ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Ricordo di Liliana Ferraro
di Livia Pomodoro
Con Liliana Ferraro ci lascia un altro grande protagonista di quella irripetibile stagione, il biennio 1991-1993, che qualcuno ha definito del “coraggio di Stato” e che lei aveva contribuito a preparare, al fianco di Giovanni Falcone, proprio curando la logistica di allestimento dell’aula bunker del cosiddetto maxi-processo (475 imputati) a cosa nostra, iniziatosi il 10 febbraio 1986 e terminato con la sentenza finale della Corte di Cassazione, il 30 gennaio 1992.
Ma il profilo istituzionale di Liliana, dopo la laurea in Giurisprudenza a Napoli, si delinea assai presto. Entrata in magistratura nel 1970 e assegnata al Tribunale di Lodi, approda ben presto al Ministero di Grazia e Giustizia (1973): qui segue la riforma dell’ordinamento penitenziario e del codice di procedura penale. Tra il 1974 e il 1980 rivestirà poi l’incarico di responsabile del coordinamento tra il Ministero di Grazia e Giustizia ed il Nucleo Antiterrorismo del Generale Dalla Chiesa. In questa veste cura anche i profili normativi previsti dagli accordi internazionali e le relazioni con il Consiglio d’Europa per la Convenzione per la lotta al terrorismo.
Dal 1980 al 1983 una nuova esperienza: presso la Corte Suprema di Cassazione. E poi di nuovo al Ministero di Grazia e Giustizia: collabora con il pool antimafia di Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino al quale fornisce mezzi e strutture per la lotta alla criminalità. È in questa sua nuova veste che sovrintenderà, come sopra ricordato, alla costruzione dell’aula bunker, una futuristica “astronave” blindata in grado di contenere in sicurezza migliaia di persone tra imputati, avvocati, giornalisti da tutto il mondo, il pubblico.
Nel 1991 poi è nominata Vice Direttore Generale del Ministero di Grazia e Giustizia, al fianco di Giovanni Falcone. Con il ministro Claudio Martelli daremo il via ad una stagione di fortissimo impulso, nella legislazione e nella nuova architettura di contrasto al crimine organizzato transnazionale, che neppure la strage di Capaci riuscirà a fermare. Dopo l’assassinio di Falcone, nell’agosto del 1992, Liliana ne prenderà il testimone con la nomina a Direttore Generale degli Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia. Sarà il settembre nero degli arresti di mafia, sarà la cattura di Totò Reina. Quello stesso anno riceverà il premio di “Europeo dell’anno”, per l’attività svolta in Europa.
Nel 1994 sarà, a Napoli, Coordinatore Nazionale per la preparazione e l’organizzazione della Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata transnazionale. Dal 1996 al 2003 è Consigliere di Stato. È stata poi socio fondatore e Segretario Generale della Fondazione “Giovanni e Francesca Falcone”. Per molti anni Liliana, nel segno dell’amicizia con Giovanni Falcone e Gianni De Gennaro, ha seguito le attività del Centro Studi Americani, del cui Consiglio di Amministrazione ha fatto parte. E nel 2001 è nominata Assessore alle Politiche per la Sicurezza, alla Polizia Municipale ed Avvocatura del Comune di Roma. Dal 2015 ricopriva il ruolo di Presidente dell’Organismo di Vigilanza della Società Aeroporti di Roma.
Liliana è stata sempre una protagonista anche contro e in mezzo a tanti pericoli e minacce. Da ultimo, nonostante la malattia e le sofferenze che ha patito, non ha mai smentito il suo essere una forte donna dedita al bene comune, con una concezione del suo ruolo istituzionale che è stata e sarà di esempio per le future generazioni.
Se ne va con lei un’amica. Insieme, penso, siamo state capaci di interpretare un percorso di cambiamento negli organismi giudiziari ancora oggi presidio di legalità. Combattenti e combattute abbiamo insieme affermato una prima presenza delle donne nell’universo giudiziario di questa Italia, senza retorica e con l’orgoglio di poter affermare che solo il merito ci avrebbe potuto premiare.
Sono certa che il testimone che Liliana ci ha consegnato ha e avrà un altissimo valore morale e noi lo conserveremo come il suo dono più prezioso.
Veto al reingresso dello straniero: nel ventaglio di Cons. St. 21/3886 dura 15 anni, oltre l’ostracismo dell’antica Atene del 5° sec. a.C.
di Carlo Morselli
Sommario: 1. L’istituto dell’espulsione: la sua essenziale identità. Espulsione e detenzione quali addendi di un’operazione binaria - 2. Espulsione e respingimento: la linea securitaria - 3. Il provvedimento del respingimento - 4. Gli effetti del respingimento: divieti e delitti per lo straniero (art. 10 co. 2-ter T.U.I.) - 5. Il decreto ministeriale. Cenno all’ostracismo - 6. Espulsione ministeriale per motivi di prevenzione del terrorismo: la forbice ratione personarum. Cons. St., sez. III, 19 maggio 2021, n. 3886 - 7. Certezza senza accertamento dell’atto impositivo ex suppositione riferibile ad una “misura non conservativa” - 8. Il pendolo o ventaglio della misura espulsiva a “largo compasso”, che supera perfino i tempi dell’ostracismo dell’antica Atene.
Abrégé. L’atto di “spoglio”
In una recente decisione del 2021 del Consiglio di Stato n. 3886 si è fissato un divieto di reingresso per 15 anni (implicitamente stimato in armonia, coerente e non in conflitto con l’imprinting democratico dello Stato). Lo si è ritenuto legittimo pure in presenza in Italia di familiari (anche cittadini italiani) e di un figlio minore residente in Italia, ciò che non costituisce un impedimento assoluto all’espulsione atteso che, in una società democratica, il fine legittimo della tutela dell’ordine pubblico può giustificare una deroga al diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU) quando l’allontanamento dello straniero è misura necessaria e proporzionata a tale scopo.
Ma un allontanamento per quindici anni, dalla famiglia di origine con prole, equivale, oltre alla disintegrazione del nucleo familiare costituito e ad uno sradicamento individuale permanente, a segnare agli occhi e alla sensibilità dell’espulso un “atto di spoglio”, quel termine finale quasi usque ad mortem e, dum pendet, emerge un trattamento quasi disumano.
L’ostracismo era l’istituzione giuridica che colpiva, con un bando che allontanava l’ostracizzato dalla città (dalla polis), il cittadino ritenuto pericoloso per la sicurezza dello Stato. Per esempio («a Cimone venne dato l’ostracismo per dieci anni; a Temistocle venne dato l’ostracismo ed anche l’esilio» (B. Vickers).
1. L’istituto dell’espulsione: la sua essenziale identità. Espulsione e detenzione quali addendi di un’operazione binaria
L’espulsione dello straniero in Italia [1] è una misura impositiva, uguale e contraria all’accoglienza[2], diretta a neutralizzare e rendere reversibile l’ingresso e la circolazione interna, nel territorio nazionale dello straniero irregolare, tale per le ragioni fissate dalla legge (c. d. principio di legalità). Il mezzo prescelto si concentra nell’allontanamento coattivo che provoca la fuoriuscita del destinatario dai confini del suolo italiano (a loco ad locum). L’espulsione c.d. amministrativa dello straniero si articola, nelle ipotesi previste, attraverso l’accompagnamento alla frontiera con l’ausilio della forza pubblica e si traduce in un “atto di desistenza” locativa e in una forma di limitazione individuale. Accompagnamento manu militari e atto di desistenza sintetizzano la dinamica dell’istituto.
Questo è incardinato e disciplinato nel Testo unico dell’immigrazione, ma viene in rilievo “sotto le due specie”, ciò che evoca il suo carattere intrinsecamente privativo. Pur avendo, infatti, identità amministrativa (art. 13 Espulsione amministrativa), l’espulsione eseguita incide, certamente, sulla libertà personale, garantita all’art. 13 Cost. (v. Corte cost., 105/2001). Di qui la sua essenza afflittiva[3]: tocca un bene costituzionalmente protetto.
Si scrive espulsione amministrativa, si legge [4] provvedimento analibertario, d’“interdizione” dello straniero, potrebbe riassumersi con una formula ad effetto descrittivo dell’andamento ancipite.
La forbice segnala che alla natura amministrativa dell’espulsione[5] corrisponde una sanzione non amministrativa, come risulta quasi plasticamente dall’art. 16 comma 5 T. U. I., che pure ha subito modifiche da parte del d.l. n. 130/2020 (conv. con modif. in L. n. 173/2020), inteso all’interno del diritto dell’Unione europea e al di fuori della circolarità applicativa[6]: “Nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell’articolo 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, è disposta l’espulsione”. Ad onta dell’apparente automatismo applicativo, rileva la condizione ostativa del vincolo familiare[7], fermo restando lo «scopo di deflazionare le carceri»[8].
Così, detenzione ed espulsione seguono il regime della proprietà commutativa, se al posto della prima può disporsi la seconda per un sottoprincipio di equivalenza: entrambe vengono allineate al pari di addendi nell’operazione binaria. Stato reclusivo e stato extradentivo, status detentionis ed expulso status sono perfettamente permutabili, ed è su tale presupposto implicito che in luogo della
detenzione si innesta l’espulsione, in alternativa[9]. L’idem factum accomuna detenzione ed espulsione.
Anche la giurisprudenza ha avvertito che l’espulsione, pur essendo di natura amministrativa, ha sicuramente un notevole grado di afflittività, incidendo ed interferendo nella materia regolata dall’art. 13 della Costituzione[10].
2. Espulsione e respingimento: la linea securitaria
L’espulsione, d’altra parte, può inquadrarsi all’interno dell’unitaria classe della politica securitaria[11], dopo il respingimento: espulsione e respingimento[12] sono accomunati, ad esempio all’art. 19 T.U.I. e il secondo potrebbe intendersi quale figura protoespulsiva. Il respingimento rientra, per omogeneità di contenuto e funzioni, nella più ampia categoria dell’espulsione, che l’art. 13 T.U.I. demanda alla cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria[13].
Un dispositivo di polizia, quella di frontiera (art. 10 co. 1 T.U.I.[14]) o diversamente “guardia di frontiera”[15], sanziona lo straniero irregolare presente ai valichi, appunto senza titolo d’ingresso nel territorio dello Stato. L’esigenza è quella di attestare una linea securitaria in uno spazio nevralgico,
cioè garantire la sicurezza e il controllo dei confini, di gestire la pressione sulle frontiere esterne, di governare, e “fronteggiare”, i flussi migratori. Si tratta di un presidio inibitorio calato nelle cruciali zone di transito o di “passo” e di un meccanismo di contrasto, ma anche di deterrenza, verso gli ingressi clandestini.
L’art. 10 cit. contrasta la presenza dello straniero ai valichi, «senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico per l‘ingresso nel territorio dello Stato», (co.1) e non ammette il comportamento elusivo dei controlli di frontiera (co. 2)[16]. Riassuntivamente: presenza e accesso sine titulo (carente quello del visto d’ingresso) nel territorio dello Stato sono vietati e contrastati. In questo modo, la linea securitaria diventa plasticamente linea di interdizione, di sbarramento ostativo attraverso l’istituto del c.d. respingimento. Questo permette il ripristino della legalità, attraverso l’allontanamento forzoso, sempre secundum ius però[17].
Al riguardo, il co. 2-bis dell’art. 10 T. U. I. prevede, con una diposizione estensiva, che «al provvedimento di respingimento di cui al comma 2 si applicano le procedure di convalida e le disposizioni previste dall’art. 13, cc. 5-bis, 5-ter, 7 e 8» (in materia di espulsione). E l’art. 13, co. 5-bis, T. U. I. con una breve previsione ad hoc stabilisce: «il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive… sentito l’interessato, se comparso».
L’istituto del respingimento risulta sdoppiato (immediato e differito), poiché al c. 2 art. 10 cit. è prevista una precisa addizione della competenza a ordinarlo[18].
Primo e secondo comma dell’art. 10 cit. (ove confluiscono tre distinte ipotesi, una risalente alla polizia di frontiera motu proprio e due appartenenti al questore) hanno in comune testualmente l’elemento dell’allontanamento forzoso ma compongono atti cc.dd. riservati e attuati con modalità diverse: nell’ordine, della polizia di frontiera e questorile. La modalità attuativa o esecutiva è quella
dell’«accompagnamento alla frontiera» (art. 10 co. 2 T.U.I.), atto uguale e contrario a quello censurato.
L’istituto del respingimento, in questa sua latitudine, si conferma quale presidio e strumento di controllo territoriale (alla “fonte”) degli stranieri, affidato all’autonomia di esercizio della polizia di frontiera e del questore[19], e diretto ad inserire un dispositivo inibitorio alla libertà di circolazione individuale[20]. Analogamente, «l’espulsione è eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica» (art. 13, co. 4, T.U.I., ma per la procedura di convalida v. il relativo co. 2-bis).
3. Il provvedimento del respingimento
Il respingimento alla frontiera deve risultare da un provvedimento scritto e motivato, quello adottato dall’ufficio di polizia di frontiera. Al riguardo, l’art. 13, par. 2 del Codice frontiere Schengen prevede che il respingimento possa essere disposto esclusivamente con un provvedimento motivato che ne espliciti le ragioni puntualmente e che debba essere notificato all’interessato. L’art. 3, co. 3 del Regolamento di attuazione del T.U.I. (d. P. R. 31 agosto 1999, n. 394) stabilisce che il provvedimento che dispone il respingimento sia comunicato allo straniero attraverso consegna a mani proprie o notificazione del provvedimento scritto e motivato, che contempli l’indicazione delle eventuali modalità di impugnazione, assicurando la riservatezza del contenuto dell’atto (e la traduzione, se lo straniero non comprende la lingua italiana).
4. Gli effetti del respingimento: divieti e delitti per lo straniero (art. 10 co. 2-ter T.U.I.)
Il provvedimento di respingimento ha effetti ulteriori, rispetto a quello proprio: al destinatario è vietato fare rientro nel territorio nazionale, «senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno» (art. 10 co. 2-ter e la trasgressione integra un delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni e provoca l’espulsione dello straniero con accompagnamento immediato alla frontiera[21]). Circa la latitudine temporale del divieto di cui al citato art. 10 co. 2-ter, il suo orizzonte è abbastanza ampio: «opera per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni» (art. 10 co. 2-sexies T. U. I.).
I respingimenti, specialmente quale linea distintiva risalente ai passati Governi, all’analisi pongono l’ineludibile interrogativo se possono considerarsi legittimi quando hanno “la forza” di ostacolare l’esercizio del diritto di asilo (l’asilo politico di cui all’art. 10 co. 3 Cost.) e il riconoscimento dello status di rifugiato[22].
Un postulato è stato dettato all’art. 2 (Diritti e doveri dello straniero) T.U.I.: 1. Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti[23].
Esiste, precisamente, un principio di non respingimento (refoulement [24]) adeguatamente elucidato
da una recente decisione del Tribunale di Roma, che sottopone a vaglio due coordinate e di cui una ritenuta poziore: gli obblighi internazionali assunti dall’Italia in forza di un accordo bilaterale con un altro Stato sono recessivi rispetto al diritto fondamentale d’asilo e al principio del non respingimento garantiti a livello internazionale, sovranazionale e costituzionale (artt. 33 Convenzione di Ginevra, 18 e 19 Carta di Nizza e 10 Cost.). Di conseguenza può qualificarsi antigiuridica ai sensi dell’art. 2043 c.c. la condotta delle autorità nazionali che respingono i migranti verso la Libia, non potendo ignorare che questi potranno ivi verosimilmente incorrere in trattamenti contrari ai diritti fondamentali[25].
Al riguardo, la Convenzione di Ginevra (28 giugno 1951, modificata dal Protocollo addizionale di New York del 31 gennaio 1967), si occupa dei rifugiati che praticano ingressi e soggiorni illegali, all’art. 33 (Divieto di espulsione)[26].
5. Il decreto ministeriale. Cenno all’ostracismo
L’espulsione è disposta osservando la forma del decreto motivato immediatamente esecutivo, ma giustiziabile. Contro il decreto ministeriale, previsto dal co. 1, la tutela giurisdizionale, davanti al giudice amministrativo, è regolata da codice del processo amministrativo (art. 13 co. 11 TUI)[27].
Al termine dell’esposizione dell’istituto, notiamo come l’ampio potere impositivo di cui dispone il Ministro dell’interno è ancora più ampio (amplius), quello saldamente ancorato all’art. 3, co. 1, d.l. n. 144/2005, nel filtro interpretativo e amplificativo dei giudici ove riemerge quasi senza confini (e senza interrogarsi in modo plausibile circa il rispetto e l’osservanza dei parametri di ragionevolezza e proporzionalità del potere usato, per non essere all’origine di una deminutio per l’espulso e d’altra parte di una specie di protagonismo del giudice), superando di gran lunga quelli temporali dettati dall’antica Atene per l’ostracismo, valido per 10 anni, in vigore nel 5° sec. a. C.
Infatti, in una recente decisione del 2021, del Consiglio di Stato, si è fissato un divieto di reingresso di 15 anni.
6. Espulsione ministeriale per motivi di prevenzione del terrorismo: la forbice ratione personarum. Cons. St., sez. III, 19 maggio 2021, n. 3886
Questa species del genus[28] espulsione è regolata dall’art. 3, d.l. 144/2005, convertito, con modificazioni, in l. 155/2005.
Il caso è (tratto e) trattato da Cons. St., sez. III, 19 maggio 2021, n. 3886,riguarda il coniuge di cittadina italiana (familiare di cittadina dell’UE non avente la cittadinanza di uno Stato membro) e riferibile all’art. 20, co. 2, d.lgs. 30/2007 (Limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico)[29].
A un cittadino tunisino, coniugato con italiana, è stato applicato il provvedimento di espulsione ministeriale – con accompagnamento immediato alla frontiera e divieto di reingresso in Italia per la durata di 15 anni – in quanto ritenuto inserito in un circuito di connazionali noti per avere assunto posizioni “adesive”, in favore del radicalismo islamico e, in particolare, per avere consultato e condiviso contenuti web inerenti al teatro di guerra siriano ed iracheno da cui si evinceva la vicinanza all’autoproclamato Stato islamico, nonché per avere espresso profondi sentimenti di avversione nei confronti dei praticanti il cristianesimo.
L’espulso impugna avanti al Consiglio di Stato la sentenza con cui il Tar Lazio, sede di Roma, ha respinto il ricorso, in forza di plurimi motivi di gravame, riassuntivamente indicati. In primo luogo, a) lamenta la violazione dell’art. 20, co. 4, d.lgs. 30/2007, ritenendo e segnalando al giudice che i comportamenti individuali dell’interessato non si traducano per lo Stato in una minaccia concreta ed effettivamente enucleabile, sufficientemente grave nei settori dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza, e, pertanto, sono inidonei a giustificare e legittimare l’adozione di siffatta misura; inoltre b) il ricorrente censura la violazione dell’art. 8 CEDU per avere il provvedimento troncato la sua vita privata e familiare e, in specialmente, il suo rapporto con la prole, il figlio minore; ancora c) considera illegittima la durata del divieto di reingresso nella misura di 15 anni, rispetto al divieto massimo di dieci anni tracciato dall’art. 20, co. 10, d.lgs. 30/2007 nei casi di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato, e, pertanto, in violazione della previsione del principio di proporzionalità in generale stabilito per tutte le tipologie di allontanamento al comma 4 della stessa disposizione.
Il Consiglio di Stato, sez. III, con sentenza n. 3886/2021, del 19 maggio 2021, respinge il ricorso, nel solco di una parziale continuità con la giurisprudenza consolidata in materia di espulsioni ministeriali.
Innanzitutto, si statuisce che il pericolo per la sicurezza dello Stato non deve essere accertato con assoluta certezza, essendo sufficiente la sussistenza di fondati motivi per ritenerlo esistente, che, nel caso in esame, si ricavano dalla documentazione in atti proveniente dall’amministrazione resistente con classificazione «riservata e riservatissima». Trattandosi di una misura preventiva, la sufficienza dei «fondati motivi» a tutela della sicurezza dello Stato, desunta dai fatti cristallizzati nella documentazione in parola, non pare colpita da manifesta irragionevolezza, travisamento o difetto d’istruttoria che rappresentano gli unici vizi soggetti a sindacato dal giudice amministrativo nel quadro di una valutazione meramente esteriore, conseguente all’alta discrezionalità amministrativa che caratterizza tale tipologia di espulsione.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 8 CEDU, il Collegio osserva come la tutela della vita privata e familiare non è assicurata incondizionatamente, posto che – a ai sensi dell’art. 2 della stessa Convenzione – l’ingerenza dell’autorità pubblica è consentita ove sia prevista dalla legge quale misura necessaria per garantire la sicurezza nazionale.
Fin qui la motivazione della sentenza in analisi si pone in linea con la consolidata giurisprudenza, smentita da una recente decisione di merito secondo cui va annullato il decreto di allontanamento per motivi di ordine pubblico adottato dal Prefetto ai sensi dell'art. 20 del d.lgs. n. 30/2007 in assenza di un circostanziato giudizio [30]. Il quid novi è invece dato dagli argomenti impiegati per riaffermare la legittimità del divieto di ingresso nel territorio italiano per 15 anni, in contrasto con l’art. 20, co. 10, d.lgs. 30/2007 che fissa in dieci anni il termine massimo nei casi di allontanamento disposto per motivi di sicurezza dello Stato. Nel filtro interpretativo del Collegio tale disposizione deve essere collegata con la Direttiva 2008/115/CE che, all’art. 11, par. 2, prevede che la durata del divieto di reingresso «è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i cinque anni…può comunque superare i cinque anni se il cittadino di un Paese terzo costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale». Dunque, per il tramite della fonte normativa della Direttiva rimpatri sarebbe possibile apportare una deroga alle disposizioni del d.lgs. 30/2007, che si attesta come una proiezione o attuazione della Direttiva 2005/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Il corollario della postulata impostazione è che il termine massimo decennale può essere disapplicato qualora l’amministrazione non lo stimi sufficiente a fronteggiare le esigenze di tutela della sicurezza dello Stato.
Però emerge una forbice, ratione personarum: la Direttiva 2008/115/CE si applica ai cittadini di Paesi terzi e non ai familiari di cittadini comunitari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, come definiti all’art. 2, d.lgs. 30/2007 [31], per i quali trova posto il citato decreto legislativo attuativo della Direttiva 2004/38/CE, in cui risaltano l’incisività dei limiti dettati nei precetti 23 e 24[32].
L’art. 20, co. 2, d.lgs. 30/2007 (sulla «minaccia concreta e attuale tale da pregiudicare l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica»), che regola l’istituto dell’allontanamento per motivi di sicurezza
dello Stato, prevede espressamente un limite temporale al comma 7[33].
In sede di analisi della citata decisione di Cons. St., sez. III, 19 maggio 2021, n. 3886, si è obiettato: «si dovrebbe pertanto ritenere che le ipotesi di allontanamento del familiare di cittadino dell’Unione non avente la cittadinanza di uno Stato membro, siano disciplinate dal citato art. 20 che attribuisce la loro adozione al Ministro dell’interno e, al comma 10, stabilisce in dieci anni il temine massimo di divieto di reingresso. La motivazione della sentenza in commento sul punto non pare pertanto convincente»[34] [35].
7. Certezza senza accertamento dell’atto impositivo ex suppositione riferibile ad una “misura non conservativa”
Scrive il Consiglio di Stato nella citata sentenza: «6.3. Il Tribunale ha anzitutto, e opportunamente, ricordato che, ai fini dell’emanazione del provvedimento ministeriale di espulsione, non è necessario che sia stata appurata con assoluta certezza la sussistenza del suindicato pericolo, essendo sufficiente che vi siano fondati motivi di ritenerlo esistente».
Il Collegio così sposta e in una direzione non garantistica il perno della fonte del convincimento del giudice, dal saldo terreno storico al sottile piano argomentativo considerando e ritenendo il “fatto” a base del giudizio di pericolosità esistente solo ex suppositione. Ma l’impostazione è poco adeguata se non fuorviante, considerando che non è neppure richiesta o pretesa una «assoluta certezza», né noi la postuliamo nella fattispecie analizzata. Il passaggio è tecnicamente inesatto e tautologico: non è richiesta l’ostentata assolutezza (evocata solo per negare una solida base fattuale) ma che il convincimento del giudice poggi non su comportamenti solo sintomatici, bensì che il pericolo risulti concretamente sulla base di circostanze di tempo, di luogo e di persone, e tale piattaforma si imponga maggiormente in rapporto e in considerazione del carattere totalmente ablativo della misura dell’allontanamento, sicuramente afflittiva e d’impatto sul nucleo familiare dell’espulso, nonché sulla enorme durata del distacco territoriale e personale: 15 anni[36]. Il sacrificio degli interessi e delle prerogative dello straniero sarebbe assai elevato ed anche ingiustificato, se l’atto coattivo viene formulato su base sintomatica [37] o affidate a mere “clausole di stile”. Piuttosto troverebbe posto il paradigma dell’alta probabilità confinante con la certezza e sarebbe utile mantenerlo per scongiurare un risultato del tutto sbilanciato o negativo. L’atto impositivo finirebbe per sacrificare oltremisura la conservazione dei valori familiari, personali, territoriali dello straniero ponendo la materia sul piano inclinato dell’astrattismo dello scrutinio del tutto filoministeriale, non più rigoroso ma poggiante su elementi solo estrinseci[38].
Diversamente, il giudizio dell’alto Collegio ricaverebbe una “certezza senza accertamento”[39]. Emergerebbe una possibile mala gestio di uno spazio di libertà associata alla discrezionalità, riferibile ad una misura che possiamo appellare “non conservativa” ma privativa. Infatti si legge in altro passaggio della decisione: «8.5. Trattandosi di atto rimesso all’organo di vertice del Ministero dell’Interno e che investe la responsabilità del Capo del Governo, nonché l’organo di vertice dell’amministrazione maggiormente interessata alla materia dei rapporti con i cittadini stranieri, esso costituisce senza dubbio, come ha osservato il primo giudice, espressione di esercizio di alta discrezionalità amministrativa».
È la più recente giurisprudenza di merito che si incarica di circoscrivere il giudizio dell’organo responsabile del procedimento e del provvedimento, stabilendo che va annullato il decreto di allontanamento per motivi di ordine pubblico adottato dal Prefetto ai sensi dell'art. 20 del d.lgs. n. 30/2007 in assenza di un circostanziato giudizio circa la attitudine del cittadino europeo a rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società, non potendo mere clausole di stile assolvere a tale funzione, aggiungendo che «la Corte di Giustizia UE ha già avuto modo di osservare che le regole di ordine pubblico e di pubblica sicurezza che gli Stati membri determinano conformemente alle loro necessità nazionali, proprio in quanto legittimanti una deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone, devono “essere intese in senso restrittivo, di guisa che la loro portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione europea” (cfr. CGUE, 22 maggio 2012, C-348/09)».[40].
8. Il pendolo o ventaglio della misura espulsiva a “largo compasso”, che supera perfino i tempi dell’ostracismo dell’antica Atene
L’espulso si duole, con il terzo motivo del ricorso, di un eccesso applicativo ratione temporis (che ha una fonte solo parziale nella prescrizione di legge [41]), deducendo violazione dell’art. 20, co. 10, del d. lgs. n. 30 del 2007, sul presupposto che dovrebbe trovare posto nella fattispecie, in quanto (l’appellante è) familiare di persona italiana, la richiamata disposizione, la sua previsione secondo cui il provvedimento che dispone l’allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato non può avere durata superiore a dieci anni [42], mentre si è “praticata” una espulsione della durata di quindici anni.
Emergono tre profili concomitanti, nello scarto tra diritto codificato ed applicato: a) un elemento ostensivo (che deve essere) espressamente dettato nel corpo del provvedimento, quale proiezione di legge, è che l’imposizione espulsiva di divieto di reingresso non può superare il limite cronologico di dieci anni: quindi doppio divieto, di reingresso e di valicare il confine temporale decennale fissato nella norma di sbarramento o esclusione; b) l’espulsione pressoché permanente (così può assimilarsi una latitudine temporale estesissima, ultradecennale) si traduce in un trattamento più che afflittivo, tipicamente di matrice penalistica (le pene nascoste) e non amministrativa (sottotesto del provvedimento applicativo, criptopenale al pari di una “pena nascosta” ed espressione di una sanzione punitiva[43]), che limita la libertà personale e di circolazione[44] (che acquista la figura di un obbligo di non facere[45]), e recide i legami e le radici familiari; c) queste dinamiche tracciano un andamento “a fisarmonica”, disegnato “a compasso largo”[46] che tradisce il saldo canone di proporzionalità della misura adottata[47].
Un allontanamento per quindici anni, dalla famiglia di origine con prole, equivale, oltre alla disintegrazione del nucleo familiare costituito e ad uno sradicamento individuale permanente, a segnare agli occhi e alla sensibilità dell’espulso un termine finale quasi usque ad mortem e, dum pendet, un trattamento disumano (v. 3 Cedu, che sancisce il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti»)[48].
Quanto precede ha carattere evocativo: l’ostracismo era l’istituzione giuridica che colpiva, con un bando che allontanava l’ostracizzato dalla città (dalla polis), il cittadino ritenuto pericoloso per la sicurezza dello Stato. Per esempio (celebre), «a Cimone venne dato l’ostracismo per dieci anni; a Temistocle venne dato l’ostracismo ed anche l’esilio»[49].
Nella recente decisione del 2021 del Consiglio di Stato n. 3886 si è “precettato” un divieto di reingresso per un tempo molto lungo, di 15 anni ritenuto adeguato pure in presenza in Italia di familiari (anche cittadini italiani) e di un figlio minore, ciò che non rappresenta un ostacolo assoluto all’espulsione atteso che, in una società democratica, il fine legittimo della tutela dell’ordine pubblico può inserire una deroga alla prerogativa del rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU) quando l’allontanamento dello straniero rappresenti una misura necessaria e proporzionata a tale finalità[50].
Con tale decisione l’ostracismo non è più protostoria e sembra di rivedere alcune tracce materiali.
[1] L. Chiara-G. Moschella, Italia paese d’immigrazione. Storia e legislazione, Roma, 2020; A. Ruggeri, Cittadini, immigrati e migranti al bivio tra distinzione e integrazione delle culture (note minime su una spinosa e ad oggi irrisolta questione), in Dirittifondamentali.it, 20 novembre 2021, n.3.
In giurisprudenza, ad esempio v. Cass. pen., sez. I, sent. 6 maggio 2019, n. 18901: l'espulsione dal territorio dello Stato di uno straniero o l'allontanamento di un cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, di cui all'art. 235, primo comma, cod. pen., costituisce una misura di sicurezza personale facoltativa la cui mancata applicazione non richiede una specifica motivazione quando la pericolosità sociale del condannato non risulti da concreti e rilevanti elementi relativi al condannato che siano esplicitati in motivazione.
[2] P. Bonetti, Accoglienza nell’emergenza: la recente evoluzione, in Modelli di disciplina dell’accoglienza nell’“emergenza immigrazione”. La situazione dei richiedenti asilo dal diritto internazionale a quello regionale, a cura di J. Woelk, F. Guella e G. Pelacani, Napoli, Editoriale Scientifica, 2016; F. Cortese, La crisi migratoria e la gestione amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl., 2, 2019; da ultimo, v. L. Trucco, Luci e ombre nel decreto legge 130/2020, in Immigrazione, protezione internazionale e misure penali. Commento al decreto legge n. 130/2020, a cura di M. Giovannetti, N. Zorzella, Pisa, 2021; F. Biondi dal Monte, Il sistema di accoglienza e integrazione e i diritti dei minori stranieri. Riflessioni sulla disciplina introdotta dal d.l. n. 130/2020, in Forum Quad. Cost., 1, 2021; M. Giovannetti, Giro di boa. La riforma del sistema di accoglienza e integrazione per richiedenti e titolari di protezione internazionale, in Dir. imm. citt., n. 1, 2021, 28 s.
In giurisprudenza, v. T.A.R Emilia Romagna, sez. I, 13 gennaio 2022, n. 32, in Immigrazione.it, 2022: sono illegittimamente revocate le misure di accoglienza allo straniero che abbia fatto ricorso contro il diniego di protezione internazionale, anche se ha presentato la rinuncia alla protezione presso un commissariato avendo ottenuto il permesso temporaneo ai sensi dell’art. 103, co. 2, d.l. 34/2020. La presentazione dell’istanza del permesso temporaneo, infatti, non comporta la perdita della protezione internazionale, status garantito dalla legge e irrinunciabile, né rileva la rinuncia redatta presso il commissariato, ed essendo sospesa, per effetto del ricorso, l’efficacia esecutiva del provvedimento di diniego della protezione.
Per l’integrazione sociale nel paese di accoglienza, v. Cass., sez. un., sent. 9 settembre n. 24413 2021 (Rv. 662246 - 01), in foroeuropeo.it., 2021.
[3] Per l’afflittività della misura, v. la decisione di Corte cost., ord.15 luglio 2004, n. 226: «sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari (r.o. n. 207 del 2003), il giudice a quo ritiene che l'espulsione a titolo di sanzione alternativa abbia un evidente contenuto afflittivo».
[4] Al riguardo, da ultimo v. C. Morselli, Manuale di diritto dell’immigrazione. Profili di diritto penale e procedura penale, Pisa, 2022, 61 s. Può inserirsi, dunque, uno scarto fra testo e il suo significato. V., per uno spunto, M. Di Francesco, Premessa. Pensare il pensiero, in F. L. Gottlob Frege, Ricerche logiche, Introd. Di M. Dummett, Milano, 1988, 9: «leggendo delle parole scritte su un foglio di carta. Da un certo punto di vista non vi è dubbio che questo è un processo percettivo…Ma, nello stesso istante, voi state comprendendo delle parole, o meglio degli enunciati: capite cioè cosa significa quello che state leggendo…In altre parole voi comprendendo il senso degli enunciati».
[5] La situazione in cui si trova lo straniero che, avendo richiesto alla scadenza il rinnovo del permesso di soggiorno se lo sia visto rifiutare, non rientra tra le ipotesi di espulsione amministrativa di cui all’art. 13, co. 2, TUI. Ne consegue che non può essere disposta nei suoi confronti nemmeno l’espulsione ex art. 16, co. 5, TUI che ha i medesimi presupposti dell’espulsione amministrativa (Cass., sez. I pen,, 16 gennaio 2020, n. 1630, in Immigrazione,it., 2020). L’espulsione dello straniero condannato e detenuto, prevista dall’art. 16, comma 5, del TUI non è qualificabile come misura di sicurezza, trattandosi di misura di natura sostanzialmente amministrativa, giudizialmente applicata, finalizzata ad evitare il sovraffollamento penitenziario. Di conseguenza, sono irrilevanti il comportamento tenuto dallo straniero e i permessi premio di cui ha usufruito nel corso della detenzione (Cass., sez. VII, 24 settembre 2019, n. 38975, ivi, 2019). L’espulsione dello straniero, identificato, il quale sia stato condannato e si trovi detenuto in esecuzione di pena anche residua non superiore ad anni due per reati non ostativi, prevista dal d.lgs. n. 286 del 1998, art. 16, comma 5, ha natura amministrativa e costituisce un’atipica misura alternativa alla detenzione, finalizzata ad evitare il sovraffollamento carcerario, della quale è obbligatoria l’adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge art. 16, comma 5, secondo quanto si ricava dall’interpretazione letterale della norma, che introduce, quale clausola derogatoria, la condanna per uno o più dei delitti disciplinati dall’art. 407 cod. proc. pen., comma 2, lett. a), ovvero per i delitti previsti dal testo unico in materia di immigrazione. Pertanto, l’esaurimento del rapporto esecutivo preclude l’adozione del provvedimento espulsivo (Cass., sez. I, 19 luglio 2018, n. 33738,ivi 2018).
[6] In materia di espulsione come misura alternativa alla detenzione, le modifiche normative all’art. 19, TUI, da parte del d.l. n. 130/2020 (conv. con modif. in L. n. 173/2020) determinano l’illegittimità del decreto di espulsione che ha per destinatario il detenuto straniero presente da dodici anni in Italia, dove vivono stabilmente anche moglie e figlio. La novella – applicabile alla fattispecie in quanto norma sopravvenuta più favorevole – impone infatti al giudice di sorveglianza di tenere conto delle conseguenze che l’allontanamento produrrebbe sulla vita privata e familiare del condannato e, pertanto, riconosce rilevanza anche ai legami affettivi che esulano dalle ipotesi tipizzate dall’art. 19, co. 2, lett. c), TUI (Cass., sez. I pen., 7 ottobre 2021, n. 36513, in Immigrazione.it., 2021). In tema, v. Cass. pen., sez. I., 19 luglio 2021, n. 27872, ivi. V. Cass. pen., sez. I, sent.. 13 gennaio 2020, n. 915: ha stabilito che l’art. 16, comma 5, TUI interpretato conformemente al diritto dell’Unione europea dev’essere inteso nel senso che osta ad automatismi espulsivi nei confronti dello straniero coniugato con una cittadina dell’Unione regolarmente soggiornante in Italia, dovendosi invece procedere ad una valutazione individualizzata in analogia a quanto previsto per l’allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari dall’art. 20 d.lgs. n. 30/2007.
[7] In materia di espulsione come misura alternativa alla detenzione, la necessità di rispettare i principi di rango costituzionale e sovranazionale e, in particolare, quelli attinenti al superiore interesse del minore (cfr. art. 5, co. 1, lett. a), c.d. “Direttiva rimpatri”), implica che, oltre ad escludere la sussistenza delle cause ostative di cui all’art. 19 TUI, il giudice di sorveglianza debba bilanciare la concreta ed attuale pericolosità sociale dello straniero con la natura e l’effettività dei suoi vincoli familiari, nonché la durata del soggiorno in Italia e i suoi legami con il Paese d’origine. Ne discende che, a prescindere da una situazione di convivenza, rileva quale condizione ostativa anche il vincolo familiare dell’interessato con il cittadino italiano (art. 13, co. 2 bis, TUI) e in specie col figlio minore residente in Italia, in un’ottica di protezione del suo sviluppo psico-fisico e del pregiudizio che subirebbe dall’interruzione della continuità affettiva e relazionale col proprio genitore, in caso di espulsione di quest’ultimo (Cass., sez. I pen., 6 maggio 2020, n. 13764, in Immigrazione.it., 2021). In materia di espulsione a titolo di misura alternativa alla detenzione, il giudice deve valutare l’esistenza di concreti legami affettivi con persone conviventi e regolarmente residenti in Italia ex art. 13, co. 2-bis, TUI. Non è censurabile tuttavia il provvedimento che dispone l’espulsione dello straniero coniugato con una cittadina extra-UE regolarmente soggiornante in Italia se non risulta comprovato il requisito della convivenza (Cass., sez. I pen., 13 novembre 2019, n. 45972, ivi, 2019).
[8] Corte cost., 2 marzo 2018, n. 41 – Stralcio – Pres. E est. G. Lattanzi, in Guida dir., 2018, n. 13, 62.
[9] Espulsione dello straniero quale sanzione alternativa alla detenzione e salvaguardia delle relazioni familiari, v. Cass. pen., sez. I, sent., 8 novembre 2021, n. 40087, in Ondf, 9 novembre 2021: ai fini dell'applicazione dell'espulsione dello straniero quale sanzione alternativa alla detenzione, il giudice di sorveglianza non può limitarsi alla verifica della sussistenza di una delle condizioni impeditive di cui all'art. 19, d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ma deve operare, acquisendo, ove occorra, le necessarie informazioni, un giudizio di contemperamento tra le esigenze poste a fondamento del provvedimento e quelle di salvaguardia delle relazioni familiari, con particolare riguardo alle necessità di cura di figli minori conviventi, ancorché di nazionalità non italiana.
In materia di espulsione come misura alternativa alla detenzione, le modifiche normative all’art. 19, T.U.I, da parte del d.l. n. 130/2020 (conv. con modif. in L. n. 173/2020) determinano l’illegittimità del decreto di espulsione che ha per destinatario il detenuto straniero presente da dodici anni in Italia, dove vivono stabilmente anche moglie e figlio. La novella – applicabile alla fattispecie in quanto norma sopravvenuta più favorevole – impone infatti al giudice di sorveglianza di tenere conto delle conseguenze che l’allontanamento produrrebbe sulla vita privata e familiare del condannato e, pertanto, riconosce rilevanza anche ai legami affettivi che esulano dalle ipotesi tipizzate dall’art. 19, co. 2, lett. c), T .U. I. (Cass., sez. I , 7 ottobre 2021, n. 36513, in Immigrazione.it, 2021; in tema v. Cass., sez. I, 19 luglio 2021, n. 27872,ivi). In dottrina, v. G. Flora, Misure alternative alla pena detentiva, in Noviss. Dig. it., App., Torino, 1984, V; E. Dolcini, Le misure alternative oggi: alternative alla detenzione o alternative alla pena?, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1999; A. Marscheselli, L’efficacia rieducativa delle misure alternative alla detenzione, in Diritto&Diritti, 2003; M.D'onofrio, M. Sartori M., Le misure alternative alla detenzione, Milano, 2004; L. Degl’innocenti, L’improcedibilità dell’azione penale per espulsione amministrativa dello straniero non è applicabile alla espulsione disposta a titolo di misura alternativa alla detenzione dal Magistrato di Sorveglianza, in Riv. pol., 2016, fasc. VI, 541 s. Cfr. M. D’Onofrio, Cittadini extracomunitari clandestini e misure alternative alla detenzione, in Riv. pen., 2005, n.12, 1281; E. Lanza, Stranieri e misure alternative alla detenzione carceraria. Considerazioni sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 78 del 2007, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 2007, n. 2; E. Rubolino, Riflessioni sull'espulsione dallo Stato come sanzione alternativa alla detenzione (Art. 15 l. 189/02) alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale n. 226/2004, ivi, 2008, n. 3; F. Falzone, Commento, ivi, 2012, n.1; nonché XVII rapporto sulle condizioni di detenzione. Misure alternative, in Antigone, 2021; G. Savio, Misure alternative al trattenimento e garanzie difensive: commento alla sentenza n. 280/2019 della Corte costituzionale, in Dir. imm. citt., 2020, n.2, 232 s.
[10] Così, Cass., sez. I, sent. 4 gennaio 2011, Arjani, in Guida dir., 2011, n. 7, 101. Per l’afflittività della misura, v. la decisione di Corte cost., ord.15 luglio 2004, n. 226, nel tratto evocativo: «sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari (r.o. n. 207 del 2003), il giudice a quo ritiene che l'espulsione a titolo di sanzione alternativa abbia un evidente contenuto afflittivo».
[11] Sulla indicata “forbice”, v. Cass. pen., sez. I, 2 febbraio 2006, n. 4439, Ismaili [RV233196], in Codice dell’immigrazione, Piacenza, 2016, 144, mentre Cass. pen., sez. I, sent. n. 13 gennaio 2020, n. 915 ha stabilito che l’art. 16, co. 5, T.U.I. interpretato conformemente al diritto dell’Unione europea dev’essere inteso nel senso che osta ad automatismi espulsivi nei confronti dello straniero coniugato con una cittadina dell’Unione regolarmente soggiornante in Italia, dovendosi invece procedere ad una valutazione individualizzata in analogia a quanto previsto per l’allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari dall’art. 20 d.lgs. n. 30/2007.
[12] Vim vi repellere licet:è la direzione di un conflitto innescato dallo straniero che vorrebbe forzare i controlli alla frontiera, che simboleggia, con i suoi valichi, la porta d’ingresso del Paese. Il respingimento rappresenta una misura di allontanamento (v. art. 8 Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 16 dicembre 2008) individuale, in personam e l’art. 11 TUI prevede, in rubrica, Potenziamento alla frontiera. Per la Consulta «l’ordine di accompagnamento coattivo, che assiste il respingimento…deve per la sua natura di atto urgente essere eseguito con immediatezza, e per questa ragione fondatamente il giudice rimettente ha ritenuto che il provvedimento dia luogo, con la sua emissione ad una restrizione della libertà personale dello straniero, tutelata dall’art. 13 Cost.» (Corte cost, 20 dicembre 2017, n. 275). In dottrina v. Cfr. R. Ricciotti-M.M. Ricciotti, Espulsione degli stranieri, in Dig. pen. Agg., Torino, 2000, 266, però, osservandosi che dal contesto normativo «risulta… che il respingimento non è un’operazione materiale intesa ad impedire fisicamente sbarchi o altre forme di ingresso nel territorio dello Stato. È invece un provvedimento amministrativo».
[13] T. A .R. Lazio, sez. I ter, 29 aprile 2020, n. 4359, in Immigrazione.it., 2000.
[14] “La polizia di frontiera respinge gli stranieri ai valichi di frontiera in violazione dell’art. 4 del presente testo unico per l’ingresso nel territorio dello Stato”: ecco il testo alternativo proposto, meno verboso e più preciso di quello dettato all’art. 10 T. U. I.
[15] Al riguardo, v., sull’agenzia comune per rafforzare i confini esterni dell’Unione Europea, assicurare la protezione delle frontiere esterne dell’UE, B. Romano, Nascono le guardie di frontiera Ue. L’intervento sarà possibile soltanto dopo l’autorizzazione del Paese membro coinvolto, in Il Sole 24 Ore, 23 giugno 2016, n. 152, 27: «Dopo sei mesi di trattative, Consiglio e Parlamento hanno approvato ieri la proposta comunitaria di creare un nuovo corpo europeo di guardie di frontiera…la nuova Frontex».
[16] Per quanto d’interesse nella presente analisi, v. comma 2-ter, art. cit.: «Lo straniero destinatario del provvedimento di respingimento di cui al comma 2 non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è espulso con accompagnamento immediato alla frontiera. Si applicano altresì le disposizioni di cui all'articolo 13, comma 13, terzo periodo».
[17] L’allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero extracomunitario in generale, scheda a cura di G. Savio e P. Bonetti (aggiornata al 28 febbraio 2012), in ASGI, 2012, 4: «Il respingimento alla frontiera è l’atto con il quale la polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera privi dei requisiti richiesti dal T.U. per l’ingresso nel territorio dello Stato (art. 10, c. 1, T.U.). L’esecuzione di questo tipo di provvedimento di respingimento è immediata, nel senso che il competente ufficio di polizia di frontiera dopo il controllo al valico di frontiera rinvia immediatamente lo straniero respinto nello Stato da cui proviene, così impedendogli l’ingresso nel territorio dello Stato». Al riguardo, per la giurisprudenza territoriale, v. Corte d’appello di Roma, ordinanza 20 luglio 2020, in Immigrazione.it, 2020: è respinta l’istanza della Presidenza del Consiglio e del Ministero della difesa di sospensione dell’esecutività della sentenza del Tribunale di Roma che: (i) ha accertato il carattere illecito della condotta della PA consistita nel respingimento immediato n Libia (in applicazione di un accordo internazionale) di un gruppo di migranti soccorsi da una nave della Marina militare in acque internazionali che, trasferiti a bordo della stessa, avevano rappresentato di voler richiedere asilo; ha riconosciuto, in conseguenza, (ii) il diritto di accesso di tali migranti al territorio italiano al fine di poter inoltrare la domanda di protezione, nonché (iii) il diritto al risarcimento del danno. Cfr. L. Tria, Gli accordi con la Libia e la lotta ai trafficanti, in Quest. giust., 11 giugno 2018.
[18] É stabilito che il respingimento con accompagnamento alla frontiera è, pure, disposto dal questore nei confronti degli stranieri e in due ipotesi: «a) che, entrando nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all’ingresso o subito dopo; b) che, nelle circostanze di cui al comma 1, sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso». Cfr. R. Cherchi, L’allontanamento dall’Italia dello straniero e del cittadini europeo, in Manuale breve di diritto dell’immigrazione, a cura di P. Morozzo della Rocca, Repubblica di San Marino, 2013, 215, in ordine ai «due tipi di respingimenti…alla frontiera e il respingimento differito…deciso con un provvedimento del questore, in forza del quale è accompagnato alla frontiera lo straniero che sia stato fermato mentre cercava di entrare in Italia sottraendosi ai controlli di frontiera…al momento dell’ingresso oppure “subito dopo” …Differito è altresì il respingimento dello straniero che sia stato temporaneamente ammesso sul territorio nazionale per necessità di pubblico soccorso (art. 10, c. 2, T.U.I.)».
Sul respingimento differito, v., in dottrina, V. Carlino, Il respingimento differito dello straniero, tra profili di incostituzionalità e occasioni mancate di rettifica (nota a Corte cost., sent. n. 275/2017), in federalismi.it, 12 settembre 2018; R. Cherchi, Respingimento alla frontiera e respingimento differito: presupposti, tipologie ed effetti, in Dir. imm. citt., 2019, n. 3, 37 s.; S. Rossi, Respingimento alla frontiera e libertà personale. Il monito della Corte e le scelte del legislatore, in Rivista A.I.C., 1/2019, www.rivistaaic.it, 149-150 e, in giurisprudenza, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. II, 1° settembre 2015, ric. n. 16483/12, Karaks c. Italia, in Giur. it., 2015, I, 2311. Da ultimo, v. J. Di Giovanni, G. Savio, Rassegna di giurisprudenza italiana: Allontanamento e trattenimento, in Dir. imm. citt., 2021 e, in giurisprudenza, Cass. civ., sez. un., 9 settembre 2021, n. 24413; Cass. civ., sez. III, 22 settembre 2021, n. 25734, in Immigrazione.it., 2021.
[19] Trib. Palermo, ord. 20 gennaio 2020, G.O.T. A. Dell’Utri, RG. n. 9376/2019, in Progetto Melting Pot Europa, 2020.
[20] V. GdP di Bari 2021, il quale, riferendosi alla prima ipotesi dell’art. 10 co.1 TUI di respingimento immediato, ritiene che «il provvedimento non ha contenuti coercitivi sulla persona ma incide sulla libertà di circolazione dell’individuo nel momento in cui si presenta all’ingresso, che non è ancora avvenuto».
V., da ultimo, appunto, l’importante ordinanza n.199/2021, cron. n. 67/21, Giudice di Pace di Bari, 19 febbraio 2021, dep. 23 febbraio 2021 (giudice avv. G. Di Nubila), in Dir. imm. citt., 2021, che (sul ricorso in tema di respingimento differito ribadisce, preliminarmente, la propria competenza, del «Giudice ordinario e non già il Tar, disquisendosi in tema di libertà personale dell’individuo e quindi di diritti soggettivi») distingue esplicitamente, nell’analisi dell’art. 10 cit., tra ingresso non avvenuto (prima ipotesi in base al c. 1 art. 10 cit.) e ingresso avvenuto (c. 1 art. 10 cit.), concludendo per l’accoglimento dell’istanza formulata dal tunisino «avverso il provvedimento di respingimento emesso dal Questore di Bari, in data 9 ottobre 2020, e per l’effetto annulla il suddetto provvedimento». V. anche Trib. Milano 17 aprile 2021, ivi.
Altresì, v. P. Bonetti, Il respingimento differito disposto dal questore dopo la sentenza 275/2017 della Corte costituzionale, in Dir. imm. citt., 2018, f. 1, nonché G. Zagrebelsky, V. Marcenò, Giustizia costituzionale. II. Oggetti, procedimenti, decisioni, Bologna, 2018, 119 s.
[21] Il provvedimento di respingimento ha effetti ulteriori: al destinatario è vietato fare rientro nel territorio nazionale, «senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno» (art. 10 c. 2-ter e la trasgressione integra un delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni e provoca l’espulsione dello straniero con accompagnamento immediato alla frontiera). Circa la latitudine temporale del divieto di cui al citato art. 10 c. 2-ter, il suo orizzonte è abbastanza ampio: «opera per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni» (art. 10 c. 2-sexies TUI).
[22] Da ultimo, cfr. C. Cecchella, Sulla inammissibilità del ricorso in Corte di cassazione del rifugiato politico o da proteggere sussidiariamente privo di certificazione della data di rilascio della procura, in Giust. ins., 27 luglio 2021; P. Bonetti, Art. 10 cost., in Clementi, Rosa, Vigevani, La Costituzione italiana, Commento articolo per articolo, Bologna, 2021, I, 76 spec. 83; C. Belcastro, Osservatorio L’Italia e la Cedu, n.1/2021 1. L’illegittimità dei respingimenti verso la Slovenia secondo la giurisprudenza nazionale e i precedenti della Corte europea dei diritti dell’Uomo, in Ordine internazionale e diritti umani, 2021; S. Tomasi, Retorica e giudizio di credibilità del richiedente asilo: le emozioni necessarie alla decisione, in dirittifondamentali.it, 29 settembre 2021, n.3.
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 35-bis, co. 13, sesto periodo, del d.lgs. n. 25/2008, sollevate in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 111 e 117, co. 1 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 28 e 46, paragrafo 11, della direttiva procedure (dir. 2013/32/UE), agli artt. 46, 18 e 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali UE, nonché agli artt. 6, 13 e 14 della CEDU. L’onere del difensore di certificare la data di conferimento della procura speciale a ricorrere per cassazione – il quale è strumentale al rispetto della regola processuale generale di necessaria posteriorità della procura speciale – non pregiudica il richiedente protezione nell’esercizio dei propri diritti, né, alla luce della finalità antielusiva perseguita, integra un’irragionevole disparità di trattamento e, infine, non determina una sanzione processuale sproporzionata, essendo definito chiaramente nella sua portata e nei suoi effetti (Corte cost., 20 gennaio 2022, n. 13, in Immigrazione.it, 2022). È intervenuta Cass. civ., sez. VI-1, Pres. Scotti, Rel.Meloni, ord. 4 febbraio 2022, n. 3553, in Norme & Trib., 4 febbraio 2022, in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato per il cittadino cinese perseguitato per la sua fede cristiana.
[23] Proprio in materia di diritti fondamentali, notoriamente lo Stato italiano è stato condannato al risarcimento del danno patito da immigrati somali ed eritrei per i respingimenti degli stessi effettuati verso la Libia senza esaminare i singoli casi. In tal modo essi sono stati privati della possibilità di ottenere una valutazione individuale delle loro situazioni al fine di beneficiare della protezione accordata dal diritto internazionale e comunitario ai rifugiati, in violazione dell’art. 13 CEDU. Inoltre essi sono stati esposti al rischio di maltrattamenti in Libia e al rimpatrio in Somalia ed Eritrea, in violazione dell’art. 3 della CEDU che proibisce trattamenti inumani e degradanti. Infine la condotta dell’Italia ha rappresentato un’espulsione collettiva in violazione dell’art. 4 del IV Protocollo aggiuntivo CEDU Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande sezione, 23 febbraio 2012, Hirsi Jamaa e altri c. Italia, in ASGI, 2012: La Grand Chamber della Corte europea dei diritti umani ha stabilito che il respingimento verso Tripoli dei 24 ricorrenti operato dalle navi militari italiane costituisce violazione dell’art. 3 (tortura e trattamento inumano) della Convenzione europea dei diritti umani, perché la Libia non offriva alcuna garanzia di trattamento secondo gli standard internazionali dei richiedenti asilo e dei rifugiati e li esponeva anzi ad un rimpatrio forzato.
Cfr. R. Russo, I diritti fondamentali sono diritti di tutti? La tutela dei soggetti vulnerabili nel fenomeno migratorio, in Giust. ins. (www.giustiziainsieme.it), 10 gennaio 2020; A. Ruggeri, I diritti fondamentali degli immigrati e dei migranti, tra la linearità del modello costituzionale e le oscillazioni dell’esperienza, in Aa.Vv., Immigrazione e diritti fondamentali, a cura di F. Astone - R. Cavallo Perin - A. Romeo - M. Savino, Univ. Torino, Torino 2019, 10 s.
[24] A. Lanciotti, D. Vitiello, L’articolo 3 della Cedu come strumento di tutela degli stranieri contro il rischio di refoulement, in L. Cassetti (a cura di), Diritti, principi e garanzie sotto la lente dei giudici di Strasburgo, Napoli, 2012, 223 s. In giurisprudenza, v. Cons. St., sez. IV, 1 luglio 2021, n. 5019, in Immigrazione.it, 2021; Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, 19 giugno 2018, C-181/16, ivi, 2018 e la lunga e articolata decisione di Cass, sez. I, 26 ottobre 2017, n. 49242, ivi, 2017. Trib. civ. V. Il principio di non refoulement ai tempi del Covid-19 di M. Marchegiani, Dir. imm. citt., n. 3, 3 novembre 2021.
V. Circolare del Ministero dell'Interno n. 1 del 12 gennaio 2022: “Nulla osta per lo straniero rifugiato che intenda contrarre matrimonio in Italia”, in Melting Pot Europa, 24 gennaio 2022.
[25] Trib. civ. Roma, sez. I, 28 novembre 2019, n. 22917, in Immigrazione.it, 2019. L’art. 14 della direttiva 2011/95 stabilisce i casi di revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status di rifugiato e, specificamente, ai paragrafi 4 e 5, prevede la possibilità di respingimento o espulsione quando vi sono fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova o, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità dello Stato membro. La norma è coerente con la Convenzione di Ginevra, secondo la quale le persone che rientrino in una delle ipotesi descritte dal citato articolo 14 possono essere colpite, in forza dell’articolo 33, paragrafo 2, della stessa Convenzione, da una misura di respingimento o di espulsione verso il loro paese di origine, e ciò persino quando la loro vita o la loro libertà siano ivi minacciati. Però, la direttiva 2011/95 dev’essere interpretata e applicata nel rispetto dei diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che vieta, in termini categorici, la tortura nonché le pene e i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dal comportamento dell’interessato, e l’allontanamento verso uno Stato dove esista un rischio serio che una persona sia sottoposta a trattamenti di tal genere. Certamente, queste persone possono costituire oggetto, nello Stato membro interessato, di una decisione di revoca dello status di rifugiato, ai sensi dell’articolo 2, lettera e), della direttiva 2011/95, o di una decisione di rifiuto di concessione di tale status, ma l’adozione di decisioni siffatte non può incidere sulla loro qualità di rifugiato quando esse soddisfano le condizioni materiali richieste per essere considerati rifugiati, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di detta direttiva, letto in combinato disposto con le norme di cui al capo III di quest’ultima e, quindi, di cui all’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra (Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande sezione, sent. 14 maggio 2019, nelle cause riunite C 391/16, C 77/17 e C 78/17, ivi). Sulla Convenzione di Ginevra, recentemente, v. T.A.R. Lazio, sez. I, 31 dicembre 2020, n. 14188, ivi, 2020.
V. Direttiva n. 2008/115/Ce, art. 4, 4 lett. b), sul rispetto del «principio di non-refoulement». V. Sent. Corte (Quinta Sezione) 24 febbraio 2021, Direttiva 2008/115/CE – Principio di “non‑refoulement” (non respingimento), nella causa C‑673/19.
V. Sciarabba, La tutela dei diritti fondamentali nella Costituzione, nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE, in Riv. A.I.C, 2017, fasc. 1; V. Zagrebelsky-R. Chenal-L. Tomasi, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, II ed., Bologna, 2019, 49 s.
[26] Art. 33 Divieto d’espulsione e di rinvio al confine 1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.
2. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese.
In giurisprudenza, v. Cass, sez. I, 26 ottobre 2017, n. 49242, cit.; Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande sezione, 7 marzo 2017, C‑638/16, in Immigrazione.it, 2017; Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, Sent. 9 novembre 2010, Bundesrepublik Deutschland – B., D. (Germania), ivi, 2010. La CEDU sul principio di non respingimento dello straniero e sul divieto di espulsioni collettive (CEDU, sez. I, sent. 23 luglio 2020, ric. nn. 40503/17, 42902/17, 43643/17), in dirittifondamentali.it, 2020.
In dottrina, v. F. Munari, Lo status di rifugiato e di richiedente protezione temporanea. La visione europea del «diritto di Ginevra», in Collana di diritto dell’immigrazione, Aa.Vv., Le garanzie fondamentali dell’immigrazione in Europa, a cura di S. Amadeo e F. Spitaleri, Torino, 2015, 47 s.; A. Lang, Il divieto di refoulement tra CEDU e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ivi, 211: «In ambito europeo, il divieto di refoulement è affermato come parte dei diritti fondamentali della Corte di Strasburgo, pur in assenza di un’espressa previsione nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» (e che richiama, in nota 5, Corte EDU 28 febbraio 2008, ric. n. 37201/06 Saadi c. Italia, par. 138, secondo cui il divieto di refoulement garantito dall’art. 3 CEDU è più ampio di quello disciplinato dall’art. 3 della Convenzione di Ginevra del 1951). Più recentemente, v. M. Frigo, I Paesi sicuri alla prova del diritto internazionale, in Quest. giust., 2020, n. 1, che mettendo a confronto le due citate fonti, scrive: «Di diverso respiro – la Corte europea dei diritti umani (Corte Edu) direbbe “di protezione più ampia” – è invece il principio di non-refoulement secondo il diritto internazionale sui diritti umani, che ha portata assoluta, non ammettendo eccezione alcuna»; S. Marchisio, Nessuna eccezione ai respingimenti e rimpatri di rifugiati e richiedenti asilo: la sentenza della CGUE del 14 maggio 2019 conferma che il diritto Regola dell’UE ha esteso la garanzia di non refoulement prevista dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, 21 maggio 2019, in www.masterdirittiumanisapienza.it/nessuna-eccezione-ai-respingimenti-erimpatri-di-rifugiati-e-richiedentiasilo-la-sentenza-della; L. Aleni, Revoca dello status di rifugiato e principio di non refoulement: in margine a una recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’UE, in Osserv. costit., fasc. 5/2019, 220-236; da ultimo, v. C. Di Stasio, Esternalizzazione delle frontiere: violazione dei diritti umani dei migranti e responsabilità dello stato, in dirittifondamentali.it,15 febbraio 2021.
[27] Il provvedimento ministeriale è assoggettato al rito abbreviato (artt. 119, c. 1, lett. m-sexies, c. p. a.), in relazione alla modifica normativa operata dall’art. 6 del decreto-legge 17 febbraio 2017, n.13, secondo T. A. R. Lazio, sez. I ter, 12 aprile 2018, n. 4019, in Immigrazione.it, 2018.
[28] «Quinque voces. Sono i cinque concetti generali, o cinque tipi di predicato universale (perciò detti anche “predicabili”) della Logica classica: genere, specie, differenza, proprio, accidente» (Dizionario di Filosofia, di N. Abbagnano, agg. G. Fornero, Torino, 1998, 889).
[29] Art. 20 2. I provvedimenti di cui al comma 1 sono adottati nel rispetto del principio di proporzionalità ed in relazione a comportamenti della persona, che rappresentino una minaccia concreta e attuale tale da pregiudicare l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica. La esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti.
[30] T. A. R Lazio, sez. I ter, 27 dicembre 2021, n. 13531, in Immigrazione.it., 2021 (altresì, v., sul giudizio di pericolosità, T. A. R Lombardia, sez. I, 5 novembre 2021, n. 2442, ivi; nonché Cons. St., sez. III, 20 maggio 2021, n. 3896, ivi). Cass., sez. I, sent. 6 maggio 2020, n. 13764, ha stabilito che a prescindere da una situazione di convivenza, rileva quale condizione ostativa all’espulsione anche il vincolo familiare dell’interessato con il cittadino italiano (art. 13, co. 2 bis, TUI) e in specie col figlio minore residente in Italia.
Per sorreggere una motivazione sono sufficienti “ circostanze idonee “, stabilisce Cass., sez. lav., ord. 26 gennaio 2022, n.2246, in Guida dir., 12 febbraio 2022, n.5, 63.
[31] Decreto Legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
Art. 2 Definizioni 1. Ai fini del presente decreto legislativo, si intende per: a) “cittadino dell'Unione”: qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro; b) “familiare”: 1) il coniuge; 2) il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante; 3) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b); 4) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b); c) “Stato membro ospitante”: lo Stato membro nel quale il cittadino dell'Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno.
[32] (23) L'allontanamento dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari per motivi d'ordine pubblico o di pubblica sicurezza costituisce una misura che può nuocere gravemente alle persone che, essendosi avvalse dei diritti e delle libertà loro conferite dal trattato, si siano effettivamente integrate nello Stato membro ospitante. Occorre pertanto limitare la portata di tali misure conformemente al principio di proporzionalità, in considerazione del grado d'integrazione della persona interessata, della durata del soggiorno nello Stato membro ospitante, dell'età, delle condizioni di salute, della situazione familiare ed economica e dei legami col paese di origine.
(24) Pertanto, quanto più forte è l'integrazione dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari nello Stato membro ospitante, tanto più elevata dovrebbe essere la protezione contro l'allontanamento. Soltanto in circostanze eccezionali, qualora vi siano motivi imperativi di pubblica sicurezza, dovrebbe essere presa una misura di allontanamento nei confronti di cittadini dell'Unione che hanno soggiornato per molti anni nel territorio dello Stato membro ospitante, in particolare qualora vi siano nati e vi abbiano soggiornato per tutta la vita. Inoltre, dette circostanze eccezionali dovrebbero valere anche per le misure di allontanamento prese nei confronti di minorenni, al fine di tutelare i loro legami con la famiglia, conformemente alla Convenzione sui diritti del fanciullo delle Nazioni Unite, del 20 novembre 1989.
[33] 7. Il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale di cui ai comma 1, 4 e 5 è adottato dal Ministro dell'interno con atto motivato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato, e tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese. Il provvedimento di allontanamento è notificato all'interessato e riporta le modalità di impugnazione e della durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale, che non può essere superiore a 3 anni.
[34] Così, J. Di Giovanni, G. Savio, Rassegna di giurisprudenza italiana: Allontanamento e trattenimento, in Dir. imm. citt., 2021.
[35] Il presupposto per l’espulsione di cui all’art. 3, co. 1, d.l. n. 144/2005 è costituito dalla sussistenza di fondati motivi per ritenere che la presenza dello straniero nel territorio dello Stato possa agevolare organizzazioni o attività terroristiche ovvero mettere comunque in pericolo, anche con azioni di proselitismo, la sicurezza della Repubblica. Si tratta di un provvedimento, assimilabile alle misure di sicurezza, che ha finalità di prevenzione, con la conseguenza che la legittimità dell’espulsione dello straniero ritenuto vicino all’estremismo islamico non richiede né l’accertamento né il compimento di alcun reato. In tale contesto, la presenza in Italia di familiari (anche cittadini italiani) non costituisce un impedimento assoluto all’espulsione atteso che, in una società democratica, il fine legittimo della tutela dell’ordine pubblico – in particolare in caso di minaccia terroristica – può giustificare una deroga al diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU) quando l’allontanamento dello straniero è misura necessaria e proporzionata a tale scopo, non essendo altrimenti scongiurabile la minaccia reale di un attentato alla sicurezza pubblica e all’ordine costituito.
Infine, un divieto di reingresso di 15 anni è legittimo anche nel caso in cui interessi un soggetto familiare di cittadino italiano. Infatti, la normativa speciale italiana (art. 13, co. 14, TUI), che non pone un limite massimo al tempo di espulsione del cittadino straniero per motivi di terrorismo, è conforme a quanto previsto dalla direttiva n. 115/2008/CE, che indica solo orientativamente e non tassativamente il termine di 5 anni, superabile qualora lo straniero costituisca una minaccia grave per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale. Con la conseguenza che, in tali circostanze, il termine decennale previsto dall’art. 20, co. 10, d.lgs. n. 30/2007 va disapplicato (Cons. di Stato, sez. III, 19 maggio 2021, n. 3886, in Immigrazione.it, 2021).
[36] Un termine così ampio si richiede per “beni”, di diritto privato, come l’usucapione, per la cui maturazione (per giustificare la perdita della proprietà) l’art. 1158 cod. civ. richiede il termine lunghissimo di venti anni.
[37] V. Cass. civ., sez. I, 4 gennaio 2022, n. 65, in Immigrazione.it., 2022: il senso complessivo della disciplina di cui ai commi 1 e 5 dell’art. 20 d.lgs. n. 30/2007 è quello di indirizzare la valutazione di pericolosità, conformemente agli artt. 27 dir. 2004/38/CE e 8 CEDU, in modo che essa si articoli su vari aspetti della persona interessata che possono avere rilievo, quali elementi tali da mitigarne gli esiti in quanto espressione di una possibile integrazione nel tessuto sociale del Paese eventualmente anche in ragione di particolari situazioni familiari che impongano adeguata valutazione.
[38] V. Cass. civ., sez. trib., 10 febbraio 2016, n. 2633, Accertamento parziale: il notevole grado di certezza non è richiesto ai fini dell'avviso, in il Tributario, 15 febbraio 2016: anche senza un “notevole grado di certezza” in merito agli elementi segnalati dalla Guardia di Finanza, è possibile e legittimo notificare al contribuente l'avviso di accertamento per recuperare la maggiore IVA. Nella sentenza i Giudici hanno accolto il ricorso delle Entrate: rispetto all'accertamento ordinario, quello parziale si avvale di una sorta di “automatismo argomentativo”.
[39] Tratto da C. Morselli, Eco di un mito e un romanzo: Atlante, da solo, regge l’intero processo penale (hapax della prova cardinale) e Kafka (dal suo labirinto) lo contempla immoto (unus testis per una condanna e difesa senza garanzie), in Arch. pen., 2017, n. 3,5: «Una certezza senza accertamento giudiziale”: questa formula brachilogica aspira a fotografare quell’esperienza processuale di primo grado in cui il convincimento del giudice, più che libero, ha soppiantato l’elaborazione della prova nel pubblico dibattimento».
[40] T. A. R Lazio, sez. I ter, 27 dicembre 2021, n. 13531, cit.: « Per quanto osservato e considerato il carattere assorbente delle censure di difetto di motivazione, di istruttoria e di violazione dell’art. 20 del d.lgs. 30/2007, il ricorso va accolto e, per l’effetto, annullato il decreto di allontanamento adottato dal Prefetto di Napoli ».
[41] In dottrina, v. O. Mazza, La norma processuale penale nel tempo, in Trattato di procedura penale, diretto da G.Ubertis e G.P. Voena, 1, Milano,1999, 2, sulle «diverse forme di efficacia temporale che possono assumere le prescrizioni normative». Cfr. R. Guastini, Disposizione vs. norma, in Giur. cost., 1989, II, 3 s.
[42] «Il provvedimento indica anche la durata del divieto di reingresso che non può essere superiore a dieci anni nei casi di allontanamento per i motivi di sicurezza dello Stato e a cinque anni negli altri casi» (è il dettato di ult. periodo del comma 10, cit.).
V. Legge 31 luglio 2005, n. 155 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale", Art. 3.Nuove norme in materia di espulsioni degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo - 1. Oltre a quanto previsto dagli articoli 9, comma 5, e 13, comma 1, del decreto legislativo n. 286 del 1998 il Ministro dell'interno o, su sua delega, il prefetto può disporre l'espulsione dello straniero appartenente ad una delle categorie di cui all'articolo 18 della legge 22 maggio 1975, n. 152, o nei cui confronti vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali.
[43] Così, F. Mazzacuva, Le pene nascoste. Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico, in Itinerari di diritto penale, Torino, 2017, che insiste sulla «necessaria preesistenza di una norma giuridica rispetto al singolo provvedimento (amministrativo o giurisdizionale) al fine di scongiurare l’arbitrarietà». In tema, v.,fra gli altri, A. Gargani, Sanzioni pecuniarie civili e sanzioni amministrative quali alterative alla tutela penale: problemi e prospettive, in Leg.pen., 2018, 1 s.; P. Cerbo, Le sanzioni amministrative punitive, in Aa.Vv., La ‘materia penale’ tra diritto nazionale e diritto europeo, a cura di M. Donini e L. Foffani, Milano, 2018, 117; Funzioni punitive e funzioni ripristinatorie Combinazioni e contaminazioni tra sistemi, a cura di D. Bianchi e M. Rizzuti, Torino, 2020; A. Pisaneschi, La sentenza 68 del 2021. Le sanzioni amministrative sostanzialmente penali ed il Giudicato, in A. I. C., n. 4, 6 luglio 2021, 262 s.; B. Lavarini, Illegittimità costituzionale di sanzioni amministrative “sostanzialmente penale” e rimodulazione del giudicato, in Legisl. pen., 15 luglio 2021. Scrive D. Cimadomo, Sanzioni amministrative (sostanzialmente penali) dichiarate costituzionalmente illegittime e flessibilità del giudicato penale, in Proc. pen. giust., 20 novembre 2021, fasc. 6 che analizza Corte cost., sent. 16 aprile 2021, n. 68, Pres. Coraggio - Rel. Modugno, leggendosi: «Successivamente alla sentenza n. 43 del 2017, il processo di assimilazione delle sanzioni amministrative “punitive” alle sanzioni penali, quanto a garanzie costituzionali, ha…conosciuto nuovi e rilevanti sviluppi, tali da rendere non più attuali le affermazioni contenute in tale pronuncia. Superando precedenti decisioni di segno contrario, questa Corte ha ormai esteso alle sanzioni amministrative a carattere punitivo - in quanto tali (indipendentemente, cioè, dalla caratura dei beni incisi) - larga parte dello “statuto costituzionale” sostanziale delle sanzioni penali: sia quello basato sull’art. 25 Cost. - irretroattività della norma sfavorevole (sentenze n. 96 del 2020, n. 223 del 2018 e n. 68 del 2017; nonché, a livello argomentativo, sentenze n. 112 del 2019 e n. 121 del 2018; ordinanza n. 117 del 2019), determinatezza dell’illecito e delle sanzioni (sentenze n. 134 del 2019 e n. 121 del 2018) - sia quello basato su altri parametri, e in particolare sull’art. 3 Cost. - retroattività della lex mitior (sentenza n. 63 del 2019), proporzionalità della sanzione alla gravità del fatto (sentenza n. 112 del 2019) −». Per Corte cost., sent. 2021/68, cit.,v. pure Sist. pen., 20 aprile 2021.
[44] In tema, specificamente, v. F. Viganò, Art.2 Prot. n. 4 – Libertà di circolazione, in Corte di Strasburgo e giustizia penale, a cura di G. Ubertis e F. Viganò, Torino, 2016, 353-354: «L’art. 2 Prot. n. 4 Cedu tutela, al primo comma, la “libertà di circolare” all’interno del territorio nazionale...La disposizione in commento non riconosce invece allo straniero alcun diritto ad entrare e a risiedere nel territorio dello Stato contraente, che resta libero di disporre ed eseguire l’espulsione dello straniero il cui soggiorno sia irregolare», citandosi, ad esempio, C.edu, grande camera, sent. 15 dicembre 1996, Chahal c. Regno Unito, § 73. Pari riconoscimento, riguardante il cittadino, si trova all’art. 16 Cost.
A partire dagli anni ’80 si è aperto un dibattito sul concetto di libera circolazione delle persone (al riguardo, in dottrina, v. C. Zanghì, Libertà di circolazione, in La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Torino, 2013, 303 s.). In tema, v. Corte di giustizia dell’Unione europea, 10 marzo 2021, causa C-949/19, Konsul Rzeczypospolitej Polskiej w N, in Immigrazione.it, 2021. Da ultimo, v. T. Cerruti, Libertà di circolazione e pandemia: servirà un passaporto-COVID per attraversare i confini dell’Unione europea?, in Rivista A.I.C., 28 marzo 2021, n. 2, 1 s. V. Corte di giustizia Unione europea, 6 ottobre 2021, causa C-35/20, A, in Immigrazione.it, 2021, sul diritto dei cittadini dell’Unione alla libera circolazione (art. 21 TFUE e dir. 2004/38/CE), interpretato alla luce delle disposizioni del “codice frontiere Schengen” (reg. CE n. 562/2006).
[45] P. Virga, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, 2, Milano,1997, 18: «divieti: che impongono al soggetto una prestazione di non facere e cioè di astenersi da determinati comportamenti».
[46] L’immagine è mutuata, in materia di protezione umanitaria, da Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2021, n. 18667, in Immigrazione.it, 2021: «le basi normative dell’istituto sono “a compasso largo”, giacché l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, con il sostegno dell’art. 8 della Convenzione E.D.U., promuove l’evoluzione della norma sulla protezione umanitaria, di natura elastica, a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e radicarne l’attuazione».
[47] Su detto canone, v. ad esempio Cass. pen., sez. I, sent. 23 marzo,2010, n. 11038 e, in dottrina, L. Fidelio, Custodia in carcere e prognosi sanzionatoria: la proporzionalità delle misure tra predizione e realtà, in Quest. giust., 10 maggio 2021.
[48] Sulla Carta di Nizza (2000/C 364/01), v., solo da ultimo, F. Medico, Il ruolo della Carte di Nizza e la questione sociale: ci può essere solidarietà senza integrazione politica, in A.I.C., 16 luglio 2021, n. 3, 236 s. e, già, G. Scaccia, Proporzionalità e bilanciamento tra diritti nella giurisprudenza delle corti europee, ivi, 2017, n. 3, 24 s.; B. V. Di Gregorio, Diritti umani e traduzione interculturale, in Dirittifondamentali.it, 2022, n. 1; Trattamenti inumani e degradanti nei confronti di un detenuto psichiatrico: la Corte Edu condanna l’Italia, in il Penalista, 25 Gennaio 2022.
V. Corte e.d.u., 22 luglio 2021, Badalyan c. Azerbaijan, in Proc. pen. giust., a cura di R.Neri, 2021, f. 6.
Ma, per Corte Edu, 1 aprile 2021, ric. n. 70896/17, A.I. c. Italia (Immigrazione,it, 2021), proibendo ogni contatto tra una cittadina nigeriana vittima di tratta e le figlie in tenera età in pendenza della procedura di adozione senza tenere in debita considerazione l’importanza del mantenimento dei legami famigliari, e senza valutare la capacità genitoriale della madre naturale alla luce della sua particolare vulnerabilità e del differente modello di genitorialità proprio del Paese di origine, l’Italia ha violato l’art. 8 CEDU. In precedenza, v. Cass. pen., sez. IV, sent. 25 novembre 2014, n. 50379, cit.: al giudice è vietata l’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione nei confronti del cittadino straniero durante il periodo di gravidanza della moglie convivente ovvero entro i sei mesi successivi alla nascita del figlio, valendo «il principio secondo il quale le norme che disciplinano la valutazione di pericolosità sociale quale presupposto fondante l’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione devono essere applicate senza tralasciare l’esame comparativo, con gli altri criteri di valutazione». Il divieto di reingresso dello straniero nel territorio dello Stato ha durata differente a seconda dei presupposti dell’espulsione e è di cinque anni per l’espulsione disposta in via amministrativa ovvero come sanzione alternativa alla detenzione ai sensi dell’art. 16, c. 1, TUI; dieci anni per l’espulsione disposta a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione ai sensi dell’art. 16, c. 5, TUI.
Il divario è giustificato dal fatto che il giudice può applicare l’art. 16, c. 5, per quei reati la cui maggiore gravità legittima l’ordinamento a volersi assicurare l’assenza del soggetto espulso per un periodo più lungo di tempo (Cass., sez. I, 18 giugno 2019, n. 26873, in Immigrazione.it, 2019). V. Circolare del Ministero dell’interno, 4 febbraio 2020, n. Prot. 4225, Autorizzazione speciale al rientro per gli stranieri espulsi ex art. 13, c. 13 d.lgs. 286/1998 e art. 19-bis d.P.R. 394/1999; Divieto di reingresso per gli stranieri espulsi ex art. 19 d.P.R. 394/1999. Secondo Cass., sez. I, sent. I, sent. 27 febbraio 2017, n. 9636, apporre semplicemente un like a video inneggianti il martirio islamico può configurare il reato di propaganda dell’Isis.
[49] B. Vickers, Storia della retorica, trad. R. Coronato, Bologna, 1988, 134.
[50] Su un giudizio che controlla la proporzionalità di una previsione, v. Corte cost., 20 gennaio 2022, n. 13, sulla esclusione di un pregiudizio per il richiedente protezione nell’esercizio dei propri diritti.
Le note a sentenza di Aldo M. Sandulli
di Giuseppe Morbidelli
(Premessa a cura della Redazione)
Nello spirito che ha animato la creazione stessa della Rivista, di permanente confronto tra magistrati, avvocati, studiosi del diritto e società civile, la sezione tematica specificamente dedicata al diritto e processo amministrativo si è proposta di realizzare il confronto a “doppia voce”, del togato e del non togato, anche sui temi del diritto e della giustizia amministrativa di volta in volta ritenuti meritevoli di maggior interesse per la comunità.
Giustiziainsieme nasce nel fermo convincimento che “la giustizia è una questione troppo importante perché se ne occupino solo i giudici” e che giurisprudenza e dottrina debbano svolgere ciascuna il proprio ruolo mantenendo vivo un dialogo ispirato ad un confronto non autoreferenziale.
Il giudice deve preoccuparsi di trovare la soluzione giusta nel caso concreto.
La dottrina deve preoccuparsi di valutare la coerenza sistematica della singola pronuncia nell’insieme dell’ordinamento.
Il dialogo tra giurisprudenza e dottrina che valorizzi le rispettive competenze e vocazioni è dunque indispensabile per assicurare quanto più possibile il rispetto del principio della certezza del diritto e con esso l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
Sono trascorsi due anni da quando, nel marzo del 2020, questa Rivista ha aperto la sezione “Diritto e processo amministrativo”, che vive grazie alla collaborazione di decine di studiosi, giovani e meno giovani, allievi e maestri, impegnati, in controtendenza con le imperanti logiche di valutazione formale della produttività accademica, in un’opera di recupero e valorizzazione del genere letterario della nota a sentenza; con intento non meramente divulgativo, ma di contribuire al costante confronto tra la ragionevolezza delle soluzioni del singolo caso concreto e i principi informatori dell’ordinamento e dei suoi principali istituti giuridici.
Per sottolineare questo momento, apriamo i contributi del mese di marzo con lo scritto di Giuseppe Morbidelli, Le note a sentenza di Aldo M. Sandulli, pubblicato in Aldo M. Sandulli (1915-1984). Attualità del pensiero giuridico del Maestro, Milano, Giuffrè, 2004 e recentemente ripubblicato in G. Morbidelli, Ritratti, Ricordanze, Letture, Passigli Editori, 2021, Firenze, 353 ss.
La tecnologia amica del processo: dall’eredità dell’emergenza pandemica ai sistemi di giustizia predittiva
di Roberto Natoli e Pierluigi Vigneri[1]
Sommario: 1. Premessa - 2. L’eredità non dannosa di alcune misure dettate dall’emergenza pandemica - 3. L’intelligenza artificiale e le sue possibili applicazioni nel sistema giustizia - 4. I troppi compiti dei neoassunti addetti all’Ufficio del processo - 5. Verso la giustizia predittiva.
1. Premessa
L’introduzione del processo civile telematico[2], pur inizialmente accolta da comprensibili preoccupazioni, rappresenta il primo passo verso soluzioni di più efficiente e rapida gestione del contenzioso affidate alla tecnologia. Il tema è nell’agenda del legislatore europeo da più di dieci anni. Il Consiglio d’Europa, fin dal 2009, ha infatti emanato più Piani d’azione pluriennali in materia di giustizia elettronica europea[3]. Col primo Piano d'azione (quinquennio 2009-2013), ha definito le funzioni essenziali della «giustizia elettronica europea»: l'accesso alle informazioni nel settore della giustizia, la smaterializzazione delle procedure, la comunicazione tra autorità giudiziarie mediante, ad esempio, videoconferenze o reti elettroniche sicure[4]. Nel Piano per il quinquennio successivo queste funzioni sono state meglio specificate, ad esempio individuando strumenti per eliminare la presenza fisica delle parti nei procedimenti stragiudiziali transfrontalieri e sostituirla con collegamenti da remoto[5]. Con l’ultimo Piano d’azione (quinquennio 2019-2023) è comparso, per la prima volta, il riferimento all’intelligenza artificiale (IA) come strumento per migliorare il trattamento dei dati e la reperibilità delle informazioni e si è chiarito che quest’obiettivo può essere raggiunto non solo attraverso il “controllo” dei vocabolari[6], ma anche attraverso software che migliorano la qualità dei programmi di riconoscimento vocale e che consentono la trascrizione automatica di un discorso orale in forma scritta ai fini del suo utilizzo in procedimenti giudiziari[7].
Nel contesto dell’applicazione sempre più diffusa della tecnologia al processo, le innegabili opportunità che essa consente si sono manifestate con forza con l’emergenza pandemica. In Italia, ad esempio, alcune soluzioni emergenziali - pur introdotte col dichiarato intento di limitare i contatti sociali - si sono mostrate così efficienti da suggerirne una applicazione generalizzata anche ad emergenza conclusa. I tempi sono dunque maturi per interrogarsi su come e quanto la tecnologia, anche sotto forma di intelligenza artificiale, possa concorrere al raggiungimento dello storico obiettivo di una giustizia più rapida e più efficiente, senza perdere in qualità del giudizio, cioè senza obliterarne la naturale “umanità”[8]. Le positive innovazioni sperimentate nell’emergenza hanno infatti ingenerato una fiducia, probabilmente definitiva, nell’applicazione massiva della tecnologia al sistema giustizia, portando tutti gli operatori a toccare con mano quanto un suo uso intelligente e ben governato possa essere un ausilio e non un intralcio al buon funzionamento del processo.
2. L’eredità non dannosa di alcune misure dettate dall’emergenza pandemica
Negli ultimi anni, molte riforme dichiaratamente intese a ridurre i tempi di durata dei processi civili ne hanno spesso soltanto ritardato l’inizio o ne hanno addirittura aumentato la complessità, per esempio moltiplicando il numero delle questioni “di rito”, così rendendo inevitabilmente più lunghi i tempi di redazione. Si allude, ovviamente, all’eccessiva fiducia riposta nei sistemi obbligatori di A.D.R., i quali, a distanza di più di dieci anni dalla loro introduzione generalizzata per un cospicuo gruppo di materie (quelle previste dall’art. 5 del d. lgs. 28/2010), non hanno dato la prova di sé che ci si attendeva e hanno anzi alimentato evitabilissimi contenziosi giudiziali (si pensi, ad esempio, al problema di chi sia tenuto a introdurre la mediazione obbligatoria in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, giunto fino alle sezioni unite[9]). Queste soluzioni stragiudiziali, cui pure il PNRR continua a dedicare fin troppa fiducia[10], presuppongo però un’idea errata – o, almeno, non perfettamente centrata – delle cause dell’eccessivo carico di contenzioso che certamente rappresenta un problema ormai datato del sistema italiano.
La litigiosità non consegue al processo ma lo precede. E trova altrove le sue ragioni. Il processo è un mezzo e come tale va trattato, magari destinando i tanti sforzi periodicamente dedicati a scriverne e riscriverne le regole, a scrivere migliori regole di diritto sostanziale: più chiare e non contraddittorie.
Tanto premesso, è del tutto evidente che, se il tasso di litigiosità dei consociati (input) è trattato come una variabile indipendente, la riduzione dei tempi delle decisioni (output) dipenderà, anzitutto, dall’aumento dei mezzi, umani e no, destinati alla produzione dell’output.
Quindi: o si aumenta il numero dei decidenti o si migliorano i mezzi necessari alla decisione. Come si diceva, la strada prescelta dal legislatore italiana sembra essere sostanzialmente la seconda. È vero che negli ultimi anni si è assistito a un robusto reclutamento di magistrati ordinari, ma la gran parte delle risorse finanziarie provenienti dal Next Generation Fund all’Italia (191,5 miliardi) e destinate dal PNRR[11] alla Giustizia (2,827 miliardi) non servono ad aumentarne ulteriormente il numero, ma a finanziare le due linee complementari di intervento[12] dell’Ufficio per il processo (e, in generale, del capitale umano) e della digitalizzazione.
In questo contributo ci occuperemo dunque di come organizzare al meglio il capitale umano e i mezzi tecnologici affinché gli investimenti fatti nell’uno e nell’altro fattore produttivo non si risolvano soltanto in un fatuo intervento di facciata sul problema contingente, ancorché vetusto, dell’eccessivo numero di cause ultratriennali.
Rispetto a questo tema il punto di partenza è certamente il processo civile telematico. L’idea che ha animanto il P.C.T. è stata la dematerializzazione delle produzioni e lo sviluppo di soluzioni utili a rendere più rapide le decisioni. Da qui, ad esempio, l’importanza nella redazione degli atti processuali di un formato che ne consentisse la rapida copia (il c.d. pdf nativo). Da qui un sistema incentrato sulla gestione dei fascicoli processuali, sulla conservazione degli stessi in supporti durevoli e sulla rapidità della gestione dei documenti medesimi: cioè un sistema innegabilmente produttivo di risparmi sia per le parti, sia per i decidenti, i quali, dalla loro postazione telematica, possono depositare e accedere direttamente a tutti gli atti processuali e visualizzarli a video.
Il passaggio successivo, consentito proprio dall’entrata a regime del processo civile telematico, è stato offerto dalla riforma silenziosa avvenuta durante il periodo emergenziale attraverso al c.d. gestione telematica delle udienze.
Il primo mezzo adottato per evitare il contatto fisico tra le parti del giudizio e il paventato rischio di contagio è stato la partecipazione tramite collegamento audio visivo, cioè un mezzo che, sia pur senza la presenza fisica delle parti, ha comunque “mimato” l’udienza in presenza, perché ha comunque consentito la presenza contestuale e il contraddittorio in udienza. Nonostante questa mimesi, si è trattato comunque di un sistema che ha apportato benefici, forse minimi, ma comunque apprezzabili: si pensi, ad esempio, alla possibilità di condividere il verbale d’udienza o alla possibilità di evitare accavallamenti di voci tramite un uso accorto della funzione “attiva/disattiva microfono” da parte del giudice. Si tratta, come si vede, di vantaggi ancora ulteriori e diversi rispetto all’intuitivo guadagno offerto dalla riduzione (anzi, dall’azzeramento) del tempo necessario per raggiungere le aule d’udienza.
Il secondo mezzo adottato durante l’emergenza, cioè la sostituzione della trattazione in presenza con la c.d. udienza cartolare, è un’innovazione ancor più importante: con l’eccezione di talune attività (tipicamente, l’escussione di testimoni o informatori), si è infatti compreso che, se adeguatamente messa a punto con accorgimenti che non sacrificano il diritto al contraddittorio (ad es. col deposito di note scritte e di note scritte di replica prima dell’udienza), la gran parte delle udienze dei giudizi civili si può efficacemente svolgere in forma “cartolare”. Un simile ribaltamento di prospettiva, se generalizzato (cioè se istituzionalizzato anche al termine dello stato di emergenza) consente ai giudici di abbattere tempi sostanzialmente morti (si pensi, per citare il caso più eclatante, alle prime udienze in grado d’appello, che si risolvono nel 99% dei casi in cui un sibilo rivolto dagli avvocati al cancelliere per ribadire un inconferente obbligo di “insistenza” nelle conclusioni già rassegnate in atti), per reimpiegarli nello studio dei fascicoli e nella redazione delle decisioni.
Anche intuitivamente, generalizzando soluzioni emergenziali i tempi del processo possono ridursi riducendo i tempi (inutili) di svolgimento delle udienze o, ancor più banalmente, i tempi di spostamento da casa (dove buona parte dei giudici italiani studiano e scrivono) all’ufficio.
Mettere a frutto la miglior eredità dell’emergenza è dunque un obiettivo che il legislatore dovrebbe avere ben chiaro, tanto più perché sostanzialmente a costo zero.
3. L’intelligenza artificiale e le sue possibili applicazioni nel sistema giustizia
La tecnologia, però, può essere applicata al processo civile in modo più pervasivo di quanto fin qui sperimentato portando a regime il P.C.T. e sfruttandone, come accaduto durante l’emergenza pandemica, alcune inesplorate possibilità.
Tralasciando una serie di possibili applicazioni dei sistemi di I.A. ovviamente incompatibili con il sistema costituzionale come la redazione automatica delle decisioni – sulla cui incostituzionalità non mette neppure conto dilungarsi – l’intelligenza artificiale può essere utilmente sperimentata in una serie di attività che qui di seguito elenchiamo in ordine di crescente rassomiglianza alle attività tipicamente umane:
a) come strumento di “anonimizzazione” dei dati sensibili;
b) come strumento di catalogazione dei documenti;
c) come strumento di gestione ed esecuzione di attività semplici e preliminari;
d) come strumento di creazione delle massime;
e) come strumento di previsione dell’esito di una futura lite.
Procedendo per esemplificazioni di esperienze già sperimentate, in Italia o altrove, osserviamo che:
a) l’eliminazione dei dati sensibili dalle decisioni è oggetto di un avanzato progetto coordinato dal Ministero della Giustizia finlandese (ANOPPI)[13];
b) sempre in Finlandia alla catalogazione dei documenti (che è qualcosa di più della mera attività di raccolta di contenuti simili) è già è operativo il sistema TUOMAS, che consente alle parti di trasmettere i propri documenti mediante una piattaforma (SANTRA), lasciando poi che il sistema si occupi della catalogazione, della gestione dei termini di decadenza e dell’elaborazione della ricostruzione del fatto, in modo da consentire al giudice una più veloce stesura del provvedimento finale[14];
c) per la gestione informatizzata delle informazioni giudiziarie è stato sperimentato in Estonia il sistema KIS (Court Information System), che consente l’assegnazione ottimale delle cause ai giudici (in relazione al carico già sopportato dal singolo decidente e all’importanza assegnata dall’algoritmo alla controversia); il trattamento automatico delle e-mail; la generazione automatica di documenti modificabili da parte dell’utente (trattasi di veri e propri modelli di atti processuali)[15];
d) per la massimizzazione dei provvedimenti giudiziari, in Italia già da decenni esiste il Centro elettronico di documentazione (CED) della Corte suprema di Cassazione, nato proprio per offrire degli operatori del diritto archivi di giurisprudenza e di legislazione: proprio a partire dall'organizzazione automatizzata delle massime della Cassazione – e avvalendosi delle tecnologie di information retrieval – il CED ha realizzato il sistema Italgiure-Find che attualmente gestisce una raccolta di oltre 35 milioni di documenti costantemente aggiornati, tra cui testi legislativi, sentenze e Gazzette Ufficiali reperibili dal 1860 in poi. Italgiure è un esempio di sistema di Intelligenza Artificiale per la ricerca di informazioni giuridiche di contenuto concettuale e non meramente semantico[16]. Il thesaurus di Italgiure consente infatti una ricerca indicizzata, cioè non limitata alla ricorrenza di un lemma, ma capace di identificare corrispondenze logiche tra strutture concettuali (c.d. semi)[17].
4. I troppi compiti dei neoassunti addetti all’Ufficio del processo
Giunti a questo stadio del ragionamento, è possibile trarre qualche utile indicazione per il prossimo futuro individuando, in particolare, gli ambiti entro i quali le cospicue risorse destinate al settore della giustizia dal PNRR possono essere usate in modo efficiente, cioè creando infrastrutture che, anche quando l’attuale e straordinario afflusso di denaro cesserà, consentiranno comunque una più fluida gestione del “traffico” giudiziario.
I finanziamenti del PNRR, come detto, servono ad alimentare il processo di transizione digitale, cioè un processo che, come lo stesso termine “transizione” indica, è per definizione temporaneo. Ciò che davvero importa è cosa resterà alla fine della transizione. In quest’ottica non possiamo non denunziare una sorta di strabismo del legislatore, il cui sguardo non sembra rivolto verso l’orizzonte della fine della transizione e del mondo nuovo che verrà, ma appare fisso verso l’obiettivo immediato dello “smaltimento” delle pendenze ultratriennali. Se la nostra impressione è corretta, ne segue che l’immissione, tramite il recente reclutamento, di tanti addetti all’Ufficio del Processo, con contratti a tempo determinato (e per di più assai breve), è poco più di una trovata utile a reperire la forza lavoro necessaria per un’operazione che, già nel poco edificante termine che ne designa lo scopo (lo “smaltimento”), è vista come un lavoro sporco, ma che qualcuno deve pur fare.
Senza essersi posto il preliminare problema logistico (dove alloggiarli?); senza aver adeguatamente riflettuto sul tempo necessario ai giudici per formarli (inevitabilmente sottratto allo studio dei fascicoli e alla redazione delle decisioni); senza considerare tutto ciò, il Ministero vorrebbe infatti delegare ai neoassunti addetti all’Ufficio del processo i seguenti compiti[18]:
- la verifica della completezza del fascicolo, l'accertamento della regolare costituzione delle parti, il controllo delle notifiche, il rispetto dei termini, l’individuazione dei difensori nominati e altro;
- lo studio dei fascicoli, finalizzato a predisporre schede informative per ciascuna causa;
- il supporto alla stesura di bozze di provvedimenti semplici;
- il controllo della pendenza di istanze o richieste e la loro gestione;
- l’organizzazione delle udienze e del ruolo di ciascun giudice, con segnalazione dei fascicoli che presentino caratteri di trattazione prioritaria;
- l’approfondimento delle questioni giurisprudenziali e dottrinali implicate dalla controversia;
- la ricostruzione del contesto normativo;
- la massimazione dei provvedimenti, finalizzata alla emersione di indirizzi giurisprudenziali locali;
- il supporto ai processi di digitalizzazione e di innovazione organizzativa dell’ufficio e il pedissequo monitoraggio dei risultati.
È rimasta dunque inascoltata la perplessità di chi ha autorevolmente denunziato[19] la mancanza di «un vero approccio innovativo, che muova dalle ragioni della sostanziale inattuazione dell'istituto, facendosi leva su tirocinanti e risorse esterne (che espongono l'ufficio giudiziario a relazioni pericolose col territorio) e scegliendo il supporto al magistrato come chiave di intervento»[20].
Purtuttavia, proprio grazie all’immissione temporanea dei neoassunti addetti all’Ufficio per il processo, e limitandosi al contenzioso civile, ci si attende, nel giro di pochi anni, l'abbattimento del 90% delle controversie che hanno superato i limiti di ragionevole durata del processo in tutti i gradi di giudizio, nonché la riduzione complessiva del 40% della durata dei procedimenti civili; per di più prevedendo, quale target intermedio, l'abbattimento, entro la fine del 2024, dell’arretrato civile del 65% in primo grado e del 55% in grado di appello.
Individuato il traguardo, occorre scegliere il percorso. Al riguardo ci permettiamo di osservare che quello scelto dal legislatore italiano non sembra il migliore. O, quanto meno, che troppi sono i compiti che ci si attende dagli addetti all’Ufficio del Processo, per essere tutti efficacemente assolti. Bisognerebbe, invece, concentrarsi solo sui compiti che, se svolti bene, possono apportare benefici duraturi al “sistema giustizia”.
Occorre infatti non dimenticare che i denari del PNRR servono a garantire un futuro migliore alle nuove generazioni di cittadini europei (sulle quali graverà il debito peraltro contratto per restituire la gran parte dei finanziamenti stanziati dal Next Generation EU). Se l’abbattimento dell’arretrato ultratrienneale è certamente un obiettivo di medio periodo che merita di essere perseguito, bisogna però avere lo sguardo lungo e lavorare perché il risultato auspicato si consolidi. Bisogna, insomma, cambiare la “viabilità” della giustizia, modificandone le infrastrutture: altrimenti il traffico, solo contingentemente ridotto, sarà destinato inesorabilmente a reintensificarsi.
5. Verso la giustizia predittiva
A questo stadio del ragionamento possiamo soffermarci sulla giustizia “predittiva”[21], cioè sull’ultimo punto – la lett. e) – dell’elenco contenuto al § 3, volutamente non ancora trattato: cioè sull’uso della tecnologia come strumento di previsione dell’esito di una futura lite, tale da consentire agli operatori economici, prima di portare la controversia in giudizio, di verificarne con ragionevole grado di approssimazione il probabile esito. Un tale obiettivo, che è nell’agenda di buona parte dei Paesi occidentali, in Italia sembra tra l’altro rispondere anche all’esigenza, ripetutamente manifestata[22], di maggior attrazione degli investimenti stranieri, ostacolati non soltanto dall’irragionevole durata dei giudizi, quanto dalla loro tendenziale imprevedibilità.
Se queste due asserzioni rispondono al vero, si intuisce quale, tra i tanti compiti immaginati dal Ministero, possa essere assolto dagli addetti all’Ufficio del processo per generare effetti benefici e durevoli sul sistema: in un quadro che sullo sfondo vede un ruolo sempre più esteso dell’intelligenza artificiale anche nel sistema giudiziario, pensiamo soprattutto al supporto ai processi di digitalizzazione e di innovazione organizzativa dell’ufficio e al pedissequo monitoraggio dei risultati. L’Ufficio del processo – in sinergia con la consulenza preliminare delle Università, a loro volta riccamente finanziate dal PON 2014-20[23] – può infatti agevolare e fluidificare l’opera di immissione massiva degli input nel sistema (cioè di dati scomposti in modo così granulare da tendere all’aderenza più perfetta – quasi sartoriale – tra il caso nuovo e il caso già deciso), e controllare poi la rispondenza degli output.
Gli addetti all’Ufficio del Processo, tutti laureati in giurisprudenza ma di nessuna esperienza giudiziaria, potrebbero contribuire ad alimentare una banca dati di provvedimenti, soprattutto di merito, che, in prospettiva, possa consentire a chiunque di “interrogare” i dati raccolti e trarne possibili esiti di decisione.
È chiaro che, per raggiungere un simile esito – che non è quello della macchina che decide, come detto incostituzionale – occorre educare la macchina a educarsi, fino a farla procedere in sempre più totale autonomia. La prima cosa da fare è immettere i dati giusti nel sistema. Per confidare nelle capacità dell’intelligenza artificiale, occorre anzitutto l’intelligenza umana.
Per raggiungere lo scopo della predittività, bisogna ragionare in modo diverso dal passato. Chiunque abbia esperienza del giudizio, sa che la massima non correlata al fatto concreto dice assai poco. Non a caso è molto spesso mentitoria. Per costruire un sistema di giustizia predittiva occorre prima costruire un giacimento di fatti concreti, più che di massime. Il discorso meriterebbe ben altro respiro, ma un esempio può agevolarne la comprensione.
Si pensi alla clausola generale della buona fede. Chiunque, oggi, compulsi una qualsiasi banca dati, più o meno “logica”, che proceda per lemmi o per semi, alla domanda su quando sia violata la buona fede troverà sempre una risposta aperta, inidonea a dare indicazioni operative per la soluzione del caso concreto. Digitando su Italgiureweb, nel campo “concetti”, il sintagma “buona fede”, spunta tra le prime la seguente massima recente, tratta da Cass. 20 dicembre 2021, n. 40829: «Le clausole che, quale quella "quando possibile" o simile, individuano il momento dell'adempimento con carattere meramente indicativo, pur non integrando gli estremi di un termine essenziale, ex art. 1457 c.c., solo apparentemente lasciano all'obbligato un amplissimo margine di discrezionalità, quanto alla scelta del concreto momento in cui adempiere, dovendosi a tal fine dare rilievo, mediante il ricorso all'interpretazione secondo buona fede, alle circostanze - quale la possibilità, più o meno prossima, che il debitore superi alcune difficoltà - cui le parti abbiano fatto implicito riferimento. In tal caso, pertanto, non è configurabile un'obbligazione senza termine o con termine rimesso alla volontà del debitore, né può escludersi l'inadempimento di quest'ultimo, allorché non esegua la propria prestazione entro un lasso di tempo che, in relazione all'oggetto ed alla natura del contratto, il giudice ritenga congruo».
Si tratta certamente di una massima che può risultare utile per spiegare agli studenti di primo anno, alle prese con l’apprendimento delle Istituzioni di diritto privato, che la buona fede implica sempre una valutazione giudiziale delle circostanze del caso concreto. Non meno certamente, è però una massima inidonea a fornire indicazioni operative a chi voglia prevedere l’esito di una possibile lite, perché, come si vede, non dà risposta alla domanda per cui la banca dati è interrogata: quando, in relazione all'oggetto ed alla natura del contratto, può dirsi congruo il lasso di tempo entro il quale il debitore deve adempiere la prestazione dedotta in obbligazione?
A questa domanda, consultando le banche dati attuali (anche quelle che consentono la ricerca per semi), l’avvocato che voglia consigliare al cliente se fare o no causa non trova risposta. Ma neppure il giudice cui la lite sarà sottoposta, consultando le medesime banche dati, troverà un precedente che lo possa agevolare nel decidere e nello scrivere la decisione.
Come in un gioco di specchi, sia l’avvocato sia il magistrato torneranno sempre al punto di partenza: quando, secondo buona fede, il tempo dell’adempimento è congruo, in relazione all'oggetto ed alla natura del contratto?
Un sistema che li aiuti entrambi non dovrebbe ammassare le massime ma classificarle logicamente, evidenziando le peculiarità delle fattispecie concrete. Siccome le massime sono tratte per definizione da casi l’uno diverso dall’altro (poiché, per tornare all’esempio, ogni contratto ha un suo oggetto e una sua natura), un sistema intelligente di classificazione dovrebbe censire i precedenti in ragione non tanto del principio di diritto, che spesso si risolve in una norma giurisprudenziale non meno generale e astratta di quella interpretata e comunque suscettiva a sua volta di interpretazione, ma in ragione degli elementi di fatto del caso oggetto di giudizio. Solo così si possono ottenere risposte granulari a domande granulari.
Leggendo per esteso la sentenza da cui è tratta la massima più su richiamata, si scopre che il caso oggetto del giudizio di legittimità riguardava un altro problema. Il giudizio traeva origine da un contratto preliminare di permuta intercorso fra una persona fisica e una società immobiliare, avente ad oggetto la cessione di un terreno a fronte della realizzazione di una palazzina con boxes, cinque dei quali da trasferire al cedente, garantito da una fideiussione per il caso di inadempimento dell’obbligazione assunta. Interrogata su questo caso, la Cassazione ha ritenuto che, anche se le obbligazioni contrattuali non hanno un termine certo, non è possibile ritenere sempre obbligato il fideiussore, in ispregio al termine semestrale previsto, nell’interesse del garante, dall’art. 1957 c.c. Come si vede, la vicenda oggetto del concreto giudizio di legittimità non dà alcuna risposta al problema della congruità, secondo buona fede, del termine congruo per adempiere, occupandosi invece della diversa questione dell’onere del creditore garantito da fideiussione di agire prontamente nei confronti del debitore per preservare intatta la garanzia fideiussoria.
Perché la macchina restituisca massime (o interi provvedimenti) puntuali, che possano adattarsi sartorialmente al caso che sollecita l’interrogazione, occorre dunque una particolare intelligenza, che consenta di cogliere le peculiarità del caso concreto e “taggarle” in modo corretto. A quel punto si può cominciare a istruire il sistema, affinché questo, munito della sua “intelligenza”, proceda da sé a “taggare” correttamente le decisioni, ancorandole ai casi concreti. Come sempre accade quando si istruisce qualcuno (o qualcosa), occorre però del tempo per valutare l’esito dell’apprendimento: nel nostro caso, visto che parliamo di macchine, occorre del tempo per correggerne i “bachi”.
Questa correzione è un’attività anzitutto umana, non soltanto complessa ma specialistica, nel senso che dev’essere compiuta da esperti del settore: cioè non dagli ingegneri ai quali è chiesto di costruire la macchina, ma dai giuristi che devono guidarla. Tuttavia, i sistemi di intelligenza artificiale sono muniti di capacità di autoapprendimento. Pertanto, nel corso del tempo, le attività di correzione umana potranno diradarsi. Tali attività, se ben compiute nella fase iniziale, daranno frutti negli anni e nei decenni a venire, perché, adeguatamente istruita e corretta, la macchina un giorno saprà camminare senza conducente.
Non sembra utopistico immaginare che allo sviluppo di sistemi “driverless” possa condurre la sinergica attività di Università e addetti all’Ufficio del Processo. Quando sarà raggiunto quello stadio, si potrà immaginare non solo un uso dell’intelligenza artificiale per definire alcune eccezioni processuali (come l’incapacità di agire di un minore o di un interdetto o del rappresentante di società, associazioni, fondazioni, etc., quando tale qualità risulti direttamente da pubblici registri), ma anche – come pure è stato immaginato[24] – che un robot predittivo possa avere un ruolo fattivo nelle decisioni di inammissibilità in appello, ex art. 348-bis, c. 1, c.p.c., e in Cassazione, ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c., poiché in entrambi i casi (e con particolare evidenza nel secondo) l’inammissibilità è una conseguenza della coerenza del provvedimento impugnato con la «giurisprudenza della Corte»[25]. Si potrà pure immaginare un uso dell’intelligenza artificiale nelle controversie che implicano quantificazioni, come quelle in materia di risarcimento del danno o di quantificazione degli assegni di mantenimento per la prole. Per la quantificazione degli assegni di mantenimento esistono già oggi software, pur molto grezzi, cui chiunque può accedere e in grado di determinare il quantum in esito all’inserimento di poche informazioni[26]. Questi software, però, non spiegano come opera l’algoritmo che quantifica e, soprattutto, processano un numero molto limitato di dati, senza alcun riferimento a precedenti in materia. In futuro, non è difficile immaginare software che restituiscano quantificazioni più attendibili, perché alimentati da un maggior numero di informazioni, di cui sia trasparente la c.d. black box, cioè il meccanismo che governa l’algoritmo che opera il calcolo, e che facciano riferimento ad analoghi precedenti. È forse superfluo osservare che la macchina non potrà mai vincolare il decidente: la cui attività valutativa, per di più, incide su interessi non patrimoniali indisponibili dalle parti come il best interest of the child. Nondimeno, la macchina potrà fornire – alle parti ancor prima che al giudice – un punto di partenza “oggettivo” per personalizzare il quantum. E, anche intuitivamente, già la possibilità di conoscere il punto di partenza dal quale muoverà il giudice per giungere alla decisione, rappresenta un elemento di facilitazione al raggiungimento di soluzioni stragiudiziali.
Se gli ingenti investimenti finanziari attuali consentiranno di sviluppare sistemi di giustizia predittiva, i frutti prodotti saranno duraturi, perché la predittività incide doppiamente sul saldo dei flussi giudiziari. Da un lato, può far diminuire il flusso in entrata (input), disincentivando le parti dall’intraprendere contenziosi il cui esito infausto è già prevedibile. Dall’altro, può rendere più scorrevole il flusso in uscita (output), perché, fornendo al decidente schemi di decisione tratti da precedenti davvero conformi, rende più rapida la stesura dei provvedimenti.
In ogni caso, il decidente non sarà tenuto ad adeguarsi allo schema di decisione restituito dal sistema: sia perché ciò significherebbe introdurre nell’ordinamento il principio del precedente vincolante; sia perché il giudice è sempre autore del cambiamento e artefice, attraverso l’interpretazione, della diuturna evoluzione dell’ordinamento giuridico, altrimenti destinato a sclerotizzarsi e perdere il contatto con la realtà. Eppure, anche nel caso di scostamento dal precedente, lo schema di decisione restituito dalla macchina non smette di assolvere a importanti funzioni, perché per un verso potrebbe giustificare un onere di motivazione rafforzata del provvedimento che si discosta dal modello di decisione “pre-detto” dal sistema; per altro verso potrebbe giustificare un’automatica applicazione della regola della compensazione delle spese di lite, ex art. 92, c. 2, c.p.c.
[1] Sebbene frutto di un pensiero comune, i §§ 1 e 2 sono da attribuire a Pierluigi Vigneri; i §§ 3, 4 e 5 sono da attribuire a Roberto Natoli.
[2] Il cui fondamento normativo si rintraccia nell’art. 4 d.l. 29 dicembre 2009, n. 193 (convertito, con modificazioni, nella l. 22 febbraio 2010, n. 24) ove si previde che «con uno o più decreti del Ministro della Giustizia (...) adottati, ai sensi dell’art. 17, comma 3 ̊, della legge 23 agosto 1988, n. 400» venissero individuate «le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni». In questa delega di funzioni potevano isolarsi due principali criteri direttivi: 1) l’adozione della disciplina tecnica del p.c.t. veniva demandata al potere di decretazione del Ministro della Giustizia, secondo il paradigma procedimentale dei regolamenti (ministeriali) contemplati dall’art. 17, comma 3 ̊, l. 23 agosto 1988, n. 400; 2) la cornice normativa entro la quale tale disciplina doveva collocarsi era quella del Codice della amministrazione digitale e, in particolare, quella delle prescrizioni generali dettate con riferimento al documento informatico ed alle firme elettroniche. Questa disciplina è oggi dettata dal decreto del Ministero della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44, che costituisce la base giuridica su cui poggia il complessivo impianto del processo telematico, ove si stabiliscono i dettami minimi per la trasmissione degli atti e documenti informatici all’interno del processo, per la consultazione delle informazioni relative ai singoli procedimenti sul c.d. dominio giustizia, per l’effettuazione dei pagamenti telematici del contributo unificato e degli altri diritti e spese dei procedimenti. Tale disciplina è stata poi arricchita dal d.l. n. 179/2012 (convertito, con modificazioni, nella l. 17 dicembre 2012, n. 221), dalla l. n. 228/2012 e infine dal d.l. n. 90/2014 (convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 114). Sul punto v. G.G. Poli, il sistema delle fonti del processo civile telematico, in Riv. dir. proc., 2016, p. 1201 ss.
[3] Piano d’azione pluriennale 2009-2013 in materia di giustizia elettronica europea, (2009/C 75/01), Piano d’azione pluriennale 2014-2018 in materia di giustizia elettronica europea (2014/C 182/02); Piano d’azione 2019-2023 in materia di giustizia elettronica europea (2019/C 96/05).
[4] Piano d’azione pluriennale 2009-2013, cit., 3.
[5] Piano d’azione pluriennale 2014-2018, cit., 4.
[6] Cioè un elenco di termini utilizzati per indicizzare il contenuto e agevolare il reperimento delle informazioni. Tali vocabolari sono noti con l’acronimo di ELI (European Legislation Identifier) o ECLI (European Case Law Identifier).
[7] In quest’ottica il progetto è di incoraggiare l’uso di VocBench, cioè di una «piattaforma multilingue per la gestione collaborativa del thesaurus» (v. in https://ec.europa.eu/isa2/solutions/vocbench3_en); definire lo strumento di indicizzazione noto come EuroVoc, cioè il «thesaurus multilingue e multidisciplinare dell’UE», comprendente parole chiave, organizzate in 21 settori e 127 sottosettori, a descrizione del contenuto dei documenti in EUR-Lex (cfr. https://eur-lex.europa.eu/browse/eurovoc.html?locale=it); arricchire LegiVoc, cioè una banca dati terminologica progettata per facilitare la comprensione da parte degli Stati membri delle leggi dell’Unione europea e fornire un sistema terminologico interoperabile da utilizzare nei progetti relativi all’accesso alle leggi degli Stati membri dell’UE e agli scambi di informazioni tra le reti europee di cooperazione giuridica o giudiziaria (cfr. https://legivoc.org/).
[8] L. Breggia, Prevedibilità, predittività e umanità nella soluzione dei conflitti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, p. 395 ss.
[9] Cass., sez. un., 18 settembre 2020, n. 19596, in Corr. giur., 2021, p. 559, con nota di M. Stella, L’onere di mediazione grava sul creditore opposto: non un caso di overruling.
[10] M. Delia, Le ADR nei moduli organizzativi del processo civile e nella programmazione del PNRR, in https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/le-adr-nei-moduli-organizzativi-del-processo-civile-e-nella-programmazione-del-pnrr
[11] Il quale ascrive la riforma del sistema giudiziario alle riforme "orizzontali" e "di contesto": l’obiettivo generale della riduzione dei tempi dei giudizi si inserisce infatti in due delle sei missioni attorno a cui si raggruppano i progetti: la missione 1 (Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo) e la missione 2 (Rivoluzione verde e transizione ecologica).
[12] https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_30.page#
[13] Finnish Project on the Anonymization of Court Judgments with Language Technology and Machine Learning Apps: v. in https://www.coe.int/en/web/freedom-expression/finnish-project-on-the-anonymization-of-court-judgments-with-language-technology-and-machine-learning-apps
Il sistema, grazie al software del quale è dotato, individua e contrassegna automaticamente le espressioni che identificano la stessa persona ed è in grado di renderne anonimi i riferimenti: il programma presenta una proposta all’utente completamente modificabile e consente, in aggiunta, la ricerca intelligente di documenti e il collegamento con testi affini.
[14] Cfr. Kujanen K., E-services in the courts in Finland. Presentation at the seminar on law and informatics 2004 in Berne, in https://rechtsinformatik.ch/wp-content/uploads/2004/06/kujanen.pdf
[15]https://www.rik.ee/sites/www.rik.ee/files/elfinder/article_files/RIK_e_Court_Information_System%2B3mm_bleed.pdf
[16] Si tratta dunque di un sistema più avanzato di quello basico fondata sulla rapida individuazione della ricorrenza di parole chiave in un documento (per intenderci, la funzione “cerca” presente in qualsiasi software di videoscrittura o di lettura di documenti informatici). I sistemi per la ricerca concettuale di informazioni giuridiche sono, invece, funzionali al reperimento di informazioni in base al loro contenuto concettuale o informativo. Sul punto v. S. Crisci, Intelligenza artificiale ed etica dell’algoritmo, in Foro amm., 2018, p. 10.
[17] Italgiure consente di individuare “semi” di linguaggio: ma il “seme” implica un’operazione logica, poiché contiene un insieme di termini tecnici concettualmente affini. Intuitivamente, una ricerca per semi dà risultati più apprezzabili di una mera ricerca testuale per lemmi.
[18] https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_9_2_2.page?previsiousPage=mg_2_9_2
[19] Nelle proposte delle commissioni istituite dal Ministro Cartabia e presiedute dal Prof. Luiso per la giustizia civile, dal Presidente Emerito della Corte Costituzionale Lattanzi per la giustizia penale, dal Prof. Luciani per l’ordinamento giudiziario e dal Presidente della Corte d’Appello di Brescia Castelli per la magistratura onoraria.
[20] M.G. Civinini, Il "nuovo ufficio per il processo" tra riforma della giustizia e PNRR. Che sia la volta buona!, in https://www.questionegiustizia.it/data/doc/2984/civinini-riv-upp-qg-26345.pdf
[21] Sul tema, E. Battelli, Giustizia predittiva, decisione robotica e ruolo del giudice, in Giust. civ., 2020, 2, 280.
[22] S. Comi – M. Grasseni – L. Resmini, La giustizia efficiente porta investimenti stranieri, in lavoce.info, 31.8.2021, https://www.lavoce.info/archives/89301/la-giustizia-efficiente-porta-investimenti-esteri/
[23] Ad esempio, il progetto proposto dagli Atenei pubblici di Sicilia e Sardegna, intitolato “Giustizia Smart: Strumenti e modelli per ottimizzare il lavoro dei giudici – JustSmart” e finanziato con oltre 8 milioni di euro (https://www.unipa.it/dipartimenti/di.gi./progetti/just-smart/), è articolato in sei distinti punti: 1. elaborazione di un modello operativo dell’UPP (Ufficio per il processo) presso gli Uffici Giudiziari coinvolti, che consenta azioni efficaci di smaltimento dell’arretrato ed efficiente gestione dei flussi; 2. rilevazione quali-quantitativa dell’arretrato esistente e dall’analisi delle modalità operative seguite presso gli UPP istituiti; 3. disaggregazione dati e diversificazione analisi in funzione delle dimensioni degli Uffici Giudiziari e della distinzione tra Tribunali/Corti di Appello; 4. contributo a creazione banca dati merito (coordinamento progetto CSM); 5. progettazione dei provvedimenti per Sezioni o macrotemi/sperimentazione di modelli di intelligenza artificiale che fungano da ausilio al singolo decisore; 6. messa a punto di sistemi complementari agli applicativi. Big Data, Machine Learning, text analysis e feature extraction come strumenti di ausilio in fase di: a) assegnazione per materia in fase di incardinamento; b) tempo «attraversamento» fascicolo; c) disamina preliminare del singolo fascicolo e redazione della minuta di provvedimento secondo modelli tipizzati.
[24] A. Di Porto, Avvocato-robot nel «nostro stare decisis». Verso una consulenza legale «difensiva», in A. Carleo (a cura di), Decisione robotica, Bologna, 2019, p. 242 s.
[25] Rispetto al giudizio in Cassazione il sistema di ricerca Italgiureweb, inserendo il lemma “certalex” nel campo di ricerca “Intero testo” della scheda “Ricerca sintetica”, già consente di estrarre le massime che contengono i principi individuati come consolidati ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c.: v. http://www.italgiure.giustizia.it/informativaIWEB/Civile.htm
[26] v., ad es., https://www.remidafamiglia.com/
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