Annullamento “dalla data in cui”.
(nota a Consiglio di Stato, Sez. Prima, 30 giugno 2020 n. 1233)
Andreina Scognamiglio
sommario: 1.- Il caso. 2.- VAS ed autorizzazione paesaggistica per gli interventi di taglio del bosco con finalità antincendio in zone di interesse paesaggistico ed ambientale. 3.- La modulazione temporale degli effetti della pronuncia giurisdizionale. I precedenti. 4.- La modulazione temporale degli effetti delle sentenze di annullamento. Critiche e possibili sviluppi.
1.- Il caso.
Con due delibere datate 18 marzo e 1° aprile 2019 la giunta regionale della Toscana ha approvato il “Piano specifico di prevenzione anti incendio boschivo” riguardante il tratto di pineta litoranea che va da Marina di Grosseto a Castiglione della Pescaia (c.d. “Tombolo”).
Il piano di prevenzione che prevedeva il taglio di circa il 70% dei pini e di circa l’80% del sottobosco di macchia mediterranea, sia pure limitatamente all’area interessata dall’intervento pari a circa il 15% della superficie complessiva della pineta, è stato impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato da varie associazioni ambientaliste.
Il dispositivo del parere n. 1233 reso il 30 giugno 2020 dal Consiglio di Stato è di accoglimento del ricorso “esclusivamente nei limiti e con le prescrizioni indicate in motivazione”.
In estrema sintesi, la prima Sezione ha accolto il motivo di ricorso relativo alla violazione delle norme che prescrivono l’autorizzazione paesaggistica per i piani di taglio delle foreste e dei boschi sui quali gravi un vincolo paesaggistico “provvedimentale”. Al tempo stesso, tenuto conto dell’esigenza di prevenire il grave rischio di incendi e dunque il pericolo di ingenti danni a persone e cose rappresentato dalla regione Toscana nelle sue difese, ha disposto che “il piano qui annullato rimane in vigore per il periodo di 180 giorni” ed ha prescritto alle autorità preposte di adottare in tale lasso di tempo tutte le misure e le azioni “per mettere in sicurezza il sito nonché per fronteggiare gli interventi improcrastinabili ed indifferibili relativi ad aree – soprattutto vicine ad insediamenti antropici – che presentano rischi elevati secondo la prudente e responsabile valutazione dell’amministrazione”, eventualmente anche in attuazione parziale del piano annullato.
Il parere presenta due profili di interesse.
Sul piano del diritto sostanziale, è notevole l’affermazione della necessità dell’autorizzazione paesaggistica per il taglio finalizzato alla prevenzione degli incendi boschivi laddove l’intervento riguardi boschi o foreste sottoposti a vincolo paesaggistico provvedimentale e non già a vincolo ex lege.
Sul piano processuale, il parere si inserisce nel solco della giurisprudenza favorevole a riconoscere all’autorità giudiziaria il potere di modulare gli effetti temporali delle sue decisioni e ne propone, anzi, un impiego particolarmente incisivo. Nel periodo di ultrattività del piano dichiarato illegittimo l’amministrazione è infatti espressamente invitata a darvi attuazione ponendo in essere una parte dei programmati interventi di taglio e precisamente quelli relativi alle aree maggiormente antropizzate e quindi più esposte a rischio.
2.- VAS ed autorizzazione paesaggistica per gli interventi di taglio del bosco con finalità antincendio in zone di interesse paesaggistico ed ambientale.
Con i primi due motivi di ricorso le associazioni ambientaliste avevano contestato alla Regione Toscana di avere sottoposto il Piano ad un mero studio di incidenza ambientale (VINCA) ai sensi delle direttive “Natura 2020” in luogo di una valutazione ambientale strategica (VAS) e di non avere richiesto la autorizzazione paesaggistica per l’intervento. Le censure sollevano una questione nuova e le soluzioni accolte dalla prima sezione, di rigetto del primo motivo e di accoglimento del secondo, meritano un approfondimento.
Per una migliore comprensione della vicenda è opportuno ricordare che il Piano di prevenzione AIB approvato dalla regione Toscana riguarda un’area boschiva di sicuro valore ambientale e paesaggistico. Il tratto di pineta costiera compreso tra Marina di Grosseto e Castiglione della Pescaia è classificata infatti quale “sito di importanza comunitaria” (SIC) ai sensi della c.d. direttiva habitat n. 43 del 21 maggio 1992 (92/43/CEE)[1] e “zona speciale di conservazione” (ZSC) in forza di delibere della regione Toscana[2]. Il vincolo paesaggistico è poi impresso da ben sei decreti ministeriali degli anni dal 1958 al 1967 e dal piano di indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico della Regione Toscana.
Secondo le associazioni ricorrenti, il valore ambientale del sito avrebbe richiesto la valutazione ambientale strategica (VAS), e cioè la procedura di cui agli articoli 5, 11 e 15 del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto l’articolo 5, comma 2, lett. a) e b) della legge regionale della Toscana 12 febbraio 2010, n. 10 ne prevede l’obbligatorietà per “i piani e i programmi per i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e di quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione di incidenza, ai sensi dell'art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357”.
La Sezione osserva che la norma regionale deve essere collocata nel quadro tracciato dalla disciplina nazionale relativa ai siti compresi nella rete ecologica europea denominata “Natura 2000” , Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone speciali di Conservazione (ZSC), di cui alla direttiva 92/43/CEE, sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche (“Direttiva Habitat”); Zone di Protezione Speciale (ZPS) previste dalla direttiva 79/409/CEE, ora 2009/147/CE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (“Direttiva Uccelli”)].
Il richiamo è dunque al d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, alla legge 11 febbraio 1992, n.157 e ai decreti ministeriali 3 settembre 2002 (recante “Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000”) e 17 ottobre 2007 (relativo ai criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative di detti siti) i quali rendono obbligatoria la sola preventiva valutazione di incidenza ambientale (di cui all’articolo 6, comma 3 della direttiva habitat) per i piani o i progetti che possano pregiudicare significativamente il sito.
In senso contrario, si potrebbe sostenere che la normativa regionale prevale in quanto la procedura di VAS, in luogo della VINCA, assicura un più elevato livello di tutela all’interesse ambientale.
L’argomento non è invero preso in considerazione dalla Sezione I la quale rinviene ulteriore e diretta conferma della tesi accolta nelle direttive europee e nell’art. 6, comma 4 lett. c-bis) del d.lgs. n. 152 del 2006[3] che esclude l’obbligatorietà della VAS per “i piani di gestione forestale o strumenti equivalenti riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale” (quale è appunto il piano specifico di prevenzione AIB). La norma di cui alla lett. c-bis) assume un carattere derogatorio rispetto al principio della obbligatorietà della VAS sancita dalle precedenti lett. a) e b) dello stesso art. 6 anche per tutti i piani ed i programmi relativi ai settori agricolo e forestale e tale carattere ne impone la prevalenza.
In effetti, contemplando la lett. c-bis) una ipotesi specifica (quella dei piani di gestione forestale o strumenti equivalenti riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale), si deve ritenere che la comparazione tra l’interesse alla realizzazione di una pratica che può essere inclusa tra quelle di buona gestione del territorio e l’interesse ambientale è stata operata direttamente dal legislatore e che questi ha ritenuto sufficiente lo strumento meno oneroso e meno complesso della valutazione ambientale strategica.
Per quanto riguarda l’aspetto paesaggistico, il parere si pronuncia su di una questione di grande interesse: se il piano specifico di prevenzione anti incendio boschivo sia soggetto all’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” oppure rientri nell’ambito di applicabilità dell’art. 149, comma 1, lett. c) del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (d.,lgs. 42/2004), intitolato “interventi non soggetti ad autorizzazione”. Quest’ultima disposizione sottrae alla previa autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 dello stesso codice le normali pratiche inerenti all’attività agro-silvo-pastorale, e cioè il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione, anche laddove detti interventi siano eseguiti “nei boschi e nelle foreste indicati dall’art. 142, comma 1, lett. g)”.
La risposta all’interrogativo sopra sintetizzato è rintracciata nella distinzione tra vincolo paesaggistico ex lege e vincolo paesaggistico impresso da provvedimento amministrativo e dunque tra boschi e foreste soggetti a tutela in quanto ricadenti nella previsione generale dell’art. 142 del Codice e quelli oggetto di provvedimento costitutivo di vincolo.
L’art. 149, nell’escludere la necessità dell’autorizzazione paesaggistica per determinati interventi di silvicoltura, circoscrive espressamente la propria portata applicativa alla prima categoria ( e cioè ai boschi e alle foreste indicati dall’art. 142, comma 1, lett. g) ). Sicché la Sezione conclude che per i boschi e le foreste sui quali il vincolo paesaggistico sia impresso da provvedimento amministrativo resta valido il regime generale di cui all’art. 146 il quale, come è noto, richiede l’autorizzazione per ogni intervento che riguardi il bene dichiarato di interesse paesaggistico.
La specifica questione esaminata nel parere è nuova e non risultano precedenti in termini.
Tuttavia la soluzione adottata si inscrive in un indirizzo giurisprudenziale alquanto consolidato che, pur ponendosi in un’ottica di bilanciamento dei compositi interessi ambientali, paesaggistici e produttivi che fanno capo al patrimonio agro-forestale nazionale, avverte l’esigenza di tenere in dovuto conto le esigenze legate alla silvicoltura e all’agricoltura anche in base alla considerazione, del tutto condivisibile, che una compressione eccessiva delle facoltà proprietarie otterrebbe il controproducente effetto di una disincentivazione della pratica agricola con effetti negativi paradossali sulla buona manutenzione del territorio.
Il regime autorizzatorio è allora fatto salvo solo laddove “un vincolo paesaggistico sia stato introdotto proprio per salvaguardare una specifica presenza di piantagioni, quali elementi costitutivi essenziali della tipicità di un certo e qualificato paesaggio agrario”[4].
In linea di continuità con detto indirizzo il parere delimita l’ambito di applicazione del regime di autorizzazione paesaggistica sulla base di un’interpretazione sistematica degli artt. 149, comma 1, lett. b) e c), 134, 136 e 142 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio.
Gli interventi sottratti all’autorizzazione paesaggistica sono quelli “inerenti l’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio” (art. 149, comma 1, lett. b)) e quelli consistenti nel taglio colturale, nella forestazione, nella riforestazione, in opere di bonifica, anincendio e di conservazione, a condizione che questi siano eseguiti nei boschi e nelle foreste vincolati per legge in quanto “territori coperti da boschi e foreste” (art. 149, comma 1, lett. b) e art. 142, comma 1, lett. g) .
L’ambito di applicabilità del regime della autorizzazione paesaggistica risulta in definitiva ristretto agli interventi della seconda categoria (e cioè quelli di cui all’art. 149, comma 1, lett. c) laddove questi debbano essere eseguiti su boschi e foreste vincolati con apposito provvedimento amministrativo che ne abbia accertato lo specifico valore paesaggistico, come è appunto il caso della pineta del Tombolo.
3.- La modulazione temporale degli effetti della pronuncia giurisdizionale. I precedenti. L’aspetto più significativo della pronuncia in commento riguarda senza dubbio il versante processuale. Accertata la fondatezza delle censure formulate dalle associazioni, e quindi l’illegittimità del piano, il parere prescrive che l’annullamento degli atti dichiarati illegittimi decorra solo dall’approvazione del nuovo piano antincendi “da disporsi entro 180 giorni dalla comunicazione del decreto che decide il ricorso”. Il lasso temporale di ultrattività del piano è concesso all’amministrazione regionale all’esplicito fine - e con la prescrizione - di adottare tutte le misure di prevenzione del pericolo di incendi che la stessa reputi necessarie alla messa in sicurezza del sito e alla salvaguardia dell’incolumità delle persone e dei beni maggiormente minacciati dal pericolo di incendi.
La modulazione degli effetti caducatori del decreto decisorio del ricorso straordinario - ed il rinvio degli stessi alla scadenza del termine concesso alla Regione Toscana per adottare un nuovo piano - consente al Collegio di fornire comunque una risposta alle preoccupazioni manifestate dall’amministrazione resistente. Questa aveva avvertito come la mancata tempestiva attuazione delle misure disposte dal piano avrebbe esposto la pineta al rischio “sempre più urgente e pressante di devastanti incendi boschivi, molto probabili (se non addirittura inevitabili) a causa del mutamento climatico”.
Come è noto l’orientamento favorevole all’utilizzo della tecnica della modulazione temporale degli effetti della pronuncia giurisdizionale ha matrice essenzialmente giurisprudenziale. Sul versante della giustizia amministrativa fa capo a due pronunce, invero non del tutto isolate, che sono entrambe richiamate nel parere esaminato nella presente nota.
Con la sentenza 10 maggio 2011, n. 2755, la Sezione VI, accertata l’illegittimità del piano faunistico venatorio della Regione Puglia, ne aveva disposto l’annullamento con effetto a far data dalla adozione del nuovo piano. In quel caso con la pronuncia caducatoria de futuro si era inteso salvaguardare proprio l’interesse alla protezione della fauna selvatica, e dunque l’interesse delle associazioni ricorrenti, che paradossalmente sarebbe stato compromesso dal richiesto annullamento poiché, nelle more dell’adozione del nuovo piano, ogni restrizione dell’attività venatoria sarebbe venuta meno.
La sentenza 22 dicembre 2017, n. 13 dell’Adunanza Plenaria, risolta invece in senso difforme rispetto ad una giurisprudenza alquanto consolidata la questione di diritto della natura ordinatoria o perentoria del termine di 180 giorni concesso alle soprintendenze per esprimersi sulla proposta di dichiarazione di notevole interesse paesaggistico-culturale[5], aveva deciso il caso sottoposto al suo esame secondo la regola risultante dal precedente indirizzo ed aveva rinviato l’applicabilità dell’interpretazione ritenuta conforme a diritto a partire dal centottantesimo giorno dalla pubblicazione della decisione[6].
Le due sentenze, pur riconoscendo entrambe il potere del giudice di modulare gli effetti temporali delle proprie pronunce in funzione della migliore tutela, o di un non eccessivo sacrificio, degli interessi presenti in giudizio, si riferiscono a due situazioni notevolmente diverse. Nell’un caso, quello deciso dalla Sezione VI, il rinvio a data futura incide sull’effetto caducatorio della pronuncia che è comunque adottata secondo la regola ritenuta conforme a diritto. Nell’altro, il rinvio a data futura riguarda lo stesso effetto dichiarativo o di accertamento della sentenza la quale va a dirimere la concreta controversia secondo una regola che lo stesso giudice afferma non rispondente a diritto e a giustizia[7].
Qui la Sezione I decide la controversia secondo la regola ritenuta conforme a diritto e di conseguenza si pronuncia per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento del Piano con la prescrizione, però, che questo decorra a far data dal centottantesimo giorno dalla comunicazione del decreto decisorio e che l’amministrazione attui parzialmente il piano nel suo periodo di ultra efficacia. Queste caratteristiche collocano chiaramente il parere in esame nel solco aperto dal precedente del 2011. La tecnica impiegata in questo caso dai giudici è quella della “mera” modulazione temporale dell’effetto di annullamento e non già quella del prospective overruling. Correttamente il parere si riallaccia alla prima decisione e ne verifica l’ammissibilità alla stregua del nostro ordinamento.
4.- La modulazione temporale degli effetti delle sentenze di annullamento. Critiche e possibili sviluppi.
Il parere ha piena consapevolezza delle critiche mosse dalla dottrina pressoché unanime[8] alla sperimentazione di percorsi di “ingegneria processuale” che giustificano la gradazione nel tempo dell’effetto demolitorio della pronuncia di annullamento, a partire dalla sentenza 2755/2011, e tuttavia di quell’indirizzo ribadisce le motivazioni: il richiamo al diritto europeo e l’esigenza di effettività della tutela dell’interesse sostanziale sotteso al ricorso.
All’argomento fondato sul diritto europeo e sull’art. 264 del TFUE, che attribuisce alla Corte di giustizia un certo margine di discrezionalità nella modulazione temporale degli effetti della pronuncia di nullità correttamente, la dottrina[9]ha opposto che quanto previsto dal diritto europeo non può essere utilizzato per provare il potere del giudice nazionale di disporre degli effetti demolitori della propria pronuncia di accoglimento. Le regole proprie del processo dinanzi alla Corte di Giustizia valgono appunto per quel processo e non incidono sull’esercizio della potestà giurisdizionale da parte del giudice nazionale.
Le repliche che il parere muove all’obiezione dottrinale sono poco convincenti.
Del resto la stessa Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla questione dei caratteri che deve presentare un “efficace meccanismo di ricorso” - in un caso in cui il diritto europeo ne prevedeva l’obbligatorietà -, ha escluso che l’espressione implichi una presa di posizione del diritto europeo riguardo alla decorrenza ex tunc o ex nuncdi una sentenza di annullamento che è materia in linea di principio rimessa alla autonomia procedurale degli Stati membri[10].
Le ulteriori critiche alla tesi della disponibilità della decorrenza temporale dell’effetto caducatorio fanno leva sul contenuto tipico dell’azione e della pronuncia di annullamento nonché sull’art. 113 Cost. il quale riserva alla legge di statuire in merito “ai casi ed agli effetti” dell’annullamento stesso.
Gli argomenti sono attentamente analizzati dalla Sezione. Le obiezioni, in questo caso, sembrano pertinenti laddove si osserva che in realtà nessuna norma sostanziale o processuale disciplina il contenuto tipico della sentenza di annullamento e la decorrenza degli effetti.
Alla tesi della tipicità e della riserva di legge è opposta la suggestiva formula della “atipicità dell’apparato rimediale”. Questo – non regolato espressamente dalla legge – è disponibile per il giudice, il quale discrezionalmente “cuce” il rimedio sulle esigenze di tutela degli interessi fatti valere in giudizio.
Si arriva così all’interrogativo cruciale e a quello che, a mio avviso, è il vero punto debole della giurisprudenza “innovativa”. L’interrogativo è se, una volta ammesso il potere del giudice di modulare gli effetti demolitori della sentenza, poiché l’apparato rimediale è atipico, siffatto potere sia esercitabile dal giudice d’ufficio oppure su domanda di parte e, nel secondo caso, se su domanda del solo ricorrente o anche dell’amministrazione convenuta e, più in generale, delle parti resistenti.
Commentando favorevolmente una sentenza del Consiglio di stato[11] nella quale i giudici avevano fatto ancora una volta uso del potere di modulare gli effetti temporali della sentenza annullando il decreto di scioglimento di un consiglio comunale con effetti non retroattivi, autorevole dottrina[12] aveva osservato che la limitazione temporale dell’efficacia dell’annullamento era stata correttamente pronunciata in quanto espressamente richiesta dalla parte ricorrente.
La soluzione di individuare nel principio della domanda e in quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato la linea di discrimine tra un utilizzo consentito ed un utilizzo improprio del potere di modulare gli effetti temporali dell’annullamento è, a mio avviso, condivisibile.
Ad apparire incompatibile con i principi propri del processo amministrativo come processo di parti retto dal principio dispositivo è proprio l’esercizio officioso del potere di modulare l’effetto caducatorio sull“autentico interesse delle parti” come individuato dallo stesso giudice. Di detto interesse – invece - solo le parti sono interpreti.
Perché il giudice possa pronunciare la decorrenza dell’annullamento ex tunc, ex nunc o “dalla data in cui” è essenziale che le parti manifestino un interesse in tal senso. Le parti, dunque la parte ricorrente o l’amministrazione resistente [13] che – come nel caso di specie – ben potrebbe rappresentare al giudice l’eccessiva compromissione dell’interesse generale che l’annullamento retroattivo comporta e ne faccia però esplicita richiesta.
[1] La Direttiva del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, nota anche come Direttiva “Habitat”, recepita in Italia dal d.p.r. 8 settembre 1997, n. 357 nel 1997, Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, ha lo scopo di promuovere la conservazione degli habitat naturali sul territorio europeo a fini di mantenimento della biodiversità.
[2] La classificazione accerta il valore ambientale dell’area in forza del contributo offerto al mantenimento della biodiversità della regione in cui si trova e comporta l’assoggettamento a procedura di valutazione di incidenza ambientale di tutti i piani ed i progetti che possano avere incidenze significative sul sito e che non siano direttamente connessi e necessari alla loro gestione.
[3] La disposizione è stata introdotta nel testo unico delle norme in materia ambientale dal d.l. 3 novembre 2008, n. 171, conv. in l. 30 dicembre 2008, n. 205 che è finalizzato al sostegno del settore agricolo.
[4] Così Cons. stato, VI, 20 luglio 2018, n. 4416. La sentenza afferma che non rientrano nella particolare esenzione dell'art. 149, comma 1, lett. b) D.Lgs. n. 42 del 2004, gli interventi su elementi arborei del paesaggio vincolato per i quali la valutazione di compatibilità paesaggistica resta necessaria. Analogamente la sentenza di Cons. stato, sez. VI, 2 dicembre 2019, n. 8242 per la quale la normativa di cui all'art. 149 del D.Lgs. n. 42/2004 ha escluso dall'ambito di applicazione dell'autorizzazione paesaggistica le attività, quali il taglio colturale, che rappresentano opere di manutenzione delle aree boscate atteso che la nozione di bosco non è in alcun modo riducibile a quella di un insieme di alberi.
[5] O meglio sulla natura decadenziale o meno del termine di efficacia delle misure di salvaguardia collegate alla proposta medesima.
[6] In modo da accordare alle soprintendenze il lasso di tempo necessario ad esprimersi sulle proposte di vincolo già presentate e che altrimenti sarebbero immediatamente decadute.
[7] In questo aspetto a. gambaro, La funzione della responsabilità civile tra diritto giurisprudenziale e dialoghi transnazionali, in Nuova giur. civ., 2017, fasc. 10, 1405 coglie l’aspetto un po’ paradossale del c.d. prospective overruling.
[8] Vedi: a. travi, Accoglimento dell’impugnazione di un provvedimento e “non annullamento” dell’atto illegittimo, in Urbanistica e appalti, 2011, fasc. 8, 937 e e. follieri, L’ingegneria processuale del Consiglio di stato, in Giur. it., 2012, II, c. 438. In termini critici anche r. villata, Ancora spigolature sul nuovo processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2011, 857, c. e. gallo, I poteri del giudice amministrativo in ordine alle proprie sentenze di annullamento, ivi, 2012, 285, l. bertonazzi, Sentenza che accoglie l’azione di annullamento amputata dell’effetto eliminatorio, ivi, 1134, r. dipace, L’annullamento tra tradizione e innovazione: la problematica flessibilità dei poteri del giudice amministrativo, ivi, 325.
[9] In particolare a. travi, Accoglimento dell’impugnazione di un provvedimento e “non annullamento” dell’atto illegittimo
[10] Corte di Giustizia, 13 ottobre 2916, C-231/2015 Prezes Urzędu Komunikacji Elektronicznej e Petrotel sp. z o.o. w Płocku contro Polkomtel sp. z o.o.
[11] Cons. Stato, Sez. III, 24 febbraio 2016, n. 748.
[12] f. g. scoca, Scioglimento di organi elettivi per condizionamento della criminalità organizzata, in Giur. it., 2016, VII, 1722.
[13] In senso contrario, su questo punto, f. g. scoca, Scioglimento di organi elettivi, per il quale il petitum e la sua delimitazione competono esclusivamente alla parte attrice e possono essere integrati solo se le altre parti, proponendo ricorso incidentale, si fanno anch’esse parti attrici. L’obiezione a mio avviso risponde ad un’idea eccessivamente rigida del thema decidendum alla cui individuazione concorrono anche le parti convenute, anche con strumenti diversi dalla proposizione del ricorso incidentale, ad esempio formulando eccezioni sulle quali il giudice è comunque tenuto a pronunciarsi.