Un ulteriore passo in avanti nel (difficile) cammino della Corte europea dei Diritti dell’Uomo per l’applicazione negli ordinamenti tributari nazionali dei principi della Convenzione EDU (nota a Corte EDU, 14 dicembre 2021, causa 11200/19 Melgarejo Martínez Abellanosa v. Spagna)
di Roberta Alfano*
Sommario: 1. Introduzione - 2.1. Il caso concreto - 2.2. La pronuncia della Corte di Strasburgo - 3. La motivazione della sentenza: sollecitazioni sovranazionali ed evoluzione domestica fra esigenze di semplificazione e rispetto di tutti i principi a fondamento del giusto processo - 4. Sanzioni penali, sanzioni (formalmente) amministrative e principio del ne bis in idem - 5. Il cadenzamento dei passi della Corte EDU e l’effettivo adeguamento interno: qualche riflessione.
1. Introduzione
La Corte EDU si è recentemente pronunciata in merito alla violazione dell’art. 6 della convenzione EDU in campo tributario.
La sentenza in commento si pone in linea di continuità con le precedenti pronunce volte all’affermazione del giusto processo in materia tributaria, ovvero a garanzia di quei principi che, con le parole di autorevole dottrina, non costituiscono “il” traguardo , ma i meri standard minimi di garanzia che devono essere assicurati da una giurisdizione in uno Stato di diritto[1].
Il caso di specie si sofferma sul difetto di motivazione in merito alla natura accessoria di un accertamento riferito a sanzioni per ritardato pagamento ed interessi di mora, per il quale non era stato deciso l’annullamento, come invece avvenuto per la presunta pretesa tributaria. L’attività della Corte EDU trova fondamento nel principio di effettività delle garanzie fondamentali, per la protezione concreta e reale delle prerogative dei singoli individui, prendendo le distanze dalle interpretazioni fondate su classificazioni sistematiche poste in essere negli ordinamenti interni, nel fine prevalente dell’effettiva tutela dei diritti dell’uomo. La Convenzione EDU ha trovato soltanto in un secondo momento applicazione al diritto tributario attraverso la giurisprudenza della Corte EDU, che ha dilatato significativamente il campo di applicazione dell’art. 4, prot. 7 della Convenzione; ciò, in particolare con riferimento alla vexata quaestio della reale afflittività delle sanzioni amministrative[2] e al rispetto del principio del ne bis in idem in ragione di sanzioni penali e sanzioni qualificate come amministrative in diritto nazionale, ma sostanzialmente penali, irrogate allo stesso soggetto per i medesimi comportamenti[3].
La pronuncia segna un ulteriore passo a favore di un consolidamento della cogenza della Convenzione EDU nel sistema tributario in grado di sensibilizzare il giudice interno, sollecitandone un’interpretazione sistematica volta a garantire i diritti del contribuente nel rispetto del livello di tutela garantito in sede europea. L’art. 6 della Convenzione EDU trova, in una fattispecie che presenta profili tributari e sanzionatori inscindibilmente connessi, pieno riconoscimento, contribuendo ad adeguare il “contenuto sostanziale dell’art. 111 Cost., di rilevanza meramente interna, a quello indicato dalla Corte Europea ai sensi dell’art. 6 CEDU[4]”. La pronuncia deve, dunque, considerarsi soltanto quale ultimo - da un punto di vista cronologico - tassello di una significativa giurisprudenza, che fin dalla sentenza Ferrazzini ha evidenziato in campo tributario il modus operandi della Corte EDU “secondo un criterio di prudenza”, lentamente estesosi - pur se con qualche passo da gambero[5] - anche alle controversie che non presentino (soltanto) “profili sanzionatori[6]”.
Last but not least , la Corte torna, pur se incidentalmente, ad esprimersi sulla sopracitata e mai sopita questione della natura delle sanzioni formalmente amministrative, ma sostanzialmente penali, rimarcando – in chiave evolutiva nel rispetto delle sue più recenti pronunce – la propria posizione, affatto diversa da quella presente in molteplici ordinamenti interni, primus inter pares quello italiano. A cascata, tale pronuncia stimola indirettamente anche una rapida considerazione con riferimento al rispetto del principio del ne bis in idem recentemente oggetto di una rivalutazione – rectius : un chiarimento – importante da parte di entrambe le Corti europee.
Appare, dunque, opportuno preliminarmente ricostruire in estrema sintesi la fattispecie concreta interna e l’impianto argomentativo della Corte EDU, per poi riflettere sulle sollecitazioni provenienti dalla pronuncia, in un tentativo di trasposizione in chiave sistematica delle crescenti sollecitazioni della giurisprudenza europea sul diritto e processo tributario e di ulteriore sensibilizzazione in chiave europeistica degli operatori del diritto.
2.1. Il caso concreto
A seguito di accertamento nei confronti del ricorrente erano stati emessi dall’amministrazione finanziaria due distinti avvisi, il primo in merito al debito d'imposta e l’altro alle sanzioni per ritardato pagamento ed interessi di mora. Il ricorrente aveva esperito i diversi rimedi previsti dal sistema interno, con esiti affatto differenti; dopo diverse pronunce ad opera dei Tribunales Económico-Administrativos – gli organismi spagnoli di duplice grado appartenenti al Ministero de Hacienda per la risoluzione dei ricorsi tributari, con sede, in prima istanza (TEAR ) presso ciascuna delle Comunidades Autónomas e, successivamente, in sede centrale (TEAC) – il ricorrente aveva proposto ricorso innanzi all’ Audiencia Nacional, tribunale unico spagnolo. Posto che il TEAC aveva annullato il solo debito principale, il ricorrente aveva richiesto il conseguente annullamento dell’avviso relativo alle sanzioni per ritardato pagamento e interessi accessori. La Audiencia Nacional aveva respinto il ricorso, senza affrontare espressamente la pretesa del contribuente circa la nullità dell’avviso relativo alle sanzioni per ritardato pagamento e interessi per la cancellazione del debito principale. In data di poco successiva – circa due mesi – la medesima Audiencia Nacional , in analoga composizione ma con diverso giudice relatore, si era pronunciata sullo speculare ricorso dei fratelli del ricorrente, nei cui confronti parimenti erano stati emessi distinti accertamenti in merito al debito d’imposta e alle sanzioni per ritardato pagamento ed interessi. Nel loro caso, la Audiencia Nacional aveva però dichiarato la nullità dell’avviso relativo alle sanzioni per ritardato pagamento ed interessi, posta la natura accessoria rispetto al debito principale, cancellato dal TEAC, del quale doveva seguirne la sorte.
I diversi ricorsi giurisprudenziali interni esperiti dal primo fratello non avevano trovato accoglimento. In primo luogo era stato respinto il ricorso per cassazione per difetto relativo a vizi di impugnazione; analogamente era stato respinto il successivo ricorso incidentale dalla stessa Audiencia Nacional per presunta violazione del diritto all’uguaglianza, in ragione della pronuncia nei confronti dei fratelli e per violazione del diritto al giusto processo per mancata motivazione. Il contribuente aveva altresì presentato successivamente Recurso de Amparo per violazione dell’art. 24 della Costituzione spagnola in merito al diritto al giusto processo, dichiarato però inammissibile dalla Corte Costituzionale con pronuncia n. 2913 del 2018 per difetto di rilevanza costituzionale. Di qui il ricorso alla Corte EDU.
2.2. La pronuncia della Corte di Strasburgo
La Corte EDU affronta una pluralità di aspetti che appare opportuno enunciare in seguenza cronologica. In primo luogo la Corte EDU si pronuncia sulla presunta violazione della certezza del diritto per la disparità fra le diverse sentenze della Audiencia Nacional nei confronti dei fratelli, nell’ipotesi di medesime fattispecie sostanziali. La Corte EDU, a fronte di sentenze diverse poste in essere in un breve lasso di tempo, rileva che, sebbene una siffatta divergenza sia motivo di preoccupazione, la possibilità di decisioni giudiziarie contraddittorie è una caratteristica intrinseca propria di qualsiasi ordinamento, che, come precedentemente rilevato dalla Corte, non può essere considerata di per sé stessa una violazione della Convenzione EDU[7]. In particolare, il ricorrente, pur rilevando tale discrasia, non aveva argomentato che la divergenza sulla questione specifica addottata fosse contraria a precedente e consolidata giurisprudenza, sulla quale avrebbe potuto ragionevolmente basarsi per aspettarsi un diverso risultato e non aveva portato a fondamento del suo ragionamento precedenti pronunce a favore di tale possibile pretesa.
Ciò posto la Corte EDU ribadisce che il suo ruolo non si sostanzia nel porre a confronto diverse decisioni emesse dai tribunali nazionali: pur richiamando propri precedenti secondo cui il principio della certezza del diritto può ritenersi violato dalla previsione di decisioni contrastanti emesse dal medesimo giudice per casi analoghi – decisioni che compromettono la fiducia dei cittadini nella magistratura, e possono, in alcuni casi, equivalere a un diniego di giustizia[8] – ha evidenziato la mancanza di "differenze profonde e consolidate" nella giurisprudenza pertinente. Di conseguenza, la Corte non rileva una violazione del principio di certezza del diritto in misura incompatibile con le garanzie di cui all’articolo 6.1 .
La Corte EDU si è soffermata sul fatto che l’Audiencia Nacional, a fronte della domanda del ricorrente in merito alla natura accessoria delle sanzioni per ritardato pagamento ed interesse di mora, non abbia risposto espressamente a tale specifica censura . La Corte ha ricordato che l'obbligo di motivazione non richiede in alcun modo una risposta dettagliata a ciascuna delle argomentazioni presentate dall'attore; ciò nonostante è necessario argomentare con una risposta concreta ed esplicita circa le motivazioni decisive per la risoluzione di un procedimento.
Nel caso di specie, la tesi dell’attore circa la natura accessoria delle pretese evidenziate nel secondo accertamento era potenzialmente determinante per l’esito della controversia, come ben dimostrato dalle pronunce di poco successive nei confronti dei fratelli del ricorrente, la cui l’istanza di annullamento è stata accolta proprio in ragione di siffatta argomentazione.
La Corte EDU ha, dunque, rimarcato la propria consolidata giurisprudenza secondo la quale non rientra nelle sue competenze determinare se le domande del ricorrente avrebbero dovuto essere accolte o meno in sede interna o se le sue affermazioni fossero fondate. Parimenti, pur non dovendo procedere a una siffatta analisi, la Corte non ha potuto non rilevare che la domanda del ricorrente relativa alla natura accessoria delle sanzioni per ritardato pagamento e degli interessi fosse determinante per l'esito della causa. La mancata motivazione rispetto a tale punto dirimente ad opera del giudice interno ha, dunque, determinato una violazione del principio del giusto processo ex art. 6 della Convenzione EDU.
3. La motivazione della sentenza: sollecitazioni sovranazionali ed evoluzione domestica fra esigenze di semplificazione e rispetto di tutti i principi a fondamento del giusto processo
Nel caso di specie il difetto di motivazione del giudice spagnolo si era sostanziato nel non aver esplicitato la ratio del mancato annullamento dell’accertamento accessorio dopo aver dichiarato tale quello relativo al debito d’imposta. L’omessa motivazione sul punto, ha indotto la Corte EDU, in linea con la sua giurisprudenza[9], a rilevare la violazione dell’art. 6, posto che la valutazione sul carattere accessorio dell’accertamento avrebbe avuto carattere decisivo per l'esito della controversia. L’analisi delle diverse pronunce della Corte EDU in tema di motivazione contrastante con l’art. 6 della Convenzione ne evidenzia la consueta pragmaticità nella definzione dei requisiti propri della motivazione della sentenza, che in più di una fattispecie si sono riferite a pronunce italiane, fra cui la recente causa Felloni[10]. La Corte evidenzia come le decisioni giudiziarie debbano riportare sufficientemente i motivi[11] che ne sono a fondamento – necessari per le parti ai fini della dimostrazione che i motivi addotti siano stati attentamente analizzati - e con sufficiente chiarezza[12]. Qualora non sia garantito un esame effettivo delle principali argomentazioni del ricorrente e non sia fornita una risposta che permetta di comprendere la ratio di tale rigetto, si realizza, come nel caso di specie, una violazione del giusto processo di cui all’art. 6, comma 1 della Convenzione EDU.
L’obbligo di motivazione si qualifica, per la Corte EDU, in ragione di una certa mobilità dei requisiti, strettamente correlati alla natura stessa della decisione; necessaria è un’analisi che tenga conto delle specifiche circostanze riferite al caso concreto[13], che evidenzi, quale minimo comune denominatore, l’effettivo esame di tutte le diverse questioni fondamentali sollevate dal ricorrente[14], a ciascuna delle quali – come recentemente sancito proprio a seguito di un revirement della Corte stessa[15] – deve essere stata fornita specifica ed esplicita risposta[16] .
La motivazione della sentenza fondamenta la legittimità dell'azione giurisdizionale, condicio sine qua non per la comprensione delle modalità di convincimento del giudice. La motivazione, nell’esplicitare le ragioni della decisione, permette di comprendere il ragionamento di carattere fattuale e giuridico del Giudice “per determinare la regola concreta della vicenda scrutinata partendo dalla norma astratta, in modo che quanto disposto non sia percepito come un responso oracolare[17]”.
La motivazione deve essere, in ogni caso, idonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione[18]. In caso contrario, la sentenza è nulla per mancanza di un requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, nella sua espressione di requisito minimo costituzionale imposto al giudice dall’art. 111 Cost., comma 6, di quanto stabilito dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dall’art. 118 disp. att. c.p.c.[19] e, per il processo tributario, al richiamo esplicito all’ art. 36, comma 2, D.Lgs. 546/1992. Anche nel processo tributario - diretto non alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio[20] – il rispetto dell’obbligo di motivazione può considerarsi soddisfatto anche in mancanza di un’analitica individuazione del contenuto dell’atto impugnato, purché il giudice sia in grado di delineare chiaramente il rapporto sostanziale controverso[21]. La motivazione deve poter esplicitare le ragioni a base della decisione, che prescindono dal grado di articolazione della motivazione stessa. In tal senso emblematica una recente pronuncia della Cassazione, che – nell’annullare con rinvio la sentenza della CTR del Lazio che aveva confermato la contestazione dell’amministrazione nei confronti di una società informatica di aver partecipato ad una frode IVA, ponendo in essere operazioni di acquisto soggettivamente inesistenti – ha rilevato come la motivazione risultasse nella sostanza solo apparente; infatti, pur essendo formalmente articolata, era fondata “su asserzioni astratte prive di un riscontro concreto con riferimento ai fatti controversi senza indicare quali fossero gli elementi presuntivi[22]” rilevati dall’amministrazione. La motivazione deve essere in grado di esplicitare il contenuto dinamico della decisione, secondo la recente qualificazione del giudice di legittimità tributario[23]. La sentenza deve considerarsi nulla in tutte le ipotesi di motivazione apparente[24], di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile[25], di mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico ovvero di contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili[26]. Infatti, qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita disamina giuridica rende impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento[27]. D’altro canto, proprio pochissimi giorni addietro e proprio in campo tributario – in tema di frodi carosello e di legittimità della prova per presunzioni nell’ipotesi di pluralità di rapporti economici con le società cartiere – la Cassazione ha avuto modo di ribadire che il vizio di motivazione è deducibile quale vizio di legittimità solo quando si concreti in una nullità processuale ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. È necessario, dunque, che la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, in ragione di un contrasto irriducibile tra affermazioni, ovvero faccia riferimento a circostanze che, nel caso di specie, non hanno legittimato tale declaratoria di nullità[28].
Il legislatore, come chiaramente evidenziato sin dalla riforma del processo civile e del processo amministrativo, ha posto in essere un cammino riformatore del processo di cui il depotenziamento dell’apparato motivazionale della sentenza è certamente una peculiare espressione. La concentrazione dei tempi processuali e la necessità endemica di deflazionare il sistema giudiziario riverbera infatti i propri effetti anche nella motivazione della sentenza, posto che “frequente si ritrova l'adagio che il vero « collo di bottiglia » del processo sia la fase di decisione della causa, uno dei talloni d'Achille del sistema giudiziario italiano sul quale dover intervenire[29]”; ciò ha portato ad implementare e giustificare l’utilizzo, non sempre ottimale, di tecniche di semplificazione, quali la motivazione per relationem o per collage[30].
Il principio della ragionevole durata del processo anche in campo tributario legittima l’idea che il necessario contemperamento di interessi richieda che siano il più possibile contenuti i ritardi da motivazione, per non arrecare inutili appesantimenti del giudizio.
Evidente è la necessità di un bilanciamento di interessi. Il corollario del principio della ragionevole durata del processo, intrinsecamente collegato al principio del giusto processo, la cui interiorizzazione, dopo un accidentato ed altalenante cammino di riconoscimento, comincia a trovare una sua dimensione anche in campo tributario[31], giustifica la possibilità di un’esposizione – e, in epoca pandemica, anche di una “comparizione”[32] – per sintesi. Stringente appare l’esigenza di un’economia di scrittura - recentissimamente dichiarata legittima anche in merito ai notoriamente difficili equilibri (non solo riferiti alla motivazione) in tema di contraddittorio endoprocedimentale[33] –purchè sia sempre e comunque possibile la sufficiente individuazione del percorso argomentativo della pronuncia e del ragionamento del giudice. Tale bilanciamento impone, però, che lo sventolio di tale vessillo, non distragga dal rispetto di altri e non meno rilevanti valori di cui (quanto meno) in pari misura si nutre l’equo processo, quali il diritto al contraddittorio, il diritto ad un giudizio, all'imparzialità e terzietà del giudice e, soprattutto, il rispetto del diritto di difesa[34].
4. Sanzioni penali, sanzioni (formalmente) amministrative e principio del ne bis in idem
La Corte EDU, nell’analisi in merito all’applicabilità della parte penale dell'articolo 6 , 1 della Convenzione, torna, anche se solo in via incidentale, ad occuparsi - par. 25 - della natura sostanzialmente penale delle sanzioni amministrative. Il fil rouge della giurisprudenza della Corte EDU si sostanzia, ancora una volta, nella verifica della persistenza degli Engel criteria.
La Corte rileva come, nel caso di specie, ancora una volta, la sanzione per ritardato pagamento, pur non essendo qualificata dall’ordinamento interno come penale, ma amministrativa non si sostanzia in realtà in un mero risarcimento pecuniario per il danno: si tratta, dunque, di una punizione per scoraggiare la recidiva, dalla natura deterrente e punitiva, confermata dalla gravità della sanzione, pari al venti per cento dell'imposta dovuta. È noto come il punto di partenza di tale processo evolutivo è stato il riconoscimento, da parte dei giudici di Strasburgo, della natura sostanzialmente “penale”, ai sensi degli artt. 6 e 7 Convenzione EDU, di molte sanzioni tradizionalmente qualificate come amministrative[35]. Il distinguo sostanziale fra le due tipologie di sanzioni ha trovato nella giurisprudenza della Corte EDU la sua principale declinazione in riferimento all’applicabilità del principio del ne bis in idem, «principio di civiltà giuridica[36]», teso a vietare – rectius: a regolamentare – il cumulo sanzionatorio, che trova, in campo tributario, sua privilegiata collocazione, tassello imprescindibile nel mosaico della tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, riconosciuti a livello sovranazionale e dai diversi ordinamenti interni.
L’evoluzione del ne bis in idem trova alimento nell’interpretazione giurisprudenziale, in primo luogo europea, in cui la Corte EDU e la Corte di giustizia sono giunte, pur se con qualche significativo e altrove più compiutamente esaminato distinguo[37], a conclusioni sostanzialmente analoghe. Il difficile equilibrio fra ordinamento interno, principi contenuti nella Convenzione EDU e diritto europeo ha necessitato del continuo l’ausilio della bussola giurisprudenziale. I giudici, a fronte del silenzio del legislatore, si sono sentiti investiti del compito di calmierare e trovare un punto di incontro tra diritti fondamentali, all’interno del delicato ambito del diritto punitivo, che, fermo il rispetto del principio di legalità, più di ogni altro deve tener conto della vis nomofilattica degli organi giurisdizionali. Non da meno appare evidente che, pur con il conforto dato dal fitto dialogo fra le Corti in materia, “il dibattito sul ne bis in idem sconta ancora una certa magmaticità perché demanda all’apprezzamento di fatto del giudice la sussistenza dei presupposti della violazione”[38]. L’assist fornito dalla valutazione incidentale sulla natura delle sanzioni nella pronuncia in commento permette in questa sede di poter rimarcare che l’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU insieme - e soprattutto – con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, pur avendo evidenziato nel tempo un mutato approccio interpretativo, che ha reso regola - con la nota sentenza A e B - la complementarietà in luogo dell’alternatività fra sanzioni, non ha comportato nella sostanza una effettiva deminutio delle garanzie e dei principi a fondamento della risposta sanzionatoria, in ragione della sempre viva primazia della regola della proporzionalità. A conforto di tale affermazione occorre citare alcune pronunce molto recenti della Corte EDU[39] e, con riferimento alla Corte di Giustizia, alcune recentissime conclusioni dell’Avvocato generale M. Bobek[40]. Quest’ultime, pur non strettamente riferite a controversie tributarie, si esprimono chiaramente anche con riferimento a tale campo di indagine[41] ed evidenziano la rinnovata lettura del principio in senso garantista. Garanzia che, in assenza di un chiaro intervento normativo interno, cerca di rompere l’assordante silenzio del legislatore, a fronte del difficile quadro normativo vigente sul rapporto fra sanzioni penali e tributarie e i correlati processi. In sede interna, la mancanza di meccanismi di efficace coordinamento fra sanzione amministrativa e penale lascia presagire ad ogni mossa il rischio concreto di compromettere la proporzionalità della reazione sanzionatoria nel suo complesso. Il sinergico e coordinato svolgimento dei due procedimenti – così come auspicati dalle Corti europee, in particolare al fine di evitare la duplicazione dell’attività istruttoria e di raccolta delle prove[42] – appare in realtà un’araba fenice , posto che il principio di autonomia dei due procedimenti, ciascuno dotato di peculiarità sue proprie, ne rende estremamente ardua l’applicazione[43].
Le recenti puntualizzazioni delle Corti europee confermano quanto già da una parte della dottrina evidenziato[44] in merito alla mancanza di una volontà di abiura delle proprie precedenti interpretazioni in tema di ne bis in idem, come era stato, prima facie, inteso.
Le alterne vicende interpretative sul principio esprimono in modo inequivocabile l’oggettiva difficoltà esistente per definire l’annosa querelle. La posizione delle Corti sovranazionali deve essere necessariamente letta nella tradizionale ottica sostanzialistica e trasversale fra i diversi rami del diritto che permea le Corti europee. La Consulta sembra averne sentito l’eco, come dimostra la più recente giurisprudenza[45], che però non si espone eccessivamente, rafforzando sostanzialmente le proprie ammonizioni al legislatore. Se queste sono le premesse, altrettanto evidente è però la ritrosia dei giudici di legittimità nell’applicazione effettiva del principio, con buona pace delle poche fattispecie in cui la Cassazione ha rinviato gli atti al giudice di merito per una più attenta valutazione sull’effettiva presenza dei presupposti richiesti in sede sovranazionale. D’altro canto, non può sottacersi che “analizzando le interrelazioni tra procedimento penale e procedimento tributario così come rese possibili dai diversi istituti, ora di matrice legislativa ora di matrice pretoria, presenti nel nostro ordinamento, può fondatamente nutrirsi più di un dubbio circa l’ontologica riscontrabilità di tutti i material factors richiesti”[46].
5. Il cadenzamento dei passi della Corte EDU e l’effettivo adeguamento interno: qualche riflessione
La sentenza in esame può certamente considerarsi un’altro, prezioso, tassello per il completamento del puzzle delle garanzie in materia tributaria, in cui una molteplicità delle tessere che formano la trama è di derivazione europea. E’ (tristemente) conosciuta l’endemica complessità che caratterizza la giustizia tributaria italiana e le particolari e certamente non lineari evoluzioni che ne hanno caratterizzato la storia fin dalla sue origini. In siffatto tessuto, le necessarie garanzie, anche quando in modo inequivocabile se ne è evidenziata l’imprescindibilità, si sono sempre trovate ad inseguire le complessità via via più marcate che hanno contraddistinto la norma tributaria, risultando, nella corsa ad ostacoli ingaggiata, inevitabilmente perdenti[47]. I mali endemici della giustizia tributaria non possono in alcun modo sfuggire neanche all’occhio meno esperto; prima inter pares la oggettiva difficoltà data dalla presenza di giudici part time non specializzati e non esclusivamente dedicati alla risoluzione di controversie tributarie. Tale limitazione, in una materia caratterizzata da spiccato tecnicismo, ha nei fatti significativamente compromesso anche la qualità e la quantità delle questioni di costituzionalità o dei rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia, non contribuendo ad un possibile cambio di rotta del processo tributario, di fatto a lungo sostanzialmente servente rispetto all’interesse fiscale. La continuamente richiamata specificità della materia tributaria è divenuto il pretesto che ha, nei fatti, alimentato dinamiche di cambiamento spesso analoghe a quelle professate da Tancredi Falconeri nel Gattopardo.
La materia tributaria, espressione emblematica della sovranità statale, sconta ed amplifica – più ancora che in altri rami del diritto – le fisiologiche difficoltà all’accettazione dei principi di promozione delle libertà civili negli ordinamenti interni che promanano dalle Corti europee.
I principi elaborati dalla Corte EDU in tema di giusto processo hanno trovato la strada per poter esprimere le proprie dirette ricadute sull’ordinamento interno lastricata delle difficoltà generate dai limiti propri di una giurisdizione in cui l’effettività di detti principi è stata lungamente assicurata soltanto dal giudice di ultima istanza. Giudice che, a sua volta, non fondamenta la propria funzione nomofilattica su nutrienti interpretazioni della Consulta in campo tributario.
Il reiterarsi delle interpretazioni sostanzialistiche in sede europea moltiplica le concrete possibilità di attuazione di un sistema di garanzie per il contribuente. Tale consolidamento è potenzialmente in grado ad incidere in misura crescente sui giudici nazionali tributari, posta la “dimensione ermeneutica che la Corte EDU adotta in modo costante e consolidato[48]”. Con riferimento al giusto processo, l’adeguamento interpretativo del contenuto sostanziale dell’art. 111 Cost., di rilevanza interna, a quanto indicato dalla Corte EDU, ex art. 6 della Convenzione[49], non può che tradursi, in linea teorica, in un crescente consolidamento del caleidoscopico panorama di siffatte garanzie; fra queste rilevano la parità delle armi, l’imparzialità, l’indipendenza, o il diritto al silenzio – recentemente sancito anche dalla Corte di Giustizia europea in tema di sanzioni CONSOB[50] – fino alla previsione della prova testimoniale, verso cui la Cassazione ha mostrato recentemente segnali di apertura[51]. Tutti punti nevralgici del rapporto processuale tributario, tradizionalmente sbilanciato nel sistema interno verso la tutela dell’interesse fiscale.
Mutatis mutandis quanto rilevato può trovare applicazione per l’altra peculiare questione sottesa che emerge dalla pronuncia, in riferimento alla diversità di garanzie interne fra sanzioni (solo formalmente) amministrative e sanzioni penali; in particolare, rileva rispetto a quanto previsto dall’art. 4 par. 7 della Convenzione EDU circa la duplice sottoposizione al procedimento di accertamento tributario e di indagine penale.
All’attualità i giudici possono e devono fare la loro parte, nella consapevolezza che – come anche la Consulta ha fermamente e in più occasioni ribadito, insieme con una nutrita parte della dottrina –– spetta al legislatore regolare più attentamente i rapporti tra sistema penale tributario e sistema amministrativo tributario, meglio definendo ciascuna tipologia di illecito, per evitare un cumulo di sanzioni e di procedimenti privo di ragionevolezza e proporzionalità.
I principi europei evidenziano la necessità improcastinabile di una diversa modulazione sanzionatoria. “La soluzione più tranchant sarebbe quella di tornare alla regola dell’alternatività dei due tipi di sanzioni accolta, a suo tempo, dalla Legge n. 4/1929”[52]. Le sanzioni penali dovrebbero trovare esclusiva applicazione per gli illeciti tributari rilevatori di un grave disvalore sociale. Le sanzioni amministrative potrebbero prevedere più articolate modulazioni, se del caso opportunamente graduando la risposta sanzionatoria amministrativa anche attraverso un ampio ricorso alla categoria delle sanzioni interdittive[53].
L’evoluzione del ne bis in idem è certamente espressione privilegiata del precipuo dialogo tra Corti, che anche con riferimento alle sanzioni tributarie in genere e non solo con riferimento al principio, promuove e conferma un cammino sostanzialistico teso all’abbandono di una logica meramente formale. Entrambe le questioni che la pronuncia, in via diretta o mediata pone in evidenza, esprimono, inequivocabilmente, la cogenza di una nuova visione, che ruoti intorno al contribuente, in un diverso equilibrio fra autoritatività dell’azione impositiva e – auspicata – pariteticità del rapporto obbligatorio[54].
Imprescindibile, dunque, una lettura sistematica del processo tributario che permetta di ancorarsi sempre più efficacemente ai principi contenuti nella Convenzione EDU. Tocca al giudice il maggior sforzo di adeguamento. Nel farlo, non deve dimenticare che, in tutte le ipotesi di sospetta incompatibilità con i principi europei di norme tributarie nazionali, può procedere al rinvio pregiudiziale ex l’art. 267 TFUE, ovvero può porre in essere un atto di coraggio e disapplicare norme interne contrastanti con principi di matrice europea, soprattutto nell’ipotesi in cui fattispecie analoghe siano già stato oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
Il giudice di Strasburgo continua nel suo complesso cammino, con l’intento di conformare il sistema tributario interno ai diritti fondamentali della Convenzione EDU. Evidente è la necessità di rispettare la sovranità statale di cui la politica fiscale è una delle espressioni più emblematiche:parimenti, appare evidente la necessità che sia sempre garantito il principio di proporzionalità.
Imprescindibile il compito di adeguamento ai principi europei da parte dei giudici, che debbono trarne ispirazione ai fine della propria funzione nomofilattica.
Ancora più imprescindibile la necessità che la tanto invocata riforma del sistema e del processo tributario riesca a trovare una reale definzione e che il legislatore sia realmente disposto a fare la sua parte.
I segnali continuano ad apparire contraddittori. Uno, in conclusione, fra i tanti. Se sembra evidente che l’evoluzione della giurisprudenza sovranazionale in campo tributario - di cui il ne bis in idem, così come il principio di proporzionalità sono precipue espressioni – necessiti di essere recepita dal legislatore, provoca una certa amarezza verificare che il più recente disegno di legge di delega sulla riforma fiscale[55]non si pone neppure il problema del coordinamento fra sanzioni amministrative e penali tributarie, non mostrando alcun intento di risolvere la vexata quaestio. Permane, dunque, tangibile il dubbio se il legislatore voglia realmente accettare la sfida di riconoscere e legittimare nell’ordinamento tributario interno le garanzie e le tutele definite dalla giurisprudenza europea. Nell’immobilismo del legislatore, la Corte EDU, rispetto a quanto emerso nella sentenza commentata, continua nel proprio cammino : da un lato - con riferimento agli obblighi di motivazione della sentenza - verso la sempre più completa applicabilità dei principi del giusto processo alla materia tributaria tout court . Dall’altro - in merito alla diversità delle garanzie fra sanzioni tributarie penali e (formalmente ) amministrative in sede interna e a correlati rischi di violazione del principio del ne bis in idem - per puntualizzare la mancanza di un revirement delle proprie precedenti interpretazioni, come era stato, prima facie, (mal) inteso.
Anche il giudice nazionale, sotto il mantello di protezione della giurispudenza della Corte EDU, deve, dunque, superare in modo sempre più definito la propria naturale ritrosia nell’applicazione concreta dei principi europei, perchè “se è pur vero che oggi, rispetto al passato, sono sempre maggiori i casi in cui il giudice si confronta effettivamente con i principi elaborati dalla Corte EDU riconoscendone quindi implicitamente l’autorità, allo stesso tempo sul piano delle ricadute pratiche siamo ancora lontani da quel grado di tutele che pure la Convenzione parrebbe offrire al contribuente[56]”.
[1] L. Del Federico, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea. Contributo allo studio della prospettiva italiana, Milano, 2010, passim.
[2] CEDU, 23 luglio 2002, Janosevic c. Svezia e CEDU 23 luglio 2002, Västberga Taxi Aktiebolag e Vulic c. Svezia, con commenti di S. Dorigo, Il diritto alla ragionevole durata del giudizio tributario nella giurisprudenza recente della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Rass. trib., 2003, 1, 42; P. Russo, Il giusto processo tributario, in Rass. trib., 2004, 1, 14.
[3]G. Marino, La sanzione tributaria nella giurisprudenza della CEDU, in Riv. dir. trib. int., 2014, 3, 19; Id., Il principio del “ne bis in idem” nella giurisprudenza CEDU: dai profili sostanziali a quelli procedimentali, in Per un nuovo ordinamento tributario, Tomo II, Padova, 2019, 638, rileva, nota 32, che l’Italia al momento di ratificare la Convenzione EDU ex lege n. 98/1990 si era riservata di applicare il protocollo in questione esclusivamente ad infrazioni, procedure e decisioni definite dalla norma interna come penali, riserva considerata poi invalida dalla Corte EDU nella sentenza Grande Stevens.
[4] Così A. Marcheselli, in A. Marcheselli, V. Mastroiacovo, G. Melis. Cedu e cultura giuridica italiana. 8. Cedu e diritto tributario, in questa Rivista, 2020, risposta n. 1.
[5] CEDU, 28 giugno 2018, G.I.E.M. s.r.l. e altri c. Italia.
[6] Per le parti in corsivo ancora A. Marcheselli, V. Mastroiacovo, G. Melis , Cedu e cultura giuridica italiana. 8. Cedu e diritto tributario, cit., risposta n. 1. In particolare G. Melis evidenzia come la giurisprudenza della Corte EDU abbia potuto espandersi ai profili tributari non peculiarmente sanzionatori, in ragione del fisiologico legame fra i due profili, che ha permesso l’ampliamento delle tutele proprie dell’art. 6.
[7] Corte EDU, 12 gennaio 2021 Svilengaćanin e altri c. Serbia.
[8] Corte EDU, 1 luglio 2010, Vusić c. Croazia; Corte EDU, 20 maggio 2008 Santos Pinto c. Portogallo.
[9] Corte EDU, 17 aprile 2018, Uche C. Svizzera . La mancanza di una specifica motivazione, da parte della Corte Suprema federale svizzera, circa la censura sollevata relativamente alla violazione del principio del contraddittorio contrasta con l’art. 6 della Convenzione EDU. Il ricorrente non aveva, infatti, avuto modo di comprendere se la Corte Suprema federale avesse semplicemente omesso di esaminare il motivo di ricorso presentato o se l’avesse respinto.
[10] Corte EDU, 6 febbraio 2020, Felloni c. Italia; in precedenza con riferimento sempre all’Italia Corte EDU, 21 luglio 2015, Schipani e altri c, Italia.
[11] Corte EDU, 11 luglio 2017, Moreira Ferreira c. Portogallo; Corte EDU 25 luglio 2002, Papon c. Francia.
[12] Corte EDU, 16 dicembre 1992, Hadjianastassiou c. Grecia. Per un puntuale richiamo alla giurisprudenza tutta della Corte EDU con riferimento all’art. 6, Ministero della Giustizia, Direzione generale degli Affari giuridici e legali, Guida sull’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (agg. 30 aprile 2020).
[13] Corte EDU, 9 dicembre 1994, Ruiz Torija c. Spagna.
[14] Corte EDU, 27 febbraio 2020, Lobzhanidze e Peradze c. Georgia.
[15] In precedenza la Corte EDU si era espressa nel senso che il Giudice non è tenuto a fornire una risposta dettagliata a ciascuno dei motivi di ricorso invocati : Corte EDU, 19 aprile 1994, Van de Hurk c. Paesi Bassi.
[16] Corte EDU, 29 ottobre 2013, S.C. IMH Suceava S.R.L. c. Romania.
[17] Consiglio di Stato, sez. VI , 25 febbraio 2021 n. 1636 e, in precedenza, Cons. Stato, sez. IV, 9 novembre 2020 n. 6896.
[18]Cass., Sez. VI, 25 settembre 2018, n. 22598. La motivazione non deve dunque essere meramente apparente, contraddittoria, perplessa o incomprensibile: Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., Sez. Lav., 18 aprile 2008, n. 10213; Cass., Sez. II, 19 marzo 2007, n. 6382.
[19] Per il processo amministrativo i riferimenti sono all’art. 3, comma 1, c.p.a. secondo cui “Ogni provvedimento decisorio del giudice è motivato”; l’art. 88 comma 2 lett. d) c.p.a. , per cui la sentenza deve contenere “la concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione, anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi”; l’art. 74 c.p.a. secondo cui - per le sentenze in forma semplificata e per quel che attiene alla motivazione - “La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme.”.
[20] Si tratta della sempre viva questione nostrana del difetto di motivazione in ragione del carattere sostitutivo del processo rispetto alla dichiarazione del contribuente o all’accertamento dell’amministrazione, su cui, ceteris pluribus, Cass., sez. V., 5 novembre 2020, n. 24707 e Cass., Sez. VI, 15 ottobre 2018, n. 25629. In tema di dichiarazione del contribuente, Cass., Sez. V, 19 settembre 2014, n. 19750. Con riferimento all’accertamento dell’Ufficio, Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27560. Ciò impone al giudice di descrivere con chiarezza il rapporto sostanziale alla base dell’atto impositivo: Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27574; Cass., Sez. VI, 15 ottobre 2018, n. 25629; Cass., Sez. V, 19 novembre 2014, n. 24611. Il processo tributario non viene infatti interpretato come di impugnazione annullamento, ma di impugnazione merito, secondo un modello di processo tributario quale giudizio di accertamento del rapporto d’imposta, considerato da prevalente dottrina superato. F. Tesauro, Manuale del processo tributario, 5ª ed., Torino, 2020, 208.
[21] Cass., Sez. V, 5 novembre 2020, n. 24707, con nota di A. Turchi, Motivazione della sentenza e oggetto del processo tributario in Riv. Dir. Trib., 2021, 3, 177.
[22] Cass., sez. V., ordinanza 6 maggio 2021, n. 11983.
[23] Cass. sez. V, ord. 15 gennaio 2020 n. 608: la motivazione deve poter descrivere il processo cognitivo e l’evoluzione dallo stato d'iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio.
[24] Cass, sez. III, 30 maggio 2019 n. 14762: qualora il giudice di merito non abbia dato conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del proprio percorso logico per accogliere o rigettare la domanda proposta, la sentenza deve ritenersi viziata per apparenza della motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti.
[25] Cass. S.U., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054 e successivamente Cass., S.U., 5 aprile 2016, n. 16599: di “motivazione apparente” o “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa permetta di rendere percepibili le ragioni della decisione, in quanto si sostanzia in argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento. In tali fattispecie la motivazione non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice . Specificamente in campo tributario, Cass. sez. VI, 14 febbraio 2019 n.4337.
[26] Cass., sez. III, 15 ottobre 2021, n. 28423.
[27] Cass., sez. III, 23 marzo 2017 n. 7402 : è nulla la sentenza la cui motivazione consista nel dichiarare sufficienti tanto i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta, quanto non meglio individuati documenti ed atti ad essa allegati, oltre ad una consulenza tecnica. In tali ipotesi, non sono riprodotte le parti idonee a giustificare la valutazione espressa.
[28] Cass. sez. V, ord. 30 dicembre 2021, n. 41948.
[29] C. Rasia, Dalla motivazione per relationem alla motivazione c.d. collage in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2016, 1, 204, che ricorda che tale espressione era già stata utilizzata nella risoluzione del 18 maggio 1988 in tema di « provvedimenti urgenti per le accelerazioni dei tempi della giustizia civile », in Foro it., 1988, V, 260.
[30] Cass., S.U., 16 gennaio 2015 n. 642 .
[31] Cass sez. VI, 28 giugno 2020, n. 20358.
[32] F. D’Ayala Valva, L’affievolito diritto ad essere ascoltato in un giusto processo tributario, in corso di pubblicazione su GT, giurisprudenza delle imposte, 2022, consultato per gentile concessione dell’autore, che rileva (citando A. Garapon, La despazializzazione della giustizia, Milano, 2021, 25ss e 122) come l’udienza da remoto - soluzione necessaria per non arenare, in tempi di pandemia il processo, che richiede ex se un’accellerazione – abbia nei fatti comportato “un’uscita dallo spazio”; è infatti soppressa la “comparizione”, che necessariamente si nutre della compresenza. “La distanza telematica che si viene a creare, rende più problematica la relazione con il giudice, dal momento che la difesa ha bisogno di “ascoltare coloro che ascoltano”. Il difensore adatta continuamente il proprio atteggiamento a seconda che percepisca di essere compreso o meno dai giudici, di riuscire a smuoverli, a istillare loro il dubbio o al contrario di non riuscire a farli vacillare dall’eventuale preconcetto. Il monitor indebolisce la capacità di convinzione. Anche il giudice è messo sotto pressione dalla presenza fisica delle parti e raggiunge il pieno coinvolgimento nell’udienza pubblica. Il monitor sterilizza questo effetto particolare della convergenza degli sguardi, che ha una funzione gratificante ma anche responsabilizzante. Nel processo telematico la rigidità e il flusso della tecnica cancellano quella frammentazione di gesti, quelle esitazioni, quei ripensamenti, che rendono più ricco ed articolato il tessuto della giustizia”.
[33] Cass, sez. V, ord. 23 dicembre 2021, n. 41444.
[34] G. Olivieri, La « ragionevole durata » del processo di cognizione (qualche considerazione sull'art. 111, 2º comma, cost.), in Foro it., 2000, V, 251.
[35] M. Allena, La sanzione amministrativa tra garanzie costituzionali e principi CEDU: il problema della tassatività-determinatezza e la prevedibilità, in Federalismi.it, 2017, 4, 2 evidenzia che sono state ricondotte alla materia penale non solo misure indiscutibilmente dal carattere punitivo/afflittivo ma anche tutta una serie di provvedimenti nei quali è percepibile un elemento di cura concreto dell’interesse pubblico. Seguendo un approccio sostanzialistico, la Corte EDU ha superato anche la distinzione propria nel nostro ordinamento, tra sanzioni in senso stretto e provvedimenti ablatori-ripristinatori.
[36] Corte cost., 4 maggio 1995, n. 150.
[37] J. Kokott, P. Pistone, R. Miller, Diritto internazionale pubblico e diritto tributario: i diritti del contribuente, in Dir. prat. trib. int., 2020, 2, 454; R. Alfano, E. Traversa, L’impatto del diritto europeo sull’applicazione del divieto di bis in idem in materia tributaria, in Dir. e prat.trib.int., 2021, 1, 18. A. Marcheselli, V. Mastroiacovo, G. Melis, Cedu e cultura giuridica italiana. 8. Cedu e diritto tributario, cit., risposta n. 3; G. Marino, Il principio del “ne bis in idem” nella giurisprudenza CEDU: dai profili sostanziali a quelli procedimentali, cit., 638; id, Sanzioni amministrative e penali tributarie resistenti come il ferro al ne bis in idem, in Giur. trib., 2021, 1, 36.
[38] A. Marcheselli, Cedu e cultura giuridica italiana. 8. Cedu e diritto tributario, cit., risposta n. 1.
[39] Corte EDU, 31 agosto 2021, Bragi c. Islanda; Corte EDU, 31 agosto 2021, Milošević c. Croazia. La Corte EDU – aveva già chiarito in specie nelle sentenze Ármannsson, Nodet e nelle recentissime Bragi e Milošević - come la complementarietà fra le due risposte sanzionatorie possa trovare applicazione, purchè la proporzionalità mantenga la sua primazia rispetto agli altri requisiti.
[40] Presso la Corte di Giustizia risultano attualmente pendenti in tema di concorrenza due cause, delle quali sono state pubblicate, in data 2 settembre 2021, le Conclusioni. Si tratta in particolare della causa C-151/20, Nordzucker e a., e della Causa C-117/20, Bpost. L'avvocato generale Bobek nelle conclusioni congiunte ha chiaramente proposto un criterio unificato per il rispetto del principio del ne bis in idem ai sensi della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, che riguardi ogni ramo del diritto.
[41] “quando il procedimento tributario/amministrativo inizia a spiegare un effetto punitivo, al di là del recupero delle somme maggiorate degli interessi, o quando anche il procedimento penale è volto anche al recupero di qualsiasi somma dovuta, in tal caso la differenza concettuale tra i due semplicemente scompare, e scatta il divieto della duplicazione dei procedimenti ai sensi del ne bis in idem…non è possibile che sia l’amministrazione fiscale sia il giudice penale puniscano lo stesso fatto con sanzioni di natura penale”. Così conclusioni, Avv. Generale M. Bobek, 2 settembre 2021, cause riunite, causa C-151/20, Nordzucker e a., e causa C-117/20, Bpost .
[42]Particolare rilevanza deve essere attribuita alla fondamentale CGUE, 16 ottobre 2019, causa C-189/18, Glencore Agricolture Hungary, che ha regolamentato la “circolazione della prova” nel caso di procedimenti paralleli, evitando l’indiscriminato “travaso”di elementi istruttori acquisiti, soprattutto, a seguito dell’eventuale attivazione delle procedure di scambio internazionale di informazioni fiscali.
[43]F. Gallo, Il ne bis in idem in campo tributario: un esempio per riflettere sul “ruolo” delle alte corti e sugli effetti delle loro pronunzie, in Rass. trib., 2017, 4, 915, che, nota 6, cita P. Russo, Il principio di specialità ed il divieto del ne bis in idem alla luce del diritto comunitario, in Riv. dir. trib., 2016, 1, 35.
[44] G. Melis, M. Golisano, Il livello di implementazione del principio del ne bis in idem nell’ambito del sistema tributario in Riv. trim. dir. trib., 2020, 3,597; J. Kokott, P. Pistone, R. Miller, Diritto internazionale pubblico e diritto tributario: i diritti del contribuente, in Dir. prat. trib. int., 2020, 2, 454; R. Alfano, E. Traversa, L’impatto del diritto europeo sull’applicazione del divieto di bis in idem in materia tributaria in Dir. Prat. Trib. Int., 2021, 1, 18.
[45] Corte cost., 24 ottobre 2019 n. 222; Corte cost. 12 giugno 2020 n. 114; Corte cost. 1 luglio 2021 n. 336.
[46] Così G. Melis, M. Golisano, Il livello di implementazione del principio del ne bis in idem nell’ambito del sistema tributario, cit, 619.
[47] A. Marcheselli , Verso un giudice tributario “europeo”: profili critici della indipendenza della giurisdizione fiscale italiana nel quadro dei principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in F. Bilancia – C. Califano – L. Del Federico – G. Puoti (a cura di), Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e giustizia tributaria, Torino, 2014, 322.
[48] Corte cost., 26 marzo 2015 n. 49.
[49] Ancora A. Marcheselli, Cedu e cultura giuridica italiana. 8. Cedu e diritto tributario, cit., risposta n. 1.
[50] CGUE, 2 febbraio 2021, causa C-481/19, DB a seguito di rinvio pregiudiziale posto in essere dalla Corte costituzionale italiana con ordinanza 10 maggio 2019 n.117.
[51] Cass., sez. VI, 3 febbraio 2020, n.2406; Cass., sez. V, 12 dicembre 2019, n.32568; Cass., sez. V, 19 novembre 2018, n.29757; Cass., sez. V, 16 marzo 2018 , n. 6616.
[52] Cfr. F. Gallo, Il ne bis in idem in campo tributario: un esempio per riflettere sul “ruolo” delle alte corti e sugli effetti delle loro pronunzie, in Rass. trib., 2017, 4, 915.
[53] S.F. Cociani, Sul divieto di cumulo tra sanzioni penali e sanzioni amministrative in materia tributaria, in Riv. dir. trib., 2015, I, 405.
[54] Per una valutazione di più ampio respiro sul tema, rilevante anche rispetto alle sanzioni F. Montanari, La prevalenza della sostanza sulla forma nel diritto tributario, Padova, 2019, passim.
[55] Atto 3343 presentato alla Camera in data 29 ottobre 2021.
[56] Ancora G. Melis, Cedu e cultura giuridica italiana. 8. Cedu e diritto tributario, cit., risposta n. 2.