ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Sommario: 1. L’analisi dei progetti organizzativi del triennio 2020/2022 (oggi quadriennio 2020/2023) - 1.1. Gli aspetti valutati dal Consiglio - 1.2. Gli esiti della valutazione in generale - 1.3. Gli esiti della valutazione in dettaglio: le criticità più significative e gli orientamenti del Consiglio - 1.3.a. La valutazione dei flussi di lavoro, l’analisi della realtà criminale e l’individuazione degli obiettivi - 1.3.b. L’assegnazione dei sostituti ai gruppi di lavoro - 1.3.c. La riserva esclusiva al Procuratore della trattazione di alcuni affari - 1.3.d. L’autoassegnazione e la coassegnazione- 1.3.e. Gli incarichi di coordinamento dei gruppi di lavoro conferiti ai sostituti - 1.3.f. Gli incarichi di collaborazione - 1.3.g. L’indicazione dei supplenti - 1.3.h. Il visto e l’obbligo di riferire- 1.3.i. La revoca dell’assegnazione e l’assenso sulle misure cautelari - 1.3.j. La nomina del vicario - 1.3.k. Le previsioni inerenti alla DDA e all’Antiterrorismo- 1.4. Un cenno ad alcune pratiche di particolare rilevanza - -2. La Riforma Cartabia: la legge n. 71/2022 - 2.1. Le norme riguardanti i progetti organizzativi - 2.2. Le principali novità in tema di progetti organizzativi - 2.2.1. Gli aspetti innovativi in generale2.2.2. Le novità sul contenuto del progetto organizzativo e i criteri di priorità - 2.2.3. Le novità in tema di efficacia e di approvazione del progetto organizzativo - 2.3. Una valutazione complessiva della Riforma Cartabia.
1. L’analisi dei progetti organizzativi del triennio 2020/2022 (oggi quadriennio 2020/2023)
1.1. Gli aspetti valutati dal Consiglio
La circolare del 16.12.2020 ha trovato la sua prima applicazione nei progetti organizzativi del triennio 2020/2022 (oggi quadriennio 2020/2023), che i procuratori avevano l’onere di adeguare entro 3 mesi dall’entrata in vigore del nuovo articolato, dunque entro il 16.3.21 (art. 47).
L’analisi dei predetti progetti, iniziata dalla Settima Commissione del CSM nel gennaio 2022, ha riguardato molteplici aspetti, anche di dettaglio, riepilogati in delibere redatte secondo un modulo standard.
La valutazione, in particolare, ha interessato i seguenti aspetti:
a) l’organico dell’ufficio, avendo cura di verificare che il progetto fosse elaborato tenendo conto dell’organico complessivo, comprensivo dei posti vacanti (essendo un documento programmatico destinato a valere per un triennio, oggi quadriennio), non solo dei magistrati effettivamente presenti;
b) ai sensi dell’art. 7, comma 1, circ. proc., il rispetto dei termini entro cui il dirigente deve confermare, con provvedimento motivato, il progetto organizzativo previgente (introducendo modifiche conformative) ovvero redigere un nuovo progetto organizzativo[1];
c) ai sensi dell’art. 7, comma 2, circ. proc., la presenza: di una espressa valutazione dei flussi di lavoro e dello stato delle pendenze; di una analisi dettagliata ed esplicita della realtà criminale nel territorio di competenza; delle indicazioni riguardanti gli obiettivi che l’ufficio è riuscito a conseguire e di quelli che non è riuscito a conseguire nel precedente periodo, gli obiettivi organizzativi, di repressione criminale e di produttività che l’ufficio intende perseguire e gli obiettivi di smaltimento dell'arretrato;
d) ai sensi dell’art. 7, comma 2, circ. proc., l’individuazione dei gruppi di lavoro (ove le dimensioni dell’ufficio lo consentano e, in ogni caso, negli uffici dotati della funzione semi-direttiva), con l'indicazione dei magistrati designati a comporli e dei magistrati designati a coordinarli[2], nel rispetto dell’art. 4 comma 1 lett. b) circ. proc.[3];
e) ai sensi dell’art. 7, commi 3 e 4, circ. proc., con particolare riferimento al contenuto “necessario” o “obbligatorio” del progetto, la valutazione si è concentrata sui seguenti aspetti:
- il rispetto della disciplina della permanenza temporanea dei sostituti nei gruppi di lavoro[4];
- la previsione dell’interpello per la designazione dei sostituti procuratori ai gruppi di lavoro, con indicazione delle regole per lo svolgimento e dei criteri da applicare (idonei a garantire le esigenze di funzionalità dell’ufficio e a valorizzare le specifiche attitudini dei magistrati);
- la previsione dei criteri per la provvisoria assegnazione dei magistrati di nuova destinazione;
- le ulteriori previsioni riguardanti: i criteri di assegnazione e di co-assegnazione degli affari e dei procedimenti, nel rispetto dell’art. 10 circ. proc.; le tipologie di reati per i quali i meccanismi di assegnazione del procedimento sono di natura automatica; i criteri di assegnazione degli affari ai magistrati di prima assegnazione;
- la “riserva” al procuratore della trattazione di procedimenti e affari, distinguendo la riserva di tipologie di procedimenti (purché non fondata su categorie soggettive di autore e non destinata a sottrarre ai sostituiti interi settori di affari), dall’autoassegnazione (ammessa se preventiva ed esclusa se successiva alla prima assegnazione, implicando una revoca implicita di quella originaria);
- i compiti di coordinamento e direzione dei Procuratori Aggiunti, ove previsti (art. 5 commi 1 e 6);
- i criteri per l’assegnazione di singoli atti nei procedimenti assegnati al Procuratore e al Procuratore aggiunto (art. 11);
- i compiti e le attività delegate ai V.P.O.;
- l’indicazione del procedimento di esercizio delle funzioni di assenso sulle misure cautelari (art. 13);
- la previsione: dei visti informativi (art. 14); delle ipotesi in cui è fatto obbligo al sostituto assegnatario di riferire; delle ipotesi e del procedimento di revoca dell’assegnazione (art. 15); dei criteri generali ai quali i magistrati addetti all'ufficio devono attenersi nell'impiego della polizia giudiziaria, nell'uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l'ufficio può disporre (art. 17);
- le previsioni relative al rispetto del termine massimo di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio, per i soli uffici con più di 8 unità compreso il Procuratore (regolamento di cui alla delibera 13.3.2008 e successive modifiche[5]);
f) per le sole Procure distrettuali[6],
f.1) quanto alle Direzioni Distrettuali Antimafia (parte VI artt. 18/25 circ. proc.), sono state analiticamente valutate le previsioni riguardanti:
- il numero dei sostituti (con almeno la prima valutazione di professionalità) chiamati a farne parte, pari a un quarto dei sostituti in organico, salvo motivata deroga in aumento o in diminuzione (art. 19);
- lo svolgimento esclusivo dell’attività propria della Direzione distrettuale (salvo comprovate e motivate esigenze di servizio dell’ufficio di Procura a sostegno della deroga);
- i criteri per la designazione dei sostituti alla Direzione Distrettuale Antimafia (art. 20);
- l’indicazione dei Procuratori Aggiunti designati quali componenti, con funzioni di collaborazione nella direzione e nel coordinamento, ove la D.D.A. sia articolata in più unità di lavoro (art. 21);
- l’assegnazione delle funzioni di preposto alla D.D.A. al Procuratore ovvero ad uno o più Procuratori Aggiunti ovvero ancora (in ipotesi di mancanza del Procuratore Aggiunto, o per eccezionali esigenze, adeguatamente motivate nel provvedimento di delega), ad altro magistrato dell’ufficio (art. 23);
- i criteri di assegnazione degli affari ai magistrati della D.D.A. e i criteri di co-assegnazione (art. 25)[7];
f.2) quanto alle Sezioni Antiterrorismo (Risoluzione del 16 marzo 2016), le previsioni riguardanti:
- l’individuazione di un’articolazione, comunque denominata, competente per la trattazione di indagini in materia[8] e le relative modalità di accesso[9];
- i rapporti di collaborazione e coordinamento tra i sostituti distrettuali competenti e la D.N.A.A.;
g) ai sensi dell’art. 7, comma 6, circ. proc., i criteri di assegnazione dei procedimenti ed i protocolli organizzativi e procedimentali degli affari civili, nel rispetto, in quanto compatibili, delle previsioni della “Risoluzione sulla organizzazione degli uffici requirenti presso i Tribunali per i minorenni” (delibera del 18 giugno 2018), nonché le modalità per una costante interlocuzione con la Procura per i minorenni, sia in materia penale che in materia civile.;
h) a norma dell’art. 46 circ. proc.:
- le previsioni riguardanti gli esoneri e il benessere organizzativo (ossia le forme di tutela della genitorialità, delle esigenze familiari, dei doveri di assistenza e della malattia), nel rispetto, in quanto compatibili, delle disposizioni della circolare sulla formazione delle tabelle degli uffici giudicanti;
- l’indicazione dei magistrati destinati a svolgere compiti di supplenza nelle ipotesi di mancanza o temporaneo impedimento di quelli previsti quali titolari delle funzioni[10];
i) ai sensi dell’art. 7, comma 5, circ. proc., con riferimento al contenuto “eventuale” del progetto, l’esame ha riguardato, ove indicati:
i criteri di priorità nella trattazione degli affari;
i criteri generali di funzionamento dell’unità organizzativa deputata all’attività di intercettazione e le modalità di accesso e di funzionamento dell’archivio digitale;
l'individuazione del Procuratore Aggiunto designato come vicario (art. 1, comma 3, D. Lgs. n. 106/2006), con la specificazione dei criteri che ne hanno determinato la scelta[11];
i criteri ai quali i Procuratori Aggiunti e i magistrati dell'ufficio devono attenersi nell'esercizio delle funzioni vicarie o di coordinamento o comunque loro delegate dal capo dell'ufficio;
i protocolli investigativi interni in relazione a settori omogenei di procedimenti;
j) da ultimo, il Consiglio ha prestato attenzione al rispetto dell’iter procedimentale disciplinato dall’art. 8 comma 1 circ. proc.[12].
1.2. Gli esiti della valutazione in generale
L’analisi dei progetti organizzativi del triennio 2020/2022 (oggi quadriennio 2020/2023) si è rivelata particolarmente rigorosa, concludendosi spesso con la formulazione di rilievi e/o osservazioni, non sempre graditi ai dirigenti.
In realtà, proprio le prospettate riforme nella direzione della “tabellarizzazione” dei progetti organizzativi (con il ritorno al meccanismo dell’approvazione in luogo della mera presa d’atto, a gennaio 2022 ancora in fase di approvazione) hanno reso doverosa una valutazione analitica che, per quanto non da tutti condivisa, sarà certamente un’ottima base di partenza per gli uffici, i procuratori e tutto il circuito dell’autogoverno nella prospettiva del più pregnante esame inevitabilmente richiesto dal nuovo sistema dell’approvazione nel frattempo entrata in vigore.
Con la legge n. 71/2022 (in vigore dal 21.6.2022), infatti, si è introdotta l’approvazione dei progetti organizzativi da parte del Consiglio (esattamente come per le tabelle degli uffici giudicanti) ed è ragionevolmente prevedibile, oltre che auspicabile, che i rilievi e/o le osservazioni formulati in relazione ai precedenti progetti organizzativi siano utili ad evitare analoghe criticità nei documenti di nuova elaborazione per il quadriennio 2024/2027.
Le osservazioni e/o rilievi hanno riguardato diversi aspetti, che vengono a seguire indicati, secondo un ordine decrescente, partendo da quelli interessati dal maggior numero di rilievi a quelli con numero inferiore (sulla base di dati approssimativi e non definitivi):
l’omessa previsione dei criteri di assegnazione degli affari ai magistrati di prima assegnazione;
la mancata indicazione dei magistrati destinati a svolgere compiti di supplenza;
l’omessa previsione dei criteri di assegnazione di singoli atti nei procedimenti assegnati al Procuratore e all’aggiunto;
la mancata indicazione delle regole dell’interpello per la designazione dei sostituti ai gruppi d lavoro;
l’omessa previsione dei criteri per la provvisoria assegnazione dei magistrati di nuova destinazione;
l’omessa previsione dei criteri e delle regole per l’individuazione dei sostituti quali coordinatori dei gruppi di lavoro;
l’omessa previsione delle modalità di interlocuzione e scambio con la Procura per i Minorenni;
l’omessa previsione dei criteri per la designazione e composizione dei gruppi di lavoro;
l’omessa previsione dei criteri di coassegnazione dei procedimenti;
la mancata indicazione delle ipotesi e del procedimento di revoca dell’assegnazione;
la mancata indicazione degli obiettivi organizzativi, di repressione criminale e produttività;
la mancata indicazione degli esoneri e delle previsioni a tutela del benessere organizzativo, della genitorialità e della malattia:
la mancata esplicitazione della valutazione dei flussi e dello stato pendenze, posta alla base delle soluzioni organizzative adottate;
la mancata indicazione degli obiettivi di smaltimento dell’arretrato;
gli incarichi di collaborazione con il Procuratore;
la mancata individuazione dei protocolli organizzativi e procedimentali degli affari civili;
la violazione del termine entro il quale elaborare il progetto organizzativo;
la violazione delle previsioni sugli incarichi di coordinamento dei gruppi di lavoro ai sostituti (interpello, assenza aggiunti e/o indispensabilità, criteri di designazione, temporaneità);
omissioni e/o criticità in tema di visti informativi e obblighi di riferire;
la “riserva esclusiva” al Procuratore dei reati commessi da determinate categorie di autori;
la violazione della normativa in tema di criteri di priorità nella trattazione degli affari;
criticità sulla disciplina della DDA e dell’Antiterrorismo;
il mancato rispetto della disciplina sull’assenso sulle misure cautelari;
la mancanza di previsioni inerenti all’impiego della p.g., delle risorse tecnologiche e di quelle finanziarie;
le diverse criticità sul rispetto della procedura di approvazione del progetto, di cui all’art. 8 circ. tab.[13];
dopo le modifiche apportate all’art. 7, comma 4, lettere a) e b), circ. proc., tutti i Procuratori sono stati invitati ad adeguarsi alle novità introdotte con la delibera del 16.6.22 (cfr paragrafo 4.2).
1.3. Gli esiti della valutazione in dettaglio: le criticità più significative e gli orientamenti del Consiglio
Alcuni dei sopra indicati rilievi e/o osservazioni hanno avuto ad oggetto tematiche particolarmente sensibili, in cui il Consiglio ha avuto modo di esprimere o consolidare orientamenti che meritano di essere, seppur in sintesi, riepilogati.
1.3.a. La valutazione dei flussi di lavoro, l’analisi della realtà criminale e l’individuazione degli obiettivi
In non pochi progetti si è rilevata la mancanza, totale o parziale, dei dati relativi ai flussi degli affari, all’analisi della realtà criminale nel territorio e alla individuazione degli obiettivi, di diverso tipo, cui fa rifermento la circolare.
In proposito il Consiglio ha più volte chiarito che tali carenze appaiono, innanzitutto, in contrasto con l’art. 7, comma 2, della circolare, secondo il quale “i criteri di organizzazione dell’ufficio sono stabiliti sulla base di una valutazione dei flussi di lavoro e dello stato delle pendenze, nonché di una analisi dettagliata ed esplicita della realtà criminale nel territorio di competenza individuando – ove le dimensioni dell’ufficio lo consentano ed in ogni caso negli uffici dotati della funzione semidirettiva – le articolazioni interne in gruppi di lavoro … nonché gli eventuali criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti e gli obiettivi di smaltimento dell'arretrato. Con il progetto organizzativo il Procuratore della Repubblica individua gli obiettivi organizzativi, di repressione criminale e di produttività che l’ufficio intende perseguire, dando conto degli obiettivi che l’ufficio è riuscito a conseguire e di quelli che non è riuscito a conseguire nel precedente periodo”.
Ha, inoltre, precisato che la mancanza di tali indicazioni si espone ad ulteriori profili di criticità, in quanto, da un lato, non si tiene conto che solo l’insieme di tali dati (pendenze, sopravvenienze, definizioni, realtà criminale, obiettivi) è idoneo a riflettersi coerentemente sulle scelte organizzative compiute; dall’altro, non si considera che soltanto la effettiva esplicitazione di essi consente al Consiglio di valutare sia la ratio generale dei moduli gestionali adottati, sia la portata e la funzionalità delle specifiche articolazioni in cui l’ufficio è strutturato.
La mancata enunciazione in forma chiara dei predetti presupposti, infine, preclude al Consiglio di comprendere e valutare le scelte effettuate anche sotto il profilo del rispetto di alcuni irrinunciabili principi costituzionali, quali l’uniformità di trattamento dei magistrati in servizio, che impone una distribuzione degli affari equa e funzionale; l’obbligatorietà dell’azione penale, l’autonomia e l’indipendenza dei sostituti, la gestione trasparente ed efficiente dell’ufficio giudiziario, la ragionevolezza e trasparenza dell’azione organizzativa più in generale.
1.3.b. L’assegnazione dei sostituti ai gruppi di lavoro
Spesso è stata rilevata l’assegnazione dei magistrati ai gruppi di lavoro in difformità dagli artt. 4, comma 1, lettera f), e 7, comma 4, lett. b), della circolare. Si è, quindi, ripetutamente segnalato che tale assegnazione “deve avvenire, previo interpello, secondo quanto previsto nel progetto organizzativo in vigore ed adottando in ogni caso criteri diretti a garantire le esigenze di funzionalità dell’ufficio nonché la valorizzazione delle specifiche attitudini dei sostituti e la loro completa formazione professionale, anche attraverso la rotazione periodica nei gruppi di lavoro; l’interpello per l’assegnazione ai gruppi di lavoro dev’essere esteso – previa comunicazione anche in via telematica – ai magistrati destinati all’ufficio con delibera del C.S.M. che non abbiano ancora preso possesso, assegnando un congruo termine per presentare la domanda”.
1.3.c. La riserva esclusiva al Procuratore della trattazione di alcuni affari: i reati c.d. d’autore
La circolare del 16.12.2020 ha preteso che i Dirigenti si riservassero una quota di lavoro giudiziario, proporzionata agli impegni organizzativi connessi alle dimensioni e alle complessità dell’ufficio (art. 4, comma 1, lett. a, circ. proc.), distinguendo la “riserva” dall’”autoassegnazione” (la prima sottrae a monte i procedimenti “riservati” da quelli rimessi alla trattazione dei sostituti; la seconda interviene sui procedimenti che dovrebbero essere assegnati ai sostituti, derogando ai criteri individuati per la loro distribuzione).
Si è constatato che, di rado, i Procuratori si sono riservati una “quota di lavoro giudiziario” partecipando alle assegnazioni dei procedimenti in misura percentualmente ridotta rispetto ai sostituti: raramente, dunque, si è fatto ricorso al meccanismo che sarebbe stato il più apprezzato sia dai magistrati dell’ufficio, sia dal Consiglio in sede di valutazione dei progetti.
E’ accaduto, spesso, che il Procuratore abbia riservato a sé la trattazione di tipologie di reato individuate non con riferimento a “specifici settori di affari, … aree omogenee di procedimenti ovvero ad ambiti di attività dell’ufficio che necessitano di uniforme indirizzo” (art. 1 comma 4 del D.lvo 106/06)[14], bensì esclusivamente con riguardo al dato meramente soggettivo dell’appartenenza degli autori, di qualsivoglia reato, ad una determinata categoria (pubblici amministratori, polizia giudiziaria, avvocati, dipendenti degli uffici giudiziari, magistrati).
Siffatte previsioni sono state ritenute dal Consiglio suscettibili di osservazioni critiche sul piano della ragionevolezza, pur in assenza di diretto contrasto con la normativa primaria o secondaria.
In particolare, il Consiglio ha rilevato che tali “riserve” risultano indifferenti a ragioni di specializzazione, delicatezza e tecnica investigativa che ne suggeriscono la trattazione unitaria, essendo peraltro “obiettivamente in grado di fondare una sostanziale disparità di trattamento tra fattispecie analoghe, visto che, per esempio, un reato contro la pubblica amministrazione commesso, a causa del servizio, da un appartenente alla polizia giudiziaria o da un dipendente della Procura o del Tribunale non risulta diverso dall’analogo reato commesso da altra categoria di pubblico ufficiale, così come una violazione di domicilio, un reato contro la persona o un furto commessi dall’agente o ufficiale di p.g. o dal dipendente dell’ufficio giudiziario di riferimento semplicemente in occasione del servizio, non appaiono in alcun modo diversi dal medesimo reato ascritto al quivis de populo”.
L’organo di autogoverno centrale ha anche chiarito che “la necessità di garantire un’uniformità di trattamento o una particolare attenzione nello svolgimento delle indagini, ben potrebbero essere soddisfatte attraverso la predisposizione di un dovere di informazione da parte del singolo sostituto (ad esempio in termini di apposizione del visto di conoscenza o dell’obbligo di riferire), ferma restando l’attribuzione dei procedimenti iscritti secondo le generali regole di assegnazione previste nel progetto organizzativo.”.
1.3.d. L’autoassegnazione e la coassegnazione
Il Consiglio, innanzitutto, ha ribadito il divieto per i sostituti di autoassegnarsi procedimenti, essendo l’assegnazione degli affari prerogativa che la normativa primaria riserva al Procuratore che può, al più, esercitarla mediante delega agli aggiunti.
Ha poi avuto modo di soffermarsi sulle criticità più ricorrenti che hanno riguardato la c.d. autoassegnazione successiva alla prima iscrizione.
Il procuratore, infatti, ben può, con provvedimento motivato, autoassegnarsi un fascicolo, in deroga ai criteri di assegnazione ordinari (art. 10 circ. proc.), ma può farlo soltanto all’atto dell’scrizione e giammai dopo di essa, quindi, mai dopo che il sostituto ne abbia acquisito la titolarità, magari anche avviando le indagini.
Diversamente, opinando, infatti, si ammetterebbe una revoca implicita dell’originaria assegnazione al sostituto, che si porrebbe in contrasto con la normativa, primaria e secondaria, che disciplina tassativamente i casi e la procedura per la revoca dell’assegnazione di un fascicolo (art. 2 d.lvo 106/2006 e art. 15 circ. proc.).
In alcuni progetti sono stati anche indicati i casi in cui il dirigente può procedere all’autoassegnazione: si tratta di previsioni certamente apprezzabili perché rispondenti a logiche di trasparenza, a fronte della circolare che richiede l’indicazione nei progetti dei soli criteri che governano l’assegnazione degli affari ai gruppi e ai magistrati nonché di quelli utilizzati per la coassegnazione.
Per l’autoassegnazione, infatti, la circolare esige esclusivamente il provvedimento motivato (che viene analizzato dal Consiglio una volta pervenuto) e non anche specifiche previsioni nel progetto organizzativo inerenti ai casi o ai criteri; naturalmente, sono stati mossi rilievi ove nei progetti organizzativi si sia prevista l’autoassegnazione senza esplicitare la necessità del provvedimento motivato.
Quanto alla coassegnazione, sia essa preventiva o successiva rispetto alla prima iscrizione del fascicolo, la circolare (art. 10) stabilisce che i relativi criteri devono essere indicati nel progetto organizzativo e, in concreto, essa deve avvenire con provvedimento motivato, dal quale emerga quella che è la ratio dell’istituto della co-assegnazione. Essa, invero, risponde, a seconda dei casi, all’esigenza di alleggerire il carico di lavoro del magistrato primo assegnatario, ovvero di affiancare al primo assegnatario un altro magistrato dotato di competenze specifiche in relazione al procedimento o al reato in rilievo (cfr § 1. della relazione illustrativa della vigente circolare).
In proposito, di frequente, si è rilevata nei progetti la esplicitazione dei casi (tipologie di procedimenti) in cui poter procedere alla coassegnazione ma non anche l’indicazione dei criteri volti a individuare il sostituto coassegnatario (nell’ipotesi di coassegnazione tra sostituti); sul punto si è mosso il rilievo, trattandosi di carenza riguardante proprio quei criteri che la circolare pretende confluiscano nel documento organizzativo, in quanto volti ad assicurare trasparenza e, soprattutto, ad evitare ingiustificate disparità di trattamento.
1.3.e. Gli incarichi di coordinamento dei gruppi di lavoro conferiti ai sostituti
Sul tema, il Consiglio ha ripetutamente rilevato la violazione dell’art. 4 circ. proc., ribadendo la necessità dello svolgimento dell’interpello, della predeterminazione dei criteri da seguire per la selezione, della durata massima dell’incarico (pari a due anni, prorogabile di ulteriori sei mesi per specifiche ed imprescindibili esigenze di servizio), della esplicitazione delle ragioni che rendono il conferimento “indispensabile per il buon funzionamento dell’Ufficio” e delle esigenze organizzative sottese a tale scelta.
Ha, altresì, ricordato, richiamando una risposta a quesito del procuratore di Catania (pratica n. 169/VV/21 – delibera del 17.11.2021), quali siano le attività riconducibili al coordinamento dei gruppi di lavoro (“…. – sebbene la circolare non individui tutti gli specifici compiti in cui si possono estrinsecare le funzioni di coordinamento - dagli artt. 4 e 5 è possibile ricavarne il contenuto essenziale. Tali funzioni, invero, consistono, a titolo esemplificativo – oltre che in tutte le attività tese a promuovere e garantire l’efficace coordinamento fra i componenti dei gruppi di lavoro, l’eventuale elaborazione di protocolli investigativi ed organizzativi, lo svolgimento di riunioni periodiche tra i magistrati dei singoli gruppi di lavoro, al fine di realizzare lo scambio di informazioni sull’andamento dell’ufficio e sui fenomeni criminali, sulle novità giurisprudenziali e le innovazioni legislative, sull’andamento del servizio - nei compiti di assegnazione e/o coassegnazione degli affari; di risoluzione dei contrasti in ordine all’assegnazione degli affari all’interno del gruppo di lavoro o tra differenti gruppi; di apposizione del visto e/o dell’assenso; di direzione, indirizzo e coordinamento investigativo; di verifica periodica della distribuzione dei carichi di lavoro, al fine di assicurarne la costante equità nel rispetto degli obiettivi di funzionalità ed efficienza dell’ufficio; di convocazione di riunioni periodiche di coordinamento tra i sostituti e con la polizia giudiziaria, finalizzate alla omogeneità delle soluzioni investigative ed interpretative; di istituzione di specifici obblighi di riferire e fornire informazioni; di cura del rispetto dei criteri di assegnazione degli affari e della loro distribuzione in modo equo e funzionale ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. a) e dell’art. 7, comma 3.”).
Ha, infine, specificato, sempre sulla base della richiamata risposta a quesito, il divieto di subdelega, anche parziale, delle funzioni di coordinamento (“il coordinatore del gruppo di lavoro non potrà che essere il magistrato – l’aggiunto o, nei limiti in cui consentito dalla circolare, il sostituto - deputato allo svolgimento di tutti i predetti compiti (o anche solo parte di essi), senza possibilità di ipotizzare l’ulteriore sub delega, anche parziale, di tali compiti di coordinamento organizzativo a figure alternative sottratte alla disciplina del coordinatore delineata dalla normazione secondaria (quali, ad esempio, magistrati collaboratori, magistrati di riferimento, referenti e simili)”.
1.3.f. Gli incarichi di collaborazione
Benché tali incarichi non costituiscano parte del progetto organizzativo (non essendo previsti dall’art. 7 circ. proc.), in non pochi documenti organizzativi se n’è riscontrata la previsione, spesso però risultata in contrasto con gli artt. 5, comma 9[15], e 8, comma 11[16], della vigente circolare.
Relativamente a tali incarichi, il Consiglio ha ripetutamente sottolineato la differenza rispetto al coordinamento dei gruppi di lavoro (art. 4, comma 1, lett. b), specificando come attività rientranti nel coordinamento non possano, neppure in parte (per quanto esposto al paragrafo precedente), essere sub delegate sotto forma di collaborazione, come invece avvenuto in non pochi casi analizzati.
Il Consiglio, in altre parole, allo scopo di impedire il proliferare di incarichi (spesso connessi all’esercizio di funzioni tipicamente semidirettive), anche per preservare le proprie prerogative in materia di nomina dei procuratori aggiunti, ha voluto evitare che gli incarichi di collaborazione (che non hanno limiti di durata e le cui attività non sono specificatamente regolamentate nella circolare) potessero riguardare, anche solo in parte, attività proprie del coordinamento ovvero compiti propri del Dirigente o del procuratore aggiunto.
Il Consiglio ha, altresì, chiarito che l’incarico di collaborazione, organizzativa o amministrativa, deve rispondere ai requisiti di cui agli artt. 5 comma 9 e 8 comma 11 della circolare stessa e, pertanto, il conferimento deve avvenire, previo interpello, nel rispetto della procedura di cui all’art. 8, comma 2, e con provvedimento motivato, dal quale risultino i criteri della scelta del magistrato designato, l’oggetto dell’attività delegata, le esigenze organizzative sottese alla delega.
1.3.g. L’indicazione dei supplenti
L’articolo 46 della circolare, al comma 2, lettera b), prevede che agli uffici requirenti si applicano, altresì, le specifiche disposizioni contenute nella circolare in materia di supplenze, assegnazioni, applicazioni e magistrati delle piante organiche flessibili distrettuali (delibera del 20.6.2018 e s.m. al 18.5.2022). Tale circolare, all’art. 22 (Indicazione dei supplenti nelle proposte tabellari e nei progetti organizzativi), prevede:
1. Le proposte tabellari e i progetti organizzativi devono indicare i magistrati destinati a svolgere compiti di supplenza nelle ipotesi di mancanza o temporaneo impedimento di quelli previsti quali titolari delle funzioni, in modo da permettere l’automatica identificazione del supplente per ciascun magistrato.
2. A tal fine, ove manchi l’indicazione nominativa specifica, vanno indicati i criteri oggettivi da osservare nell’adozione del provvedimento di supplenza, con specifico riguardo alle modalità di scelta del supplente.
Il Consiglio, pertanto, nell’esame dei progetti organizzativi del triennio 2020/2022 (oggi quadriennio 2020/2023), ha rigorosamente applicato tale disposizione, introdotta, per la prima volta, nella circolare del 16.12.2020: ha, così, avuto modo di riscontrare, frequentemente, previsioni parziali, limitate per lo più alle sostituzioni nella trattazione degli affari urgenti e, quindi, inidonee a soddisfare il rispetto della norma richiamata. Raramente, infatti, si sono rilevate disposizioni organizzative volte all’automatica identificazione del supplente per ciascun magistrato o contenenti i criteri oggettivi per l’automatica individuazione del supplente.
1.3.h. Il visto e l’obbligo di riferire
In numerosi progetti organizzativi sono state rilevate criticità inerenti alla disciplina del visto e dell’obbligo di riferire.
Va premesso che, ai sensi dell’art. 7, comma 4, lettera h, circ. proc., il progetto deve contenere sia la previsione dei visti informativi, di cui all’art. 14 della presente circolare, sia delle ipotesi in cui è fatto obbligo al sostituto assegnatario di riferire (obbligo che non trova nella circolare una sua esplicita regolamentazione).
Le criticità riscontrate hanno riguardato, essenzialmente: a) previsioni eccessivamente onerose per i sostituti, sia per la quantità delle ipotesi, che per la eterogeneità delle tipologie di affari sopposti ad onere informativo; b) casi di “visto”, connessi al preventivo ”riferire” annotato dal Dirigente in sede di prima assegnazione del fascicolo, in assenza di indicazioni nel progetto che esplicitassero i presupposti per la legittima pretesa del dirigente di essere informato (dunque visti correlati a preventivi e generici “obblighi di riferire”).
Sul punto, il Consiglio ha reiteratamente ricordato che tali oneri informativi, come illustrato nella relazione introduttiva della vigente circolare:
- devono riguardare “determinati atti o categorie di atti” (il visto) e le ipotesi (del riferire) devono essere indicate nel progetto organizzativo;
- devono essere tesi a garantire “il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale”, come richiesto dal citato articolo 14;
- non devono mai pregiudicare “lo svolgimento fluido dell’attività investigativa” ovvero arrecare “nocumento alla speditezza del procedimento” o “nuocere all’autonomia e indipendenza dei magistrati”;
- giammai possono risolversi di fatto in una sorta di “controllo” o addirittura di “coassegnazione” del procedimento.
1.3.i. La revoca dell’assegnazione e l’assenso sulle misure cautelari
Preliminarmente, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 7, comma 4, circ. proc., il progetto organizzativo deve contenere:
il procedimento di esercizio delle funzioni di assenso sulle misure cautelari, in ossequio a quanto disposto dall’art. 13 (art. 7, comma 4, lett. g);
le ipotesi ed il procedimento di revoca dell’assegnazione, in ossequio a quanto disposto dall’art. 15 della presente circolare (art. 7, comma 4, lett. i).
Le criticità riscontrate hanno rappresentato l’occasione per consentire al Consiglio di ribadire che il potere di assenso trova il suo limite nella norma primaria (art. 3, commi 1 e 2, d.lvo n. 106/2006), sicché non sono ammesse previsioni che estendono le ipotesi in cui è richiesto l’assenso scritto al di là della disposizione legislativa.
Analogamente, il potere di revoca dell’assegnazione del procedimento al sostituto, trova il suo limite nella norma primaria (art. 2, comma 2, d.lvo n. 106/2006)[17]; pertanto, è ammissibile soltanto nei seguenti casi:
ove il sostituto non si attenga ai principi e ai criteri generali relativi all’attività d’indagine, predeterminati dal procuratore nel progetto organizzativo
ove il sostituto non si attenga ai principi e ai criteri generali relativi all’attività d’indagine, predeterminati dal procuratore nell’atto di assegnazione del procedimento;
ove sorga contrasto circa le modalità di applicazione dei suddetti criteri;
ove sorga contrasto nell’ambito dell’assenso sulle misure cautelari; nella materia cautelare, infatti, in caso di contrasto tra Procuratore della Repubblica e sostituto, ai fini della revoca dell’assegnazione, la mera difformità nella valutazione del merito delle scelte da adottare è stata ritenuta di per sé idonea a legittimare la revoca del fascicolo e la sua assegnazione ad altro magistrato; tale scelta trova giustificazione sia nel fatto che, in materia cautelare, l’assenso del procuratore è necessario e indeclinabile per espressa volontà legislativa (art. 3 d.lvo n. 106/2006)[18]; sia “nella finalità del corretto perseguimento di linee uniformi di indirizzo e di condotta dell'ufficio di procura, rispetto a quella (la materia cautelare) che ben può dirsi intrinsecamente la più rilevante delle attività affidate all'organo dell'investigazione e dell'accusa[19].”
Al di fuori di queste ipotesi, il mero contrasto sul merito delle determinazioni da assumere dopo la chiusura delle indagini preliminari, condotte in conformità ai criteri tipizzati nel documento organizzativo o individuati con l’atto di assegnazione, non può ritenersi fatto costitutivo idoneo alla revoca esulando dal perimetro di applicazione così come delineato dalla normativa primaria[20].
1.3.j. La nomina del vicario
In alcuni progetti s’è rilevata la nomina del vicario in persona del sostituto.
Sul punto il Consiglio ha precisato che – sebbene la circolare, all’art. 7 comma 5 lett. c), preveda “equivocamente” la possibilità di individuare il vicario in un magistrato che non sia l’aggiunto – la normativa primaria (art. 1, comma 3, del D.lvo 106/2006)[21] non lascia dubbi sul fatto che il Vicario possa essere designato esclusivamente tra i procuratori aggiunti.
D’altra parte lo stesso art. 6, comma 1, circ. proc. prescrive che il vicario può essere nominato “solo tra i procuratori aggiunti”, aggiungendo che “Quando non è presente in pianta organica un Procuratore Aggiunto, trova applicazione il comma 5 del presente articolo”, comma che a sua volta stabilisce che “Negli uffici in cui non è nominato il Vicario, in caso di assenza o impedimento del Procuratore, la reggenza o supplenza nella direzione dell’ufficio appartiene al Procuratore aggiunto o, in mancanza, al magistrato più anziano nel ruolo”.
Sia la normativa primaria (art. 1, comma 3, D.lvo 106/2006), che quella secondaria (art. 6 comma 1 circ. proc.), pertanto, prevedono che negli uffici in cui non è presente l’aggiunto, soltanto il magistrato più anziano (in ruolo) possa sostituire il Procuratore in caso di assenza o impedimento, come previsto dall’art. 109 dell’ordinamento giudiziario (cfr nota 36).
1.3.k. Le previsioni inerenti alla DDA e all’Antiterrorismo[22]
In relazione alla D.D.A. non sono state riscontrate significative criticità.
Tendenzialmente, nella maggior parte dei progetti organizzativi degli uffici distrettuali sono state sostanzialmente rispettate (salvo pochi casi) le previsioni della circolare (parte VI artt. 18/25 circ. proc.) riguardanti:
- i criteri per la formazione delle D.D.A. di cui all’art. 19 circ. proc. (il numero dei sostituti chiamati a farne parte determinato nella misura di un quarto dei sostituti in organico presso la procura distrettuale, salvo motivata deroga in aumento o in diminuzione; i magistrati non sono stati destinati a svolgere attività ulteriore rispetto a quella propria della DDA, ovvero, sono state indicate comprovate e motivate esigenze di servizio dell’ufficio a sostegno della deroga; sono stati designati componenti della D.D.A. soltanto i sostituti che hanno conseguito almeno la prima valutazione di professionalità);
- i criteri per la designazione dei sostituti alla Direzione Distrettuale Antimafia nel rispetto dell’art. 20 circ. proc.;
- i Procuratori Aggiunti sono stati designati quali componenti (negli uffici in cui la D.D.A. è articolata in più unità di lavoro), con funzioni di collaborazione nella direzione e nel coordinamento, ai sensi dell’art. 21 circ. proc.;
- raramente sono state conferite agli aggiunti (mai ai sostituti) le funzioni di direzione, di regola trattenute dai dirigenti;
- i criteri di assegnazione degli affari ai magistrati della D.D.A.;
- i criteri di co-assegnazione secondo quanto espressamente richiesto all’art. 25 circ. proc.[23].
Con riferimento alle Sezioni Antiterrorismo (Risoluzione del 16 marzo 2016), pressoché tutte le procure distrettuali hanno previsto l’individuazione di un gruppo di lavoro competente per la trattazione di indagini in materia[24] e, ai fini dell’accesso, l’interpello, il provvedimento motivato contenente la valutazione comparativa per la designazione e i limiti temporali di permanenza.
Sono, invece, mancate le previsioni, previste dalla Risoluzione del 2016, inerenti alla verifica periodica del contributo individuale offerto e dei risultati conseguiti dal magistrato; alla comunicazione al CSM delle nomine, delle variazioni e delle verifiche periodiche; alla disciplina dei rapporti di collaborazione e coordinamento tra i sostituti distrettuali competenti e la D.N.A.A..
1.4. Un cenno ad alcune pratiche di particolare rilevanza
Per completezza di esposizione, meritano di essere ricordate alcune pratiche, non inerenti ai documenti organizzativi degli uffici, ma significative per l’impatto delle questioni trattate sui sostituti procuratori e per la rilevanza delle conclusioni cui è pervenuto il Consiglio.
Si tratta delle pratiche a seguire menzionate (per la cui motivazione si rinvia al contenuto della relativa delibera, facilmente reperibile su Cosmag):
-la pratica concernente la non conformità della designazione alla DDA di un magistrato gravato da un procedimento disciplinare per rivelazione di segreti d’ufficio (n. 601/OP/2020 – delibera del 3.9.2021), in cui il Consiglio di Stato ha peraltro avallato l’orientamento consiliare;
-la pratica concernente la non conformità della designazione alla DDA avvenuta in violazione dei criteri attitudinali indicati dall’art. 20 della circolare (n. 269/OP/2020 – n. 3 delibere), in cui si è registrata la destinazione alla DDA di sostituti a scapito di altri che avevano maturato una più solida ed ampia esperienza nella trattazione di procedimenti di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p., che è il primo degli indicatori di cui all’art. 20 circ. proc.; in proposito occorre chiedersi se non sia opportuno valorizzare le esperienze specifiche nella trattazione di procedimenti di competenza DDA, ma senza arrivare ad un automatismo per cui chi ha già maturato pregressa esperienza nella DDA prevarrà comunque sugli aspiranti che non la abbiano, con la conseguente necessità di considerare anche altri fattori rilevanti, soprattutto per le DDA collocate in regioni diverse da quelle dove operano le mafie storiche, quali la conoscenza della criminalità del territorio, le esperienze in materia di reati economici, riciclaggio e pubblica amministrazione;
-la pratica concernente un provvedimento di revoca di assegnazione, qualificato dal Consiglio in termini di “sostituzione” del sostituto (artt. 53 c.p.p. e 12 circ. proc.), che il Consiglio ha ammesso, anche in fase di indagini, ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 53 c.p.p. (n. 481/OP/2018 – delibera del 22.2.2023)[25];
- la pratica riguardante un provvedimento di revoca di assegnazione, adottato a seguito di contrasto circa l’assenso sulla richiesta di misura cautelare (n. 184/OP/2021 – delibera del 29.3.2023)[26].
2. La Riforma Cartabia: la legge n. 71/2022
2.1. Le norme riguardanti i progetti organizzativi
In data 21 giugno 2022, è entrata in vigore la legge n. 71 del 17 giugno 2022 (di seguito: Riforma) contenente “Deleghe al Governo per la Riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura”.
In particolare, l’articolo 1, comma 1, stabilisce che “Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni finalizzate alla trasparenza e all’efficienza dell’ordinamento giudiziario, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dal presente capo, in relazione” ad una serie di ambiti, tra cui, alla lettera a), per quanto in questa sede rileva, “alla revisione dell’assetto ordinamentale della magistratura, con specifico riferimento alla .... Riforma del procedimento di approvazione delle tabelle organizzative degli uffici giudicanti”.
Il successivo articolo 2, comma 2, precisa i “principi e criteri direttivi” da rispettare “Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1 ….”, in relazione “alla disciplina della formazione e approvazione delle tabelle di organizzazione degli uffici previste dagli articoli 7-bis e 7-ter dell’ordinamento giudiziario”, declinandoli alle successive lettere a), b) e c).
Orbene, se la lettera a) riguarda esclusivamente le tabelle degli uffici giudicanti, le lettere b) e c), rispettivamente riguardanti i moduli standard e le procedure di approvazione (con il rivoluzionario sistema del “silenzio assenso”), menzionano anche i progetti organizzativi degli uffici requirenti:
b) prevedere che i documenti organizzativi generali degli uffici, le tabelle e i progetti organizzativi siano elaborati secondo modelli standard stabiliti con deliberazione del Consiglio superiore della magistratura e trasmessi per via telematica; prevedere altresì che i pareri dei consigli giudiziari siano redatti secondo modelli standard, contenenti i soli dati concernenti le criticità, stabiliti con deliberazione del Consiglio superiore della magistratura;
c) semplificare le procedure di approvazione delle tabelle di organizzazione degli uffici previste dall’articolo 7-bis dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e dei progetti organizzativi dell’ufficio del pubblico ministero, prevedendo che le proposte delle tabelle di organizzazione degli uffici e dei progetti organizzativi dell’ufficio del pubblico ministero e delle relative modifiche si intendano approvate, ove il Consiglio superiore della magistratura non si esprima in senso contrario entro un termine stabilito in base alla data di invio del parere del consiglio giudiziario, salvo che siano state presentate osservazioni dai magistrati dell’ufficio o che il parere del consiglio giudiziario sia a maggioranza”.
Ed ancora, se l’articolo 6 della legge n. 71/2022 rimette ai decreti legislativi attuativi della delega il “coordinamento delle disposizioni vigenti con le disposizioni introdotte in attuazione della medesima delega, anche modificando la formulazione e la collocazione delle disposizioni” tra le altre, “del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106”, che riguarda la riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, l’articolo 13, comma 1, interviene direttamente nelle modifiche formalmente rimesse ai decreti delegati.
Tale norma, infatti, sostituisce i commi 6 e 7 dell’articolo 1 del d.lgs 20 febbraio 2006, n. 106, con le seguenti previsioni:
“6. Il procuratore della Repubblica predispone, in conformità ai princìpi generali definiti dal Consiglio superiore della magistratura, il progetto organizzativo dell’ufficio, con il quale determina:
le misure organizzative finalizzate a garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, tenendo conto dei criteri di priorità di cui alla lettera b);
i criteri di priorità finalizzati a selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre e definiti, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, tenendo conto del numero degli affari da trattare, della specifica realtà criminale e territoriale e dell’utilizzo efficiente delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili;
i compiti di coordinamento e di direzione dei procuratori aggiunti;
i criteri di assegnazione e di coassegnazione dei procedimenti e le tipologie di reato per le quali i meccanismi di assegnazione dei procedimenti sono di natura automatica;
i criteri e le modalità di revoca dell’assegnazione dei procedimenti;
i criteri per l’individuazione del procuratore aggiunto o comunque del magistrato designato come vicario, ai sensi del comma 3 (in realtà, il comma 3 prevede che solo il procuratore aggiunto possa essere nominato vicario);
i gruppi di lavoro, salvo che la disponibilità di risorse umane sia tale da non consentirne la costituzione, e i criteri di assegnazione dei sostituti procuratori a tali gruppi, che devono valorizzare il buon funzionamento dell’ufficio e le attitudini dei magistrati, nel rispetto della disciplina della permanenza temporanea nelle funzioni, fermo restando che ai componenti dei medesimi gruppi di lavoro non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.
7. Il progetto organizzativo dell’ufficio è adottato ogni quattro anni, sentiti il dirigente dell’ufficio giudicante corrispondente e il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati, ed è approvato dal Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario e valutate le eventuali osservazioni formulate dal Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195. Decorso il quadriennio, l’efficacia del progetto è prorogata fino a che non sopravvenga il nuovo. Con le medesime modalità di cui al primo periodo, il progetto organizzativo può essere variato nel corso del quadriennio per sopravvenute esigenze dell’ufficio.”.
A ben guardare, dunque, la delega di riforma, formalmente prevista per le tabelle degli uffici giudicanti, riguarda, invece, ed incisivamente, anche i progetti organizzativi degli uffici requirenti.
Va, da ultimo, segnalato che la legge n. 71/2022 ha, altresì, introdotto rilevanti modifiche in materia di illeciti disciplinari, aggiungendo, all’art. 2 d.lvo 109/2006 (Illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni), tra gli altri, l’illecito consistente nella “reiterata o grave inosservanza delle direttive”, illecito che, prima della novella, riguardava soltanto la “reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e informatici adottate dagli organi competenti”.
In proposito, non si è ancora registrato un orientamento del Consiglio, sicché resta da chiarire il significato del termine “direttiva” e, soprattutto, l’ambito cui essa inerisce: sarà importante, invero, capire se essa riguardi esclusivamente aspetti organizzativi dell’ufficio ovvero anche profili più strettamente collegati all’esercizio dell’attività giudiziaria.
2.2. Le principali novità in tema di progetti organizzativi
2.2.1. Gli aspetti innovativi in generale
Le novità introdotte dalla legge n. 71/2022, dunque, riguardano essenzialmente 5 aspetti:
1) l’attribuzione al Consiglio della prerogativa di definire i “principi generali” cui devono conformarsi i procuratori nella predisposizione del progetto organizzativo; prerogativa che il Consiglio riacquista dopo averla persa con le riforme ordinamentali del 2006, sicché oggi esso è espressamente (nuovamente) chiamato ad elaborare, come per le tabelle degli uffici giudicanti, la circolare in materia di organizzazione degli uffici requirenti, che deve indirizzare la predisposizione dei prossimi progetti organizzativi[27];
2) la normativa primaria interviene sulle modalità di elaborazione del progetto organizzativo: il procuratore vi provvede, sulla base dei moduli standard predisposti dal Consiglio[28], “sentiti il dirigente dell’ufficio giudicante corrispondente e il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati” (come peraltro, già previsto dalla vigente circolare che, tuttavia, coinvolge il consiglio dell’ordine degli avvocati e non solo il Presidente);
3) la normativa primaria interviene, altresì, sul contenuto del progetto organizzativo, indicando gli aspetti che i dirigenti devono in esso necessariamente disciplinare (art. 1, comma 6, d.lvo n. 106/2006);
4) i criteri di priorità, che devono essere determinati dal Procuratore, nel progetto organizzativo, “nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge”;
5) la durata e l’approvazione del progetto organizzativo: oltre alla previsione della durata quadriennale, i progetti, come le relative modifiche, vengono espressamente sottoposti all’approvazione del Consiglio (secondo la procedura semplificata di cui all’art. 2, comma 2, legge n. 71/2022, per cui si attende l’esercizio della delega); anche in questo caso, il Consiglio si riappropria di un compito sottrattogli dalla riforma del 2006[29], chiarendosi che debba procedere “previo parere del consiglio giudiziario, valutate le eventuali osservazioni formulate dal Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195.”.
2.2.2. Le novità sul contenuto del progetto organizzativo e i criteri di priorità
Sul piano del contenuto, le novità introdotte dal nuovo comma 6 dell’art. 1 d.lvo 106/2006 sono, per la gran parte, la ripetizione di previsioni contenute nella vigente circolare[30]:
la lettera a), ricalca l’art. 2, commi 1 e 2, circ. proc.;
la lettera c), ricalca l’art. 7, comma 4, lett. d), circ. proc.;
la lettera d), ricalca l’art. 7, comma 4, lett. c), circ. proc.;
la lettera e), ricalca l’art. 7, comma 4, lett. i), circ. proc.;
la lettera f), ricalca l’art. 7, comma 5, lett. c), circ. proc. (l’individuazione del Vicario diviene previsione obbligatoria mentre oggi è facoltativa);
la lettera g), ricalca l’art. 7, comma 4, lett. a) e b), circ. proc. (la circolare prevede anche l’assegnazione degli aggiunti ai gruppi di lavoro, non solo l’assegnazione dei sostituti).
Altre previsioni della vigente circolare sul contenuto del progetto organizzativo[31] non sono confluite nella normativa primaria sicché il Consiglio, in sede di elaborazione della nuova circolare, dovrà valutarne la compatibilità (che, si anticipa, non sembra esclusa) con il rinnovato comma 6, dell’art. 1, del d.lvo n. 106/2006.
In altra parte, le novità introdotte hanno portata rivoluzionaria; ci si riferisce ai criteri di priorità di cui alla lettera g) del nuovo comma 6 d.lvo 106/2006:
i criteri di priorità degli uffici requirenti trovano la loro fonte nella normativa primaria (che prima si era occupata dei soli criteri di priorità degli uffici giudicanti)[32];
divengono parte del contenuto “necessario” del progetto organizzativo (mentre la circolare li aveva previsti quale contenuto “eventuale”), che deve essere predisposto “in conformità ai principi generali definiti dal Consiglio superiore della magistratura”;
devono essere determinati dal procuratore “nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge”.
Attendiamo, dunque, il legislatore, tenendo conto che anche il d.lvo 150/2022 (c.d. riforma penale) contiene espressi riferimenti ai “criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo”, peraltro, prevedendo l’obbligo del pubblico ministero di conformarvisi[33].
I criteri di priorità degli uffici requirenti, quindi, dovranno muoversi nell’ambito di una duplice normativa: quella primaria (criteri generali stabiliti dal Parlamento) e, nel rispetto di questa, quella consiliare (principi generali definiti dal Consiglio per i progetti organizzativi), con la quale sarà necessario provvedere alla totale rivisitazione dell’attuale assetto di normazione secondaria in materia di criteri di priorità, che può dirsi ormai superato[34].
I pubblici ministeri, a loro volta, “Nella trattazione delle notizie di reato e nell'esercizio dell'azione penale”, dovranno fare i conti con l’obbligo di rispettare i criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo (art. 3, d.att. cpp) e, pertanto, con un assetto normativo e organizzativo completamente diverso da quello vigente. Attualmente, infatti, i criteri di priorità “sono efficaci nei confronti dei magistrati dell’ufficio requirente come necessario criterio di riferimento, nella parte in cui indicano le priorità, ferma la possibilità per il singolo sostituto di valutare, con prudente apprezzamento, se le peculiarità del caso concreto giustifichino la deroga a tale criterio di riferimento, informando in tal caso il Procuratore della Repubblica nei casi più rilevanti, nell’ambito dei rapporti di leale collaborazione con la dirigenza dell’ufficio; per la residua parte varranno come criteri generali ed astratti di orientamento;” (cfr delibera del 21 dicembre 2021, richiamata in nota 49).
E’ in questo nuovo ambito che – si spera - il Parlamento, il Consiglio e i Procuratori si facciano carico delle rispettive responsabilità e, ciascuno nell’alveo delle proprie competenze, convergano nell’unica direzione possibile: il rispetto delle irrinunciabili garanzie costituzionali, costituite dal principio del buon andamento e imparzialità (art. 97 cost); dai principi di autonomia e indipendenza (artt. 101 e 104 cost.); dall’inamovibilità per sede e funzione e la pari dignità dei magistrati (art. 107 cost); dai principi di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 cost.), del giusto processo e della ragionevole durata del processo (art. 111 cost).
2.2.3. Le novità in tema di efficacia e di approvazione del progetto organizzativo
Sotto il profilo del periodo di efficacia del progetto organizzativo, è stata introdotta, come per le tabelle, la durata quadriennale, ferma la prorogatio (“l’efficacia del progetto è prorogata fino a che non sopravvenga il nuovo”).
In proposito, non può non segnalarsi una certa equivocità della norma che, da un lato, sottopone il progetto all’approvazione del Consiglio (così, apparentemente, condizionandone l’efficacia al suo intervento), dall’altro, sembra correlare alla mera elaborazione del progetto la decorrenza della sua efficacia (l’efficacia del progetto è prorogata fino a che non sopravvenga il nuovo). Si prospettano sul punto non pochi problemi e ciò, a fortiori, ove si consideri che anche le modifiche ai progetti organizzativi sono oggi, al pari delle variazioni tabellari, soggette all’approvazione del Consiglio; a differenza della disciplina tabellare (cfr art. 7 bis o.g.[35]), tuttavia, non sono state introdotte norme sulla “immediata esecutività” sicché né il progetto né le relative modifiche, a normativa invariata, potrebbero produrre effetti fino a che non intervenga l’approvazione. Tale sistema rischia di rivelarsi dirompente se si pensa che, prima della Riforma, vigendo la mera “presa d’atto del Consiglio” (prevista dalla normativa secondaria), i progetti e le relative variazioni erano sempre e soltanto “immediatamente esecutivi”.
Sempre per quanto concerne la durata quadriennale introdotta dalla legge n. 71/2022, va ricordato che il Consiglio, con delibera del 28.7.2022[36], ha esteso l’efficacia dei progetti organizzativi vigenti (oltre che delle tabelle), originariamente elaborati per il triennio 2020/2022, al quadriennio 2020/2023, chiarendo che “Essi, come le rispettive variazioni e modifiche, sono regolati dalle circolari consiliari vigenti in relazione all’organizzazione degli uffici giudicanti e requirenti. Le tabelle ed i progetti organizzativi relativi al prossimo quadriennio (2024/2027) saranno, invece, disciplinati dalle circolari consiliari di prossima adozione, che terranno conto delle modifiche immediatamente precettive introdotte dalla Riforma, oltre che delle disposizioni dei decreti legislativi delegati da adottarsi entro un anno data di entrata in vigore della legge n. 71/2022.”.
Quanto al procedimento di approvazione (dei progetti e delle variazioni), per un verso, siamo in attesa dell’esercizio della delega di cui all’art. 2, comma 2, lettera c), legge n. 71/2022 (con la quale il governo deve provvedere a “semplificare le procedure di approvazione ..., prevedendo che i progetti organizzativi dell’ufficio del pubblico ministero e le relative modifiche si intendano approvate, ove il Consiglio superiore della magistratura non si esprima in senso contrario entro un termine stabilito in base alla data di invio del parere del consiglio giudiziario, salvo che siano state presentate osservazioni dai magistrati dell’ufficio o che il parere del consiglio giudiziario sia a maggioranza”); per altro verso, dobbiamo fare i conti con l’art. 1, comma 7, D.lvo 106/2006, come riformulato dall’art. 13 della legge n. 71/2022 (secondo il quale il Consiglio approva i progetti organizzativi, “previo parere del consiglio giudiziario e valutate le eventuali osservazioni formulate dal Ministro della giustizia….”).
Con la nuova circolare, pertanto, nel disciplinare il procedimento di approvazione, il Consiglio dovrà necessariamente:
a) regolamentare il meccanismo del c.d. silenzio assenso (per il quale si attende la delega), avendo cura di scongiurare il rischio che una molteplicità di pratiche vengano sottratte alla effettiva verifica consiliare;
b) riflettere sull’auspicabile introduzione di un meccanismo di approvazione parziale, come avviene per le tabelle, allo scopo di evitare la totale caducazione del documento organizzativo che, solo in parte, risulti non conforme alla normativa primaria e secondaria;
c) farsi carico di colmare il vuoto normativo, intervenendo in punto di esecutività dei progetti e delle relative variazioni, verificando la possibilità di estendere la disciplina tabellare (che distingue tra variazioni ordinarie, urgenti e immediatamente esecutive)[37].
Ne deriva, evidentemente, un sistema complesso, che il Consiglio potrà compiutamente definire solo dopo l’esercizio della delega, ma un dato è certo: se il parere del c.g. è unanimemente favorevole e non ci sono osservazioni dei magistrati interessati, il progetto si intende approvato (quindi esecutivo) se il Consiglio non si determina diversamente entro un certo termine (che si spera venga rimesso, in sede di esercizio della delega, alla normazione consiliare)[38].
Un siffatto sistema risulterà per il Consiglio di non facile gestione, sia per la quantità degli affari riguardanti gli uffici requirenti di tutto il paese, sia per le brevi tempistiche che il legislatore ha imposto (che dovrebbero essere precisate con l’esercizio della delega) per la loro valutazione: basti pensare che, nel periodo 24.1.2023 – 12.6.2023, meno di 5 mesi, la Settima Commissione (e il Consiglio in plenum) ha trattato e definito un flusso di pratiche degli uffici requirenti pari a 1.615 fascicoli (oltre ad almeno altrettante pratiche di altri settori), molti dei quali risalenti agli anni 2021/2022. Il consiglio, pertanto, a risorse invariate, potrà difficilmente garantire un adeguato esame dei progetti e delle relative variazioni entro termini inferiori ai 6 mesi.
2.3. Una valutazione complessiva della Riforma Cartabia
La valutazione complessiva della Riforma Cartabia in materia di progetti organizzativi non consente un bilancio finale del tutto negativo!
Essa, infatti, affianca ad aspetti che destano preoccupazione, profili indubbiamente apprezzabili:
- restituisce al Consiglio, esattamente come avveniva nella fase ante riforma del 2006, la prerogativa di definire i criteri generali cui i Procuratori devono conformarsi nella elaborazione dei progetti organizzativi: a breve, quindi, l’organo di autogoverno centrale dovrà adottare, come già avviene per le tabelle, la circolare sui progetti organizzativi 2024/2027 (i lavori sono già in corso), preoccupandosi di valutare se attendere l’esercizio della delega, ovvero anticiparlo, per poi adeguarvisi con successive integrazioni;
- vengono introdotti, per la prima volta, i modelli standard per i progetti dei diversi uffici requirenti e per il parere del consiglio giudiziario, che dovrà soffermarsi soltanto sugli aspetti critici: si tratta di un profilo estremamente positivo, che aiuterà sia i dirigenti, evidentemente facilitati nell’elaborazione dei progetti secondo un format prestabilito (che dovrebbe, peraltro, esporli a meno rilievi e/o osservazioni in sede di successiva valutazione finale); sia i c.g., che, grazie ai format, saranno guidati nell’esame dei documenti, con l’indicazione degli aspetti su cui soffermarsi e delle modalità dell’approfondimento valutativo; sia, conseguentemente, il Consiglio, che si troverà ad esaminare progetti, finalmente, pressoché omogenei e pareri dei c.g. che dovrebbero rivelarsi idonei a indirizzare la valutazione sulle sole effettive criticità;
- si attribuisce espressamente al Consiglio, il compito di approvare i progetti e le relative variazioni (che dopo il 2006 sono stati valutati con una mera presa d’atto): i procuratori, pertanto, saranno chiamati ad un attento lavoro di predisposizione del documento organizzativo onde evitarne la non approvazione; il Consiglio, dal canto suo, è tenuto, con la prossima circolare, a regolamentare la nuova procedura di approvazione che si prospetta tutt’altro che agevole[39];
- desta, tuttavia, perplessità il nuovo meccanismo della approvazione con il silenzio assenso (pur limitato ai progetti e alle variazioni sorretti dall’unanime parere favorevole del c.g. e senza osservazioni dei magistrati): esso, infatti, da un lato, renderà, di fatto, impossibile per il Consiglio esaminare l’enorme mole di pratiche, in tempi ristretti, nonostante l’esperienza degli ultimi anni insegni che, in numerosi casi, le previsioni organizzative sono risultate difformi dalla normativa in materia anche in assenza di rilievi del c.g. e/o osservazioni dei colleghi; dall’altro lato, conseguentemente, renderà efficaci i progetti organizzativi e le relative variazioni, trascorso un certo termine, in assenza della valutazione consiliare, con il serio rischio di rendere operative previsioni organizzative che, in astratto, potrebbero anche essere pregiudizievoli per i magistrati, che magari non hanno avuto il coraggio di presentare esplicite osservazioni;
- preoccupa, inoltre, come già anticipato, la novella in tema di criteri di priorità: la rimessione al legislatore della indicazione dei “criteri generali” in tema di priorità degli uffici requirenti (legge n. 71/22) rischia di minare la garanzia costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale; l’obbligo per i sostituti di conformarvisi nella trattazione degli affari e nell’esercizio dell’azione penale (d.lvo n. 150/2022), di conseguenza, rischia di mettere in discussione il principio costituzionale dall’autonomia e dell’indipendenza. Naturalmente ci si auspica che il Parlamento si faccia carico di queste problematiche, provvedendo con cautela e senso di responsabilità nel compito attribuitogli;
- non convince, infine, il nuovo illecito disciplinare consistente nella “reiterata o grave inosservanza delle direttive” ove si pensi che, prima della novella, l’illecito riguardava soltanto la “reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e informatici adottate dagli organi competenti”: ad oggi, la sezione disciplinare del Consiglio non ha ancora avuto modo di confrontarsi con tale illecito, ma si auspica che la fattispecie venga, correttamente, riportata nell’alveo dei profili organizzativi e amministrativi di un ufficio; diversamente – ove per esempio la direttiva venga estesa ai profili delle indagini e, più in generale, all’esercizio dell’attività giudiziaria - si prospetta un altro serio rischio di minare l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati.
Restiamo in trepidante attesa, ma due considerazioni conclusive appaiono doverose:
1) in questo momento storico è quanto mai indispensabile che gli uffici requirenti siano diretti da procuratori autorevoli, capaci, competenti, che interpretino l’interlocuzione con i magistrati dell’ufficio (ivi compresa la magistratura onoraria) come momento di autentica condivisione di problematiche e di soluzioni; di dirigenti che esercitino ogni loro prerogativa con il solo obiettivo della funzionalità degli uffici e del rispetto dell’autonomia, dell’indipendenza e delle aspettative professionali dei magistrati che vi lavorano;
2) in un contesto in cui sembrano contrapporsi, da un lato, i criteri di priorità (che, incidendo sul principio di obbligatorietà dell’azione penale, lasciano spazio a spinte verticistiche), dall’altro, la sottoposizione dei progetti organizzativi al c.d. metodo tabellare (che è la più ampia garanzia possibile del singolo magistrato inquirente dalle scelte gerarchiche dei capi degli uffici requirenti), fondamentale è il ruolo che investirà il Parlamento, il Consiglio e i Procuratori che avranno il dovere di individuare il migliore bilanciamento possibile tra la spinta verticistica insita nei criteri di priorità (sempre che il Parlamento intenda stabilire i criteri generali) e la direzione orizzontale e diffusa dell’organizzazione degli uffici requirenti nuovamente rimessa al Consiglio.
[1] Ai sensi dell’art. 7 comma 1 circ. proc., il progetto ha validità triennale (oggi quadriennale), corrispondente al periodo di vigenza delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti e deve essere redatto nei tre mesi successivi alla sua scadenza.
Il Procuratore della Repubblica che assuma le funzioni durante il periodo di vigenza di quello precedente, deve redigere il progetto nei sei mesi successivi all’immissione in possesso, dando atto dell’attuazione, attraverso il progetto adottato, delle soluzioni organizzative presentate al momento della domanda per la nomina, ovvero delle ragioni per cui ciò non è potuto avvenire.
Il progetto dev’essere nuovamente redatto al compimento del periodo di vigenza delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti.
La mancata redazione del progetto entro i predetti termini (6 mesi dall’immissione in possesso e/o 3 mesi successivi alla scadenza) è rilevata con provvedimento del C.S.M., inserito nel fascicolo personale del dirigente anche ai fini delle valutazioni di professionalità e della conferma.
[2] Quanto all’individuazione delle attività riconducibili al coordinamento dei gruppi di lavoro, nella risposta a quesito di cui alla delibera del 17.11.2021, il Consiglio ha avuto modo di precisare che “…. – sebbene la circolare non individui tutti gli specifici compiti in cui si possono estrinsecare le funzioni di coordinamento - dagli artt. 4 e 5 è possibile ricavarne il contenuto essenziale. Tali funzioni, invero, consistono, a titolo esemplificativo – oltre che in tutte le attività tese a promuovere e garantire l’efficace coordinamento fra i componenti dei gruppi di lavoro, l’eventuale elaborazione di protocolli investigativi ed organizzativi, lo svolgimento di riunioni periodiche tra i magistrati dei singoli gruppi di lavoro, al fine di realizzare lo scambio di informazioni sull’andamento dell’ufficio e sui fenomeni criminali, sulle novità giurisprudenziali e le innovazioni legislative, sull’andamento del servizio - nei compiti di assegnazione e/o coassegnazione degli affari; di risoluzione dei contrasti in ordine all’assegnazione degli affari all’interno del gruppo di lavoro o tra differenti gruppi; di apposizione del visto e/o dell’assenso; di direzione, indirizzo e coordinamento investigativo; di verifica periodica della distribuzione dei carichi di lavoro, al fine di assicurarne la costante equità nel rispetto degli obiettivi di funzionalità ed efficienza dell’ufficio; di convocazione di riunioni periodiche di coordinamento tra i sostituti e con la polizia giudiziaria, finalizzate alla omogeneità delle soluzioni investigative ed interpretative; di istituzione di specifici obblighi di riferire e fornire informazioni; di cura del rispetto dei criteri di assegnazione degli affari e della loro distribuzione in modo equo e funzionale ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. a) e dell’art. 7, comma 3.
Ciò chiarito, si desume che il coordinatore del gruppo di lavoro non potrà che essere il magistrato – l’aggiunto o, nei limiti in cui consentito dalla circolare, il sostituto - deputato allo svolgimento di tutti i predetti compiti (o anche solo parte di essi), senza possibilità di ipotizzare l’ulteriore sub delega, anche parziale, di tali compiti di coordinamento organizzativo a figure alternative sottratte alla disciplina del coordinatore delineata dalla normazione secondaria (quali, ad esempio, magistrati collaboratori, magistrati di riferimento, referenti e simili)”.
[3] Ai sensi dell’art. 4 comma 1 lett. b) circ. proc., il Procuratore della Repubblica, quando non ritiene di assumerlo direttamente, affida il coordinamento di ciascun gruppo di lavoro ad un Procuratore Aggiunto, seguendo il procedimento previsto dal successivo art. 5; qualora non sia prevista in pianta organica la presenza di uno o più Procuratori Aggiunti o non sia possibile, per specifiche ed obiettive ragioni espressamente individuate, affidare il coordinamento ad un Procuratore Aggiunto ed appaia indispensabile per il buon funzionamento dell’Ufficio, delega per lo svolgimento di tali funzioni un magistrato coordinatore; il Procuratore, quando affida il coordinamento di un gruppo ad un sostituto procuratore, motiva espressamente in ordine alle ragioni della decisione, procede preventivamente ad interpello, indica i criteri di individuazione del magistrato coordinatore e la durata dell’incarico affidato in funzione delle esigenze organizzative che lo hanno determinato, attenendosi alle modalità disciplinate nella presente circolare; l’incarico di coordinamento di un gruppo di lavoro non può avere durata superiore a due anni e non è prorogabile, salvo che per ulteriori sei mesi per specifiche ed imprescindibili esigenze di servizio.
[4] Come visto, con delibera del 16.6.2022, il Consiglio ha modificato l’art. 7, comma 4,lettere a) e b), circ. proc. (cfr paragrafo 4.2).
[5] L’art. 19 del DLvo n. 160 del 30 gennaio 2006, come modificato dall'art. 5 della legge 30 luglio 2007 n. 11, ha introdotto per i magistrati che esercitano funzioni di primo e secondo grado nuove regole per il periodo di permanenza massimo nella stessa posizione tabellare per quanto riguarda gli uffici giudicanti o nel medesimo gruppo di lavoro per quanto attiene agli uffici requirenti.
Questo Consiglio ha dato attuazione alla disposizione del citato art. 19 con il regolamento approvato in data 13 marzo 2008 e succ. mod. all’11 febbraio 2015. Il Regolamento – che si applica alle procure della Repubblica composte da magistrati in numero superiore a otto unità compreso il procuratore della Repubblica e alle direzioni distrettuali antimafia (art. 2) – disciplina la “Proroga dello svolgimento delle medesime funzioni” (art. 3) e il “Computo dei termini di permanenza e modalità di rientro” (art. 4), con l’indicazione delle cause sospensive e con le precisazioni che “La sospensione dei termini di permanenza massima non potrà comunque avere durata complessiva superiore agli anni due” e che “Il magistrato trasferito a seguito del superamento dei termini massimi di cui all’art. 2 può tornare nella medesima posizione tabellare o nello stesso gruppo di lavoro soltanto dopo che siano trascorsi cinque anni dalla presa di possesso nel nuovo incarico”.
Con delibera consiliare del 14 dicembre 2011, inoltre, il Consiglio ha ribadito l'inderogabilità del termine fissato con delibera del 13 marzo 2008 in materia di permanenza nell'incarico presso lo stesso ufficio (gruppo di lavoro), pur prevedendosi la possibilità che le procedure per l'avvicendamento dei gruppi siano portate a compimento successivamente, entro un termine comunque non eccedente i sei mesi.
[6] Per le sole Procure distrettuali, la lettera k) dell’art. 7, comma 4, circ. proc., prevede l’indicazione dei criteri per il funzionamento e l’assegnazione dei procedimenti della D.D.A. e delle sezioni antiterrorismo, nel rispetto della specifica disciplina primaria e, rispettivamente, della parte VI della presente circolare e della vigente risoluzione in materia di antiterrorismo del 16 marzo 2016.
[7] L’art. 25 commi 2, 3 e 4 prevede in proposito che:
2. Il provvedimento di co-assegnazione di un procedimento per reati indicati nell’art. 51, comma 3 bis, c.p.p. a magistrato non componente della D.D.A. è adottato dal Procuratore della Repubblica, o dal suo delegato preposto all’attività della Direzione con decreto specificamente motivato in relazione alla competenza del sostituto co-assegnato in specifici settori di indagine complementari, tenendo anche conto dell’esigenza di promuovere, attraverso la rotazione nella co-assegnazione, una formazione diffusa nella specifica materia.
3. L’assegnazione di cui al comma 2 deve avere riguardo alla necessità di disporre, nella trattazione del procedimento, di specifiche professionalità ulteriori e diverse rispetto a quelle proprie dei magistrati della D.D.A., ovvero di far fronte all’esigenza di un’equa ripartizione del carico di lavoro o, ancora, di non disperdere le conoscenze del magistrato che abbia avviato le indagini nell’ambito di diversa sezione dell’ufficio. Nella co-assegnazione dei procedimenti di cui al comma 2 il Procuratore della Repubblica ha cura di valorizzare le specifiche professionalità ed attitudini dei magistrati dell’ufficio e, al tempo stesso, di assicurare agli stessi pari opportunità di accesso.
4. L’assegnazione non può essere disposta nelle fasi successive alle indagini preliminari, salvo che ricorrano motivate ragioni che impediscano al magistrato titolare del procedimento o ad altro facente parte della D.D.A. di intervenire all’udienza.
[8] Ai sensi della risoluzione del 16 marzo 2016 il modulo organizzativo da adottarsi in materia di antiterrorismo può essere variamente articolato in autonome sezioni specializzate o semi specializzate, in gruppi di lavoro interni a singole sezioni o trasversali a più sezioni, nell’inglobamento della competenza antiterrorismo nella DDA; i procedimenti per reati di <terrorismo>, possono anche essere inseriti nelle sezioni competenti per i reati in materia di immigrazione, o nell’ambito dei reati in materia finanziaria, o, ancora, legati alla trattazione dei reati in materia di sostanze stupefacenti, ecc..
[9] Con particolare riguardo a: l’interpello; la valutazione comparativa delle attitudini e delle esperienze professionali nell’ambito di un provvedimento motivato; i limiti temporali di permanenza; la verifica periodica del contributo individuale offerto e dei risultati conseguiti dal magistrato; la comunicazione al CSM delle nomine, delle variazioni e delle verifiche periodiche.
[10] L’articolo 46 della circolare, al comma 2 lettera b), prevede che agli uffici requirenti si applicano altresì le specifiche disposizioni contenute nella circolare in materia di supplenze, assegnazioni, applicazioni e magistrati distrettuali (adottata con delibera del 20 giugno 2018 e s.m.). Tale circolare, all’art. 22 (Indicazione dei supplenti nelle proposte tabellari e nei progetti organizzativi) prevede:
1. Le proposte tabellari e i progetti organizzativi devono indicare i magistrati destinati a svolgere compiti di supplenza nelle ipotesi di mancanza o temporaneo impedimento di quelli previsti quali titolari delle funzioni, in modo da permettere l’automatica identificazione del supplente per ciascun magistrato.
2. A tal fine, ove manchi l’indicazione nominativa specifica, vanno indicati i criteri oggettivi da osservare nell’adozione del provvedimento di supplenza, con specifico riguardo alle modalità di scelta del supplente.
Il successivo art. 23 (Casi di supplenza) prevede che si può fare ricorso alla supplenza nei casi di:
a) assenza o impedimento temporanei;
b) assenza superiore a quindici giorni, originata da aspettativa per malattia o per motivi di famiglia, ove non sia possibile provvedere mediante la destinazione di magistrati distrettuali;
c) assenza superiore a trenta giorni nei casi di congedo previsto dalla legge 8 marzo 2000, n. 53e successive modifiche, ove non sia possibile provvedere mediante la destinazione di magistrati distrettuali.
[11] L’art. 1, comma 3, D. Lvo n. 106/2006 stabilisce che “Il procuratore della Repubblica può designare, tra i procuratori aggiunti, il vicario, il quale esercita le medesime funzioni del procuratore della Repubblica per il caso in cui sia assente o impedito ovvero l'incarico sia rimasto vacante”.
L’art. 109 Ord. Giud. (Supplenza di magistrati del pubblico ministero), prevede che “In caso di mancanza o di impedimento: del procuratore generale, regge l'ufficio l'avvocato generale o il sostituto anziano; del procuratore della Repubblica, ove non sia stato nominato un vicario, regge l'ufficio il procuratore aggiunto o il sostituto anziano; di tutti o alcuni dei magistrati degli uffici del pubblico ministero del distretto, il procuratore generale presso la corte di appello può disporre che le relative funzioni siano esercitate temporaneamente da altri magistrati di altri uffici del pubblico ministero del distretto”.
[12] Ai sensi dell’art. 8, comma, 1, circ. proc., l’iter procedimentale di elaborazione del progetto organizzativo prevede: la comunicazione della proposta di progetto organizzativo ai magistrati dell’ufficio almeno quindici giorni prima dell’assemblea generale; la trasmissione della medesima proposta al Presidente del tribunale; la tenuta dell’assemblea generale, con redazione ed allegazione del relativo verbale; la comunicazione del provvedimento organizzativo, all’esito dell’assemblea, ai magistrati dell’ufficio e al Presidente del Tribunale; la presentazione di eventuali osservazioni entro quindici giorni dall’avvenuta comunicazione; l’adozione del decreto, decorso tale termine, dando conto delle eventuali osservazioni; la comunicazione del decreto finale ai magistrati dell’ufficio.
[13] Le criticità, in particolare, hanno riguardato: l’interlocuzione con i magistrati dell’ufficio; il termine dei 15 giorni antecedenti la convocazione dell’assemblea per la comunicazione della proposta; la convocazione dell’assemblea generale; la trasmissione della proposta e poi del provvedimento al Presidente del Tribunale e/o ai magistrati; l’allegazione del verbale di assemblea.
[14] Posta, infatti, la eventualità e discrezionalità della scelta del Dirigente di individuare settori di affari da assegnare ad un gruppo di magistrati (art. 1 comma 6 lettera b, del D.lvo 106/06), appare chiaro che – ove il Procuratore si avvalga dell’opzione di individuare i gruppi di lavoro – essi dovranno avere ad oggetto “specifici settori di affari, individuati con riguardo ad aree omogenee di procedimenti ovvero ad ambiti di attività dell’ufficio che necessitano di uniforme indirizzo”, per espressa previsione dell’art. 1 comma 4 del D.lvo 106/06.
L’omogeneità e la uniformità cui la citata disposizione fa riferimento non possono che essere intese sotto il profilo oggettivo, dunque con riferimento a categorie di reati, o di beni giuridici lesi ovvero ancora di indirizzi e azioni investigative e giammai sotto il profilo meramente soggettivo dell’appartenenza degli autori, di qualsivoglia reato, ad una determinata categoria (nel caso di specie la polizia giudiziaria). Diversamente opinando, infatti, si legittimerebbero palesi violazioni dei principi di uguaglianza e parità di trattamento, sia dal punto di vista degli indagati e delle persone offese, sia dalla prospettiva dei magistrati, tanto quelli specializzati in settori specifici, quanto quelli chiamati a comporre il predetto gruppo di lavoro, con conseguente detrimento della loro professionalità.
[15] L’art. 5 comma 9 prevede che “Le previsioni della presente circolare relative al Procuratore Aggiunto si applicano, in quanto compatibili, al magistrato dell’ufficio a cui sono conferiti, previo interpello, dal Procuratore della Repubblica deleghe e compiti di collaborazione e coordinamento. Per lo svolgimento degli incarichi attribuiti ai sensi del presente comma non è, tuttavia, consentita alcuna riduzione del lavoro giudiziario”.
[16] L’art. 8 comma 11 prevede che “Il conferimento di incarichi di coordinamento o di collaborazione, anche in campo amministrativo, costituisce una modifica del progetto organizzativo ed è disposto con provvedimento motivato, a seguito di interpello. Si applica il procedimento per l’adozione delle variazioni al progetto organizzativo previsto al comma 2”.
[17] In proposito è doveroso segnalare che l’art. 15 della circolare circoscrive i principi e criteri (stabiliti dal Procuratore nel progetto o all’atto della prima assegnazione) la cui violazione da parte del sostituto può sfociare nella revoca dell’assegnazione, alla sola fase delle indagini; in realtà, la normativa primaria non prevede tale limitazione (l’art. 2 parla infatti di generica “attività” e “modalità di esercizio”); non a caso, la Risoluzione del 2009 contemplava tra le ipotesi di revoca anche il contrasto circa l’esercizio dell’azione penale, oggi escluso dall’art. 15.
[18] Per effetto della prerogativa di assenso legislativamente riconosciuta al Procuratore della Repubblica, non è neppure consentito procedere all'inoltro della richiesta di una misura cautelare personale in difetto di assenso del capo dell'ufficio, presupponendo necessariamente l'atto di inoltro che il tenore della richiesta venga previamente concertato fra il magistrato assegnatario del procedimento che l'ha formulata e il Procuratore della Repubblica che l'ha assentita.
[19] Cfr. sul punto Cass. Pen. SS.UU n.8388 del 24.2.2009.
[20] Cfr. sul punto Cass. Pen. SS.UU n.8388 del 24.2.2009.
[21] L’art. 1, comma 3, D. Lvo n. 106/2006 stabilisce che “Il procuratore della Repubblica può designare, tra i procuratori aggiunti, il vicario, il quale esercita le medesime funzioni del procuratore della Repubblica per il caso in cui sia assente o impedito ovvero l'incarico sia rimasto vacante”.
L’art. 109 Ord. Giud. (Supplenza di magistrati del pubblico ministero), prevede che “In caso di mancanza o di impedimento: del procuratore generale, regge l'ufficio l'avvocato generale o il sostituto anziano; del procuratore della Repubblica, ove non sia stato nominato un vicario, regge l'ufficio il procuratore aggiunto o il sostituto anziano; di tutti o alcuni dei magistrati degli uffici del pubblico ministero del distretto, il procuratore generale presso la corte di appello può disporre che le relative funzioni siano esercitate temporaneamente da altri magistrati di altri uffici del pubblico ministero del distretto”.
[22] Per le sole Procure distrettuali, la lettera k) dell’art. 7 comma 4 prevede l’indicazione dei criteri per il funzionamento e l’assegnazione dei procedimenti della D.D.A. e delle sezioni antiterrorismo, nel rispetto della specifica disciplina primaria e, rispettivamente, della parte VI della presente circolare e della vigente risoluzione in materia di antiterrorismo del 16 marzo 2016.
[23] L’art. 25, commi 2, 3 e 4, prevede in proposito che:
2. Il provvedimento di co-assegnazione di un procedimento per reati indicati nell’art. 51, comma 3 bis, c.p.p. a magistrato non componente della D.D.A.è adottato dal Procuratore della Repubblica, o dal suo delegato preposto all’attività della Direzione con decreto specificamente motivato in relazione alla competenza del sostituto co-assegnato in specifici settori di indagine complementari, tenendo anche conto dell’esigenza di promuovere, attraverso la rotazione nella co-assegnazione, una formazione diffusa nella specifica materia.
3. L’assegnazione di cui al comma 2 deve avere riguardo alla necessità di disporre, nella trattazione del procedimento, di specifiche professionalità ulteriori e diverse rispetto a quelle proprie dei magistrati della D.D.A., ovvero di far fronte all’esigenza di un’equa ripartizione del carico di lavoro o, ancora, di non disperdere le conoscenze del magistrato che abbia avviato le indagini nell’ambito di diversa sezione dell’ufficio. Nella co-assegnazione dei procedimenti di cui al comma 2 il Procuratore della Repubblica ha cura di valorizzare le specifiche professionalità ed attitudini dei magistrati dell’ufficio e, al tempo stesso, di assicurare agli stessi pari opportunità di accesso.
4. L’assegnazione non può essere disposta nelle fasi successive alle indagini preliminari, salvo che ricorrano motivate ragioni che impediscano al magistrato titolare del procedimento o ad altro facente parte della D.D.A. di intervenire all’udienza.
[24] Ai sensi della risoluzione del 16 marzo 2016 il modulo organizzativo da adottarsi in materia di antiterrorismo può essere variamente articolato in autonome sezioni specializzate o semi specializzate, in gruppi di lavoro interni a singole sezioni o trasversali a più sezioni, nell’inglobamento della competenza antiterrorismo nella DDA; i procedimenti per reati di <terrorismo>, possono anche essere inseriti nelle sezioni competenti per i reati in materia di immigrazione, o nell’ambito dei reati in materia finanziaria, o, ancora, legati alla trattazione dei reati in materia di sostanze stupefacenti, ecc..
[25] In tale delibera il Consiglio ha chiarito che il Procuratore della Repubblica “deve adottare un provvedimento di sostituzione del magistrato nei casi previsti dall’art. 53 c.p.p. e cioè nei casi: di grave impedimento, di rilevanti esigenze di servizio ed anche in presenza delle situazioni tassativamente previste dall’art. 36 comma 1 lett. a), b), d) ed e), c.p.p. e ciò non solo con riferimento all’attività dibattimentale di udienza (come previsto dagli artt. 53 c.p.p. e 12 circ. proc.), ma anche a quella investigativa propria della fase delle indagini preliminari in ragione di quanto previsto dall’art.372 lett. b) c.p.p. che attribuisce il potere di avocazione delle indagini al Procuratore generale presso la Corte di appello ove il Procuratore della Repubblica abbia omesso di provvedere alla tempestiva sostituzione del magistrato nei casi previsti dall’art.36 comma 1 lettera a), b) d) ed e)”.
[26] In tale delibera, anche in applicazione dei principi sanciti nella sentenza Cass. Pen. SS.UU n. 8388 del 24.2.2009 (cfr paragrafo 5.3, lett. i), il Consiglio ha chiarito: “è indubbio che, prevalendo in materia cautelare “la riserva di prerogativa del Procuratore della Repubblica, non è neppure consentito procedere all'inoltro della richiesta di una misura cautelare personale in difetto di assenso del capo dell'ufficio, presupponendo necessariamente l'atto di inoltro che il tenore della richiesta venga previamente concertato fra il magistrato assegnatario del procedimento che l'ha formulata e il Procuratore della Repubblica che l'ha assentita”; conseguentemente “laddove si prospetti, per contro, un conflitto in merito alla più incisiva delle modalità di esercizio dell'attività relativa alla trattazione di un procedimento assegnato al sostituto (appunto la richiesta di misura cautelare)”, la vicenda va doverosamente incanalata lungo i binari segnati dall'art. 2, comma 2 d.lgs. n. 106/06, e, quindi, trova applicazione la disciplina procedimentale in tema di <contrasto> e di <revoca> dell'assegnazione (art. 15 circ. proc.).
[27] Dopo il 2006 - con le risoluzioni del 2007 e del 2009, poi con la circolare del 2017 ed ancora, nuovamente con le modifiche del 2020 e del 2022 - il Consiglio vi ha comunque provveduto ma, come visto, giustificando tale prerogativa facendo leva sul proprio ruolo di “vertice organizzativo” dell’ordine giudiziario, deputato pertanto ad esercitare i poteri di indirizzo (nel caso di specie, nei confronti dei titolari degli uffici di procura in relazione alla formazione del progetto organizzativo) allorquando «sono in gioco attribuzioni che concorrono ad assicurare il rispetto delle garanzie costituzionali», espresse dagli artt. 105 e 112 della Costituzione.
[28] Il Modulo standard deve essere predisposto anche per il parere del Consiglio Giudiziario, in relazione al quale deve contenere “i soli dati concernenti le criticità”.
[29] Sebbene, come visto, ante riforma 2006 l’approvazione era una conseguenza del controllo sulla conformità dei progetti ai criteri generali stabiliti dal Consiglio ma non era esplicitamente prevista come per le tabelle (cfr nota 11).
[30] Si tratta della circolare adottata con delibera del 16.11.2017, come modificata con delibera del 16.12.2020 e poi nuovamente con delibera del 16.6.2022 (indicata come circ. proc.).
[31] Ci si riferisce a quelle, indicate dall’art. 7 comma 4 circ. proc., di seguito indicate:
e) i criteri per l’assegnazione di singoli atti nei procedimenti assegnati al Procuratore e al Procuratore aggiunto;
f) i compiti e le attività delegate ai V.P.O.;
g) il procedimento di esercizio delle funzioni di assenso sulle misure cautelari, in ossequio a quanto disposto dall’art. 13;
h) la previsione dei visti informativi, di cui all’art. 14 della presente circolare, e delle ipotesi in cui è fatto obbligo al sostituto assegnatario di riferire;
…..
j) i criteri generali ai quali i magistrati addetti all'ufficio devono attenersi nell'impiego della polizia giudiziaria, nell'uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l'ufficio può disporre;
k) per le sole Procure distrettuali, l’indicazione dei criteri per il funzionamento e l’assegnazione dei procedimenti della D.D.A. e delle sezioni antiterrorismo, nel rispetto della specifica disciplina primaria e, rispettivamente, della parte VI della presente circolare e della vigente risoluzione in materia di antiterrorismo;
l) le previsioni relative al rispetto del termine massimo di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio, nel rispetto di quanto previsto dal regolamento di cui alla delibera 13.3.2008 e successive modifiche.
5. Il progetto organizzativo contiene eventualmente:
…..
b) i criteri generali di funzionamento dell’unità organizzativa deputata all’attività di intercettazione e le modalità di accesso e di funzionamento dell’archivio digitale;
…..
d) i criteri ai quali i Procuratori Aggiunti e i magistrati dell'ufficio devono attenersi nell'esercizio delle funzioni vicarie o di coordinamento o comunque loro delegate dal capo dell'ufficio;
e) i protocolli investigativi interni in relazione a settori omogenei di procedimenti.
Nonché a quelle di cui all’art 7, comma 6, circ. proc., a seguire riportato:
6. Nel progetto organizzativo il Procuratore della Repubblica individua altresì̀ i criteri di assegnazione dei procedimenti ed i protocolli organizzativi e procedimentali degli affari civili, nel rispetto, in quanto compatibili, delle previsioni in materia contenute nella risoluzione prevista dall’art. 46 della presente circolare. Il Procuratore della Repubblica indica altresì̀ le modalità̀ per una costante interlocuzione dell’ufficio con la Procura per i minorenni sia in materia penale che in materia civile.
[32] Il tema delle priorità, infatti, solo implicitamente è stato affrontato dal legislatore nel 2006: l’art. 1 del d.lvo 106/2006, attribuiva al Procuratore della Repubblica il potere-dovere di determinare i criteri di organizzazione dell’ufficio ed altresì i criteri cui dovevano attenersi i sostituti procuratori (o gli eventuali Procuratori aggiunti) nell’esercizio delle deleghe da lui conferite; l’art. 4 del citato decreto gli attribuiva inoltre il potere (non l’obbligo) di definire nel progetto organizzativo dell’ufficio i criteri generali da seguire per l’impostazione delle indagini in relazione a settori omogenei di procedimenti. Da tali previsioni derivava, sia pure implicitamente, il potere di stabilire le priorità nella trattazione degli affari penali, segnando il passaggio da una previsione necessariamente transitoria (quale quella afferente all’istituzione del giudice unico) ad una situazione strutturale.
La questione veniva infine nuovamente ripresa nel 2008 con il d.l. n. 92, convertito in legge n. 125/2008, che riformulava l’art. 132 bis disp.att. c.p.p., introducendo indicazioni vincolanti, per i soli uffici giudicanti, in tema di formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi, con attribuzione di priorità assoluta a talune tipologie di reato connotate da speciale gravità. Tale disposizione veniva ulteriormente integrata con il d.l. 93/2013 convertito nella legge n. 119/2013.
[33] L’art. 3 bis, d.att. cpp, introdotto dal D.lvo 10 ottobre 2022, n. 150, in vigore dal 30/12/2022, dispone che “Nella trattazione delle notizie di reato e nell'esercizio dell'azione penale il pubblico ministero si conforma ai criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell'ufficio”.
Ai sensi dell’art. 127 bis disp.att. c.p.p., inserito dal medesimo D.lvo, “Nel disporre l'avocazione delle notizie di reato nei casi previsti dagli articoli 412 e 421 bis , comma 2, del codice, il procuratore generale presso la corte di appello tiene conto dei criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell'ufficio della procura della Repubblica che ha iscritto la notizia di reato”.
L’art. 88 bis del d.lvo n. 150/2022 (“Disposizioni transitorie in materia di indagini preliminari”) chiarisce poi che “1. Le disposizioni degli articoli 335-quater, 407-bis e 415-ter del codice di procedura penale, come introdotte dal presente decreto, non si applicano nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto”; il decreto è entrato in vigore il 30.12.2022 sicché le citate novità trovano applicazione ai procedimenti iscritti a decorrere dal 31.12.2022.
[34] Attualmente i criteri di priorità sono disciplinati dalle delibere del 9 luglio 2014 e dell’11 maggio 2016, riguardanti, rispettivamente, i “criteri di priorità nella trattazione degli affari penali” e le “linee guida in materia di criteri di priorità e gestione dei flussi di affari - rapporti fra uffici requirenti e uffici giudicanti” (recepite al comma 3 dell’art. 3 della vigente Circolare sulle procure).
Più recentemente, è stata adottata la delibera del 21 dicembre 2021 (risposta ai quesiti sul carattere vincolante o meno dei protocolli attuativi delle Linee guida in materia di trattazione dei procedimenti penali e di priorità), con la quale il Consiglio ha risposto ai quesiti posti in tema di priorità, nei termini seguenti:
a) nel perseguimento dell’obiettivo di garantire uniformità ed omogeneità all’azione complessiva dell’ufficio, il dirigente dell’ufficio requirente, in materia di priorità, può individuare le tipologie di procedimenti a trattazione anticipata e quelle a trattazione postergata; può altresì fornire ai magistrati dell’ufficio indicazioni generali circa gli astratti presupposti per l’applicazione di istituti processuali deflattivi; dette direttive costituiranno un necessario criterio di riferimento per i magistrati dell’ufficio relativamente all’indicazione dei procedimenti prioritari, ferma la possibilità per il singolo sostituto di valutare, con prudente apprezzamento, se le peculiarità del caso concreto giustifichino la deroga a tale criterio di riferimento, informando in tal caso il Procuratore della Repubblica nei casi più rilevanti, nell’ambito dei rapporti di leale collaborazione con la dirigenza dell’ufficio; per la residua parte varranno come criteri generali ed astratti di orientamento;
b) i protocolli tra dirigenti degli uffici giudicanti e requirenti, contenenti la formalizzazione delle intese intervenute in materia di priorità, sono ammissibili, costituendo coerente attuazione del principio della condivisione e della necessaria interlocuzione tra uffici, espresso nell’art. 3, co. 3, della Circolare sulle Procure e nelle delibere del 2014 e del 2016, in esso richiamate. Tali accordi possono avere ad oggetto: 1) i criteri di priorità (in essi sempre incluse quelle indicate all’art. 132 bis cit.), intesi come graduazione temporale dell’ordine di trattazione dei procedimenti, con individuazione di quelli cui va attribuita precedenza e di quelli postergati; 2) altre soluzioni organizzative, funzionali alla celere ed efficiente definizione dei giudizi e dei procedimenti, compresa l’indicazione, nel rigoroso rispetto delle norme primarie, delle condizioni generali per il ricorso ad istituti deflattivi;
c) le previsioni dei protocolli, nei limiti in cui contengono soluzioni rientranti nei poteri organizzativi del dirigente dell’ufficio, ove recepite nel progetto organizzativo o in un atto ad hoc, adottato nel rispetto dell’iter indicato nelle delibere del 2014 e 2016, richiamate all’art. 3, co. 3, della Circolare sulle Procure, sono efficaci nei confronti dei magistrati dell’ufficio requirente come necessario criterio di riferimento, nella parte in cui indicano le priorità, ferma la possibilità per il singolo sostituto di valutare, con prudente apprezzamento, se le peculiarità del caso concreto giustifichino la deroga a tale criterio di riferimento, informando in tal caso il Procuratore della Repubblica nei casi più rilevanti, nell’ambito dei rapporti di leale collaborazione con la dirigenza dell’ufficio; per la residua parte varranno come criteri generali ed astratti di orientamento;
d) esula dai poteri del dirigente in materia di criteri di priorità e dall’ambito della possibile concertazione tra i dirigenti degli uffici l’indicazione di soluzioni processuali con diretta incidenza sul concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali sprovviste di adeguato supporto normativo di rango primario (quali, ad esempio, l’archiviazione c.d. processuale).
[35] L’art. 7 bis Ord. Giud. prevede l’immediata esecutività delle disposizioni tabellari e delle variazioni tabellari inerenti all’”assegnazione dei magistrati”.
[36] Direttiva in ordine alla efficacia delle tabelle degli uffici giudicanti e dei progetti organizzativi degli uffici requirenti conseguenti all’entrata in vigore della legge n. 71 del 17 giugno 2022.
[37] Si ricorda che, secondo il sistema tabellare, le variazioni ordinarie, urgenti e immediatamente esecutive sono esecutive, rispettivamente, dal momento dell’approvazione del Consiglio, del parere favorevole unanime del consiglio giudiziario, dall’adozione, indipendentemente dal parere favorevole o meno dell’organo di autogoverno locale.
[38] Non destano particolari problemi, invece, le eventuali osservazioni formulate dal Ministro della Giustizia ai sensi dell’art. 11 della legge n. 195 del 1958: esse, infatti, potranno essere presentate – come previsto per le tabelle – all’esito della pubblicazione della proposta di delibera consiliare relativa all’approvazione (o meno) del progetto organizzativo nell’ordine del giorno ordinario del plenum; la pubblicazione, almeno 5 giorni prima della seduta plenaria, consentirà al Ministero di effettuare le sue valutazione e, se del caso, formulare osservazioni al consiglio in seduta plenaria, conformemente al disposto del richiamato art. 11 della legge n. 195/1958.
[39] Con la nuova circolare, in particolare, il Consiglio dovrà:
a) regolamentare il nuovo meccanismo del c.d. silenzio assenso (dopo l’esercizio della delega);
b) provvedere, ove possibile, a disciplinare l’eventuale approvazione parziale (per impedire la totale caducazione del documento organizzativo, ove risulti, solo in parte, non conforme alla normativa primaria e secondaria);
c) valutare di introdurre la distinzione tra variazioni ordinarie, urgenti e immediatamente esecutive (come avviene per le tabelle), al fine di non paralizzare l’attività delle procure;
d) verificare se introdurre, come nel sistema tabellare, l’obbligo di conformazione del Procuratore ai rilievi mossi dal Consiglio in sede di non approvazione (totale o parziale).
Sommario: 1. Il Decreto Legislativo n. 106/2006: l’affermazione della gerarchizzazione delle procure - 2. Le Risoluzioni del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009: la ‘resistenza’ del CSM alle spinte gerarchiche -3. La Circolare del 16 novembre 2017: dalla ‘direzione gerarchica’ alla ‘direzione funzionale’ delle procure - 3.1. I contenuti più significativi - 3.2. I risultati conseguiti: l’attenuazione della verticalizzazione - 4. La circolare del 16 dicembre 2020 e s.m.: un ulteriore passo verso la ‘direzione funzionale’ delle procure - 4.1. Gli aspetti rilevanti della circolare del 16 dicembre 2020 - 4.2. Le modifiche alla circolare del 16.12.2020: la delibera del 16 giugno 2022 sulla permanenza temporanea nei gruppi di lavoro.
1. Il Decreto Legislativo n. 106/2006: l’affermazione della gerarchizzazione delle procure
Per poter illustrare e comprendere le scelte consiliari adottate mediante atti di normazione secondaria è necessario contestualizzarle e, quindi, quantomeno accennare alla normativa primaria con cui il Consiglio si è dovuto confrontare.
Come noto, si deve al Decreto legislativo n. 106 del 2006 – adottato in attuazione dell'articolo 1, comma 1, lettera d), della legge 25 luglio 2005, n. 150, come modificato dalla legge n. 269 del 2006 – quella che siamo soliti chiamare la “gerarchizzazione degli uffici requirenti”: essa rappresenta il risultato finale di un complesso di regole volte a disciplinare in senso verticistico l’ambito organizzativo ed alcuni aspetti più squisitamente giurisdizionali degli uffici requirenti. Si tratta di regole che, attribuendo al procuratore l’esclusivo potere organizzativo generale dell’ufficio, prendono le distanze dalla condivisione delle scelte fra tutti i soggetti coinvolti, dall’esercizio diffuso delle prerogative di organizzazione, da ogni forma di controllo dell’organo di autogoverno locale e riducono il Consiglio a mero destinatario di atti e informazioni sui quali non è prevista alcuna autentica verifica.
I principali aspetti innovativi possono così essere sintetizzati:
* il Procuratore della Repubblica è «il titolare esclusivo dell’azione penale» (art. 1, c. 1) e ne «assicura il corretto, puntuale ed uniforme esercizio» (art. 2, c. 1); in origine persino «sotto la sua personale responsabilità» (poi eliminata dalla legge 269/06);
* la titolarità esclusiva e personale dell’azione penale in capo al Procuratore si concretizza con l’assegnazione (che la legge n. 269/2006 sostituisce all’originaria delega al sostituto) e trova completa espressione nei suoi amplissimi poteri organizzativi:
* viene abrogato l’art. 7-ter, c. 3, dell’O.g. (art. 7)[1], sottraendo gli uffici di Procura all’applicazione del ‘metodo tabellare’, e quindi ai poteri di controllo e di approvazione, rispettivamente, dei Consigli giudiziari e del Consiglio Superiore; sottraendo al Consiglio la prerogativa di fissare i criteri generali di organizzazione che viene rimessa in via esclusiva al Procuratore, l’organo di autogoverno diviene destinatario di una mera comunicazione dei progetti organizzativi e delle eventuali modifiche sopravvenute, sui quali si pronuncia con una “presa d’atto”, dunque, senza un potere di intervento che subordini l’efficacia del progetto ai rilievi dell’organo di autogoverno;
* viene abrogato l’art. 3 d.att. c.p.p., che disponeva la tendenziale concentrazione degli atti di un procedimento in capo al medesimo magistrato, consentendo di affermare la parziale autonomia, organizzativa e investigativa, del sostituto nella fase delle indagini (art. 7);
* il contrasto tra Procuratore e Sostituto viene disciplinato nel senso che «… se il magistrato non si attiene ai principi e criteri definiti in via generale o con l’assegnazione, ovvero insorge tra il magistrato ed il procuratore della Repubblica un contrasto circa le modalità di esercizio, il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l’assegnazione; entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presentare osservazioni scritte al procuratore della Repubblica» (art. 2, c. 2, come modificato dalla l. n. 269/2006, che ha eliminato la trasmissione degli ‘atti del contrasto’ al titolare dell’azione disciplinare); l’organo consiliare non è destinatario neppure di una ‘informazione’ e la soluzione del contrasto è ridotta ad un ‘fatto interno’, al contrario di quanto accadeva nel sistema pre-riformato, laddove, a fronte della revoca della designazione, il magistrato ben poteva adire il Csm e richiederne un intervento.
Il risultato è un controllo pieno su modalità ed esiti dell’indagine e sul sostituto che se ne occupa, cui non corrisponde per legge alcuna responsabilità, ma neppure alcun bilanciamento, alcun ‘controllo’, preventivo e successivo, alcun rimedio in caso di abuso: un concentrato di poteri che costituisce un unicum non ravvisabile in qualsivoglia altro settore della funzione pubblica.
2. Le Risoluzioni del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009: la ‘resistenza’ del CSM alle spinte gerarchiche
Per attenuare gli effetti gerarchici della riforma, il CSM, sin dal 2007, è intervenuto con atti volti a contenere i poteri del Procuratore, seppur con il limite insuperabile della preminenza della legge sulla sua eventuale eterointegrazione di fonte secondaria.
L’organo di autogoverno ha giustificato tale prerogativa facendo leva sul proprio ruolo di “vertice organizzativo” dell’ordine giudiziario, deputato pertanto ad esercitare i poteri di indirizzo (nel caso di specie, nei confronti dei titolari degli uffici di procura in relazione alla formazione del progetto organizzativo) allorquando «sono in gioco attribuzioni che concorrono ad assicurare il rispetto delle garanzie costituzionali», espresse dagli artt. 105 e 112 della Costituzione.
Con questi presupposti, ha pertanto adottato due Risoluzioni (del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009) – che formalmente rappresentano atti tesi a regolamentare le proprie attribuzioni - riconducendo a ragionevolezza funzionale i poteri gerarchici, assicurando l’indipendenza interna del singolo sostituto e garantendo un certo equilibrio tra esercizio delle prerogative organizzative e la sua verifica in sede di autogoverno.
In questo senso vanno letti i principi affermati nelle predette risoluzioni, che possono essere riepilogati nei seguenti termini:
E’ bene ricordare, peraltro, che nel frattempo, sopravviene la legge n. 111 del 30.7.07 che, tra l’altro, modificando l’art. 19 d.lvo 160/06[2], introduce la previsione della permanenza temporanea del P.M. nei gruppi di lavoro, da stabilirsi a cura del CSM tra un minimo di 5 e un massimo di 10 anni come per gli uffici giudicanti. Il CSM, con il regolamento adottato con delibera del 13.3.2008 (poi modificato in data 11.2.2015), ha fissato il termine di permanenza massima in 10 anni, limitandone l’applicazione ai soli uffici con più di 8 magistrati compreso il Procuratore.
3. La Circolare del 16 novembre 2017: dalla ‘direzione gerarchica’ alla ‘direzione funzionale’ delle procure
3.1. I contenuti più significativi
La ‘circolare’ del 16.11.2017 - atto ben diverso dalla ‘risoluzione’ cui il Consiglio aveva fatto ricorso fino a quel momento[3] - rappresenta «un nuovo, organico e sistematico intervento nella materia dell’organizzazione degli uffici requirenti», teso a dare attuazione ai principi espressi nella normativa primaria, completato dopo oltre due anni di lavoro e dopo il capillare monitoraggio dei progetti organizzativi di tutti gli uffici requirenti italiani, con l’individuazione e l’analisi delle prassi più diffuse.
Un insieme di regole di funzionamento precise, chiare, certe e prevedibili che, comunque, si pongono in continuità e progressione rispetto alle precedenti risoluzioni del 2007 e del 2009, tanto che nella relazione introduttiva si specifica che resta valido quanto contenuto nelle risoluzioni del 12.7.2007 e del 21.7.09.
Le innovazioni più rilevanti – in quanto espressive della diffusa esigenza di contenere la verticalizzazione, indirizzandola verso obbiettivi di funzionalità dell’ufficio e partecipazione orizzontale – riguardano in via generale:
Più in dettaglio, l’articolato (ben 25 disposizioni) fornisce maggiore chiarezza, prevedibilità ed omogeneità dei modelli gestionali e organizzativi attraverso le seguenti previsioni:
3.2. I risultati conseguiti: l’attenuazione della verticalizzazione
Quanto sinteticamente esposto nel precedente paragrafo consente di affermare che la circolare del 16.11.2017 ha attenuato significativamente i profili verticistici della riforma gerarchica del 2006[10]: il potere organizzativo del Procuratore, sebbene ancora di tipo verticale, è funzionalmente orientato, in quanto esplicitamente finalizzato ad intenti condivisi dall’ufficio, ispirato da un preciso quadro di valori di riferimento e destinato a manifestarsi in provvedimenti controllabili, attraverso precisi passaggi procedimentali. La originaria direzione gerarchica, pertanto, è divenuta direzione funzionale, la gerarchia direttiva ha lasciato il passo alla gerarchia funzionale. Insomma, l’idea di una forte verticalizzazione degli uffici di procura, che probabilmente aveva ispirato il legislatore del 2006, esce fortemente attenuata.
Resta, tuttavia, fermo il dato che il progetto organizzativo, a differenza delle tabelle degli uffici giudicanti, non è più soggetto ad approvazione (è perciò immediatamente esecutivo): è questo il “profilo gerarchico” più rilevante introdotto dalla riforma del 2006 e che, in quanto imposto dalla norma primaria (che ha abrogato l’art. 7 ter, comma 3, Ord. Giud.), il CSM ha potuto solo attenuare.
Il Consiglio, invero, con la circolare del 2017, per un verso ha provveduto a perimetrare e contenere entro limiti di legittimità, ragionevolezza e coerenza, l’ambito di operatività della prerogativa, esclusivamente rimessa al Procuratore, di determinare i criteri generali di organizzazione dell’ufficio (con il progetto organizzativo); per altro verso, ha introdotto un rigoroso controllo, successivo all’adozione del progetto, che tuttavia non può che concludersi con una delibera di presa d’atto, di natura non vincolante (a differenza dell’approvazione).
Nello stesso periodo e sotto la vigenza del medesimo ordinamento giudiziario, quindi, per gli uffici giudicanti, il Consiglio determina i criteri generali di organizzazione (con la circolare sulle tabelle) e le tabelle sono soggette all’approvazione consiliare, con obbligo di conformazione nel caso di non approvazione; per gli uffici requirenti, invece, il Consiglio non può far altro che assumersi l’onere di “contenere” e “limitare” il potere del procuratore di determinare i criteri generali di organizzazione (con la circolare del 2017) e i progetti organizzativi sono soggetti alla mera presa d’atto, cui non segue e non può seguire alcun obbligo conformativo, neppure in caso di gravi rilievi.
Tale impostazione, come vedremo nel prosieguo, è stata di recente stravolta dalla Riforma Cartabia[11].
Anche la tematica dei criteri di priorità assume estrema rilevanza sotto il profilo dell’impostazione verticistica: la riforma del 2006 non prevede esplicitamente i criteri di priorità che, introdotti nel 2008 (con l’art. 132 bis d.att. c.p.p. che riguarda gli uffici giudicanti), vengono considerati della circolare del 2017 quale contenuto solo eventuale del progetto organizzativo. Il difficile equilibrio tra i criteri di priorità e l’obbligatorietà dell’azione penale, come l’arduo compromesso tra potere diffuso dell’azione penale e logiche verticistiche delle scelte imposte dalle priorità[12] viene trovato e regolato dal CSM con diverse delibere. Si tratta di atti consiliari in cui si afferma sostanzialmente che, al di fuori dei criteri legali di priorità (ex art. 132 bis rimessi ai dirigenti degli uffici giudicanti), quelli ultra legali devono essere determinati nell’ambito di procedure condivise, possono consistere nella posticipazione della trattazione di taluni affari (giammai nell’accantonamento) e non hanno carattere strictu sensu vincolante.
Con la Riforma Cartabia (D.lvo n. 71/2022) e la Riforma penale (D.lvo n. 150/2022) assistiamo ad un’inversione di rotta: i criteri di priorità, per un verso, sono assoggettati ai criteri generali indicati dal Parlamento con legge; per altro verso, divengono parte integrante del contenuto necessario del progetto organizzativo e, come tali, sono determinati dal Procuratore della Repubblica nell’ambito dei principi generali stabiliti dal Consiglio (con circolare) e vincolano i sostituti.
Questo è il grande tema su cui confrontarsi oggi: il rischio, infatti, non è più il potere gerarchico del Procuratore (comunque contenuto nei limiti dei criteri generali del Parlamento e dei principi generali del Consiglio), ma la direzione verticistica del legislatore che orienterà la trattazione prioritaria di alcuni affari negli uffici requirenti (cfr paragrafo 6.2.1).
4. La circolare del 16 dicembre 2020 e s.m.: un ulteriore passo verso la ‘direzione funzionale’ delle procure
4.1. Gli aspetti rilevanti della circolare del 16 dicembre 2020
L’analisi dei progetti organizzativi del triennio 2017/2019, elaborati in sede di prima applicazione della circolare del 16.11.2017, e l’esame dei rilievi mossi da alcuni Consigli Giudiziari ha consentito alla Settima Commissione del CSM di individuare specifici punti sui quali intervenire al fine di chiarire o rafforzare le indicazioni della circolare vigente, sempre allo scopo di garantire i principi di trasparenza e responsabilità nella direzione dell’Ufficio di Procura, di autonomia, anche interna, dei magistrati dell’Ufficio e il ruolo di controllo e verifica del circuito del governo autonomo.
Con questi obiettivi, la circolare del 16.12.2020 ha:
*nell’assegnazione ai gruppi di lavoro;
*nell’assegnazione dei compiti di coordinamento ai procuratori aggiunti (e ai sosttuti);
*nell’assegnazione dei compiti di collaborazione;
*nell’assegnazione dei magistrati alla DDA;
* la previsione della natura eccezionale e temporanea dell’attribuzione di funzioni proprie dei semidirettivi a sostituti procuratori, in presenza di procuratori aggiunti in pianta organica;
* la previsione dell’obbligo per i procuratori aggiunti di svolgimento di ulteriori funzioni aggiuntive rispetto alle concorrenti competenze di direzione e coordinamento (con la indicazione espressa nel progetto organizzativo della percentuale della riduzione del lavoro giudiziario “ordinario”);
* il divieto di esonero per i magistrati sostituti coordinatori;
* l’onere del procuratore di provvedere ad idonee modalità di conservazione della documentazione relativa ai provvedimenti di assegnazione in deroga (auto assegnazioni, coassegnazioni successive, assegnazioni in deroga ai criteri stabiliti); e la connessa possibilità per il Consiglio di accedere a tale documentazione ai fini della valutazione del dirigente (in sede di conferma nell’incarico direttivo ovvero di procedura di conferimento di altro incarico);
* il dovere del procuratore di esplicitare nel progetto organizzativo i criteri con cui intende procedere alle co-assegnazioni dei procedimenti di competenza della DDA (con l’onere di custodire in modo idoneo presso l’ufficio la documentazione relativa ai provvedimenti di co-assegnazione a magistrati esterni alla DDA);
* le variazioni ‘non rilevanti’ (se ritenuto necessario dal Procuratore o dal CSM);
* i provvedimenti attuativi ‘rilevanti’ (il CSM può chiedere parere);
* i provvedimenti attuativi ‘non rilevanti’ (se ritenuto necessario dal CSM):
* i provvedimenti di revoca dell’assegnazione di un procedimento in caso di contrasto (art. 15) (il CSM può chiedere il parere in presenza di osservazioni);
* i provvedimenti di designazione alla DDA e di mancato rinnovo al termine del biennio della designazione di un magistrato alla DDA (art. 22 e 24) (il CSM può chiedere il parere).
La nuova circolare, infine, ha accorpato le regole di funzionamento della DDA, che va intesa come articolazione speciale posta all’interno di un ufficio unitario e ha introdotto una specifica disciplina per la DNA, che ricalca, da un lato, le articolazioni di una procura della Repubblica ed in particolare di una DDA; dall’altro, tiene conto di alcune delle scelte già ampiamente sperimentate nel corso degli anni e sviluppate con i più recenti progetti organizzativi dell’ufficio.
4.2. Le modifiche alla circolare del 16.12.2020: la delibera del 16 giugno 2022 sulla permanenza temporanea nei gruppi di lavoro
L’esame dei progetti organizzativi del triennio 2020/2022, iniziato nel gennaio 2022, ha consentito, per un verso, di constatare criticità nell’applicazione della previsione dell’art. 7 circ. proc., nella parte relativa alla permanenza temporanea nei gruppi di lavoro: l’indicazione si presentava generica e sembrava sovrapporsi alla ulteriore disposizione riguardante i termini massimi di permanenza (10 anni) nelle articolazioni in cui era organizzato l’ufficio, con riferimento al regolamento del 2008[14]; per altro verso, ha permesso di verificare la eterogeneità delle prassi applicative adottate nei progetti organizzativi, non sempre giustificate dalle dimensioni o da esigenze di funzionalità dell’ufficio.
La materia, pertanto, ha formato oggetto di una specifica modifica della circolare, adottata dal Consiglio con delibera del 16.6.2022, che ha innovato l’art. 7, comma 4, lettere a) e b), circ. proc., che oggi così dispone:
“Il progetto organizzativo costituisce il documento programmatico ed organizzativo generale dell’ufficio e contiene, in ogni caso:
a) la costituzione dei gruppi di lavoro per gli uffici composti da almeno otto sostituti e, ove possibile, anche per quelli con organico inferiore;
b) i criteri per la provvisoria assegnazione dei magistrati di nuova destinazione, nonché le regole per lo svolgimento dell’interpello, volto all’assegnazione dei Procuratori Aggiunti e dei sostituti procuratori ai gruppi di lavoro;
b.1) le regole sulla mobilità interna, prevedendo la permanenza temporanea nei gruppi di lavoro, per un periodo compreso tra un minimo ed un massimo ed in particolare: un anno, per le assegnazioni d’ufficio, due anni, per le assegnazioni a domanda, estensibili fino a tre anni, e per comprovate esigenze di servizio; dieci anni, per il periodo massimo;
b.2) i criteri di computo del periodo minimo di permanenza sopra indicato alla lettera b).1, così determinato: la decorrenza è dal giorno in cui il magistrato ha preso effettivo possesso nel gruppo specializzato da cui chiede di essere spostato; il termine finale è la data di scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione come prevista nell’interpello;
b.3) i criteri da applicare per l’assegnazione, a domanda, dei Procuratori Aggiunti e dei sostituti procuratori ai gruppi di lavoro, volti a garantire le esigenze di funzionalità dell’ufficio, nonché a valorizzare le specifiche attitudini dei magistrati;
b.4) i criteri da applicare per l’individuazione dei Procuratori Aggiunti e dei sostituti procuratori da assegnare d’ufficio ai gruppi di lavoro, per garantire la copertura dei posti rimasti senza aspiranti all’esito dell’interpello o per far fronte ad eccezionali e straordinarie esigenze di funzionalità dell’ufficio, da indicare con specifica motivazione;”.
Si è, dunque, colta l’occasione per:
[1] L’art. 7 ter, comma 3, o.g., prima della sua abrogazione, prevedeva che “Il Consiglio Superiore della magistratura determina i criteri generali per l’organizzazione degli uffici del pubblico ministero e per l’eventuale ripartizione di essi in gruppo di lavoro”
[2] In materia di permanenza nell'incarico presso lo stesso ufficio, l’art. 19 del d.lvo 160/2006 prevede che:
“1. I magistrati che esercitano funzioni di primo e secondo grado possono rimanere in servizio presso lo stesso ufficio svolgendo le medesime funzioni o, comunque, nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro nell'ambito delle stesse funzioni, per un periodo stabilito dal Consiglio superiore della magistratura con proprio regolamento tra un minimo di cinque e un massimo di dieci anni a seconda delle differenti funzioni; il Consiglio superiore può disporre la proroga dello svolgimento delle medesime funzioni limitatamente alle udienze preliminari già iniziate e per i procedimenti penali per i quali sia stato già dichiarato aperto il dibattimento, e per un periodo non superiore a due anni.
2. Nei due anni antecedenti la scadenza del termine di permanenza di cui al comma 1, ai magistrati non possono essere assegnati procedimenti la cui definizione non appare probabile entro il termine di permanenza nell'incarico.
2-bis. Il magistrato che, alla scadenza del periodo massimo di permanenza, non abbia presentato domanda di trasferimento ad altra funzione all'interno dell'ufficio o ad altro ufficio e' assegnato ad altra posizione tabellare o ad altro gruppo di lavoro con provvedimento del capo dell'ufficio immediatamente esecutivo. Se ha presentato domanda almeno sei mesi prima della scadenza del termine, può rimanere nella stessa posizione fino alla decisione del Consiglio superiore della magistratura e, comunque, non oltre sei mesi dalla scadenza del termine stesso”.
[3] La Risoluzione, secondo il Regolamento Interno del Consiglio, può avere ad oggetto la disciplina dell’esercizio delle proprie attribuzioni, cui devono attenersi le Commissioni e tutte le articolazioni consiliari, nell’esercizio delle rispettive attribuzioni, sinché non siano state modificate con successiva risoluzione.
La Circolare, invece, è emanata “per dare esecuzione o interpretazione alla legge e ai regolamenti, nonché per fornire criteri di orientamento sull’esercizio delle attribuzioni e della discrezionalità del Consiglio”.
[4] L’interpello è previsto, di regola, per l’assegnazione dei magistrati ai gruppi di lavoro; per la designazione degli aggiunti o dei sostituti al coordinamento dei gruppi; per gli incarichi di coordinamento e collaborazione.
[5]Specifiche e dettagliate procedure sono previste per: la designazione degli aggiunti o dei sostituti al coordinamento dei gruppi di lavoro (procedimento delle variazioni al progetto organizzativo di cui all’art. 8, comma 2); per la revoca della delega conferita all’aggiunto (procedimento di revoca dell’assegnazione di cui all’art. 15); la elaborazione del progetto organizzativo e delle relative variazioni; gli incarichi di coordinamento e collaborazione (come variazioni al progetto organizzativo); i provvedimenti attuativi del progetto organizzativo; la revoca dell’assegnazione di un procedimento.
[6] Il provvedimento motivato è previsto per: l’assegnazione dell’incarico di coordinamento del gruppo di lavoro; la revoca della delega di funzioni all’aggiunto; la nomina del Vicario (eventuale); la conferma del progetto organizzativo previgente; i provvedimenti attuativi adottati in deroga ai criteri del progetto organizzativo; la coassegnazione in una fase successiva alla prima assegnazione del procedimento; l’assegnazione di un procedimento in deroga ai criteri generali indicati nel progetto; la sostituzione del magistrato designato alla trattazione dell’udienza; la definizione del contrasto sull’assenso in materia di misure cautelari; la rinunzia all’assegnazione da parte del magistrato.
La motivazione è prevista, altresì, nei casi di auto assegnazione e di revoca dell’assegnazione o designazione, ma si tratta di ipotesi già contemplate dalle precedenti risoluzioni.
[7] Ai sensi dell’art. 8, comma 8, nel Fascicolo dell’organizzazione della Procura sono inseriti il progetto organizzativo, le sue conferme, le modifiche e variazioni, i provvedimenti sulle assegnazioni dei magistrati ai gruppi di lavoro e quelli che incidono sulle assegnazioni dei procedimenti ed ogni altro documento avente significativo riflesso sulla organizzazione interna, secondo le modalità informatiche disciplinate dal C.S.M..
[8] La relazione illustrativa della circolare in esame sottolinea che “proprio la natura del programma organizzativo, inteso quale regola generale dell’Ufficio e di attuazione delle scelte di autonomia direttiva, reclama una sua stabilità”. Solo attraverso la “stabilità organizzativa”, infatti, può essere garantita la riconoscibilità delle scelte organizzative da parte dei cittadini e degli operatori giudiziari nel loro complesso (avvocatura, uffici giudicanti, amministrazione). Del resto, i singoli magistrati componenti l’Ufficio, “devono poter confidare su uno strumento organizzativo stabile, comprensibile, agile e soprattutto funzionale alle strategie processuali e procedimentali imposte dal codice di rito e dalle prassi giudiziarie”.
Una frequente e sistematica emenda di tali regole, non dettata da concrete e comprovate esigenze e successiva alla predisposizione iniziale dell’assetto dell’Ufficio, sarebbe, al contrario, poco in linea con i principi ai quali il programma organizzativo deve essere ispirato, determinando “regole del caso concreto”, potenzialmente disfunzionali rispetto alla logica del riconoscimento delle prerogative direttive in capo al Procuratore della Repubblica e che, come tale, lungi dall’essere attuazione delle prerogative riconosciute al dirigente dal Legislatore, rappresenterebbe una sostanziale vanificazione della sua ratio ispiratrice.
E’ per questo che il contenuto, la tipologia, la frequenza, la motivazione delle successive modifiche, da adottarsi secondo la procedura di cui all’art. 8, sono sintomatiche dell’autentica capacità organizzativa del Dirigente ed espressione del regolare (o irregolare) andamento dell’ufficio.”.
[9] Si tratta delle norme della circolare sulle tabelle su: esoneri, tutela della genitorialità, maternità, malattia, tutela delle esigenze familiari e dei doveri di assistenza, collaborazione di un magistrato delegato, referente informatico, referente per la formazione, componente della STO, componente dei consigli giudiziari, benessere organizzativo.
[10] E’ indubbio, invero, che la circolare del 16.11.2017 abbia temperato i più seri aspetti gerarchizzanti che connotavano il D.lvo n. 106/2006, quali: l’individualismo decisorio (che oggi deve fare i conti con l’assemblea generale); l’assoluta separatezza con l’organizzazione tabellare dei giudici (di cui invece si assume la medesima valenza triennale); l’assenza originaria di controlli, ristetti alla vigilanza degli stessi vertici requirenti (superata da una rigorosa procedura di valutazione del Consiglio); l’inesistenza di procedure di gestione dell’ufficio (colmata dall’inserimento di molteplici fasi procedimentalizzate); la distanza dall’organo di autogoverno ed il difetto di ogni interlocuzione con esso (bilanciati da diverse ipotesi di interlocuzione nei casi di maggiore “frizione”); la carenza di ogni trasparente rimedio per le ipotesi di contrasto irrisolto tra dirigente e singolo sostituto (che ha lasciato il posto ad una articolata procedura volta alla soluzione); la mancanza di collegamento con scopi e valori costituzionali (collegamento che invece la circolare assicura orientando le forme di manifestazione del potere organizzativo del Procuratore al principio del buon andamento e imparzialità (97 cost.); ai principi di autonomia e indipendenza (101 e 104 cost.); a quello di inamovibilità per sede e funzione e pari dignità dei magistrati (107 cost.); ai principi di obbligatorietà dell’azione penale (112 cost.), giusto processo e ragionevole durata del processo (111 cost.), come espressamente previsto negli artt. 1 e 2, comma 1, e implicitamente affermato in altri moduli organizzativi regolati in altre disposizioni).
[11] La legge n. 71/2022, infatti, non solo ha riproposto per le procure il sistema esistente ante riforma 2006, ripristinando la prerogativa consiliare di fissare i criteri generali di organizzazione cui il Procuratore deve attenersi nella elaborazione dei progetti organizzativi, ma ha anche espressamente previsto che questi ultimi sono soggetti all’approvazione del CSM (ante 2006, l’approvazione era una conseguenza del controllo sulla conformità dei progetti ai criteri generali stabiliti dal Consiglio ma non era esplicitamente prevista come per le tabelle).
[12]Ci si riferisce alla questione della possibilità di coniugare il modello della direzione funzionale delle procure con le scelte in termini di criteri di priorità: può esserci il modello del primus inter pares, e quindi la totale indipendenza, all’interno di un ufficio in cui si devono operare scelte su cosa perseguire prima (o su cosa abbandonare in un armadio) o su cosa costituisce emergenza criminale per quella determinata area geografica?
[13] “Rilevanti” sono considerate le variazioni (o i provvedimenti attuativi) inerenti ai gruppi di lavoro, alla assegnazione agli stessi di sostituti e aggiunti, alla assegnazione di procedimenti in deroga, a revoca, assenso e visto. Con la nuova circolare sono state ritenute rilevanti anche le previsioni in materia di turni di servizio.
“Non rilevanti” sono le variazioni (o i provvedimenti attuativi) riguardanti ogni altro diverso ambito.
[14] Si ricorda che il Regolamento in materia di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio (Delibera del 13 marzo 2008 e succ.mod. all’11 febbraio 2015), con l’art. 1, esclude l’applicazione della normativa sul divieto di permanenza ultradecennale, al sostituto procuratore della Repubblica presso un ufficio di procura composto da magistrati in numero fino a otto unità compreso il procuratore della Repubblica e al sostituto procuratore generale presso la corte di appello.
L’art. 2, comma 1, stabilisce il termine massimo di permanenza di dieci anni nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro per i magistrati che svolgono, tra le altre, le funzioni:
- nelle procure della Repubblica composte da magistrati in numero superiore a otto unità compreso il procuratore della Repubblica;
- nella direzione distrettuale antimafia presso la procura della Repubblica.
L’art. 2, comma 2, prevede che “Il magistrato trasferito a seguito del superamento dei termini massimi di cui all’art. 2 può tornare nella medesima posizione tabellare o nello stesso gruppo di lavoro soltanto dopo che siano trascorsi cinque anni dalla presa di possesso nel nuovo incarico”.
Leggende metropolitane. Il Pm è il bersaglio di populisti e garantisti. Lo stesso giorno e sullo stesso caso possiamo leggere critiche al Pm inefficace, garantista peloso, per taluno, e, per altri, giustizialista forcaiolo.
Il Pm è oggetto privilegiato di leggende metropolitane.
Leggenda metropolitana n.1.
E' una peculiarità italiana il ruolo centrale assunto dal Pm e dalla magistratura tutta.
“Vi sono stati tempi e luoghi nei quali i protagonisti centrali della giustizia penale […] sono stati i giudici. Oggi le figure centrali nei sistemi di giustizia penale in gran parte del mondo appaiono essere sempre più i pubblici ministeri.[2]
Così si apre un recentissimo studio coordinato da due professori americani dal titolo Prosecutors and democracy. Quanto allo strapotere della magistratura italiana, risale a 30 anni fa uno studio coordinato da un professore americano e da uno svedese intitolato The global expansion of judicial power[3].
Guardare appena fuori dai confini dello stivale non sarebbe difficile e questa “peculiarità italiana” evaporerebbe.
Leggenda metropolitana n.2.
Parte da questo pseudo sillogismo. Premessa maggiore: il “modello del processo accusatorio” prescrive la regola a); premessa minore: l’Italia ha adottato quel modello; conclusione: la regola a) deve essere prescritta in Italia.
Sillogismo perfetto nel mondo dei concetti, ma su questa terra non si triva il “modello del processo accusatorio”.
Un esempio di scuola di fallacia sillogistica. Poi a seguire questi pseudosillogismi si dovrebbe introdurre l’obbligo di assumere la posizione di testimone per l’imputato che intendesse rendere dichiarazioni.
Una grande studiosa francese, recentemente scomparsa, Mireille Delmas-Marty già qualche anno fa scriveva che ormai si deve considerare superata la vecchia disputa, di tipo ’teologico’, tra i sostenitori del modello accusatorio e i sostenitori del modello inquisitorio, a vantaggio di un modello ‘contraddittorio’”.[4]
Il modello accusatorio puro non esiste neppure nel mondo anglosassone, che è sempre più differenziato. Nei film di Perry Mason la difesa distrugge la tesi dell’accusa e la giustizia trionfa: happy end. La realtà è altra Negli Stati Uniti circa il 97% dei casi è definito con patteggiamenti tra il prosecutor, che ha una discrezionalità illimitata persino sulla qualificazione del reato e l’indagato, con un intervento del tutto marginale del giudice. Lo “splendore” del processo dinanzi ai giurati ove accusa e difesa si fronteggiamento in leale battaglia nell’interrogatorio e controinterrogatorio dei testimoni è riservato al 3% dei casi, per di più con una discriminazione economica decisiva in favore di coloro che possono permettersi la costosissima difesa dell’avvocato privato. Si dice che in Italia vi siano 50 milioni di Commissari Tecnici pronti a dettare la formazione della Nazionale di Calcio. Non 50 milioni ma sono in molti ad essersi improvvisati esperti di ordinamento giudiziario e processuale penale comparato. Sono disponibili agevolmente disponibili diversi testi in inglese e anche in italiano. Ma un esercizio più facile e gradevole è rivedere qualche buon vecchio film, oggi facilmente scaricabile sul proprio pc con modica spesa.
Due famosi film del 1957 ci mostrano il rito accusatorio declinato in modo marcatamente diverso nel mondo anglosassone nei due lati dell’oceano: La parola ai giurati (Twenty Angry Men) di Sidney Lumet protagonista Henry Fonda ambientato a New York e Testimone d’accusa (Witness for the Prosecution) di Billy Wilder con Charles Laughton e Marlene Dietrich ambientato a Londra.
A New York un aggressivo e superficiale procuratore distrettuale, che deve rispondere ai suoi elettori vuole comunque un colpevole per la sedia elettrica. A Londra l’accusa è rappresentata da un avvocato barrister del libero foro in toga e parrucca.
Nei film di Perry Mason la giustizia trionfa: happy end. Non sempre purtroppo la giuria, “fa giustizia”: il difensore, impersonato da Gregory Peck può smontare tutte le tesi dell’accusa, ma vince il pregiudizio come vediamo nel drammatico finale del film del 1962 Il Buio oltre la siepe di Robert Mulligan.
Leggenda metropolitana n.3.
L'assetto italiano del PM è anomalia assoluta rispetto al "modello" di Pm comune a tutte le altre democrazie occidentali.
Il modello Statunitense del District attorney statale, per lo più eletto in lista di partito insieme al sindaco e allo Sceriffo, capo della polizia locale e dell’Attorney General federale di nomina poltica è unico all’interno dello stesso mondo anglosassone. La figura della pubblica accusa ha subìto in Inghilterra una innovazione sostanziale con la creazione nel 1986 del Crown Prosecution Service, sempre molto distante dal sistema americano. Ma a chi da Londra volesse muoversi per trovare un processo penale con significative varianti e addirittura residui del sistema inquisitorio basterebbe spostarsi poco più a nord nell’isola britannica e raggiungere Edimburgo. Il sistema del Pm di Inghilterra e Galles non si applica in Scozia. Il Regno Unito è alquanto disunito sulla figura del Pm.
Lo studio tuttora più approfondito sul Pm in Europa esordisce con la constatazione “Il pubblico ministero rimane l’istituzione più diversificata in Europa”.[5]
“Quante figure di pubblico ministero…” è il titolo del capitolo sul Pm di un volume sulle procedure penali d’Europa, pubblicato anche in versione italiana[6].
Semplicemente, un modello di Pm comune alle democrazie occidentali non c’è. Vi sono molteplici figure di pm, riti processuali tendenzialmente accusatori e tendenzialmente accusatori e non necessariamente i secondi sono più garantisti dei primi. La comparazione non è scienza di modelli ma richiede attenta considerazione e degli assetti costituzionali ed istituzionali complessivi e del “diritto vivente”, spesso diverso da quello dei testi. Nella comparazione non vi è spazio per dilettantismi
Problemi aperti.
Pm, “avvocato dell’accusa” si dice. La ulteriore forzatura polemica “avvocato della polizia” è del tutto incompatibile con il nostro sistema processuale e, ancor prima, con i principi costituzionali. Il Pm può essere definito” avvocato dell’accusa” solo che si precisi “avvocato della pubblica accusa” e dunque con ruolo e doveri radicalmente distinti dall’ “avvocato della difesa”. Il Pm ha un duplice volto: costruisce e sostiene l’accusa, ma come parte pubblica ha un dovere di verità che lo differenzia radicalmente dall’avvocato difensore.
L’obbiettivo del processo penale è ovunque quello di stabilire la verità. A far giustizia di sbrigative posizioni che taluno ha voluto trarre dai principi del processo accusatorio, giova una citazione da un testo del 2001 di Lord Justice Auld (all’epoca presidente di un Royal Commission sulla riforma del processo penale inglese):Il processo penale non è un gioco. E’ la ricerca della verità secondo la legge, attraverso una procedura accusatoria nella quale l’accusa deve provare la colpevolezza secondo uno standard particolarmente elevato.[7]
Con la riscrittura nel 1999 dell’art. 111 della Costituzione si è costituzionalizzato non il mitico modello del “processo accusatorio”, ma il metodo del contraddittorio che, come ha scritto Glauco Giostra “costituisce uno strumento, ancor oggi il meno imperfetto, per la ricerca della verità, o, meglio, per ridurre il più possibile lo scarto tra la verità giudiziale e la verità storica”.[8]
Nel processo di fronte al giudice nel dibattimento accusa e difesa concorrono nel confronto contraddittorio alla raccolta delle prove.
Per il difensore, ferme le regole procedurali, unico obbiettivo e insieme rigoroso obbligo deontologico è la difesa del cliente; per il Pm, a livello di regola processuale e di obbligo deontologico, unico obbiettivo è la ricerca della verità, anche se contrasti con la sua iniziale tesi accusatoria e si traduca in acquisizioni a favore dell’imputato.
“Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità” (art.111 co. 2 Costituzione).
Ma il principio di parità non opera a tutto campo: il Pm nella richiesta al Giudice dell’Indagine Preliminare di emettere una misura cautelare è tenuto a presentare “gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell'imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate” (art. 291 codice di procedura penale). Ovviamente al difensore è precluso rendere noti elementi a carico dell’imputato.
L’inevitabile asimmetria tra accusa e difesa ci richiama il concetto di Pm come “parte imparziale”, spesso sbrigativamente liquidato come ossimoro: “quintessenza del fariseismo giuridico”, “più il pubblico ministero è parte e più il cittadino è garantito” così si esprime un noto avvocato penalista.[9]
Se qualche magistrato nella foga polemica si spinge a dire che il mondo invidia il modello italiano di Pm dice una evidente sciocchezza. Ma la nostra Costituzione è stata lungimirante: il tema della imparzialità ovunque è visto come nodo centrale nella definizione della figura del Pm. Non è un caso che negli ultimi decenni vi sia stata una straordinaria proliferazione a livello internazionale di testi, tra i quali lo Statuto della Corte Penale Internazionale, che pongono il principio dell’imparzialità del Pm (declinata talora con il termine “obbiettività” in lingua inglese). [10]
Il regolamento istitutivo della Procura Europea (Eppo) richiama il principio di imparzialità all’art 5.4:” L’Eppo svolge le indagini in maniera imparziale e raccoglie tutte le prove pertinenti, sia a carico che a discarico”.[11]
In un lavoro di due noti avvocati torinesi, Gianaria e Mittone, il concetto di ossimoro è rivisitato proprio con riferimento al ruolo del difensore. La sua è una “lealtà divisa” vissuta quotidianamente rispettando tanto lo Stato quanto chi è accusato di averne violato le regole. Può sembrare un ossimoro che vuol nascondere ambiguità, ma praticare con rigore dedizione la “lealtà divisa” significa manifestare l'identità forte della professione di avvocato. Questi non può avere perplessità: il suo posto è accanto al cittadino coinvolto nelle strettoie della giustizia, la sua fatica consiste nello studiare e praticare le scelte a questo più favorevoli”.[12]
Il bel saggio dei due avvocati torinesi da cui ho tratto questa citazione è intitolato “L’avvocato necessario”. In un ordinamento penale democratico l’avvocato è necessario a rappresentare l’istanza di “libertà” contro la pretesa di “autorità” delle istanze che esprimono il legittimo monopolio della forza da parte dello Stato, su cui si regge la civile convivenza.
Nel processo l’avvocato non è solo necessario, ma indispensabile. Per il Pm è “indispensabile” il confronto con un avvocato difensore, agguerrito che sia capace di convincerlo della infondatezza della tesi di accusa, inducendolo richiedere la archiviazione della indagine o l’assoluzione all’esito del dibattimento; ma capace anche di stimolarlo ad argomentare la sua tesi nel modo più convincente davanti al giudice, quando il Pm rimanga fermo della sua impostazione di accusa
Difesa e accusa, avvocati e pubblici ministeri: principi comuni, ruoli e regole deontologiche specifici. Semplificazioni ed elusioni di temi difficili non giovano all’analisi.
L’indebito “protagonismo”, la scarsa professionalità di alcuni Pm, sono patologie che vanno affrontate. La questione del ruolo del Pubblico Ministero, che in Italia, come ovunque nel mondo, ha assunto un ruolo centrale nel sistema della giustizia penale, non la si risolve con gli slogan e le scorciatoie semplicistiche o surreali.
Vi è stato chi, muovendo da regole di galateo nei rapporti tra giudici e Pm che non dovranno più “darsi del tu” si è avventurato addirittura sul terreno dell’edilizia giudiziaria: “gli studi professionali non sono nel palazzo di giustizia. Non deve esistere un palazzo di giustizia ma uno della giurisdizione e l'altro degli uffici della pubblica accusa”. [13] Dovranno forse i futuri piani regolatori delle città prevedere distanze minime tra i rispettivi palazzi di giudici e Pm e magari “zone verdi cuscinetto”? Una alternativa al Superbonus per sostenere l’edilizia?
Il Presidente dell’Unione delle Camere penali in una recente intervista alla domanda “Come replica a chi dice che, con la separazione e i due Csm, i Pm avrebbero ancora più potere?” non ha esitato a rispondere: Bisogna smetterla di prendere in giro le persone. Questo non è un argomento serio. Chi ci garantisce dal pubblico ministero è il giudice. Il Pm può essere anche un poliziotto allo stato puro, un appartenente ad uno squadrone della morte, cosa che comunque non avverrebbe, ma non potrebbe fare nulla perché, se il giudice non è d'accordo, non può arrestare, non può sequestrare, non può adottare misure di prevenzione patrimoniale.[14]
Un Pm “poliziotto allo stato puro”, dotato di discrezionalità illimitata lo conosciamo già: è quello dell’ordinamento statunitense, che penso nessuno, proprio nessuno, auspichi di replicare da noi. E poi dove sono finite tutte le giuste osservazioni sul grande potere che il Pm esercita nella fase iniziale segreta delle indagini, fuori del controllo del giudice e senza contraddittorio con la difesa?
La foga polemica porta fuori strada e altrettanto le battute sull’arbitro che, si dice “indosserebbe la stessa maglia di una delle due squadre in campo”. Ma il processo non è una partita in cui uno perde e uno vince e non vi sono due simmetriche squadre in campo, tanto diversi sono principi, ruoli e deontologia di accusa e difesa. Il singolo Pm o il singolo difensore potrà ritenersi non appagato dalla decisione del giudice che non ha accolto la rispettiva richiesta e potrà fare appello. Ma in quanto figure processuali la pubblica accusa ha “vinto la causa” anche se l’imputato è stato assolto, dopo che l’accusa è stata anche appassionatamente (e correttamente) sostenuta e la privata difesa ha “vinto” la causa anche se l’imputato è stato condannato dopo che la difesa è stata appassionatamente (e correttamente) sostenuta. L’obbiettivo comune è che vinca la verità, o meglio, per riprendere le parole già citate di Glauco Giostra che “sia ridotto il più possibile o scarto tra la verità giudiziaria e la verità storica”.
Questioni complesse non sopportano ricette semplicistiche o battute che muovono da una premessa inesistente.
Per il Pubblico ministero oggi il cantiere aperto è quello della professionalità, della accountability e della deontologia. Sono temi che toccano tutti e tre gli attori della giustizia: giudici, avvocati e pubblici ministeri. Piuttosto che separare, dividere occorre impegnarsi per unire, nella costruzione di una comune cultura tra tutti gli esponenti delle professioni giuridiche, Università compresa. Un progetto ambizioso, ma ineludibile. Questo è il vero cantiere aperto su cui devono misurarsi le diverse istituzioni della magistratura e dell’avvocatura e le rispettive associazioni nell’interesse della giustizia e della garanzia dei diritti.
[1] Intervento al IV Congressi Nazionale di Area Democratica per la Giustizia Palermo 30 settembre 2023
[2] M. Langer, D.A.Sklansky (edit.), Prosecutors and Democracy. A Cross-National Study, Cambridge University Press,2018, p.1
[3]C.N. Tate, T. Vallinder (edit),The global expansion of judicial power, New York University Press, 1995
[4] ”M. Delmas-Marty, Introduzione in Procedure penali d’Europa, a cura di M. Delmas-Marty, II ed. italiana a cura di M. Chiavario, Cedam, Padova, 2001, pp.10 e 21
[5] A. Perrodet, Etude pour un ministère public européen, LGDJ, Paris 2001, p.1 Le ministère public reste l’institution la plus diversifiée en Europe
[6] Procedure penali d’Europa, a cura di M. Delmas-Marty, II ed. italiana a cura di M. Chiavario, Cedam, Padova, 2001
[7]In A rewiew of the Criminal Courts of England and Wales, september 2001, www.criminal-courts-rewiew.org.uk, p. 11: «The criminal process is not a game. It is a search for truth according to law, albeit by an adversarial process in which the prosecution must prove guilt to a heavy standard»
[8] G. Giostra, Prima lezione sulla giustizia penale, Laterza, Bari-Roma 2020, p. 45
[9] G.Benedetto, Non diamoci del tu. La separazione delle carriere, Rubettino, Soveria Mannelli 2022, p.33 e 31
[10] M. Robert,Quale imparzialità per il pubblico ministero?, in Questione giustizia, 2005, 2, p. 402 ss...
[11] Regolamento (Ue) 2017/1939 del Consiglio del 12 ottobre 2017 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO»
[12] F. Gianaria, A. Mittone, L’avvocato necessario, Einaudi, Torino 2007 p. 49
[13] G.Benedetto, Non diamoci del tu, La separazione delle carriere, Rubettino, 2022 p 68
[14] Intervista di V. Stella all’ avv.Gian Domenico Caiazza, Il Ministro ascolti i cittadini e non i veri dei pm in congedo, Il Dubbio, 22 agosto 2023, p.1-2
“I diritti sotto attacco”. Introduzione di Egle Pilla Palermo, 29 settembre 2023
sommario: 1. premessa - 2 -Il tema delle riforme costituzionali - 3. Il lavoro - 4. La libertà di stampa - 5. L’immigrazione-6. I diritti. - 6.1 La famiglia -6.2. Il Carcere - 6.3. Il fine vita- 6.4 La violenza sulle donne.
1.Premessa.
Vorrei solo offrire qualche riflessione quanto alle ragioni che ci hanno spinto ad organizzare la Tavola rotonda “I diritti sotto attacco.”
Come avrete avuto modo di verificare dalla lettura del programma, quello di oggi pomeriggio è l’unico panel congressuale, al quale seguirà - sin da oggi e nei giorni a seguire - il dibattito libero che darà voce ai colleghi ed amici che vorranno intervenire e ad autorevoli esponenti della politica, dell’avvocatura, dell’accademia, dell’associazionismo, del giornalismo.
Questo momento preliminare di confronto tra esperti, dunque, rappresenta nelle nostre intenzioni, un’ideale linea di partenza per il percorso a seguire, un luogo per ragionare insieme dello stato di salute della nostra democrazia e dunque dei diritti fondanti lo stato democratico.
Li abbiamo definiti “diritti sotto attacco”, operando già in tal modo una scelta di campo, manifestando preoccupazione e nutrendo timore per la salvaguardia degli stessi.
Ma quali diritti? Quale attacco?
C’è un filo rosso che lega indissolubilmente i diritti di cui oggi discuteremo, che li annoda con forza e li rafforza: è la nostra Costituzione.
La Costituzione nel suo nucleo fondante e quindi nei valori tradotti in principi si anima quando, ponendosi a contatto con i casi della vita, ci aiuta a risolverli.
La Costituzione è sopra di noi, oltre le diverse sensibilità e non può cedere ad interessi particolari; il momento attuale, tuttavia, è un momento di grande incertezza e di fragilità e quando la Costituzione da luogo di concordia diventa terreno di controversia; quando la Costituzione non è più difesa, ma ritenuta non adeguata e dunque da modificare, occorre interrogarsi se e in che modo quei diritti in essa consacrati, valori fondativi di una identità democratica siano in pericolo.
Partendo da questa premessa, e non dimenticando la cornice più ampia che ha dato titolo al nostro congresso (Il ruolo della giurisdizione al tempo del maggioritarismo), abbiamo affidato a ciascuno dei nostri ospiti un tema che, nell’attuale contesto sociopolitico, rappresenta in maniera, più o meno dichiarata, il bersaglio di questi attacchi.
2. Il tema delle riforme costituzionali.
Uno dei punti più evocati nell’agenda di governo è sicuramente quello delle riforme istituzionali e del progetto di riforma costituzionale relativo al sistema di governo nelle forme del presidenzialismo o del premierato.
È atteso il testo di un disegno di legge, che ha visto una previa consultazione formale con i gruppi parlamentari delle opposizioni, cui ha lavorato il Ministero per le riforme istituzionali, per una svolta presidenzialista o molto più verosimilmente di premierato forte da intendersi quale elezione diretta del capo del Governo con potere di nomina e revoca dei ministri. Il progetto di riforma segue parallelamente quello dell’autonomia differenziate delle Regioni.
Il rischio di torsione del sistema costituzionale e di squilibrio tra i poteri dello Stato è forte quanto all’alterazione dei rapporti di forza tra Capo del Governo e Presidente della Repubblica, quest’ultimo visibilmente colpito nel suo ruolo di garante rispetto alla forza politica di un premier con un mandato diretto degli elettori.
Senza contare le ricadute in tema di delegittimazione dei partiti politici e di esautoramento del ruolo e delle funzioni del Parlamento quale luogo privilegiato di esercizio della vita democratica di un Paese.
Abbiamo pensato che sul punto l’avv. Anna Falcone, giurista ed esperta sugli specifici temi potesse rappresentarci criticità e scenari, fornendo spunti interessanti per il nostro successivo dibattito.
3. Il tema della riforma dell’ordinamento giudiziario
Il 9 settembre 2023. esattamente venti giorni fa, il Comitato Direttivo Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati ha deliberato un documento con il quale ha espresso grande preoccupazione per i disegni di legge in discussione dinanzi alla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati laddove, nel riprodurre fedelmente la proposta di iniziativa popolare presentata dalle Camere Penali nella XVII legislatura si propone:
- di cambiare la composizione dei Consigli Superiori della Magistratura, sia giudicante che requirente, aumentando i membri di nomina politica sino alla metà;
- di consentire la scelta per sorteggio dei componenti togati; di vietare ai Consigli superiori della magistratura di aprire pratiche a tutela dell’indipendenza dei singoli magistrati e di esprimere pareri sulle riforme in tema di giustizia;
- di abolire l’art. 107 Cost. comma terzo della Costituzione secondo il quale i magistrati si distinguono fra loro solo per diversità di funzioni;
- di ridurre il principio di obbligatorietà dell’azione penale, limitandolo ai soli casi e modi previsti dalla legge, modificando l’art.112 Cost.
L’intervento sulla Carta costituzionale è duplice: quanto alla separazione delle carriere e quanto ai casi e ai modi per l’esercizio dell’azione penale.
Quanto alla separazione delle carriere, considerata dal primo firmatario della proposta quale “riforma fondamentale per avere finalmente una giustizia efficiente giusta e trasparente”, in questa sede non penso sia il caso di sottrarre tempo alla discussione se non per evidenziare le altre preoccupanti indicazioni contenute nel disegno di legge relative ad un doppio consiglio della magistratura in cui i membri di nomina politica aumenteranno sino alla metà e all’interno del quale sarà vietato aprire pratiche a tutela della indipendenza dei magistrati e interloquire sulle riforme in tema di giustizia.
Due gli organi di autogoverno, due le magistrature con un evidente assoggettamento al controllo politico: i contrappesi e le garanzie del sistema costituzionale volte proprio ad assicurare l’indipendenza e l’autonomia della magistratura sono poste fortemente in crisi da una modifica di siffatta portata.
E quel principio di obbligatorietà dell’azione penale, custodito e difeso dall’art.112 della Costituzione, a garanzia non solo della indipendenza del PM, ma anche dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, è fortemente fiaccato allorquando una legge ordinaria può, per ragioni legate alle contingenze politiche più varie, stabilire chi e cosa perseguire.
Abbiamo pensato di parlarne con il Prof. Enrico Grosso, avvocato e ordinario di Diritto Costituzionale presso l’università di Torino.
3. Il lavoro
Abbiamo avvertito la necessità di confrontarci con il tema del diritto al lavoro nella sua duplice declinazione:
Il presidente Mattarella in occasione delle recenti tagiche morti dei cinque operai a Brandizzo ci ha detto che: “Morire sul lavoro è un oltraggio ai valori della convivenza civile; Il luogo di lavoro deve essere il posto da cui si ritorna. Sempre.”
Non si tratta solo di discutere dei singoli provvedimenti legislativi ed in particolare del “DL Lavoro” che hanno acceso il dibattito su alcuni temi controversi: la fine della stagione del reddito di cittadinanza, soppiantato dall’assegno di inclusione e dal supporto per la formazione e lavoro, la liberalizzazione dei contratti a tempo determinato e la estensione dei voucher.
Si tratta di analizzare la complessità del mondo del lavoro attuale, confrontandosi con l’assoluta esigenza di ridurre il tasso di disoccupazione in particolar modo quello giovanile, contrastando il lavoro sommerso e irregolare, e allo stesso tempo tutelare con un adeguato salario quelle categorie di lavoratori, per lo più in possesso di istruzione medio bassa, che appaiono i più fragili.
A fronte della capacità di individuare misure condivise per tutelare i lavoratori meno abbienti, come ad esempio quella del taglio del cuneo fiscale che sembra ormai accettato non solo dalle forze politiche, ma da tutte le organizzazioni datoriali e sindacali, vuoti di tutela e frizioni permangono nell’ adozione di misure di politiche attive che consentano per le categorie più deboli della nostra società l’ingresso nel mondo del lavoro.
Abbiano scelto quale nostro interlocutore l’onorevole Giuseppe Provenzano, deputato del Partito democratico di cui è stato vicesegretario sino al marzo scorso, nonché ex ministro per il Sud e della coesione.
4. Libertà di stampa
Conosciamo tutti il portato dell’art. 21 Costituzione e del diritto ad una informazione libera che trova il suo limite nella sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza, nel rispetto dell’altrui reputazione.
C’è un rapporto diretto tra il grado di democraticità di un sistema politico e la quantità di informazioni rilevanti che circolano al suo interno.
La sfida è proprio quella di garantire la massima tutela per il mondo giornalistico, cooperando per il raggiungimento di un pluralismo di opinioni e di una piena libertà di espressione svincolata da censure e da condizionamenti politici ed economici che possa garantire ai cittadini una reale conoscenza dei fatti e un libero accesso alle informazioni.
E’ chiaro che queste considerazioni così limpide e condivisibili- come si potrebbe affermare il contrario – devono fare i conti con il clima politico e con le censure più o meno esplicite che raggiungono i giornalisti.
E’ sotto gli occhi di tutti lo spoil system del “servizio pubblico” televisivo.
Una tempesta perfetta che ha privato la società civile d'ogni partecipazione diretta effettiva nella programmazione delle risorse al fine di evitare un regime di “monopolio informativo”.
Occorre essere sempre molto attenti a quanto accade al mondo della stampa e della informazione e ai segnali che da quel mondo ci arrivano.
Ne parleremo con il giornalista Giuseppe Salvaggiulo che ha cortesemente accettato il nostro invito, sempre attento al tema delle libertà e dei diritti.
5. L’immigrazione
E’ il tema del dibattito politico odierno; l’ossimoro emergenza strutturale lo definisce, svelandone tutta la sua drammaticità. Nessuno di noi si può chiamare fuori.
Fra qualche giorno saranno trascorsi 10 anni da quel tragico 3 ottobre 2013 che vide morire nel Mar Mediterraneo 368 persone.
E’ del 14 giugno 2023 il nostro comunicato che nel richiamare l’art. 10 comma 3 della Costituzione italiana e l’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sul diritto di asilo, dopo l’ennesima strage in mare sollecitava l’Europa e l’Italia quanto alle responsabilità nell’ostacolo agli accessi legali.
Aumentano gli sbarchi: dal primo gennaio ad oggi sono sbarcate in Italia 133.000 persone. Di gran lunga inferiori i rimpatri forzati: 2770.
Gli ormai tristemente famosi CPR (Centri di permanenza per i rimpatri) attorno ai quali l’attuale governo ha costruito la politica per l’immigrazione sono luoghi terrificanti in cui, oltre alle condizioni di degrado, la mancata conoscenza della lingua e l’assenza di mediatori culturali impediscono anche l’esercizio dei diritti dei richiedenti asilo per l’accesso alle procedure di protezione internazionale.
Il ruolo della magistratura è stato decisivo rispetto alle pronunzie di incostituzionalità dei Decreti sicurezza nel tentativo di fornire risposte alle molteplici istanze che l’hanno investita rispetto ad un sistema di tutela multilivello del diritto alla protezione dello straniero.
Richiamo solo il decreto ministeriale del 14 settembre pubblicato nella G.U del 21 settembre 2023 che prevede la richiesta di una cauzione pari a4.938 euro quale alternativa al trattenimento nel Centro di permanenza per il reimpatrio
Ne parleremo con Marco Tarquinio, giornalista e direttore dell’Avvenire sino alla primavera scorsa, profondo conoscitore dei molteplici temi richiamati.
6. I Diritti
La tutela dei diritti civili è nel patrimonio genetico della magistratura progressista ed è il fondamento di tante riflessioni. Guardando all’attualità, introduco il tema che sarà ripreso nella tavola rotonda.
6.1 La famiglia
A marzo 2023 una circolare del ministero dell’Interno si è rivolta ai Comuni italiani per interrompere il riconoscimento e le registrazioni all’anagrafe dei figli di coppie omogenitoriali, richiamando una sentenza pronunciata nel 2019 dalla Corte di Cassazione secondo cui le anagrafi italiane non possono trascrivere gli atti stranieri di bambini nati attraverso la gestazione per altri.
L’Eurocamera ha successivamente condannato l’Italia rispetto allo stop imposto dal Governo per le registrazioni delle adozioni delle coppie omogenitoriali.
Nello stesso mese di marzo la commissione Politiche europee del Senato ha bocciato l’adozione di un certificato europeo di filiazione, un documento unico in grado di provare la filiazione dei minori e garantire ai genitori residenti in Unione europea il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli in tutti gli Stati membri.
Il tema delle trascrizioni è legato a quello della gestazione per altri (GPA) che come sappiamo in Italia è una pratica vietata: coloro che desiderano avere un figlio ricorrendo a questa procedura si recano all’estero.
Il 31 maggio 2023 la Commissione Giustizia della Camera ha concluso il voto degli emendamenti alla proposta di legge che dichiara la gestazione per altri reato universale, ossia perseguibile anche se commesso all’estero (modifica legge 40/2004):.
6.2 Il carcere
Da magistrati e da magistrati di Area democratica per la giustizia a fronte dei decessi di due detenuti in sciopero della fame nel carcere di Augusta o in occasioni dei suicidi abbiamo richiamato ancora una volta l’attenzione sul condizione di crescente disagio manifestato dalle persone detenute, sulla carenza ormai cronica di risorse umane e materiali per potervi dare adeguata risposta e sulla stessa difficoltà di comunicazione e relazione con l’esterno, tanto da vedere sempre più persone utilizzare il proprio corpo per rivendicare condizioni detentive migliori o ascolto.
La pena non perda mai la propria finalità rieducativa e non si traduca in pura afflizione.
6.3 Il fine vita
Attendiamo dopo la sentenza 242/19 della Corte Costituzionale legata alla morte assistita di DJ Fabo che ha fissato le condizioni in presenza delle quali l’aiuto al suicidio non è punibile, una legge sulla eutanasia
6.4 La violenza sulle donne
Abbiamo detto il 25 novembre scorso che occorre che “maturi la piena consapevolezza che ogni forma di violenza contro le donne è in realtà una violazione dei diritti umani, non lede solo il corpo e la psiche di chi ne è bersaglio, ma impoverisce la collettività e mina lo stesso fondamento della dignità di ogni essere umano”.
Accanto alla produzione normativa quanto mai feconda in tema di contrasto alla violenza di genere e in attuazione delle direttive comunitarie, occorre una visione più complessiva che crei una rete di competenze qualificate e condivise, anelli di un’unica catena che agiscano sin dalla formazione nelle scuole, per proseguire attraverso i servizi sociali e strutture sul territorio che aiutino a crescere rifiutando ogni forma di violenza psicologica e fisica nei confronti di chi è diverso da noi.
1. Legge e diritto non sono sinonimi, ma concetti complementari, sono entità reali che si fondono nel crogiuolo dell’interpretazione. Il nostro sistema giurisdizionale, di tipo c.d. “continentale”, non cristallizza la giurisprudenza dei giudici con lo stare decisis, ma prevede un organo di nomofilachia centrale -la Corte di Cassazione- che in questi giorni festeggia i suoi 100 anni.
2. Un secolo è tanto e poco. In un secolo la Corte ha avuto una mutazione progressiva, da luogo esclusivo per i magistrati “eletti” e per un’utenza elitaria a contenitore di esperienze giudicanti/requirenti le più varie e ricettore di un flusso enorme di cause civili e penali. Conseguentemente si è accentuata l’ “ambiguità” e la precarietà dell’equilibrio del suo ruolo, geneticamente e costituzionalmente spartito tra produzione di diritto oggettivo “vivente” (c.d. jus constitutionis) e risoluzione di controversie concrete (c.d. jus litigatoris), tra controllo di legalità dei provvedimenti giurisdizionali e assicurazione dell’ uniforme interpretazione della legge.
3. Negli ultimi decenni e sempre di più, questo quadro operativo, di per sé a complessità crescente, è stato ed è ulteriormente implementato, ma complicato, dall’ingresso in scena delle Corti sovranazionali e dalla correlata ermeneutica multilivello, con tutti i conseguenti vincoli preventivi e postumi.
4. L’attualità della funzione di nomofilachia è dunque profondamente condizionata da questa tensione funzionale o, per essere più chiari, prima e soprattutto, dai suoi “numeri”. Le esigenze produttivistiche hanno assunto una chiara preponderanza, le ordinanze prevalgono di gran lunga sulle sentenze, il “dominio statistico” ha compresso enormemente il ruolo della motivazione. Il trend è: sempre più definizione di liti, sempre meno orientamento interpretativo, sempre maggiori rischi di oscillazione e contrasto giurisprudenziali. E’ questa una deriva di difficile governo, astretto com’è e come è giusto che sia dal dovere istituzionale ineludibile di preservare l’essenza stessa del giudizio accentrato di legittimità, che, al fondo, è quello di rendere concreto il principio supremo dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge.
5. E’ essenziale a tal fine l’attuazione di prassi che prevengano l’adozione da parte della giurisprudenza di merito di soluzioni interpretative difformi o ondivaghe.
In quest’ottica occorre valorizzare quanto più possibile il lavoro dell'ufficio del Massimario e assicurare la massima diffusione delle sue relazioni presso gli uffici di merito per prevenire il rischio di soluzioni interpretative difformi.
Per evitare il formarsi di deleteri contrasti di giurisprudenza all'interno della corte, occorre invece percorrere la via preventiva del confronto tra i giudici della Cassazione attraverso riunioni, sezionali e intersezionali, nonché il confronto periodico, del quale si sente la mancanza, con la Procura generale.
6. Deve essere poi considerato che la Cassazione non è esente dal rischio derivante da sollecitazioni, mediate dai giudici di merito, a guardare al “fenomeno” piuttosto che alla corretta applicazione del diritto, e così a privilegiare, di fatto, la libertà interpretativa a scapito della certezza giuridica.
L’attenzione al "fenomeno", ne occorre consapevolezza, trasfigura il ruolo e la funzione della Cassazione.
Il rischio può essere evitato solo attraverso il coordinamento interno e lo sforzo costante di tutti i magistrati della Cassazione e della Procura generale ad astenersi dal controllo sul fatto nella consapevolezza che non c’è danno peggiore di quello derivante dall’imprevedibilità della decisione perché condizionata dal fatto.
7. Al fine di garantire l’efficienza e l’uniformità della funzione di legittimità è essenziale valorizzare al massimo momenti di effettivo coordinamento tra Cassazione e Procura generale affinché le funzioni di legittimità siano coerentemente esercitate da tutti i magistrati della Cassazione e della Procura , e ciò al fine di prevenire la difformità delle decisioni e altresì garantite l’utile utilizzo delle risorse assai “scarse” rispetto al carico di lavoro.
8. D’altro canto l’importanza della comune appartenenza alla giurisdizione di legittimità dei consiglieri e dei pubblici ministeri della Cassazione tanto più deve essere riaffermata in questo momento, per la "difficile" attualità della politica giudiziaria ove si "aggira lo spettro" della separazione delle carriere. La Procura Generale presso la Corte non è collocata in una "zona franca". Il rischio, già per molti versi attuale a causa della limitazione nei mutamenti di funzioni tra giudicante e requirente, è la sua trasformazione progressiva in un -indesiderabile- pubblico ministero di ultimo grado.
9. Da questo contesto problematico, al netto di improbabili e forse nemmeno auspicabili modifiche costituzionali, la Corte può uscire soltanto “in avanti”, provando a governare cum modo i flussi degli affari e, allo stesso tempo, aprendo nuovi e forti canali di dialogo con i giudici di merito, così come è prassi consolidata con le Corti europee, nella consapevole prospettiva di avviare una necessaria linea di continuità giurisprudenziale a tutela dei diritti fondamentali.
Strumenti decisivi in questo senso sono la piena valorizzazione dell’Ufficio del processo e il rinvio pregiudiziale nel civile. Ma ovviamente non basta. Bisogna pensare a forme innovative, strutturate ed efficaci, di coordinamento giurisprudenziale preventivo, che si basino sull’attività formativa ed organizzativa della SSM, sia centrale sia decentrata. Un’idea – specifica - è quella di prevedere l’istituzione di conferenze (almeno) annuali Corte/Corti territoriali, Procura generali/Procure generali territoriali.
10. Dopo cento anni di Cassazione nazionale è dunque arrivato il tempo di un rapporto nuovo tra giurisdizione di merito e giurisdizione di legittimità. E’ indispensabile un profondo “cambio culturale”: bisogna pensare alla giurisprudenza come un’ azione comune, strutturata nello scambio e nel confronto tra i suoi “produttori”, che sono tutti i magistrati, giudicanti e requirenti. Bisogna concepire l’organizzazione dell’ interpretazione giudiziale in termini “circolari” e quindi riconoscere il plesso Corte di Cassazione/Procura Generale non più solo, in termini formali/oggettivi, quale “vertice funzionale” della giurisdizione nazionale, ma, in termini sostanziali/soggettivi, quale “centro” di un agire comunicativo corale, costante, osmotico, dunque autenticamente costituzionale.
approfondimenti sul tema:
Il ruolo del giudice ai fini della effettività dei precetti posti dalla legge di Giacomo Fumu
Un cambiamento del volto della giustizia Italiana di Antonella Di Florio
Appunti sui numeri della Cassazione di Pierpaolo Gori
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Il passaggio dalla requisitoria orale a quella scritta di Pasquale Serrao D'AquinoBrevi note sul dimenticato art. 110 Cost.* Di Giuliano Scarselli
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