La nomina dei dirigenti degli uffici giudiziari: il nuovo testo unico
di Claudio Castelli
Sommario: 1.Un nuovo testo unico era necessario sia perché imposto dalla legge, sia per superare la eccessiva discrezionalità prima esistente - 2. Il D.Leg. 28.3.2024 n. 44 ha cambiato il quadro normativo ed ha dettato nuove regole su procedura, criteri, fonti di conoscenza e parametri di valutazione - 3. Il fine della scelta dei dirigenti deve essere non soddisfare le esigenze di carriera dei magistrati, ma garantire agli uffici la persona più capace con trasparenza - 4. Le due diverse proposte elaborate dalla Commissione Direttivi recuperavano le migliori esperienze passate sulle nomine: l’adozione di punteggi per merito e attitudini e l’introduzione di fasce di esperienze giudiziarie (non più di anzianità come nel passato). Proposte entrambe differenziate a seconda della tipologia di incarico (direttivo o semidirettivo, giudicante o requirente, di primo, secondo grado o di legittimità) e delle dimensioni dell’ufficio - 5. Elementi comuni alle due proposte era la pubblicità, la trasparenza, la standardizzazione delle domande. Anche se il Consiglio non si è posto il problema della “fuga” dagli incarichi direttivi e semidirettivi che vi è almeno per alcuni incarichi ed alcune zone del Paese - 6. La proposta per fasce di esperienze procede con due differenti modalità di selezione: - una per i posti semidirettivi, i direttivi di piccole e medie dimensioni e gli uffici specializzati che individua una fascia di 6 anni a partire dall’aspirante con maggiore esperienza o comunque avere un’esperienza in uffici omologhi a seconda degli uffici di 12 - 15 - 18 anni (civile, penale o specializzato) con una progressiva selezione sulla base di ulteriori requisiti molto specifici, - l’altra per i Tribunali di medie e grandi dimensioni, per le Corti e le relative Procure sulla base di una valenza decrescente di parametri derivanti dalle esperienze organizzative svolte - 7. La proposta per punteggi individua undici parametri che si rifanno agli elementi citati dal nuovo art. 46 octies (a partire da merito e capacità organizzativa) per poi articolare per ciascuno di essi un punteggio differenziato a seconda del tipo di incarico e di ufficio richiesto - 8. Entrambe le proposte recuperano le esperienze giudiziarie svolte, cosa diversa dalla tradizionale anzianità nel ruolo. Ed entrambi preservano la discrezionalità del Consiglio - 9. I limiti: il sistema per fasce rischia di essere eccessivamente automatico per gli incarichi per posti semidirettivi, direttivi di piccole e medie dimensioni e uffici specializzati e troppo discrezionale per gli altri posti - 10. Il sistema per punteggi è stato mal congegnato e in realtà privilegia eccessivamente l’anzianità e l’avere già svolto incarichi direttivi e semidirettivi oltre che tutte le “medagliette” conseguibili con nomine e incarichi di coordinamento - 11. Ora si tratta di superare critiche spesso preconcette e di far funzionare il sistema, superando gli opposti rischi di eccessivi automatismi o di eccessiva discrezionalità, con la disponibilità e capacità di verificarne e monitorarne la bontà, eventualmente apportando correttivi.
1. Un nuovo Testo Unico era necessario e inevitabile.
Nuove regole per la nomina dei magistrati direttivi e semidirettivi erano necessarie e dovute. Da un lato erano richieste dalla nuova legge[1] che aveva imposto norme più stringenti per le nomine e dall’altro erano imposte dallo scandalo Palamara che aveva evidenziato come di regole troppo lasche e di parametri virtuali si potesse fare agevolmente strame. Del resto il vecchio Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria, approvato nel 2016, era nato con scopi nobili, ovvero di limitare ed indirizzare l’inevitabile discrezionalità del Consiglio, ed aveva introdotto e fissato una serie di indicatori generali e specifici oltre che una differenziazione per tipo di incarico e per dimensionamento dell’ufficio in modo da operare una selezione sulla base di parametri oggettivi. La realtà è che l’ampio numero degli indicatori introdotti e l’assenza di una gerarchia tra gli stessi aveva portato a poter giustificare qualsiasi scelta, facendo di volta in volta prevalere il candidato che si voleva. Una modifica era quindi inevitabile, oltre che imposta dalla legge Cartabia che dettava regole stringenti su tutti i profili: la procedura, le fonti da utilizzare e valorizzare, i parametri da adottare.
2. Le modifiche apportate dal Decreto Legislativo 28 marzo 2024 n.44.
La legge delega ed il successivo decreto legislativo n.44/2024 intervenivano su questo tema su diversi fronti. Imponeva una procedura regolata e trasparente, con il criterio cronologico nelle nomine e l’obbligo delle audizioni. Allargava il profilo delle fonti introducendo pareri da parte del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, del dirigente amministrativo, dei magistrati dell’ufficio in caso di conferma) sempre assicurando il contraddittorio. Differenziava la valutazione dei candidati sulla base della natura dell’incarico (semidirettivo o direttivo, di primo, secondo grado o di legittimità o DNA specializzati) e delle dimensioni dell’ufficio da ricoprire (di piccole o medie dimensioni o di grandi dimensioni). Indicava i parametri sulla base dei quali doveva essere svolta la valutazione: merito, attitudini generali e specifiche. Aggiungeva alcune specifiche attività (i risultati avuti, l’analisi statistica, i provvedimenti adottati, la specializzazione, la varietà di esperienze, la conoscenza delle norme ordinamentali, l’aggiornamento professionale e la formazione, le capacità relazionali esterne). Elementi estremamente articolati e completi, forse fin eccessivi dato l’elevato numero di fattori da valutare, ma il cui rilievo veniva correttamente affidato al CSM.
3. Il fine cui tendere: dare dirigenti capaci con trasparenza.
Prima di passare all’esame delle proposte avanzate in Consiglio e delle scelte adottate è opportuno sottolineare che il risultato cui bisogna tendere non è soddisfare le esigenze di carriera dei magistrati aspiranti, ma garantire agli uffici la persona più capace e che dimostra ex ante le migliori attitudini. La trasparenza delle nomine è poi un obiettivo per l’intera società e per le comunità locali e non solo per i magistrati interessati. Proprio per garantire questi obiettivi occorrerebbe assicurare che le valutazioni sulle esperienze pregresse e sulle attività svolte dai singoli aspiranti si basino su di una reale disamina del concreto svolgimento delle stesse e non sul semplice “titolo” formale. Disamina che il Consiglio ha estrema difficoltà a fare, pur in presenza di un’estensione delle fonti di conoscenza, avendo ben pochi strumenti in tal senso ed avendo problemi a procurarseli. Il rischio è che la valutazione si arresti di fronte al dato formale di avere svolto un incarico e non a come è stato svolto e ai risultati effettivamente conseguiti. Sotto questo profilo, almeno per chi ha già svolto incarichi di dirigenza, sarebbe prezioso un esame, con inevitabile contraddittorio, delle performance avute e delle statistiche quali quantitative dell’ufficio.
4. Le vecchie esperienze rivisitate: i parametri per punteggi e le fasce di anzianità.
La Commissione del CSM si trovava ad elaborare la nuova Circolare in tempi estremamente ristretti e, opportunamente, pur non arrivando ad una proposta unitaria, si rifaceva nelle due diverse prospettazioni avanzate alle esperienze concrete più feconde avute nel passato. Da un lato i vecchi parametri per punteggi che fino agli anni 2000 avevano caratterizzato la nomina degli incarichi semidirettivi. Era un’epoca in cui l’anzianità era ancora il carattere dominante e merito e attitudini avevano un rilievo secondario: veniva dato un punto per ogni anno di anzianità nella qualifica richiesta per la nomina, sino a 4 punti per il merito, sino a 2 punti per lo svolgimento di funzioni omologhe e sino a 4 punti per le attitudini. Il pregio di questo sistema, oltre che di consentire una valorizzazione di merito e attitudini in situazioni di scarsa differenza di anzianità, costringeva a solidificare la valutazione in punteggi, con una forte responsabilizzazione. L’altro sistema puntava su fasce di anzianità che portavano a scegliere tra i candidati entro 8 anni di anzianità a partire da quello più anziano. Sistema che portava a valorizzare le esperienze lavorative e a contenere in modo oggettivo il numero dei candidati da valutare. Con il limite di consentire domande strumentali da parte di candidati particolarmente anziani, formulate solo al fine di determinare la fascia.
Sul resto le due proposte si differenziano su punti marginali. Onde evitare discussioni strumentali va chiarito che entrambe le proposte preservano ampiamente la discrezionalità nella scelta da parte del Consiglio. Spacciare o temere che i punteggi portino ad un automatismo nella scelta era del tutto sbagliato perché l’attribuzione dei punteggi era comunque determinante per il risultato. Così l’introdurre fasce di esperienze professionali limita, anche grandemente per larga parte degli uffici, l’ambito della scelta (anche perché non contiene, a differenza del passato, eccezioni per lo “spiccato rilievo”), ma lascia una discrezionalità sia nella valutazione delle esperienze, sia tra gli aspiranti che rientrano nella fascia. Poi per quanto riguarda Tribunali distrettuali, Corti e relative Procure viene lasciata una discrezionalità molto ampia. Il tutto ovviamente deve o dovrebbe avvenire sulla base dei parametri che lo stesso Testo Unico delinea.
5. Gli elementi comuni: pubblicità, trasparenza, standardizzazione, limite al numero delle domande. Il calo delle domande per gli incarichi.
Va valorizzata la tensione verso la pubblicità e la trasparenza che si ha in entrambe le proposte e l’adozione di una standardizzazione sia dell’autorelazione che delle domande proposte. Così pure si cerca di evitare un carrierismo che punta al conseguimento di successivi incarichi sempre di maggiore prestigio con il limite al numero di domande che ogni aspirante può presentare (due per incarichi direttivi e due per incarichi semidirettivi). Anche se in realtà il Consiglio non prende atto della nuova realtà che si sta creando con un calo delle domande almeno per taluni incarichi direttivi e della scarsa appetibilità di almeno alcuni tra di essi (in particolare per posti giudicanti di alcune zone di Italia). Sono andati deserti, almeno in prima battuta, i posti di Presidente della Corte di Appello di Potenza, di Presidente di sezione lavoro a Brescia, di Presidente di sezione del Tribunale di Milano. Disaffezione che deriva in parte dall’impatto fortemente negativo sulla magistratura che ha avuto l’affaire Palamara con una sbagliata identificazione tra presentare domande per incarichi e carrierismo deteriore ed in parte dalla crescente consapevolezza delle difficoltà, complessità ed impegno, diverso dalla normale attività giurisdizionale, che un incarico direttivo e, parzialmente, anche semidirettivo comporta. Purtroppo i tempi sono stati compressi, ma sarebbe stata l’occasione per acquisire una serie di dati di grande interesse che potrebbero aiutare il Consiglio nelle sue politiche: il numero di domande per tipologia di posti, l’età ed il genere dei nominati sia per i posti direttivi che per i semidirettivi, la provenienza geografica rispetto al posto da ricoprire, il tasso di impugnazioni e di conferma. Anni fa il Consiglio aveva condotto una ricerca in questa direzione con risultati per certi aspetti sorprendenti (come l’età dei nominati a posti direttivi ben oltre i 60 anni e il limitato tasso di accoglimento delle impugnazioni). Sarebbe il caso di ripeterla ogni anno, anche per verificare la bontà delle proprie scelte.
6. La proposta per fasce di esperienze giudiziarie.
La proposta 1, poi approvata, riprende la valorizzazione delle fasce, non più di anzianità, (che sarebbe comunque vietata dalla legge), ma per esperienze professionali. Si crea una sorta di scrematura per passaggi successivi ad imbuto, ove sono preferiti per una seconda fase di valutazione unicamente i magistrati che abbiano un’esperienza significativa con funzioni omologhe o in uffici specializzati. Le modalità sono diverse per gli uffici semidirettivi, specializzati e direttivi di piccole e medie dimensioni da un lato e per quelli direttivi degli uffici di grandi dimensioni, distrettuali e di secondo grado e legittimità dall’altro. Per i primi viene effettuata una prima selezione all’interno della fascia di esperienze di sei anni a partire dall’aspirante che può vantare un’esperienza di maggiore durata, o comunque tra candidati che abbiano un’esperienza in uffici omologhi a seconda degli uffici di 12 - 15 - 18 anni, valorizzando il settore di appartenenza (civile, penale o specializzato). Poi in caso di posizioni equivalenti intervengono successive selezioni, sempre più stringenti, una sorta di cerchi concentrici man mano più piccoli, sino ad arrivare al candidato prescelto con una sorta di semi automatismo.
Per i secondi dopo la prima scrematura operata solo sulla base della permanenza nelle funzioni, e quindi scarsamente selettiva, subentrano ulteriori parametri di rilievo decrescente, ma da considerare in un giudizio complessivo ed unitario, lasciando una più ampia discrezionalità.
Onde evitare i “giochetti” che si erano avuti nella passata esperienza relativa alle nomine utilizzando le fasce si è proceduto a cristallizzare la situazione al momento della disamina della Commissione, consentendo eventuali revoche solo sino alla settimana prima la trattazione del posto interessato annunciato con la pubblicazione dell’ordine del giorno della Commissione consiliare.
Il sistema, al di là della difficoltà di esposizione e di lettura, è semplice, in particolare per gli incarichi semidirettivi, direttivi per uffici di piccole e medie dimensioni e specializzati con successive selezioni (ad imbuto come descritto dagli stessi autori della proposta) sulla base di criteri dichiarati ed oggettivizzabili. Per gli altri incarichi, quelli più rilevanti, dopo una prima scrematura che risulterà molto più limitata, resta una ampia discrezionalità, sia pure regolata, stabilendo una valenza decrescente delle ulteriori esperienze organizzative prese in considerazione. Tale valutazione avviene sulla base dei parametri del merito e delle attitudini articolate in criteri principali e criteri secondari.
7. La proposta per punteggi.
La proposta 2, poi soccombente, era molto più articolata, in quanto individuava una serie di parametri, in relazione ai quali vengono attribuiti punteggi. I parametri erano ben undici e si rifacevano agli elementi citati dal nuovo art. 46 octies nelle lettere da a) a n) (salvo la lettera f) ovvero: il merito (lett. a), la capacità organizzativa (lett. b), le pregresse esperienze di direzione, organizzazione e coordinamento (lett. c), la capacità di dare attuazione ai progetti organizzativi e di adeguarli ai mutamenti (lett. d), la capacità di analisi ed elaborazione statistica (lett. e), le specifiche competenze per incarichi specializzati (lett. g), la varietà di esperienze (lett. h), la conoscenza delle norme ordinamentali (lett. i), l’aggiornamento professionale (lett. l), le capacità relazionali (lett. m), la documentazione trasmessa dalla Scuola Superiore della Magistratura (lett. n).
I punteggi sono, con differenze a seconda del tipo di ufficio (di primo, secondo grado o di legittimità, di piccole, medie dimensioni o di grandi dimensioni, oltre alla DNAA) e del tipo di incarico (semidirettivo o direttivo, giudicante o requirente), schematicamente i seguenti:
- merito: 5 punti per ogni valutazione di professionalità positiva conseguita + 0,3 punti per ogni anno in cui il magistrato con funzioni anche di fatto semidirettive o direttive abbia dato attuazione a quanto indicato nel progetto organizzativo;
- capacità organizzativa: fino a 5 punti;
- pregresse esperienze di direzione: da 0,3 a 2 punti a seconda della tipologia di uffici per ogni anno di positiva esperienza in uffici semidirettivi o direttivi omologhi o diversi;
- capacità di dare attuazione ai progetti organizzativi: fino a 4 punti;
- capacità di analisi ed elaborazione statistica: fino a 3 punti;
- specifiche competenze per incarichi specializzati: da 0,2 a 1 punto per ogni anno di esercizio di funzioni omologhe esclusive (penale o civile) o specializzate (con possibile punteggio alternativo di 2,0, 2,5 o 5 punti per ogni altra specifica competenza maturata);
- varietà di esperienze: fino a 5 punti;
- conoscenza ordinamentale: fino a 4 punti;
- aggiornamento professionale: fino a 3 punti;
- capacità relazionale: fino a 2 punti;
- documentazione trasmessa dalla S.S.M.: 1 punto.
Qualora infine dall’attribuzione dei punteggi relativi a merito e attitudini risultasse una differenza inferiore o pari al 5 %, verrebbe ad assumere rilievo in via residuale il parametro dell’anzianità dando un ulteriore punteggio di 0,5 punti ogni anno di servizio successivo alla valutazione di professionalità richiesta dalla legge per il conferimento delle funzioni corrispondenti al posto da ricoprire.
La descrizione sommaria dei parametri e dei punteggi adottati può lasciare disorientati per la sua complessità, ma per ognuna delle tipologie dei posti da assegnare (e stiamo parlando di ben nove tipi di incarico, oltre a quelli specializzati come gip, lavoro, minori, sorveglianza) opera una sorta di canalizzazione con uno specifico punteggio da assegnare. Si tratta quindi di partire dal tipo di posto e quindi attribuire gli undici punteggi di cui ai diversi parametri.
8. Prime considerazioni generali.
Una prima considerazione generale che in realtà accomuna entrambe le proposte è il recupero delle esperienze giudiziarie svolte. Non si è voluto, né potuto ridare spazio all’anzianità, ma valorizzare il percorso professionale e la sua durata. Ciò riguarda l’avere svolto per un congruo periodo di tempo funzioni in uffici omologhi e nello stesso settore per una proposta e l’avere superato le varie valutazioni di professionalità per l’altra. Non si tratta di un ricorso all’anzianità sotto mentite spoglie perché in entrambi i casi non si parla di anzianità nel ruolo e non vi è automatismo. Inoltre presuppongono una valutazione positiva dell’attività svolta, riguardando le esperienze professionali positive la prima (come si ricava dai criteri generali di valutazione contenuti nei primi articoli) e le valutazioni di professionalità conseguite la seconda. Il tentativo in entrambi i casi è di valorizzare elementi in larga parte oggettivizzabili.
I sistemi che poi derivano sono in parte diversi da come vengono presentati e che la dialettica consiliare ha dipinto: in realtà non si tratta di un sistema che esalta la discrezionalità (quello per fasce), contro uno semi automatico (quello per punteggi), ma di sistemi complessi in cui il rischio di automatismi semmai vi può essere (in caso manchi qualsiasi valutazione su contenuto e merito delle esperienze) per il sistema per fasce disegnato per gli incarichi semidirettivi e direttivi per uffici piccoli e medi e specializzati (la stragrande maggioranza degli incarichi). Difatti il sistema per punteggi lasciava inevitabilmente un amplissimo spazio di discrezionalità nello stesso range dei punteggi esistenti, dato che vi erano punteggi automatici, punteggi semiautomatici e punteggi totalmente discrezionali.
9. Limiti e criticità del sistema per fasce o a imbuto.
Occorre in primis vedere se si terrà conto dei dati formali, ovvero solo l’avere ricoperto un certo incarico ovvero le effettive modalità con cui è stato svolto e di che strumenti si doterà il consiglio per valutare la positività delle esperienze pregresse oltre che il raggiungimento degli obiettivi.
Quanto al sistema per fasce vanno formulate diverse osservazioni. In primo luogo il sistema delineato pare avere effettuato la scelta di differenziare profondamente tra le modalità di scelta dei dirigenti degli incarichi semidirettivi e direttivi dei piccoli e medi uffici e di quelli specializzati (quasi il 90 % degli incarichi), con modalità molto stringenti e con una forte quota di automatismi e quelle molto più discrezionali degli altri posti apicali (poco più di 100). Una scelta che potrebbe essere condivisibile, in quanto a fronte dell’enorme numero di nomine da effettuare in tempi contenuti con l’obbligo di effettuare audizioni (il che appesantisce ulteriormente la procedura), il Consiglio potrebbe concentrarsi su quelle più significative, ma una tale scelta non è stata esplicitamente dichiarata. I pericoli sono due e curiosamente opposti. Da un lato che per i posti semidirettivi, direttivi di uffici di piccole e medie dimensioni e specializzati il sistema a cerchi concentrici delineato porti ad un automatismo senza valutare quanto meno la positività e complessità delle esperienze pregresse e l’esito delle audizioni, modalità che sarebbe in contrasto con la legge e con lo stesso Testo Unico laddove vengono delineati i parametri ed i criteri di valutazione. Dall’altro che per i posti direttivi dei Tribunali distrettuali, delle Corti e delle relative Procure l’ampia discrezionalità delineata diventi scarsamente verificabile. E’ vero che dovrà prima essere valutata la permanenza in funzioni omologhe e che poi entrano in gioco parametri secondo una chiara gerarchia, ma nel momento in cui si parla della necessità di un giudizio complessivo ed unitario, il rischio è che la discrezionalità diventi eccessiva e priva della necessaria trasparenza.
10. Limiti e criticità del sistema per punteggi.
Quanto al sistema basato sui punteggi emergono moltissimi limiti e criticità, più che per l’idea e per lo strumento, per le concrete modalità con cui è stato congegnato.
Innanzitutto un fortissimo recupero dell’anzianità, articolata come valutazione di professionalità conseguita, che in molti casi verrebbe ad essere determinante sia perché integra realisticamente circa la metà del punteggio complessivo che un candidato può raggiungere, sia per la clausola finale che la fa divenire prevalente in caso di differenza pari o inferiore al 5 %. In secondo luogo per la preferenza che viene data a coloro che hanno già ricoperto incarichi direttivi o semidirettivi che possono accedere a punteggi di cui invece gli altri magistrati non possono godere. Basti pensare che chi ha già svolto incarichi semidirettivi o direttivi omologhi parte con un vantaggio di almeno 4 punti (un punto per anno) e che in caso di incarico completato arriva ad 8 punti.
In terzo luogo la possibile utilizzazione degli stessi elementi (come la positiva esperienza pregressa in un incarico) per beneficiare di più punteggi (ad esempio per l’efficiente organizzazione del lavoro, le pregresse esperienze semidirettive e direttive, la capacità di dare attuazione ai progetti organizzativi, le capacità relazionali).
Infine la forte valorizzazione autonoma di incarichi istituzionali (di innovazione, formazione, ordinamento) rischia di attribuire loro un eccessivo peso. Se si unisce ciò alla forte valorizzazione degli incarichi di direzione anche di fatto e di coordinamento, attribuiti, sia pure dietro interpello, dal dirigente dell’ufficio, si coglie il rischio di un’ulteriore valorizzazione di tutte quelle posizioni che potrebbero essere ambite a fini carrieristici.
Tutto con una chiara eterogenesi dei fini rispetto a chi, giustamente, rivendica l’idea di una magistratura orizzontale e della sdrammatizzazione delle nomine.
Personalmente ho sempre apprezzato il sistema dei punteggi, come momento di solidificazione di una valutazione e di responsabilità, ma il modo con cui era stato pensato nella proposta 2 portava purtroppo ad un approccio burocratico e a probabili esiti opinabili e negativi. Difatti dalla legge non discendeva alcun obbligo di attribuire un punteggio per ciascuna delle voci richiamate nell’art.46 octies comma 7, ma solo l’obbligo di tenere conto di tutti tali fattori. In realtà, secondo il mio giudizio, è stato un errore sia frammentare i punteggi in ben undici voci, sia di dare loro una ponderazione poco meditata. Personalmente mi sarei limitato a quattro voci: merito, capacità organizzativa, esperienze organizzative pregresse e loro risultati, altre capacità e attitudini (in cui avrei ricompreso tutti gli elementi richiamati dall’art. 46 octies co. 7 dalla lettera g alla lettera n), dando un peso preminente alla capacità organizzativa e limitato e residuale all’ultima voce. Tra l’altro mettere pochi canali avrebbe consentito trasparenza e leggibilità delle decisioni che sarebbe stato invece ben difficile a fronte di un così cospicuo numero di fattori di cui una parte presso che automatica (le valutazioni di professionalità, la documentazione trasmessa dalla SSM) ed una parte ampiamente discrezionale, discrezionalità che viene esaltata dalla pluralità di parametri. Francamente un sistema che poteva essere interessante, ma che è stato mal calibrato. Tra l’altro la discussione consiliare si è soffermata fondamentalmente sulle scelte generali di sistema, con un approccio troppo spesso per slogan, senza andare ad esaminare i dettagli delle proposte, dimenticando che spesso nei dettagli sta il veleno.
11. Lo scenario che si apre.
Va riconosciuto che la Commissione consiliare ha svolto un lavoro estremamente proficuo arrivando a due proposte, con i limiti sopra evidenziali, ma che hanno cercato di superare le deviazioni che il precedente sistema aveva evidenziato. La discussione consiliare, ma anche extra consiliare, non ha aiutato a migliorare le proposte ed a giungere ad una soluzione unitaria, che personalmente avrei cercato di raggiungere combinando i due sistemi partendo dalla prima proposta articolata in fasce di esperienza giudiziaria per gli uffici specializzati e di minori dimensioni, per poi disciplinare con punteggi, relativi a poche voci e ben ponderate, l’inevitabile più ampia discrezionalità da esercitare per i Tribunali distrettuali, le Corti e le relative Procure.
Devo dire che alcune accuse ad entrambe le proposte, ed in particolare alla proposta approvata, sembrano davvero ingenerose e paiono derivare più da ragioni di contrapposizione e propaganda che da una loro seria disamina. Non credo sia corretto delineare il ricorso al sistema dei punteggi come una riduzione del C.S.M. ad una sorta di ufficio del personale con una deriva burocratica. Forse questa è la ragione che ha portato alcuni laici del C.S.M. indicati dall’attuale maggioranza governativa a votarla vedendola in sintonia con la pessima riforma costituzionale in discussione, ma mi sembra un problema mal posto. In discussione non può essere posto il sistema dei punteggi, già adottato in altre amministrazioni di alto livello, ma semmai di come è stato congegnato ed articolato.
Per quanto concerne la proposta approvata contro di essa alcuni hanno avanzato critiche molto severe avanzando la contestazione secondo cui si sarebbe rinunciato ad un cambiamento radicale di metodo al fine di mantenersi le mani libere sulle nomine. Questa osservazione non coglie come per il 90 % delle stesse venga adottato un sistema rigorosamente configurato ben più cogente di quello proposto con i punteggi. Non solo, ma temere che in questo modo si prefiguri una separazione delle carriere irrigidendo ulteriormente i passaggi non tiene conto non solo che inevitabilmente nella valutazione dei candidati occorre valorizzare percorso professionale e funzioni svolte, ma che è presso che inevitabile che i cambiamenti di funzione non avvengano per il passaggio a posti dirigenziali, ma in altre fasi della vita professionale, come del resto già avviene oggi.
Il problema ora pare invero un altro, ovvero come applicare nel modo migliore possibile il nuovo Testo Unico. Il Consiglio si trova di fronte ad una sfida davvero difficilissima: riuscire ad effettuare nomine in tempi ragionevoli (oggi arriviamo ad oltre un anno) e con procedure molto più vincolate e costose come tempi. Il nuovo Testo Unico può essere un buono strumento se riuscirà ad evitare di cadere in anomali automatismi per quanto concerne gli incarichi semidirettivi e direttivi per uffici medio piccoli e specializzati e ad una discrezionalità non regolata per gli altri uffici. Su questo sappiamo che oltre alle norme, contano le prassi ed i precedenti, che vanno costruiti e resi trasparenti.
Saggezza richiede di sperimentare il sistema approvato, verificando il suo funzionamento, ma continuando a monitorare gli esiti e mantenendo la capacità se necessario di adottare correttivi in corsa.
[1] L’art. 5 co. 7 del Decreto Legislativo 28 marzo 2024 n.44 introduce i nuovi artt. 46 bis, 46 ter, 46 quater, 46 quiquies, 46 sexies, 46 septies, 46 octie, 46 nonies, 46 decies, 46 undecies, 46 duodecies, 46 terdecies del Decreto Legislativo 5 aprile 2006 n.160.
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