Tra ordine e caos. Lo stato di eccezione in Carl Schmitt
di Torquato G. Tasso
Sommario: 1. “Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”. Il punto di partenza. - 2. Carl Schmitt. Un giurista e la sua epoca. - 3. Tra ordine e caos. L’eccezione in Carl Schmitt. - 4. Dall’eccezione della regola alla regola dell’eccezione. - 5. Per una (prima e necessariamente interlocutoria) conclusione. L’intuizione politica della tesi schmittiana. - 6. La suggestione dell’incipit o l’incipit di una suggestione. - 7. In conclusione. La parola a Carl Schmitt.
1. “Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”. Il punto di partenza
“Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione” [1]. Questo celeberrimo incipit dell’opera Teologia politica di Carl Schmitt[2], in questo periodo pandemico[3], è stato molto spesso richiamato nei vari contributi pubblicati[4], al punto da poter quasi essere assunto come il manifesto dello stato emergenziale che sta flagellando l’intero globo[5].
Se non si può certo nascondere che la facilità e l’impatto emotivo ed evocativo di questa suggestiva immagine ne ha decretato un successo per certi versi non del tutto inaspettato, è anche vero che proprio questi caratteri ne hanno comportato un uso indiscriminato che rischia di far perdere l’autentico significato che Carl Schmitt voleva attribuirgli.
Senza spirito di polemica alcuno, preso atto di questa larga diffusione, riteniamo sia opportuno soffermarci proprio su questo incipit per verificare se e in che misura sia possibile coglierne l’originario significato e, quindi, comprendere se e in che misura le citazioni che hanno arricchito i vari contributi apparsi in questo periodo, hanno rispettato il pensiero schmittiano. Per fare questo sarà quindi necessario ricostruire, anche se, ai fini del presente contributo, solo brevemente, la figura di Carl Schmitt e del periodo storico in cui maturò la sua dottrina.
2. Carl Schmitt. Un giurista e la sua epoca
Ricordiamo che all’inizio del Novecento, in Europa imperava il positivismo giuridico, secondo il quale è diritto solo il diritto positivo e, quindi, unica possibile fonte del diritto è il legislatore[6].
È singolare evidenziare come i due movimenti politici che nacquero in quel periodo in Italia e in Germania, rispettivamente il fascismo e il nazionalsocialismo, che presentavano molti aspetti comuni o comunque simili da punto di vista ideologico e culturale, ebbero un rapporto ben diverso con il giuspositivismo.
In Italia si può affermare che il fascismo non ebbe e, probabilmente neppure ricercò, inizialmente, una dottrina che ne teorizzasse i caratteri, in quanto nacque come movimento prettamente politico in cui confluivano interessi di diversa estrazione e sentimenti politici a volte molto diversi, accomunati dalla volontà di un cambiamento politico che portasse alla conquista del potere. Fu solo nel 1932 che il fascismo si diede una dottrina, quando Giovanni Gentile scrisse la famosa voce dell’Enciclopedia del Diritto, dal titolo Fascismo[7], dottrina che, in gran parte, veniva a teorizzare una realtà già esistente da tempo.
Per quanto riguarda l’aspetto più squisitamente giuridico, il fascismo in gran parte sposò le posizioni del positivismo giuridico in quanto la riduzione del diritto a legge dello Stato che questi operava, fu ampiamente utilizzata dal movimento per consolidare il proprio potere.
In Germania, invece, l’analogo movimento, il nazionalsocialismo, assunse una posizione diametralmente opposta, opponendosi al giuspositivismo per realizzare una radicale trasformazione della concezione del diritto e dello Stato. Pur partendo anch’esso da una prospettiva antindividualistica, all’individuo non viene contrapposto lo Stato ma un ente che a questo è anteriore la Volksgemeinschaft ossia la “comunità del popolo”[8] che si pone come fonte primaria del diritto e che, sotto la guida di un proprio capo, il Führer, usa lo Stato come un proprio strumento. Il giuspositivismo venne quindi sostituito con una teoria del diritto libero che trovava la propria fonte nella Volksgemeinschaft il cui massimo interprete sarebbe stato proprio il Führer con la conseguenza che il giudice, per esempio, non avrebbe neppure dovuto farsi interprete della volontà generale della comunità ma avrebbe semplicemente dovuto seguire le indicazioni dello stesso Führer.
Conseguenze di questa visione è che “la comunità del popolo” viene ad escludere la possibile esistenza (che sarebbe antitetica) della comunità giuridica, la Rechtsgemeinschaft, figlia di una visione contrattualistica del diritto, e gli individui si vedono riconosciuti dei diritti solo ed esclusivamente in quanto membri della comunità prestatale, della Volksgemeinschaft appunto e nella misura in cui questa realizza i propri fini[9].
In questo clima culturale si inserisce la dottrina e l'opera di Carl Schmitt, certamente uno dei più autorevoli studiosi di diritto pubblico, che è stato considerato uno dei più importanti teorici del nazionalsocialismo[10]. Secondo il giurista tedesco, ispirato, quanto meno nella fase iniziale della propria ricerca, da Machiavelli ed Hobbes, il diritto è essenzialmente decisione politica in quanto ogni legge richiede necessariamente in ultima istanza per essere valida una decisione politica presa ed assunta da colui che è titolare del potere. Possiamo quindi dire che secondo Schmidt il diritto si risolve nella politica. La politica viene vista come indipendente dalla razionalità, non è espressione di valori di bene o di giustizia, ma è espressione di pura volontà, legata alla dialettica “amico-nemico”, cioè ricollegata al fatto che un gruppo di uomini combatte per la propria sopravvivenza contrapponendosi sempre comunque ad un altro gruppo che fa altrettanto[11]. Se l'originaria posizione di Schmitt può essere definita decisionismo, nel 1934 lo stesso autore passa ad una posizione molto più vicina alle tesi del nazionalsocialismo, quella della “concezione concreta dell'ordinamento” a cui mal si adatta il positivismo giuridico espressione di decisionismo (secondo il quale il diritto è atto di volontà personale del legislatore) e normativismo (secondo il quale il diritto è un insieme di regole astratte e generali e non riconducibile alla volontà del legislatore storico). La “concezione concreta dell'ordinamento” vede il diritto nella sua evoluzione effettiva e nella realtà della vita, il fatto che continuamente si rinnova nella concreta attuazione da parte della comunità, la quale spontaneamente sì dà ordine e nella cui prospettiva la regola e la norma che la esprime sono solo secondarie.
Questa tesi che avvicina l’autore alle posizioni istituzionalistiche di Houriou e di Santi Romano, che il giurista tra l’altro espressamente cita, allontana radicalmente Schmitt dal positivismo e, di conseguenza, dall’individualismo che questo presuppone[12]. Il giurista tedesco, infatti, supera il dualismo Stato-società in quanto lo Stato non può più essere considerato il detentore di ciò che è politico ma semplicemente uno degli ordini che costituiscono l'unità politica insieme al Movimento (nazionalsocialista) e al Popolo, alla Comunità popolare. Il diritto deve essere espressione del Movimento e della Comunità popolare, in funzione di questa che è la fonte della legittimità dell'ordinamento.
3. Tra ordine e caos. L’eccezione in Carl Schmitt
A questo punto, alla luce di quanto abbiamo anticipato ed illustrato, possiamo passare ad una lettura più attenta e contestualizzata del passo del giurista tedesco e verificare se, e in che termini, il frequente richiamo allo stesso da parte degli studiosi sia condivisibile o meno o se sia dettato da mera suggestione concettuale e stilistica[13].
Va subito detto che il famoso incipit è stato oggetto di diverse interpretazioni. Pur dovendo ammettere che l’autore non è sempre stato lineare nell’esposizione della propria tesi, creando il presupposto per possibili fraintendimenti interpretativi, ci pare di poter dire invece che il concetto di eccezione sia stato, complessivamente, delineato in maniera chiara dal giurista tedesco.
Dobbiamo focalizzare l’attenzione sul fatto che il più volte citato incipit della Teologia Politica, viene subito seguito da un ulteriore passaggio che viene a chiarirlo e che deve orientarci nella lettura dell’intero contributo di Schmitt. Dopo aver esordito con “Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”[14], infatti, lo stesso immediatamente aggiunge “Questa definizione può essere appropriata al concetto di sovranità, solo in quanto questo si assuma come concetto limite (…) A ciò corrisponde il fatto che la sua definizione non può applicarsi al caso normale, ma ad un caso limite” [15]. Solo in quanto questo si assuma come concetto limite. E proprio questo ci deve illuminare nel proseguo della nostra riflessione sulle tesi di Schmitt. Stato di eccezione è quindi una situazione limite. È quella situazione tale per cui le normali regole giuridiche, dettate dalle leggi statali non sono operanti, non sono osservate e, ancor di più, non sono osservabili. Si tratta di una situazione nella quale gli strumenti normativi che si erano usati all’interno di un determinato ordinamento giuridico, improvvisamente, non sono più in grado di svolgere la propria funzione regolatrice e di garantire quell’ordine che è proprio di un ordinamento giuridico. Stabilità. Certezza. Efficacia. Effettività. Tutto scompare nello stato di eccezione. “Il caso d'eccezione” - dice Schmitt è “il caso non descritto nell'ordinamento giuridico vigente” [16]. Infatti, è proprio Schmitt che precisa che “nel caso di eccezione, lo stato sospende il diritto” anche perché “non esiste nessuna norma che sia applicabile ad un caos. Prima dev’essere stabilito l’ordine: solo allora ha un senso l’ordinamento giuridico” [17]. Prima si riporta l’ordine. Poi ha senso parlare di ordinamento.
Schmitt non spiega quali possono essere i motivi per cui un ordinamento improvvisamente non è più in grado di garantire l’ordine attraverso le ordinarie regole. Ma, per certi versi, questo è del tutto coerente con la sua visione dell’eccezione, in quanto la stessa si pone come altro dall’ordine, come negazione dell’ordine costituito e, per questo, non prevedibile e, quindi, non regolabile. Se invece l’eccezione fosse prevedibile, sarebbe possibile prevedere preventivamente una regola che la disciplinasse ma, a questo punto, non sarebbe un’eccezione (nella prospettiva schmittiana) ma sarebbe una regola, o meglio un fatto suscettibile di regolamentazione e, per questo, non una autentica eccezione. Ecco perché l’immediata precisazione del giurista che aggiunge “non si può affermare con chiarezza incontrovertibile quando sussista un caso di emergenza, né si può descrivere dal punto di vista del contenuto che cosa possa accadere quando realmente si tratta del caso estremo di emergenza e del suo superamento” [18].
Comincia ad emergere il motivo per cui è solo il sovrano “che decide sullo stato di eccezione” in quanto si dimostrerà sovrano colui che è in grado di decidere che sussiste lo stato di eccezione, che ci si trova in uno stato di eccezione e, all’esito, che decide “cosa si debba fare per superarlo”. Il giurista tedesco, infatti, precisa che “allora diventa automaticamente chiaro chi è il sovrano. Egli decide tanto sul fatto se sussista il fatto estremo di emergenza, quanto sul fatto di che cosa si debba fare per superarlo”[19]. Quindi sovrano è colui che riesce, in questa situazione eccezionale ed emergenziale, innanzitutto a riconoscere che ci si trova in questa situazione eccezionale e, poi, a porvi rimedio con un proprio intervento. Solo questi si può dire sia Sovrano, non perché si proclami tale ma perché, nei fatti, opera come sovrano. Fa ciò che fa e deve fare un sovrano. Dimostra nei fatti di esserlo.
Secondo Schmitt, l’azione del vero sovrano non può incontrare alcun limite. Non può trovare un limite politico, perché l’individuazione dell’eccezione e la capacità di risolvere lo stato di eccezione è l’atto politico per eccellenza, in quanto è l’atto originario, il nuovo atto originario che darà vita ad un nuovo ordine, ad un nuovo ordinamento, ponendo fine al disordine. È l’atto che crea i presupposti per parlare di politica e, per traslato, che crea la nuova politica[20].
Ma l’intervento del vero sovrano e la sua decisione non può trovare nemmeno un limite giuridico. Un limite giuridico dovrebbe essere un limite fissato dall’ordinamento giuridico ma, come abbiamo appena detto, lo stato di eccezione si caratterizza proprio come una sospensione dell’ordinamento giuridico, come il necessario riconoscimento della limitatezza dell’ordinamento giuridico. L’eccezione è la negazione dell’ordinamento.
Se, per risolvere l’eccezione, si potesse ricorrere a delle regole già previste per risolverlo, allora non saremmo in uno stato di eccezione, ma ci troveremmo in una situazione prevista (e prevedibile) che l’ordinamento è in grado di risolvere proprio perché lo ha preventivamente regolato. E questo è uno dei motivi per cui, secondo Schmitt, il sovrano “sta al di fuori dell'ordinamento giuridico normalmente vigente”[21].
È anche vero che, con quella ambiguità a cui si è accennato in precedenza, Schmitt aggiunge che il sovrano “tuttavia appartiene ad esso”[22] (ossia all’ordinamento), ma in realtà, questa appartenenza è assolutamente labile e impalpabile (per non dire logicamente contraddittoria) in quanto si fonda su una originaria creazione dell’ordine e del relativo ordinamento giuridico, e quindi non è una vera appartenenza. Se sovrano è colui che ha posto le fondamenta dell’ordinamento e ha creato l’attuale ordinamento, è evidente che gli eventuali limiti che questi avesse posto a sé stesso e alla propria azione non sono dei veri limiti, perché come ha creato quei limiti, disegnandosi come appartenente (anche inteso come parte) di un determinato ordinamento, tale appartenenza potrebbe essere messa nel nulla per una sua decisione, preso atto dello stato di eccezione, che l’ordine ha scardinato. Ecco perché Schmitt, resosi forse conto che questa affermazione poteva essere fuorviante, si affretta ad aggiungere che “a lui tocca la competenza di decidere se la costituzione in toto possa essere sospesa” [23]. Se a lui tocca il compito di decidere di sospendere la costituzione da lui stesso disegnata e nella quale si è posto (e anche eventualmente vincolato) ovviamente vuol dire che quei vincoli sarebbero solamente un flatus voci e potrebbero essere liberamente sciolti.
Ma questo assunto può essere portato alle estreme conseguenze e rapportato anche alla realtà giuridica ordinaria della Costituzione. Il sovrano – per quanto siamo venuti a dire - si colloca sempre e comunque al di fuori della stessa Costituzione. Per decidere se ci si trova in uno stato di eccezione e, una volta preso atto dell’esistenza di uno stato di eccezione, per decidere cosa fare per superare questo stato di eccezione, è e sarebbe logicamente inutile far riferimento a colui che viene indicato dalla Costituzione vigente come sovrano, perché lo stato di eccezione presuppone proprio la concreta inapplicabilità e, quindi, la non vigenza della Costituzione. Il riconoscimento della sovranità, quindi, non è mai desumibile dalla Costituzione vigente né dalla normativa vigente in quel regime costituzionale dato, proprio perché l’eccezione è la negazione di quella Costituzione e di quell’ordinamento. Sovrano sarà colui che, non limitato da alcuna norma e regola, sarà in grado di decide in modo concreto ed effettivo sull’ordine. Certamente più efficaci sono le parole di Schmitt che infatti precisa “se fosse possibile stabilire le competenze che vengono attribuite per il caso d'eccezione - sia mediante un reciproco controllo, sia mediante una delimitazione temporale (…) mediante l'enumerazione delle competenze straordinarie - in tal caso il problema riguardante la sovranità compirebbe un grosso passo indietro” [24].
4. Dall’eccezione della regola alla regola dell’eccezione
Lo sviluppo del pensiero schmittiano ci conduce ad una inevitabile e già intuita conseguente conclusione che, se ben compresa, è molto più profonda di quanto le apparentemente semplici parole del giurista tedesco possono far pensare. Se l’eccezione è la negazione dell’ordinamento, se l’eccezione è la negazione sia fattuale che logica della regola, l’eccezione, vista sotto una corretta luce, diviene la vera regola. È più importante della regola stessa perché è il punto di fusione (come lo definisce Agamben[25]) della regola che porterà alla necessità di una nuova regola, dettandone l’urgenza e l’ineluttabilità. Possiamo dire che l’eccezione è il prius da cui nasce una nuova regola, è il segno di ciò che non è più e l’origine del nuovo ordinamento. L’eccezione è la regola. L’eccezione è la regola delle regole.
L’eccezione suscita maggior interesse anche per uno studioso del diritto perché è in grado di disvelare allo stesso la radicale ed essenziale natura della sovranità, è in grado di far comprendere ciò che il naturale evolversi della quotidianità giuridica, della normalità della vita quotidiana, regolata dalle norme, non è in grado di far percepire e che l’ordinamento vigente non è in grado di disvelare. L’origine. L’atto originario con cui la sovranità, con una decisione (che non vuol dire forza) pone fine al caos, alla sospensione del diritto, al disordine e si pone come nuova regola, rendendo palese la limitatezza e la non autosufficienza della precedente regola.
Ed è questo che, in fondo, ci dice Schmitt quando con quello che può sembrare una tautologia, scrive: “l'eccezione è più interessante del caso normale. quest'ultimo non prova nulla, l'eccezione prova tutto; non solo essa conferma la regola: la regola stessa vive solo dell'eccezione. Nell'eccezione, la forza della vita reale rompe la crosta di una meccanica irrigidita nella ripetizione” [26].
5. Per una (prima e necessariamente interlocutoria) conclusione. L’intuizione politica della tesi schmittiana
Molti autori[27] evidenziano che lo stato di eccezione comporta la necessità da parte del sovrano di intervenire e che, a seguito del suo intervento, gli si prospettano due opzioni. O restaurare, conservare (a seconda delle prospettive) l’ordinamento giuridico vigente o ristabilire l’ordine attraverso un nuovo ordinamento giuridico che si sostituisca al precedente.
Tra questi Agamben[28] il quale evidenzia come la tesi schmittiana prevede due forme diverse di dittature, entrambe riconducibili al concetto di eccezione ma distinte tra di loro dal diverso fine operativo. Da un lato, “la ‘dittatura commissaria’, che ha lo scopo di difendere o restaurare la costituzione vigente, e dall’altro la ‘dittatura sovrana’, nella quale, come figura dell’eccezione, essa raggiunge per così dire la sua massa critica o il suo punto di fusione”.
Da un punto di vista squisitamente pratico, questa tesi è del tutto condivisibile in quanto, colui che è sovrano, può ricostituire un precedente ordinamento, confermandone la vigenza o dar vita ad un nuovo ordinamento che sostituisca, in tutto o in parte, il precedente. Sovrano è colui che ha il potere di farlo, di mettere ordine nel caos, è l’unico che può ricostituire l’ordinamento e, quindi e a maggior ragione, è assolutamente libero di decidere quale sia l’ordine per il futuro.
Da un punto di vista teoretico, però, temiamo che questa conclusione, che pur trova sostegno nelle pagine di Schmitt, non colga fino in fondo il significato del concetto di eccezione che abbiamo in precedenza delineato proprio grazie ai contributi del giurista tedesco, vi è il timore che questa lettura finisca per incorrere in una possibile aporia.
Abbiamo detto che eccezione è una situazione nella quale le ordinarie regole giuridiche, di origine statale non sono in grado di operare, non vengono osservate e, in maniera ancora più pregante, non sono osservabili. È il momento storico nel quale un determinato ordinamento giuridico non è più in grado di regolare la vita dei consociati, non è più in grado di garantire l’ordine. Tutto svanisce nello stato di eccezione che è “il caso non descritto nell'ordinamento giuridico vigente” [29].
È proprio Schmitt che precisa, infatti, che “nel caso di eccezione, lo stato sospende il diritto” anche perché “non esiste nessuna norma che sia applicabile ad un caos. Prima dev’essere stabilito l’ordine: solo allora ha un senso l’ordinamento giuridico” [30]. Di fronte al caos, non vi è ordine e, quindi e a maggior ragione, non vi è più un ordinamento. Anzi, prima di tutto si deve ristabilire l’ordine, perché solo allora ha un senso l’ordinamento giuridico.
Richiamandoci a quanto abbiamo detto in precedenza circa la natura dell’eccezione, come il momento originario, l’origine partendo dalla quale si giungerà all’ordine e, per l’effetto, all’ordinamento, dire che il sovrano può essere chiamato a “difendere o restaurare la costituzione vigente” può apparire contraddittorio in sé e contraddittorio rispetto alla stessa tesi schmittiana.
Può apparire contraddittorio in sé perché difendere e restaurare sono due concetti tra loro molto diversi e tra loro in antitesi, che richiamano due presupposti diversi. Difendere vuol dire impedire che un elemento esterno faccia venir meno (nel nostro caso) l’ordinamento, ossia, presuppone che l’ordinamento non sia venuto meno grazie proprio anche all’intervento sovrano. Sovrano che ponendosi a baluardo dell’ordinamento ne garantisce la sopravvivenza.
Restaurare, invece, vuol dire ricostruire ciò che c’era prima, vuol dire che un elemento esterno ha fatto venir meno (nel nostro caso) l’ordinamento, ossia, presuppone che l’ordinamento sia venuto meno ma il sovrano, accertata l’eccezione e decidendo di superarla, con un ritorno all’ordine, decida di costituire come nuovo ordine, un ordine ad immagine e somiglianza del primo. Un nuovo ordine che è esattamente identico a quello precedente, restaurando il precedente.
Vediamo, quindi, che i due casi sono molto diversi l’uno dall’altro (al punto dall’essere tra loro contraddittori). Nel primo caso, vi è un’opera di difesa che garantisce la continuità dell’ordinamento, impedisce che vi sia quel punto di non ritorno e, di conseguenza, pare un’ipotesi che mal si concilia con il concetto di eccezione nel significato che, come evidenziato in precedenza, Schmitt sembra voler elaborare. Nel secondo caso, invece, vi è un’azione del sovrano che, accertata l’eccezione, ricostruisce il precedente ordine. Ma, in questo secondo caso, l’idea schmittiana di eccezione, come interruzione, sospensione dell’ordinamento, come caos che deve prima di tutto essere ordinato, per poter poi parlare di ordinamento giuridico, viene confermata, perché il sovrano, nella sua assoluta libertà, può decidere come superare l’eccezione, quale ordine ridisegnare, creando un nuovo ordine, diverso dal precedente, o, come detto, restaurando il precedente. Ma, in ogni caso, l’interruzione, l’eccezione in senso autentico vi è stata.
Ecco perché, quando si parla dell’ordine che il sovrano crea per superare l’eccezione, è giusto parlare sempre di nuovo ordine. Nuovo perché l’eccezione è sempre una interruzione. Nuovo perché non è più il precedente ordine. Nuovo perché l’eccezione è comunque l’origine del nuovo ordine. Ovviamente, però, proprio perché il sovrano è il Sovrano, ossia la figura onnipotente che garantirà l’ordine, nella sua assoluta libertà potrà decidere come configurare il nuovo ordine, se ad immagine e somiglianza del precedente (ossia restaurando il precedente) o se, invece, in un modo del tutto originale. Ma la diversa scelta dipende dalla volontà del sovrano che è sempre e comunque una volontà originaria.
6. La suggestione dell’incipit o l’incipit di una suggestione
Alla luce di quanto siamo venuti a dire, possiamo ora cercare di dare una risposta (o quanto meno una nostra valutazione relativa) alla domanda originaria, ossia se alla luce di una analisi attenta del ricordato incipit del celeberrimo passo di Schmitt, opportunamente contestualizzato all’interno della sua opera, si possa sostenere che questo sia stato correttamente citato e sia, quindi, utilizzabile e applicabile al periodo pandemico che stiamo vivendo o invece sia stato, in questo periodo, impropriamente richiamato, per far (probabilmente) leva sulla sua forza evocativa e suggestiva.
Come noto, lo stato di emergenza è stato dichiarato con Delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 e, al momento in cui scriviamo, è ancora in essere. Gli interventi normativi con cui l’ordinamento sta reagendo all’emergenza sono certamente molto numerosi e provengono da una pluralità di numerose fonti diverse. Se guardiamo agli atti di natura governativa troviamo Decreti Legge (portati poi alla conversione), Decreti del Consiglio dei Ministri, Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, Decreti Ministeriali dei vari Ministeri (Salute, Economia, Sviluppi Economico e Giustizia principalmente), Decreti del Dipartimento della Protezione Civile, Decreti del Commissario Straordinario a cui si devono aggiungere le singole circolari interpretative e applicative[31].
A queste si aggiungono gli atti emanati dalle singole Regioni e da organi della Regione quali Leggi ma anche Decreti della Giunta Regionale, Ordinanze del Presidente e Decreti dei Direttori di Direzioni, Delibere di Giunta principalmente. In maniera un po' semplicistica possiamo dire che nel periodo pandemico sono stati emanati migliaia di provvedimenti normativi, provvedimenti provenienti da fonti diverse, anche di grado diverso, e non sempre di facile ricostruzione.
La premessa che illustra il copioso intervento normativo in materia, ad opera dei diversi organi interessati, nel periodo pandemico ci evidenzia una produzione ipertrofica, che mira a dare soluzione ai problemi di volta in volta emergenti dalla contingenza, ma che inevitabilmente, si presta ad una serie di critiche. Se ci soffermiamo sugli effetti e sulle conseguenze che questa copiosa produzione può comportare, diviene inevitabile sollevare una serie di perplessità e di critiche, sia da una prospettiva pratica che giuridica.
Da un punto di vista pratico perché questa eterna rincorsa a dare una regolamentazione a fattispecie impreviste (e comunque, va detto, spesso imprevedibili), da un lato evidenzia le difficoltà che l’ordinamento sta affrontando nel porre rimedio alla pandemia e dall’altro inevitabilmente incorre in alcuni errori[32] e antinomie[33], con inevitabili conseguenti difficoltà interpretative e applicative, che si prestano facilmente a critiche.
Da un punto di vista giuridico, perché questa produzione ipertrofica, se naturale sviluppo delle tesi positivistiche, rischia però di incorrere in contraddizioni logiche rispetto alle proprie premesse teoretiche, non riuscendo a garantire la certezza del diritto, per il tramite della coerenza e della completezza dell’ordinamento giuridico[34].
Date queste premesse, possiamo comunque concludere che l’attuale stato emergenziale rientri nel concetto di stato di eccezione schmittiano o, viceversa, dobbiamo concludere che i richiami alle tesi del giurista tedesco sono sproporzionate rispetta all’autentico significato di questo concetto?
Abbiamo appena illustrato il fatto che il concetto di eccezione è un concetto estremo, che rappresenta una situazione limite (o meglio ancora ove il limite è già stato superato) in cui l’ordinamento cessa di essere applicato, perché inapplicabile, e si ha una vera e propria sospensione dell’ordinamento giuridico. Un caso in cui vi è un assoluto vuoto normativo. Riguardo a questo aspetto risulta difficile poter sostenere che questo sia ciò a cui stiamo assistendo in questo periodo. Un periodo nel quale lo Stato non solo è presente ma, in una determinata prospettiva, forse anche troppo presente, e dove l’ordinamento giuridico non è assolutamente sospeso ma, anzi, sembra quasi essere eccessivamente attivo, proprio per questa reazione ipertrofica alla difficoltà affrontata. Certo, sviluppo forse criticabile che porta a doversi porre altre questioni teoretiche, per esempio, su quale sarebbe il giusto equilibrio tra attività politica e attività amministrativa[35], che pare essere in questo periodo in parte smarrito, ma che non ci può certo portare a pensare che vi sia una paralisi e una sospensione dell’ordinamento.
Abbiamo poi detto che eccezione è una situazione costituzionale che richiede la riemersione del sovrano alla ricerca della ricostituzione di un ordine che l’ordinamento giuridico costituito non è più in grado garantire. Anche a questo proposito, risulta difficile poter sostenere teoreticamente che nell’attuale contingenza vi sia un disordine, dovuto al fatto che l’ordinamento giuridico non riesce a garantire l’ordine, al punto tale da richiedere l’intervento di un sovrano che sia in grado di riportare ordine nel caos, superandolo con un nuovo ordinamento giuridico. La reazione dell’ordinamento giuridico attuale, forse criticabile per la sua ipertroficità, certamente criticabile per le non infrequenti antinomie e contraddizioni, non si può dire che non sia applicabile e applicato, e che ad oggi ci sia un caos a cui reagire. La particolare contingenza sta certamente sottoponendo ad una forte sollecitazione il nostro ordinamento giuridico, ma non è tale da poter dire che di fatto lo stesso sia sospeso ed inapplicato perché inapplicabile.
Abbiamo inoltre sottolineato come l’eccezione sia una situazione che si pone al di fuori dall’ordinamento giuridico. Anche sotto questo aspetto diviene non credibile che la situazione attuale si ponga al di fuori dell’ordinamento giuridico; forse possiamo dire che ci troviamo in una situazione che si pone ai margini dell’ordinamento. Ma questa non è eccezione perché, invece, si tratta di vigenza dell’ordinamento che, benché messo in difficoltà dalla contingenza, è in grado di dare risposte, confermando la propria valenza ordinatoria.
E, per quanto detto e a maggior ragione, non possiamo concludere che, attualmente, ci si trovi in una situazione che richieda un atto originario, che crei un nuovo ordinamento giuridico, situazione che invece viene disegnata dalle tesi schmittiane, perché, ripetiamo, per quanto la reazione dell’ordinamento sia sotto vari profili criticabili, è pur sempre testimonianza della esistenza di un ordinamento, che reagisce alle sollecitazioni esterne, rivendicando il proprio ruolo regolatore.
Cercando di trovare un punto di contatto con chi sostiene che attualmente ci si trovi in uno stato di eccezione secondo i parametri di Carl Schmitt, possiamo riprendere la distinzione (ma anche la relativa avvertenza) su cui ci siamo soffermati in precedenza, tra difesa e restaurazione dell’ordinamento giuridico. Il sovrano, secondo alcuni, può intervenire per difendere o per restaurare l’ordinamento giuridico superato dallo iato posto dall’eccezione. Possiamo certamente dire che gli attuali organi politici stanno attivamente operando in difesa dell’ordinamento giuridico vigente, con quotidiani e numerosi interventi normativi, nel difficile e difficoltoso compito di difendere l’ordinamento giuridico esistente, ma, richiamandoci a quando ampiamente premesso, questo non è il vuoto, l’assenza dell’ordinamento secondo l’autentico senso che Schmitt voleva dare alla propria idea di eccezione. È la quotidiana lotta per la sua difesa e riconferma.
Una cosa è dunque certa. Una cosa è l’eccezione disegnata da Schmitt (intesa come sospensione dell’ordinamento giuridico, come origine del nuovo ordine) e una cosa ben diversa è la situazione contingente in cui l’ordinamento reagisce con l’ipertrofica (e certamente per questo criticabile) produzione normativa che comunque rimane nell’alveo di un ordinamento tutt’ora vigente e che, anzi, proprio con questa frequente, quasi quotidiana, produzione normativa rivendica e ribadisce il proprio ruolo (costituzionale). Nell’attuale contingenza, l’ordinamento giuridico sta reagendo, certamente evidenziando diverse criticità e difficoltà, ma sempre muovendosi all’interno dell’ordinamento giuridico esistente.
7. In conclusione. La parola a Carl Schmitt
Abbiamo quindi detto che una cosa è il vuoto, il caos. Cosa ben diversa sono i singoli provvedimenti normativi (per quanto numerosi e nel merito qualche volta criticabili) che lo Stato emana per cercare di risolvere i problemi dell’emergenza sanitaria.
Ma, a questo punto, ci si deve chiedere se questa lettura possa trovare conferma nelle pagine di Schmitt o sia frutto di un tradimento delle sue posizioni. A confortarci in questa lettura è proprio l’opera di Schmitt che, se anziché essere citato (bisogna riconoscerlo) ad pompam, fosse stato letto nella sua interezza, ci avrebbe fornito lo spunto per trovare la risposta alla nostra domanda. Abbiamo già detto che, immediatamente dopo aver affermato che “Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione” lo stesso Schmitt nelle righe immediatamente successive aggiunge “Questa definizione può essere appropriata al concetto di sovranità, solo in quanto questo si assuma come concetto limite (…) A ciò corrisponde il fatto che la sua definizione non può applicarsi al caso normale, ma ad un caso limite” [36].
Ma soprattutto poco dopo è lo stesso giurista di Plettenberg che precisa anticipando nelle premesse la propria tesi: “Risulterà dal seguito che qui con stato d’eccezione va inteso un concetto generale della dottrina dello Stato, e non qualsiasi ordinanza d’emergenza o stato d’assedio” [37]; quindi con eccezione non si intende identificare singoli atti o provvedimenti governativi (neppure quando questi sono molto numerosi come nel nostro caso) ma una concetto generale che affonda le radici nella dottrina dello Stato, ponendo le basi per una riflessione profonda sull’essere Stato e la sua negazione, ma non avente ad oggetto dei provvedimenti (per quanto numerosi) giustificati da emergenze specifiche.
Schmitt, tra l’altro, era probabilmente preoccupato che la sua visione potesse essere in qualche modo, volontariamente o involontariamente (?) fraintesa che, ribadisce: “infatti non ogni competenza inconsueta, non ogni misura o ordinanza poliziesca di emergenza è già una situazione d’eccezione: a questa pertiene piuttosto una competenza illimitata in via di principio, cioè la sospensione dell’intero ordinamento vigente” [38].
In definitiva conclusione, si può quindi dire che, proprio una attenta lettura dell’opera di Schmitt ci porta a concludere che il famoso incipit schmittiano è stato spesso richiamato per la sua forza evocativa e per l’inevitabile suggestione che questo poteva creare ma spesso si è caduti nell’errore di trarre da questo un significato che non aveva, non solo alla luce di un doveroso approfondimento teoretico ma anche e soprattutto proprio alla luce delle chiare lettere usate dallo stesso giurista tedesco nella medesima opera. Errore che, con una attenta lettura della sua Teologia Politica, sarebbe stato evitabile.
[1] Schmitt parla a tal proposito di Ausnahmezustand, “stato di eccezione” nel suo C. Schmitt, Teologia politica, in C. Schmitt (a cura di G. Miglio e P. Schiera), Le categorie del “politico”, Il Mulino, Bologna, 1972, p. 33.
[2] Carl Schmitt è nato in Germania a Plettenberg, l’11 luglio 1888. Morì nella sua città natale il 7 aprile 1985.
[3] M. Luciani, Il sistema delle fonti alla prova dell’emergenza, in Liber amicorum per Pasquale Costanzo. Diritto Costituzionale in trasformazione, in Consulta on line, II (2020) p. 9.
[4] Tra le opere apparse che si sono occupate dell’emergenza c.d. Covid in una prospettiva giuridica e socioeconomica si ricordano, tra le altrie M. Cuono, F. Barbera, M. Ceretta Barbera (a cura di) L’emergenza COVID-19 : un laboratorio per le scienze sociali, Roma, Carocci, 2021; N. Abriani, Il diritto e l’eccezione : stress economico e rispetto delle norme in tempi di emergenza, Roma, Donzelli, 2020; G. Zaccaria, Dopo l’emergenza: dieci tesi sull’era post-pandemica, Padova, Padova UP, 2020; F. S. Marini e G. Scaccia (a cura di), Emergenza covid-19 e ordinamento costituzionale, Torino, G. Giappichelli Editore, 2020; O. Mazzotta (a cura di), Diritto del lavoro ed emergenza pandemica, Pisa, Pacini ed., 2021; S. Ambrosini e S. Pacchia (a cura di), Crisi d’impresa ed emergenza sanitaria, Bologna, Zanichelli, 2020; E. Lucchini Guastalla, Emanuele, and Emanuele Lucchini Guastalla (a cura di), Emergenza COVID-19 e questioni di diritto civile., Torino, Giappichelli, 2020; G. A. Chiesi e M. Santisi (a cura di), Diritto e Covid-19, Torino, Giappichelli, 2020; D. Mamone G. Castellotti, Covid e dintorni : dalle cicatrici emotive, alla ricostruzione della socialità, Roma, Unsic, 2021.
[5] L’argomento dell’emergenza è emerso con particolare vigore in questo periodo. La questione, però è da tempo al centro del dibattito giuridico. Molti gli autori che si sono occupati – anche in passato - delle problematiche giuridiche nascenti dal periodo emergenziale, tra questi A. Pace, L’instaurazione di una nuova Costituzione. Profili di teoria costituzionale, in Quad. cost., 17 (1997), pp. 10, 18 e 19; P. Pinna, L’emergenza nell’ordinamento costituzionale italiano, Giuffrè, Milano, 1988 e G. De Minico, Costituzione emergenza e terrorismo, Jovene editore, Napoli, 2016; P. Barile, Il cammino comunitario della Corte, in Giur. cost., 1973, pp. 2405 ss.; M. Cartabia, Principi inviolabili e integrazione europea, Giuffrè, Milano, 1995, pp. 6 ss.; A. Ruggeri, Trattato costituzionale, “europeizzazione” dei “controlimiti” e tecniche di risoluzione delle antinomie tra diritto comunitario e diritto interno (profili problematici), in S. Staiano (a cura di), Giurisprudenza costituzionale e principi fondamentali. Alla ricerca del nucleo duro delle Costituzioni, Giappichelli, Torino, 2006, pp. 827 ss.
[6] Ricordiamo a questo proposito come emblematico quanto avvenne in sede di redazione del nuovo Codice civile e, in particolar modo, in riferimento alla analogia iuris. Il Codice precedente, ossia quello Albertino, nell'art. 3 delle disposizioni preliminari del codice del 1865, faceva riferimento ai “principi generali del diritto”. Questo ebbe una grande eco in dottrina, lasciando spazio a numerose discussioni sul significato da dare a questo concetto, in quanto si discuteva se il legislatore intendesse richiamare i principi generali del diritto naturale concetto, peraltro, non facile da individuare - che venivano generalmente identificati con i principi supremi di ragione e di giustizia, estranei alle legislazioni positive. Peraltro, il vigente art. 12 non lascia dubbi (anche se in realtà non li risolve completamente), in quanto richiama testualmente i “principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato”.
[7] Mussolini (in realtà Gentile) voce Fascismo in Enciclopedia Italiana, XIV, p. 847.
[8] Sul punto concetto di comunità di popolo vedasi M. La Torre, Karl Larenz, giurista nazionalsocialista. Delitto e castigo nella "comunità del popolo", in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1986, pp. 389-423.
[9] Karl Larenz scriveva: “il diritto soggettivo nel senso dell'astratto potere della volontà del singolo ha perduto il suo significato come concetto centrale del diritto e come fondamentale del diritto privato. In suo luogo noi procediamo dalla situazione giuridica del consociato come sua posizione nel diritto, cioè nell'ordinamento della vita della comunità” K. Larenz, Rechtsperson und subjektives Recht in Grundfragen der neuen Rechtswissenschaft, Berlin, 1935, p. 258.
[10] Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo C. Schmitt, I principi politici del nazionalsocialismo , Sansoni, Firenze 1936; C. Schmitt, Le categorie del «Politico»: saggi di teoria politica (a cura di Gianfranco Miglio e Pierangelo Schiera), Il Mulino, Bologna 1972; C. Schmitt, La Dittatura, Laterza, Roma-Bari 1975 (nuova edizione, Settimo Sigillo, Roma 2006); C. Schmitt, Il custode della Costituzione, a cura di A. Caracciolo, Giuffrè, Milano 1981; C. Schmitt, Teoria del Partigiano, Adelphi, Milano 2005; C. Schmitt, Dialogo sul potere, a cura di G. Gurisatti, Adelphi, Milano, 2012; C. Schmitt, Un giurista davanti a se stesso. Saggi e interviste, a cura di Giorgio Agamben, Neri Pozza, Vicenza, 2012; C. Schmitt, Il valore dello Stato e il significato dell'individuo, a cura di C. Galli, Il Mulino, Bologna, 2013; C. Schmitt, Stato, grande spazio, nomos, a cura di G. Maschke e G. Gurisatti, Adelphi, Milano, 2015; C. Schmitt, Stato, Movimento, Popolo, Edizioni Si24, Palermo, 2018.
[11] Per una panoramica sui vari aspetti della dottrina di Carl Schmitt si rimanda a: J. Taubes, In divergente accordo: scritti su Carl Schmitt; Macerata, Quodlibet, 1996; J.F. Kervégan, e F. Mancuso. Che fare di Carl Schmitt?, Roma-Bari, GLF editori Laterza, 2016; J.W. Bendersky, Schmitt teorico del Reich, Bologna, Il mulino, 1989; A. Biasini e P. Pagani, Il decisionismo di Carl Schmitt, Padova, Cleup, 2011; G. Duso (a cura di), La politica oltre lo Stato : Carl Schmitt, Venezia, Arsenale cooperativa, 1981; H. Meier, La lezione di Carl Schmitt : quattro capitoli sulla distinzione tra teologia politica e filosofia politica, Siena, Cantagalli, 2017; C. Galli, Lo sguardo di Giano: saggi su Carl Schmitt, Bologna, Il Mulino, 2008.
[12] C. Schmitt, Über die drei Arten des rechtswissenschaftlichen Denkens, Amburgo, 1934, p. 24 “L’ordinamento giuridico è un’entità che si muove in parte secondo le norme, ma, soprattutto, muove, quasi come pedine in uno scacchiere, le norme medesime, che così rappresentano piuttosto l’oggetto e anche il mezzo della sua attività, che non un elemento della sua struttura”.
[13] Tra gli autori che si sono occupati dell’eccezione in Carl Schmitt ricordiamo, tra gli altri, M. Croce, L’indecisionista: Carl Schmitt oltre l’eccezione, Macerata, Quodlibet, 2020; G. Schwab, Carl Schmitt: la sfida dell’eccezione, Roma-Bari, Laterza, 1986.
[14] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pg. 33.
[15] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pg. 33.
[16] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pg. 39.
[17] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pg. 39.
[18] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pg. 34.
[19] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pg. 34.
[20] Nel proseguo del contributo apparirà chiaro il perché l’aggettivo nuovo è così evidenziato. Si vuole segnalare che anche la novità è legata alla scelta del sovrano che può sempre decidere se il nuovo ordine è il vecchio ordine restaurato o un nuovo ordine ma, in ogni caso, sarà sempre nuovo in quanto figlio di una eccezione.
[21] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pg. 34.
[22] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pg. 34.
[23] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pg. 34.
[24] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pg. 38.
[25] Sul punto autorevole il contributo di G. Agamben, Stato di eccezione: Homo sacer, Bollati Boringhieri, Torino, 2003.
[26] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pg. 40.
[27] In questo senso anche A. Salvatore, Carl Schmitt, Eccezione Decisione Politico Ordine concreto Nomos, Derive approdi, Roma, 2020, p.15.
[28] G. Agamben, Stato di eccezione, op.cit., pp. 44 e ss.
[29] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pg. 39.
[30] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pg. 39.
[31] In questa selva di produzione normativa inevitabile e frequente l’esigenza di metter ordine. Si veda a proposito la sentita necessità di pubblicare il testo coordinato di precedenti atti normativi come nel caso de Testo Coordinato del Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34 Ripubblicazione del testo del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, coordinato con la legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77, recante: «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19». (Testo coordinato pubblicato nel S.O. n. 25/L alla Gazzetta Ufficiale n. 180 del 18 luglio 2020) il cui preambolo emblematicamente recita “Si procede alla ripubblicazione del testo del decreto-legge citato in epigrafe corredato delle relative note, ai sensi dell’articolo 8, comma 3, del regolamento di esecuzione del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 1986, n. 217. Resta invariato il valore e l’efficacia dell’atto legislativo qui trascritto”.
[32] Singolare che nella normativa statale e regionale si comincia a trovare delle disposizioni il cui titolo emblematico è “errata corrige”. Vedi a tal proposito Decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, in Gazz. Uff. Serie Generale, 10 maggio 2020, n.119 - Comunicato errata corrige, in Gazz. Uff. Serie Generale, 14 maggio 2020, n.123.
Per quanto riguarda la Regione Veneto, per esempio, si veda Avviso di rettifica. Comunicato relativo all’ordinanza del Presidente della Giunta regionale n. 59 del 13 giugno 2020 “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da virus COVID-19. Ulteriori disposizioni.”, in Bollettino ufficiale, 13 giugno 2020, n. 88.
[33] Si richiama, a titolo di esempio, la sovrapposizione normativa creatasi in riferimento all’attività sportiva e motoria durante il lockdown. Sussisteva all’epoca una antinomia, dovuta alla sovrapposizione tra la normativa statale e regionale. Da un lato l’Ordinanza del Ministero della Sanità del 20 marzo 2020 che nell’articolo 1 prescriveva: “b) (…) resta consentito svolgere individualmente attività motoria in prossimità della propria abitazione, purché comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona”; dall’altro però varie normative regionali che introducevano termini diversi. Ad esempio, in Veneto vi era l’Ordinanza del Presidente della Giunta Regionale del 20 marzo 2020 n. 33 che introduceva un limite fisico non previsto dalla normativa nazionale e al punto 3 prevedeva: “3) (…) Nel caso in cui la motivazione degli spostamenti suddetti sia l’attività motoria (…), la persona è obbligata a rimanere nelle immediate vicinanze della residenza o dimora e comunque a distanza non superiore a 200 metri, con obbligo di documentazione agli organi di controllo del luogo di residenza o dimora”.
[34] Ci sia consentito un richiamo al nostro T.G. Tasso, L’(in)certezza del diritto nello stato di emergenza in L’Ircocervo, n. 1/2021.
[35] Sul punto non possiamo non ricordare l’insegnamento di Francesco Gentile, che distingueva tra politica intesa come “intelligenza di ciò che conviene, che è opportuno, che è necessario alla convivenza umana” che costituisce la comunità orientandola ai suoi fini propri e l’attività amministrativa che deve perseguire operativamente i fini predeterminati dalla politica ed avvertiva di quello che era il rischio connesso all’equivoco dato dal confondere il governo politico con l’amministrazione, ossia il dispotismo in F. Gentile, Intelligenza politica e ragion di stato, Giuffrè, Milano, 1984, p. 38 e p. 125.
[36] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., p. 33.
[37] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., p. 33.
[38] C. Schmitt, Teologia politica, op. cit., pp. 38-39