Il caso Diasorin parte seconda. Le "collaborazioni" tra strutture pubbliche ed operatori privati nel campo biomedico. (nota a Cons. St., sez. III, 17 dicembre 2020, n. 8126).
di Saul Monzani
Sommario: 1. Premessa: il giudizio di primo grado e la ritenuta applicabilità delle regole dell'evidenza pubblica. - 2. Il carattere aperto della ricerca scientifica in una prospettiva di "realismo giuridico". - 3. La non applicabilità dei principi dell'evidenza pubblici ai fini della formazione di accordi di collaborazione scientifica non avente carattere escludente.
1. Premessa: il giudizio di primo grado e la ritenuta applicabilità delle regole dell'evidenza pubblica.
E' approdata al Consiglio di Stato la vicenda relativa alla convenzione stipulata dal Policlinico San Matteo di Pavia con un operatore privato ed avente ad oggetto una collaborazione finalizzata alla valutazione di test sierologici e molecolari per la diagnosi di infezione da SARS-Cov-2 da sviluppare e successivamente produrre da parte dell'operatore predetto.
La vicenda, esaminata e decisa in primo grado dal T.A.R. Lombardia-Milano, nasce dall'iniziativa giurisdizionale assunta da un soggetto economico operante nel medesimo settore, il quale ha impugnato i provvedimenti assunti al fine di stipulare la convenzione in parola, lamentando la necessità, non rispettata, di sottoporre l'affidamento in questione alla effettuazione di una procedura competitiva, stante la natura pubblica del soggetto affidante, costituito sotto forma di fondazione rientrante nella categoria di "Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico” (IRCCS), nonchè il carattere economicamente apprezzabile dell'utilità conseguita dal privato.
I giudici amministrativi di primo grado avevano accolto il ricorso, ritenendo che effettivamente la sottoscrizione della convenzione in questione dovesse essere preceduta dalla celebrazione di una procedura ad evidenza pubblica ai fini dell'individuazione del concessionario, e ciò per tre fondamentali ordini di ragioni:
- la convenzione è da qualificarsi giuridicamente come "un vero e proprio contratto a prestazioni corrispettive, con il quale la fondazione resistente, a fronte del pagamento di un compenso variamente articolato, ha messo a disposizione di un operatore economico la propria capacità tecnica e scientifica al fine di giungere all’elaborazione di nuovi prodotti da commercializzare, sulla base di un mero prototipo presentato dal predetto operatore”, così esulando dal concetto di mero “accordo di collaborazione scientifica”. Nell'ambito di questi ultimi, secondo i giudici amministrativi di primo grado, il soggetto pubblico è sì legittimato ad avvalersi di altri soggetti per industrializzare i risultati della sua ricerca scientifica, svolta come attività istituzionale, senza però porre la sua struttura e le sue capacità a disposizione di un particolare soggetto privato al fine di consentirgli di conseguire risultati scientifici che resteranno nell’esclusiva disponibilità del medesimo, anche per ciò che attiene alla proprietà e alla titolarità dei brevetti;
- per altra via, l'atto convenzionale impugnato è stato considerato come contratto attivo, “in forza del quale è l’amministrazione ad obbligarsi ad eseguire una serie di prestazioni in favore di un soggetto privato in cambio di un compenso variamente articolato”. Ebbene, ciò assunto, se ne è fatta derivare l'applicabilità della disciplina in tema di contratti attivi, con particolare riferimento all'art. 4 del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 s.m.i. che impone, non la stretta applicazione del Codice stesso, ma pur sempre il rispetto dei principi di “economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica”, nonchè con riferimento al disposto di cui ai r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e 23 maggio 1924. n. 827, i quali prevedono che i contratti dai quali derivi un'entrata per le pubbliche amministrazioni debbono essere preceduti da pubblici incanti;
- partendo dal presupposto per cui le fondazioni IRCCS costituiscono enti pubblici, si è osservato che tale qualificazione comporta la sottoposizione dei beni di cui esse sono titolari (nel caso, strumenti, apparecchiature, laboratori, materiali impiegati, conoscenze scientifiche, tecnologie, professionalità di cui l’ente dispone e che deve riservare al raggiungimento dei suoi scopi istituzionali) al regime del patrimonio indisponibile, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 830, comma 2 e 828, comma 2, del Codice civile, con la conseguenza che essi non possono essere sottratti alla loro destinazione di pubblico servizio, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano. In tale ottica, si è ritenuto che l'accordo in questione sia consistito, tecnicamente, in una concessione di beni pubblici, come tale sottoposta al rispetto dei principi di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento quanto alla individuazione del concessionario.
2. Il carattere aperto della ricerca scientifica in una prospettiva di "realismo giuridico".
Preliminarmente, il Consiglio di Stato è stato chiamato ad esprimersi sulla domanda di sospensione dell'efficacia della sentenza di primo grado, accogliendola (con ordinanza n. 4270 del 16 luglio 2020), nella more di ricevere dal Ministero dell'Università e Ricerca scientifica una relazione sulle prassi applicative seguite dagli IRCCS nel sottoscrivere convenzioni con enti pubblici o privati ai fini dello svolgimento delle proprie funzioni istituzionali nel campo della ricerca (ciò con riferimento al disposto di cui all'art. 8 del d.lgs. 16 ottobre 2003, n. 288, recante "Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico").
Ebbene, il Ministero, ottemperando alla richiesta istruttoria disposta dai giudici, ha evidenziato, nella propria relazione, che nel caso di sperimentazioni e validazioni su proposta del privato, nella normale prassi di tutti i centri sedi di sperimentazione clinica (IRCCS pubblici e privati, aziende ospedaliero-universitarie e altri enti del SSN), non vengono svolte procedure di evidenza pubblica, dato che tali enti sono aperti alla collaborazione con qualunque impresa che intenda condurre una sperimentazione clinica.
Tale approdo sarebbe coerente con il fatto che il Ministero della Salute "ha collocato tra le sue priorità il trasferimento tecnologico e la creazione di sinergie tra il mondo della ricerca, il settore imprenditoriale e il territorio e ha importato tali indirizzi nell'attività di promozione dell'azione degli IRCCS".
Ciò posto, si legge nella relazione che le principali tipologie in cui si può esplicare l'attività di ricerca, come evidenziato nella legge sugli IRCCS, comprendono, non solo quelle che partono da un'idea originale di proprietà dell'Istituto (generando, in questo caso, la prassi dell'evidenza pubblica), ma anche ogni iniziativa di trasferimento tecnologico in cui l'Istituto mette in campo il proprio Know-how.
Traendo spunto dalla relazione fornita dal Ministero, i giudici amministrativi d'appello hanno preso le mosse da una "prospettiva di realismo giuridico", cercando di operare una sintesi fra necessità, da un lato, di incentivare la ricerca, anche creando sinergie con gli operatori industriali del settore, e, dall'altro lato, di riconoscere e rispettare la natura pubblica dell'ente in questione nonchè del suo ruolo istituzionale, pur ricomprendente, non solo la necessità di rispetto dei principi di parità di trattamento e non discriminazione, ma anche il perseguimento dell'interesse pubblico alla massima evoluzione possibile, nelle forme previste dalla legge, degli sviluppi della ricerca, soprattutto in ambito sanitario ed in tempi di pandemia.
In tale prospettiva, è venuta in rilievo la "difficile coniugabilità del principio di concorrenzialità, e del relativo corollario dell'evidenza pubblica, con le sperimentazioni e le validazioni condotte dall'IRCCS su iniziativa del privato, aventi ad oggetto "invenzioni" suscettibili di tutela brevettuale", ovvero, più in generale, la difficoltà di conciliare attività di ricerca sanitaria e disciplina dei contratti pubblici.
Nel contesto così individuato, l'approdo fondamentale cui si è giunti nella sentenza ora in commento consiste nella constatazione per cui nel caso concreto deciso, a differenza di quanto accade normalmente in tema di appalti o concessioni, un problema di concorrenza non si porrebbe, in quanto l'attività di "colllaborazione" della struttura pubblica è aperta, nel senso di non essere limitata a favore di un solo operatore privato , essendo, viceversa, rivolta potenzialmente a tutti gli operatori interessati operanti nel campo della ricerca scientifica. In altri termini, si è accertato, a sostengo della decisione assunta, "il carattere non esclusivo o non escludente dell'accordo contestato, e l'apertura allla valutazione di altre analoghe (anche contestuali) proposte di accordo".
Ne è stata fatta conseguire la non necessaria sottoposizione di tali forme di accordo all'obbligo dell'evidenza pubblica.
Dirimente, nel ragionamento condotto dai giudici d'appello, è stata l'obiettiva valutazione dell'oggetto dell'accordo in relazione alle finalità istituzionali della fondazione e alla conseguente disciplina normativa (costituita dall'art. 8 del d.lgs. 16 ottobre 2003 n. 288), la quale individua e descrive gli strumenti funzionali al loro perseguimento, rispetto al quale diventa recessivo l'apprezzamento circa la eventuale sinallagmaticità delle prestazioni aventi carattere patrimoniale o in merito all'utilità economica conseguita dal privato.
In sostanza, tenendo conto dello specifico contesto sistematico e teleologico, si è valorizzata la missione affidata ad enti come la fondazione coinvolta nel giudizio in questione, la quale consiste nella ricerca scientifica, il cui perseguimento presuppone anche di facilitare la ricerca dei privati, così come consentito dalle norme, speciali, che regolano il rapporto pubblico-privato in tale campo.
Pertanto, dalla predetta norma si è ricavato che al fine di "attuare comuni progetti di ricerca", "praticare comuni protocolli di assistenza" ed "operare la circolazione delle conoscenze", la forma della collaborazione è sostanzialmente libera.
Ulteriore conseguenza tratta dalla prospettazione fin qui illustrata è stata l'esclusione della fattispecie esaminata dal campo di applicazione dell'art. 9 del citato d.lgs. n. 288 del 2003, che disciplina, sottoponendole all'evidenza pubblica, le attività degli IRCCS "diverse da quelle istituzionali", pur se compatibili con le finalità di ricerca proprie di tali istituti, nonchè l'impossibilità di qualificare la medesima fattispecie come concessione di bene pubblico, il che avrebbe condotto, anche per tale via, alla sottoposizione quantomeno ai principi dell'evidenza pubblica.
Alle esclusioni predette si è pervenuti, in particolare, enfatizzando l'aspetto funzionale della fattispecie, consistente nell'attività di sperimentazione, rispetto all'elemento strutturale, ovvero la asserita messa a disposizione di un complesso aziendale, valorizzato, invece dai giudici di primo grado.
3. La non applicabilità dei principi dell'evidenza pubblici ai fini della formazione di accordi di collaborazione scientifica non avente carattere escludente.
Come già evidenziato, lo spirito che ha animato i giudici amministrativi di secondo grado nell'individuare una soluzione opposta a quella raggiunta in primo grado è stato caratterizzato da una buona dose "di realismo giuridico", nell'intenzione di non imporre aggravi procedimentali rispetto alle esigenze della ricerca scientifica, le quali, peraltro, appaiono particolarmente pregnanti nel periodo caratterizzato dalla pandemia, in cui l'interesse pubblico è fortemente concentrato sulla esigenza di tutela della salute (si ricorda che la convenzione oggetto di giudizio ha riguardato test sierologici e molecolari per la diagnosi di infezione da SARS-Cov-2).
Sul piano più strettamente normativo, si può osservare, sul fronte dei contratti passivi, ovvero quelli che comportano una spesa per la pubblica amministrazione, che nel previgente Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 12 aprile 2006. n. 163, l'art. 20 sottoponeva alla disciplina del Codice stesso tutti gli appalti di servizi elencati nell’allegato II A, tra cui erano compresi i servizi di "ricerca e sviluppo" (A tal proposito, e con riferimento alle direttive previgenti, la Corte di giustizia UE, Grande sezione, 19 dicembre 2012, n. 159, in C- 159/11, in Foro amm. CdS 2012, 3098, ha chiarito, esprimendosi in una fattispecie di accordo tra enti pubblici in tema di ricerca scientifica, che “le norme del diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici non sono applicabili, a condizione che tali contratti siano stipulati esclusivamente tra enti pubblici, senza la partecipazione di una parte privata, che nessun prestatore privato sia posto in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti, e che la cooperazione da essi istituita sia retta unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d'interesse pubblico”).
Nel vigente Codice, di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 s.m.i., l'art. 158, dedicato proprio ai medesimi "servizi di ricerca e sviluppo", sempre sul fronte passivo, sottopone alla propria disciplina alcune specifiche categorie di servizi, rientranti nelle definizioni CPV quali quelli di "ricerca e sviluppo sperimentale", "di laboratorio", "di sviluppo sperimentale", apponendo però due condizioni, ovvero che i risultati appartengano esclusivamente all'amministrazione e che la prestazione del servizio sia interamente retribuita dall'amministrazione aggiudicatrice e dall'ente aggiudicatore.
Sul fronte attivo, ovvero con riferimento ai contratti da cui derivi un'entrata in capo alla pubblica amministrazione, il Codice vigente, all'art. 4, li ha sottoposti ai soli principi "di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica", così inserendo una prescrizione che, pur assente nel Codice previgente, era ed è comunque contenuta nei r.d. 18 novembre 1923, n. 244 e 23 maggio 1924. n. 827, tuttora in vigore (nessun dubbio si riscontra in giurisprudenza sulla necessità di rispetto dei principi generali predetti con riferimento ai contratti attivi stipulati dalla pubblica amministrazione: sul punto, con riferimento al vigente Codice dei contratti, cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 14 luglio 2020, n. 8066, in Foro amm., 2020, 1522; T.A.R. Sardegna, sez. I, 4 marzo 2019, n.188, ivi, 2019, 613; con riferimento ai r.d. citati: T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 6 febbraio 2019, n. 88, ivi, 304; T.A.R. Veneto, sez. I, 5 settembre 2018, n.875, in www.giustizia-amministrativi.it; T.A.R. Piemonte, sez. I, 18 dicembre 2015, n. 1749, ivi).
L'obbligo dell'evidenza pubblica è stato affermato persino con riferimento alla stipulazione dei contratti c.d. altruistici o gratuiti, ovvero quelli che comunque conferiscono ad un soggetto operante nel mercato un'opportunità di guadagno e, quindi, la possibilità di un'iniziativa economica, in astratto in grado di determinare un vantaggio competitivo (di recente, in tal senso, si v. T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 10 febbraio 2020, n. 620, in Foro amm., 2020, 340).
In definitiva, in un contesto generale che sottopone qualsiasi accordo concluso da una pubblica amministrazione, o enti assimilabili, con soggetti privati quantomeno ai principi generali in tema di contratti pubblici, risulta a questo punto emergere una tipologia di rapporto pubblico-privato che si sottrae a tale esigenza.
Si tratta degli accordi di collaborazione scientifica quale strumento attraverso il quale gli IRCCS, ai sensi dell'art. 8 del d.lgs. n. 288 del 2003, sono abilitati ad attuare “misure idonee di collegamento e sinergia con altre strutture di ricerca e di assistenza sanitaria, pubbliche e private, all'interno delle quali attuare comuni progetti di ricerca, praticare comuni protocolli di assistenza, operare la circolazione delle conoscenze e del personale con l'obiettivo di garantire al paziente le migliori condizioni assistenziali e le terapie più avanzate, nonché le ricerche pertinenti”.
La norma predetta, in particolare, in vista di una possibile produzione industriale dei risultati della ricerca, consente la formazione di accordi anche con soggetti privati, ponendo taluni vincoli (la trasparenza dei flussi finanziari e la rendicontazione, nonchè la destinazione dei proventi economici al finanziamento delle attività istituzionali della struttura pubblica), ma non prevedendo alcunchè in ordine alle modalità di individuazione della controparte contrattuale, le quali risultano libere, perlomeno laddove si tratti di accordi non escludenti, ovvero che non impediscano ad altri operatori del settore di accedere alle medesime forme di collaborazione con una struttura pubblica.
In definitiva, il punto centrale attorno a cui ruota il ragionamento condotto dai giudici d'appello, che ha condotto a risultati opposti rispetto a quelli raggiunti in primo grado, consiste nella constatazione circa il difetto del requisito della “esclusività” del rapporto che si instaura con il soggetto privato, quale presupposto fondamentale ai fini dell'applicazione delle regole, o anche solo dei principi, a seconda dei casi, in tema di evidenza pubblica.
Ebbene, la mancanza di tale presupposto è apparsa tale da rendere irrilevante, ai fini in questione, l'apprezzamento di altre circostanze, valorizzate invece in primo grado, quali, ad esempio, il carattere sinallagmatico dell'accordo o la concreta disciplina dei rapporti tra parte pubblica e privato o, ancora, l'utilità economica acquisita da quest'ultimo.
Nel quadro così delineato, si potrebbe forse aggiungere l'esigenza di fornire, da parte della pubblica amministrazione, un'adeguata motivazione circa il carattere scientifico delle collaborazioni instaurate con soggetti privati e circa la loro rispondenza all'interesse pubblico alla luce delle funzioni istituzionalmente attribuite agli IRCCS, nonché l'esigenza da parte di questi ultimi di dotarsi di una precisa regolamentazione che attesti la disponibilità e l'impegno della struttura pubblica a collaborare con tutti i soggetti privati che lo richiedano, in presenza dei necessari presupposti, con riferimento a determinate categorie di attività. Solo per tale via, appare veramente conseguibile il rispetto dei principi di imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, pubblicità che comunque devono connotare ontologicamente ed imprescindibilmente l'azione di un soggetto di natura pubblica, pure se preordinato a svolgere funzioni di ricerca scientifica anche in sinergia con soggetti privati.