La giurisdizione sulla dismissione di quote azionarie pubbliche di una S.r.l. (Memoria del Procuratore generale Aggiunto della corte di Cassazione – sez. unite civili – causa r.g. 27289/2020 – udienza pubblica 23.11.2021)
Un ente locale propone ricorso per cassazione per motivi di giurisdizione avverso la sentenza del Consiglio di Stato che ha affermato la giurisdizione amministrativa nella causa avente ad oggetto l’impugnazione degli atti di un procedimento di gara indetto da altro comune per la dismissione di quote azionarie pubbliche di una s.r.l.
Più esattamente, la controversia ha ad oggetto l’impugnazione della scelta e delle modalità di vendita delle quote da parte del socio-ente pubblico che, secondo la sentenza amministrativa impugnata, «non è soggetta alle norme sull’evidenza pubblica e nemmeno a quelle sulla contabilità generale dello Stato, risolvendosi in un’operazione che l’ente pubblico pone in essere con modalità privatistiche, non rilevando in contrario il fatto che la società abbia utilizzato lo strumento della procedura aperta», atteso che «tale determinazione non è stata imposta dalle previsioni normative ma è il frutto di una libera scelta della società». Secondo il ricorrente è proprio da tali affermazioni che discenderebbe l’erronea affermazione della giurisdizione amministrativa.
La requisitoria del P.G. ritiene, invece, corretta la decisione del giudice amministrativo in punto di giurisdizione, in quanto l’indagine sul riparto deve accertare se la controversia abbia ad oggetto un atto posto in essere dall’ente pubblico uti socius ovvero iure imperii, poiché è soltanto nel primo caso che la relativa cognizione è attribuita alla giurisdizione ordinaria. Esemplificando, le conclusioni del P.G. richiamano le pronunce della Suprema Corte che attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto l’attività unilaterale prodromica alla vicenda societaria (così come quella avente ad oggetto la deliberazione costitutiva, modificativa o estintiva della società medesima), mentre riconoscono la giurisdizione ordinaria per quelle aventi ad oggetto gli atti societari adottati a valle della scelta di fondo relativa all’utilizzo del modello societario. Per le stesse ragioni, sono attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti della procedura di selezione del socio privato, mentre sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per le questioni riguardanti la validità e l’efficacia della costituzione della società pubblica e dei suoi conseguenti atti negoziali.
Il ragionamento prosegue affermando che la scelta di dismettere la partecipazione ha una sicura “matrice pubblicistica” benché effettuata “a valle” della costituzione della società, con conseguente attribuzione della controversia alla giurisdizione amministrativa poiché viene in rilievo l’adozione di atti all’esito di un procedimento amministrativo, governati da regole e principi pubblicistici e che comportano l’obbligo di osservare i principi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione, implicanti scelte che si collocano “a monte” poiché con essi il socio pubblico agisce prima come autorità e poi come socio. A tal proposito, richiamando la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. V, 23.01.2019, n. 578, la requisitoria osserva che l’amministrazione si comporta “come autorità” quando “determina”, mentre si atteggia come “socio” allorquando “delibera”. Nel caso di specie, trattandosi di atti diretti alla scelta delle modalità di vendita delle quote societarie pubbliche, l’amministrazione non sta esprimendo una privata autodeterminazione rimessa alla propria volontà, bensì una determinazione riconducibile alla supremazia di un potere in una vicenda che non si esaurisce nel contesto infra-societario, ma sorge in sede propriamente amministrativa ed involge un segmento pubblicistico dell’attività. Pertanto, avendo riguardo al criterio del petitum sostanziale – da identificarsi «anche e soprattutto in funzione della causa petendi» - la controversia in esame deve ritenersi attribuita alla giurisdizione amministrativa.
Più in generale, il P.G. afferma che il criterio di riparto c.d. “spaziale”, incentrato cioè sulla distinzione tra atti adottati “a monte” ed “a valle”, non sempre consente di dipanare con certezza la zona “grigia” di confine che sorge quando la vicenda sostanziale sia caratterizzata dalle interrelazioni tra diritto pubblico e diritto privato. Tuttavia, le requisitoria si conclude escludendo la razionalità di un criterio di riparto fondato automaticamente sulla distinzione tra an e quomodo dell’esercizio del potere pubblico, in quanto il quomodo potrebbe essere appositamente congegnato da parte dell’amministrazione in modo tale da escludere l’an (l’applicabilità stessa delle regole e dei principi dell’evidenza pubblica), così violando i principi pubblicistici che governano detta materia ed incidendo sull’individuazione dell’Autorità munita della giurisdizione. Un simile criterio di riparto, secondo il P.G., non si presterebbe a risolvere le difficoltà interpretative ma, al contrario, determinerebbe il rischio di duplicazione dei giudizi dinnanzi all’una e all’altra giurisdizione.
Nel concludere per il rigetto dell’impugnazione sulle questioni di giurisdizione, la stessa requisitoria ritiene fondato l’ulteriore motivo concernente l’ammissibilità della vendita congiunta per violazione dell’art. art. 2468 c.c., riconoscendo su tale punto la giurisdizione del giudice ordinario in quanto avente ad oggetto il novero delle facoltà spettanti al socio in quanto tale, ancorché pubblico. L’accoglimento del motivo non è precluso, infatti, dal rigetto espresso su restanti motivi tenuto conto del principio costantemente affermato in merito all’inderogabilità della giurisdizione stessa per ragioni di connessione (Cass., S.U. n. 9534 e n. 10305 del 2013, n. 32361 del 2018; n. 23904 del 2020).
C.G.