Le conclusioni dell’Avvocato Generale sulle questioni pregiudiziali poste dall’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 19598 del 2020: il Consiglio di Stato nega la tutela comunitaria sugli appalti, ma la decisione non è sindacabile in Cassazione
1. Lo scorso 9 settembre 2021 l’Avvocato Generale della Corte di giustizia UE ha presentato le proprie conclusioni nella Causa C – 497/20, originata dal rinvio pregiudiziale sollevato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con l’ordinanza n. 19598 del 18 settembre 2020[1]. In attesa della decisione della Corte di giustizia, le conclusioni dell’Avvocato Generale prendono posizione sulle tre questioni poste dalla Cassazione, evidenziando alcuni aspetti sin d’ora meritevoli di segnalazione.
2. Come si ricorderà, il rinvio pregiudiziale è maturato nel giudizio d’impugnazione di una decisione del Consiglio di Stato promosso a suo tempo da un concorrente escluso da una gara per l’affidamento di un appalto pubblico. Il Consiglio di Stato si era limitato ad esaminare (e rigettare) soltanto le censure proposte dal concorrente con riferimento alla valutazione della propria offerta, ma aveva dichiarato inammissibili le ulteriori contestazioni rivolte all’intera procedura, sul presupposto che il concorrente escluso fosse privo di legittimazione a censurare la regolarità della gara nel suo complesso. Nel ricorrere in Cassazione ai sensi dell’articolo 111, co. 8 Cost., il concorrente escluso contestava al Consiglio di Stato di avere erroneamente dichiarato inammissibili le censure rivolte alla procedura nel suo complesso, in contrasto con il diritto dell’Unione europea e, segnatamente, con il diritto ad un ricorso effettivo così come interpretato dalla più recente giurisprudenza della Corte di giustizia UE.
Dal suo canto, pur ritenendo la denunciata violazione configurabile alla stregua di una questione inerente la giurisdizione, la Cassazione rilevava come, allo stato, l’ammissibilità del ricorso fosse ostacolata da una “prassi interpretativa nazionale”, chiaramente esplicitata nella sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2018, secondo la quale la violazione del diritto dell’Unione europea non sarebbe inquadrabile in una questione di giurisdizione, ma integrerebbe una semplice violazione di legge, come tale incensurabile attraverso il ricorso per Cassazione previsto dall’articolo 111, co.8, Cost.
Di qui le tre questioni poste in via pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, che possono così sintetizzarsi:
i) una prima questione volta a verificare se il diritto europeo osti a una prassi interpretativa che, in base dell’articolo 111, co.8, Cost., assume l’inutilizzabilità del ricorso per Cassazione per impugnare sentenze del Consiglio di Stato contrastanti con il diritto europeo;
ii) una seconda questione volta a verificare se il diritto europeo osti a una prassi interpretativa che, in base all’articolo 111, co. 8, Cost., esclude la proponibilità del ricorso in Cassazione per contestare le sentenze del Consiglio di Stato che abbiano immotivatamente omesso di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia;
iii) una terza questione volta a verificare se il diritto europeo osti a una prassi giurisprudenziale nazionale che, come quella applicata dall’impugnata sentenza del Consiglio di Stato, ritiene insussistente la legittimazione del concorrente escluso a contestare nel suo complesso la regolarità della gara, anche ove l’esclusione non risulti definitivamente accertata e sebbene l’eventuale accoglimento dell’impugnazione possa indurre l’amministrazione ad avviare una nuova procedura. In questo quadro vanno, dunque, collocate le conclusioni dell’Avvocato Generale, che di seguito vengono sinteticamente riassunte.
3. Per quanto riguarda la prima questione, l’Avvocato Generale tiene preliminarmente a precisare che il parametro normativo di riferimento debba essere esattamente individuato nella Direttiva 89/665 che tutela il diritto a un ricorso effettivo, in conformità all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Con questa precisazione, l’Avvocato Generale osserva che, nell’attuazione della Direttiva 89/665, gli Stati membri, conformemente alla loro autonomia procedurale, conservano “la facoltà di adottare norme che possono rivelarsi differenti da uno Stato membro all’altro” e che una limitazione del diritto a un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 47 “può quindi essere giustificata soltanto se prevista dalla legge, se rispetta il contenuto essenziale di tale diritto e se, in osservanza del principio di proporzionalità, è necessaria e risponde effettivamente a finalità d’interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”, precisando ulteriormente che l’articolo 47 della Carta “non impone un doppio grado di giudizio” e che, in virtù di tale disposizione, il principio della tutela giurisdizionale garantisce il diritto di accesso “soltanto a un giudice”. Di conseguenza, se la disciplina dello Stato membro garantisce l’accesso a un giudice, conferendo a tale giudice la competenza a esaminare il merito della controversia, i principi di tutela giurisdizionale sanciti dall’articolo 47 e dalla Direttiva 89/665 non possono ritenersi violati, proprio in quanto non “impongono un ulteriore grado di giudizio per porre rimedio a un’applicazione erronea di dette norme da parte del giudice di appello”.
Nel descritto contesto di riferimento, il fatto che il ricorso in Cassazione previsto dall’articolo 111, co. 8, Cost. sia limitato alle sole questioni di giurisdizione non può pertanto “essere considerato di per sé contrario al diritto dell’Unione neppure laddove precluda l’impugnazione di una decisione con la quale il giudice di secondo grado ha applicato un’interpretazione del diritto nazionale che, oggettivamente, è contraria al diritto dell’Unione”, proprio in quanto il diritto italiano prevede pacificamente l’accesso a un giudice competente a esaminare il merito della controversia.
Sulla base di queste premesse, l’Avvocato Generale conclude così che “l’articolo 1, paragrafi 1 e 3, della direttiva 89/665, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che esso non osta a una norma quale l’articolo 111, ottavo comma, della Costituzione italiana, come interpretato nella sentenza n. 6/2018, secondo la quale un ricorso in cassazione per motivi di «difetto di potere giurisdizionale» non può essere utilizzato per impugnare sentenze di secondo grado che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte, in settori disciplinati dal diritto dell’Unione europea”.
Nel rassegnare le conclusioni, l’Avvocato Generale tiene comunque a precisare che la soluzione a un’errata applicazione del diritto europeo da parte di un giudice di ultima istanza andrebbe piuttosto individuata in “altre forme procedurali”, quali un ricorso per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, ovvero un’azione del “tipo Francovich” che consenta di far valere la “responsabilità dello Stato al fine di ottenere in tal modo una tutela giuridica dei diritti dei singoli riconosciuti dal diritto dell’Unione”.
4. In relazione alla seconda questione, l’Avvocato Generale evidenzia preliminarmente che “l’obbligo di adire la Corte in via pregiudiziale, previsto all’articolo 267, terzo comma, TFUE, incombente agli organi giurisdizionali nazionali avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso, rientra nell’ambito della cooperazione istituita al fine di garantire la corretta applicazione e l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione, nell’insieme degli Stati membri, tra i giudici nazionali, in quanto incaricati dell’applicazione del diritto dell’Unione, e la Corte”, precisando che, a norma dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, “una giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno è in linea di principio tenuta a rivolgersi alla Corte, quando è chiamata a pronunciarsi su una questione di interpretazione del diritto dell’Unione”.
Nel descritto contesto di riferimento, al diritto nazionale sarebbe pertanto soltanto vietato di “impedire a un organo giurisdizionale nazionale di avvalersi della suddetta facoltà o di conformarsi al suddetto obbligo”. Sicchè, laddove al giudice interno sia riconosciuta la possibilità di effettuare un rinvio pregiudiziale, ovvero sia previsto l’obbligo di effettuare tale rinvio, spetterebbe esclusivamente ad esso “valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emanare la propria decisione, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte”. La mancata adizione della Corte in via pregiudiziale verrebbe così ad integrare una illegittimità sostanziale o procedurale, ma non “una questione di competenza giurisdizionale ai seni dell’articolo 111, ottavo comma, della Costituzione italiana”, con la conseguenza che, come anche precisato per la prima questione, la soluzione ad un’eventuale errata applicazione degli obblighi derivanti dall’articolo 267 TFUE andrebbe individuata in altre forme procedurali, quali un ricorso per inadempimento o un’azione volta a far valere la responsabilità dello Stato.
In base a questi presupposti, l’Avvocato Generale conclude che il diritto europeo e, in particolare l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, l’articolo 19, paragrafo 1, TUE e l’articolo 267 TFUE, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, “non ostano a che le norme relative al ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione siano interpretate ed applicate nel senso di precludere che dinanzi alle Sezioni Unite della Corte suprema di cassazione sia proposto un ricorso per cassazione finalizzato a impugnare una sentenza con la quale il Consiglio di Stato ometta, immotivatamente, di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte”.
5. Quanto alla terza questione, l’Avvocato Generale ribadisce i principi affermati dalla giurisprudenza europea, secondo i quali “il criterio determinante l’obbligo del giudice di esaminare il ricorso della ricorrente è che ciascuna delle parti del procedimento ha un interesse legittimo all’esclusione delle offerte presentate dagli altri concorrenti”. In base a tali principi, preordinati a una tutela giurisdizionale piena ed effettiva, la censura del concorrente escluso diretta a travolgere l’intera procedura andrebbe comunque esaminata in quanto “non si può escludere la possibilità che una delle irregolarità che giustificano l’esclusione tanto dell’offerta dell’aggiudicatario quanto di quella dell’offerente che contesta il provvedimento di aggiudicazione dell’amministrazione aggiudicatrice vizi parimenti le altre offerte presentate nell’ambito della gara d’appalto”. Più esattamente, l’esistenza di una siffatta possibilità sarebbe sufficiente a radicare la legittimazione (e/o l’interesse) del concorrente escluso all’impugnazione, poiché l’ipotetico accoglimento dell’impugnazione potrebbe comunque arrecargli una precisa utilità, consentendogli, ad esempio, di partecipare alla nuova procedura eventualmente indetta dall’amministrazione. Resta inteso che il concorrente escluso sarebbe comunque privo di legittimazione (a contestare l’intera procedura) nelle ipotesi in cui l’esclusione sia stata confermata “da una decisione che ha acquistato forza di giudicato prima che il giudice investito del ricorso contro la decisione di affidamento dell’appalto si pronunci”.
Nel caso di specie, al momento di proposizione del ricorso al Consiglio di Stato, l’esclusione del concorrente non risultava ancora definitiva, ragion per cui, come rilevato dall’Avvocato Generale, le censure dirette a travolgere l’intera procedura avrebbero dovuto essere esaminate, anche in considerazione del fatto che il loro eventuale accoglimento avrebbe potuto inficiare la regolarità delle altre offerte in gara prefigurando l’ipotetica indizione di una nuova procedura. Conseguentemente, al fine di garantire il diritto ad un ricorso effettivo, il Consiglio di Stato avrebbe dovuto applicare i richiamati principi affermati dalla giurisprudenza europea, riconoscendo in capo al concorrente escluso la legittimazione a contestare la regolarità della procedura di gara.
6. Sebbene non sia questa la sede per compiere più ampi approfondimenti, le conclusioni dell’Avvocato Generale forniscono alcune precise indicazioni.
In primo luogo, evidenziano che, nel ritenere inammissibili le censure dirette a travolgere l’intera procedura di gara, il Consiglio di Stato avrebbe erroneamente applicato il diritto europeo e, segnatamente, i principi in materia di effettività della tutela giurisdizionale come anche interpretati dalla Corte di giustizia.
In secondo luogo, rivelano che il diritto nazionale, nella misura in cui limita ai profili di giurisdizione il ricorso in Cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato, non contrasterebbe con il principio di effettività della tutela giurisdizionale così come riconosciuto e tutelato a livello europeo.
In terzo luogo, danno atto che eventuali errori del giudice nazionale di ultima istanza in ordine all’applicazione del diritto europeo sarebbero pur sempre riparabili mediante un eventuale ricorso per inadempimento, ovvero attraverso un’azione volta a far valere la responsabilità dello Stato membro.
Non resta a questo punto che attendere la decisione della Corte di giustizia.
E. Z.
[1] Per i commenti all’ordinanza delle Sezioni Unite n. 19598 del 2020, M.A. SANDULLI, Guida alla lettura dell’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 19598 del 2020, in questa Rivista, 30 novembre 2020; F. FRANCARIO, Quel pasticciaccio brutto di piazza Cavour, piazza del Quirinale e piazza Capodiferro (la questione di giurisdizione), in questa Rivista, 11 novembre 2020; F. FRANCARIO, Interesse legittimo e giurisdizione amministrativa: la trappola della tutela risarcitoria, in questa Rivista, 24 maggio 2021; G. TROPEA, Il Golem europeo e i «motivi inerenti alla giurisdizione» (nota a Cass., Sez. un., ord. 18 settembre 2020, n. 19598), in questa Rivista, 7 ottobre 2020; B. NASCIMBENE, P. PIVA, Il rinvio della Corte di Cassazione alla Corte di giustizia: violazioni grave e manifeste del diritto dell’Unione europea?, ib., 24 novembre 2020.