Il risiko dei termini e ambiguità sulla disciplina del reclamo avverso gli atti del commissario ad acta nel rito del silenzio (nota a Consiglio di Stato, sez. III, 8 gennaio 2024, n. 254)
di Andrea Crismani
Sommario: 1. Sulla (in)certezza e (in)stabilità degli effetti giuridici del provvedimento del commissario ad acta nel risikodei termini. 2. Il caso di specie. 3. La fase esecutiva del rito del silenzio, la disciplina e la giurisdizione sul reclamo. 4. La natura del commissario ad acta nel contesto del rito del silenzio. 5. Gli atti del commissario e l’attività. 6. Le ambiguità. 7. Una chiave di lettura.
1. Sulla (in)certezza e (in)stabilità degli effetti giuridici del provvedimento del commissario ad acta nel risikodei termini
Il codice del processo amministrativo non ha espressamente chiarito se la fase esecutiva del rito del silenzio possa equipararsi alla generale azione di ottemperanza prevista dagli artt. 112 e ss. c.p.a. creando nel corso degli anni una serie di posizioni giurisprudenziali “non del tutto univoche”[1] e quindi diverse “con intuitivi effetti anche sul piano della certezza e stabilità degli effetti giuridici discendenti dal provvedimento commissariale”[2].
La questione emerge in sede di eccezioni preliminari di irricevibilità del reclamo avverso gli atti del commissario ad acta nella procedura avverso l’inerzia della pubblica amministrazione, cioè di un non-provvedimento della pubblica amministrazione, per violazione del termine stabilito dall’art. 114, c. 6, c.p.a., che è di sessanta giorni, a fronte invece di chi ha promosso reclamo secondo il rito del silenzio ai cui termini, pertanto, la proposizione del reclamo resta assoggettata, con la conseguenza di risultare tempestiva, atteso il rispetto dei termini decadenziali previsti per il rito ex art. 117 c.p.a.
A fronte di un’eccezione di irricevibilità, si pone il dilemma, che diventa un vero risiko, se nel caso del reclamo continuerebbero ad applicarsi i termini previsti per il rito del silenzio di cui all’art. 31, c. 2, c.p.a. o quelli dimidiati per i riti speciali o i termini di cui all’art. 114, c. 6. La complessa decisione di selezionare i termini appropriati implica un rischio significativo, in quanto una scelta errata potrebbe determinare conseguenze rilevanti. Questo rischio crea non poche ansie per gli operatori del diritto, in particolare gli avvocati, che devono considerare attentamente le implicazioni di ogni scelta.
Da qui scaturisce il dibattito sulla possibile applicabilità per “analogia”[3] del disposto dell’art. 114, c. 6, c.p.a. (analogia che si estende non solo alla forma del rimedio, ma anche al suo termine di impugnazione)[4] oppure perché è “implicita nel disposto del comma 4 dell’art. 117 la disciplina dell’art. 114, c. 4”[5] o ancora perché “è evidente la ratio legis di concentrare in capo al giudice la cognizione di tutte le vicende conseguenti alla pronuncia avverso il silenzio-inadempimento, ivi incluso il sindacato sugli atti commissariali eventualmente emanati”[6].
Quindi il ragionamento seguirebbe il filo logico che la previsione della nomina di un commissario ad acta nel rito del silenzio[7] “presenta somiglianze con il giudizio di ottemperanza”, anch’esso soggetto alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio, come stabilito dagli artt. 112 e ss c.p.a[8].
Ulteriore ragionamento si rinviene nella considerazione pratica dello scopo dei fautori del Codice che insieme alla giurisprudenza si sono concentrati sull’obiettivo di ridurre i costi legati all’individuazione precisa del giudice competente. Questo è stato fatto cercando strumenti più semplici e chiari per definire le rispettive competenze. L’adozione di un unico procedimento che copra tutti gli atti del commissario nominato dal giudice, sia nel contesto di un giudizio di ottemperanza stricto sensu che in un giudizio sul silenzio, rientra in questa logica. Questo approccio non solo semplifica gli adempimenti richiesti alle parti coinvolte, ma contribuisce anche a rendere l’intero processo più efficiente[9]. Sul punto anche la Plenaria n. 8 del 2021 fa riferimento alla “sussistenza di una disciplina unitaria in tutte le citate ipotesi di nomina giudiziale” e quindi “sia esso un giudizio di ottemperanza, un giudizio sul silenzio ovvero un giudizio cautelare”[10].
L’applicabilità di una disciplina rispetto all’altra sposta, in particolare, i termini per l’esercizio dell’azione ma fa anche emergere in radice una serie di questioni che ruotano attorno alla natura stessa del commissario ad acta, del tipo di attività che il commissario è chiamato a svolgere, la natura degli atti posti in essere, ma anche il tipo di giurisdizione applicato al reclamo. Da qui le ulteriori questioni se in caso di contestazione da parte dell’amministrazione quest’ultima al posto di esercitare il reclamo possa agire in autotutela sugli atti del commissario stesso e, ancora, quale sia la posizione processuale dello stesso. Questioni già affrontate dalla giurisprudenza e sviluppate dalla dottrina, in particolare, in questa Rivista con gli interventi di Scognamiglio[11].
2. Il caso di specie
La questione riguarda il reclamo avverso la decisione assunta dal commissario ad acta nominato nel giudizio avverso l’illegittimo silenzio dell’ASP di Catanzaro, culminato con sentenza Tar Catanzaro sez. I, n. 725/2017 di condanna a concludere, con determinazione espressa, il procedimento di evidenza pubblica avviato nel lontano 14 giugno 2005, relativo all’affidamento in concessione di una Residenza Sanitaria Assistenziale per Anziani. Nello specifico la sentenza dichiarava l’obbligo dell’amministrazione resistente “di assumere una determinazione espressa, sia essa positiva o negativa rispetto all’interesse ad ottenere la stipulazione”, nominando al contempo, “nel caso di persistente inerzia (…) quale Commissario ad acta il Prefetto di Catanzaro, con facoltà di delega ad altro funzionario dell’ufficio, il quale assumerà la relativa decisione entro il termine dei successivi 30 giorni, quale organo straordinario dell’amministrazione”.
Il commissario ad acta, in esecuzione di quanto statuito, ha concluso il procedimento manifestando la sua “determinazione negativa, in ordine alla stipulazione di un contratto per l’affidamento in concessione novennale della gestione della residenza Sanitaria Assistenziale sita nel Comune di San Mango d’Aquino, di proprietà dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro”. In sostanza egli aveva proceduto alla revoca in autotutela degli atti di gara e dell’aggiudicazione, (piuttosto che all’annullamento d’ufficio[12]), in ragione del sostrato motivazionale del provvedimento, dal quale emergono prevalenti ragioni di inopportunità fondate su un ripensamento, anche per effetto delle sopravvenienze verificatesi, dei modi di perseguimento dell’interesse pubblico all’avvio dell’attività della Struttura. Aspetto oggetto di contestazione nel merito della controversia che va a denotare il tipo di attività svolta dal commissario stesso in base alla citata sentenza sull’inerzia che ha ritenuto sussistente “indubbiamente l’inadempimento dell’Amministrazione, che non ha concluso il procedimento di evidenza pubblica” e quindi ha statuito che “deve essere dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di assumere una determinazione espresso, sia essa positiva o negativa rispetto all’interesse ad ottenere la stipulazione”.
Avverso la determina del Commissario ad acta ha proposto reclamo ex art. 114, c. 6, c.p.a. “recte, come poi dalla stessa dichiarato: art. 117, c. 4”, la ATI aggiudicataria della concessione della R.S.A, lamentando violazione del contraddittorio (in particolare sulle ragioni ostative addotte dall’A.S.P. di Catanzaro a proposito della stipula del contratto, sulle quali non avrebbe potuto interloquire) e delle norme sull’autotutela non avendo il Commissario proceduto nelle forme dell’annullamento d’ufficio degli atti di gara. L’ATI ha pure avanzato, in subordine alla richiesta di accertamento del diritto alla stipula del contratto, domanda di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale dell’amministrazione.
La A.S.P. di Catanzaro, costituitasi in giudizio, ha eccepito, tra l’altro, l’irricevibilità del reclamo per tardività del deposito ex art. 114, comma 6, c.p.a.[13].
Il Tar adito decideva la causa con la sentenza n. 1541 del 3 settembre 2019 che ha ritenuto infondate le eccezioni preliminari sull’irricevibilità del reclamo in quanto considera “applicabile al reclamo promosso avverso gli atti del commissario ad acta ex art. 117, comma 4, c.p.a., il rito del silenzio inadempimento (Cons. di Stato, Sez. III, 5 marzo 2018, n. 1337), ai cui termini, pertanto, la proposizione del reclamo resta assoggettata, con la conseguenza di risultare tempestiva, atteso il rispetto dei termini decadenziali dimidiati previsti per il rito ex art. 117 c.p.a.”. Inoltre ha argomentato anche sulla sussistenza della “conversione del rito in annullatorio, tenuto pure conto della domanda risarcitoria (Cons. di Stato, Sez. III, n. 1337/2018 cit.)”. Nel merito invece il Tar rigettava le censure rivolte contro la deliberazione commissariale e anche quelle sulla domanda risarcitoria.
La sentenza appellata in via principale dalla ricorrente ATI veniva altresì appellata incidentalmente dall’A.S.P. la quale l’ha ritenuta manifestamente erronea e ingiusta nelle parti in cui ha respinto le eccezioni preliminari di irricevibilità e inammissibilità del reclamo, sollevate in primo grado. Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava irricevibile il ricorso di primo grado e improcedibile l’appello principale assumendo la massima che: “Il reclamo, ex art. 114, comma 6, c.p.a., rappresenta lo strumento attraverso il quale le parti, anche in un giudizio incardinato sul silenzio-inadempimento della p.a., possono impugnare gli atti del commissario ad acta, dinanzi allo stesso giudice che ha accolto il ricorso avverso il silenzio. In virtù del combinato disposto con l’articolo 117, comma 4, c.p.a., l’analogia si estende non solo alla forma del rimedio, ma anche al suo termine di impugnazione”[14].
Dalle osservazioni emerse nel paragrafo 1 e dalla ricostruzione della vicenda, emergono questioni che necessitano di un’analisi, anche se sintetica.
3. La fase esecutiva del rito del silenzio, la disciplina e la giurisdizione sul reclamo
Il procedimento del rito del silenzio, com’è noto, si compone di due fasi: una fase di cognizione e una fase di esecuzione, quest’ultima attivata solo se necessario. La fase di cognizione riguarda l’accertamento da parte del giudice della violazione dell’obbligo di adottare un provvedimento e la condanna dell’amministrazione a farlo. È ben possibile nella fattispecie ex art. 31 c. 3, c.p.a. che il giudice stesso possa pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa. Fuori da questi casi vi è la fase (eventuale) di esecuzione che viene attivata nel caso in cui l’amministrazione non adotti il provvedimento entro il termine stabilito dal giudice. Questa fase prevede la nomina di un commissario ad acta, il quale provvede a sostituire l’amministrazione nell’adozione dell’atto, come stabilito dall’articolo 117, c. 3, c.p.a. il quale prevede che “il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata”. L’esigenza di una supplenza giudiziaria si manifesta quando non vi possa essere un vuoto di tutela giurisdizionale e debba essere assicurata l’effettività della pronuncia.
Nella fase di esecuzione si innesta l’ulteriore fase (eventuale) data dal reclamo avverso gli atti del commissario ad acta, con l’inciso del comma 4 in base al quale “il giudice conosce di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario”.
Nel testo del Codice non viene fornita alcuna indicazione riguardo alla procedura di reclamo, avviando così il dibattito sulla disciplina da seguire per i reclami riguardanti gli atti del commissario ad acta all’interno del rito del silenzio. Vi è solamente l’inciso del richiamato comma 4 dell’art. 117 c.p.a., il quale prospetta la possibilità, di impugnare questi atti mediante reclamo al medesimo giudice del rito del silenzio, al pari di quanto accade tra le parti nel giudizio di ottemperanza per l’impugnativa degli atti commissariali ai sensi dell’art. 114, c. 6, c.p.a[15].
Quindi, in base a questa ricostruzione, il reclamo si colloca nella fase del processo esecutivo di ottemperanza e quindi rientra nella giurisdizione di merito.
4. La natura del commissario ad acta nel contesto del rito del silenzio
Oggettivamente, anche a voler sostenere l’analogia della prima parte del comma 6 dell’art. 114 con quella del comma 4 dell’art. 117, la designazione del commissario ad acta presenta aspetti concettuali e operativi distinti a seconda che avvenga nell’ambito del procedimento di ottemperanza o nel contesto del rito del silenzio[16].
Nel caso dell’ottemperanza, il commissario assume il ruolo di mandatario del giudice, incaricato di attuare una decisione già presa dal giudice stesso, con la possibilità per quest’ultimo di esaminare tutte le questioni correlate, conformemente a quanto previsto dal dall’art. 114, c. 6, c.p.a.
Al contrario, nel contesto dell’inerzia, l’organo commissariale è chiamato per la prima volta a pronunciarsi su una richiesta rimasta inevasa, seguendo un ordine giudiziario volto a superare l’inerzia.
Quindi si è dibattuta la natura del commissario ad acta nel contesto del rito del silenzio, chiedendosi se egli agisca come ausiliario del giudice o dell’amministrazione. Mentre nell’ambito dell’ottemperanza è consolidato il ruolo del commissario come ausiliario del giudice[17], nel contesto del rito del silenzio questo ruolo presenta alcune peculiarità che hanno indotto la dottrina e la giurisprudenza ad assumere posizioni di distinzione rispetto alla figura nell’ottemperanza, almeno fino alla Plenaria n. 8 del 2021. La questione sebbene cristallizzata dalla Plenaria stessa in termini di unitarietà di disciplina secondo la quale le soluzioni: “valgono in tutte le ipotesi in cui il processo amministrativo contempla la nomina di un commissario ad acta la quale può essere disposta con la sentenza che definisce il giudizio di merito; in sede di ottemperanza al giudicato; in sede di esecuzione di una pronuncia esecutiva o di una ordinanza cautelare; all’esito del ricorso contro il silenzio”[18] non convince del tutto e non è esente da critiche dalla dottrina molto attenta sul tema[19].
In termini ricostruttivi, si notava che il commissario ad acta nel rito del silenzio disponesse di poteri più ampi rispetto a una semplice sentenza di accertamento dell’obbligo di adottare un provvedimento. Sulla base di questa considerazione il commissario ad acta non fungerebbe propriamente da ausiliario del giudice, bensì assumerebbe un ruolo di ausiliario dell’amministrazione. Ciò avviene poiché il suo compito non è tanto quello di adottare direttamente il provvedimento, dal momento che la sentenza non può sostituirsi all’amministrazione in tal senso, ma piuttosto di impegnarsi affinché siano soddisfatti tutti i requisiti necessari affinché l’amministrazione possa prendere una decisione e quindi avviare l’attività procedimentale e organizzativa come ad es. indire una conferenza di servizi o addivenire ad accordi amministrativi[20].
In situazioni in cui una sentenza impone all’amministrazione l’obbligo di provvedere, il commissario si trova spesso a prendere decisioni senza alcun vincolo sul contenuto sostanziale dell’atto da adottare, a meno che il giudice del silenzio non si sia pronunciato sull’oggetto della pretesa, come previsto dall’articolo 31, c. 3, c.p.a. Il commissario ad acta assume la funzione di redigere l’atto sostitutivo, valutando ogni aspetto, anche discrezionale, come farebbe l’amministrazione stessa.
Nel contesto del giudizio di ottemperanza, invece il vincolo è costituito dall’effetto conformativo del giudicato. Di conseguenza, emerge comunque la differenza dal giudizio di ottemperanza sul punto che non si potrebbe considerare il commissario nell’inerzia come una mera estensione del giudice in quanto egli svolge un’attività di pura sostituzione nell’esercizio del potere proprio dell’amministrazione soccombente. Il collegamento alla pronuncia giudiziale insiste solo per quanto attiene al presupposto della prolungata inerzia dell’amministrazione medesima[21].
Per altro verso, non senza le riserve sopra evidenziate, si ritiene oggi che il commissario ad acta nominato nello speciale rito avverso il silenzio dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 117, c. 3, c.p.a. così come quello nominato in sede di ottemperanza, sia un ausiliario del giudice e non un organo straordinario dell’amministrazione instaurando con l’amministrazione una relazione intersoggettiva e non interorganica[22].
5. Gli atti del commissario e l’attività
Inoltre volendo indagare la posizione processuale del commissario ad acta in base alla tesi del sostituto dell’amministrazione, il commissario agisce come uno degli attori processuali ed è tenuto ad attenersi alle regole applicabili a tali soggetti, comprese le modalità di costituzione in giudizio. Invece se il commissario opera come ausiliario del giudice, è possibile ammettere una certa flessibilità nei mezzi, poiché egli agisce all’interno di un ambito di competenza del giudice stesso[23]. La giurisprudenza sembra preferire questa seconda posizione e nota come l’intervento del commissario ad acta nel processo avverso il silenzio inadempimento non necessiti di un ricorso ma di una semplice istanza[24].
Sulla base di questi ragionamenti la giurisprudenza[25] ha escluso che gli atti adottati dal commissario ad actanominato dal giudice in esito allo speciale giudizio avverso il silenzio-inadempimento della pubblica amministrazione possono essere rimossi in autotutela dall’amministrazione sostituita dal commissario[26]. Gli atti del commissario non sono “geneticamente riconducibili all’ordinario esercizio della potestà amministrativa”, ma conseguono proprio al rilievo giurisdizionale di un illegittimo esercizio di tale potestà o di un’illegittima omissione di tale doveroso esercizio[27].
Oggi la posizione prevalente, confermata anche dalla giurisprudenza commentata, assume che l’istituto del reclamo da attività commissariale, espressamente previsto dal Codice solo in relazione al giudizio di ottemperanza, è applicabile anche per le attività surrogatorie dell’ausiliario del giudice volte a superare il silenzio-rifiuto dell’amministrazione.
Da qui poi si sviluppa il duplice discorso sulla natura “giudiziaria” degli atti, alla stregua degli atti del commissario designato in sede di giudizio di ottemperanza e la questione sul tipo di attività (di valutazione discrezionale o di mero adempimento) che il commissario è chiamato a svolgere nel giudizio di ottemperanza e nel giudizio avverso il silenzio.
Quindi la natura degli atti del commissario ad acta è sempre giudiziale, come nel giudizio di ottemperanza, e si attribuisce la massima estensione allo strumento del reclamo applicandolo a tutti gli atti commissariali, indipendentemente dal loro contenuto, in funzione della natura dell’atto. Tuttavia in caso di terzi estranei al giudicato, gli atti commissariali sono impugnabili secondo il rito ordinario come del resto prevede il 117, c. 6 ultimo periodo. Di conseguenza sul punto però la dottrina ha ritenuto lecito porsi il quesito se dalla duplicità di rimedi possa discendere una duplicità di natura giuridica (amministrativa e giudiziale) degli atti commissariali[28]. La giurisprudenza, oggi minoritaria, ha assunto invece la posizione che l’atto del commissario ad acta va impugnato con l’ordinario ricorso impugnatorio anche dalle parti (e non solo da terzi) e quindi non con il rito camerale del reclamo[29].
Questa teoria poi subisce alcuni temperamenti in quanto vi è l’ulteriore posizione che ammette il reclamo ex art. 117, c. 4, c.p.a., solo quando il giudice risolve gli incidenti di esecuzione strictu sensu intesi, dando direttive e istruzioni per la corretta esplicazione dei compiti del commissario[30].
Vi sono ulteriori estensioni e posizioni che distinguono il tipo di attività svolta dal commissario, discrezionale o vincolata, e quindi anche di trovarsi di fronte a fattispecie di “inadempimento” (inerzia a fronte di attività vincolata) o “rifiuto” (inerzia a fronte di attività discrezionale). In effetti dalla lettura delle sentenze è agevole individuare nel corpo l’espressione concettuale di silenzio-inadempimento e altre volte quella di silenzio-rifiuto; quindi, a rigor di logica, andrebbero indagate le singole pronunce al fine di capire il tipo di inerzia oggetto di trattazione e l’ambito del potere del giudice in considerazione sempre dell’inciso del comma 2 dell’art. 117 che distingue il totale accoglimento dal parziale accoglimento del ricorso.
6. Le ambiguità
Sulla scia di quanto detto va considerata l’ipotesi per la quale, il commissario ad acta è incaricato ad attuare una decisione giudiziale che ha semplicemente accertato l’obbligo di provvedere. In questa circostanza, il commissario valuta autonomamente e sin dall’inizio il merito della questione. In questo contesto, il commissario non andrebbe considerato come una estensione del giudice, bensì organo straordinario dell’amministrazione pubblica.
L’altra ipotesi, inversa, presuppone invece che il commissario ad acta si trovi ad attuare una sentenza del giudice del silenzio che ha riconosciuto fondatezza della pretesa. In questo caso, il commissario trova nella sentenza un’indicazione precisa e vincolante sul contenuto dell’atto da adottare, assumendo un ruolo di ausiliario del giudice e agendo come un organo sostanzialmente giudiziario.
Nel primo caso, gli atti risultano essere provvedimenti amministrativi autonomi, non soggetti all’impugnativa tramite reclamo come previsto dalla normativa in questione. Al contrario, l’impugnativa dovrebbe avvenire secondo le procedure ordinarie.
Nel secondo caso, invece, le parti coinvolte potrebbero contestare l’atto emesso dal commissario qualora non rispetti le disposizioni della sentenza, in conformità con quanto stabilito dall’articolo 117, c. 4[31].
Tuttavia altra giurisprudenza vede nella teoria che sostiene che il commissario ad acta in fase di silenzio abbia una “piena autonomia decisoria” un’incongruenza con il dato testuale dell’art. 117, c. 4, c.p.a. Quest’ultimo prevede che “il giudice conosce di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto”, facendo così a opinione di questo filone giurisprudenziale, risaltare come il commissario stesso si muova in un contesto governato dal giudice, che ne indirizza, eventualmente anche in senso contenutistico, l’azione[32].
Su questo gioca il “carattere testuale”, degli artt. 114 e 117 che “parlano, con una uniformità terminologica significativa” di un giudice che “conosce di tutte le questioni”[33].
Tuttavia ancora la dottrina ha rilevato come “l’opzione evidentemente fatta propria dal legislatore non ha però sopito il dibattito intorno alla figura e al ruolo del commissario”[34]. Sul punto la dottrina, in particolare Scognamiglio, evidenzia, come già prima sopra rilevato, che si “configurerebbe il paradosso di un sostituto del giudice che gode rispetto a questo di poteri più ampi” ogniqualvolta “l’azione va oltre l’effetto conformativo della sentenza” e il commissario è chiamato a compiere valutazioni discrezionali “in luogo degli organi (ordinari) dell’amministrazione ogni qualvolta il giudice si sia limitato ad accertare l’inadempimento dell’obbligo di provvedere e ad emettere sentenza di mera condanna”.
7. Una chiave di lettura
La questione, se non affrontata con una soluzione decisiva, persiste nel creare incertezze e cicli giurisprudenziali lesivi dell’effettività e della certezza da cui può diventare difficile uscire. Affrontare, infatti, una questione senza una risoluzione chiara porta inevitabilmente alla creazione di una situazione problematica, in cui dubbi e incertezze si moltiplicano, alimentando una spirale negativa spesso difficile da interrompere. Questo circolo vizioso, una volta instaurato, diventa un labirinto di complicazioni da cui è arduo trovare una via d’uscita. La chiave sta nel riconoscere l’importanza di una posizione che indica la via per evitare l’insorgere di dinamiche contrarie.
Si consideri il potenziale vulnus all’effettività della tutela evidenziato dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento che riforma la sentenza di primo grado la quale prevedeva il regime temporale dell’azione previsto dall’art. 31 c.p.a. in un anno e in alcuni passaggi si richiamava a termini dimidiati, cioè di sei mesi. Termine che appare decisamente incongruo, in quanto estende all’impugnazione di un atto avente indubbio contenuto provvedimentale il regime elaborato dal legislatore per una situazione ontologicamente diversa, ossia per l’azione proposta avverso una inerzia, un non-provvedimento dell’amministrazione, “con intuitivi effetti anche sul piano della certezza e stabilità degli effetti giuridici discendenti dal provvedimento commissariale”, in particolare quando il giudice di primo grado si fa sfuggire, omettendo di indicare il dies ad quem di esperibilità del reclamo e quindi intende far decorrere ex novo il termine annuale dall’atto (commissariale) sopravvenuto, ma non si capisce bene da quando (potendo eventualmente intuire la data della pubblicazione o comunicazione)[35]. Nel contesto dell’incertezza dei termini, l’alto risiko sulla scelta dei termini e quindi del rito assomiglia a una roulette russa, dove ogni scelta rispetto a quella del termine più breve è potenzialmente rischiosa con esiti incerti.
La chiave di lettura, e la soluzione, è data dalla posizione di Scognamiglio sul meccanismo di reclamo previsto dall’art. 117, c. 4. Questo ragionamento mette in evidenza il ruolo del giudice e il controllo (sindacato) sugli atti del commissario ad acta e offre la prospettiva su come il sistema funzioni e su quali siano gli ambiti di intervento del giudice. Sebbene la questione dei termini non sia il fulcro centrale della discussione emerge comunque incidentalmente.
L’art. 117, c. 4. conferisce al giudice la competenza di esaminare “tutte le questioni” relative agli atti del commissario ad acta, estendendo il suo controllo a ogni aspetto dell’atto, inclusa la sua conformità ai principi di buon andamento, legalità e imparzialità. Quindi il “sindacato” menzionato nella norma si riferisce alla capacità del giudice di valutare e controllare gli atti del commissario ad acta. La norma stabilisce che tale controllo è ampio, implicando che il giudice può esaminare non solo la legalità dell’atto, ma anche la sua opportunità, efficacia e correttezza secondo i principi di buon governo. La particolarità di questo meccanismo di reclamo risiede nel fatto che si inserisce in una fase esecutiva o di ottemperanza del processo, ovvero quella fase in cui si attua concretamente quanto deciso in precedenza.
In questa fase, il giudice agisce all’interno della giurisdizione di merito, il che significa che il suo intervento è finalizzato a garantire l’effettiva realizzazione di quanto stabilito nel corso del processo.
In tale contesto il giudice non assume un ruolo sostitutivo o direttivo nei confronti dell’amministrazione o del commissario ad acta prima dell’emanazione dell’atto (ex ante), ma interviene dopo (ex post), valutando l’adeguatezza dell’azione dell’ausiliario (il commissario ad acta) in termini sia di legittimità che di merito. Questo significa che il giudice non dirige l’azione amministrativa prima che essa si realizzi, ma valuta l’operato del commissario ad acta dopo che l’atto è stato compiuto, con la possibilità di attribuire una maggiore ampiezza di poteri in questa fase, rispetto a quelli che avrebbe in un contesto di controllo ex ante[36].
In sintesi, il concetto chiave è che, in sede di reclamo, il giudice dispone di un ampio potere di controllo sugli atti del commissario ad acta, potendo esaminare ogni aspetto dell’atto, sia sotto il profilo della legittimità che del merito, in una fase successiva all’emanazione dell’atto stesso, al fine di garantire il rispetto dei principi fondamentali dell’azione amministrativa.
[1] Cons. St., sez. IV, 18 marzo 2021, n. 2335.
[2] Cons. St., sez. III, 8 gennaio 2024, n. 254.
[3] Cons. St., sez. III, 5 marzo 2018, n. 1337.
[4] Cfr. Sentenza in comento n. 254/2022 pt. 11.5.
[5] Cons. St., sez. IV, 18 marzo 2021, n. 2335.
[6] Cons. St., sez.. VI, 11 agosto 2020, n. 5006.
[7] Sul tema in ordine sparso se senza pretese di esaustività oltre ai Manuali di: M.A. SANDULLI, Il giudizio amministrativo, Napoli 2024, F.G. SCOCA (a cura di) Giustizia amministrativa, Torino 2023, M. CLARICH, Manuale di giustizia amministrativa, Bologna 2023; E. PICOZZA, Manuale di diritto processuale amministrativo, Milano, 2016; A. POLICE, Lezioni sul processo amministrativo, Napoli, 2021 si segnala L. BERTONAZZI, Il giudizio sul silenzio, in B. SASSANI – R. VILLATA (a cura di), Il codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, Torino, 2012, p. 986 ss.; G. MARI, L’azione avverso il silenzio, in M.A. SANDULLI (a cura di), Il nuovo processo amministrativo, Vol. I, Milano, 2013, p. 250 ss.; A. CIOFFI, Il dovere di provvedere nella legge sull’azione amministrativa, in A. ROMANO (a cura di), L’Azione amministrativa, Torino, 2016, p. 134 ss.; F. SCALIA, Profili problematici del rito sul silenzio dell’amministrazione nella prospettiva dell’effettività e pienezza della tutela, in Federalismi.it, n. 10/2016; G. TROPEA, La domanda cautelare, l’azione di ottemperanza e quella avverso il silenzio nel sistema del codice del processo amministrativo: per un inquadramento sistematico, in https://www.giustizia-amministrativa.it/documents/20142/195539/nsiga_4641007.pdf/54be7576-04a1-a216-ac73-976f3a9fa7e9?t=1646993082000; R. CHIEPPA, Il danno da ritardo (o da inosservanza dei termini di conclusione del procedimento), in https://www.giustizia-amministrativa.it, 4 aprile 2011. N. DURANTE, I rimedi contro l’inerzia dell’amministrazione: istruzioni per l’uso, con un occhio alla giurisprudenza e l’altro al codice del processo amministrativo, in https://www.giustizia-amministrativa.it, 13 settembre 2010; V. SALAMONE, I riti speciali nel nuovo processo amministrativo, in https://www.giustizia-amministrativa.it, 17 novembre 2010
[8] Per una ricostruzione della letteratura di riferimento si rinvia altresì al lavoro di S. D’ANTONIO, Il Commissario ad acta nel processo amministrativo. Qualificazione dell’organo e regime processuale degli atti, Napoli, 2012.
[9] Cons. St., sez. VI, 11 agosto 2020, n. 5006.
[10] Cons. St., Ad. Plen. 25 maggio 2021 n. 8.
[11] A. SCOGNAMIGLIO, Sul potere di provvedere anche dopo la nomina del commissario ad acta nel giudizio sul silenzio della P.A. (nota ad Ad. Plen. 25 05 2021 n. 8), in questa Rivista https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1940-sul-potere-di-provvedere-anche-dopo-la-nomina-del-commissario-ad-acta-nel-giudizio-sul-silenzio-della-p-a-nota-ad-ad-plen-25-05-2021-n-8?hitcount=0, 16 settembre 2021. I.d., Silenzio della PA e regime giuridico del provvedimento sopravvenuto alla nomina del commissario ad acta, in questa Rivista, 19 gennaio 2021; S. CAREGGI, L’esecuzione della pronuncia silenziosa, in questa Rivista, https://www.giustiziainsieme.it/en/news/74-main/118-diritto-processo-amministrativo/1199-l-esecuzione-della-pronuncia-silenziosa, 1 luglio 2020; R. FUSCO, Autotutela sugli atti del commissario ad acta nel giudizio avverso il silenzio (nota a Cons Stato, Sez. IV, 18 03 2021, n. 2335), in questa Rivista https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1708-autotutela-sugli-atti-del-commissario-ad-acta-nel-giudizio-avverso-il-silenzio, 3 maggio 2021.
[12] Il TAR qualifica l’impugnata determinazione commissariale alla stregua di “una revoca in autotutela degli atti di gara e dell’aggiudicazione, piuttosto che sub specie di annullamento d’ufficio e ciò in ragione del sostrato motivazionale del provvedimento, dal quale emergono prevalenti ragioni di inopportunità fondate su un ripensamento, anche per effetto delle sopravvenienze verificatesi, dei modi di perseguimento dell’interesse pubblico all’avvio dell’attività della Struttura”. Ritiene che: “a differenza del potere di annullamento d’ufficio, che postula l’illegittimità dell’atto rimosso d’ufficio, quello di revoca esige solo una valutazione di opportunità, seppur ancorata alle condizioni legittimanti dettagliate all’art. 21-quinquies l. cit. (e che, nondimeno, sono descritte con clausole di ampia latitudine semantica), sicché il valido esercizio dello stesso resta rimesso, in buona sostanza, a un apprezzamento ampiamente discrezionale dell’Amministrazione procedente”.
[13] Aveva altresì insistito sull’inammissibilità sul rilievo che la ricorrente non avrebbe interesse all’annullamento della delibera impugnata, non potendo raggiungere lo scopo prefissato mediante l’auspicata sottoscrizione del contratto in ragione dei profondi mutamenti intervenuti, nel corso del tempo, nel quadro normativo, anche regionale, di riferimento.
[14] News Reclamo avverso gli atti del commissario ad acta e termine di impugnazione, in https://www.giustizia-amministrativa.it/-/105486-197.
[15] F. D’ALESSANDRI, Ottemperanza, come si impugnano provvedimenti adottati dal commissario ad acta in sede di rito del silenzio? in il QG, 23 marzo 2018.
[16] Per una ricostruzione della dottrina in generale senza esaustività si rinvia a F.G. SCOCA, Sentenze di ottemperanza e loro appellabilità, in Foro it., 1979, III, p. 4 ss, S. GIACCHETTI, Il giudizio d'ottemperanza nella giurisprudenza del Consiglio di giustizia amministrativa, in Giur. amm. sic., 1988, II, p. 36 ss. e in www.lexitalia.it (par. 6); L. MAZZAROLLI, Il giudizio di ottemperanza oggi: risultati concreti, in Dir. proc. amm., 1990, p. 253; M. CLARICH, L’effettività della tutela nell’esecuzione delle sentenze del giudice amministrativo, in Dir. proc. amm., n. 3/2018, p. 540.
[17] Sul punto Ad. Plen. 25 maggio 2021, n. 8.
[18] Per una ricostruzione delle teorie si rinvia a R. FUSCO, op. cit. , in questa Rivista.
[19] A. SCOGNAMIGLIO, Sul potere di provvedere anche dopo la nomina del commissario ad acta nel giudizio sul silenzio della P.A. (nota ad Ad. Plen. 25 05 2021 n. 8), cit.; S. CAREGGI, L’esecuzione della pronuncia silenziosa, cit.
[20] S.n., Il processo amministrativo alla prova dei fatti: tutela cautelare e riti speciali. Il punto di vista del primo grado e il punto di vista dell’appello, Riti Speciali, in https://www.giustizia-amministrativa.it/documents/20142/195539/nsiga_4643866.pdf/1c2ea4e3-4e48-70fb-77fc-ed63cff32a41?t=1646993005000
[21] Cons. St., sez. IV, 25 giugno 2007, n. 3602, quest’ultima parla di un’ottemperanza “anomala o speciale” poichè “si prescinde dal passaggio in giudicato della sentenza, e, soprattutto si ammette l’intervento del commissario nell’ambito del medesimo processo, senza più bisogno di un ricorso ad hoc, essendo sufficiente una semplice istanza al giudice che ha dichiarato l’illegittimità del silenzio” e in quanto l’attività del commissario “può atteggiarsi come attività di pura sostituzione, in un ambito di piena discrezionalità, non collegata alla decisione se non per quanto attiene al presupposto dell’accertamento della prolungata inerzia dell’amministrazione”.
[22] Cons. St., sez. VI, 11 agosto 2020, n. 5006 in base alla quale: “È pacifico in giurisprudenza (per tutti, Cons. Stato, IV, 22 ottobre 2019, n.7172) che quando il commissario ad acta è nominato da un’autorità per consentire lo svolgimento delle funzioni dell’ente locale, senza l’indicazione degli specifici atti che deve emanare, la relazione che si instaura con l’ente è di natura interorganica e il provvedimento commissariale va qualificato come atto di un organo straordinario, che può essere rimosso dallo stesso ente locale nell’esercizio dei suoi poteri istituzionali di autotutela. Invece, laddove il commissario è nominato nell’esercizio dei poteri di controllo sostitutivo, per l’adozione di uno specifico atto indicato dall’autorità controllante, la relazione ha carattere intersoggettivo e le statuizioni del commissario possono essere solo impugnate dall’ente locale innanzi al giudice amministrativo. La correttezza di tale ricostruzione appare confermata, in termini di diritto positivo, dall’art. 57 del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”, dedicato proprio alla “equiparazione del commissario ad acta agli ausiliari del magistrato”, in quanto ivi si è previsto che “al commissario ad acta si applica la disciplina degli ausiliari del magistrato, per l’onorario, le indennità e spese di viaggio e per le spese sostenute per l’adempimento dell’incarico”.
[23] Sul tema in generale: A. IANNOTTA, La natura giuridica del commissario ad acta e il regime di impugnazione dei suoi atti, in I Tribunali amministrativi regionali, 1993, II, p. 414.
[24] Cons. Stato, VI, 9 febbraio 2016, n. 557.
[25] Cons. St., sez. IV, 18 marzo 2021, n. 2335
[26] In particolare, la natura intersoggettiva, esclude che l’atto emanato vada imputato all’ente sostituito, impedisce non solo che questo stesso possa rimuoverlo in autotutela, ma anche che all’atto possano applicarsi decadenze e preclusioni derivanti dalle omissioni dello stesso ente inadempiente cfr. Tar Veneto, II, 19 dicembre 2019, n.1379.
[27] L’Amministrazione sostituita, pertanto, non viene indebitamente “espropriata” del potere di autotutela, che, nel caso degli atti commissariali, in radice non le compete, proprio perché il commissario non è un organo straordinario dell’Amministrazione, bensì un organo ausiliario del giudice. Di converso, l’Amministrazione non è privata della facoltà di contestare gli atti commissariali, potendo attivare l’apposito rimedio del reclamo, cfr. Cons. St., sez. IV, 18 marzo 2021, n. 2335.
[28] P.M. VIPIANA, L’ottemperanza al giudicato amministrativo fra l’attività del commissario ad acta e quella dell’amministrazione “commissariata”, in Urb. e app., n. 10/2015, p. 1055. Tema sviluppato in questa Rivista da R. Fusco, cit. supra.
[29] Tar Napoli, 17 luglio 2017, n. 3797, sostiene che gli atti di un Commissario ad acta nominato per porre rimedio alla persistente inerzia dell’amministrazione sono impugnabili con l’ordinario ricorso impugnatorio, e non già con lo strumento del reclamo.
[30] Tar Calabria, sez. I, 26/01/2017, n. 82, Cons. Stato Sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 338.
[31] Cons. Stato Sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 338.
[32] Cons. St., sez. VI, 11 agosto 2020, n. 5006.
[33] Se gli atti del commissario fossero provvedimenti imputabili all’ente, ossia se la sua attività fosse un’azione amministrativa autonoma, unicamente legittimata dal giudice solo per il suo avvio, questa estensione della cognizione del giudice non avrebbe senso: non avrebbe senso in rapporto all’esito finale perché, trattandosi di provvedimento amministrativo, questo sarebbe comunque autonomanente impugnabile senza una previsione esplicita; non avrebbe senso in relazione alle attività precedenti all’emissione del provvedimento, in quanto il giudice si ingerirebbe in poteri amministrativi ancora non esercitati (in violazione dell’art. 34 comma 2 c.p.a.) e, anzi, li connoterebbe, cfr. Cons. St., sez. VI, 11 agosto 2020, n. 5006.
[34] L’opzione evidentemente fatta propria dal legislatore non ha però sopito il dibattito intorno alla figura e al ruolo del commissario. In particolare, e in specie con riferimento all’ipotesi della nomina del commissario in sede di ricorso avverso il silenzio, è restata in campo la tesi secondo la quale si tratta di un organo straordinario dell’amministrazione in quanto egli esercita attività discrezionale in senso proprio; ovvero di un organo misto in quanto assume di volta in volta l’uno o l’altro ruolo a seconda che la sentenza abbia altresì accertato la “fondatezza della pretesa” o abbia un contenuto di mera condanna a provvedere; o ancora di un organo ausiliario del giudice, il quale però pone in essere atti soggetti a reclamo dinanzi al giudice che lo ha nominato ovvero con ricorso ordinario di legittimità a seconda che essi siano si muovano o meno entro il perimetro dell’accertamento svolto in sede di giudizio di cognizione. La tesi dell’organo misto è riproposta anche nella giurisprudenza successiva al codice e fino all’Adunanza Plenaria del 9 maggio 2019, n. 7. Cfr. A. SCOGNAMIGLIO, Sul potere di provvedere anche dopo la nomina del commissario ad acta nel giudizio sul silenzio della P.A. (nota ad Ad. Plen. 25 05 2021 n. 8) in questa Rivista, cit. e Stessa A., Silenzio della PA e regime giuridico del provvedimento sopravvenuto alla nomina del commissario ad acta, in questa Rivista, cit.
[35] Cfr. Sentenza in commento n. 254/2024 pt. 11.8.
[36] Cfr. A. SCOGNAMIGLIO, Sul potere di provvedere anche dopo la nomina del commissario ad acta nel giudizio sul silenzio della P.A. cit.