Nomina dei componenti togati del Comitato Direttivo della Scuola superiore della magistratura: è l’auto-vincolo a imporre il procedimento selettivo a carattere comparativo
di Mario R. Spasiano
Sommario: 1. I contenuti della sentenza – 2. Il quadro normativo di riferimento - 3. La discrezionalità tecnica e la regola dell’auto-vincolo
1. I contenuti della sentenza
Con sentenza resa in data 11 gennaio 2021, n. 330, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha avuto occasione di occuparsi della vicenda concernente la nomina, da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, dei componenti togati del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura.
Nel giudizio di primo grado, un magistrato non risultato tra i prescelti, sulla scorta dei requisiti professionali vantati,aveva proposto ricorso al TAR Lazio adducendo plurime censure volte a sindacare l’operato del CSM per avere tale organo, a suo avviso: a) erroneamente ricostruito il suo curriculum professionale; b) prescelto magistrati in possesso di minori esperienze professionali nell’ambito della formazione, in mancanza di indicazione di specifici elementi preferenziali; c) non operato la pur necessaria valutazione comparativa, sostituendola con “una motivazione apparente e puramente assertiva” fondata su analisi parziali o persino erronee dei dati curriculari forniti dai candidati, così determinando un’evidente disparità di trattamento tra i candidati nella valutazione dei relativi requisiti; d) proceduto alle nomine senza indicare più specifici elementi motivazionali.
Il TAR Lazio, Sezione Prima, aveva accolto il ricorso in primo grado.
Il CSM proponeva appello al Consiglio di Stato che, pronunciandosi con la richiamata sentenza n. 330/2021, confermava l’esito del giudizio di primo grado.
Le doglianze di merito del CSM nel giudizio di appello si fondavano su un unico motivo, vale a dire la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26.
A questo punto, si rende necessario il richiamo del quadro normativo di riferimento.
2. Il quadro normativo di riferimento
Il d. lgs. n. 26 del 2006, intitolato “Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della L. 25 luglio 2005, n. 150”, disciplina appunto l’istituzione in questione, munita di competenza esclusiva in materia di aggiornamento e formazione dei magistrati ordinari.
Si tratta di una struttura didattica autonoma, con personalità giuridica di diritto pubblico, piena capacità di diritto privato e autonomia organizzativa, funzionale, gestionale, negoziale e contabile, secondo le disposizioni del proprio statuto e dei regolamenti interni, nel rispetto delle norme di legge.
La Scuola è preposta ad una gamma ampia di attività tutte aventi una prevalente componente di tipo formativo e tecnico-scientifico, fortemente incidenti, sotto il profilo culturale, sulla qualificazione professionale dei magistrati. Esse concernono:
a) la formazione e aggiornamento professionale dei magistrati ordinari;
b) l’organizzazione di seminari di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati e, nei casi previsti dalla lettera n), di altri operatori della giustizia;
c) la formazione iniziale e permanente della magistratura onoraria;
d) la formazione dei magistrati titolari di funzioni direttive e semi-direttive negli uffici giudiziari;
d-bis) l'organizzazione di corsi di magistrati giudicanti e requirenti che aspirano a incarichi direttivi di primo e di secondo grado;
e) la formazione dei magistrati incaricati di compiti di formazione;
f) l’attività di formazione decentrata;
g) la formazione, su richiesta della competente autorità di Governo, di magistrati stranieri in Italia o partecipanti all'attività di formazione che si svolge nell'ambito della Rete di formazione giudiziaria europea ovvero nel quadro di progetti dell'Unione europea e di altri Stati o di istituzioni internazionali, ovvero all'attuazione di programmi del Ministero degli affari esteri
e al coordinamento delle attività formative dirette ai magistrati italiani da parte di altri Stati o di istituzioni internazionali aventi ad oggetto l'organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia;
h) la collaborazione, su richiesta della competente autorità di Governo, nelle attività dirette all'organizzazione e al funzionamento del servizio giustizia in altri Paesi;
i) la realizzazione di programmi di formazione in collaborazione con analoghe strutture di altri organi istituzionali o di ordini professionali;
l) la pubblicazione di ricerche e di studi nelle materie oggetto di attività di formazione;
m) l’organizzazione di iniziative e scambi culturali, incontri di studio e ricerca, in relazione all'attività di formazione;
n) lo svolgimento, anche sulla base di specifici accordi o convenzioni che disciplinano i relativi oneri, di seminari per operatori della giustizia o iscritti alle scuole di specializzazione forense;
o) la collaborazione alle attività connesse con lo svolgimento del tirocinio dei magistrati ordinari nell'ambito delle direttive formulate dal Consiglio superiore della magistratura e tenendo conto delle proposte dei consigli giudiziari.
Organi di governo della Scuola sono il Comitato direttivo, il Presidente e il Segretario generale.
Il Comitato direttivo, in particolare, composto da dodici membri, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d. lgs. cit., “adotta e modifica lo statuto e i regolamenti interni; cura la tenuta dell'albo dei docenti; adotta e modifica, tenuto conto delle linee programmatiche proposte annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, il programma annuale dell'attività didattica; approva la relazione annuale che trasmette al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura; nomina i docenti delle singole sessioni formative, determina i criteri di ammissione ai corsi dei partecipanti e procede alle relative ammissioni; conferisce ai responsabili di settore l'incarico di curare ambiti specifici di attività; nomina il segretario generale; vigila sul corretto andamento della Scuola; approva il bilancio di previsione e il bilancio consuntivo”.
Ai sensi dell’art. 6, “Fanno parte del comitato direttivo dodici componenti di cui sette scelti fra magistrati, anche in quiescenza, che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, tre fra professori universitari, anche in quiescenza, e due fra avvocati che abbiano esercitato la professione per almeno dieci anni. Le nomine sono effettuate dal Consiglio superiore della magistratura, in ragione di sei magistrati e di un professore universitario, e dal Ministro della giustizia, in ragione di un magistrato, di due professori universitari e di due avvocati.
I magistrati ancora in servizio nominati nel comitato direttivo sono collocati fuori del ruolo organico della magistratura per tutta la durata dell'incarico (ovvero, a loro richiesta, possono usufruire di un esonero parziale dall'attività giurisdizionale nella misura determinata dal Consiglio superiore della magistratura)”.
I componenti del comitato direttivo sono nominati per un periodo di quattro anni; non possono essere immediatamente rinnovati e non possono fare parte delle commissioni di concorso per magistrato ordinario.
Essi, ai sensi dell’art. 8, esercitano le proprie funzioni in condizioni di indipendenza rispetto all'organo che li ha nominati.
3. La discrezionalità tecnica e la regola dell’auto-vincolo
Come si è fatto cenno, l’unico motivo di appello concernente il merito del giudizio, proposto dal CSM, ha riguardato la presunta violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d. lgs. n. 26 del 2006, ossia la modalità di nomina dei componenti togati spettanti allo stesso organo di autogoverno della magistratura.
E’ innanzitutto noto che il sindacato degli atti del CSM da parte della giustizia amministrativa (in particolare riguardante i provvedimenti di nomina dei magistrati a incarichi giudiziari) costituisce un tema oggetto di non recente dibattito con incerti orientamenti giurisprudenziali oscillanti tra le esigenze di difesa delle prerogative proprie di un organo a rilevanza costituzionale quale il CSM, chiamato a preservare l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, da un lato, e il rispetto dei principi propri dell’attività amministrativa di cui all’art. 97 Cost. e alla L. n. 241 del 1990, nonchè del suo sindacato, dall’altro.
Negli ultimi anni, la cresciuta sensibilità per più diffuse e penetranti esigenze di tutela giudiziaria hanno finito col prevalere, inducendo il G.A. ad affermare ormai stabilmente la legittimità di un sindacato estrinseco sugli atti del CSM, ancorché questi risultino per lo più connotati da ampia discrezionalità tecnica. Il vaglio permane dunque circoscritto alla verifica della sussistenza di profili di irragionevolezza manifesta, travisamento dei fatti o arbitrarietà[1].
Nel tornare al caso in esame, l’appello proposto dal CSM contestava che il riferimento alla “nomina”, operato dalla disposizione di cui all’art. 6 cit., imponesse di fondare l’obbligo di attivazione di una vera e propria procedura selettiva di tipo comparativo, ritenendo piuttosto che la norma avesse inteso riservare “la più ampia discrezionalità” nella “scelta” dei componenti della Scuola al fine di assumere determinazioni che consentissero di coprire tutti i settori dell’attività formativa coperti dalla Scuola, a prescindere da qualsiasi forma di selezione di candidati in possesso delle maggiori competenze nei vari contesti che “visti nell’ambito della loro coordinata attività all’interno del Comitato, potrebbero non assicurare la completezza della proposta culturale della Scuola”.
A tale argomentazione la difesa del CSM aggiungeva poi che “l’onere di una comparazione diretta ed esplicita tra i diversi aspiranti si risolverebbe in adempimento eccessivamente laborioso e defatigante, e, comecchessia, foriero di una motivazione della delibera inevitabilmente poco lineare”: quest’ultima argomentazione, appare subito da segnalare, sarebbe stato meglio non fosse stata inserita nella difesa rivelandosi, come opportunamente rilevato dal Consiglio di Stato, un “adducere inconveniens”, privo di rilievo ai fini dell’apprezzamento della legittimità amministrativa.
Ad ogni modo, il Consiglio di Stato, con la sentenza in esame, riteneva infondato il motivo di appello sulla base dell’argomentazione secondo la quale il potere di nomina di cui all’art. 6 cit. riveste un duplice carattere, strumentale (individuazione del destinatario della scelta), il primo, e formale (perfezionamento del procedimento di nomina), il secondo: nella fattispecie, si sarebbe prospettata una questione di contestuale nomina-scelta. Ad avviso del Giudice adito, tuttavia, mentre la competenza del Ministro nel procedere alle nomine dei componenti il Comitato direttivo a lui spettanti, in virtù della natura strettamente amministrativa dell’organo e della sua responsabilità politica, gli consente di operare la scelta intuitu personae (laddove l’apprezzamento del merito professionale e della capacità rispetto all’ufficio ad quem vengono rimessi all’autonomo apprezzamento discrezionale ministeriale), nel caso del CSM, organo non politico bensì di alta amministrazione di rilievo costituzionale, la relativa scelta non può essere connessa all’ufficio di destinazione, bensì alla particolare natura e struttura del CSM che, in ragione del suo carattere di organo di governo autonomo a base composta ed elettiva, gli impedisce di sottrarsi all’obbligo di operare mediante una vera e propria selezione secondo canoni di trasparenza, verificabilità, idoneità e razionalità al pari di qualsiasi attività amministrativa, con vaglio delle professionalità proposte, congrua motivazione dei provvedimenti, nel rigoroso rispetto di parametri di scelta strettamente professionali, non già di altra natura.
La prospettiva enunciata dal Consiglio di Stato, secondo la logica sulla quale essa fonda, appare chiara e coerente (non per questo necessariamente condivisibile): essa colloca a monte del ragionamento, la natura giuridica dell’organo selezionatore (il CSM), natura non politica, dalla quale fa scaturire, al di là del contenuto della disposizione normativa concernente il potere di scelta, l’obbligo di attuazione di una procedura selettiva fondata sul criterio comparativo.
L’impostazione si fonda evidentemente su un assioma (che appare invero da dimostrare) secondo cui il fattore condizionante la qualificazione di un’attività, dunque la sua sottoposizione ai canoni propri di qualsiasi attività amministrativa concernente nomine, sarebbe costituito dalla natura giuridica dell’organo che la pone in essere. Da qui, la necessaria correlazione tra profilo istituzionale (natura giuridica dell’organo) e profilo funzionale (natura dell’attività), il ché induce ad affermare consequenzialmente che mentre nel caso di un organo a natura (prevalentemente) politica, è impedito comunque al giudice addentrarsi nel sindacato delle modalità operative adottate, in quello di organo a natura non politica, la sua attività è in ogni caso sottoposta agli ordinari parametri del sindacato sull’azione amministrativa.
Il problema, evidentemente, è più complesso e non pare possa prescindere dalla considerazione della peculiare natura dell’organo di indipendenza e autonomia della magistratura, dallo specifico contenuto della disposizione attributiva del potere di scelta e finanche dalla peculiarità della nomina in questione.
Viene da chiedersi: siamo davvero certi che l’attività di un organo a rilevanza costituzionale e base elettiva quale il CSM non possa operare scelte fondate su un’amplissima discrezionalità tecnica, delimitata solo dai requisiti prescritti dalla legge? La risposta pare dover essere negativa se si voglia tener conto dell’autonomia rafforzata e garantita propria dell’organo in questione, sottoposto di certo alla legge, ma non alle procedure proprie di un qualsiasi altro organo della pubblica amministrazione. E, per converso, la natura prevalentemente (non esclusivamente) politica del Ministro può implicare che tutti i suoi atti (di nomina) siano aprioristicamente sottratti al sindacato di legittimità? Anche in questo caso la domanda appare retorica. Intanto, la lettura del testo dell’art. 6 cit. induce a rilevare che la norma detta una disciplina unica per le differenti tipologie di nomina ivi previste, sia quelle di origine CSM, sia quelle di fonte ministeriale. Ivi si definisce indifferentemente “scelta” quella operata dal CSM e dal Ministro, sulla base del possesso, da parte degli aspiranti, di un unico requisito; se la legge avesse voluto disporre in modo differenziato di certo avrebbe potuto adoperare diversa terminologia a fronte dei due distinti soggetti chiamati ad operare, il CSM e il Ministro, riservando al primo il riferimento al candidato “selezionato”. Al di là della disquisizione operata nella sentenza del Consiglio di Stato tra nomina-scelta e nomina-investitura, per tutte le nomine dei componenti il Consiglio direttivo della Scuola unico è il fattore condizionante, dovendosi in ogni caso trattare della scelta di magistrati, anche in quiescenza, che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità: null’altro. Il magistrato che versi in quella condizione e che ne faccia domanda può essere nominato componente del Consiglio direttivo laddove ritenuto adeguato. Nessun ulteriore requisito è previsto dalla disciplina e soprattutto nessun riferimento ad una procedura comparativa di selezione emerge dalla disposizione.
Sotto altro profilo appare meritevole di considerazione anche un’ulteriore circostanza, ossia che la natura e la tipologia delle attività della Scuola in questione pongono in luce che si tratta di compiti a carattere formativo, culturale, organizzativo, persino di iniziativa scientifica: un’ampia gamma di attività il cui migliore complessivo assolvimento più che essere garantito dalla compresenza di concorrenti-tipo ideali, resi tali dal possesso di corposi curriculum professionali, pare fare riferimento all’esigenza di integrazione tra competenze complementari, la cui articolata e persino differenziata acquisizione non pare poter essere conseguita sulla scorta di una unica, omogenea e burocratica procedura selettiva fondata sulla verifica del possesso del maggior numero di titoli e sulla relativa comparazione, quanto da una scelta a carattere prevalentemente fiduciario (ancorché adeguatamente motivata), nel delicato e rilevantissimo fine di comporre un gruppo composito e affiatato in grado di assolvere efficacemente il compito di governo della Scuola Superiore per la formazione dei magistrati, compito per certi versi non meno delicato e complesso di quello proprio dell’investitura di talune funzioni dirigenziali.
Per altro verso, viene anche da osservare che se fosse prescritta implicitamente una procedura selettiva a carattere comparativo, non vi sarebbe ragione in base alla quale taluni componenti del Consiglio direttivo, sol perché di nomina ministeriale ma chiamati a svolgere le medesime funzioni degli altri membri, potrebbero invece risultare il frutto di scelte intuitu personae!
Tanto non prescrive la legge e tanto non si può ritenere di imporre al CSM tanto più che il Consiglio direttivo della Scuola Superiore, alla luce della disciplina normativa vigente, costituisce organo di governo di una istituzione strumentale allo stesso CSM e alle sue politiche generali di indirizzo anche nel campo della formazione della magistratura ordinaria, un ambito nel quale proprio il rispetto della indipendenza e dell’autonomia degli organi giudiziari, richiede il riconoscimento, nell’ambito delle prescrizioni legislative, di quell’amplissimo tasso di discrezionalità necessario al suo più corretto e coerente espletamento.
Eppure, nonostante queste riflessioni, la sentenza del Consiglio di Stato perviene ad un esito assolutamente condivisibile. La sentenza in commento coglie pienamente nel segno laddove definisce decisiva, al fine del rigetto dell’appello, la circostanza che il CSM abbia ritenuto di procedimentalizzare la selezione mediante un interpello tra gli aspiranti connotato non solo da una manifestazione di disponibilità, bensì da apposite relazioni, strumentali a fornire elementi di valutazione in ordine alla “idoneità specifica a ricoprire l’incarico” con riguardo “alle esperienze maturate nella giurisdizione sia di merito, nei differenti settori di competenza”, alle “pregresse specifiche esperienze nell’attività di formazione e in attività di rilevanza organizzativa”, alla “comprovata attitudine all’approccio multidisciplinare”, alle “attività di studio e di ricerca scientifica, connesse alle attività di formazione”, al “possesso di specifiche attitudini tecniche, culturali e organizzative”, alla “comprovata conoscenza delle problematiche della didattica e della formazione professionale”, alla “conoscenza di una o più lingue straniere, attestate da idonea documentazione o da autocertificazione”.
Insomma, una vera e propria articolata serie di informazioni ovviamente corrispondenti ad altrettanti criteri selettivi che, in assenza di precetti normativi, hanno fatto sì che la disciplina rigorosa dettata dallo stesso CSM costituisse un auto-vincolo alla sua azione, con la rinunzia all’esercizio di qualsiasi forma di nomina intuitu personae.
Scelta tale strada, il principio meritocratico indicato dal CSM non poteva non guidare e persino vincolare le modalità operative conseguenti, obbligando l’organo a motivare in ordine alla loro concreta attuazione anche in termini comparativi.
Tale impostazione, come condivisibilmente affermato dal Consiglio di Stato, andava applicata sin dalla fase iniziale c.d. della scrematura dei candidati, sebbene con modalità differenti rispetto alla fase finale. Nella realtà, se nella prima parte del procedimento in effetti non è mancato, a fronte dell’interpello articolato, un primo legittimo vaglio con confronto limitato ai titoli, ciò che non ha poi (illegittimamente) avuto luogo è stato il successivo più approfondito confronto analitico tra professionalità individuate secondo quanto ci si sarebbe attesi inconsiderazione del contenuto dell’interpello operato dal CSM.
Se dunque appare condivisibile quanto sostenuto dalla difesa del CSM secondo cui la risultante di un lavoro selettivo avrebbe potuto essere una compagine di selezionati complessivamente inadeguata ad “interpretare le variegate esigenze della formazione dei magistrati”, che non rappresentasse “un equilibrio … tra le diverse istanze provenienti dall’esercizio della giurisdizione su tutto il territorio nazionale”, tale profilo avrebbe dovuto essere tenuto in considerazione a monte dal CSM, prima di auto-vincolarsi all’applicazione di criteri selettivi dai quali non ci si sarebbe poi potuti più discostare.
[1] In tal senso, tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 11/2/2016, n. 597 e 3/3/2016, n. 875; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 2/3/2018, n. 2325 e 2/12/2016, n. 12070.