La Corte costituzionale definisce i limiti dell’annullamento d’ufficio (nota a prima lettura a Corte costituzionale 26 giugno 2025 n. 88)
di Giordana Strazza
Sommario: 1. Premessa; 2. L’insussistenza del contrasto con gli artt. 3 e 9 Cost.; 3. L’importanza del fattore “tempo” per la sicurezza giuridica e i limiti delle eccezioni alla tutela del legittimo affidamento; 4. L’insussistenza del contrasto con l’art. 97 Cost.; 5. Conclusioni
1. Premessa
Con la sentenza n. 88 del 26 giugno scorso la Corte costituzionale è intervenuta sulla delicata questione dei limiti temporali massimi (“fissi”) stabiliti dall’art. 21-novies della legge 7 agosto 1990, n. 241 s.m.i. per l’esercizio del potere amministrativo di autoannullamento[1] dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici.
La questione sottoposta al vaglio della Corte[2] investiva la compatibilità costituzionale del limite massimo di dodici mesi[3] per l’esercizio del suddetto potere di autotutela (anche) in relazione a provvedimenti incidenti su interessi c.d. sensibili e di rango costituzionale: nella specie, la controversia traeva origine dall’annullamento (dopo sei anni) di un attestato di libera circolazione di un dipinto che, solo quattro anni dopo il rilascio, si era rivelato opera del Vasari.
2. L’insussistenza del contrasto con gli artt. 3 e 9 Cost.
Dopo aver dichiarato l’inammissibilità dell’eccezione di l.c. sollevata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. (per dedotto contrasto con gli obblighi internazionali in relazione agli artt. 1, lettere b) e d), e 5, lettere a) e c), della Convenzione di Faro sul valore del patrimonio culturale[4]), la Consulta ha ritenuto l’insussistenza del denunciato contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 9, primo e secondo comma, Cost., giustificando la ragionevolezza e la non reprensibilità dei limiti temporali “fissi” posti dall’art. 21-novies nel suo complesso, e, dunque, anche con riguardo agli atti incidenti su interessi di “valore primario” (nella specie, quello culturale), in ragione della diversa consistenza che tali interessi – pur di rilievo costituzionale e oggetto di specifica attenzione nel procedimento di primo grado (tanto da escludere o rendere più gravosa l’applicazione dell’istituto del silenzio assenso) – assumono nel procedimento di riesame. La sentenza sottolinea, infatti, che, in sede di secondo grado, essi “si confrontano con interessi ulteriori, non solo di natura privata, ma anche pubblica”, perché, nel valutare l’an dell’annullamento, l’organo competente, oltre a prendere in considerazione l’interesse pubblico primario tutelato dal provvedimento invalido, “deve soppesare anche quelli, sempre di natura pubblica, al ripristino della legalità (che spesso trova coincidenza con l’interesse del controinteressato pregiudicato dal provvedimento emesso in favore di altri) e alla certezza delle relazioni giuridiche, nonché la posizione, di natura privata, di affidamento del destinatario della determinazione favorevole” (si richiama, a tale proposito, la sentenza n. 181 del 2017 in tema di autotutela tributaria).
Nel ricordare che, comunque, l’interesse sensibile incide sul profilo motivazionale e che il legislatore ha previsto apposite cautele nel caso in cui le più lunghe tempistiche dell’accertamento dell’illegittimità siano state determinate dall’interessato attraverso le falsificazioni di cui al comma 2-bis, la Corte rimarca, quindi, che, in quest’ottica, il legislatore, nel legittimo esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto che, “alla decorrenza del periodo annuale (salvo il ricorrere della suddetta eccezione), l’amministrazione esaurisca i margini per una ulteriore tutela dell’interesse pubblico primario e di conseguenza diventi irretrattabile il provvedimento di primo grado, ferme restando «le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo» (art. 21-nonies, comma 1, ultimo periodo)”. La Consulta evidenzia, inoltre, che tale modello “risponde ragionevolmente alla scelta che, al fluire di un congruo tempo predeterminato, abbiano automatica prevalenza altri interessi di rilievo costituzionale. In particolare, dunque, sia la posizione di “matrice individuale” dell’affidamento del destinatario del provvedimento favorevole, sia simultaneamente l’interesse di “matrice collettiva” alla certezza e alla stabilità dei rapporti giuridici pubblici”. Si ricorda, infatti, che la previsione di una scadenza rigidamente prestabilita risponde all’esigenza di tenere “in considerazione la fiducia sui “titoli pubblici” dei destinatari e dei terzi, non ultimi degli investitori stranieri e degli operatori del libero mercato europeo, negativamente incisi «dall’incertezza giuridica delle procedure amministrative» (considerando n. 43 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, cosiddetta direttiva «Bolkestein»)” e che “la giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che la tutela dell’affidamento è «ricaduta e declinazione “soggettiva”» della certezza del diritto, la quale, a propria volta, integra un «elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto», connaturato sia all’ordinamento nazionale, sia al sistema giuridico sovranazionale (sentenze n. 36 del 2025, n. 70 del 2024 e n. 210 del 2021)” .
3. L’importanza del fattore “tempo” per la sicurezza giuridica e i limiti delle eccezioni alla tutela del legittimo affidamento
Il Giudice delle leggi coglie, invero, opportunamente, l’occasione per porre in risalto l’importanza del fattore “tempo” per la sicurezza giuridica[5] e per sottolineare che l’esigenza di irretrattabilità del provvedimento amministrativo ampliativo oltre un tempo definito trascende il rapporto tra amministrazione e amministrato, in quanto il “titolo pubblico” condiziona fortemente le relazioni giuridiche intrattenute successivamente con i terzi, anche per la circolazione del bene, mentre l’inoperatività del limite temporale indicato dal legislatore potrebbe determinare una situazione di incertezza nella vita dei cittadini e delle imprese idonea a incidere negativamente, in un’ottica più complessiva, sull’affidabilità del “sistema Paese”.
Si richiamano, a questo riguardo, le considerazioni svolte dalla Commissione consultiva speciale istituita presso il Consiglio di Stato per i decreti di attuazione della legge 7 agosto 2015 n. 124 nel parere n. 839 del 2016 (sullo schema del d.lgs. 30 giugno 2016, n. 126: “SCIA 1”), inspiegabilmente obliterato (salve rare eccezioni[6]) fino a epoca recentissima dagli stessi giudici amministrativi, laddove metteva in luce che la novella legislativa era espressione di un “nuovo paradigma”[7] nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione “nel quadro di una regolamentazione attenta ai valori della trasparenza e della certezza”, in nome dei quali il legislatore aveva fissato “termini decadenziali di valenza nuova, non più volti a determinare l’inoppugnabilità degli atti nell’interesse dell’amministrazione, ma a stabilire limiti al potere pubblico nell’interesse dei cittadini, valorizzando il principio di affidamento”, costruendo una nuova “regola generale”, “speculare – nella ratio e negli effetti – a quella dell’inoppugnabilità, ma creata, a differenza di quest’ultima, in considerazione delle esigenze del cittadino (…)”[8]. Il parere aveva peraltro espressamente sottolineato che tale “regola generale” doveva applicarsi anche ai provvedimenti che non sono formalmente definiti di annullamento, stigmatizzando il fatto che “alcune disposizioni utilizzano infatti, impropriamente, i termini “revoca”, “risoluzione”, “decadenza” (dai benefici) o simili per indicare, oltre all’abusivo utilizzo del titolo, la reazione dell’ordinamento all’illegittimo conseguimento [dello stesso], utilizzando forme che sono state definite di “annullamento travestito” (cfr. § 1.3.2 del parere n. 1784 del 2016 sullo schema del d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222: “SCIA 2”).
Tra i passaggi importanti della sentenza n. 88 meritano specifica attenzione quello che esclude la “decorrenza mobile” del termine (che il legislatore, come già chiarito dal menzionato parere del Consiglio di Stato, lega inequivocabilmente all’adozione del provvedimento), e che, come ribadito dalla Corte “si spiega con la ragione che non può la negligenza dell’amministrazione procedente tradursi nel suo vantaggio di differire continuamente il dies a quo per l’esercizio della potestà di annullamento (tra le altre, Consiglio di Stato, sentenze n. 7134 e n. 1926 del 2024)”, e quello relativo alla portata delle eccezioni all’applicazione del suddetto limite, in ragione dell’inconfigurabilità di un legittimo affidamento, nei casi previsti dal comma 2-bisdell’art. 21-novies e fino a pochi mesi fa strumentalmente utilizzati da larga parte della giurisprudenza per escludere l’operatività del limite anche in presenza di meri errori di diritto[9]. Dopo aver ricordato che la riferita eccezione è interpretata dal giudice amministrativo − sulla base del dato testuale costituito dalla disgiunzione “o” e di un argomento teleologico − nel senso che il termine finale non opera tutte le volte in cui si riscontri che il contrasto tra la fattispecie rappresentata e la fattispecie reale sia rimproverabile all’interessato, tanto se determinato da dichiarazioni false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante, dovrà scontare l’accertamento definitivo in sede penale, quanto se determinato da una falsa rappresentazione della realtà di fatto, accertata inequivocabilmente dall’amministrazione con i propri mezzi (da ultimo, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 7 maggio 2025, n. 3876 e 14 agosto 2024, n. 7134; sezione sesta, sentenza 27 febbraio 2024, n. 1926)”, la Corte ha precisato che “anche in tale caso, infatti, l’erroneità dei presupposti per il rilascio del provvedimento amministrativo non è imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’amministrazione, ma esclusivamente alla parte che ha fornito una falsa descrizione della realtà fattuale, oggettivamente verificabile e non opinabile”[10]. È auspicabile, quindi, che quest’ultima precisazione ponga fine all’ingiusta equiparazione dell’erronea applicazione/interpretazione del quadro normativo (sulla cui oggettiva complessità e incertezza la stessa Consulta ha fondato la giustificazione di limiti alla responsabilità amministrativo-contabile: sentenza n. 132 del 2024) alla “falsa rappresentazione della realtà”, che, come già chiarito dalla menzionata Commissione speciale del Consiglio di Stato (anche nel successivo parere sul d.lgs. “SCIA 2”), deve essere invece coerentemente valutata sulla base dell’oggettivo rapporto vero/falso[11], siccome, del resto, puntualizzato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con riferimento alle dichiarazioni rese nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici[12].
4. L’insussistenza del contrasto con l’art. 97 Cost.
Le ultime considerazioni della sentenza investono il dedotto contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, sancito dall’art. 97, comma 2, Cost., che la Corte esclude, rilevando come, all’opposto, il limite temporale del potere di autotutela (già individuato come strumento volto, sia pure indirettamente, ad accrescere l’efficienza dell’azione amministrativa: sentenze n. 258 del 2022 e n. 191 del 2005) possa migliorare la qualità del processo decisionale di primo grado, inducendo gli organi competenti a svolgere, in quella sede, una più attenta valutazione e ponderazione degli interessi.
5. Conclusioni
In definitiva, la pronuncia in esame, pur respingendo le dedotte eccezioni di incostituzionalità, merita massima attenzione, perché fissa importanti punti fermi su un istituto centrale per il sistema amministrativo e per la fiducia nelle istituzioni pubbliche, aiutando a dare risposta agli interrogativi posti dal Consiglio di Stato nei già richiamati pareri “SCIA 1” e “SCIA 2” e lasciati irrisolti dal Governo.
In particolare, nel secondo parere (al §1.3.1), la Commissione aveva espressamente segnalato che nel nuovo schema di decreto legislativo restavano aperte alcune questioni di raccordo già evidenziate al punto 8.3 del precedente parere n. 839, tra cui quelle
“– se il limite temporale massimo di cui all’art. 21-nonies debba applicarsi anche all’intervento in caso di sanzioni per dichiarazioni mendaci ex art. 21, comma 1 (unica norma residua dopo l’abrogazione del comma 2), ovvero se l’art. 21 debba considerarsi come un’ulteriore deroga a tale limite, aggiuntiva rispetto a quella prevista al comma 2-bis dello stesso art. 21-nonies. In tale seconda ipotesi dovrebbero, però, essere specificati quali siano i poteri ulteriori esercitabili ex art. 21, comma 1, rispetto a quelli di intervento ex post alle condizioni dell’art. 21-nonies, posto che entrambe le norme sembrano riferirsi, nel caso di SCIA, all’accertamento della mancanza o della ‘falsità’ dei requisiti, su cui fondare i più volte richiamati poteri inibitori, repressivi o conformativi;
– quale sia la esatta delimitazione della (unica) fattispecie di deroga ai 18 mesi prevista dall’art. 21-nonies, comma 2-bis (ad esempio, se tra le “false rappresentazioni dei fatti” in deroga ai 18 mesi rientri anche la difettosa indicazione del sistema normativo di riferimento; ovvero se si possa aggiungere la possibilità di superare i 18 mesi, al di là delle condanne penali passate in giudicato, in tutti i casi in cui il falso è immediatamente evincibile dal contrasto con pubblici registri, come nel caso di percezione di pensione a nome di persona defunta; ovvero ancora quale sia l’esatta portata del riferimento alle “sanzioni penali, nonché” alle “sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 445 del 2000”, che più d’uno tra i primi commentatori ha considerato come il frutto di un errore di drafting)”.
In modo significativo, alla luce dei dubbi sollevati dai primi interpreti sulla portata della richiamata disgiuntiva “o” del comma 2-bis, la Commissione individuava, quindi, correttamente come unica potenziale ipotesi di “falsa rappresentazione della realtà” quella oggettivamente riscontrabile da dati certi (come i pubblici registri), invitando – purtroppo invano – “nuovamente il Governo a considerare, prima della scadenza della delega, una soluzione sul punto, per prevenire sicure incertezze e contenzioso in sede applicativa della riforma”.
La sentenza in esame ha ormai sicuramente risolto quest’ultima questione. Si auspica, peraltro, che la linea da essa tracciata induca il legislatore a una soluzione coerente anche della prima[13].
[1] Fra i tanti, si rinvia a F. Benvenuti, voce Autotutela (dir. amm.), in Enc. dir., vol. V, Milano, 1959, 537 ss.; E. Cannada Bartoli, voce Annullabilità e annullamento, in Enc. dir., vol. II, Milano, 1958, 484 ss.
[2] Dal Cons. Stato, sez. VI, 16 ottobre 2024, n. 8296, con nota di F. Campolo, Attestato di libera circolazione di un bene culturale e potere di autotutela. Dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 21 nonies, c. 1, l. 241/1990, in questa Rivista, 25 febbraio 2025.
[3] Il termine è stato ridotto da diciotto a dodici mesi dall’art. 63, comma 1, d.l. 31 maggio 2021, n. 77 (“Governance del piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108.
[4] Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, firmata a Faro il 27 ottobre 2005 e ratificata dall’Italia con l. 1° ottobre 2020, n. 133.
[5] Su cui cfr. gli Atti delle Giornate di studio sulla giustizia amministrativa di Modanella su Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica, raccolti nel volume F. Francario e M.A. Sandulli (a cura di), Napoli, 2018.
[6] Si v., ad es., T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 2 luglio 2018, n. 1637.
[7] Si v. anche L. Carbone, La riforma dell’autotutela come nuovo paradigma dei rapporti tra cittadino e amministrazione pubblica, relazione al convegno “La legge generale sul procedimento amministrativo: attualità e prospettive nei rapporti tra cittadino e p.a.” – Roma, Palazzo Spada, 20 marzo 2017, in www.giustizia-amministrativa.it.
[8] Si v. anche M. Macchia, La riforma della pubblica amministrazione - Sui poteri di autotutela: una riforma in senso giustiziale, in Giorn. dir. amm., 2015, 5, 634. Per un approfondimento, si v. anche M. Trimarchi, L’inesauribilità del potere amministrativo. Profili critici, Napoli, 2018.
[9] Sul tema si v., da ultimo, anche per ulteriori richiami, M.A. Sandulli, Principio di legalità e magistratura amministrativa, in Riv. giur. ed., 2025, 2, 37 ss.
[10] Sul tema, si v. anche M.A. Sandulli, G. Strazza, L’autotutela tra vecchie e nuove incertezze: l’Adunanza Plenaria rilegge il testo originario dell’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990, in S. Toschei (a cura di), L’attività nomofilattica del Consiglio di Stato, Roma, 2019, 261.
[11] Si v. infra.
[12] Cons. Stato, Ad. plen., 28 agosto 2020, n. 16, specie §10, con nota di G.A. Giuffrè e G. Strazza, L’Adunanza plenaria e il tentativo di distinguo (oltre che di specificazione dei rapporti) tra falsità, omissioni, reticenze e “mezze verità” nelle dichiarazioni di gara, in Riv. giur. ed., 2020, 5, 1343 ss. e di C. Napolitano, La dichiarazione falsa, omessa o reticente secondo l’Adunanza Plenaria, in questa Rivista, 8 ottobre 2020.
[13] Sulle tematiche sopra esposte e sull’esigenza di certezza sulla stabilità dei titoli, si v., per tutti, anche per ulteriori richiami, i contributi di C. Deodato, L'annullamento d'ufficio (sub art. 21-nonies), in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, II ed., 2017, 1173 ss.; E. Boscolo, Il potere di vigilanza sulle attività soggette a s.c.i.a. (già d.i.a.) e silenzio assenso (sub art. 21), ivi, 987 ss.; W. Giulietti e N. Paolantonio, La segnalazione certificata di inizio attività (sub art. 19), ivi, 902 ss. e di G. Mari, M.A. Sandulli, M. Sinisi, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, IV ed., 2023.