Brevi note in tema di giudicato esterno nel processo amministrativo. A proposito della sentenza Cons. St., Sez. III, 13 aprile 2023, n. 3754
di Nicolò Simeoni
Sommario: 1. La vicenda processuale – 2. La soluzione prospettata dal Consiglio di Stato – 3. Il rilievo del giudicato esterno nel processo amministrativo – 4. Conclusioni.
1. La vicenda processuale
Nella sentenza in rassegna il Consiglio di Stato prende in esame il regime dell’eccezione di giudicato esterno. Segnatamente, si sofferma a delineare da un lato gli oneri di allegazione in capo alle parti e dall’altro i limiti che incontra il giudice nel rilevare la questione. Nonostante si concentri più precisamente sul solo giudicato esterno sopravvenuto, la sentenza offre l’occasione di compiere più ampie riflessioni sul tema.
La vicenda processuale trae origine dal rigetto di un’istanza di adeguamento del prezzo contrattuale ex art. 115 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 [[1]], presentata da una società a seguito della proroga del contratto di affidamento del servizio di pulizia. La società prima impugnava il provvedimento di diniego davanti al T.A.R., chiedendone l’annullamento e la consequenziale condanna al pagamento della somma revisionale, e successivamente conveniva davanti al giudice ordinario la stessa amministrazione per una pluralità di domande, tra cui quella volta a ottenere la corresponsione dell’importo dovuto a titolo di adeguamento del prezzo.
Entrambi i processi terminavano con una pronuncia nel merito, senza che venisse rilevato il conflitto positivo di giurisdizione: mentre il giudice civile rigettava le pretese attoree, il T.A.R. annullava il provvedimento di diniego e riconosceva la spettanza dell’adeguamento richiesto.
La società impugnava tempestivamente la pronuncia davanti alla Corte d’Appello, tuttavia, senza gravare la parte di sentenza relativa alla richiesta di condanna al pagamento del prezzo revisionale, la quale passava in giudicato ai sensi dell’art. 329 co. 2 cod. proc. civ. Anche la pubblica amministrazione resistente proponeva appello avverso la sentenza del T.A.R., chiedendone la riforma sulla base dell’intervenuto passaggio in giudicato della pronuncia del Tribunale ordinario.
2. La soluzione prospettata dal Consiglio di Stato
Esaminando più nel dettaglio il ragionamento svolto nella sentenza in commento, si può notare come il Consiglio di Stato abbia preso atto fin da subito del possibile contrasto tra i dispositivi delle due sentenze. Sul punto, infatti, si ricorda che entrambi i giudici di primo grado, dopo avere esplicitamente affermato la propria competenza giurisdizionale [[2]], hanno statuito nel merito giungendo a due soluzioni diametralmente opposte: mentre il Tribunale ordinario ha rigettato la richiesta di adeguamento del prezzo, il T.A.R. al contrario l’ha ritenuta fondata.
Si è posto, dunque, il problema di qualificare il conflitto tra l’accertamento contenuto nella pronuncia del giudice ordinario e quello della sentenza del giudice amministrativo. A tale proposito, la Terza Sezione ha ritenuto di potere ravvisare una piena sovrapposizione tra gli oggetti delle due domande, non avendo alcuna rilevanza le differenti locuzioni utilizzate dall’attore in una sede e dal ricorrente nell’altra ovvero la diversa struttura del giudizio civile rispetto a quello amministrativo. Si è optato, pertanto, per un approccio sostanziale nella valutazione del petitum e della causa petendi. In entrambi i casi, infatti, la società allegava a fondamento della propria pretesa i medesimi fatti e mirava allo stesso risultato utile.
Alla luce di tali considerazioni, è stata ritenuta fondata l’eccezione di giudicato esterno sopravvenuto prospettata dall’amministrazione appellante. Secondo la tesi sostenuta nell’atto di gravame, infatti, la formazione del giudicato sulla sentenza del giudice ordinario, nella parte in cui accerta l’insussistenza del diritto alla revisione del prezzo, avrebbe precluso al giudice amministrativo di esprimersi sul merito della stessa domanda in virtù del principio del ne bis in idem. Per quanto concerne la definizione del regime processuale dell’eccezione di giudicato esterno, il Consiglio di Stato, dopo avere richiamato l’orientamento della Corte di cassazione sul tema [[3]], ha affermato che la presenza di una precedente sentenza irrevocabile sullo stesso oggetto e pronunciata tra le medesime parti non possa essere sottoposta a preclusioni né in punto di allegazioni né per quanto concerne la prova. Di conseguenza, il giudicato esterno formerebbe l’oggetto di una questione rilevabile dal giudice in ogni stato e grado del processo e non di un’eccezione in senso stretto. Tale configurazione discenderebbe dalla necessità di garantire la stabilità dei giudicati e di evitarne il contrasto.
3. Il rilievo del giudicato esterno nel processo amministrativo
La pronuncia annotata merita di essere segnalata nella parte in cui si occupa di definire la natura dell’exceptio rei iudicatae. L’argomento non risulta essere stato oggetto di approfondimento né da parte della dottrina processual-amministrativistica, salvo alcuni rari contributi sul tema [[4]], né in seno alla giurisprudenza amministrativa, la quale invero non ha avuto spesso occasione di esprimersi sul punto [[5]]. Al contrario, la natura dell’eccezione di giudicato esterno ha animato un grande dibattito nel campo processual-civilistico, vedendo per lungo tempo la giurisprudenza e la dottrina su due opposte posizioni [[6]]. Soltanto recentemente le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno riconosciuto nel giudicato esterno una questione rilevabile ope iudicis [[7]].
Ai fini della risoluzione del caso di specie, il Consiglio di Stato ha recepito e applicato i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, affermando che la prospettazione della questione di giudicato esterno non sia sottoposta a preclusioni. Si evidenzia, tuttavia, che questa presa di posizione sembra essere limitata al solo regime del giudicato esterno sopravvenuto nel corso del giudizio. Gli elementi sopravvenuti, infatti, non sono sottoposti ai limiti temporali, in quanto la parte non avrebbe mai potuto allegarli e produrli in precedenza [[8]]. Non viene chiarito, invece, se tale orientamento sia estendibile all’ipotesi in cui la questione, pur conosciuta dalle parti, non sia stata tempestivamente allegata entro i termini previsti. Sembra opportuno, quindi, svolgere alcune riflessioni allo scopo di offrire qualche spunto circa la natura dell’eccezione di giudicato esterno nel processo amministrativo.
In via preliminare si può osservare come, malgrado il d.lgs. 10 luglio 2010, n. 104, non si occupi direttamente del tema in oggetto, sia comunque possibile rintracciare alcuni indici che possono fungere da guida per l’interprete.
Un primo elemento può essere individuato nella lettera dell’art. 2909 cod. civ., nella parte in cui afferma che l’accertamento della sentenza passata in giudicato formale ex art. 324 cod. proc. civ. “fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa” [[9]]. Anche nel processo amministrativo opera l’effetto negativo-preclusivo del giudicato che impedisce alle stesse parti di riproporre una domanda con petitum e causa petendi identici a quella già oggetto di accertamento definitivo. Il secondo giudizio eventualmente instaurato si chiuderebbe con una sentenza di rigetto in rito per la mancanza di un presupposto di decidibilità della causa nel merito [[10]]. Questa prima considerazione, se suggerisce la sicura configurazione nel processo amministrativo dell’eccezione di giudicato esterno, ancora non ne definisce la fisionomia.
Un ruolo maggiormente incisivo sembra essere svolto dall’art. 106, co. 1, cod. proc. amm., secondo cui le parti possono impugnare con il rimedio della revocazione le sentenze del giudice amministrativo “nei casi e nei modi” stabiliti dagli artt. 395 e 396 cod. proc. civ. Tra i casi di revocazione è compresa anche l’ipotesi in cui una pronuncia sia contraria a una antecedente avente tra le parti l’autorità di cosa giudicata, purché non vi sia stata l’occasione per il giudice di esprimersi sulla relativa eccezione (art. 395, n. 5, cod. proc. civ.). Il contenuto della norma rende evidente il legame che intercorre con l’exceptio rei iudicatae. Si tratta in entrambi i casi di strumenti processuali complementari volti a fare valere l’esistenza di un precedente giudicato sullo stesso oggetto al fine di evitare la duplicazione e il contrasto delle decisioni giudiziali. Attraverso l’art. 395, n. 5, cod. proc. civ., il legislatore permette di impugnare la sentenza utilizzando tardivamente l’eccezione di giudicato, oltre la conclusione del giudizio di primo e di secondo grado, ma a patto che la questione non fosse già stata sollevata in precedenza [[11]].
Proprio quest’ultimo profilo sembra suggerire che l’eccezione di giudicato esterno non sia sottoposta a preclusioni né per l’allegazione del fatto né in punto di produzione della relativa prova. Non avrebbe senso, infatti, prevedere un termine perentorio entro cui sollevare la questione se successivamente una delle parti fosse libera di impugnare per revocazione la sentenza facendo valere il medesimo fatto [[12]].
Parte della dottrina [[13]], poi, ha sottolineato che a fronte della previsione dell’art. 395, n. 5, cod. proc. civ., la sentenza revocabile, in quanto pronunciata in contrarietà a quella ormai passata in giudicato, debba considerarsi viziata. Da questo punto di vista, apparirebbe complicato sostenere che la questione di giudicato esterno rientri nel monopolio esclusivo della parte interessata, in quanto si produrrebbe una sentenza viziata non per un errore compiuto dal giudice, bensì in virtù di una mancanza delle parti. Sembra preferibile, pertanto, ritenere che la questione relativa alla preesistenza di una sentenza irrevocabile sia direttamente rilevabile dal giudice senza la necessità di una preventiva e specifica eccezione in senso stretto sollevata dalla parte.
Queste conclusioni sembrano ulteriormente avvalorate dal regime processuale dell’eccezione di litispendenza. Il d.lgs. 10 luglio 2010, n. 104, non predispone direttamente una disciplina per regolare l’ipotesi in cui la stessa domanda sia contemporaneamente proposta dinnanzi a T.A.R. differenti. La lacuna è colmata applicando il disposto dell’art. 39, co. 1 e 3, cod. proc. civ., grazie alla clausola di rinvio esterno di cui all’art. 39, co. 1, cod. proc. amm. [[14]]. Nel processo amministrativo, dunque, la simultanea pendenza dei due giudizi è risolta attraverso il criterio cronologico dando prevalenza alla causa preveniente. Il giudice della causa prevenuta, invece, rileverà ex officio in ogni stato e grado la litispendenza e disporrà con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo. Anche l’istituto della litispendenza sembra presentare qualche affinità con l’eccezione di giudicato esterno dal punto di vista funzionale. Attraverso la previsione dell’art. 39, co. 1, cod. proc. civ., il legislatore mira a evitare la duplicazione dell’attività processuale in relazione all’identica vicenda sostanziale e, in definitiva, di giungere a due pronunce nel merito suscettibili di passare in giudicato. Da questo punto di vista, la litispendenza è stata definita come “un’anticipazione dell’eccezione di cosa giudicata” [[15]]. Se esiste questa soluzione di continuità tra litispendenza ed eccezione di cosa giudicata, allora sembra improbabile che il legislatore abbia previsto la rilevabilità d’ufficio per la prima e non per la seconda. In questo senso, è possibile sostenere che entrambe le eccezioni sottostiano allo stesso regime processuale espressamente stabilito dall’art. 39, co. 1, cod. proc. civ. [[16]].
Qualche perplessità suscita, invece, l’argomento tratto dall’art. 112, secondo periodo, cod. proc. civ., individuato dalla giurisprudenza civile [[17]] quale elemento rischiaratore della natura dell’eccezione di giudicato esterno. Secondo tale orientamento, la norma indicata non si limiterebbe solo a definire la vigenza del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ma sarebbe espressione di un ulteriore principio generale, secondo il quale i fatti estintivi, modificativi o impeditivi sarebbero di norma rilevabili d’ufficio dal giudice. Solo in alcuni casi specifici, poi, espressamente disciplinati dal legislatore, il fatto sarebbe subordinato alla proposizione di una specifica istanza della parte, configurandosi così un’ipotesi di eccezione in senso stretto. Tali conclusioni, poi, vengono impiegate anche in relazione all’eccezione di giudicato esterno. Non rinvenendo all’interno dell’ordinamento una norma che ne riservi l’utilizzo, se ne deduce la rilevabilità officiosa.
Anzitutto, si constata che il dettato dell’art. 112 cod. proc. civ. è pacificamente recepito dalla giurisprudenza all’interno del processo amministrativo [[18]]. E la pronuncia in rassegna sembra accogliere anche il principio della generale rilevabilità ex officio delle eccezioni, salvo indicazioni normative contrarie. Se ne potrebbe ricavare, dunque, un ulteriore elemento capace di definire la natura dell’eccezione di giudicato esterno. Più di un Autore [[19]], tuttavia, ha avanzato dei dubbi sulla ricostruzione prospettata dalla giurisprudenza, in quanto l’art. 112, secondo periodo, cod. proc. civ., si presterebbe anche a differenti interpretazioni. Vi è chi, ad esempio, richiama proprio tale disposizione per affermare la generale rilevabilità su istanza di parte delle eccezioni, restringendo i poteri officiosi del giudice ai casi tassativamente previsti [[20]]. L’ambigua formulazione dell’art. 112 cod. proc. civ., pertanto, sembra suggerire maggiore cautela nell’impiego di tale indice ai fini della presente indagine.
4. Conclusioni
La mancanza di una chiara presa di posizione da parte del legislatore non sembra consentire allo stato di individuare delle conclusioni sicure a proposito della natura dell’eccezione di giudicato esterno. Nonostante tale indicazione di prudenza, alla luce dei dati raccolti appare preferibile accedere all’opinione più diffusa presso la dottrina [[21]] e la giurisprudenza [[22]], secondo cui si tratterebbe di una questione rilevabile ope iudicis e non soggetta alle preclusioni maturate nel corso del processo. Gli elementi che maggiormente confortano questa ricostruzione sono rappresentanti dalla disciplina della revocazione (art. 106, co. 1, cod. proc. amm., e art. 395, n. 5, cod. proc. civ.) e da quella della litispendenza (art. 39, co. 1, cod. proc. amm., e art. 39, co. 1, cod. proc. civ.). Più in generale, sembra che l’eccezione di giudicato esterno si inserisca all’interno di un sistema di strumenti processuali approntati dal legislatore allo scopo di evitare la presenza di più statuizioni sulla stessa domanda.
Se tale impostazione si ritiene corretta, l’esistenza di una precedente sentenza passata in giudicato pronunciata tra le stesse parti e vertente sullo stesso oggetto potrà essere semplicemente segnalata al giudice in ogni stato e grado del processo amministrativo, senza l’utilizzo di particolari formule sacramentali. Più precisamente, la parte interessata potrà sollevare la questione e produrre la copia autentica della sentenza irrevocabile per tutto il corso del primo grado e, nel caso in cui questa attività sia mancata, non incorrerà nelle preclusioni previste per i nova nel grado di appello dall’art. 104, co. 1 e 2, cod. proc. amm. [[23]]. Ad ogni modo, dovrà essere assicurato il contraddittorio delle parti, nel caso in cui il collegio dovesse rilevarne la fondatezza (art. 73, co. 3, cod. proc. amm.).
Qualche dubbio potrebbe porsi nel caso in cui la questione venisse prospettata per la prima volta all’udienza di discussione. In merito, si potrebbe immaginare una pluralità di soluzioni: a) il collegio potrebbe ammettere l’acquisizione della copia autentica della sentenza e provocare il contraddittorio delle parti sulla questione; b) il collegio potrebbe rinviare l’udienza per permettere la produzione della copia autentica della sentenza e la discussione delle parti sul punto; c) la questione potrebbe ritenersi ormai preclusa e la parte interessata dovrebbe farla valere eventualmente nel grado di appello. Non dovrebbero porsi problemi, invece, se la tardiva prospettazione della questione non sia imputabile alla parte [[24]], in quanto il collegio potrebbe autorizzare a seguito di esplicita richiesta una produzione tardiva della memoria e del documento (art. 54, co. 1, cod. proc. amm.).
Nell’ipotesi in cui nessuna delle parti abbia sollevato l’esistenza di un precedente giudicato né in primo grado né davanti al Consiglio di Stato, sarà allora possibile impugnare la sentenza di appello per revocazione facendo valere il quinto motivo previsto dall’art. 395 cod. proc. civ. [[25]]. Se non sarà promosso neanche il giudizio di revocazione, si verificherà un contrasto pratico tra i due giudicati. In applicazione del criterio cronologico, si ritiene che prevalga l’accertamento intervenuto per secondo [[26]].
[[1]] La disposizione citata, ratione temporis applicabile al caso di specie, prevedeva obbligatoriamente l’inserimento di una clausola di revisione del prezzo nei contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture. Si precisava, poi, che la revisione non operasse in via automatica, ma che fosse determinata sulla base di un’istruttoria compiuta dall’amministrazione tenendo conto dei costi standardizzati, calcolati avvalendosi degli indici ISTAT. Le parti contraenti, tuttavia, erano libere di inserire nel capitolato d’appalto anche clausole con meccanismi di revisione del prezzo dal contenuto determinato, escludendo o riducendo il successivo esercizio del potere discrezionale da parte della stazione appaltante.
[[2]] Il conflitto positivo di giurisdizione si spiega alla luce dell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza in merito alla lettera dell’art. 133, lett. e, n. 2, cod. proc. amm., secondo cui le controversie “[…] relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 […]” sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In realtà, si ritiene sussistente la giurisdizione del giudice ordinario in tutti quei casi in cui il contratto di appalto preveda una clausola di revisione del prezzo che disciplini nel dettaglio i criteri di adeguamento. In questo caso, infatti, non residuerebbe alcun potere in capo alla pubblica amministrazione e la controversia riguarderebbe l’esecuzione di una prestazione già pienamente definita in base al regolamento contrattuale (Cons. St., Sez. III, sent., 25 luglio 2023, n. 7291; Cass. civ., Sez. un., ord., 22 novembre 2021, n. 35952; Cass. civ., Sez. un., ord., 12 ottobre 2020, n. 21990; Cass. civ., Sez. un., ord., 13 luglio 2015, n. 14559).
[[3]] Tra le maggiormente incisive si indicano: Cass. civ., Sez. un., sent., 3 febbraio 1998, n. 1099 e Cass. civ., Sez. un., sent., 25 maggio 2001, n. 226.
[[4]] Si segnalano gli interventi di: C. Cacciavillani, Giudizio amministrativo e giudicato, Padova, 2005, 88-89; M. Di Rienzo, L’eccezione nel processo amministrativo, Napoli, 1968, 154-155; G. Paleologo, L’appello al Consiglio di Stato, Milano, 1989, 340; F. Saitta, I novanell’appello amministrativo, Milano, 2010, 370-371; P. M. Vipiana, Contributo allo studio del giudicato amministrativo, Milano, 1990, 230 (12).
[[5]] Si vedano le riflessioni degli Autori citati nella precedente nota.
[[6]] Per una rapida disamina si rinvia a M. Russo, Sull’eccezione di giudicato esterno formatosi nel corso del giudizio di merito, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2012, I, 646-648.
[[8]] Si segnala, infatti, che nel caso in esame il giudicato civile si era formato dopo la pubblicazione della sentenza del T.A.R. Non sarebbe stato possibile, dunque, sollevare la relativa questione nel giudizio di primo grado. Sul punto, si veda A. A. Romano, Questioni in tema di giudicato esterno sopravvenuto in corso di appello, in il Corriere giuridico, 2013, 3, 405-406, il quale ricorda che le preclusioni non trovano applicazione nei confronti della parte che incolpevolmente non fosse nelle condizione di rispettarle.
[[9]] Si ricorda che in caso di lacune il codice del processo amministrativo predispone una clausola di rinvio esterno alle norme del codice di procedura civile “in quanto compatibili o espressione di principi generali” (art. 39, co. 1, cod. proc. amm.). Il d.lgs. 10 luglio 2010, n. 104, invero, richiama in altre parti il concetto del giudicato, ad esempio per quanto riguarda il giudizio di ottemperanza. Sembra possibile affermare, dunque, che nonostante l’art. 2909 cod. civ. non sia collocato all’interno del codice di rito, esso trovi comunque applicazione nel processo amministrativo in quanto presupposto per il funzionamento di altre norme. La dottrina afferma pacificamente l’applicazione nel processo amministrativo sia dell’art. 2909 cod. civ. sia dell’art. 324 cod. proc. civ. (C. Cacciavillani, Il giudicato, in F. G. Scoca (a cura), Giustizia amministrativa, Torino, 2023, 644-645. Si segnala, sotto la vigenza della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la posizione di P. M. Vipiana, Contributo, cit., 196-203, secondo la quale tali norme possono trovare applicazione con i dovuti adattamenti richiesti dalla struttura e dalle esigenze proprie del processo amministrativo). Anche la giurisprudenza non sembra avere dubbi al riguardo (Cons. St., Sez. IV, sent., 29 agosto 2022, n. 7504; Cons. St., Sez. III, sent., 7 novembre 2018, n. 6281).
[[10]] C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2019, 104-106 e 116-121.
[[11]] M. D’Orsogna, Le impugnazioni straordinarie contro le decisioni dei giudici amministrativi, in F. G. Scoca (a cura), Giustizia, cit., 495-496.
[[12]] Si è notato, tuttavia, come l’art. 395, n. 5, cod. proc. civ., utilizzi espressamente il termine “eccezione”, rimandando a una precisa tradizione giuridica. Da un punto di vista letterale, quindi, si potrebbe sostenere che il legislatore richieda che sia la parte interessata ad allegare specificatamente l’esistenza del precedente giudicato (S. Ziino, Disorientamenti della Cassazione in materia di giudicato “implicito” e di rilevabilità del giudicato esterno, in Rivista di diritto processuale, 2005, 4, 1401).
[[13]] C. Cacciavillani, Giudizio, cit., 89; G. Pugliese, voce Giudicato civile (dir. vig.), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 835.
[[14]] In questo senso si veda A. Police, La competenza, in F. G. Scoca, Giustizia, cit., 144. In giurisprudenza si segnalano: T.A.R. Campania (Salerno), Sez. III, sent., 24 maggio 2023, n. 1214; T.A.R. Molise (Campobasso), Sez. I, sent., 9 giugno 2017, n. 224; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia (Trieste), Sez. I, sent., 12 maggio 2016, n. 164; Cons. St., Sez. IV, sent., 5 giugno 2013, n. 3100.
[[15]] C. Cacciavillani, Giudizio, cit., 89. In senso analogo si vedano C. Consolo, Spiegazioni, cit., 123 e S. Menchini, voce Regiudicata civile, in Dig. disc. priv. Sez. civ., XVI, Torino, 1997, 467.
[[16]] Contra S. Ziino, Disorientamenti, cit., 1400-1401, il quale, riconosciuto che i due istituti condividono l’obiettivo di evitare il contrasto tra giudicati, ne sottolinea anche le differenze. In particolare, la litispendenza si preoccuperebbe di trovare una soluzione a un problema di competenza, caratteristica che invece sfuggirebbe all’eccezione di cosa giudicata. Si rinvia anche a G. Scarselli, Note in tema di eccezione di cosa giudicata, in Rivista di diritto processuale, 1996, 857-860.
[[17]] Cass. civ., Sez. un., sent., 3 febbraio 1998, n. 1099, con nota di M. Negri, L’eccezione di “aliunde perceptum” è preclusa in appello, in il Corriere giuridico, 1999, 8, 1013-1021.
[[18]] Secondo alcune pronunce la norma troverebbe applicazione quale sviluppo logico del principio della domanda (ex multis: Cons. St., Sez. IV, sent., 4 settembre 2023, n. 8153; Cons. St., Sez. VII, sent., 22 dicembre 2022, n. 11190; Cons. St., Sez. V, sent., 14 giugno 2019, n. 4024), altre invece ricorrono alla mediazione dell’art. 39, co. 1, cod. proc. amm. (ex multis: Cons. St., Sez. II, sent., 17 marzo 2021, n. 2293; Cons. St., Sez. II, sent., 7 settembre 2020, n. 5397; Cons. St., Sez. II, sent., 25 luglio 2020, n. 4753). Si precisa che le sentenze qui riportate si occupano solo dell’applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nel processo amministrativo, senza soffermarsi sul tema delle eccezioni.
[[19]] Sul tema della distinzione tra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato in relazione all’art. 112, secondo periodo, cod. proc. civ., si rinvia a: C. Cavallini, Eccezione rilevabile d’ufficio e struttura del processo, Napoli, 2003, 63-69; V. Colesanti, Nostalgie in tema di eccezioni, in Rivista di diritto processuale, 2016, 283-285; G. Fabbrini, L’eccezione di merito nello svolgimento del processo di cognizione, in Studi in memoria di Carlo Furno, Milano, 1973, 264-276; E. Grasso, La pronuncia d’ufficio, Milano, 1967, 315-333; E. Merlin, Eccezioni rilevabili d’ufficio e sistema delle preclusioni in appello, in Rivista di diritto processuale, 2015, 300-308; R. Oriani, voce Eccezione, in Dig. disc. priv. Sez. civ., VII, Torino, 1991, 270-272 e 279; S. Ziino, Disorientamenti, cit., 1399-1400.
[[20]] S. Ziino, Disorientamenti, cit., 1399-1400.
[[21]] S. Valaguzza, Il giudicato amministrativo nella teoria del processo, Milano, 2016, 229.
[[22]] Cons. St., Sez. VI, sent., 9 maggio 2023, n. 4651; Cons. St., Sez. IV, sent., 26 novembre 2020, n. 7422; Cons. St., Sez. IV, sent., 10 luglio 2013, n. 3654; Cons. St., Sez. VI, sent., 29 marzo 2013, n. 1848.
[[23]] Si segnala l’indirizzo giurisprudenziale per cui, anche in mancanza della produzione della sentenza passata in giudicato, il Consiglio di Stato potrebbe prenderne visione attraverso l’accesso al sito della giustizia amministrativa (Cons. St., Sez. VI, sent., 29 agosto 2022, n. 7504).
[[24]] È il caso in cui il giudicato si fosse formato allo spirare dei termini stabiliti dall’art. 73, co. 1, cod. proc. amm.
[[25]] Si ricorda che, secondo l’art. art. 395, co. 5, cod. proc. civ., la revocazione non può essere proposta avverso la sentenza che “abbia pronunciato sulla relativa eccezione [di giudicato esterno]”. La giurisprudenza amministrativa interpreta estensivamente la locuzione utilizzata dalla norma, ricomprendendovi non solo le ipotesi in cui il giudice si sia espresso sulla questione, ma anche tutti quei casi in cui ne ha avuto la mera occasione. È sufficiente, quindi, che una delle parti abbia prospettato l’esistenza di un giudicato esterno rilevante ai fini del giudizio per non potere più promuovere la revocazione (Cons. St., Sez. II, sent., 2 luglio 2023, n. 6419; Cons. St., Sez. II, sent., 20 febbraio 2023, n. 1695; Cons. St., Sez. VI, sent., 9 maggio 2023, n. 4651).
[[26]] C. Consolo, Spiegazioni, cit., 125-126; S. Menchini, voce Regiudicata, cit., 469; A. Proto Pisani, Appunti sul giudicato civile e i suoi limiti oggettivi, in Rivista di diritto processuale, 1990, 418; G. Pugliese, voce Giudicato, cit., 825. Per un approfondimento sul tema si rinvia a G. Scarselli, Note, cit., 851-852. Concorde anche la giurisprudenza: T.A.R. Piemonte (Torino), Sez. II, sent., 2 maggio 2023, n. 399; T.A.R. Sicilia (Catania), Sez. IV, sent., 9 aprile 2021, n. 1126; Cons. St., Sez. VI, sent., 26 ottobre 2020, n. 6503; Cons. St., Sez. V, sent. 6 giugno 2003, n. 3239.