti, con la nuova disciplina, che il primo nelle situazioni di incertezza possa, o debba in realtà, interpellare il difensore su quali siano stati i suoi contatti con l’imputato dalle notifiche, per applicare correttamente la norma? Ovvero che debba essere riconosciuto uno speculare obbligo del difensore, di fiducia o di ufficio, di rappresentare al giudice di primo grado (e dedurre specificamente e analiticamente nell’eventuale motivo di appello) l’assenza di ogni rapporto e le ragioni che la hanno determinata? [vii].
Si obietta che si tratterebbe di violazione della sacralità della segretezza del rapporto tra difensore ed assistito. Ma, si dovrebbe osservare, la ‘pretesa’ non sarebbe quella di informazioni sul contenuto del rapporto, bensì solo sul fatto procedimentale dell’effettivo contatto.
Si tratta comunque e appunto di tema delicato, meritevole di approfondimento davvero ineludibile [viii], nel quale ancora una volta emerge la nuova centralità del tema del ‘tipo’ di soggetti del processo che i principi del giusto processo orientato ai principi costituzionali e di norme e giurisprudenza Cedu considerano come presupposto della loro applicazione e del loro ambito di operatività.
4.2. Da ultimo, quale responsabilità professionale potrebbe mai configurarsi quando l’imputato informato da autorità giudiziaria e polizia giudiziaria degli oneri informativi specifici che ha nei confronti del difensore (157.8-ter ultima parte e 161.01 ultimo periodo), informato specificamente dal difensore in ordine alle tematiche del processo e della sua possibile evoluzione e degli oneri per impugnare (tutto documentabile agevolmente), si sia disinteressato al proprio processo e si sia comunque e in concreto sottratto al contatto del difensore? La previsione dell’art. 157, comma 8.quater lo conferma pienamente (“L'omessa o ritardata comunicazione da parte del difensore dell'atto notificato all'assistito, ove imputabile al fatto di quest'ultimo, non costituisce inadempimento degli obblighi derivanti dal mandato professionale”).
5. L’imputato consapevolmente disinteressato e il giusto processo Torniamo alla domanda iniziale. No, l’imputato che consapevolmente si disinteressa del proprio procedimento dopo essere stato informato di contenuto e prospettive e dell’obbligo di mantenere contatto e reperibilità non è l’imputato/tipo parametro su cui il giusto processo tara i propri principi. E lo scostamento “a lui imputabile” (157.8-quater) rimane a suo danno.
[i] Va ricordato che nel caso di difensore d’ufficio anche in Corte di cassazione si procede con le notifiche personali all’imputato (613, comma 4).
[ii] Si noti, unica soluzione per evitare l’ingovernabile ‘limbo’ della spedizione per posta o dell’invio, per posta sempre, da altro ufficio, e così acquisire all’effettiva scadenza del termine per impugnare la tempestiva informazione se la sentenza è stata impugnata o è divenuta irrevocabile.
[iii] Fin d’ora è opportuno ricordare, ci si ritornerà, quanto sia cambiata da allora la disciplina e la legislazione della difesa d’ufficio e della sua relazione con l’imputato.
[iv] Per il ricorso per cassazione, stante l’esclusione del ricorso personale dell’imputato, l’impugnazione può essere proposta solo dal difensore munito di mandato speciale, se l’imputato nel giudizio di appello era assente (e quindi per tutti i giudizi celebrati con rito a contraddittorio scritto), o autonomamente se l’imputato era presente.
[v] Commento al nuovo codice di procedura penale, Utet, 1991, sub 571, p.41, 42 e giurisprudenza lì richiamata.
[vi] La dichiarazione di assenza quando mancavano le condizioni dei primi tre commi dell’art. 420-bis determina la nullità della sentenza di primo grado, che però deve essere eccepita con specifico motivo di appello altrimenti è sanata [604, nuovo 5-bis]: non può pertanto essere rilevata d’ufficio. Quando dichiara la nullità il giudice di appello dispone la trasmissione degli atti al giudice che procedeva quando la nullità si è verificata. Non sussiste comunque nullità [604, nuovo 5-bis, ultima parte] se risulta che l’imputato era a conoscenza della pendenza del processo ed era nelle condizioni di comparire in giudizio prima della pronuncia della sentenza impugnata.
[vii] In proposito potrebbe rilevare anche il peculiare dovere di verità indicato dal n. 5 dell’art. 50 del codice deontologico forense: 5. L’avvocato, nel procedimento, non deve rendere false dichiarazioni sull’esistenza o inesistenza di fatti di cui abbia diretta conoscenza e suscettibili di essere assunti come presupposto di un provvedimento del magistrato. In altri termini, il tema del contatto informativo con l’assistito in relazione alla fissazione e trattazione del processo costituisce “fatto di cui si ha diretta conoscenza e presupposto di un provvedimento del magistrato”?
[viii] Così come quello del contenuto della discussione nel giudizio d’appello in presenza e della possibilità che il giudice indichi al difensore appellante punti e aspetti dell’impugnazione da chiarire o approfondire senza rischiare ricusazioni, ma questo è un altro tema.