Diniego di autorizzazione all’esportazione dell’opera d’arte e procedimento dichiarativo dell’interesse culturale. Valutazioni tecnico-discrezionali e limiti del sindacato giurisdizionale (Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 dicembre 2023 n. 11204)
di Maria Grazia Della Scala
Sommario. -1. Premessa. – 2. Circolazione internazionale dei beni d’interesse culturale, l’“attestato di libera circolazione” dei beni d’interesse culturale e gli apprezzamenti affidati all’amministrazione. 3. - Il diniego di rilascio dell’attestato di libera circolazione del “Ritratto di Olga Oberhummer” di Franz von Stuck. – 4. Il sindacato di “maggiore attendibilità” e le posizioni del Consiglio di Stato; brevi considerazioni.
1. Premessa.
Il dibattito sui limiti del sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche o tecnico-discrezionali dell’amministrazione è da sempre alimentato e accompagnato, nei suoi tortuosi percorsi, dalle questioni che investono il riconoscimento del bene culturale ai fini della sua sottoposizione a vincolo[1].
Da un lato, emerge la problematica relativa al reale oggetto dell’apprezzamento amministrativo - le caratteristiche del bene atte a determinarne il particolare valore meritevole di protezione ovvero l’interesse pubblico intrinseco al bene stesso-, quindi quella della natura tecnica oppure tecnico-discrezionale, o addirittura discrezionale[2], del giudizio, a fronte della risalente considerazione, almeno formalmente o sotto alcuni aspetti, dell’atto impositivo del vincolo stesso in termini di atto dichiarativo[3].
D’altro lato, considerando l’apprezzamento dell’interesse pubblico intrinseco, in tutto o in parte, come possibile oggetto della valutazione della P.A., affiora l’ulteriore quesito circa la sua necessaria ponderazione con l’interesse privato ai fini della limitazione delle facoltà d’uso connesse al titolo dominicale[4].
Nelle posizioni più risalenti della giurisprudenza gli argomenti utilizzati per giustificare la ritrazione del sindacato giurisdizionale, in coerenza con i comuni atteggiamenti assunti in relazione ai giudizi tecnico-discrezionali, sono stati, come noto, i più vari: dal prevalente riconoscimento della natura discrezionale dell’apprezzamento dell’interesse culturale[5], pur ritenuto tendenzialmente non bisognevole di ponderazione[6], alla sua non meglio precisata natura di merito[7]. Ciò in sintonia posizioni note della dottrina tradizionale che, pur quando protese verso una cognizione più estesa del giudice amministrativo, non ha mancato di rinvenire la ratio di un sindacato non pieno nell’interesse pubblico perseguito dalla p.a[8]., in una incerta nozione di merito[9], in una scelta politica[10].
Tali incertezze argomentative non sono mancate nemmeno nelle più recenti evoluzioni giurisprudenziali, sia pur nel segno di un sempre più intenso accesso al fatto nel processo amministrativo[11]. Si incontrano, dunque, diversi nodi irrisolti già nelle prospettive teoriche, pur potendosi serenamente registrare una linea evolutiva certa, anzitutto, ma non soltanto, nelle affermazioni di principio: dal riconoscimento di poteri di controllo giurisdizionale “intrinseco debole” da parte del g.a., in ragione di pretesi labili confini tra opinabilità e opportunità[12], all’affermazione della meno equivoca possibilità di sindacato “intrinseco forte”, sia pur non sostitutivo[13], sulle valutazioni tecniche della p.a.[14], fino al riconoscimento in capo al g.a. di un sindacato addirittura “di maggior attendibilità” delle valutazioni tecniche prospettate dalle parti[15].
2. Circolazione internazionale dei beni d’interesse culturale, l’“attestato di libera circolazione” dei beni d’interesse culturale e gli apprezzamenti affidati all’amministrazione.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. n.42/2004) disciplina la circolazione in ambito internazionale di beni di interesse culturale, nel suo capo V, esito della riforma apportata con l. n, 124/2017 che ha tentato di offrire una prima timida risposta all’esigenza di bilanciare la rigorosa tutela dell’integrità del patrimonio culturale nazionale con il non eccessivo sacrificio del mercato dell’arte e della fruizione collettiva dei beni[16].
L’impronta sensibilmente protezionistica del nostro sistema[17], specie ove confrontato con altri ordinamenti[18], si coglie chiaramente dall’art.64 bis del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che enuncia la finalizzazione del controllo sulla circolazione internazionale alla preservazione, appunto, “dell’integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti”, unitamente alla previsione del divieto di uscita definitiva dai confini nazionali dei beni culturali appartenenti a soggetti pubblici o a persone giuridiche private senza scopo di lucro, finché non intervenuta la verifica di insussistenza dell’interesse culturale ex art.12, o di beni di proprietà privata “dichiarati” ai sensi dell’art.10 co.3[19]. Tra questi, accanto ai tradizionali beni privati individuati come meritevoli di protezione in quanto d’interesse “particolarmente importante”, o, talvolta “eccezionale”, la l. n.124/2017 ha inserito con la lettera d-bis la considerazione de “le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione”; nozione ampia, che evoca poteri di valutazione dell’amministrazione potenzialmente più elastici ed estendibili rispetto a quelli già noti, ed esprime l’idea dell’appartenenza collettiva dei valori insiti nei beni da tutelare, anche in una prospettiva intergenerazionale[20].
Nei casi in cui non operi tale divieto, deve essere chiesta l’autorizzazione o “attestato di libera circolazione” al competente Ufficio Esportazioni, organo periferico del Ministero della Cultura, per il trasferimento di beni, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente, la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, e il cui valore – con alcune eccezioni - sia pari o superiore ad euro 13.500. Per altri beni si prescinde da queste condizioni: l’autorizzazione va in ogni caso richiesta per archivi e singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale; per le cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi dell’art. 11, co. 1 lett. f), g), h), a chiunque appartengano[21].
L’autorizzazione, di efficacia quinquennale, è rilasciata, sentito il Ministero, previo accertamento dell’assenza dell’interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, a termini dell'articolo 10 del Codice, delle cose presentate dall’interessato “in relazione alla loro natura o al contesto storico-culturale di cui fanno parte”.
Il diniego di autorizzazione, motivato puntualmente, comporta, in continuità con la simmetria già posta dal d.lgs. n. 490/99, l’automatico avvio del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale, con conseguente applicazione di misure di tutela in via cautelare[22].
Al fine di offrire un qualche carattere di uniformità alle valutazioni compiute in sede decentrata dagli Uffici Esportazione, il Codice affida (art.68) al Ministro della cultura il compito di definire con proprio decreto “indirizzi di carattere generale”.
Tali indirizzi sono oggi posti dal d.m. n. 537/2017, che ha sostituito la risalente circolare del Ministero della Pubblica Istruzione del 13 maggio 1974[23]. D’interesse è la precisazione che funzione degli Uffici Esportazione è compiere “accertamenti e valutazioni tecnico-scientifiche” preordinate alla decisione, avvalendosi, se del caso, di esperti esterni all’amministrazione; e, ancora, che la qualità artistica di un bene non è sufficiente, di per sé sola, a giustificare un provvedimento di sottoposizione a tutela, dovendo questo conformarsi ai criteri ed elementi valutativi appunto indicati dallo stesso Ministero, associando più di un principio di rilevanza. Tra gli elementi da considerare sono menzionati: la qualità artistica dell’opera, da apprezzare alla stregua del magistero esecutivo, della capacità espressiva, della originalità dell’opera; la rarità dell’opera in senso qualitativo e quantitativo, considerando rilevanza, diversità, complessità tecnica, e reperibilità, ad esempio, di opere dello stesso autore o con caratteristiche simili; la rilevanza della rappresentazione quale non comune livello di qualità e/o importanza culturale, storica, artistica ecc.; l’appartenenza a un complesso e/o contesto storico, artistico, archeologico, monumentale anche se non più in essere o materialmente ricostruibile; l’essere testimonianza particolarmente significativa per la storia del collezionismo, con riferimento anche alla storia e alle tradizioni locali; l’essere l’opera testimonianza rilevante sotto il profilo archeologico, artistico, storico, etnografico di relazioni significative tra diverse aree culturali anche di produzione e/o provenienza straniera.
3. Il diniego di rilascio dell’attestato di libera circolazione del “Ritratto di Olga Oberhummer” di Franz von Stuck.
Tra le ultime pronunce del giudice amministrativo che hanno indugiato sul tema della valutazione tecnico discrezionale dell’interesse culturale, si segnala la recente decisione del Consiglio di Stato, del 27 dicembre 2023 n. 11204, resa in sede di appello alla pronuncia del TAR Lombardia, Sez. III, n.1390/2022, che aveva dichiarato infondato il ricorso avverso il diniego di rilascio dell’attestato di libera circolazione e determinato il conseguente avvio del procedimento di dichiarazione del particolare interesse culturale del dipinto “Ritratto di Olga Oberhummer” dell’artista tedesco Franz von Stuck del 1907.
Il diniego di autorizzazione poggiava su argomentati caratteri di qualità e rarità dell’opera, sulla sua idoneità ad accrescere il patrimonio culturale e artistico italiano, anche in ragione del suo debito verso la ritrattistica italiana.
Il ricorso, anticipato da osservazioni presentate nel corso del procedimento e accompagnate da una relazione tecnica di parte, contestava, nell’ambito delle diverse censure, in particolare, l’errore di valutazione compiuto dall’Ufficio circa i riferimenti artistici del quadro, lamentandosi altresì la mancata considerazione della sua origine straniera e dell’assenza di collegamenti con il contesto culturale italiano.
Si censurava poi l’omessa ponderazione dell’interesse pubblico alla conservazione con l’interesse del proprietario, compresso in modo asseritamente sproporzionato, nella misura in cui al suo sacrificio non avrebbe corrisposto alcun beneficio per l’interesse culturale nazionale, tanto più considerando che il bene non sarebbe stato destinato alla fruizione collettiva. Si rilevava, ancora il contrasto con l’art.36 del TFUE[24] il quale, nel contemplare l’“eccezione culturale” nell’ambito della tutela della libertà di circolazione delle merci nel territorio europeo, imporrebbe un’applicazione rigorosa e restrittiva della predetta deroga, accompagnata da congrua motivazione, nel caso di specie ritenuta insufficiente.
Nel respingere il ricorso, il TAR Lombardia ribadiva i profili strutturali della tutela dei beni culturali, l’immanenza dei limiti alle relative facoltà di utilizzo, da cui l’esclusione dell’indennizzo. Chiariva, inoltre, che le valutazioni compiute dall’Amministrazione ai fini della relativa individuazione avrebbero natura non discrezionale, bensì di “discrezionalità tecnica”; di qui l’insussistenza di un dovere di ponderazione degli interessi “neppure allo scopo di verificare il rispetto del principio di proporzionalità”[25].
In conformità con recenti pronunce del Consiglio di Stato e con le posizioni di attenta dottrina, si ammetteva invece uno spazio per una comparazione nella fase successiva alla individuazione del bene, ovvero quella della determinazione delle misure di tutela e conservazione[26]. In ogni caso, si osservava come la sola finalità della conservazione del bene non renderebbe ingiustificato il sacrificio imposto al privato, essendo la conservazione del suo valore culturale possibile presupposto di un’eventuale acquisizione alla mano pubblica e della sua destinazione alla pubblica fruizione[27].
Quanto al merito della valutazione si osservava come dagli indirizzi ministeriali emerga chiaramente la non imprescindibilità del carattere di “italianità” del bene, legittimandosi, invece, il divieto di esportazione di opere straniere “purché la loro presenza nel patrimonio culturale nazionale sia necessaria per favorire la conoscenza delle culture di cui i beni in questione costituiscano testimonianze di civiltà, trattandosi comunque di strumenti di arricchimento del patrimonio culturale della Nazione”[28]. In ogni caso, i rilievi del tecnico di parte apparivano inidonei ad escludere di per sé l’effettivo aggancio con la pittura rinascimentale italiana. In sintesi, non sarebbe stata dimostrata l’inattendibilità della valutazione operata dall’amministrazione, non riuscendo le censure avanzate a uscire dalla consistenza di meri apprezzamenti soggettivi.
Con riferimento all’art. 36 TFUE, si considerava, infine, come la medesima sia norma che ammette espressamente che gli Stati membri introducano divieti di esportazione funzionali alla protezione del proprio patrimonio culturale, semplicemente censurando discriminazioni arbitrarie e dissimulate restrizioni al commercio tra Stati membri.
4. Il sindacato di “maggiore attendibilità” e le posizioni del Consiglio di Stato; brevi considerazioni.
Al centro delle censure proposte con il ricorso in appello vi è il profilo del “mancato sindacato di maggiore attendibilità”, che rileverebbe anche ai sensi dell’art.6 della Cedu, dell’art.47 della Carta di Nizza, dell’art.24 Cost. risolvendosi nella asserita negazione del diritto a un equo processo. La sentenza sarebbe poi inadeguatamente motivata con riferimento ai caratteri culturali dell’opera ed erronea quanto alla conformità del provvedimento impugnato all’art.36 TFUE.
Il Consiglio di Stato, nell’inquadrare in termini generali la questione, si concentra, quale profilo assorbente, sulla natura giuridica dell’apprezzamento dell’“interesse culturale” di un bene e del relativo grado, contribuendo, con il giudice di prime cure, a fare ordine nell’ambito delle incerte categorie della valutazione tecnica, della discrezionalità tecnica, della discrezionalità, tutte richiamate, nella nostra esperienza giuridica a proposito delle valutazioni in esame.
Sia pur con qualche incerto richiamo all’interesse pubblico, che ricorda posizioni della dottrina più risalente[29], il Consiglio di Stato conferma che l’attività dell’amministrazione, volta ad esprimere il giudizio di rilevanza culturale “pur implicando un apprezzamento di conformità della cosa valutata a un modello astratto alla stregua di criteri estetico-culturali” è sostanzialmente “di carattere ricognitivo e conoscitivo” non consistendo in una scelta fra diverse soluzioni possibili; il che non esclude, ovviamente, margini di apprezzamento basati su elementi tecnici, che restano, dunque, di carattere peculiare e specialistico”[30].
Puntualizza così che, mentre la selezione degli interessi è compiuta a monte dal legislatore[31], quelli in esame sarebbero appunto giudizi “tecnico-discrezionali” chiarendo, sotto il profilo nominalistico, che la formula non sottende apparentamenti con la discrezionalità amministrativa ma si riferisce appunto a valutazioni di “fatti complessi” richiedenti particolari competenze, con riferimento alle quali il sindacato giurisdizionale non si incentra, dunque, sulla ragionevole ponderazione di interessi ma sulla “specifica attendibilità tecnico-scientifica”. Di qui l’accolta sinonimia di “valutazioni tecniche” o “tecnico-discrezionali”.
Peraltro, lo stesso Consiglio di Stato ha di recente chiarito, in altre pronunce, che proprio in tale tecnica di giudizio riposerebbe la reale tutela inverando il principio fondamentale dell’art. 9 della Costituzione, appunto “consentendo una salvaguardia che prescinda dal cedimento per opportunità rispetto ad altri interessi”, realizzando “l'indefettibile funzione pubblica richiesta da questa eredità collettiva” e assicurandone la rispondenza al suo “valore primario e assoluto”[32].
In sintesi, Tar e Consiglio di Stato superano certamente quelle pronunce del Consiglio di Stato che, pur aprendo a un sindacato intrinseco sui fatti complessi valutati dall’amministrazione, ne predicavano la debolezza.
Come già chiaro al pensiero giuridico più risalente, come oggi allo stesso Ministero della cultura, l’attività che l’amministrazione svolge è un’attività di natura provvedimentale e se sono còlte le caratteristiche del bene indicate dalla legge, l’apposizione del vincolo al bene e, ancor prima, il diniego di rilascio dell’attestato di libera circolazione sono doverosi[33].
Il Consiglio di Stato fa poi riferimento agli attuali poteri decisori del g.a., come disegnati dal codice del processo amministrativo, alla sua capacità di pronunciare in alcuni casi sentenze che definiscano compiutamente “la disciplina del rapporto tra amministrazione e cittadino”, per considerare come ciò non sia in concreto sempre possibile, come ad esempio a fronte di valutazioni tecniche complesse, ma non sembra sviluppare in modo completo i motivi. È comunque scontato il presupposto che la stessa attività conoscitiva del giudice, nei casi in cui – fuori dall’esercizio di poteri di merito – condanni l’amministrazione a un facere specifico, riesce ad estendersi in corrispondenza della natura vincolata dei poteri esercitati dall’amministrazione e della possibilità di individuare parametri giuridici certi, ivi compresi i criteri conoscitivi dei dati fattuali, esplicitamente o implicitamente presupposti dalle norme di disciplina dell’esercizio dei poteri[34].
Se appare ormai in buona misura formula tralatizia quella secondo cui, con particolare riguardo alla discrezionalità tecnica, il giudice è semplicemente chiamato a verificare la “ragionevolezza tecnica” dell’apprezzamento “ sia nel complesso, che nell’articolazione dei diversi passaggi, oltre che sotto il profilo delle regole tecniche applicate”, appare d’interesse come presa di posizione rispetto all’ipotesi del suo dovere, prospettato dall’appellante, di individuazione della “soluzione tecnica più attendibile”[35].
Questa tesi è stata a ben vedere autorevolmente proposta anche dall’Ufficio Studi del Consiglio di Stato[36]con richiamo a pronunce relative ad atti delle amministrazioni indipendenti, esito di un sindacato certamente profondo del giudice amministrativo[37].
Guardando alla ratio delle richiamate decisioni non sembra che il g.a. abbia nei fatti realmente applicato il suddetto modus iudicandi. Da un lato, si tratta di casi in cui gli interessati avevano ampiamente adempiuto al relativo onere di deduzione di motivi specifici e di prova nei limiti della disponibilità, consentendo un sindacato pienamente intrinseco del g.a. di attendibilità tecnica secondo le regole specialistiche applicabili al settore considerato.
Il giudice non ha tuttavia scelto la soluzione tecnica più attendibile trattando necessariamente quelle proposte come due paritetiche prospettazioni capaci di aprire la strada per l’individuazione dell’unica scelta tecnica giusta e definitiva; la maggiore attendibilità tecnica della valutazione operata dal ricorrente appare piuttosto servita pur sempre a smontare – attraverso un sindacato profondo - la soluzione, prima facie ragionevole, fatta propria dal provvedimento amministrativo; è servita, in definitiva, a dimostrarne da un punto di vista tecnico-scientifico, la sua effettiva non attendibilità[38]. La tecnica di giudizio è corretta e sembra quella abbracciata dalla pronuncia in esame anche se non pienamente convincenti appaiono tutti gli argomenti utilizzati.
Se potenzialmente ambiguo appare il riferimento all’interesse pubblico[39], è discutibile il fondamento che il Consiglio di Stato infine pone a base della posizione assunta. Si assume che il giudice amministrativo debba dare la “prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche), della competenza ad adottare decisioni collettive rispetto alla prospettazione individuale dell’interessato”: “ciò in quanto prevale la scelta legislativa di non disciplinare il conflitto d’interessi ma di apprestare solo i modi e i procedimenti per la sua risoluzione”[40]. Tali formule riprendono precedenti decisioni del Supremo Consesso[41] e rievocano autorevoli posizioni dottrinarie[42] ma pur risolvendosi in pregevoli considerazioni di buon senso non sembra esauriscano il ragionamento giuridico.
Più convincente appare la sentenza di primo grado in quel passaggio della motivazione in cui, in coerenza con immediati precedenti del Consiglio di Stato[43], si riferisce al criterio della struttura della norma attributiva del potere all’amministrazione[44] e sottolinea come il presupposto normativo per la dichiarazione dell’interesse culturale non sia l’accertamento del fatto storico da parte del giudice, come avviene in controversie in cui le parti siano in posizione paritetica, ma sia il fatto “mediato” “dalla valutazione affidata all’amministrazione”. È quanto la riflessione giuridica recente non ha mancato di evidenziare, osservando come sia difficile ricondurre puramente la valutazione tecnica ad attività puramente vincolata della p.a. - senza per questo ridurla alla discrezionalità-, osservandosi come nell’esercizio di potere rientra anche la determinazione degli elementi di fatto che di volta in volta costituiscono il suo presupposto e che sovente si prestano a un percorso logico insieme deduttivo e induttivo[45], senza che ciò implichi il riconoscimento di aprioristiche riserve di valutazione del fatto. Non è un caso, invero, che con riferimento alla materia in esame, il legislatore abbia affidato al Ministero il compito, di “riempire” il concetto giuridico indeterminato attraverso la determinazione di indirizzi volti ad orientare e circoscrivere le valutazioni tecniche degli Uffici Esportazione.
È su tale esercizio di potere, dunque, che cade istituzionalmente il sindacato di legittimità del g.a.[46], il quale ha appunto, come sua peculiarità quella di ripercorrere la formazione della decisione amministrativa guardando ai suoi parametri giuridici, anche integrati dalle norme tecniche cui le norme di esercizio del potere – esplicitamente o implicitamente - rinviino. La mancanza di un parametro atto a far rilevare l’errore, quindi l’illegittimità dell’azione amministrativa impedisce una pronuncia di annullamento, laddove il giudice, sconfinando nell’opinabilità tecnica, nell’“arbitrio specialistico”, oltrepasserebbe i confini della sua funzione istituzionale, sostituendosi indebitamente all’amministrazione[47]. Lo sguardo deve estendersi oltre la posizione istituzionale dell’Amministrazione, al sistema nel suo complesso e, compiutamente, alla posizione del giudice amministrativo rispetto ad essa, tenendo a mente che la sua giurisdizione generale rimane quella di legittimità, che peraltro investe gran parte del contenzioso altresì affidato alla giurisdizione esclusiva[48].
A fronte di giudizi tecnici complessi, pur ove compiuti, come nel caso in esame, alla stregua di scienze “non esatte”, come quelle di natura artistica, storica, filosofica richiamati dall’apprezzamento dell’“interesse culturale”, si evidenzia giustamente l’onere dell’interessato di contestarne seriamente e puntualmente l’attendibilità[49]: onere, dunque, di dedurre motivi specifici e onere della prova che spesso, nel processo amministrativo, pur potenziato dal c.p.a., ancora tende a scolorire nel primo[50]. L’adempimento di questo onere consente al giudice amministrativo di compiere quel controllo intrinseco forte, sia pur non sostitutivo richiesto dal dovere di dispensare una tutela effettiva. D’altra parte, non sembra, da un lato, come pur talora paventato, che le Sezioni Unite, nel riaffermare tale limite del G.A. abbiano voluto necessariamente imporgli un sindacato debole[51], né che tale atteggiamento si profili in contrasto con la Costituzione[52], con la CEDU[53] o con il diritto europeo[54].
È comunque evidente il raggiunto punto di non ritorno, ovvero l’illegittimità di pronunce con le quali il giudice rifiuti di esaminare censure atte a sollecitare un sindacato profondo ricorrendo a “formule pigre” e a motivazioni apparenti, trincerandosi dietro la dichiarata impossibilità di esercitare un sindacato sostitutivo con il rischio di “un sostanziale rifiuto di giurisdizione e un’abdicazione alla doverosa potestas iudicandi da parte del giudice amministrativo anche entro il limite, indiscusso, di un apprezzamento che in nessun modo intenda sostituirsi a quello della pubblica amministrazione”[55].
Nel merito, il Consiglio di Stato condivide così la decisione di primo grado, ritenendo il diniego dell’amministrazione puntualmente motivato, il procedimento conoscitivo seguito privo di vizi e il ricorso, in definitiva, non tale da prospettare qualcosa di diverso da una semplice opinione divergente, così, in ordine al requisito della rarità, alla qualità artistica dell’opera, al suo collegamento con la cultura italiana; conferma, in coerenza con precedenti decisioni del giudice amministrativo oltre che con gli indirizzi ministeriali, la non esclusione dal patrimonio nazionale italiano di opere straniere, ogni qualvolta rinvenibile un particolare collegamento con la cultura italiana[56].
Si valorizza il valore pubblico del patrimonio culturale, la sua appartenenza alla Nazione, ai “cittadini - sovrani”[57], e la sua strumentalità a quell’accrescimento della conoscenza capace anche di rafforzare l’identità collettiva, posto come obiettivo fondamentale dall’art.9 Cost., in combinato disposto con il principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art.3[58].
In tali valori e intenti trova invero fondamento la stessa “deroga culturale” di cui all’art.36 TFUE, che non smentendo l’autonomia e le differenze degli Stati membri, denota una crescente sensibilità verso valori non riducibili a interessi economici e s’inquadra in un progressivo rafforzamento di un’identità culturale comune, anche a livello europeo[59].
[1] Cfr., ex multis, nella giurisprudenza più risalente: TAR Lazio, 21 novembre 1986 n. 2308, in Trib. amm. reg., 1986, I, 3958, Cons. St., 5 settembre 1989 n. 1194, in Cons. St., 1989, I, 1069, TAR Lazio, 27 gennaio 1990 n. 238, in Trib. amm. reg., 1990, I, 547, Cons. St., 26 settembre 1991 n. 596, in Cons. St., 1991, I, 1368, Cons. St., 18 novembre 1991 n. 874, in Cons. St., 1991, I, 1747, TAR Lombardia, 3 maggio 1993 n. 380, in Trib. amm. reg., 1993, I, 2441, Cons. St., 10 novembre 1993 n. 817, in Cons. St., 1993, I, 1463, Cons. St., 7 maggio 1996 n. 950, in Cons. St., 1996, I, 1199, Cons. St., 1ottobre 1996 n. 1275, in Cons. St., 1996, I, 1532, CGAS 11 maggio 1996 n. 65, in Giust. amm. sic., 1997, 485.
[2] Per cui v. A. Rota, La tutela dei beni culturali tra tecnica e discrezionalità, Padova, 2002.
[3] In tal senso cfr. la nota posizione di M. S. Giannini, I beni culturali, ora in Scritti, vol. VI; 1970-1976, Milano, 2005, 1005 ss. che osservava come il giudizio valutativo intervenga per tutti i beni culturali come momento dell’istruttoria procedimentale nell’ambito di procedimenti che, pur differenziati, avrebbero tutti natura dichiarativa. Riteneva, dunque, improprio parlare di motivazione dell’atto, trattandosi di individuazione del suo presupposto, ovvero dell’esistenza dei caratteri tali da identificarlo come bene culturale. Peraltro, osservava che quella di bene culturale è una nozione “liminale” «ossia nozione a cui la normativa giuridica non dà un proprio contenuto, una propria definizione per altri tratti giuridicamente conchiusi, bensì opera mediante rinvio a discipline non giuridiche». V. anche G. Piga, Cose d’arte, in Enc. Dir., 1962, Vol. XI, 93 ss.
[4] Per l’esclusione, coerentemente con la ritenuta natura dichiarativa, di qualsiasi onere di ponderazione: M. S. Giannini, Op. cit. Sul contributo dato da Giannini allo studio dei beni culturali: S. Cassese, L’amministrazione dello Stato. Saggi, Milano, 1976, 153 ss. e, di recente, L. Casini, “Todo es peregrino y raro”…”. Massimo Severo Giannini e i beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2015, 987 ss.
[5] TAR Sicilia -Palermo, 24 aprile 1979 n. 82, in Foro amm., 1979, I, 1592, TAR Puglia, 13 giugno 1983 n. 312, in Trib. amm. reg., 1983, I, 2678, Cons. St., 31 maggio 1990 n. 47, in Riv. giur. edil., 1991, I, 438, Cons. St., 26 settembre 1991 n. 596, in Cons. St., 1991, I, 1368, TAR Veneto, 16 febbraio 1995 n. 282, in Trib. amm. reg., 1995, I, 1679, TAR Sicilia, 18 febbraio 1995 n. 101, in Foro amm., 1995, 2043, Cons. St., 24 settembre 1996 n. 1259, in Cons. St., 1996, I, 1386, TAR Sardegna, 3 novembre 1997 n. 458, in Trib. amm. reg., 1998, I, 161.
[6] TAR Sicilia - Palermo 28 agosto 1980 n. 395, in Trib. amm. reg., TAR Calabria 11 novembre n. 162, in Trib. amm. reg., 1982, I, 319, TAR Lazio 18 marzo 1983 n. 247, in Trib. amm. reg., 1983, I, 1074, TAR Sicilia 20 agosto 1990 n. 547, in Trib. amm. reg., 1990, I, 3684, Cons. St., 19 novembre 1992 n. 647, in Riv. giur. edil., 1992, I, 1159, TAR Sicilia - Palermo 18 Febbraio 1995 n. 101. Cfr., in tempi più recenti: Cons. St., Sez. IV, 31 gennaio 2005, n.256, in cui si affermava che: “L'imposizione del vincolo di notevole interesse storico artistico non è condizionato ad una ponderazione dell'interesse culturale con altri interessi, pubblici o privati, dovendosi riconoscere al primo un valore assoluto e quindi prevalente”. Ugualmente, più di recente: Cons. giust. amm. Sicilia Sez. giurisd., n. 418/2011, TAR Napoli, Sez. VI, n. 223/2015. In senso diverso, cfr. esplicitamente: TAR Lazio, 23 gennaio 1997 n. 235, ma riferimenti alla doverosa considerazione del sacrificio imposto ai privati si hanno già in Cons. St., 24 agosto 1992 n. 615, TAR Emilia - Romagna 27 novembre 1992 n. 993, TAR Abruzzo, 8 febbraio 1993 n. 48, in Foro it., 1993, 69, Cons. St., 29 maggio 1995 n. 518, in Foro amm., 1995, 1026.
[7] V., ancora di recente, Cons. St., Sez. VI, 22 gennaio 2004 n. 161.
[8] Cfr. già F. Cammeo, La competenza di legittimità della IV Sezione e l’apprezzamento dei fatti valutabili secondo criteri tecnici, in Giur. it., III, 1902.
[9] Cfr. ad es. M. S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939, pp. 162-3, A. De Valles, Norme giuridiche e norme tecniche, in Studi in onore di C. Jemolo, III, Milano, 1963, pp. 177 e ss., p. 184, G. Guarino, Atti e poteri amministrativi, in G. Guarino (a cura di), Dizionario amministrativo, Vol. I, Milano, 1983, 200 ss.
[10] Cfr. ad es. E. Presutti, Discrezionalità pura e discrezionalità tecnica, in Giur. it., 1910, 4, 16, e cfr. C. Mortati, Potere discrezionale, in Nuovo dig. it., Torino, 1039, pp. 76 e ss., pp. 79 - 80.
[11] A partire dalla storica pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 aprile 1999 n. 601, in cui si è per la prima volta chiaramente affermato che “quando la tecnica è inserita nella struttura della norma giuridica, l’applicazione del criterio inadeguato o il giudizio fondato su operazioni non corrette o insufficienti comporta un vizio di legittimità dell’atto”; cfr. M. Delsignore, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche: nuovi orientamenti del Consiglio di Stato, Dir. proc. amm., 2000, 185 ss. V., di recente, A. Giusti, Tramonto o attualità della discrezionalità tecnica? riflessioni a margine di una recente “attenta riconsiderazione” giurisprudenziale, in Dir. proc. amm., 2021, f.2, 335 ss. Cfr. già Id, Contributo allo studio di un concetto ancora indeterminato. La discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione, Napoli, 2007; A. Moliterni (a cura di), Le valutazioni tecnico-scientifiche tra amministrazione e giudice, Napoli, Jovene, 2021. In posizione decisamente critica rispetto al self restraint spesso ancora mostrato dal giudice amministrativo nell’accesso al fatto: M. A Sandulli, Conclusioni delle “Giornate di studio sulla giustizia amministrativa” svoltesi al Castello di Modanella il 16/17 giugno 2023 sul tema “Sindacato sulla discrezionalità amministrativa e ambito del giudizio di cognizione”, in questa Rivista, settembre 2023.
[12] Cfr., ad es., per tutte, Cons. St., Sez. IV, 16 ottobre 2001 n. 5287, Cons. St., Sez. VI, 23 aprile 2002 n. 2199, Cfr. F. Cintioli, Giudice amministrativo, tecnica e mercato. Poteri tecnici e giurisdizionalizzazione, Milano, 2005, Id., Tecnica e processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2004, 983.
[13] Cfr. ex multis: Cons. St., Sez. VI, 2 marzo 2004 n. 926, Id., Sez. VI, 8 febbraio 2007 n. 515, Id., Sez. VI, 20 febbraio 2008 n. 595, Id., Sez. VI, 20 febbraio 2008 n. 597; più di recente, ex multis: Cons. St., Sez. IV, 9 febbraio 2015 n. 657, Cons. St., Sez. III, 11 dicembre 2020 n.7097, con nota di G. Strazza, Sull’uso off-label dell’idrossiclorochina per il trattamento del Covid-19, inGiustiziainsieme, 2021, gennaio.
[14] Cfr., ad es., Cons. St., Sez. IV, 30 luglio 2003, n. 4409, Cons. St., Sez. Vi, 2 marzo 2004 n. 926, cit., Cons. St., 12 febbraio 2007 n. 550, Cons. St., Sez. VI, 20 febbraio 2008 n. 595; più di recente: Cass. Sez. Un., 12 maggio 2017 n. 11804, Cons. St., Sez. III, 2 settembre 2019 n. 6058,
[15] Ufficio Studi della Giustizia amministrativa, “Autorità indipendenti e sindacato giurisdizionale”. Ogni potere ha il suo giudice e a tale regola generale non sfuggono le autorità indipendenti, in www.giustizia-amministrativa.it, 2017, su www.giustizia-amministrativa.it. e v. infra, § 4.
[16] Sul tema, ampiamente, F. Manlio, La circolazione internazionale dei beni culturali, Milano, 2007, e di recente: A. Pirri Valentini, La circolazione internazionale dei beni culturali, Milano, 2023. Cfr. anche G. Avanzini, La circolazione intracomunitaria dei beni culturali privati tra tutela del patrimonio nazionale e identità culturale, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2018, 3, 689 ss. In particolare, la riforma ha realizzato un ampliamento dei casi di liberalizzazione dell’uscita definitiva di beni d’interesse culturale dal territorio nazionale che riguarda oggi: opere di autore vivente; di autore non vivente che risalgono a non oltre (non più 50 ma) 70 anni, o prodotte in qualunque epoca ma che abbiano valore pari o inferiore a 13.500 euro. La disciplina dell’uscita temporanea, riguardante ipotesimarginali, non è stata modificata.
[17] L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, Bologna, 2016, in partic. 123 ss.
[18] Con riferimenti al sistema britannico e, ancor più, a quello francese: G. Avanzini, La circolazione intracomunitaria dei beni culturali privati tra tutela del patrimonio nazionale e identità culturale, cit., 689 ss.
[19] Per l’uscita temporanea, v. i casi tassativi indicati dagli artt. 66 e 67 del Codice e art.71.
[20] In generale sulla tutela dei beni culturali, in questa prospettiva: M. A. Cabiddu, Diritto alla bellezza, in Rivista AIC, 2020, n. 4..
[21] …le fotografie, con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali comunque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque ami, a termini dell’articolo 65, comma 3, lettera c), i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni, a termini degli articoli 65, comma 3, lettera c), e 67, comma 2, i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni, a termini dell'articolo 65, comma 3, lettera c).
[22] Cfr. art. 14, co. 4 del Codice. Cfr. G. Celeste, Beni culturali: prelazione e circolazione, in Riv. notariato, 2000, 5, 1071 ss.
[23] Cfr. anche D.M. 17 maggio 2018 n. 246: Condizioni, modalità e procedure per la circolazione internazionale di beni culturali, come modificato dal D.M. 9 luglio 2018 n. 305.
[24] “Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”.
[25] Cfr. sul punto, G. Severini, Tutela del patrimonio culturale, discrezionalità tecnica e principio di proporzionalità, in Aedon, 2016, 3, che più radicalmente osserva che “La questione della discrezionalità tecnica, specie per le soft sciences che rilevano per la tutela del patrimonio culturale, consiste dunque nella gradazione di questa intensità, per modo che il risultato concreto sia quello sufficiente e comunque adeguato alla esigenza di cura del patrimonio”. Non ci sarebbe invece “in tema di tutela del patrimonio alcun bilanciamento con interessi diversi da quello della tutela stessa”, perché ci si muoverebbe esclusivamente lungo la “monorotaia” “dell'unico interesse in cui questa consiste (il bilanciamento si coniuga al principio di proporzionalità solo quando si tratta di discrezionalità amministrativa, non di discrezionalità tecnica”, e ricorda Cons. Stato, IV, 26 febbraio 2015, n. 964, secondo cui: “nel caso in cui l’azione amministrativa coinvolga interessi diversi” - cioè quando si esercita una discrezionalità amministrativa - allora occorre “un’adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile: in questo senso, il principio [di proporzionalità] rileva quale elemento sintomatico della correttezza dell'esercizio del potere discrezionale in relazione all'effettivo bilanciamento degli interessi”.
[26] Cons. St., Sez. VI, n. 3360/2014, Cons. St., Sez. VI, n. 2061/2020. Cfr. P. Carpentieri, Patrimonio culturale e discrezionalità degli organi di tutela, in Aedon, 2016, 3.
[27] Sulla differente disciplina della fruizione, a seconda che la proprietà del bene sia pubblica o privata, v. A. Bartolini, Beni culturali (ad vocem), in Enc. Dir., Annali, 2013, VI.
[28] Nello stesso senso si richiamano TAR Lazio, Roma, Sez. II, n. 1883/2020, Tar Lazio, Roma, Sez. II quater, n. 7833/2012.
[29] O. Ranelletti, Principi di diritto amministrativo, I, Napoli, 1912, p. 371; tale riferimento com’è noto non è assente nemmeno nelle avanzate posizioni di F. Cammeo, pur sensibile alla dottrina tedesca degli unbestimmte rechtsbegriffe. Cfr. Id., La competenza di legittimità della IV Sezione e l'apprezzamento dei fatti valutabili secondo criteri tecnici, in Giur. it., III, 1902 ss.
[30] Cons. St., Sez. VI, 3 febbraio 2022, n.757, che enuncia : “Il sindacato sugli atti della pubblica amministrazione deve rispondere ai principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, dovendo, pertanto, da un lato, estendersi anche all'accertamento dei fatti operato sulla base di concetti giuridici indeterminati o di regole tecnico-scientifiche opinabili, al fine di evitare che la discrezionalità tecnica trasmodi in arbitrio specialistico, dall’altro, implicare la verifica del rispetto dei limiti dell'opinabile tecnico-scientifico, attraverso gli strumenti processuali a tal fine ritenuti idonei (ad. es., consulenza tecnica d’ufficio, verificazione, ecc.). Un tale sindacato, non può, tuttavia, spingersi fino al punto di sostituire le valutazioni discrezionali dell'Amministrazione. Orbene, qualora ad un certo problema tecnico ed opinabile l’amministrazione abbia dato una determinata risposta, il giudice (sia pure all'esito di un controllo “intrinseco”, che si avvale cioè delle medesime conoscenze tecniche appartenenti alla scienza specialistica applicata dall’Amministrazione) non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell’Amministrazione, dovendosi piuttosto limitare a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate, che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto”.
[31] Per il diverso rapporto tra la tecnica e la decisione politica, laddove, si sottolinea, spetta proprio alla politica, in una prospettiva democratica, governare le soluzioni tecniche in relazione alla selezione degli interessi meritevoli di tutela: W. Giulietti, Tecnica e politica nelle decisioni amministrative “composte”, in Dir. amm., 2017, 2, 327 ss., anche ricordando G. Guarino, I tecnici e i politici. Nello Stato contemporaneo. Prolusioni e conferenza, Milano, 1966, 196.
[32] Cons. St., Sez. VI, 30 agosto 2023 n. 8074, sull’annullamento d’ufficio dell’attestato di libera circolazione per la coppia di dipinti di Salvador Dalì denominati Couple aux tetes pleines de nuages, Cons. St., Sez. VI, 13 ottobre 2023 n. 8983, sul diniego di rilascio dell'attestato di libera circolazione in relazione al dipinto a olio su tela di Alberto Burri, intitolato “Texas” del 1945.
[33] G. Piva, Ibidem, 102, il quale tuttavia, vedeva nell’assenza di discrezionalità una ragione per la negazione del potere dell’amministrazione e l’affermarsi della giurisdizione del giudice ordinario.
[34] Per il recepimento della norma tecnica nella norma giuridica, cfr. F. Ledda, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull'amministrazione pubblica, in Dir. proc. amm., 1983, 372. Per l’autonomia concettuale della valutazione tecnica, già: V. Bachelet, “L’attività tecnica della pubblica amministrazione”, Milano, 1967, 38 ss. Nel senso che la discrezionalità tecnica sia avvicinabile più a quella del giudice che dell’amministrazione: Cfr. A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 594, in cui si afferma che “la discrezionalità tecnica è prossima più alla discrezionalità del giudice che alla discrezionalità amministrativa, essendo svincolata dalla considerazione degli interessi dei singoli soggetti coinvolti nella vicenda”.
[35] Su cui cfr. ancora A. Giusti, Tramonto o attualità della discrezionalità tecnica? Riflessioni a margine di una “attenta riconsiderazione” giurisprudenziale, in Dir. proc. amm., 2021, 2, 335 ss.
[36] Cfr. Consiglio di Studi, Ufficio Studi, massimario e formazione, “Autorità indipendenti e sindacato giurisdizionale”, cit., 2017.
[37] Cfr., ad es., Cons. St., Sez. VI, 12 ottobre 2011 n. 5519, Cons. St., Sez. VI, 13 giugno 2014 n. 3032, Cons. St., Sez. VI, 15 maggio 2015 n. 2479, Cons. St., Sez. VI, 12 giugno 2015 n. 2888, Cons. St., Sez. III, 2 ottobre 2015 n. 4616, Cons. St., Sez. VI, 4 settembre 2015 n. 4123, TAR Lazio, Sez. I, 16 giugno 2016 n. 6921, Cons. Sez. VI, 9 agosto 2016 n. 3552, Cons. Sez. VI, 31 agosto 2016 nn. 3769, 3770, 3771, 3772 e 3772.
[38] Chiaramente protesa verso un sindacato di “maggiore attendibilità”, non in via generale, ma sulla base della premessa che nella disciplina antitrust non opererebbe il meccanismo norma-potere-effetto, essendo l’assetto degli interessi già a monte definito dal legislatore: Cons. St., Sez. VI, 19 luglio 2019 n. 4990, nel caso “Avastin-Lucentis”.
[39] “L’apprezzamento dell’amministrazione ai fini dell’imposizione di scelte di vincolo legate a poteri e obiettivi di valenza culturale si atteggia “come un apprezzamento ampio dell’interesse pubblico a tutelare cose che, attenendo direttamente o indirettamente alla storia, all’arte o alla cultura, per ciò che esprimono e per i riferimenti con queste ultime, sono reputate meritevoli di conservazione”. Tuttavia – si dice - l’interesse pubblico alla tutela della cosa è direttamente collegato con una valutazione in termini di “particolare interesse della cosa per i propri pregi intrinseci o per il riferimento della medesima vicenda della storia, dell’arte o della cultura, sicché l’espressione precipuo dell’attività tecnico-discrezionale dell’amministrazione si ha nel momento della formulazione di un giudizio di particolare rilevanza del bene , discendente a sua volta o dal riconoscimento di un peculiare pregio del medesimo o dal riconoscimento di un particolare collegamento di esso con le vicende della cultura, della storia, dell’arte”. Cfr. tuttavia F. Volpe, Discrezionalità tecnica e presupposti dell’atto amministrativo, in Dir. amm., 2008, 4, 791 ss., il quale in effetti ritiene che la discrezionalità tecnica si risolva in identificazione in concreto del presupposto del provvedimento, ed essendo l’interesse da perseguire implicito in questo, la stessa valutazione tecnica si differenzierebbe dall’apprezzamento discrezionale essenzialmente per avere riguardo ad un unico, specifico interesse. Diversamente: Piva, Cose d’arte (ad vocem), in Enc. dir., XI, 1962, vol. XI che osservava come il termine “interesse” fosse utilizzato impropriamente dal legislatore in luogo di “valore” culturale, specifico oggetto di apprezzamento dell’amministrazione.
[40] In tal senso si richiama: Cons. St., Sez. VI, n. 8167/2023.
[41] Cfr. Cons. St., Sez. VI, 5 dicembre 2022, n.10624, in materia di vincoli paesaggistici, Cons. St., Cons. St., Sez. VI, 9 maggio 2023, n. 4686, in questa Rivista, luglio 2023.
[42] C. Marzuoli, Potere amministrativo e valutazioni tecniche, Milano, 1985, 203 ss.: “Di fronte a una norma che implicitamente o esplicitamente attribuisca all’amministrazione il compito di operare giudizi tecnicamente complessi o scelte scientificamente opinabili pare dunque preferibile, nel dubbio interpretativo, che sia la pubblica amministrazione a compiere la scelta, dovendosi individuare nel suo più intimo collegamento con l’organizzazione sociale, sotto molteplici profili, la ragione sostanziale di una riserva di valutazione. Sottolinea la necessaria considerazione dell’appartenenza dell’amministrazione al circuito democratico-rappresentativo e la sua sottoposizione agli indirizzi del vertice politico: P. Carpentieri, Patrimonio culturale e discrezionalità degli organi di tutela, in Aedon, 2016, 3. Valorizzano, ancora, ora i profili organizzativi, ora la specifica identità della P.A.: C. Cudia, Pubblica amministrazione e valutazioni tecniche: profili organizzativi, in Dir. pubbl., 2016, 1 ss., F. Saitta, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche delle autorità indipendenti tra potenzialità del codice del processo e «preferenza di amministrazione», in Il Processo, 2020, f. 3, 749 ss.
[43] Cfr. Cons. St., Sez. VI, 5 dicembre 2022, n.10624, Cons. St., Sez. VI, 9 maggio 2023, n. 4686, cit. e la nota di A. Cioffi, Discrezionalità tecnica e rarità di un dipinto di Giorgio Morandi. Osservazioni sul sindacato di legittimità e sul problema dei concetti giuridici indeterminati, su www.giustiziainsieme.it, luglio 2023.
[44] Cfr. P. Lazzara, Discrezionalità tecnica e situazioni giuridiche soggettive, in Dir. proc. amm., 2000, pp. 212 – 254. Già Id., Autorità indipendenti e discrezionalità, Padova, 2001, in partic. p. 282 ss. Nel senso che nell’azione amministrativa vi sia uno spazio valutativo non ascrivibile alla discrezionalità, v. anche, sia pur su posizioni non pienamente sovrapponibili, D. De Pretis, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, 1995. Per tesi particolarmente avanzate in dottrina, cfr. già V. Cerulli Irelli, Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, in Dir. proc. amm., 1984, pp. 475 e ss., che, in linea di principio, ravvisa solo nell’assoluta soggettività e irripetibilità del giudizio un limite al sindacato giurisdizionale.
[45] P. Carpentieri, Azione di adempimento e discrezionalità tecnica (alla luce del codice del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., fasc.2, 2013, 385 ss.
[46] Cfr. Alb. Romano, Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Milano, 1975, 76 ss., Id., I caratteri originari della giurisdizione amministrativa e la loro evoluzione, in Dir. proc. amm., 1994, 635 ss., Id., Amministrazione, principio di legalità e ordinamenti giuridici, in Dir. amm., 1999, 1, 111 ss.
[47] In tal senso, cfr. già F. Cintioli, Tecnica e processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 4, 2004, 983, secondo cui, appunto, “È questo, allora, l'unico limite che l'idea del sindacato debole postula: quando il giudice ha accertato, attraverso una serrata analisi tecnica, che la scelta finale dell'amministrazione è coerente, ragionevole e assolutamente compatibile con le premesse in quanto costituisce una delle ristrette scelte possibili, a quel punto non ha il dovere di andare oltre e di elaborare necessariamente una sua scelta finale da sostituire a quella dell'amministrazione”. Per la centralità del procedimento seguito per il formarsi della decisione A. Moliterni, Le disavventure della discrezionalità tecnica tra dibattito dottrinario e concrete dinamiche dell’ordinamento, in A. Moliterni (a cura di), Le valutazioni tecnico-scientifiche tra amministrazione e giudice, cit., 5 ss.
[48] Sulla necessità di mantenere salda la distinzione tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di merito, anche con notazioni critiche sulla nota pronuncia del Cons. St. Sez. VI, 25 febbraio 2019 n. 1321, in materia di abilitazione scientifica nazionale: F. Francario, L’incerto confine tra giurisdizione di legittimità e di merito in Giustiziainsieme, Diritto e processo amministrativo, 2023, giugno.
[49] V. già, ad es. Cons. St., Sez. VI, 5 dicembre 2022, n.10624, cit.
[50] Cfr. tra i contributi recenti, P. Chirulli, L’istruttoria, in R. Caranta (a cura di), Il nuovo processo amministrativo, Bologna, 2011, 521 ss., P. Lombardi, Riflessioni in tema di istruttoria nel processo amministrativo: poteri del giudice e giurisdizione soggettiva “temperata”, in Dir. proc. amm., 2016, f. 1, 85 ss. F. Saitta, Vicinanza alla prova e codice del processo amministrativo: l'esperienza del primo lustro, in Riv. trim. dir. e proc. civ., f.1, 1 ss., L. Giani, La fase istruttoria, in F. G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2023, 385 ss., 401 ss., V. Berlingò, Fatto e giudizio. Parità delle parti e obbligo di chiarificazione nel processo amministrativo, Napoli, 2020.
[51] Cfr. ad es. Cass. Sez. Un., 17 marzo 2008 n. 7063, Cass. Sez. Un. 23 febbraio 2012 n. 2312 e 2313, Id., 20 gennaio 2014 n. 1013, Id., n.30974/2017, Id. n. 11929/2019, Id., 14 aprile 2020, n. 7828, Id., n. 8093/2020, Id., 31311/2021.
[52] A partire dalle note pronunce della Corte cost. n. 146/1987 e n. 251/1989, cfr., ad es., Corte cost. n. 271/2019. In generale: V. A. Police, la giurisdizione amministrativa nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in G. della Cananea - M. Dugato, Diritto amministrativo e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 475 ss.
[53] Cfr. Cedu, C. Menarini Diagnostics s.r.l. c. Italia 27 settembre 2011, ric. n. 43509/08 con cui la Corte non ha dubitato dell’adeguatezza del sindacato svolto dal g.a. sulle sanzioni antitrust, né quardando alla fase della rilevazione dell’infrazione, né in sede di “piena giurisdizione” sulla misura delle sanzioni; v. anche Cons. St.,Sez. VI, 15 luglio 2019 n. 4990. Cfr. Cedu C. Grande Stevens e al. c. Italia 4 marzo 2014, ric. nn. 18640, 18647, 18668, 18698 del 2010, in cui la Corte, considerando le sanzioni inflitte dalla Consob, riteneva violato il principio del giusto processo solo in ragione del mancato svolgimento davanti alla Corte d’Appello di un’udienza pubblica. Nella pronuncia Di Placì c. Italia 21 gennaio 2014, ric. n. 48754/2011 analoga violazione viene rinvenuta nell’affidamento di una verificazione al collegio medico dipendente dal Ministero della Difesa, parte in causa, mancando quindi la terzietà e imparzialità nello svolgimento dell’istruttoria. Non si coglie una netta posizione contraria al sindacato “indiretto” comunemente svolto dal g.a. Nel senso che la Cedu conduca verso un sindacato pieno: L. Giani, Giudice amministrativo e cognizione del fatto (Il pensiero di Antonio Romano), in Dir. amm., 2014, f. 3, 535 ss.
[54] Cfr. già Corte giust., C- 120/97, Upjhon Ldt/The Licensing Authority established by the Medicine Act 1968 e a.; Id., C-425/97 World Wildlife Fund – WWF – e a./Provincia autonoma di Bolzano. Nel senso che il diritto dell’Unione non imponga agli Stati membri un sindacato giurisdizionale sostitutivo, come non è tale quello esercitato di giudici europei sugli atti delle istituzioni sovranazionali: F. Cintioli, Tecnica e processo amministrativo, cit., 983 ss., M. G. Della Scala, Invalidità amministrativa e valutazioni tecnico-discrezionali, in V. Cerulli Irelli – L. De Lucia, L’invalidità amministrativa, Torino, 2009, 263 ss. Ancora di recente, pur nel segno di un sindacato sempre più intrinseco anche a livello europeo, si afferma che: “il controllo del giudice dell'Unione sull’esercizio, da parte della Commissione, del potere discrezionale riconosciutole in materia di esame delle denunce non deve condurlo a sostituire la propria valutazione dell'interesse dell'Unione a quella della Commissione, bensì a verificare se la decisione controversa non si basi su fatti materialmente inesatti e non sia viziata da errori di diritto, da manifesti errori di valutazione o da sviamento di potere (v. sentenza del 15 dicembre 2010, CEAHR/Commissione, T-427/08, EU.T.2010/517, punto 65 e giurisprudenza ivi citata) oppure da un difetto di motivazione (v., in tal senso, sentenza del 16 maggio 2017, Agria Polska e a./Commissione, T-480/15, EU. T. 2017/339, punto 39), Tribunale I grado UE Sez. III, 13 luglio 2022, n.886. Cfr. ancora, ex multis, Tribunale I grado UE Sez. VII, 5 maggio 2021, n.611, Tribunale I grado UE Sez. II, 26 luglio 2023, n.269, Corte giustizia UE Sez. V, 9 marzo 2023, n. 46.
[55] Cons. St., Sez. VI, 21 marzo 2011, n. 1712; Id., Sez. III, 2 settembre 2019, n. 6058. Da ultimo: Cons. St., Sez. VII, 27 aprile 2023, n. 4234.
[56] Cfr. TAR Lazio, Sez. II quater, 24 marzo 2011 n. 2659, Id., 22 marzo 2011 n. 2540, Id., 17 settembre 2012 n. 7833.
[57] R. Cavallo Perin, Il diritto al bene culturale, in Dir. amm., 2016, 495 ss., M. A. Cabiddu, Diritto alla bellezza, cit.
[58] Cfr. G. Piva, Cose d’arte, cit., 94. Di recente: G. Zagrebelsky, Fondata sulla cultura. Arte, scienza e Costituzione, Torino, 2014, passim. V. Circolare n.13/1029 del Mibact “atto di indirizzo, ai sensi dell’art.2, comma1, secondo periodo, del DM 23 gennaio 2016 n. 44, in materia di uscita dal territorio nazionale, ingresso nel territorio nazionale ed esportazione dal territorio dell’Unione europea dei beni culturale e delle cose di interesse culturale (articoli 64 bis/74 D.lgs. n. 42/2004).
[59] P. Chirulli, Il governo multilivello del patrimonio culturale, in Dir. amm., 2019, 4, 697 ss.