FORUM I MALI DEL CSM E LA LORO SCOMPARSA: L’INVADENZA DELLE CORRENTI O LA LORO SCOMPARSA?
Le correnti: un male necessario? di Carlo Guarnieri
* Testo della relazione presentata al Convegno Migliorare il Csm nella cornice istituzionale, Roma, 11 ottobre 2019 pubblicato in Migliorare il CSM nella cornice costituzionale editore CEDAM, collana: Dialoghi di giustizia insieme.
Quando parliamo di correnti giudiziarie ci riferiamo a gruppi organizzati di magistrati, dotati di organi direttivi e di strutture di comunicazione, con fini istituzionali latu sensu politico-culturali. Il contesto in cui nascono e si sviluppano le correnti è quello del conflitto che travaglia la magistratura italiana a partire dalla metà degli anni 50 del secolo scorso e che ha come oggetto la cosiddetta carriera, cioè le verifiche che a quel tempo dovevano superare i magistrati che volessero occupare, all’interno dell’organizzazione giudiziaria, posizioni di maggior prestigio come essere a capo di un tribunale, di una corte d’appello, di una procura o far parte della corte di cassazione. Tradizionalmente, queste verifiche erano controllate dai magistrati che già le avevano superate, disegnando così una struttura tendenzialmente piramidale governata dal meccanismo della cooptazione.
In questo contesto, il conflitto che emerge riguarda proprio queste verifiche che vengono considerate da molti magistrati una violazione dell’indipendenza in quanto, mettendo nelle mani dei magistrati di grado più elevato le promozioni, concedono loro di fatto anche il potere di influenzare i comportamenti dei loro colleghi, nonostante l’art. 101 della Costituzione stabilisca che “i giudici sono soggetti solo alla legge”. È qui che iniziano ad organizzarsi le cosiddette correnti, così designate perché – pur con differenze circa le strategie da seguire per ottenere una riforma dell’assetto - tutte operano all’interno dell’associazione maggiormente rappresentativa – l’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) - quella cui alla fine aderisce la quasi totalità dei magistrati. A questa prima articolazione – di tipo per così dire sindacale – si aggiungerà in seguito, alla fine degli anni ’60, una differenziazione più nettamente politica e che si riferisce soprattutto al ruolo del giudice nel sistema politico e quindi al suo rapporto con il sistema giuridico ed in particolare sull’importanza da dare al testo costituzionale[i].
L’esito del conflitto vede la sostanziale vittoria di chi intende trasformare in profondità l’assetto della magistratura, con la conseguenza che le garanzie di indipendenza dei magistrati vengono nettamente rafforzate[ii]. Va sottolineato che tale mutamento viene ottenuto attraverso la riforma del CSM, dove – almeno a partire dal 1975 – i due terzi dei componenti sono magistrati direttamente eletti dai propri colleghi. Questo fatto, da un lato, irrobustisce l’indipendenza – esterna ed interna – dei nostri magistrati e, dall’altro, favorisce lo sviluppo di una forte competizione fra le varie correnti che si dispiega, appunto, anche a livello elettorale. Il ruolo delle correnti nel governo della magistratura assume infatti un particolare rilievo. Non solo tutte le decisioni che toccano i magistrati sono prese da CSM. Quasi tutti i componenti togati del Consiglio appartengono ad una o a un’altra delle correnti dell’Anm, che così quelle decisioni sono in grado di influenzare in modo rilevante. Infatti, il ruolo dei componenti laici, pur non trascurabile, è decisamente secondario e può esplicarsi solo qualora – e nella misura in cui – le correnti si presentino divise.
Le disfunzioni di questo assetto non hanno tardato a manifestarsi. Innanzitutto, affidare le valutazioni di professionalità ad un organo formato per due terzi da chi viene eletto proprio da coloro che deve valutare ha in pratica vanificato l’efficacia delle valutazioni, anche quando queste siano previste e siano caratterizzate da notevole complessità: di solito, più del 99% dei valutati ottiene un risultato positivo[iii]. In altre parole, si innesca qui un chiaro conflitto di interessi, favorito proprio dalla presenza delle correnti. Infatti, il divieto di immediata rieleggibilità – che dovrebbe servire a impedire una eccessiva disponibilità dei membri togati nei confronti dei loro colleghi – di fatto non ha efficacia proprio per la presenza delle correnti. Infatti, qualora un componente togato del consiglio si mostri eccessivamente “severo” nella valutazioni sarà la sua corrente a pagarne il conto alle prossime elezioni. Si spiega così – pur con qualche valorosa eccezione – la tendenza al lassismo che caratterizza l’operato del consiglio in questo campo. La conseguenza più rilevante dal punto di vista organizzativo è stata che le verifiche tradizionali di professionalità – la carriera – sono state smantellate e non sono state sostituite da altre.
Allo stesso tempo, questa situazione, rendendo sulla carta tutti magistrati egualmente bravi, non ha fatto che allargare i margini di scelta del Consiglio quando i candidati ad una posizione siano più di uno. È quanto avviene per quelle posizioni direttive che – ad esempio, quando riguardano gli uffici requirenti – comportano per chi le ricopre prestigio e soprattutto l’esercizio di un notevole potere verso l’esterno – la società, l’economia, la politica - ma anche verso l’interno, cioè verso i propri colleghi. Sono posizioni ricercate da molti magistrati e che attirano l’interesse del sistema politico e quindi anche dei componenti laici del CSM. Questo fatto, unito alla composizione proporzionale del consiglio, rende molto probabile che alla fine le varie correnti si accordino – con l’eventuale partecipazione di membri laici – per spartirsele fra loro. Non solo, è poi anche probabile che nei processi di nomina la fedeltà – alla corrente – venga premiata, a scapito della competenza: avere un proprio magistrato alla guida di un importante ufficio è, per una corrente, fonte di prestigio e soprattutto di potere, potere utile anche a rafforzare ulteriormente il proprio consenso elettorale.
L’assetto che abbiamo sommariamente descritto appare piuttosto stabile. Il controllo esercitato dalle correnti sul CSM permette ai magistrati di superare senza problemi – a meno di gravissime mancanze – i vagli di professionalità, con i relativi miglioramenti del trattamento economico, sostanzialmente anche continuando a svolgere le stesse funzioni o solo con minimi aggiustamenti. Per chi invece intenda aspirare a ricoprire posizioni più importanti le correnti offrono delle strade promettenti, almeno a chi sia disposto ad impegnarsi nell’attività associativa: questi ultimi infatti sono quasi sempre ricompensati con la nomina a qualche posizione importante. Quindi poco potrebbe incidere una riforma della legge elettorale[iv]. Forse solo il sorteggio applicato in modo integrale – cioè fra tutti i magistrati – potrebbe avere delle conseguenze rilevanti, anche se probabilmente per lo più negative[v].
Una volta messi in luce i limiti delle correnti giudiziarie, possiamo però anche domandarci se esse vadano davvero considerate un male. Per fare questo bisogna innanzitutto partire dalla constatazione – ormai largamente accettata – dell’accresciuta creatività giurisprudenziale[vi] e dagli ampi margini di discrezionalità che di fatto godono gli uffici del pubblico ministero (e quindi anche chi li dirige)[vii]. In questo contesto, in cui i magistrati vengono ancora reclutati con un concorso pubblico che mira solo a valutare le loro conoscenze del diritto e con successive valutazioni che di fatto non sono operative, le correnti svolgono un ruolo non indifferente: segnalano infatti all’esterno dell’istituzione, almeno a grandi linee, le modalità con cui la discrezionalità verrà esercitata. Lo stesso collateralismo – oggi peraltro molto meno in voga – collegando correnti di magistrati a indirizzi politici introduceva, anche se in modo surrettizio, una forma di responsabilità. Semmai, il declino della dimensione programmatica ha coinvolto, dopo i partiti politici, anche le correnti giudiziarie che oggi possono essere accusate di voler influire non tanto sulle politiche giudiziarie quanto sulla spartizione delle posizioni direttive.
Se si intende ovviare ai limiti di questa situazione i punti su cui agire sono altri. Innanzitutto, bisogna partire dal fatto che, come abbiamo più volte sottolineato, i meccanismi di valutazione delle capacità professionali sono gravemente carenti. Oltretutto, smantellata la tradizionale carriera, non si è agito per rendere più accurata la selezione iniziale. La conseguenza è che è cresciuta a dismisura l’influenza della correnti, che possono tranquillamente scegliere fra magistrati tutti formalmente bravi. Allo stesso tempo, il declino della dimensione programmatica delle correnti ha aperto la via ad una crescente autoreferenzialità degli orientamenti professionali, anche perché la nostra magistratura è, anche in Europa continentale, la più chiusa al contributo delle altre professioni giuridiche[viii].
Il risultato forse più problematico è che, in un contesto in cui il magistrato – giudicante e soprattutto requirente – si trova a godere di dosi crescenti di discrezionalità, tale discrezionalità viene esercitata in modo sempre meno trasparente. Pensare che i nostri magistrati siano “soggetti” alla legge può essere solo un’utopia. Sapere però, almeno a grandi linee, come vorranno adoperare i margini che il sistema lascia loro è un obiettivo che, in un regime democratico costituzionale, non può essere abbandonato.
[i] Vedi C. Guarnieri, Giustizia e politica, Il Mulino, Bologna, 2003 e, di recente, E. Bruti Liberati, Magistratura e società nell’Italia repubblicana, Laterza, Bari, 2018.
[ii] Il caso italiano – talvolta preso a modello da istituzioni dell’Unione Europea o del Consiglio d’Europa - presenta tali caratteri in modo particolarmente ampio.
[iii] Vedi G. Di Federico, Le valutazioni della professionalità dei magistrati, in C. Guarnieri, G. Insolera e L. Zilletti (acd), Anatomia del potere giudiziario, Carocci, Roma, 2016, pp. 79-85. Va aggiunto che queste percentuali sono possibili anche perché non esiste limite al numero di giudizi positivi che possono essere emessi. In altre parole, il CSM non è obbligato a scegliere.
[iv] Chi scrive si è in passato espresso in favore del Voto singolo trasferibile: un sistema tendenzialmente proporzionale che avrebbe il pregio di premiare le personalità di grado di aggregare consensi anche al di là degli schieramenti correntizi. Difficilmente però anche questo sistema sarebbe in grado di trasformare in modo radicale l’attuale assetto. Si veda più avanti nel testo qualche suggerimento sugli interventi con maggiore impatto.
[v] Come affidare il controllo del CSM ad un piccolo gruppo di magistrati, privo di qualunque rappresentatività e magari anche delle capacità a gestire un organo complesso come il CSM. Non considero poi di proposito il tema della costituzionalità del sorteggio.
[vi] Il fenomeno venne chiaramente identificato a suo tempo da M. Cappelletti, Giudici legislatori?, Giuffrè, Milano, 1983.
[vii] Da ultimo vedi E. Bruti Liberati in “Il Foglio” 9 luglio 2019.
[viii] Si pensi che anche in Francia ormai circa il 30% dei magistrati viene reclutato con concorsi “laterali”, aperti a chi ha già maturato delle esperienze professionali.
* Sul Forum si rinvia alla lettura Introduzione di Alfonso Amatucci al forum I MALI DEL CSM E LA LORO SCOMPARSA: L’INVADENZA DELLE CORRENTI O LA LORO SCOMPARSA? ,
Seguiranno: I mali del Csm di Giorgio Spangher e I mali del CSM: invadenza delle correnti o la loro scomparsa? di Eugenio Albamonte