Conferimento di incarichi del CSM e giudice amministrativo: il lungo addio dall’ineffettività della tutela (Nota a Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2020, n. 4584)
di Giuseppe Tropea
Sommario: 1. Premessa - 2. La vicenda contenziosa e la decisione del Consiglio di Stato - 3. Il sindacato giurisdizionale (apparentemente) “debole” sui provvedimenti di conferimento di incarichi del CSM - 4. Il problema della conformazione al giudicato di annullamento e i persistenti limiti all’ottemperanza.
1. Premessa
In un momento particolarmente delicato per l’organo di autogoverno della magistratura, come per la magistratura tutta, leggere la sentenza che si annota fa venire alla mente l’osservazione fatta sul Conseil d’État francese da un importante etnografo che ha avuto il privilegio di assistere per un certo numero di mesi alle riunioni dell’organo: «Se cedono di un pollice, l’amministrazione, un po' alla volta, eroderà il loro potere; se fanno infuriare troppo l’amministrazione, essa li ignorerà o li accerchierà»[1]. Del resto, più di recente, anche per l’Italia si è messa in luce la delicata «tripolarità» giudice-legislatore-esecutivo e il ruolo strategico svolto dal nostro Consiglio di Stato[2].
La controversa questione del sindacato sugli atti volti al conferimento di incarichi direttivi o semidirettivi da parte del CSM riflette alla perfezione tali tensioni, ponendosi al crocevia di principi fondamentali quali la legalità e l’effettività della tutela da un lato, la separazione dei poteri dell’altro.
Non è in questione l’an del sindacato giurisdizionale ma il quomodo[3]. Le delibere del CSM, infatti, non si sottraggono al sindacato di legittimità, ai sensi dell’art. 17 l. n. 195/195, nonché a quello di merito, nell’ambito del giudizio di ottemperanza.
La Corte costituzionale ha confermato la legittimità di entrambe le scelte.
Ha ritenuto, infatti, attuazione dell’art. 24 Cost. l’impugnabilità anche degli atti di un organo di garanzia quale il CSM[4], e ha quindi ammesso l’esperibilità del giudizio di ottemperanza delle sentenze di annullamento delle deliberazioni consiliari nell’ambito di un conflitto di attribuzioni proposto dall’organo di autogoverno[5], poiché le competenze che discendono dall’art. 105 Cost. non possono comportare franchigie dell’attività di detto organo dal sindacato giurisdizionale, sia per il principio di legalità dell’azione amministrativa (artt. 97, 98 e 28 Cost.) che per il principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24, 101, 103 e 113 Cost.).
Nonostante i dubbi che in passato sono stati avanzati sull’indipendenza dell’organo giurisdizionale e sull’opportunità che fosse a questo devoluto tale tipo di contenzioso (giudicandosi inopportuno il controllo del giudice amministrativo in ragione della nomina governativa di una parte dei membri del Consiglio di Stato[6]), quest’ultimo ha invece dimostrato – una volta di più – di poter ben svolgere tale delicato ruolo, confermando l’idea secondo cui in un moderno Stato di diritto non vi sono organi sottratti a forme di controllo di natura politica o giuridica, compresi gli organi posti al vertice dello Stato, che si controllano reciprocamente per assicurare l’equilibrio tra i poteri[7].
2. La vicenda contenziosa e la decisione del Consiglio di Stato
La vicenda, nel confermare tali assunti di base, riflette un contenzioso piuttosto comune e diffuso in materia, e può essere compendiata nel modo che segue.
Il CSM decide di conferire l’ufficio direttivo superiore di Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione a D.C., magistrato ordinario di settima valutazione di professionalità, preferendo questi a P.D., Presidente Aggiunto della Corte di cassazione. P.D. impugna tale determinazione al Tar Lazio, giudice di primo grado funzionalmente competente ex art. 135 c.p.a., che respinge il ricorso ritenendo che nei casi in questione sia sufficiente l’utilizzo di formule sintetiche, che facciano emergere gli snodi fondanti del giudizio di prevalenza. Il giudice d’appello, dopo aver premesso il principio consolidato secondo cui in materia il CSM è titolare di ampia discrezionalità, il cui contenuto resta estraneo al sindacato di legittimità del giudice amministrativo salvo che per irragionevolezza, omissione o travisamento dei fatti, arbitrarietà o difetto di motivazione[8], effettua un (apparente) “scarto” argomentativo di notevole peso e richiede un «particolare obbligo di motivazione» per l’importanza del posto in concorso, gli eccellenti profili dei candidati e la rilevanza dei loro curricula. In buona sostanza: «quanto maggiore è il rilievo istituzionale dell’incarico messo a concorso, tanto più pregante, puntuale, approfondita e precisa dev’essere la motivazione a supporto del provvedimento di nomina».
In tal modo si perviene a ribaltare la sentenza di primo grado, palesandosi un vizio di motivazione sul profilo professionale di P.D., anche in relazione ai criteri generali di autovincolo[9] che il CSM si è dato nel 2015 con riferimento alla dirigenza giudiziaria (circolare del 28 luglio 2015 del CSM). Ciò avviene essenzialmente su due fronti: i) con riguardo alle attitudini di P.D. derivanti dalla partecipazione alle Sezioni Unite penali (dunque alle funzione nomofilattica cd. “rafforzata”), alle quali si è attribuito un peso minore rispetto all’incarico di D.C. di vice direttore dell’Ufficio del Massimario, ufficio che ha solo una funzione strumentale di studio e informazione; ii) con riguardo all’improprio peso dato dal CSM allo svolgimento di pur rilevanti incarichi istituzionali fuori ruolo di D.C.
3. Il sindacato giurisdizionale (apparentemente) “debole” sui provvedimenti di conferimento di incarichi del CSM
Lungi dall’effettuare in questa sede un approfondimento sulla natura giuridica degli atti di conferimento degli uffici direttivi e semidirettivi[10], ci si limita ad osservare che comunemente essi si ritengono atti di alta amministrazione; del resto, lo stesso CSM è stato definito quale organo di alta amministrazione, o quale organo costituzionale chiamato ad esercitare funzioni amministrative e, in alcuni casi, di alta amministrazione.
D’altra parte, venendo immediatamente al fronte caldo del sindacato, anche il richiamo fatto in limine dal Consiglio di Stato all’ampia discrezionalità di tali atti pare evocare la perplessa categoria dell’atto di alta amministrazione[11]. Senonché, anche in passato il giudice amministrativo non si è sottratto ad un controllo assai penetrante nei confronti delle delibere del CSM, controllo tanto più approfondito quanto più precisi si sono rivelati i criteri elaborati dal Consiglio nell’esercizio della sua funzione paranormativa, la quale ha limitato grandemente quell’alta discrezionalità a cui il giudice amministrativo ha più volte fatto cenno nelle sue pronunce.
Per questa ragione c’è chi ha dubitato che la categoria della discrezionalità sia appropriata con riferimento all’attività del CSM di scelta dei capi degli uffici giudiziari e che il sindacato del giudice amministrativo sulle nomine sia, al di là delle formule tralaticie, un effettivo sindacato sulla discrezionalità[12]. In questo senso, poiché il criterio scelto per il conferimento dell’incarico è meritocratico e non fiduciario (v. T.U. sulla dirigenza giudiziaria del 28 luglio 2015), allora la scelta deve avvenire mediante valutazione comparativa, con criteri predeterminati, finalizzati a pervenire alla selezione del migliore con scarsi margini di opinabilità, che comunque compendiano non già una scelta di opportunità o merito amministrativo, ma un’attività di giudizio comparativo.
Anche qui si apre, come nel borgesiano giardino, una serie infinita di sentieri che si biforcano, per tutti quello che ci porta al tema sconfinato del sindacato sulla discrezionalità. Ci limitiamo a chiosare come, se è ben noto che la nostra dottrina discuta dell’esistenza di atti vincolati, sicché non vi sarebbe nulla di strano nel qualificare tutti gli atti amministrativi come discrezionali, tuttavia, altro è ritenere che tutti i provvedimenti contengano un margine di scelta ed altro è considerare i contenuti di questa scelta sempre ed invariabilmente non sindacabili da parte del giudice se non per ragione di errori macroscopici[13]. Sul punto, basti ricordare come, in materia antitrust, nel recente caso La Roche-Novartis il Consiglio di Stato ha introdotto il criterio di scrutinio della «maggiore attendibilità» (in luogo del precedente sindacato basato sulla semplice attendibilità) in relazione ai provvedimenti dell’Autorità che comportano la decifrazione dei c.d. concetti giuridici indeterminati e l’applicazione regole derivanti da scienze tecniche opinabili[14].
Non serve tuttavia indugiare su tali questioni di ordine generale.
Il sindacato sul vizio di motivazione, nel nostro caso, ha consentito e consente al giudice amministrativo un importante controllo sulle decisioni del CSM, dimostrando, una volta di più, come la motivazione del provvedimento sia «presupposto, fondamento, baricentro ed essenza stessa del legittimo potere amministrativo e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile…»[15], contro ogni tendenza che ne predica la dequotazione, magari evocando l’art. 21-octies, co. 2, l. n. 241/1990[16].
La stessa giurisprudenza delle Sezioni unite, nel definire il confine del sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti del CSM in materia di incarichi direttivi, sembra muoversi sul crinale del distinguo tra sindacato sui criteri e sindacato sul modo in cui i criteri sono applicati in concreto: «per non eccedere dai limiti della propria giurisdizione il giudice amministrativo, chiamato a vagliare la legittimità di una deliberazione con cui il CSM ha conferito un incarico direttivo, deve astenersi dal censurare i criteri di valutazione adottati dall'amministrazione e la scelta degli elementi ai quali la stessa amministrazione ha inteso dare peso, ma può annullare tale deliberazione per vizio di eccesso di potere, desunto dall'insufficienza o dalla contraddittorietà logica della motivazione in base alla quale il CSM ha dato conto del modo in cui, nel caso concreto, gli stessi criteri da esso enunciati sono stati applicati per soppesare la posizione di contrapposti candidati»[17].
Anche per queste ragioni, la scelta parlamentare di non convertire in parte qua il d.l. n. 90/2014 che limitava il sindacato di tali atti all’eccesso di potere “manifesto” appare certamente condivisibile, nella misura in cui ha evitato una probabile declaratoria di incostituzionalità della norma per contrasto con il chiaro disposto dell’art. 113, co. 2, Cost.[18]
4. Il problema della conformazione al giudicato di annullamento e i persistenti limiti all’ottemperanza
Nel caso di specie, peraltro, non ha avuto modo di porsi il vero problema che negli anni ha riguardato tali vicende: il vincolo conformativo del giudicato di annullamento per difetto di motivazione.
Difatti l’appellato, D.C., è stato recentemente collocato a riposo per limiti di età, circostanza che gli è di ostacolo al partecipare utilmente al rinnovando giudizio comparativo circa l’accertato vizio di motivazione, che, come puntualizzato dal Consiglio di Stato, comporta l’obbligo di riprovvedere tenendo conto degli specifici motivi che hanno determinato l’annullamento, ferma restando la piena (ed esclusiva) discrezionalità delle valutazioni di merito sulla prevalenza di un candidato rispetto agli altri.
In buona sostanza ciò non è nel nostro caso possibile, almeno con riguardo all’appellato, in capo al quale vengono conservati gli effetti medio tempore prodotti dagli atti impugnati, tra cui quelli sul trattamento economico percepito e sulla quantificazione dei provvedimenti accessori o consequenziali, richiamandosi il principio discendente dall’art. 2126 c.c. e la giurisprudenza – per vero perplessa e discutibile – sulla modulabilità dell’efficacia temporale delle sentenze di annullamento del giudice amministrativo.
Al netto di tale riferimento, la vicenda concreta esclude la configurabilità di quello che, negli ultimi anni, è stato il vero “capo delle tempeste”, non solo strettamente giuridico, ovvero il tema dell’ottemperanza da parte del CSM di tali sentenze di annullamento.
Da un lato sul punto si è osservato che da un giudicato di annullamento per difetto di motivazione «deriva l’obbligo per l’amministrazione di rinnovare il potere esercitato in modo illegittimo, ora deprivato delle ragioni invalidanti, e cioè attraverso una motivazione che risulti adeguata e sufficiente rispetto ai presupposti sostanziali che erano stati presi in valutazione. Nel rinnovare il giudizio, l’Amministrazione deve sottrarsi al sospetto di elusione mediante la ricerca di un’addizione motivazionale sostitutiva, da applicare a una decisione sostanziale che resta in realtà già preacquisita: addizione semplicemente surrogatoria di quella precedente dichiarata illegittima e dunque venuta meno. Con ciò obliterando che – specie dopo l’innovazione dell’art. 3 l. n. 241 del 1990, che ha elevato il vizio di motivazione a violazione di legge, vale a dire a difetto di un elemento strutturale del provvedimento – la motivazione compone una caratteristica fondativa e intrinseca dell’atto, perché esterna il plausibile ragionamento che ha mosso e condotto l’amministrazione alla scelta: e con cui l’amministrazione esprime, a giustificazione e trasparenza del proprio operato, la scelta fatta che incide sui destinatari della sua azione. Questo significa che non è legittimo, nel caso di intervenuto annullamento giurisdizionale per un vizio di motivazione, semplicemente sostituire una motivazione con un’altra del tutto nuova che, in surroga dell’illegittima, automaticamente conduca al medesimo risultato pratico, quasi si tratti di elementi estrinseci e aggiuntivi all’atto, fungibili o intercambiabili. Al contrario, occorre ripercorrere l’intero ragionamento alla base delle valutazioni già fatte, espungendone quanto accertato illegittimo e valutando quanto residua di ciò che era stato acquisito: che è ciò di cui l’amministrazione era adeguatamente a conoscenza e responsabilmente stimava rilevante al momento delle sue determinazioni. Vero è che l’annullamento giurisdizionale cassa l’atto illegittimo: ma ciò avviene per specifiche e circoscritte ragioni di accertata illegittimità, che verrebbero vanificate se all’amministrazione fosse dato – come fosse stata introdotta una tabula rasa - di dismettere la considerazione della rilevanza da essa già responsabilmente data agli altri, non illegittimi, elementi che aveva assunto da ponderare ai fini decisori, per sostituirli con altri e nuovi elementi, dando luogo ad una banalizzazione, potenzialmente ad infinitum, del vizio di motivazione definitivamente accertato in giustizia»[19].
D’altro canto, come noto, con una molto discutibile sentenza, si è ritenuto che in sede di ottemperanza a un giudicato di annullamento di incarico direttivo, il giudice amministrativo non possa ordinare al CSM di provvedere alla nomina “ora per allora” essendovi la impossibilità fattuale che il nominato prendesse servizio[20]. In quel caso le Sezioni unite ritennero esservi una particolare ipotesi di travalicamento dei limiti esterni della giurisdizione allorché il giudice amministrativo conformi l’agire della pubblica amministrazione in un contenuto «impossibile» essendo la vicenda ormai «chiusa» con il definitivo accertamento dell'illegittimità del provvedimento annullato in sede di cognizione e non sussistendo più le condizioni perché la pubblica amministrazione possa provvedere ancora sicché la tutela dell'interesse legittimo violato, non più realizzabile nella forma (specifica) dell'ottemperanza, è indirizzata verso quella compensativa e risarcitoria.
Tale decisione, comunque, appare oggi nettamente smentita dalla rigorosa, e condivisibile, presa di posizione di Corte cost., n. 6/2018, in tema di ambito dei limiti “interni” ed “esterni” della giurisdizione, ed inoltre, nel merito, si pone in contrasto con la giurisprudenza maggioritaria che riconosce ampi margini di persistenza dell’interesse, morale e/o risarcitorio, nonostante il sopravvenuto pensionamento del ricorrente.
Il caso in esame è comunque inverso, posto che il collocamento a riposo ha riguardato l’appellato e non già l’appellante.
Sicché il problema non si pone.
Questo non significa che, quanto all’ottemperanza, non restino aperte delle importanti questioni. Si è già detto della mancata conversione del d.l. n. 90/2014 in punto di sindacato sull’eccesso di potere “manifesto”. Si deve qui rammentare, però, che la l. n. 114/2014 ha introdotto delle modifiche all’art. 17, co. 2, l. n. 195/1958, determinando un notevole temperamento dei poteri del giudice dell’ottemperanza in relazione ai provvedimenti di conferimento ai magistrati ordinari degli uffici direttivi e semidirettivi.
In particolare, si stabilisce che il giudice amministrativo, nel caso di azione di ottemperanza, qualora sia accolto il ricorso, ordina l’ottemperanza ed assegna al Consiglio superiore un termine per provvedere. Non si applicano le lett. a) e c) dell’art. 114, c. 4, c.p.a. La dichiarata inapplicabilità dell’art. 114, c. 4, lett. a), c.p.a., implica che il giudice amministrativo, nell’ordinare l’ottemperanza, non possa esercitare il potere direttamente sostitutivo con la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione. La dichiarata inapplicabilità dell’art. 114, c. 4, lett. c), specifico per le sentenze non passate in giudicato, implica che il giudice non possa determinare le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvedere di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano.
Si tratta di disposizioni di dubbia costituzionalità, sia sotto il profilo della parità di trattamento che del buon andamento dell’amministrazione, che non tengono conto della sopra riportata evoluzione della giurisprudenza costituzionale, la quale non si è limitata (già nel lontano 1968) a ritenere conforme a Costituzione l’impugnabilità degli atti del CSM, ma si è più di recente spinta ad affermare che gli organi di rilevanza costituzionale, al pari di ogni altro soggetto di diritto, sono tenuti al rispetto della legge e che i principi di legalità dell’azione amministrativa e di effettività della tutela giurisdizionale «comportano esplicitamente l’assoggettamento dell’amministrazione medesima a tutti i vincoli posti dagli organi legittimati a creare diritto, fra i quali, evidentemente, gli organi giurisdizionali»[21].
In conclusione la sentenza commentata dimostra come il giudice amministrativo abbia in materia raggiunto un equilibrato dosaggio fra esigenze in parte collidenti, spingendo avanti il proprio sindacato e nel contempo rispettando l’autonomia dell’organo di autogoverno. Nel contempo poco dice, per ragioni banalmente legate alle peculiarità e allo stato del contenzioso, sui persistenti problemi – teorici e normativi – relativi all’ottemperanza delle statuizioni di annullamento dei conferimenti di incarichi del CSM.
Partita tuttora aperta, quest’ultima, che si gioca sul delicato crinale della teoria generale del processo, toccando l’effetto conformativo in caso di sentenza di annullamento sulla motivazione del giudizio di comparazione, e del diritto positivo, con riguardo alla costituzionalità dell’attuale portata della limitata applicabilità in materia dell’art. 114 c.p.a.
[1] B. Latour, La fabbrica del diritto. Etnografia del Consiglio di Stato, trad. it., Troina, 2007, 45.
[2] S. Cassese, Il contributo dei giudici allo sviluppo del diritto amministrativo, in Giorn. dir. amm., 2020, 342.
[3] R. De Nictolis, Il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti del CSM, in www.giustizia-amministrativa.it, 9 novembre 2019, 3.
[4] Corte cost., n. 44/1968.
[5] Corte cost., n. 435/1995.
[6] Cfr. F. Cuocolo, Ancora sulla sindacabilità delle deliberazioni del C.S.M., in Giur. Cost., 1968, 681 ss.; U. De Siervo, A proposito della ricorribilità in Consiglio di Stato delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura, ibidem, 690 ss.
[7] G. Silvestri, La parabola della sovranità. Ascesa, declino e trasfigurazione di un concetto, in Id., Lo Stato senza Principe. La sovranità dei valori nelle democrazie pluraliste, Torino, 2005, 88 ss.
[8] Tra i tanti precedenti richiamati v. Cons. Stato, sez. V, 9 gennaio 2020, n. 192.
[9] Sul rilievo dell’autovincolo dell’amministrazione per l’ampliamento del sindacato del giudice, in dottrina v. A. Police, La predeterminazione delle decisioni amministrative. Gradualità e trasparenza nell’esercizio del potere discrezionale, Napoli, 1997; in giurisprudenza v. Cons. Stato, sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1321.
[10] Tema sul quale può utilmente rinviarsi a F.F. Pagano, Il sindacato giurisdizionale sulle deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura di conferimento degli uffici direttivi alla luce delle recenti modifiche normative, in www.federalismi.it, n. 2/2016.
[11] Cfr. V. Cerulli Irelli, Politica e amministrazione tra «atti politici» e atti di «alta amministrazione», in Dir. pubbl., 2009, 123 ss.
[12] R. De Nictolis, Il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti del CSM, cit., 4.
[13] Per tale ragionamento v. L.R. Perfetti, Cerbero e la focaccia al miele, in pubblicazione sulla rivista Il processo; in chiave monografica B. Giliberti, Il merito amministrativo, Padova, 2013.
[14] Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4990.
[15] Corte cost., ord. N. 92/2015.
[16] Sia consentito il rinvio a G. Tropea, Motivazione e giudizio sul rapporto: derive e approdi, in Dir. proc. amm., 2017, 1235 ss.
[17] Cass., sez. un., 8 marzo 2012 n. 3622; Id., 5 ottobre 2015 n. 19787.
[18] Per casistica in merito v. A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2019, spec. 95 ss.
[19] Cons. Stato, sez. V, 4 gennaio 2019 n. 108.
[20] Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302, in Dir. proc. amm., 2012, 127 ss., con nota critica di G. Mari.
[21] Corte cost., 15 settembre 1995 n. 435; Id., 8 settembre 1995 n. 419.