Consenso informato e falso ideologico: nessun obbligo certificativo del medico sull’autenticità della sottoscrizione del paziente. Nota a Trib. Roma, Sez. G.I.P., sent. 27 marzo 2019 (dep. 19 aprile 2019), giud. E. Pierazzi
Sommario: 1. La decisione. - 2. La disciplina del consenso informato, tra approdi giurisprudenziali e sopravvenienze normative. - 3. Doveri informativi e poteri certificativi: quale la possibile rilevanza dell’art. 479 c.p.?
1. La decisione.
La pronuncia concerne l’addebito, quale ipotesi ex art. 479 c.p., della falsificazione della sottoscrizione del paziente in calce al modulo di consenso informato all’esecuzione di intervento chirurgico, integrante, secondo l’assunto accusatorio, falsa attestazione di ricezione di dichiarazione di volontà, consumatasi con l’apposizione della firma del medico curante. L’Autorità giudiziaria ha ritenuto insussistente il fatto tipico di reato, per difetto di attività certificativa dell’autenticità della sottoscrizione, attesa la differente natura dell’atto del professionista, quale mero adempimento del dovere informativo sullo stesso gravante (con conseguente diverso significato giuridico della sottoscrizione del medico, da reputarsi unicamente attestazione della propria attività, non anche della ricezione di dichiarazioni altrui). La sentenza che s’annota offre, invero, un interessante contributo ermeneutico in tema di qualificazione giuridica dell’atto di consenso informato, quale connubio (a struttura essenzialmente paritetica e speculare) tra dovere informativo del medico e consapevole dichiarazione di volontà del paziente sul trattamento terapeutico, ove all’adempimento del primo si attribuisce valore di semplice dichiarazione di scienza (sul proprio operato), con assenza, dunque, di portata certificativa del consenso eventualmente prestato, tale da rendere non sussumibile nella fattispecie incriminatrice in contestazione l’eventuale accertamento di falsità della sottoscrizione del paziente.
2. La disciplina del consenso informato, tra approdi giurisprudenziali e sopravvenienze normative.
La decisione prende le mosse dall’analisi del consolidato orientamento di legittimità secondo cui il consenso informato al trattamento terapeutico integra non già scriminante della condotta eventualmente tipica (ai sensi dell’art. 50 c.p.), bensì presupposto di validità e liceità dell’attività medica. Sul punto si veda, ex multis, Cass. pen., S.U., 21 gennaio 2009, n. 2437, ove s’è affermato come il consenso informato (espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico) si configuri quale vero e proprio diritto della persona, trovando fondamento nei principi espressi all’art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 Cost., la cui combinata lettura pone il principio dell’autodeterminazione in ambito terapeutico, inteso, dunque, come intrinseco limite alla doverosa attività di tutela della salute. Così anche C. cost., 23 dicembre 2008, n. 438, ove sono pure passate in rassegna le numerose fonti internazionali che detto diritto sanciscono (tra cui la Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con l. 27 maggio 1991, n. 176, e la Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina di Oviedo del 4 aprile 1997, ratificata con l. 28 marzo 2001, n. 145).
Pare, infine, doveroso l’esame della più recente normativa interna che, sebbene non applicabile al caso oggetto di scrutinio ratione temporis, definitivamente detta la disciplina del consenso informato, quale precipitato dell’esperienza giurisprudenziale in commento. Si fa riferimento alla l. 22 dicembre 2017, n. 219, volta alla promozione e valorizzazione della relazione di cura e fiducia tra paziente e medico, fondata sul consenso informato, «nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico» (art. 1, comma 2). Pertanto, «ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Può rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l’eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico» (art. 1, comma 3). Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, «è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Il consenso informato, in qualunque forma espresso, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico» (art. 1, comma 4). Così garantito il consapevole approccio al percorso terapeutico, è infine sancito il diritto al rifiuto, in tutto o in parte, di qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario, al pari del diritto di revocare, in qualsiasi momento, il consenso eventualmente già prestato, quand’anche ciò determini interruzione del trattamento in corso, con obbligo per il medico di rispettare la volontà del paziente e conseguente esenzione da responsabilità civile o penale (art. 1, commi 5-6).
3. Doveri informativi e poteri certificativi: quale la possibile rilevanza dell’art. 479 c.p.?
L’enunciato di cui all’art. 1, comma 2, l.n. 219/17, secondo il quale il consenso informato realizza la fusione tra autonomia decisionale del paziente e competenza professionale e responsabilità del medico, integra adeguato riscontro alla tesi sostenuta nella pronuncia in commento, con particolare riferimento alla natura composita dell’atto, data dalla convergenza di una dichiarazione di volontà e d’una dichiarazione di scienza (quanto al contributo informativo, attestato dal professionista). Tanto consente di limitare alla sola osservanza dell’obbligo d’informazione la potestà certificativa del medico e, pertanto, di reputare configurabile il delitto unicamente in caso di falsa attestazione dell’adempimento (riconducibile alla prima ipotesi contemplata dall’art. 479 c.p.), di contro non ravvisandosi, per struttura dell’atto (ampiamente descritta) e difetto di espressa attribuzione di poteri certificativi sulla provenienza del consenso, i presupposti della seconda ipotesi di cui alla disposizione incriminatrice (concernente la falsa attestazione di ricezione di dichiarazioni, in contestazione nel giudizio definito con sentenza di non luogo a procedere).