Nomofilachia integrata e diritto sovranazionale. I "volti" delle Corte di Cassazione a confronto [1]
di Roberto Conti
Ora, in questo stato di cose, che cosa tiene legati i giudici al rispetto dei limiti? Che cosa impedisce loro di arrogarsi un potere eccessivo? Che cosa li aiuta a conservare qualcosa della metodicità e cautela dei loro omologhi del passato in un mondo tanto accelerato e proteiforme? Il metodo dialogico è la soluzione moderna affinché il giudice sia inserito in un contesto di costante confronto, conforto, ispirazione, influenza, scambio e limite con altre Corti, altre giurisdizioni, altri Stati, altri interlocutori istituzionali.
Il dialogo attenua la ferocia repentina e drastica con cui il giudice assolverebbe il suo ruolo nel contesto giuridico moderno, riaccostandolo alla prudenza mite, incessante ma graduale, che apparteneva ai suoi predecessori della common law al fine di aggiornare e migliorare il diritto.
[G. Calabresi, Il mestiere del giudice. Pensieri di un accademico americano, Bologna, 2013]
[Sul ruolo della Corte di Cassazione v.,su questa Rivista, A. Scarpa, Nomofilachia codificata e supremazia dei precedenti, 23 febbraio 2021 e F. De Stefano, Giudice e precedente. Per una nomofilachia sostenibile, 3 marzo 2021]
SOMMARIO: 1. Il ruolo della Corte di Cassazione e la sua mutazione genetica per effetto dell’impatto delle Carte e delle Corti sovranazionali. 2. La Cassazione (ma anche il giudice di merito) e la CEDU seguendo il ruolo dell’interpretazione convenzionalmente orientata fino a Cass., S.U., 19 febbraio 2021, n.6551, a proposito di sovraffollamento carcerario, spazio vitale e “letto a castello”. 3. La Corte di Cassazione e la massimizzazione delle tutele come Grundnorm del sistema. 4. Il volto della Cassazione visto dal giudice non di legittimità. Il dialogo fra Cassazione e merito, la nomofilachia orizzontale e discorsiva e la sovranità democratica. 5. Il ruolo della Corte di Cassazione a proposito del bilanciamento fra diritti fondamentali. 6. Il rinvio pregiudiziale e il dialogo fra la Corte di giustizia e la Cassazione. Perché dialogare con la Corte di Giustizia. 7.La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il ruolo ed i volti della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale. 8. Il dialogo con la Corte edu e il ruolo della Corte di Cassazione. Dal soft law- il Protocollo concluso dalla Cassazione con la Corte edu l’11 dicembre 2015- al Protocollo n.16 – efficace ma non per l’Italia- ad oggi-. 9. Chi ha paura del Protocollo 16? 10. L’interpretazione convenzionalmente orientata anche in assenza di precedenti della Corte edu. Il problema delle lacune e il volto operativo della Cassazione. 11. Cass., S.U., 23 ottobre 2020, n.29541, Filardo. Un altro volto della Cassazione. 12. Alla ricerca di una mediazione fra i volti della Cassazione. Il principium cooperationis. Il coraggio nella consapevolezza del limite.*
1. Il ruolo della Corte di Cassazione e la sua mutazione genetica per effetto dell’impatto delle Carte e delle Corti sovranazionali.
Non mi sento particolarmente legittimato ad offrire punti di riferimento validi in senso oggettivo rispetto ai complessi e per certi versi ontologicamente “divisivi” temi affidatimi che, comunque, risentono di un’impostazione culturale personale che non può in alcun modo ambire a rappresentare la Corte di cassazione.
Forte di questa premessa che per onestà intellettuale occorre fare, il tentativo che si cercherà di condurre a termine è quello di fotografare il ruolo in movimento della Corte di Cassazione in ragione dell’accresciuto impatto di fonti sovranazionali e della crescente valenza dei diritti fondamentali e della progressiva apertura della Corte di Cassazione stessa verso sempre più pressanti occasioni di confronto, non sempre indolori, con altre Corti, nazionali e sovranazionali, capaci di cambiarne il volto a legge invariata, visto che essa è pur sempre tenuta ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, insieme all’unità del diritto oggettivo nazionale – così recita testualmente l’art.65 del R.D.30.1.1941, n. 12 sull’ordinamento giudiziario – ma anche il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni ed a tutti gli altri compiti affidati dallo stesso art.65 e dalla legge.
Il giudice- quello di legittimità- è istituzionalmente chiamato ad affermare ed esprimere, in ragione dei compiti affidatigli dall'art.65 ord.giud.,[1] la massima destinata ad operare per il futuro che si può trarre dal caso esaminato dal giudice di merito e la tutela della legalità della decisione nel singolo caso concreto[2].
Oggi il ruolo del giudice di legittimità assume tratti, in parte non completamente sovrapponibili a quelli del giudice di merito, sui quali occorre riflettere trovandosi la Corte di cassazione in posizione privilegiata per: a) compiere operazioni di vera e propria emersione dei principî fondamentali previsti dalla Carta costituzionale e dalle Carte dei diritti; b) interloquire con le giurisdizioni sovranazionali per effetto dell'obbligo del rinvio pregiudiziale ex art.267 TFUE e- dopo l'auspicabile varo del Protocollo n.16 annesso alla CEDU- con la stessa Corte europea dei diritti dell'uomo; c) esercitare, per come già accennato, la funzione nomofilattica ad essa riservata, salvo a comprendere l’attuale significato che oggi tale funzione assume per la Corte stessa.
Giudice di ultima istanza chiamato, dunque, a dovere curare e gestire i rapporti con il suo ordinario interlocutore, il giudice di merito appunto, ma che è sempre più assillato dal trovarsi all’interno di quel circuito di Corti nelle quali ‘inventa’ il diritto vivente, per dirla con Paolo Grossi[3].
Cassazione che, proprio per l’esistenza di sistemi normativi che si affiancano a quello interno è posta, addirittura, in una posizione tale da potere essere bypassata o sconfessata dal giudice di merito, divenendo essa stessa ‘controllata’ da quest’ultimo che, soggetto anch’egli soltanto alla legge (art.101 Cost.), reputa, addirittura anche in sede di rinvio ed al cospetto del principio di diritto fissato dalla Corte (art.384 c.2 c.p.c.), di non doversi allo stesso conformare, magari attingendo alle giurisprudenze sovranazionali che a tanto sembrerebbero abilitarlo, per disapplicare la legge contrastante con il diritto UE [4] o per rivolgersi alla Corte di giustizia al fine di sollecitare un’interpretazione ‘contro’ il principio fissato dalla Cassazione in sede di rinvio[5].
È, d’altra parte, noto che non vige il principio del precedente vincolante, sicché qualunque giudice di merito può motivatamente discostarsi dall’orientamento espresso dalla Corte di legittimità, contribuendo a quel dinamismo interpretativo ed a quei mutamenti giurisprudenziali che, purché frutto di consapevole e ragionato dissenso, costituiscono sempre e comunque linfa vitale del nostro sistema[6]
Dunque, una Cassazione per certi versi vulnerabile e, per altri, vocata al dialogo[7] interno –anche se “blindato” fra singole Sezioni e le Sezioni Unite ( civili e penali) per effetto dell’art.374 c.p.c. e del novellato art.618 c.p.p.[8]– ed esterno con la Corte costituzionale la Corte di Giustizia e la Corte edu come si vedrà nel prosieguo.
Focalizzando dunque il discorso sull’avvento del diritto di matrice sovranazionale – diritto UE, CEDU, trattati internazionali che riconoscono diritti fondamentali, in relazione a quanto previsto dall’art.117, 1^ comma, Cost. – esso rende viepiù evidente il cambio di prospettiva della funzione nomofilattica e, in definitiva la mutazione genetica della Corte di Cassazione, ormai "giuridicamente obbligata" a garantire – anche – l’uniforme interpretazione della legge come reinterpretata alla luce della CEDU e delle altre Carta dei diritti fondamentali.
In questa prospettiva abbiamo già proposto alcune riflessioni sui temi della metamorfosi della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione e della c.d. nomofilachia europea alle quali qui è sufficiente rinviare[9].
Tutto ciò essa fa al servizio di plurime funzioni che ne atteggiano il tratto, al contempo, di giudice controllore rispetto al merito – ma non sempre, per quanto detto appena sopra – e giudice controllato rispetto alle altre giurisdizioni nazionali – Corte costituzionale – e sovranazionali – Corte europea dei diritti dell’uomo e, per con tratti diversi, ma non troppo, Corte di Giustizia dell’UE–[10].
Le riflessioni che seguono proveranno, dunque, ad offrire al lettore non già le pur sicuramente esistenti disarmonie all’interno della giurisdizione di legittimità, quanto la diversità di volti che nella Corte stessa convivono rispetto alle questioni sopra sommariamente tratteggiate.
2. La Cassazione (ma anche il giudice di merito) e la CEDU seguendo il ruolo dell’interpretazione convenzionalmente orientata fino a Cass., S.U., 19 febbraio 2021, n.6551, a proposito di sovraffollamento carcerario, spazio vitale e “letto a castello”
Con le note sentenze gemelle del 2007 – nn.348 e 349 – la Corte costituzionale affermò che il primo artefice dell’applicazione della Convenzione edu è "il giudice". In quell’occasione fu parimenti confermato che "il giudice" è tenuto ad interpretare in modo conforme il diritto interno alla Convenzione-".... Ne consegue che al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme." - p. 6.2 cons. in diritto sent.n.349/2007-. Passaggio ulteriormente ribadito quando la Corte riconosce che "....L'applicazione e l'interpretazione del sistema di norme è attribuito beninteso in prima battuta ai giudici degli Stati membri, cui compete il ruolo di giudici comuni della Convenzione….” – cfr. sent. ult. cit. –.
Non è qui il caso di soffermarsi sui successivi seguiti, pur rilevanti, ai quali ha messo mano la Corte costituzionale, anche se il pensiero corre alle seconde sentenze gemelle del 2009- nn.311 e 317-, alla per certi versi “dolorosa” presa di posizione della sentenza n.49/2015 della Corte costituzionale[11], nella quale tutto ruota attorno al tema della giurisprudenza consolidata, sul quale la stessa si sforza di costruire un quadro di principia che dovrebbero valere per il giudice comune, impedendo alla radice il pericolo (duplice) di diventare entusiasta propagatore del verbo delle Corti internazionali e di rimanere attratto dal fascino ipnotico proveniente dalla CEDU[12].
Orientamenti, quelli espressi dalla Corte costituzionale che, pur nelle oscillazioni del pendolo[13], confermano come il giudice comune sia ancora una volta investito di un ruolo a fisarmonica, che lo vedrebbe a volte soggetto vincolato all’altrui interpretazione – il che avverrebbe, in definitiva, quando la Costituzione è interpretata dalla Corte costituzionale – v.sent.n.6/2018 ed i seguiti recenti culminati nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Sezioni Unite civili in materia di eccesso di potere giurisdizionale (Cass.S.U. n.19598/2020, su cui v., infra), altre volte artefice abbastanza libero dell’individuazione del diritto del caso concreto.
Serve qui dunque evidenziare e valorizzare, ancora una volta, l’accresciuto ruolo del giudice soprattutto di legittimità – e la centralità della sua funzione, per dirla con le parole usate dal Primo presidente Curzio in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario – e dell’interpretazione “convenzionalmente” orientata allo stesso affidata.
Un’interpretazione che alla luce della sentenza n.49/2015, risulterebbe inconvenzionale (e dunque non ammessa) in assenza del consolidamento della giurisprudenza di Strasburgo, ma che, ancora una volta, passa per l’attività riservata al giudice comune, al quale viene confezionato il compito di stabilire quando la giurisprudenza della Corte edu sia o meno consolidata.
Tale situazione sarebbe, del resto, ulteriormente indotta dall’estrema genericità degli indici rivelatori del consolidamento indicati dalla sentenza n. 49/2015.
Come che sia – e salvo a ritornare alla fine sul ruolo del consolidamento –, risulta dunque evidente un accresciuto livello di responsabilità in capo al giudice comune che fa il paio con il parimenti crescente livello di professionalità reclamato su un interprete sempre più proiettato verso un confronto, un dialogo, con altre giurisdizioni ed altre tecniche decisorie, non proprio sovrapponibili a quelle che governato il piano nazionale interno.
Ed infetti, dietro alle sirene del dialogo vi è, nemmeno tanto nascosto, il rischio che il confronto con le altre giurisdizioni possa essere foriero di risultati non adeguati quando al confronto non si arriva con adeguati strumenti di conoscenza.
Si intende, in definitiva, sottolineare che la progressiva valorizzazione del diritto di accesso alla giustizia e l’implementazione di centri decisionali, nazionali e sovranazionali, chiamati ad esprimere il loro avviso su una stessa questione secondo un quadro giuridico di riferimento non sempre omogeneo rispetto alle singole giurisdizioni rappresenta, oggi, un ‘dato di certezza’ dal quale non è possibile prescindere per intavolare una riflessione onesta e seria sulla giustiziabilità dei diritti.
Non è senza significato, ancora una volta, il ricorso a vicende che hanno visto in campo i giudici comuni, i giudici costituzionali, quelli delle Corti sovranazionali e, infine, il legislatore.
Il pensiero corre al tema del sovraffollamento carcerario, nel quale le pressioni sul giudiziario che non avevano trovato largo riconoscimento a livello interno circa una condizione carceraria disumana, dopo il loro pieno riconoscimento innanzi alla Corte edu con la nota sentenza “pilota” Torreggiani c. Italia, hanno stimolato il legislatore ad intervenire, pressato dalla vigilanza del Comitato dei Ministri presso il Consiglio d’Europa sullo stato di attuazione della sentenza appena ricordata, alla fine determinando l’introduzione di una novella alla legge sull’ordinamento penitenziario sfociata negli artt. 35 bis e ter[14].
Orbene, con l’art. 35 ter o.p., è stato lo stesso legislatore a formalizzare l’obbligo di interpretazione conforme alla Corte dei diritti dell’uomo, quanto all’art. 3 CEDU.
Tale disposizione si apre, infatti, chiarendo che ”Quando il pregiudizio di cui all'articolo 69, comma 6, lett. b), consiste, per un periodo di tempo non inferiore ai quindici giorni, in condizioni di detenzione tali da violare l'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo”.
Emerge, ancora una volta, il ruolo per così dire "di frontiera" della Corte di Cassazione che anche sulla questione appena ricordata, così profondamente innervata di profili fattuali, è chiamata a gestire un contenzioso nel quale il numero considerevole di precedenti della Corte edu in materia di sovraffollamento, molti dei quali legati a situazioni fattuali e peculiari di realtà normative diverse da quelle interne, mette a nudo in modo adamantino la complessità dei tempi alla quale accenna, in modo approfondito, anche Davide Galliani[15].
E proprio la recentissima decisione delle Sezioni unite penali, a proposito dell'incidenza o meno sullo spazio minimo vitale del letto singolo e del letto a castello- Cass., S.U., 19 febbraio 2021, n.6551, Min.Giustizia c. Comisso[16] - mostra quanto sia tuttora da approfondire il ruolo del giudice rispetto al ricordato art.35 ter l.ord.pen. e, più in generale, del primo rispetto alle fonti ed alle dinamiche che si agitano quando se ne pongono contemporaneamente diverse sullo scrittoio del giudicante.
La lettura del precedente da ultimo ricordato mostra ancora una volta le oscillazioni del pendolo alle quali si faceva riferimento quanto al rapporto fra giudice, Costituzione, CEDU ed interpretazioni, confermando la complessità della trama di un ragionamento che si snoda verso percorsi non univoci. A volta, infatti, si ha la sensazione che si intenda spingere verso il consolidamento della giurisprudenza convenzionale evocato dalla sentenza n.49/2015, in ciò le Sezioni Unite penali ribadendo l’impostazione espressa da Cass., S.U. pen., 24 ottobre 2019 - 3 marzo 2020, n. 8544, Genco[17], a proposito del valore della sentenza Contrada della Corte edu e della sua non estensibilità alle vicende dei c.d. fratelli minori, ingessando l’interpretazione convenzionalmente orientata maggiormente protettiva. Altre verso si tende, invece, ad ammettere l’integrazione della giurisprudenza convenzionale rivelatasi “ muta” rispetto al tema in discussione per coglierne il senso- e quindi in definitiva superando la teoria del consolidamento attraverso l’interpretazione. Altre volte ancora caldeggiando quella – invero auspicabile– tendenza a fondere i parametri e le giurisprudenze nazionali e sovranazionali al fine di garantire il massimo di tutela passibile, proprio realizzando quel canone della massimizzazione delle tutele in tesi negato. Ciò che costituisce, appunto, l’approdo finale delle S.U. appena ricordate in tema di spazio vitale e letto a castello. Il tutto, ça va sans dire, giungendo a simile conclusione attraverso affermazioni intrise di fattualità, a dir poco inusitate da parte di un giudice di legittimità, quali sono quelle che muovono dal dato fattuale della amovibilità del letto a castello che non riguarderebbe, invece, il letto singolo!
Un ruolo che, ancora una volta, mette continuamente a nudo i diversi volti della Corte di Cassazione ed in particolare quello più favorevole ad una prospettiva di aperta compenetrazione dei parametri, qualunque che ne sia la fonte, ed altri più attenti alla prospettiva domestica, al punto da trarne spunto per operazioni che possono in tesi determinare una minore tutela rimuovibile solo con il ricorso alla Corte costituzionale[18]. E proprio sulle ricadute in termini di giustiziabilità dei diritti che derivano dai diversi volti della Corte ci si riserva di dire qualcosa in coda alle riflessioni.
3. La Corte di Cassazione e la massimizzazione delle tutele come Grundnorm del sistema.
Ancora, una Corte che, a volte, sembra supplire all’inerzia del legislatore richiamandosi al principialismo [19] ed alla duttilità strutturale dei suoi canoni, visti da taluni come attività di vera e propria usurpazione di poteri camuffata da interpretazioni ardite che mascherano vere e proprie attività di produzione legislativa, al punto da ipotizzare una vera e propria eversione rispetto ai canoni costituzionali – primo fra tutti quello rappresentato dall’art. 101 Cost.(Bin) – e, da altri, come fulgida espressione di una giurisdizione dinamica, indirizzata ad un’opera di ‘invenzione’ rivolta ad attuare in modo pieno la Costituzione e le Carte internazionali con i diritti che lì vengono riconosciuti e protesa verso un ideale di massimizzazione delle tutele.
Anche quest’ultimo tema, evocato nel titolo della sessione, risulta spesso fortemente divisivo.
La Corte costituzionale ne ha più volte fatto cenno. Ed infatti, essa ha ritenuto che la necessità di una valutazione congiunta, e virtualmente paritaria, di tutti i parametri (costituzionali e sovranazionali) coinvolti è stata espressa nella sentenza n. 191 del 2014, dove si sottolinea il ruolo della Corte costituzionale finalizzato ad una « una valutazione sistemica e non frazionata dei diritti coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, in modo da assicurare la massima espansione delle garanzie di tutti i diritti e i principi rilevanti, costituzionali e sovranazionali, complessivamente considerati, che sempre si trovano in rapporto di integrazione e reciproco bilanciamento (sentenze n. 170 e n. 85 del 2013 e n. 264 del 2012)»
Proprio con riguardo ai rapporti fra Costituzione e CEDU, Corte cost. n. 317/2009 ha chiarito l’obbligo di considerare contestualmente tutte le norme (costituzionali e convenzionali) rilevanti, allo scopo di individuare, su un piano sostanziale e concreto, la soluzione in grado di assicurare nel caso di specie (ma chiaramente non trascurando di rivolgere, per così dire, un attento sguardo al passato e uno ancor più attento al futuro) la “massima espansione delle tutele”.
Ha invece parlato di “massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico” Corte cost. n. 269 del 2017; operazione, quest’ultima, che in molti casi “complessi” (tra cui in primis quelli di conflitto o divergenza qui evocati) i giudici comuni forse ben potrebbero, se non dovrebbero, rinunciare a svolgere autonomamente, richiedendo invece l’intervento del giudice costituzionale (così Sciarabba[20]).
Su questa scia le Sezioni Unite della Cassazione non mancato di affermare che –Cass., S.U., 23 luglio 2019, n.19886– se la funzione del giudice nazionale è, stando ai più recenti arresti di questa Corte a Sezione Unite- sent., 21 dicembre 2018, n. 33208 e altri precedenti ivi richiamati – e della Corte costituzionale- sent. n. 49/2015, 24 e 25 del 2019-, quella di cooperare attivamente, attraverso l’interpretazione convenzionalmente orientata, alla protezione dei diritti fondamentali, dialogando con la giurisprudenza delle Corti costituzionali e sovranazionali in modo da offrire un livello elevato di protezione dei diritti fondamentali, il definitivo assestamento della giurisprudenza della Corte edu in ordine ad una data materia - nel caso di specie in ordine alla non necessità dell’attivazione di un procedimento esecutivo nei confronti dello Stato debitore dal quale deriva la unitarietà piena fra fase di cognizione e fase esecutiva quando il soggetto debitore è appunto lo Stato- consente di modificare i principi espressi dalle stesse Sezioni Unite in precedenza- Cass.S.U.n. 6312/2016, conformandole alle più elevate nicchie di tutela dei diritti fondamentali garantiti dalla CEDU.
Questo principio viene dunque guardato da una parte della dottrina come autentico canone-guida delle relazioni fra le Carte e le norme, rilevandosi come quello della massimizzazione delle tutele costituisce un’autentica Grundnorm delle relazioni interordinamentali, visto che è ‘...nella natura ed indeclinabile vocazione di ogni valore, il tendere alla propria espansione e salvaguardia, la massima appunto possibile alle condizioni oggettive di contesto”[21]. Prospettiva che, se accolta, vede (anche) la Corte di Cassazione, come giudice “garante di diritti a protezione multilivello”[22] ed ultimo avamposto della giurisdizione interna, capace di assumersi le responsabilità che, per funzione, ad essa competono rispetto alla tutela dei diritti.
E per ragioni di brevità può qui soltanto accennarsi all’esistenza di precisi ed inequivocabili canoni normativi che attestano la propensione delle carte sovranazionali dei diritti fondamentali a regolare i rapporti fra detti strumenti proprio in base al principio della massimizzazione delle tutele- v.art.53 della Carta UE dei diritti fondamentali e art.53 CEDU-[23].
Altra dottrina invece non ha mancato di avversare tale prospettiva in modo altrettanto fermo, soprattutto valorizzando il fatto che non di accrescimento dei diritti può realmente parlarsi se ci si pone nella prospettiva della riduzione di tutela che deriverebbe su un altro diritto, proprio per effetto del bilanciamento. Ciò che finirebbe, forse, per assecondare la critica di chi, ancora una volta, intravede un'improvvida confusione di ruoli fra legislatore e giudici, a questi ultimi, appunto a volte accostandosi una prospettiva, come si diceva, eversiva, rispetto alla Costituzione.
Troppo difficile esaminare compiutamente le tesi a favore o contro rispetto al tema della massimizzazione delle tutele.
Qui, senza pretesa alcuna di offrire risposte, può forse solo accennarsi ad un’idea che tende a circoscrivere la funzione nomofilattica di precedente per quei casi che dovessero avere le medesime, identiche caratteristiche; ipotesi che spesso appaiono residuali e che si misurano continuamente e dinamicamente con il caso concreto attuale e controverso.
Se, dunque, si condivide l'assunto che l'unità dell'ordinamento da perseguire "...è quella fondata sulla garanzia dell'eguaglianza, attuata empiricamente da un'opera di uniformizzazione nomofilattica aperta al dinamismo di un sistema costituzionale perennemente proteso all'attuazione di principi fondamentali muniti di una carica assiologica inesauribile ed attento all'accurata rilevazione delle differenze"[24] si riescono, forse, a garantire tanto il naturale dinamismo della giurisprudenza di legittimità, protesa anch'essa a rigenerarsi progressivamente e continuamente in ragione di un sempre più elevato standard di tutela dei diritti fondamentali su base costituzionale ed sovranazionale, che la valenza generalizzante del dato normativo, capace di regolare pro futuro la materia e di integrarsi attraverso l'interpretazione, con i principi costituzionali.
4. Il volto della Cassazione visto dal giudice non di legittimità. Il dialogo fra Cassazione e merito, la nomofilachia orizzontale e discorsiva e la sovranità democratica.
Queste dunque, elencate sicuramente per difetto e con una certa approssimazione, appaiono essere alcune delle peculiarità del mestiere del giudice di legittimità[25], per effetto delle quali chi vi opera, almeno i più coscienziosi, ha ormai perso completamente la velleità di sentirsi “organo supremo della giustizia” come pure ancora recita l’art. 65 cit., invece maturando, progressivamente, un habitus di vero e proprio crocevia di pulsioni centrifughe e centripete assai difficili da gestire e controllare.
A mia opinione, l’attivismo che ha caratterizzato il mondo giudiziario e la Corte di legittimità, sia pure in maniera zigzagante, nel corso degli ultimi anni, al netto di possibili esasperazioni che pure potranno esserci state, spesso dipeso dal recepimento di input provenienti dalle Corti sovranazionali di Lussemburgo e Strasburgo e da innegabili vuoti normativi, ben lungi dall’essere espressione di arretramento culturale e decadente rispetto ai fasti del passato, contribuisce ad inverare le democrazie occidentali dei nostri tempi, al contempo individuando alcuni canoni fondativi imprescindibili, per l’appunto rappresentati dal rispetto della dignità umana, nella sua proteiforme dimensione, e dei diritti fondamentali della persona.
Un percorso che non solo non può essere interrotto, ma che deve essere continuamente implementato ed arricchito.
Si fa in ogni caso strada la consapevolezza che l’idea del giudice nazionale di vertice come portatore e dispensatore di “certezze cristallizzate” risulta inadeguata.
Si delinea infatti, con tratti marcati, un’immagine della giurisdizione nazionale di ultima istanza costantemente in progress proprio perché chiamata, fuori da una dimensione museale, a misurarsi e prim’ancora a dialogare, in un ciclo continuo e mai conchiuso, con le altre Corti – nazionali e sovranazionali-[26], contribuendo ad un’evoluzione sempre più incessante dei diritti, i quali tendono costantemente e continuamente a favorire nuove forme di bilanciamento fra diritto vigente e diritto vivente.
Facile, a questo punto, fermarsi alla critica che intravede in questa Corte una fucina di incertezze, a fronte del perseguimento della certezza del diritto classicamente intesa.
Ma altrettanto agevole è rispondere ad essa riflettendo sul fatto che la certezza, se calibrata sull’appiattimento del diritto visto in dimensione formalistica e statica, finisce con l’essere certezza del nulla, come ha finemente riconosciuto Lipari[27].
Preme sottolineare che quelle tensioni, quelle pulsioni, quelle contraddizioni, quei nodi irrisolti che si è cercato di rappresentate qui altro non sono – recte, devono essere – che le ansie di qualunque giudice, di merito o di legittimità.
Si tratta di uno scenario rispetto al quale il giudice – soprattutto se di merito –, si trova per l’un verso tutto a contatto con i fatti che, nella loro innata diversità e nella loro carnalità – per usare un’espressione cara a Paolo Grossi [28]– vengono portati al suo cospetto e, per l’altro, viene chiamato a maneggiare Costituzioni, Carte sovranazionali, pronunzie delle Corti (nazionali e non), fonti, giuridiche e non – soft law –.
Si stenta, quindi, a trovare su questi temi delle diversità di sostanza fra la posizione del giudice a seconda delle funzioni di legittimità o di merito svolte.
Si tratta, del resto, di nodi problematici sui quali le opinioni e le prospettive sono fortemente contrastanti anche all’interno della giurisdizione[29] e che alimentano, pertanto, modi di esercitare le funzioni giudiziarie profondamente diversi, tanto nel merito che in sede di legittimità.
A mia opinione, allora, non è tanto importante dare o trovare una soluzione fissa e preconfezionata alle questioni controverse, quanto propugnare la prospettiva che tutti i giudici, in tutte le loro articolazioni, partecipano attivamente, senza scale gerarchiche e senza gradini, ad un’idea di giurisdizione al servizio dei diritti, rispetto alla quale è vitale recuperare un’unità di intenti fra merito e legittimità, implementando le occasioni di reciproca conoscenza e confronto, alimentando le occasioni di formazione comune, coinvolgendo in questi percorsi la dottrina e l'avvocatura, allentando le tensioni che un deficit di conoscenza delle dinamiche interne alla Corte può in qualche modo favorire, ponendo, infine, a beneficio di tutti i giudici strumenti di conoscenza e iniziative che possano andare a beneficio dell’intera giurisdizione.
Può far tutto questo il giudice, pur in difetto di una diretta investitura democratica?
Rordorf, nella conversazione già ricordata, non sembra nutrire dubbi "... perché la sovranità appartiene al popolo ma si esercita nelle forme previste dalla legge. Quindi anche la giurisdizione, che è appunto una forma di esercizio di sovranità, è pienamente legittima nella misura in cui trova nella Costituzione e nelle leggi in base ad essa emanate il proprio fondamento ed i propri limiti."
Si va così manifestando una sovranità costituzionale che, in apparenza contrasta con la sovranità democratica del popolo ma che, a ben considerare, affonda le sue radici proprio nella difesa dei valori costituzionali, caratterizzando la democrazia stessa del nostro paese[30]. Ma esistono due fattori che possono minare la prospettiva che si è qui accennata. Per un verso, la produzione elefantiaca della giurisprudenza di legittimità reca inevitabilmente un decadimento delle motivazioni del giudice di legittimità, minandone pericolosamente la credibilità. In dottrina, Davide Galliani ha iniziato una riflessione approfondita sul ruolo della motivazione che si attaglia in modo particolare alla figura del giudice di legittimità[31]. Analisi approfondita e complessa che, condivisibile o meno che sia, coglie la crisi in cui versa il principale strumento operativo nelle mani del giudice e, dunque, l’aspetto più qualificante della sua funzione sulla quale si costruisce tanto lo ius litigatoris ma anche lo ius constitutionis. Di guisa che la necessità di motivazioni adeguate alla causa trattata non è esigenza che riguarda tanto e solo il giudice di legittimità, ma a, monte, l’intero sistema giudiziario, potendosi agevolmente preconizzare che ad una crescente richiesta di maggiore produttività non potrà che seguire uno scadimento ulteriore del prodotto e dunque della giustizia.
Per altro verso, il peso del contenzioso ed i numeri che spesso aggravano i giudici di merito costituiscono la migliore giustificazione per ritenere che quello della Cassazione sia, spesso, un ‘volare alto’ che poco consideri, appunto, il lavoro sporco e quotidiano del giudice di merito e, a volte, l’impossibilità oggettiva, in relazione al fattore tempo, di misurarsi, magari pur volendolo, con ciò che si avverte essere mera speculazione astratta, sulla quale prevale il peso delle carte, dei ruoli, dei capi che stringono sui tempi di deposito, che assillano brandendo lo spettro dei ritardi e dei conseguenti procedimenti disciplinari e della incombente Legge Pinto.
Insomma, un pensare alto che allontana quasi ineluttabilmente il merito dalla legittimità e si scontra con una realtà bassa, nella quale il bilanciamento che ciascuno deve operare, per tentare almeno la sopravvivenza, non sia quello, arduo e complesso, che vede in posizione contrapposti diversi valori fondamentali – di matrice costituzionale e sovranazionale –, ma sia quello che più efficacemente tende ad orientarsi verso l’esercizio di una giurisdizione meno cervellotica e più celere, senza porsi grandi problemi.
E tuttavia, sarebbe dunque illusorio pensare che il “volare alto” della Corte di Cassazione, nel senso in verità problematico che si è qui cercato di rappresentare, possa o debba rimanere nel compartimento stagno di quel giudice che, per posizione, è chiamato a controllare l’operato del giudice di merito, a fornire la risposta (quasi) definitiva al processo e, al contempo, a garantire l’unità del diritto oggetto e l’uniforme interpretazione .
Potrebbe dunque essere utile e fecondo ispirarsi ad un’idea di giurisdizione capace di favorire il massimo travaso di esperienze tra merito e legittimità, scevre queste ultime da logiche di sovraordinazione ed invece orientate ad affermare, all’interno di una comune cultura dei diritti fondamentali, la centralità della persona, cittadino e non, e con essa, della funzione giudiziaria per la democrazia del Paese.
Vi è forte la necessità di costruire una nuova nomofilachia che, per dirla con le efficaci parole usate dal Primo Presidente emerito Gianni Canzio, tende a divenire sempre di più orizzontale, discorsiva, dialogica con gli stessi giudici di merito e circolare[32].
Ancora una volta la prospettiva gerarchica che si è visto poco persuasiva se utilizzata per spiegare i rapporti fra giurisdizioni nazionali e sovranazionali va riconsiderata, pur se a legislazione invariata (art.65 l.ord.giud.) fra giudici di merito e giudice di legittimità, arricchendosi l’una per effetto delle concretizzazioni che gli altri operano quotidianamente in un processo osmotico, che trae alimento dal sempre maggiore peso assunto dal principio di effettività delle tutele[33].
In questa prospettiva, la creazione di più stringenti canali di collegamento fra legittimità e merito, magari valorizzando al meglio le strutture che in atto già esistono in Corte, come anche il travaso diretto delle esperienze lavorative, realizzato anche attraverso i meccanismi già previsti a livello ordinamentale – ricorso nell’interesse della legge del Procuratore generale, affermazione del principio di diritto nei ricorsi inammissibili (art. 373 c.p.c.) –, potrebbe favorire quella “contaminazione tra i gradi della giurisdizione” di cui si è già parlato[34], tutta indirizzata ad allontanare da sé il vizio peggiore del giurista, la pigrizia[35].
Ciò consentirebbe di fare conoscere più in profondità le dinamiche del lavoro del consigliere di Corte e di fare emergere meglio le criticità evidenziate dai giudici di merito rispetto alle decisioni della Cassazione[36] , comprimendo l’autoreferenzialità che viene avvertita come dato non rispondente a ciò che serve al giudice non di ultima istanza[37], così venendo incontro all’esigenza del "merito" di avere fissati dei punti saldi da parte del giudice di legittimità in materie particolarmente delicate[38]e, al contempo, di potere allentare il peso dell’arretrato.
Una Corte, quella di Cassazione, che non va, in definitiva, in cerca di salvacondotti né di consensi al di fuori del modo con il quale essa continua ad operare – per l’appunto rappresentato dalla sua produzione giurisprudenziale e dai principia che essa fissa nelle proprie decisioni – ma alla quale, nemmeno, può essere negato il ruolo – che essa non intende peraltro in alcun modo abdicare – di crocevia del diritto nazionale e sovranazionale, giocato in modo relazionale con le altre giurisdizioni superiori, a patto che essa riesca a mettersi al servizio dei suoi destinatari e dell’intera giurisdizione nazionale in modo efficace e lineare, pur nella complessità dei tempi moderni.
In questa prospettiva, la sciagura del COVID, che tanto sta condizionando la formazione dei magistrati, potrebbe rappresentare forse, paradossalmente, proprio per le modalità con le quali si sta offrendo – da remoto – a tutti i magistrati, un’occasione di travaso dei modi di pensare e di formarsi fra giudici di merito e di legittimità ed anche dell'avvocatura. In questo senso l’idea che ai corsi di formazione pubblicizzati dal sito della Corte di cassazione prendano parte attiva anche i giudici di merito, l'accademia e l'avvocatura come già da tempo avviene potrebbe essere un fattore di grande crescita. Come lo è già la sperimentazione di incontri organizzati dalla formazione decentrata della Corte per anticipare alcune delle questioni di massima di particolare importanza all’esame delle Sezioni Unite.
5. Il ruolo della Corte di Cassazione a proposito del bilanciamento fra diritti fondamentali.
Nel tratteggiare il ruolo della Corte di cassazione degli ultimi anni, la sua dinamica apertura verso le tecniche decisorie delle giurisdizioni sovranazionali e più in generale verso nicchie di protezione dei diritti sempre più in linea con la protezione dei valori fondamentali della persona umana un posto di rilievo va riconoscimento al tema del bilanciamento[39].
Bilanciamento che si atteggia in modo diverso a seconda che esso riguardi la necessità di conciliare un diritto fondamentale con altre esigenze di natura pubblica ovvero attenga realmente all’esistenza di due diritti che insistono sulla stessa circostanza e, per dirla con Giuliano Amato, si contendono un medesimo spazio di libertà[40].
E che, dunque, questa sia proprio una delle sfide più complesse che si aprono innanzi all’operato del giudiziario non sembra discutibile se si considera quanto il sistema interno sia tarato su coordinate di legalità formale che guardano con sfavore a siffatto intervento operato fra legge e valori[41].
Ad ogni buon conto che tale attività di bilanciamento spetti, in prima battuta, al legislatore, è fuori di dubbio.
Ma che a quest’ultimo si affianchi, ineludibilmente, il ruolo del giudice, costituzionale e non, al quale spetta non soltanto il compito di verificare che l’opera legislativa di bilanciamento sia conforme ai valori fondamentali anzidetti, ma anche quello di “interpretare” il diritto scritto e valutarne, fin quando possibile, la conformità con i parametri della Costituzione e delle altre Carte[42], offrendone letture coerenti ai valori fondamentali pare altrettanto evidente.
Il bilanciamento è, dunque, un fenomeno, comune alle giurisdizioni superiori nazionali e sovranazionali, che compare tanto nella giurisprudenza costituzionale - come ha anche di recente testimoniato il Giudice costituzionale Silvana Sciarra nel podcast della Corte costituzionale dedicato al diritto del lavoro[43]- e di legittimità[44], quanto in quella di Lussemburgo[45] e di Strasburgo[46].
È proprio nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ove si è sviluppata la teoria del c.d. margine di apprezzamento e del giudizio di proporzionalità degli interessi in gioco, a dimostrare la particolare tecnica utilizzata da quel giudice per sciogliere i nodi di vicende spesso ingarbugliate e di difficile soluzione[47].
Il punto è che sono proprio le giurisdizioni sovranazionali appena ricordate ad investire direttamente il giudice nazionale di siffatte operazioni di bilanciamento[48].
Ed è attraverso queste operazioni che il giudice comune, proprio nel compiere tale attività di conformazione del diritto interno alla CEDU, proceda attraverso una tecnica che prende in considerazione i diversi diritti che entrano in gioco al fine di giungere al “risultato” che appare il migliore possibile per l’affermazione della massima tutela del valore.
È in altri termini, l’attività stessa dell’individuazione di un diritto che richiama in sé la necessità di un previo bilanciamento di quel valore, senza il quale il diritto non potrà essere individuato nella sua corretta consistenza[49].
Ogni volta che il giudice comune è chiamato a definire la portata del diritto fondamentale protetto dalla Costituzione, dalla CEDU e/o dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE e ad acclarare se le limitazioni ammesse, ai vari livelli, impediscono l’operatività del valore fondamentale in esame, egli si troverà a dover esaminare, all’interno di quella verifica, i valori che sono in gioco, proprio al fine di considerare la ricorrenza o meno del diritto preso in esame[50].
Si tratterà, allora, di un bilanciamento che non avviene, a monte, sulle disposizioni, ma sulle "norme" per come esse vivono e sui "casi" per come essi si declinano volta per volta.
È qui sufficiente rinviare al quadro sinottico allegato alla relazione relativo ad alcune delle pronunzie della Corte di Cassazione nelle quali le tecniche di bilanciamento di cui si è detto sono spiegate in modo dettagliato, contenendo una sorta di decalogo assai utile per il giudice, anche di merito, su come maneggiare il delicato tema qui affrontato quando in gioco entrato i diritti fondamentali, con quella dose di coraggio intriso di senso del limite di cui si dirà nel paragrafo finale[51].
6. Il rinvio pregiudiziale e il dialogo fra la Corte di giustizia e la Cassazione. Perché dialogare con la Corte di Giustizia.
All’interrogativo proposto nel titolo del presente paragrafo si può tentare di rispondere dicendo che attraverso la domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice nazionale diventa parte di una discussione di diritto UE senza dipendere da altri poteri o da altre autorità giudiziarie nazionali, le quali nemmeno possono limitare od opporsi a tale scelta, anche se strutturate in (apparente) posizione gerarchica superiore rispetto al giudice che intende sollevare il rinvio.
Comincia, così, a delinearsi la portata del dialogo di cui qui si discorre, sul quale è ancora una volta tornato ad insistere il Primo Presidente Curzio nel corso della già ricordata Relazione inaugurale dell’anno giudiziario dell’anno 2020 (p.188).
Utile appare, ancora una volta, il rinvio alle Conclusioni dell’Avvocato Generale Colomer presentate il 25 giugno 2009 nella causa C-205/08, ove si intravede nel dialogo pregiudiziale uno strumento straordinario per il «rafforzamento della voce istituzionale di un potere degli Stati membri: la giustizia». Tanto, in definitiva, significa valorizzare il ruolo centrale dei giudici nello spazio costituzionale europeo. È dunque la giurisdizione «in quanto potere basato sull’indipendenza - sull’imparzialità n.d.r.-, sul rispetto della legge e sulla risoluzione delle controversie» a godere di «una voce singolare, staccata dallo scenario politico e legata unicamente alla volontà del diritto». Può, a ragione affermarsi che « L’autorevolezza dell’ordinamento europeo è quindi intrisa di una forte componente giudiziaria. Non è esagerato ritenere che la Corte di giustizia sia il responsabile ultimo del diritto dell’Unione grazie ai giudici nazionali». Ed è sempre Colomer a sottolineare che «grazie al dialogo tra giudici sono stati definiti, uno ad uno, i tratti genetici del nuovo ordinamento: l’effetto diretto, il primato del diritto comunitario, la responsabilità, l’effettività, l’equivalenza e molti altri principi che articolano il sistema giuridico dell’Unione ».
Importante è dunque comprendere il ruolo del dialogo pregiudiziale.
Per far ciò ci sia consentito usare, ancora una volta, le parole dell’Avvocato Colomer, quando afferma che «la giurisprudenza comunitaria ha introdotto tali giudici nel dialogo pregiudiziale, non tanto allo scopo di aumentare il numero dei rinvii, quanto piuttosto per preservare l’autonomia istituzionale degli Stati membri. »
Ed è proprio questo il punto nodale del dialogo visto che proprio la richiesta di rinvio crea un percorso virtuoso di avvicinamento del diritto comunitario a quelle tradizioni culturali comuni che costituiscono, come è noto, una delle basi fondamentali dei principi generali dell’ordinamento comunitario coniati, ancora una volta, dalla Corte di Giustizia.
Ha dunque ragione Colomer nel ritenere che è proprio il rinvio pregiudiziale ad alimentare il dibattito giudiziario europeo. Sotteso a tale rinvio non è dunque il desiderio della Corte di giustizia di esercitare un controllo sull’affluenza di procedimenti sottoposti alla sua giurisdizione, quanto l’intenzione di rispettare e mostrare una certa deferenza nei confronti della concezione della funzione giurisdizionale in ciascuno Stato membro.
Riemerge, nemmeno poi tanto sottotraccia, l'idea che nei rapporti fra legislazione nazionale e UE non vi sia un meccanismo di pari ordinazione o di equi-ordinazione che, per converso, i giudici di Lussemburgo sembrano volere riconoscere ai giudici nazionali nel rapporto che essi hanno con la Corte europea.
Quando questi vestono i panni del giudice comune del diritto UE partecipano a pieno titolo proprio alla costruzione dell'edificio europeo e non possono in alcun modo rimanere condizionati da eventuali limitazioni normativamente introdotte dal legislatore nazionale che finirebbero non tanto per pregiudicare l'attuazione del diritto europeo nello Stato ma, piuttosto, quanto per condizionare l'intero meccanismo di operatività del sistema di tutela offerto dalla Corte di Giustizia, la quale sarebbe impedita di svolgere il proprio ruolo al servizio di tutti i cittadini dell'UE.
Il punto problematico è semmai rappresentato dal "come" questo dialogo vada gestito dopo l’intervento della Corte costituzionale inaugurato dal famoso obiter contenuto nella sentenza n.269/2017[52] e dai successivi seguiti [53].
Ed un caso assai paradigmatico della complessità del tema è sicuramente rappresentato dall’ordinanza delle Sezioni Unite civili (n.19598/2020[54]) di rimessione alla Corte di Giustizia del rinvio pregiudiziale sulla coerenza rispetto ad alcuni canoni fondamentali dell’UE dell’orientamento manifestatosi nelle stesse sezioni Unite in seguito ad una pronunzia della Corte costituzionale – n.6/2018- a proposito della determinazione del concetto di motivo inerente la giurisdizione.
La valenza della questione appena ricordata risulta in questa sede marcata se si considera che Cass. S.U. n.19598/2020 ha volutamente scelto la “strada” di Lussemburgo, pur consapevole che in gioco vi era l’interpretazione di un parametro contemplato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, speculare ad altra parametro costituzionale(art.24 Cost.), in tal modo espressamente scartando l’alternativa rappresentata dalla proposizione della questione di costituzionalità per violazione dell’art.117 1^ comma Cost. -integrato dall’art.47 Carta UE - che l’obiter della sentenza n.269/2017 della Corte costituzionale ed i successivi seguiti avrebbero secondo taluni imposto come percorso prioritario, secondo altri quanto meno suggerito come opportuno il nuovo rinvio della questione alla Corte costituzionale per eventualmente consentirle di rimeditare i principi espressi dalla sentenza n.6/2018.
Non ritenendo in alcun modo di dovere pendere posizione sulla questione in questa sede, rimane la circostanza che la scelta della “strada Lussemburgo” adottata dalle Sezioni Unite, comunque la si interpreti, provenendo dal più autorevole consesso della Corte di Cassazione, denota la piena autonomia del giudice nazionale rispetto all’alternativa “rinvio pregiudiziale/questione di legittimità costituzionale” che pure continua ad agitare gli studiosi quanto all'esistenza di eventuali criteri che possano chiarire in via generale le modalità operative che il giudice comune deve seguire.
Strada "Lussemburgo", è appena il caso di riconoscere, che non venne percorsa dalla medesima Corte di Cassazione che con l’ordinanza n.3831 del 16 febbraio 2018 diede il via al giudizio di costituzionalità che condusse all’ordinanza n.117/2019, individuando in modo nitido il dubbio che sarebbe stato opportuno devolvere alla Corte di giustizia- v. punti 11.3.6.6 dell’ordinanza – eppure ritenendo che la “strada” indicata da Corte cost.n.269/2017 dovesse essere quella che portava a Palazzo della Consulta – pur consentendo la strada di Lussemburgo ma soltanto “dopo” l’intervento della Corte costituzionale–. Principi che poi la stessa Corte cost.n.117/2019, nel sollevare il rinvio pregiudiziale, si è presa cura di “precisare” in modo diverso ed in linea con quanto affermato da Corte cost.n.20/2019, dando il là alla recente pronunzia della Grande sezione della Corte di giustizia – Corte giust., 2 febbraio 2021, in C-489/19, D.B. – sul tema del nemo se detegere riconosciuto come dotato di copertura sovranazionale anche nei procedimenti sanzionatori proprio grazie al rinvio pregiudiziale sollevato dalla nostra Corte costituzionale.
7.La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il ruolo ed i volti della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale.
Qualche anno addietro ci siamo sforzati di tratteggiare il ruolo della Corte di Cassazione nell’applicazione e nell’uso della Carta UE dei diritti fondamentali[55].
L’analisi alla quale è qui sufficiente rinviare va decisamente attualizzata per effetto delle questioni più scottanti insorte all’indomani dell’obiter contenuto nella sentenza n.269/2017 della Corte costituzionale a proposito della questione della doppia pregiudizialità e dei rapporti fra Carta UE dei diritti e Costituzione. Una riflessione tutt’altro che accademica proprio perché sagomata sul tema dei diritti fondamentali e dei soggetti attuatori o protettori e promotori di essi[56] e, dunque, sui limiti e sulla consistenza dei poteri riservati alla giurisdizione comune.
In discussione, all’evidenza, vi è infatti il potere-dovere del giudice comune di applicare direttamente le disposizioni precettive della Carta dei diritti fondamentali UE del quale prima dell'obiter nessuno poteva dubitare.
Potere-dovere che tutto al contrario dopo l’obiter della 269/2017 sembrò anestetizzato, introducendo un sindacato di costituzionalità mai sagomato in materia con le rime espresse nella ricordata pronunzia del giudice costituzionale. Tutto questo in nome del predominio assiologico della Costituzione affermato con riguardo alla CEDU ma di fatto ora esteso alla Carta UE che, alla prima spesso sovrapponendosi, rischierebbe di offuscare il sindacato accentrato di costituzionalità e, in definitiva, la stessa Costituzione.
Da qui un mutamento di sensibilità nell’atteggiamento della Corte costituzionale e la sua scelta di riprendersi uno spazio e un ruolo centrale nell’applicazione del diritto dell’Unione che va peraltro oltre la Carta Ue, involgendo tutte le controversie nelle quali si discute di diritti fondamentali, come è reso palese dalla sentenza n.20/2019. Una partita che si gioca all’evidenza “a tre”, coinvolgendo direttamente la Corte di Giustizia con la quale lo strumento privilegiato del rinvio pregiudiziale, se attivato dal giudice comune nazionale del diritto UE, rischierebbe di tagliare fuori, con la mossa del cavallo, la Corte costituzionale.
Dunque un obiter, quello della 269, che sembrava destinato a correggere e superare quel sistema Onida che aveva invece fortemente enfatizzato il ruolo del giudice comune di garante principale della immediata ed uniforme applicazione delle regole europee dotate di efficacia diretta[57].
Sullo sfondo un’idea di riconformazione del giudice comune che, accostandosi alla Carta UE, dovrebbe in definitiva comportarsi come si comporta quando maneggia la CEDU, non potendo disapplicare direttamente la norma interna contrastante con la Carta.
Sembrava così compiuto il disegno riformatore dei poteri del giudice comune in nome di una continuità sistemica fra le Carte dei diritti sovranazionali che vengono accomunate quanto a modalità operative ed entrambe “sottoposte” al giudice costituzionale ed alla supremazia della Carta costituzionale.
Questo possibile “volto” del new deal della Corte costituzionale è stato, tuttavia, in parte risagomato dallo stesso giudice costituzionale nei suoi seguiti (sentenze nn.20 e 63 del 2019) che, forse condizionati dal clima di scarso gradimento della posizione espressa nell’obiter, hanno mostrato un altro volto, molto più conciliante ed aperto verso il giudice comune, tutto improntato all’idea della cooperazione e della condivisione, della flessibilità, che era poi stato il canone originariamente suggerito da Marta Cartabia alla fine degli anni '90[58].
Quel che colpisce non poco è, dunque, la sottolineatura circa il fatto che, secondo Corte cost.n.20/2019, le tre strade astrattamente percorribili da parte del giudice comune – rinvio pregiudiziale, rinvio alla Corte costituzionale o disapplicazione della norma contrastante con il parametro Carta UE di immediata efficacia – integrano, secondo la Corte costituzionale, un “concorso di rimedi giurisdizionali” capace di arricchire “gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali”.
Si tratta di rimedi che sono destinati ad integrarsi, creando effetti benefici e per l’appunto favorendo una congrua soluzione di compromesso fra le esigenze esposte dalla Corte costituzionale e quelle di sistema poste dalla Cassazione.
Insomma, il risultato raggiunto sembra realmente avere realizzato una fusione fra i diversi volti che abbiamo provato a tinteggiare.
Dunque tutto come prima?
La concorrenza di strumenti di tutela che vengono offerti ai titolari dei diritti sembra arricchirsi per effetto della possibilità che non uno ma due “giudici” – quello comune e quello costituzionale – possano offrire tutela ai diritti fondamentali che campeggiano nella Carta UE, entrambi potendo dialogare con la Corte di Giustizia.
Stando alle rime della sentenza n.63/2019, infatti, la Corte costituzionale, ove chiamata in causa dal giudice comune, non può esimersi dal fornire una risposta alla questione con gli strumenti che le sono propri, ivi compreso il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. E così, in effetti, la Corte costituzionale ha inteso fare con l’ordinanza n.117/2019, i frutti fecondi dei quali torneremo a sottolineare in prosieguo.
In questo processo cooperativo il ruolo della Corte di Cassazione e dei giudici di merito risulta comunque rilevante e ad essi toccherà scrivere le pagine ancora bianche e riempire di contenuti espressivi i volti dei giudici che saranno chiamati a fornire ulteriori chiarimenti.
Il nodo sul quale polarizzare energie di mente e di saggezza sarà quello del “criterio ordinatore” – se mai se ne possa e debba individuare uno – per decidere se ad interloquire con la Corte di Giustizia, ove sia in discussione la portata del parametro Carta UE di immediata efficacia debba essere “prima il giudice comune o la Corte costituzionale. Questione che, proprio di recente, ha visto la dottrina continuamente misurarsi[59] e che, dunque, attende di avere le prime risposte “giurisprudenziali”.
La Corte costituzionale, per parte sua, insieme ad una nutrita schiera di autorevoli studiosi, sembra volere lusingare il giudice comune e per condurlo sulla sua strada, quella della Consulta, insistendo sulla capacità rigeneratrice del controllo di costituzionalità, all’esito del quale il sistema verrebbe, proprio grazie all’incidente di costituzionalità sollevato da quest’ultimo, per sempre depurato dalla disposizione in contrasto con il parametro Carta UE, impedendo quindi applicazioni giurisprudenziali frastagliate ed invece favorendo la mai indomita esigenza di certezza del diritto.
Si tratta di lusinghe che muovono da intenti commendevoli[60] ma che non finiscono di persuadere laddove il canone della libera scelta fra rinvio pregiudiziale ed incidente di costituzionalità fa da schermo all’intento più o meno dichiarato che individua nella questione di legittimità costituzionale “il rimedio dei rimedi” che meglio e più di altri favorire la massima protezione dei diritti.
Postulato, quest’ultimo, che sconta un sentimento negativo sempre più diffuso verso la sovranità europea[61] e che carica, in apparenza, il giudice comune di un compito – quello di purificare il sistema- che l’ordinamento dell’Unione europea non gli attribuisce in alcun modo e che, in definitiva, tende a sovvertire, appunto, quel sistema accentrando nel giudice costituzionale lo scettro dell’interpretazione del diritto UE, pur mediandolo con la possibilità di poter sempre ricorrere al dialogo con la Corte UE se ed in quanto dovuto. Tema, quest’ultimo, quello della obbligatorietà o meno del rinvio pregiudiziale per la Corte costituzionale che porterebbe lontano ma, conferma la sovrapposizione di campo e di ruolo che il new deal potrebbe nascondere, a tutto vantaggio del giudice costituzionale se si dovesse caldeggiare la prospettiva che, in fin dei conti, quel che comanda è la Costituzione ed il suo giudice naturale[62].
Insomma al volto conciliante e dialogante della Corte costituzionale pronta a riconoscere, in astratto, il ruolo e l’autonomia del giudice comune nell’andare in contrario avviso a quanto precedentemente ritenuto dalla stessa Consulta – previamente investita con l’incidente di costituzionalità – in nome del diritto UE sembra fare capolino un volto elegantemente nascosto, ma che in chiaroscuro si affaccia. Ed è il volto della Corte costituzionale ben consapevole della diversa “autorevolezza” e del diverso peso fra Consulta e giudice comune – recte, piccolo giudice comune–. Una disparità destinata, se si indossa la lente dell’operatore concreto, svestendo quella presbite dell’ideologo, verosimilmente a determinare la conclusione della vicenda che riguarda la portata di un diritto con la parola data dalla Corte costituzionale. Risulta difficile immaginare che il piccolo giudice comune possa in concreto sovrastare la voce della Corte costituzionale ponendosi di traverso ed appare invece agevole preconizzare gli attacchi ai quali andrebbe incontro per avere “violato” la Costituzione, discostandosi dalla soluzione offerta dalla Consulta.
Ed è, d’altra parte, questo panorama a tratti caravaggesco si arricchisce quando si afferma che il giudice comune avrebbe una grande opportunità, scegliendo la strada di Piazza del Quirinale, di depurare il sistema proprio grazie all’accoglimento dell’incidente di costituzionalità.
Questa posizione che anche di recente è stata sostenuta da Elisabetta Lamarque, ancora una volta non finisce di convincere se si considera che essa tende ad applicare al sistema del diritto dell’Unione europea un meccanismo ad esso totalmente estraneo rispetto al ruolo del giudice nazionale. Nella prospettiva del diritto UE mai un giudice nazionale potrà invalidare o eliminare dal mondo giuridico una disposizione del diritto UE contrastante con i valori fondamentali riversati nella Carta UE, spettando tale potere in via esclusiva alla Corte di Giustizia.
Preme, invece alla Corte di giustizia ed al sistema del quale essa si fa custode che nell’ordinamento nazionale non produca effetti la disposizione contrastante con il diritto UE e ciò attraverso i meccanismi “propri” del diritto UE, appunto costituiti dall’interpretazione eurounitariamente conforme, della disapplicazione e dell’azione di responsabilità, tutti ben saldamente uniti dal meccanismo del rinvio pregiudiziale riconosciuto a qualsiasi giudice dei 27 Paesi dell’Unione europea, dal più periferico e piccolo al più autorevole.
Ora, il volto nascosto della Corte costituzionale sembra disinteressarsi di questo sistema, pretendendo di applicare le proprie regole sul presupposto della coincidenza del diritto protetto dalla Carta UE con la Costituzione. Coincidenza che, però, ca va sans dire, non può che essere ponderata e verificata volta per volta dal giudice del caso concreto e che, in ogni caso, non sembra potere tollerare una riduzione ad unità del sistema di protezione dei diritti di matrice costituzionale, nel quale il sindacato accentrato non è un’opportunità o una mera possibilità grandemente consigliata ma un dovere che nasce dalla Costituzione .
Se, in conclusione, il “piano” tratteggiato dalla sentenza n.269/2017 si è andato depotenziando progressivamente per volontà stessa del giudice costituzionale, rimangono tutti in piedi i dubbi che il volto caravaggesco della Corte costituzionale possa prendere il sopravvento, determinando in modo più o meno consapevole un depotenziamento delle forme di tutela dei diritti fondamentali.
Da qui la necessità che l’interprete rimanga sempre vigile e attento, un po’ come una sentinella.
E non che questo, ovviamente, voglia o possa rappresentare una sorta di lesa maestà rispetto alla funzione autorevolissima della Corte costituzionale, ma semplicemente e solo un modo di essere pienamente rispettosi delle funzioni giudiziarie che sullo stesso giudice ricadono, non per sua scelta, nelle cangianti e variegate forme che si è visto caratterizzare il ruolo del giudiziario.
E ciò anche per fugare l’idea, a volte sussurrata, altre apertamente espressa, che l’entusiasmo del giudice comune verso il diritto UE e la Corte di giustizia sia frutto di superficialità, esso piuttosto dimostrando la fatica e la complessità dell’esercizio delle funzioni giudiziarie, alla ricerca di quella “invenzione del diritto” che, appunto, in senso grossiano, è tutto fuorché leggerezza, spensieratezza e superficialità, dimostrando la fatica del giudicare nel confronto con diritti viventi e dottrine spesso contrastanti e divaricate.
In questa prospettiva assume, dunque, maggiore senso e significato la proposta di consentire contestualmente al giudice comune di sollevare, ove lo ritenga utile e necessario, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia e l’incidente di costituzionalità innanzi alla Consulta.
Il ricorso contemporaneo alle due strade, come in altra occasione abbiamo provato a sostenere[63] renderebbe manifestato che i volti dei dialoganti si illuminano entrambi di luce propria irradiandosi l’uno l’altro, in una prospettiva di pieno, leale e franco confronto Conflitti e contrasti sui quali, appunto, quel “piccolo giudice” non potrà che decidere, suo malgrado, in nome di quella fedeltà ai valori della Costituzione ed alle sue leggi scolpita dall’art.54, c.1, Cost.
8.Il dialogo con la Corte edu e il ruolo della Corte di Cassazione. Dal soft law- il Protocollo concluso dalla Cassazione con la Corte edu l’11 dicembre 2015- al Protocollo n.16 – efficace ma non per l’Italia- ad oggi-.
In questa prospettiva cooperativa, del resto, si muove il protocollo d’intesa concluso fra la Corte di Cassazione e la Corte edu l’11 dicembre 2015[64], al quale chi scrive ebbe l’opportunità di partecipare accompagnando il compianto Primo Presidente Giorgio Santacroce a Strasburgo per la firma dell’accordo con il Presidente della Corte edu Guido Raimondi.
A riprova della fecondità di queste forme di dialogo è opportuno rammentare la posizione di chi per lunghi anni ha svolto con autorevolezza indiscussa un ruolo apicale all’interno della Corte di Cassazione.
Gianni Canzio ha più volte sottolineato la centralità del dialogo fra le Corti così realizzato, riconoscendo che la strada segnata dai Protocolli d’intesa rappresenta un punto di non ritorno e una straordinaria evoluzione di cui non potrà farsi a meno nel percorso di costruzione dell’ordinamento integrato[65].
Analogamente, Renato Rordorf ha ancora di recente testualmente riconosciuto[66] il ruolo del Protocollo, “…destinato a favorire la conoscenza da parte del giudice europeo delle specificità di ogni singolo ordinamento nazionale, facendo sì che la sua giurisprudenza riesca meglio ad esprimere la sintesi dei valori e dei principi fondamentali ai quali sono ispirati gli ordinamenti dei diversi paesi; e per altro verso consente alle corti nazionali di sentirsi partecipi del processo di elaborazione del diritto vivente sovranazionale e di avvertirlo come parte integrante del proprio patrimonio giuridico anziché come un corpo estraneo col quale faticosamente ed a malavoglia convivere”[67].
Maria Gabriella Luccioli non ha poi mancato di evidenziare che il Protocollo d’intesa del dicembre 2015 siglato fra Corte di Cassazione e Corte edu, inglobandosi all’interno della Rete delle Corti europee gestita dalla Corte di Strasburgo, “ … ha assunto la posizione di crocevia tra diritto nazionale e sovranazionale. L’operatività dei richiamati strumenti ha comportato uno straordinario cambio di paradigma rispetto ad un passato non troppo lontano, del tutto chiuso in una prospettiva statalista, consentendo alla Cassazione di sentirsi parte attiva del processo di elaborazione del diritto vivente sovranazionale, ora percepito come parte del suo patrimonio giuridico. Ne deriva che la funzione nomofilattica si arricchisce di nuove potenzialità in direzione di una nomofilachia europea, in quanto il dovere di assicurare l’uniforme interpretazione della legge ai sensi dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario si declina ora anche in termini di garanzia dell’uniforme interpretazione della legge alla luce della CEDU, delle altre Carte dei diritti fondamentali e del diritto di matrice europea. Si passa così dal dialogo tra le Corti all’integrazione dei sistemi, perseguendo l’obiettivo della massima estensione possibile della tutela dei diritti, e segnatamente della tutela della dignità della persona, che in numerose decisioni della Corte Europea è assunta come principio immanente, immediatamente efficace ed inderogabile”.
Anche il Primo Presidente Curzio, nella relazione presentata all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2020 del 29 gennaio 2021, non ha mancato di sottolineare la centralità delle forme di dialogo fra la Corte di cassazione e la Corte edu[68] (p.189).
Si tratta di prese di posizione che segnano un cambio di passo nei rapporti fra le due Corti improntato al canone della “fiducia reciproca” che non vuol dire deferenza dell’una Corte all’altra, ma riconoscimento e rispetto dell’autonomia e della funzione che ciascuna ricopre.
Sedersi ad uno stesso tavolo e dialogare in posizione equiordinata su questioni di comune interesse vuol dire guardare con convinzione e fiducia al futuro dei rapporti fra le due Corti e, probabilmente, la migliore risposta a chi pensa di bollare come retorico il concetto stesso di dialogo fra le Corti[69].
9. Chi ha paura del Protocollo 16?
Si tratta di affermazioni di particolare rilevanza, poiché espresse con riguardo alle forme di dialogo correlate ad atti di soft law anteriori al Protocollo n.16 annesso alla CEDU, che ha introdotto la possibilità per le Alte Corti nazionali di richiedere un parere preventivo non vincolante alla Grande Camera della Corte edu su questioni che involgono l’interpretazione dei principi contenuti nella CEDU.
Strumento quest’ultimo – entrato in vigore dopo la ratifica di 10 Paesi del Consiglio d’Europa - che mostra il ruolo propulsivo per la tutela dei diritti fondamentali svolto dal giudice nazionale, senza che ne esca in alcun modo scalfita l’autonomia e l’indipendenza del giudice nazionale, al contrario artefice in prima persona di una tutela dei diritti piena ed effettiva, svolta soprattutto in ambito nazionale ed all’interno del canone di sussidiarietà, fortemente implementato dalle possibilità di scambio e di confronto appunto rappresentata dal parere che può essere chiesto alla Corte edu prima della definizione del giudizio sul piano interno.
L’attuale situazione di stallo venutasi a creare rispetto alla ratifica del Protocollo n.16 annesso alla CEDU in Italia, dopo che il Protocollo n.15 è stato invece ratificato dalla recente legge n.11/2021- è grave e pericolosa. E sul punto la magistratura in qualunque sua veste, come anche l’Accademia dovrebbero fare sentire la loro voce[70].
Ma perché si è bloccato il processo di ratifica del Protocollo 16 in Italia lasciando via libera soltanto al Protocollo n.15, ratificato con la legge n.11/2021? E chi ha paura del Protocollo 16?
Ecco emergere, nuovamente, i diversi volti che dentro Corte di Cassazione e fuori dalla Corte, nelle istituzioni, si agitano attorno ai temi che qui si dibattono.
Un volto che investe nel dialogo e si affida ad esso con fiducia reciproca; un altro che lo guarda con sospetto, con preoccupazione, stretto nella morsa rappresentata dall’ordine di appartenenza, dalla paura di perdere, nel dialogo, fette di potere – a volte indicate strumentalmente come di autonomia – evocando addirittura lo spettro dell’erosione della sovranità o del proprio ordine di appartenenza.
Non è certo questa la sede per approfondire il discorso sul piano del Protocollo di attuazione fra Cassazione e Corte edu.
Molto più utile è semmai riflettere sugli aspetti legati al Protocollo n.16.
Ed il pensiero va quasi naturalmente, per descrivere la situazione di attuale stallo, all’immagine biblica dei babelici che nella edificazione della Torre avevano pensato di realizzare la propria impresa e la loro sfida a Dio, escludendo la possibilità di lingue differenti e dunque radunandosi attorno a un principio forte di identità: “un solo popolo” e “una sola lingua”[71].
Oggi il volto di chi ha paura del Protocollo si raduna attorno ad un’idea fortemente identitaria, pensando di eliminare le diversità con l’affermazione di un solo diritto, una sola Costituzione, un solo giudice.
Ma vi è un altro volto, al quale non fa invece paura, il Protocollo, a chi è convinto che il diritto nasca dalla composizione delle diversità, dal confronto, dalle traduzioni dei linguaggi diversi provenienti anche da diverse “lingue giuridiche”[72].
Non fa paura, ancora, a chi crede che proprio nel confronto e nella fatica della ricomposizione fra le diversità, ove esistenti, stia il sale del diritto nella dimensione concreta e stia dunque la democrazia dei giorni nostri, pervasa anche dal formante giurisprudenziale, come ancora una volta Rordorf mostra di sapere.
Una Costituzione che, così, scende dalla Torre di Babele e si mostra porosa, aperta, capace di arricchirsi dei materiali costituzionali posti al di fuori di essa, ma che partecipano della medesima natura costituzionale.
Il Protocollo non fa paura a chi ha come stella polare l’idea di un diritto che si compone, dunque, della legge e della sua applicazione e attuazione nel caso concreto.
Un’idea nella quale anche il singolo, si fa costruttore del diritto, partecipe della realizzazione di ciò che è diritto.
Un diritto che, dunque, è in continua evoluzione, nel quale fatto e diritto non riescono più nettamente a distinguersi, ma si fondono armonicamente nella ricerca di uno ius litigatoris che è anche ius constitutionis.
Un diritto fatto di complessità[73] e problematicità proprio perché si alimenta incessantemente di materiali provenienti non soltanto dall’interno ma anche dall’esterno.
Piace, dunque, il Protocollo n.16 a chi si oppone ad ogni idea di totalitarismo, di diritto uno e primo rispetto a ciò che, stando fuori dai confini, costituirebbe sempre e comunque attacco alla sovranità e che, invece, è democrazia, è ricerca della composizione.
Non piace il Protocollo n.16 al volto di chi non si accorge che le diversità non si appianano eliminandole, ma, come si diceva, attraverso la fatica della ricomposizione delle stesse.
In questa prospettiva, il dialogo fra le Corti che il Protocollo n.16 intende realizzare ed incentivare costituisce uno strumento di straordinaria rilevanza, del quale non bisognerebbe avere paura, a meno di acconciarsi a prospettive sovraniste che lascerebbero peraltro fuori il nostro Paese da un dialogo fra altri plessi giurisdizionali, senza potervi contribuire con la propria tradizione costituzionale e con il proprio patrimonio culturale e giuridico, come già emerge dai primi interventi delle Corte costituzionale – che ha riconosciuto pieno valore ai pareri resi dalla Grande Camera sulla base di richieste di pareri provenienti dai Paesi che hanno ratificato il Protocollo – e della Corte edu – che nella sua giurisprudenza ha già richiamato i pareri resi indicandoli, ai fini del loro valore di precedenti, in modo omologo alle pronunzie rese sui ricorsi individuali –.
Del resto, quanto appena sostenuto trova piena conferma in quanto già ritenuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n.49/2015[74].
In definitiva, si avverte sempre di più l’esigenza di cercare modalità operative e tecniche decisorie che, anche in ragione della pluralità di fonti che governano i diritti, tanto in chiave nazionale che in prospettiva sovranazionale, attenuino o riducano le possibilità di conflitti fra i diversi plessi giurisdizionali, proprio in una prospettiva che prima ancora di essere orientata all’alleggerimento del contenzioso da parte di un sistema giudiziario sempre più in crisi sul versante dei tempi, offra a chi ha a che fare con la giustizia risposte tendenzialmente prevedibili proprio grazie alla conoscenza della posizione della Corte edu.
Il Parlamento, riprendendo in mano il progetto di ratifica del Protocollo 16 avrebbe dunque l’opportunità di mettersi dalla parte dei diritti dei cittadini, dei più deboli, di quelli che non possono permettersi di arrivare a Strasburgo e di sostenere i costi ulteriori di un processo già definito sul piano interno e che hanno dunque bisogno di essere sostenuti dallo Stato. Stato che assume qui il volto della giurisdizione che coopera con quello del legislatore, unitariamente rivolto a salvaguardare i diritti fondamentali delle persone.
In conclusione, la scelta italiana di chiudere le porte al Protocollo 16 appare come una occasione persa.
Occorre dunque che l’accademia ed il mondo degli operatori di giustizia si attivino per indurre il Parlamento a ritornare sull’ argomento con una visione più ampia e re cognita, valutando le conseguenze negative che essa procura alla giurisdizione e ancor prima all’ordinamento italiano inteso nella sua complessità e pluralità .
Se però questo dialogo sotto il paradigma del Protocollo n.16 non resterà che alle Corti il compito di continuare incessantemente il dialogo intrecciato sulla base dei Protocolli d'intesa di cui si è detto[75], a patto di continuare ad intendere il ruolo dei Protocolli come motore propulsivo della cultura dei diritti fondamentali.
In questo contesto si inscrive la decisione del CSM, in itinere, alla quale ha fatto anche cenno il Presidente Curzio nella sua relazione (p.192), di diffondere a tutti i magistrati italiani i report che il Gruppo di attuazione del Protocollo d’intesa concluso fra Corte di Cassazione e Corte edu dedica alle novità giurisprudenziali della Cassazione e della Corte edu, unitamente ad altro materiale proveniente dalla Corte di Strasburgo[76].
10. L’interpretazione convenzionalmente orientata anche in assenza di precedenti della Corte edu. Il problema delle lacune e il volto operativo della Cassazione.
Un aspetto importante che va sottolineato per comprendere il ruolo della giurisdizione – di legittimità e di merito – nel processo di implementazione del diritto di matrice convenzionale può cogliersi esaminando la posizione del giudice costituzionale rivolta ad attenuare l’idea di un’operatività della CEDU che varrebbe solo in via mediata ed in presenza di plurimi e costanti precedenti della Corte edu.
In questa direzione si inscrive, con certezza, Corte cost. n. 109/2017 (§ 3.1) ove si è, fra l’altro, affermato: “...[n]ell’attività interpretativa che gli spetta ai sensi dell’art. 101, secondo comma, Cost., il giudice comune ha il dovere di evitare violazioni della Convenzione europea e di applicarne le disposizioni, sulla base dei principi di diritto espressi dalla Corte EDU, specie quando il caso sia riconducibile a precedenti di quest’ultima”, ponendosi in linea con quanto affermato da Corte cost. n.68/2017.
Si tratta, a ben considerare, di posizioni che non si pongono in posizione distonica con la sentenza n.49/2015, ma che aiutano la Corte costituzionale a scrollarsi, almeno le critiche, a volte pesanti, che aveva suscitato la presa di posizione in tema di giurisprudenza consolidata[77].
La piena riconferma dei superiori principi da parte di Corte cost. n. 63/2019 rende ormai pienamente consolidato il principio in forza del quale l’interprete è tenuto ad applicare la CEDU anche in assenza di pronunzie della Corte edu.
Ne esce, così, confermata l’idea che è l’interprete, e per quel che ci riguarda il giudice comune, a dovere fare vivere (o morire, seguendo le indicazioni di Corte cost. n. 49/2015, in caso di mancanza di giurisprudenza consolidata) la CEDU all’interno dei casi posti al suo vaglio, in una prospettiva che guarda, a me pare in ogni caso, alla CEDU come strumento di innalzamento di tutela dei diritti fondamentali e di massimizzazione delle tutele le volte in cui la tutela apprestata a livello convenzionale è possibile inserendosi negli interstizi del sistema interno che non prenda espressamente posizione su una data questione[78].
Quando la Corte costituzionale riconosce che “...[n]ell’attività interpretativa che gli spetta ai sensi dell’art. 101, secondo comma, Cost., il giudice comune ha il dovere di evitare violazioni della Convenzione europea e di applicarne le disposizioni, sulla base dei principi di diritto espressi dalla Corte EDU…-Corte cost. n. 109/2017- essa dimostra, ancora una volta, quanto centrale sia il riferimento al canone ermeneutico nell’attività giudiziale. Concetti, questi ultimi, sui quali sono tornati di recente con parole nitide Francesco Viganò, Vittorio Manes e Raffaello Magi [79].
Affermazione, quest’ultima, che potrebbe tornare utile per rispondere alle critiche, spesso aspre, mosse contro la deriva che sarebbe rappresentata da un ricorso senza controllo al canone ermeneutico per superare la legge e porre, dunque, il giudice, fuori dal perimetro delle sue attribuzioni.
Del resto, anche recentemente la Corte costituzionale è tornata a parlare di interpretazione convenzionalmente orientata e lo ha fatto in ambito di misure di prevenzione, personali e patrimoniali, gestendo i “seguiti” prodotti dalla sentenza de Tommaso c. Italia della Grande Camera della Corte edu con le sentenze n.24 e 25 del 2019, sulle quali è possibile rinviare a riflessioni già in precedenza esposte[80].
Proprio le sentenze da ultimo ricordate della Corte costituzionale (nn.24 e 25 del 2019) attestano con espressioni terminologiche inequivoche l’attuale contesto storico, nel quale si parla ormai abitualmente di “confluenza della giurisprudenza” delle tre Corti (per descrivere il fenomeno ricordato al punto 8 del considerato in diritto della sent. n. 25/2019), di “confronto” fra la Corte di Cassazione e la sentenza de Tommaso – p. 11 sent. n. 25/2019 –, di rilettura del diritto interno aderente alla CEDU – ibidem –, di attività interpretativa idonea a determinare un grado di precisione sufficiente del precetto non penale. Linea che le Sezioni Unite penali avevano già pienamente e convintamente seguito – Cass., S.U., Paternò n. 40076/2017, Cass., S.U. (pen.), 22 febbraio 2018, n. 8770 –.
Nella medesima prospettiva l’ordinanza n. 117/2019 della Corte costituzionale non ha mancato di confermare l’esigenza di una leale cooperazione fra le giurisdizioni quando, chiamata a valutare la portata del principio nemo tenetur se detegere in ambito “coperto” dal diritto UE (abuso di informazioni riservate), ha mostrato di individuare i contenuti di tale “valore” sotto il profilo della Costituzione, della CEDU e della Carta UE, poi sollevando questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia proprio in relazione allo “spirito di leale cooperazione tra corti nazionali ed europee nella definizione di livelli comuni di tutela dei diritti fondamentali – obiettivo questo di primaria importanza in materie oggetto di armonizzazione normativa” – cfr. p. 10 del cons. in diritto Corte cost.n.117/2019 –. Spirito che ha prodotto frutti fecondi, come è lo stesso estensore dell'ordinanza di rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale ad avere puntualmente individuato (Viganò, cit.)
Insomma, pronunzie, queste ultime, che confermano quanto oggi “il diritto non è fatto, ma viene fatto”[81] dalle Corti attraverso il caso esaminato, l’interpretazione del quadro normativo di riferimento, la motivazione della decisione[82] e la sua argomentazione.
L’interpretazione, dunque, ritorna a campeggiare nel discorso giuridico, con i toni spesso pugnaci con i quali i sostenitori della necessità di un suo contenimento si confrontano con quelli che vedono, invece, in essa il luogo di naturale composizione dei conflitti tra norme.
Ed è estremamente importante che la prospettiva segnata dalle sentenze della Corte costituzionale ora ricordate sia stata pienamente recepita proprio dal giudice di legittimità, che invece talvolta, anche nella sua articolazione più autorevole, mostra di non volerla apertamente riconoscere – cfr.Cass.S.U. pen., n. 6551/2012-.
È infatti interessante notare come, a titolo meramente esemplificativo, Cass. n. 2438/2018 ha offerto una lettura accorta del canone dell’interpretazione consolidata, recuperando la linea fondamentale dei principia espressi dalla Corte EDU in materia di ragionevole durata del processo e di effettività dei rimedi per poi applicarli a vicenda non espressamente esaminata dallo stesso giudice della Convenzione, senza che ciò abbia indotto il giudice di legittimità a ritenere il parametro convenzionale non operativo benché non interpretato dal suo giudice naturale con riferimento specifico alla questione esaminata dal giudice nazionale.
Tutto questo induce quasi naturalmente a ricostruire il sistema attraverso un lento, ma ineluttabile passaggio dalla centralità delle fonti alla centralità dell’interpretazione, che poi diventa realmente centralità delle interpretazioni, se si guarda alla naturale vocazione del giudice ad essere all’un tempo chiamato a rileggere i dati normativi in chiave costituzionale, convenzionale (sulla quale qui abbiamo discusso) e del diritto dell’Unione Europea, egli vestendo insieme, fuori da pianificazioni gerarchiche, questi ‘tre cappelli’ quando maneggia il caso posto alla sua attenzione[83].
Dunque un percorso ed un confronto che, nelle parole sapienti della giudice costituzionale Silvana Sciarra pronunziate ad un recente webinar sul ruolo del rinvio pregiudiziale[84]si deve percorrere sul piano deliberativo, del perseguimento di un obiettivo che persegue un'unità complessa ma tuttavia perseguita con parole comuni, piuttosto che con la logica poco appagante e che ha il respiro corto della prima e ultima parola[85]. Una via che occorre perseguire attraverso il canone, da utilizzare sempre e comunque, della trasparenza discorsiva, anche quando dovesse fare emergere una possibilità diversità di vedute.
Un interpretare, un inventare, un cercare per trovare, un reperire [86] (come pure afferma Cass., S.U., 25 gennaio 2017, n.1946), un ricercare (Cass., S.U., 12 dicembre 2012, n.22784), un individuare il significato della legge attraverso la confluenza della giurisprudenza e le puntualizzazioni giurisprudenziali – Corte cost. n. 25/2019 – che conducono, dunque, il giudice a trarre linfa dai principi[87], non più visti come ricavabili da norme particolari, ma nella loro dimensione elastica e potenziale, direttamente proveniente dal complesso e variegato sistema che va individuato attraverso operazioni ermeneutiche ben lontane dall’angusto piano dell’art.12 delle preleggi al codice civile[88].
Un quadro, quello appena descritto, che certo sembra difficilmente compatibile con quella giustizia predittiva che si affaccia all’orizzonte, proprio per alimentarsi di valori che trovano volta per volta, caso per caso, dimensione e protezione diversa a seconda dei casi che vengono all’esame del giudice[89]. Una giustizia che, dunque, sia ha difficoltà estrema a pensare che possa essere dispensata da un algoritmo.
Una visione, quest’ultima che, d’altra parte, costituisce la naturale proiezione di quanto andava dicendo Piero Calamandrei sessant’anni fa, quando ricordava che l’infinita ricchezza del casellario rappresentato dal sistema delle fonti scritte lascia spesso spazio al vuoto ed alla necessità di aggiungere una casella supplementare da parte del giudice attraverso l’interpretazione senza che ciò integri opera di creazione, essendo piuttosto “ricerca, nella legge generale e astratta, di qualche cosa che c’è già per volontà del legislatore, e che si tratta non di creare ex novo, ma di scoprire e riconoscere”[90].
11. Cass., S.U., 23 ottobre 2020, n.29541, Filardo. Un altro volto della Cassazione.
Ma la Corte di cassazione, si diceva all’inizio, ha vari volti.
Proprio rispetto al ruolo e alla rilevanza dell’interpretazione convenzionalmente orientata può essere utile richiamare una recente pronunzia delle Sezioni Unite penali.
Il giudice della nomofilachia, nella sua più autorevole composizione – Cass., S.U., 23 ottobre 2020, n.29541, Filardo – ha di recente affermato, pur non investito specificatamente della questione dal Primo Presidente, che la CEDU, al pari della Costituzione, avrebbe un ruolo assolutamente ridotto all’interno del giudizio di legittimità, poiché la presunta violazione del parametro convenzionale “…a sua volta proponibile in ricorso unicamente a sostegno di una questione di costituzionalità di una norma interna” dovrebbe fare i conti con il rango che la CEDU ha all’interno del sistema delle fonti, appunto meramente “integratrice del precetto di cui all’art.117, comma 1, Cost.”.
Da qui l’inammissibilità della censura che pone alla sua base la violazione del parametro convenzionale in assenza di una questione di legittimità costituzionale proposta.
Orbene, stando al ragionamento delle Sezioni Unite penali –che sul punto seguono un orientamento espresso dalla sezione seconda penale (Cass. pen. n. 12623/2020) – il rango sottordinato della CEDU alla Costituzione non potrebbe che consentire il ricorso al parametro convenzionale se ed in quanto funzionale ad una questione di costituzionalità che, non essendo stata prospettata dal ricorrente, rende la censura non esaminabile dal giudice di legittimità.
Quel che più colpisce rispetto alla netta presa di posizione delle Sezioni Unite è la totale pretermissione, all’interno del processo decisionale del giudice di nomofilachia, del piano interpretativo sul quale si colloca la CEDU e del quale si è detto nel precedente paragrafo.
Piano al quale, si è visto le Sezioni Unite penali, almeno nei precedenti sopra ricordati, sembravano essersi richiamati – Cass., S.U., Paternò n. 40076/2017, Cass., S.U. (pen.), 22 febbraio 2018, n. 8770 –.
Un piano, quello interpretativo, che alle sezioni unite penali Paternò era invece ineludibile, al punto da renderlo indispensabile al fine di evitare il vizio di costituzionalità di una disposizione incriminatrice e conseguentemente l’incidente di costituzionalità -cfr. p.9 sent.Paternò, cit.- ed al quale il decisore di turno, compreso quello di ultima istanza, non sembrava in alcun modo doversi e potersi sottrarsi tutte le volte in cui gli sia prospettato un vulnus della decisione giudiziale rispetto al parametro convenzionale.
Sicché in quel caso spetterebbe al giudice comune verificare se detto vulnus, ove ritenuto esistente, possa essere rimosso attraverso un’interpretazione del dato normativo interno coerente con il parametro convenzionale, senza dunque alcuna necessità di investire il giudice costituzionale e con l’ovvia ulteriore possibilità di considerare che l’incidente di costituzionalità potrà eventualmente essere sollevato dal giudice al quale è stata proposta la censura, ove egli dovesse ravvisare una radicale incompatibilità del dato normativo interno con la CEDU tale da richiedere necessariamente l’intervento del giudice costituzionale.
Le diverse coordinate invece espresse da Cass., S.U. n.29541/2020 segnano, così, un altro volto della Corte che ha peraltro il suo pendant in ampi settori della dottrina.
Dottrina che guarda con sfavore quella giurisdizione, tanto comune che – con rime variegate e a fisarmonica, come si avrà modo di spiegare nel prosieguo – costituzionale che si muoverebbe ben oltre la Costituzione al punto da risultare eversiva, in quanto destinata a scavalcare il parametro costituzionale dell’art. 101 Cost.[91] Si tratterebbe di un’operazione fortemente ideologica che troverebbe conferma in un certo numero di pronunzie dei giudici comuni, innaturalmente rivolte a modificare i rapporti tra legge e interpretazione[92], operando uno slittamento eversivo dal piano delle fonti a quello dei valori, addirittura prefigurando un’inesistente principio di massimizzazione delle tutele che non potrebbe appartenere ad un giudice terzo[93].
Sfavore, che ancora una volta, si indirizza soprattutto rispetto al peso ed il ruolo progressivamente assunto dal diritto di matrice sovranazionale e all’influenza, innaturale, che le giurisdizioni sovranazionali chiamate ad interpretare quello stesso diritto giocherebbero proprio sui giudici interni. Si tratterebbe di sistemi che mettono in discussione il primato della Costituzione e, in una parola, la sovranità dello Stato -sotto forma del principio del libero convincimento del giudice ( quando in gioco dovesse entrare il parere preventivo sollecitato alla Corte edu in forza del protocollo n.16 annesso alla CEDU, aggredito dalla forza sostanzialmente vincolante del parere reso in sede di richiesta consultiva dalle Alte Corti nazionali) –.
Dunque due volti di una stessa Corte, due diverse prospettive che convivono e che trovano composizione all’interno della Corte.
Non ci si nasconde gli effetti, a volte indesiderati, che queste diversità di indirizzi possono produrre, ma non può nemmeno sottacersi come le diversità all’interno di un organo giurisdizionale rappresentano ricchezza, dinamicità, garanzia di indipendenza ed espressione di quella prerogativa costituzionale (art.101, c.2 Cost.), che comunque deve indurre il giudicante a trovare, dopo il confronto dialettico, una composizione per perseguire il canone, parimenti fondamentale, della prevedibilità delle decisioni.
Si potrà certo sostenere, come molti autorevolmente fanno, che le oscillazioni cui la giurisprudenza nazionale è soggetta tra i vincoli discendenti dalla cooperazione coi giudici sovranazionali, considerato il dovere di fedeltà ai valori fondamentali del diritto interno possono alimentare contenzioso, incertezza ed imprevedibilità, rimettendo “nelle mani del singolo operatore di giustizia un potere enorme, di opzione tra l’obbedienza alle pronunzie delle Corti sovranazionali e la opposizione ad esse in nome dell’identità costituzionale”[94].
Il sistema fondato sull’interpretazione ed il dialogo fra le Corti favorirebbe così la frantumazione del precedente – anch'esso valore fondamentale del sistema – e farebbe da "anticamera" all’incertezza dei diritti alla quale, tuttavia, la stessa dottrina ha opportunamente affiancato il valore, parimenti essenziale per l'attuale contesto sociale, rappresentato dalla certezza dei diritti.
A tal proposito, sembra di particolare rilievo il rinvio ad una recente conversazione fra Luigi Salvato e Renato Rordorf su diritto legislativo e diritto giurisprudenziale[95] nella quale si misurano due esponenti di spicco della Corte di Cassazione.
Da quella lettura emerge come il secolare dissidio fra certezza del diritto ed effettività delle tutele può forse trovare rimedio solo considerando che l’alternativa secca favorevole ad un interprete che determini in modo fisso ed inemendabile il diritto del caso concreto imponendolo a chi debba decidere i casi omologhi senza possibilità di modificarne i postulati ed in nome di un canone di certezza e prevedibilità, oltre a non considerare la realtà dei tempi complessi che stiamo vivendo, non riesce a dare risposta appagante all’ipotesi in cui il “precedente” abbia prodotto una ingiustizia che solo l’accorto intervento di un altro interprete rispetto al caso concreto è in grado di emendare, come ha sapientemente evidenziato Rordorf.
Come che sia, le posizioni sicuramente diverse sui grandi temi che si agitano all’interno della Corte nel confronto Salvato-Rordorf, mostrano l'arte del giudicare, alimentata dal confronto, dal dialogo, dal ragionamento al punto che la sintesi delle due posizioni compone e rappresenta la Corte di Cassazione, con le sue accezioni e caratterizzazioni necessariamente variegate.
12. Alla ricerca di una mediazione fra i volti della Cassazione. Il principium cooperationis. Il coraggio nella consapevolezza del limite.
Non ci si nasconde, peraltro, che le conclusioni del paragrafo precedente possano apparire ammantate da una prospettiva troppo partigiana e sfuggente rispetto al conflitto che le posizioni ed i volti della Cassazione mostrano.
In effetti, il tema qui esaminato del ruolo del giudice rispetto all’interpretazione costituzionalmente, eurounitariamente convenzionalmente orientata e, più in generale, degli ambiti dell’interpretazione delle norme interne e sovranazionali, in relazione alla tutela multilivello disegna questioni nuove, tutt’altro che agevoli da dipanare e come si è visto, spesso divisive.
Come trovare un componimento fra queste prospettive avvertite come inconciliabili e dicotomiche?
Può forse dirsi che il giudice e il legislatore hanno entrambi l'obbligo di contribuire in modo solidale, nei contesti normativi e fattuali storicamente dati, alla salvaguardia dell'ordinamento nell'identità dei suoi principi fondamentali, vicendevolmente riconoscendosi come attori insostituibili al servizio dei diritti delle persone.
Per altro verso, non sembra nemmeno vero che in assenza dell'intervento del legislatore il giudice si dimostri infedele alla Repubblica allorché si mette al servizio delle domande di giustizia poste al suo vaglio, applicando al caso concreto il diritto, per come esso si sedimenta attraverso i principi-cardine della Costituzione e delle Carte dei diritti fondamentali[96].
Quest'obbligo di fedeltà, d'altra parte, non può non considerare la particolarità del ruolo attribuito al giudice comune - di legittimità e di merito - nel nostro sistema e il processo di progressivo cambiamento dei rapporti del giudice con la legge positiva nazionale.
Si tratta allora forse di sperimentare una prospettiva che trae le sue origini dalla Costituzione[97] e dal principium cooperationis, ispirato dall’esigenza di integrazione fra le Carte dei diritti già espresso da Corte cost.n.388/1989 e che si declina su diversi piani.
Essa, anzitutto, per dirla ancora con Antonio Ruggeri, suggerisce di considerare tutti i giudici come “orizzontali”, siccome distinti tra di loro unicamente per le funzioni esercitate o, se si preferisce, per la tipicità dei ruoli, comunque bisognosi di essere espressi al massimo rendimento possibile ad ogni livello istituzionale, senza dunque alcuna “graduatoria” tra di loro: siano giudici comuni e siano pure giudici costituzionali o materialmente costituzionali, quali ormai in modo sempre più marcato e vistoso vanno conformandosi le stesse Corti europee[98].
Ne consegue che sia nel rapporto fra giudice di merito, giudice di legittimità e giudice costituzionale che in quello fra giudice nazionale e sovranazionale, la logica ispiratrice non potrà che essere quella della leale cooperazione, essa riuscendo a perseguire il miglior risultato possibile per le parti che sono davanti al giudice.
Questa sembra la prospettiva corretta per gestire la complessità che si è andata tratteggiando.
Occorre un giudice che, chiamato a far vivere le Carte dei diritti nazionali e sovranazionali, sia capace di essere sì coraggioso al punto che, per dirla con Antonio Ruggeri, “se privo del coraggio di mettersi in gioco anche – laddove necessario – esponendosi in prima persona farebbe bene a cambiare mestiere”. Ma un giudice che, al contempo, non può non avere una “mentalità ispirata al senso del limite e alla consapevolezza delle risorse di mente e di cuore di cui ciascuno operatore può e deve essere dotato e che vanno fino in fondo portate a frutto”. Il pensiero va quasi naturalmente all’ultimo Calamandrei, quando ricordava che “…nel sistema di legalità, la stessa legge offre al giudice i mezzi per non perderla mai di vista, per mantenersi sempre in contatto con essa, anche quando i tempi cambiano più velocemente delle leggi: l’interpretazione evolutiva, l’analogia, i principi generali, finestre aperte sul mondo, dalle quali, se il giudice sa affacciarsi a tempo, può entrare l’aria ossigenata della società che si rinnova”[99].
Un invito alla prudenza coraggiosa, si potrebbe dire, che va rivolto soprattutto quando si tocca il tema, centrale, dell’interpretazione.
In questa prospettiva il giudice, di legittimità come di merito, non può temere di essere contromaggioritario ma, invece, deve conoscere con professionalità gli strumenti che si trovano davanti al suo scrittoio.
Il giudice di Cassazione non deve quindi avere timore di essere accusato di atteggiamenti eversivi quando egli si muove nel rigoroso rispetto delle regole di ingaggio prevista dal sistema.
Tocca dunque impegnarsi in una continua ricerca, non in astratto ma in concreto, in vivo e non in vitro, del limite che i soggetti istituzionali coinvolti devono sapere cogliere per perseguire una prospettiva che senza retorica alcuna si muove nel verso della massimizzazione delle tutele alimentata, appunto, dal confronto, dalla conoscenza, dalla formazione degli operatori rispetto alle fonti costituzionali di matrice interna e sovranazionale, dalla intelligente e consapevole attenzione al perenne interscambio fra le Corti, capace di determinare, alla fine del confronto, un risultato che (quasi incredibilmente) attribuisce comunque notevole valore all’interpretazione fornita proprio dalle autorità interne che sono “di prossimità” rispetto alle spesso dolorose vicende della vita.
Il futuro, dunque, non è nello scontro, ma nell’incontro delle diversità.
Il giudice nazionale è in realtà il "sovrano" ed al tempo stesso il “servo” dei diritti, allo stesso spettando una straordinaria opera di costruzione di una trama nella quale gli interessi, i valori, qualunque sia la loro matrice, costituzionale, sovranazionale, eurounitaria, rappresentano i rocchetti che "il giudice operaio" cerca di armonizzare e fare girare tutti insieme.
Un giudice, quello attuale, dunque non mero lettore di un sistema di norme, ma ingranaggio essenziale del processo produttivo del diritto[100].
Resterà da valutare se la visione qui prospettata contrasti con la funzione nomofilattica fissata dalla Costituzione e con l’art.111 Cost. Ancora se essa sia frutto di una posizione “minoritaria” della dottrina costituzionalistica e proietti il giudice in modo innaturale verso una dimensione che non gli appartiene o non gli dovrebbe appartenere. E ancora se tutto ciò finisca altresì per fomentare lo scontro fra plessi giurisprudenziali, introducendo in dibattiti di matrice meramente interna elementi estranei, così in definitiva trasfigurando il ruolo stesso del giudice di legittimità.
A questi interrogativi, meritevoli di attenta analisi, non si può qui che rispondere con affermazioni che rischiano di apparire assertive, ma che lo spazio e la pazienza di chi legge questo già assai e troppo lungo scritto comunque suggeriscono.
Il richiamo al rispetto della Costituzione ed a quel patriottismo costituzionale sotteso alle critiche anzidette appare forse ingeneroso e non coglie, forse, l’essenza e l’esistenza, all’interno della Costituzione, di parametri che completano l’art.111 e che trovano negli artt.2, 11, 117 1^ c., Cost. altrettanti valori fondanti ed essenziali, tutti informati ad un controllo di garanzia e di protezione forte dei diritti fondamentali delle persone.
Il tratto armato che a volte si vorrebbe cogliere e stigmatizzare in alcune decisioni della Cassazione - ordinanza di rinvio alla Corte costituzione n.8325/2020 in tema di maternità surrogata, rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia nell'ordinanza delle S.U. n.19598/2020 di cui si è già ampiamente detto in precedenza - non persuade.
In entrambe le vicende la Cassazione non sembra affatto avere utilizzato in maniera disinvolta alcuni strumenti pur normativamente previsti – questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia – essendosi anzi mossa nel pieno rispetto delle prerogative riservate al giudice di ultima istanza.
Nel caso esaminato da Cass.n.8325/2020 la Corte non ha inteso disattendere la decisione delle Sezioni Unite, ma ha al contrario dubitato della compatibilità dell'orientamento espresso da quell'organo con i parametri costituzionali integrati dalla CEDU, evocando il parere della Grande Camera dei diritti dell'uomo reso il 9 aprile 2019[101] che ha piena valenza giuridica al pari delle altre pronunzie della Corte edu, come già affermato dalla Corte costituzionale (Cort. cost.n.230/2020) e dalla stessa giurisprudenza della Corte edu che richiama i pareri come suoi precedenti (Corte edu, 16 luglio 2020, D. c. Francia, ric.n.11288/18).
Cass.S.U. n.19598/2020, per converso, ha chiesto - fra l'altro - alla Corte di Giustizia l'interpretazione di un parametro contenuto nella Carta UE dei diritti fondamentali al fine di verificare la tenuta di un orientamento delle stesse Sezioni Unite, ancora una volta muovendosi nel rigoroso rispetto dell'art.111 Cost. che affida alle Sezioni Unite e non alla Corte costituzionale il compito di regolare i plessi giurisdizionali, senza invadere o scavalcare alcun organo costituzionale ma al contrario, richiamando i precedenti della Corte di giustizia che affermano principi magari non digeriti da qualcuno ma pur sempre diritto vigente e vivente e dunque "dialogando" con quel giudice e sollecitandone l'interpretazione di parametri UE.
Tanto vale la pena di precisare, al di là del merito delle questioni sull'eccesso di potere giurisdizionale e sulla maternità surrogata, rispetto alle quali qui non si intende in alcun modo entrare. E ciò non già per giustificare o assecondare un procedere per così dire "deragliato" della Cassazione, ma soltanto per sottolineare che anche i due provvedimenti della Cassazione indicati come casi paradigmatici di un incedere fuori binario, visti in diversa prospettiva, sembrano allineati nella prospettiva del dialogo costruttivo, coraggioso e comprensivo dei limiti al quale qui si è accennato. Decisioni, peraltro, queste ultime che, al pari di quelle di qualunque altro provvedimento giurisdizionale, si misurano sulla motivazione che esse utilizzano, sulla plausibilità e persuasività delle argomentazioni utilizzate che, appunto, si proiettano in quella comunità interpretativa dei giuristi che ne verificherà poi la correttezza e solidità. Il che è accaduto anche in relazione alle due vicende che, ancora una volta, hanno suscitato reazioni e riflessioni divaricate, a volte favorevoli, a volte aspramente contrarie. Verrebbe da dire, ancora una volta, nihil sub sole novi.
In definitiva che il ragionamento qui esposto e alcune delle linee di tendenza accennate a proposito del ruolo nomofilattico della Cassazione siano in linea non già con la maggioranza della dottrina, ma con posizioni ritenute minoritarie forse non tengono nel dovuto conto alcune non secondarie considerazioni di ordine valoriale sulle scelte adottate, in ogni caso trascurando l'essenza dell'essere giudice soggetto soltanto alla legge, il quale non misura il suo incedere e le sue decisioni sulle linee delle occasionali maggioranze – politiche o accademiche che siano –, quanto sui valori della Costituzione integrati fra loro con i sistemi dotati di piena efficacia normativa per come esso li interpreta secondo la sua responsabilità.
*In allegato:1) Quadro sinottico di alcune pronunzie adottate dalle SU civili e dalle sezioni semplici della Corte di Cassazione in tema di bilanciamento, proporzionalità e cooperazione fra le Corti nazionali e sovranazionali e valore del parere non vincolante reso dalla Corte edu in forza del Protocollo n.16 annesso alla CEDU); 2) R. G. Conti, Diritto all’anonimato versus diritto alla conoscenza delle origini dell’adottato. Il punto di vista della Corte edu, in AA, Fattore tempo e diritti fondamentali. Corte di cassazione e CEDU a confronto, IPZS, 2017.
[1] E.Carbone, Quattro tesi sulla nomofilachia, in Pol.dir., 2004, 599 ss.
[2] M.Taruffo, Il vertice ambiguo. Saggi sulla Cassazione civile, Bologna, 1991, 13; G.Silvestri, Le Corti supreme negli ordinamenti costituzionali contemporanei, in AA.VV., Le Corti supreme, Atti conv. Perugia, 5-6 maggio 2000, Milano, 2001, 36 ss. ed in particolare, 39:"...Le tradizionali Corti supreme si sono spostate sempre più a ridosso degli organi giudiziari diffusi sul territorio e svolgono funzioni sempre più lontane dalla nomofilachia proiettata al futuro, per assumere le sembianze di controllori specifici della giusta definizione del caso, garanti in ultima istanza della legalità che serve all'immediata tutela dei diritti del cittadino."
[3] P. Grossi, L’invenzione del diritto, Bari-Roma 2017, 82 e 115. Lo stesso P. Grossi, in Prefazione a Il mestiere del giudice, a cura di R. G. Conti, Padova, 2020, XVI, chiarisce in modo autentico il concetto di invenzione che Egli stesso ha canonizzato, precisando che nel parlare di ruolo inventivo, "...si fa esclusivo riferimento alla inventio dei latini consistente appunto in un 'cercare per trovare'".
[4] V. Corte Giust. 5 ottobre 2010, causa C–173/09, Elchinov V. altresì, Corte giust. 15 gennaio 2013, causa C–416/10, Križan, ove si è addirittura ritenuto che il giudice del rinvio al quale sia stato rimessa dal giudice di ultima istanza la decisione sulla base di un principio di diritto confliggente con il diritto UE, non è vincolato a detto principio, ma è a sua volta legittimato a prospettare un nuovo rinvio pregiudiziale per avere l’interpretazione del diritto UE sul quale esistono seri dubbi.
[5] In questa direzione può ricordarsi Corte giust., 24 giugno 2019, C-573/17, Poplawsky, ove la Corte ha già dichiarato che l’obbligo di interpretazione conforme impone ai giudici nazionali di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto interno incompatibile con gli scopi di una decisione quadro, e di disapplicare, di propria iniziativa, qualsiasi interpretazione accolta da un organo giurisdizionale superiore alla quale essi siano vincolati, ai sensi di tale disposizione nazionale, se detta interpretazione non è compatibile con la decisione quadro di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze del 19 aprile 2016, DI, C‑441/14, EU:C:2016:278, punto 33, nonché del 29 giugno 2017, Popławski, C‑579/15, EU:C:2017:503, punti 35 e 36). Pertanto, un giudice nazionale non può, in particolare, validamente ritenere di trovarsi nell’impossibilità di interpretare una disposizione nazionale conformemente al diritto dell’Unione per il solo fatto che detta disposizione è stata costantemente interpretata in un senso che è incompatibile con tale diritto (sentenze dell’8 novembre 2016, Ognyanov, C‑554/14, EU:C:2016:835, punto 69, e del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften, C‑684/16, EU:C:2018:874, punto 60)
[6] Cfr. R. Conti, Il mutamento del ruolo della Corte di cassazione fra unità della giurisdizione e unità delle interpretazioni, in http://www.giurcost.org/studi/conti5.pdf.
[7] V., sulla centralità del dialogo per il giudice federale americano, ma in una prospettiva che non è molto diversa da quella del giudice di ultima istanza nazionale, G. Calabresi, Il mestiere di giudice. Pensieri di un accademico americano, Bologna 2014, 66 e ss. Anche l’ordinanza n.207/2018 della Corte costituzionale, sulla vicenda “Cappato” è sintomatica di quanto le Corti superiori tendano quasi naturalmente a favorire soluzioni che presuppongono un dialogo con il legislatore o le altre Corti. Dialogo cercato addirittura forzando prassi secolari ed attingendo ad esperienze oltre oceaniche pur se proprie di sistemi giuridici che la tradizione giuridica colloca in ambiti diversi da quelli nostrani.
[8] Sui rapporti fra Sezioni semplici e S.U. penali v., di recente, G. De Amicis, La formulazione del principio di diritto e i rapporti tra Sezioni semplici e Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione , Relazione tenuta all’incontro di studio organizzato dalla Struttura della formazione decentrata presso la Corte di Cassazione il 30 novembre 2018.
[9] V., volendo, R. Conti, Il rinvio pregiudiziale alla Corte UE: risorsa, problema e principio fondamentale di cooperazione al servizio di una nomofilachia europea, Relazione al Convegno sul tema "Le questioni ancora aperte nei rapporti tra le Corti Supreme Nazionali e le Corti di Strasburgo e di Lussemburgo" – 23 e 29 ottobre 2014–, organizzato presso la Corte di Cassazione dalla Strutture territoriali di formazione decentrata della Corte di Cassazione e della Corte d’Appello di Roma, in www.cortedicassazione.it.; Id., La giurisdizione del giudice ordinario e il diritto Ue, in www.questionegiustizia.com.; A. Barone, The european « nomofilachia » network, in Riv. It. Dir. Pubb. Com., fasc.2, 2013, pag. 351.
[10] Sui tratti, a volte accidentati, di questo cammino della Corte di Cassazione v. A. Cosentino, Il dialogo fra le Corti e le sorti (sembra non magnifiche, né progressive) dell’integrazione europea; in www.questionegiustizia.com.
[11] Oltre ai numerosissimi commenti alla sentenza ricordata nel testo, in calce alla pubblicazione della stessa su Consultaonline, v., A. Randazzo, La tutela dei diritti fondamentali tra CEDU e Costituzione, Milano 2017, 195.
[12] V., di recente, in termini assai favorevoli sulla scelta di C. Cost.n.49/2015 E. Lamarque, I poteri del giudice comune nel rapporto con la Corte costituzionale e le Corti europee, in La Corte costituzionale del XXI secolo, in Questionegiustizia, n.4/2020, 93 ss. Per un risalente commento v. volendo, R. Conti, La CEDU assediata?(osservazioni a Corte cost. sent. n. 49/2015), in Consultaonline, 26 marzo 2015.
[13] A. Ruggeri, I rapporti tra Corti europee e giudici nazionali e l’oscillazione del pendolo, in Consultaonline, f.1/2019, 25 marzo 2019.
[14] V., volendo sul tema, R. Conti, La nuova frontiera dopo la “Torreggiani”: tracciati e prospettive per il giudice e il legislatore, in La tutela preventiva e compensativa per i diritti dei detenuti, a cura di F. Fiorentin e D. Galliani, Torino 2019, 599.
[15] D. Galliani, È più facile perdonare un nemico che un amico" La Corte europea dei diritti dell'uomo, la giusta giustizia, la giurisprudenza consolidata, l'ordinamento italiano, in P. Pinto de Albouquerque, I diritti umani in una prospettiva europea, opinioni concorrenti e dissenzienti, a cura di D. Galliani, Torino, 2016, 5
[16] V., sul punto l’assai interessante riflessione alla sentenza delle S.U. penali citata nel testo di F. Gianfilippi, Il letto (di Procuste) e le Sezioni Unite-sent.n.6551/2021-: il punto sugli spazi detentivi minimi e un’occasione per parlare ancora di giurisprudenza convenzionale e limiti all’apprezzamento del giudice nazionale, in Giustiziainsieme, 2 marzo 2021.
[17] M. S. Mori, I “Fratelli minori” di Contrada e le possibili conseguenze nei rapporti con la Corte europea dei diritti dell’uomo: note a margine di SS.UU. n. 8544 24.10.2019 – 3.3.2020, Genco, in Giustiziainsieme,12 giugno 2020.
[18] V. sul tema, volendo, R. Conti, La nuova frontiera dopo la “Torreggiani”: tracciati e prospettive per il giudice e il legislatore, in La tutela preventiva e compensativa per i diritti dei detenuti, a cura di F. Fiorentin, Torino, 2019, 628 ss
[19] Sui tormentati rapporti fra giudice e legislatore v., per tutti, R. Rordorf, Giudizio di cassazione. Nomofilachia e motivazione, in Libro dell’anno del diritto 2012, spec. par.2.1, in www.treccani.it. e in più scritti, A. Ruggeri, «Non gli è lecito separarmi da ciò che è mio»: riflessioni sulla maternità surrogata alla luce della rivendicazione di Antigone, in “itinerari” di una ricerca, sul sistema delle fonti, XXI, Torino 2018, 101 ss. V., ancora, R. Conti, Leggendo l’ultimo Lipari, in www.questionegiustizia.co.
[20] V. Sciarabba, Il ruolo della CEDU tra Corte costituzionale, giudici comuni e Corte europea, Roma 2019, pag. 169.
[21] A. Ruggeri, Il primato del diritto dell’Unione sul diritto nazionale: lo scarto tra il modello e l’esperienza e la ricerca dei modi della loro possibile ricomposizione, in Itinerari di una ricerca sul sistema delle fonti, XX, Torino, 8 ss.; id., Disordine del sistema delle fonti, crisi della legge e ruolo del giudice (tornando a riconsiderare talune correnti categorie teoriche alla luce delle più salienti esperienze della normazione e dei più recenti sviluppi istituzionali), in Consultaonline, 9 novembre 2020, 613; F. Viganò, Cedu e cultura giuridica italiana, 13) Conversando con i penalisti su Cedu e dintorni, Intervista di R. Conti e V. Militello a R. Magi, V. Manes e F. Viganò, in Giustizia insieme, 8 febbraio 2021. Sul tema, sia consentito il rinvio a R. Conti, CEDU e Carta UE dei diritti fondamentali, tra contenuti affini e ambiti di applicazione divergenti, Relazione svolta al corso di formazione organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura sul tema “ I diritti fondamentali alla luce della Costituzione, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e della giurisprudenza delle Corti” nei giorni 7 e 8 settembre 2020, in Consultaonline, fasc.3/2020.
[22] M. G. Luccioli, I miei cinquant’anni in magistratura, Udine, 2016,139.
[23] Cfr., volendo, R. Conti, CEDU e Carta UE dei diritti fondamentali, tra contenuti affini e ambiti di applicazione divergenti, Relazione svolta all’incontro di studio organizzato dalla SSM sul tema I diritti fondamentali alla luce della Costituzione, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e della giurisprudenza delle Corti, in Consultaonline, 2 novembre 2020.
[24] G. Silvestri, Le Corti supreme negli ordinamenti costituzionali contemporanei, in AA.VV., Le Corti supreme, Atti conv.Perugia 5-6 maggio 2000, Milano, 2001,45
[25] Per un’analisi approfondita del ruolo del giudice di legittimità, v. A. Valitutti, Il valore vincolante del precedente di legittimità. La Corte di Cassazione tra nomofilachia e nomopoietica, in http://www.lanuovaproceduracivile.com/valitutti-il-valore-vincolante-del-precedente-di-legittimita-la-corte-di-cassazione-tra-nomofilachia-e-nomopoietica/; F. De Stefano, Giudice e precedente. Per una nomofilachia sostenibile, in Giustiziainsieme, 3 marzo 2021; A. Scarpa, Nomofilachia codificata e supremazia dei precedenti, in Giustiziainsieme, 23 febbraio 2021.
[26] La Corte di Cassazione è stata la seconda in Europa a stilare un protocollo di dialogo con la Corte edu che si è rivelato assai fruttuoso, coinvolgendo tutte le sezioni, civili e penali, all’interno del Gruppo di attuazione appositamente creato per favorire sia la diffusione della giurisprudenza sovranazionale, che la conoscenza delle tecniche di decisione della Corte edu e delle pronunzie interne che alla stessa fanno riferimento. V., sul punto, A. Di Stasi, Corte di Cassazione e Corti europee, in I processi civili in Cassazione, a cura di A. Didone e F. De Santis, Milano 2018, 248 ss.
[27] N. Lipari, Il diritto civile tra legge e giudizio, cit., 184.
[28] P. Grossi, Il diritto civile italiano alle soglie del terzo millennio(una pos–fazione), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2010, 473; id., Un impegno per il giurista di oggi: ripensare le fonti del diritto, Napoli, 2007, p.73.
[29] E che sul tema vi siano diversità di vedute marcate anche nel mondo giudiziario pare dimostrato dall’esistenza di voci fortemente dissonanti sui temi qui in discussione. V., ad es., G. Cricenti, I giudici e la bioetica. Casi e questioni, 16 ss. che si colloca lontano dal principialismo, come anche L. Cavallaro, La memoria e il desiderio, in www.questionegiustizia.it. e, dello stesso Autore, Il diritto civile tra legge e giudizio. Note in margine a un libro di Nicolò Lipari, in www.giustiziaonline.com, 30 aprile 2018. Invece, favorevoli ad una visione più aperta del diritto mediante operazioni di bilanciamento che coinvolgono i diritti fondamentali e della loro influenza sul processo di interpretazione E. Scoditti, Scoprire o creare il diritto? A proposito di un recente libro, in www.questionegiustizia.com.
[30] V, sul punto, Ragionando sulla (recte, sulle) sovranità, Intervista di Roberto Conti a Enzo Cannizzaro, cit.in Giustiziainsieme, 24 febbraio 2021.
[31] D. Galliani, I criceti e la ruota che gira. Il senso costituzionale dell’obbligo di motivazione, in Scritti per Roberto Bin,Torino, 2019, 684 ss.
[32] V. G. Canzio, Nomofilachia e diritto giurisprudenziale, in Contratto e impresa, 2/2017. Sul tema v., altresì, R. Rordorf, A cosa serve la Corte di cassazione, in Magistratura giustizia società, Bari, 2020,329; E. Lupo, La funzione nomofilattica della Corte di cassazione e l'indipendenza funzionale del giudice, in Cass. pen. 2020, 991.
[33] G.Vettori, Effettività fra legge e diritto, Milano, 2020,79 ss.
[34] G. Cataldi, Ruolo e funzione della Corte di Cassazione: il punto di vista del giudice d’appello, in www.questionegiustizia.com, f.n.3/2017.
[35] P. Grossi, L’invenzione del diritto, cit., 103.
[36] L. de Ruggiero, Cosa si aspettano i giudici di merito dalla Cassazione: i “precedenti” e il controllo della motivazione, in www.questionegiustizia.com, f.n.3/2017.
[37] B. Rizzardi, Il giudice di merito e la Corte di cassazione: alla ricerca della nomofilachia perduta, in www.questionegiustizia.com., f.n.3/2017.
[38] Sulla solitudine del giudice di merito in relazione a materie sensibili insiste, opportunamente, M. G. Luccioli, I miei cinquant’anni in magistratura, cit., 67.
[39] Generalmente ci si troverà di fronte a diritti comprimibili, talaltra a diritti assoluti, rispetto ai quali si sfruttano tecniche interpretative dietro alle quali si celano, ancora una volta, operazioni di bilanciamento: cfr. A. Tancredi, La tutela dei diritti fondamentali “assoluti” in Europa: “It’s all balacing”, in Ragion pratica, 2007, 383 ss.; id., L’emersione dei diritti fondamentali “assoluti” nella giurisprudenza comunitaria, cit., 692. Sul tema del bilanciamento v. R. Guastini, Distinguendo. Studi di teoria e metateoria del diritto, Torino, 1996, 142 ss.; A. Cerri, Il “principio” come fattore di orientamento interpretativo e come valore “privilegiato”:spunti ed ipotesi per una distinzione, in Giur.cost., 1987,1860 ss.; D. U. Galetta, Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano,1998, 11 ss.
[40] G. Amato, Corte costituzionale e Corti europee, Fra diversità nazionali e visione comune, Bologna, 2015, 86.
[41] V., in modo molto incisivo R. Rordorf, nell’Intervista di R. Conti allo stesso Rordorf ed a E. Lupo, G. Canzio e G. Luccioli, Diritti fondamentali e doveri del giudice di legittimità, in Giustiziainsieme, 19 giugno 2019: “…i diritti fondamentali si traducono spesso non tanto in regole quanto in principi. Secondo la nota distinzione proposta da Dworkin, le regole sono applicabili “nella forma del tutto-o-niente”: se si danno i fatti stabiliti da una regola, allora o la regola è valida, e in tal caso si deve accettare la risposta che essa fornisce, oppure la regola è invalida, ed allora non influisce sulla decisione; i principi, invece, esprimono i valori supremi dell’ordinamento di una comunità e la loro applicazione può richiedere ponderazione e bilanciamento (eventualmente imponendo la disapplicazione di regole incompatibili con essi), onde può accadere che un principio, in determinate circostanze o in particolari contesti, prevalga su un altro o viceversa, oppure che possa essere applicato in maniera più o meno ampia. Ed è proprio in questo aspetto che mi pare sia dato cogliere una significativa evoluzione del modus operandi del giudice di legittimità, posto a confronto con i diritti fondamentali: cioè nel sempre più frequente ricorso a criteri di bilanciamento e ponderazione ed, al contempo, nella sempre maggiore propensione ad interpretare le regole del diritto positivo in modo costituzionalmente orientato (o orientato in conformità ai dettami del diritto europeo e della Convenzione dei diritti umani), ossia adeguando di volta in volta il dettato normativo a principi fondamentali – quali l’uguaglianza, la solidarietà, la dignità, la buona fede, ecc. – che, per la loro valenza generale, sono suscettibili di una vasta gamma di modulazioni.” Sulla centralità del bilanciamento v., nella stessa intervista, cit., le considerazioni di G. Luccioli.
[42] Cfr. anche V. Zagrebelsky, La prevista adesione dell’Unione Europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in www.europeanrights.eu: “…E in ogni caso mi pare si debba considerare che in un sistema di diritti dell’uomo come quello europeo, sofisticato e ricco di diritti riconosciuti, il conflitto giurisprudenziale può facilmente sorgere quando più diritti si pongano in contrasto o concorrenza, senza che l’uno possa essere completamente sacrificato all’altro e con la necessità quindi di procedere a valutazioni di bilanciamento e proporzione.”
[43] V. sul punto, S.Sciarra, La Corte e il lavoro, podcast di Silvana Sciarra, 9 ottobre 2020, in www.treccani.it . V. anche, S. Mangiameli, Il contributo dell’esperienza costituzionale italiana alla dommatica europea della tutela dei diritti fondamentali, in www.giurcost.it, sub par. 10.
[44] Cfr.S. U. 25 ottobre 2010 n. 21799, in tema di ricongiungimento familiare - art.31 t.u. espulsione -.
[45] A tal proposito possono ricordarsi le sentenze Schidberger –12 giugno 2003, causa C-112/00, Racc., p. I-5659- e Omega - Corte giust. 14 ottobre 2004, causa C-36/02, ivi, Racc., I-9609-. Ora, Corte giust. (Grande Sezione) 29 gennaio 2008, causa C‑275/06, Productores de Música de España (Promusicae).
[46] V. Corte dir. uomo, 10 gennaio 2008, Kears c. Francia, in www.echr.coe.int.
[47] Corte dir. uomo, 31 maggio 2007, Bistrovic c. Croatia, § 3.
[48] Basti, sul punto, ricordare, a titolo di esempio, la sentenza resa dalla Corte di Giustizia il 20 maggio 2003, Rechnungshof, nella quale il giudice europeo, dovendo risolvere il conflitto fra un diritto sancito a livello comunitario ed un diritto costituzionalmente garantito, ha rimesso al giudice la valutazione sulla proporzionalità della misura limitativa a carico del diritto dell’Unione, in tal modo riconducendo all’autorità remittente il compito di operare il bilanciamento necessario tra i diritti.
[49] A. Ruggeri, Composizione delle norme in sistema e ruolo dei giudici a garanzia dei diritti fondamentali e nella costruzione di un ordinamento “intercostituzionale”, in Federalismi, n.10/2009.
[50] A. Ruggeri, Dimensione europea della tutela dei diritti fondamentali e tecniche interpretative, cit.; idem, Itinerari di una ricerca sul sistema delle fonti, XIII, Studi dell'anno 2009, Torino, 2010, 480. Sul valore dei diritti fondamentali in dimensione multilivello v. P. Gianniti e C. Sartea, “Diritti umani e sistemi di protezione sovranazionali”, Roma, 2019 e L. Salvato, Diritti umani e sistemi di protezione sovranazionali: considerazioni a margine di un recente volume di Pasquale Gianniti e Claudio Sartea, in Giustiziainsieme, 22 novembre 2019.
[51] Cass., n.18279/2010; Cass., S.U., 9 dicembre 2015, n.24822; Cass. n.3831/2018; Cass., S.U., 21 dicembre 2018 n.33208; Cass., S.U., 12 giugno 2019, n. 15750; Cass., S.U., 23 luglio 2019 19888; Cass., S.U., 26 luglio 2019, n.20404; Cass. n. 19618/2020; Cass.n. 29469/2020; Cass. n. 28887/2020; Cass. n. 9147/2020; Cass. n. 8325/2020; Cass. n. 4791/2020.
[52] V., sul tema, l'attenta ricostruzione dei prodromi alla sentenza n.269/2019 e dei seguiti AA.VV., Granital revisited? L'integrazione europea attraverso il diritto giurisprudenziale, a cura di C. Caruso, F. Medico, A. Morrone, Bologna, 2020; D. Tega, La Corte nel contesto. Percorsi di ri-accentramento della giustizia costituzionale in Italia, Bologna, 2020, 184 ss.. Ancora per l'esame di importanti contributi in materia, assai utile il rinvio a La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Efficacia ed effettività, (a cura di) O. Pollicino e V. Piccone, Napoli, 2018. V., ancora, A Cosentino, Doppia pregiudizialità, ordine delle questioni, disordine delle idee, in Questione giustizia,6 febbraio 2020; L. S. Rossi, La sentenza 269/2017 della Corte costituzionale italiana: obiter 'creativi' (o distruttivi?) sul ruolo dei giudici italiani di fronte al diritto dell'Unione europea, in Federalismi, 31 gennaio 2018; V. Piccone, Primato e pregiudizialità: il ruolo dell’interpretazione conforme, in F. Ferraro, C. Iannone, Il rinvio pregiudiziale,Torino, 2020, 325.
[53] Sul tema ripetutamente trattato in dottrina, ci si astiene dal riportare analiticamente i numerosi contributi di molti autorevoli studiosi, già potendosi rinviare ai richiami contenuti nelle opere indicate alla nota precedente.
[54] B. Nascimbene - P. Piva, Il rinvio della Corte di Cassazione alla Corte di giustizia: violazioni gravi e manifeste del diritto dell’Unione europea?, in Giustiziainsieme, 24 novembre 2019; P. Baratta, È censurabile per Cassazione la violazione del diritto sovranazionale imputabile al giudice amministrativo?, in www.apertacontrada.it; S. Barbareschi, L.A. Caruso, La recente giurisprudenza costituzionale e la Corte di Cassazione «fuori contesto»: considerazioni a prima lettura di ord. Cass. SS.UU. 18 settembre 2020, n. 19598, in Federalismi.it, 2020; R.Bin, È scoppiata la terza “guerra tra le Corti”? A proposito del controllo esercitato dalla Corte di Cassazione sui limiti della giurisdizione, in Federalismi.it, 2020; M. A. Sandulli, Guida alla lettura dell’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 19598 del 2020, in Giustiziainsieme, 30 novembre 2020; G. Costantino, A. Carratta, G. Ruffini, Limiti esterni e giurisdizione: il contrasto fra Sezioni Unite e Corte Costituzionale arriva alla Corte UE. Note a prima lettura di Cass. SS.UU. 18 settembre 2020, n. 19598, in Questione giustizia, 2020; F. Francario, Quel pasticciaccio brutto di piazza Cavour, piazza del Quirinale e piazza Capodiferro (la questione di giurisdizione), in Giustiziainsieme, 2020; G. Greco, La violazione del diritto dell’Unione europea come possibile difetto di giurisdizione?, in Eurojus, 2020; G. Tropea, Il Golem europeo e i «motivi inerenti alla giurisdizione» (Nota a Cass., Sez. un., ord. 18 settembre 2020, n. 19598), in Giustiziainsieme, 7 ottobre 2019; B. De Santis, Considerazioni di prima lettura sul rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia di Cass. S.U. n. 19598/2020, in wwwjudicium.it 12 ottobre 2020.
[55] R. Conti, L’uso fatto della Carta dei diritti dell’Unione da parte della Corte di Cassazione, in Consultaonline, 26 gennaio 2016.
[56] V., del resto, i contenuti dell’Intervista di R. Conti a A. Ruggeri e R. Bin Giudice o giudici nell’Italia postmoderna?, cit.
[57] Così R. Mastroianni, La Carta UE dei diritti fondamentali fa gola o fa paura?, in Intervista di R. Conti a B. Nascimbene, P. Mori e R. Mastroianni, in Giustizia insieme, 26 aprile 2019. Sul tema, oltre alle riflessione profonde degli altri due intervistati, v., anche La Carta UE in condominio fra Corte costituzionale e giudici comuni. Conflitto armato, coabitazione forzosa o armonico ménage? Intervista di R. Conti a L. Trucco, G. Martinico e V. Sciarabba, in Giustizia insieme, 8 maggio 2019.
[58] V.M. Cartabia, Considerazioni sulla posizione del giudice comune di fronte a casi di “doppia pregiudizialità”, comunitaria e costituzionale, in Foro it., 1997, 222 ss.
[59] Cfr. da ultimo, A. Ruggeri, Il giudice e la 'doppia pregiudizialità': istruzioni per l'uso, in Federalismi, 24.2.2021. In precedenza, La Carta UE dei diritti fondamentali fa gola o fa paura? Intervista di R. Conti a P. Mori, B. Nascimbene e R. Mastroianni, 27 aprile 2019.
[60] Lamarque, op. cit., 96.
[61] Pur una raffinata analisi del concetto proteiforme di sovranità v., di recente, E. Cannizzaro, La sovranità oltre lo stato, Bologna, 2020 e, a margine, Ragionando sulla (recte, sulle) sovranità, Intervista di Roberto Conti a Enzo Cannizzaro, cit.
[62] Prospettiva, quest’ultima, assai cara a R. Bin, L’interpretazione conforme. Due o tre cose che so di lei, in www.rivistaAIC.it, fasc. n. 1/2015, pp. 2
[63] V., volendo, R. Conti, An, quomodo e quando del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia quando è ‘in gioco’ la Carta dei diritti fondamentali UE. Riflessioni preoccupate dopo Corte cost. n. 269/2017 e a margine di Cass. n. 3831/2018, in Giudice donna (www.giudicedonna.it), 4/2017; id., Giudice comune e diritti protetti dalla Carta UE: questo matrimonio s’ha da fare o no?, in Giustizia insieme, 4 marzo 2019; id., Il rinvio pregiudiziale visto da un giudice nazionale. Le virtù di uno strumento da proteggere e applicare correttamente, Relazione tenuta al corso organizzato dalla Scuola superiore della magistratura in favore dei Mot nei giorni 12 e 13 gennaio 2021, in corso di pubblicazione su www.giudicedonna.it. Si sono espressi nello stesso senso C. Amalfitano, Il dialogo tra giudice comune,Corte di giustizia e Corte costituzionale dopo l’obiter dictum della sentenza n. 269/2017, in Osser. Sulle fonti, f.2/2019, 25 ss..; G. Martinico, Conflitti interpretativi e concorrenza fra corti nel diritto costituzionale europeo, in Dir. soc., 4/2019, 691 ss., spec. 702 ss.; I. Massa Pinto, Il giudizio d’incostituzionalità delle leggi in caso di doppio parametro (interno ed europeo): il conflitto sulle regole d’ingaggio, in Riv. Gruppo di Pisa, 1/2020, 8 gennaio 2020, 77 e nt. 41.
[64] V., volendo, sulla storia del Protocollo di attuazione fra Cassazione e Corte edu, R. Conti, La Corte di Cassazione italiana e il ruolo svolto da Guido Raimondi nel dialogo con la Corte EDU, in Liber Amicorum Guido Raimondi-Intersecting Views on National and International Human Rights Protection, p. 173 ss.
[65] Da ultimo, v. G. Canzio, L’applicazione della Carta dei diritti fondamentali e il dialogo tra le parti, in Europa Umana, Scritti in onore di P.Pinto de Albouquerque, a cura di D. Galliani e E. Santoro, Pisa, 2020, 147; id., Gianni Canzio in Magistratura, Intervista di ER. Conti e G. Liberati, in Giustizia insieme, 14 settembre 2020.
[66] V.Intervista di R.Conti a R.Rordorf, G. Luccioli, E. Lupo e G. Canzio sul tema “Diritti fondamentali e doveri del giudice di legittimità, in Giustizia insieme, 19 giugno 2019.
[67] Nella stessa occasione Rordorf ebbe ad aggiungere che “…la strada dei protocolli d’intesa, percorsa ormai in diverse direzioni per migliorare l’interazione tra diversi soggetti ed istituzioni operanti nel mondo della giurisdizione, è suscettibile di ulteriori e più ampi sviluppi nel rapporto tra Corte di cassazione e Corti sovranazionali europee. È una strada lungo la quale mi sembra doveroso incamminarsi per cercare di sviluppare una visione più dialettica e meno autoritaria della funzione giurisdizionale: la sola che, in un’ottica di auspicabile ulteriore superamento delle tradizionali barriere nazionali, può davvero garantire una tutela diffusa ed omogenea dei diritti fondamentali, ma rappresenta una risorsa da implementare ed alimentare sulla strada, sempre accidentata ma obbligata, dei diritti fondamentali.”
[68] P. Curzio, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2020, 29 gennaio 2021, in Cortedicassazione.it
[69] Su un esempio tangibile di dialogo concreto svolto fra le due Corti v., R. Conti, Diritto all’anonimato versus diritto alla conoscenza delle origini dell’adottato, in Fattore tempo e diritti fondamentali, Corte di Cassazione e Cedu a confronto, IPZS, 2017, 75, qui allegato, in cui si dà atto delle interlocuzioni fra le due Corti svolte sul tema del diritto alla conoscenza delle proprie origini, delle quali vi sono tracce nella successiva Cass., S.U., n.1946/2017.
[70] Il dibattito lanciato da Giustizia Insieme sulla mancata ratifica del Protocollo n.16 con l'editoriale L'estremo saluto al Protocollo 16 annesso alla CEDU, è stato animato dai contributi dottrinari di Antonio Ruggeri - Protocollo 16: funere mersit acerbo? - Cesare Pinelli - Il rinvio dell’autorizzazione alla ratifica del Protocollo n. 16 CEDU e le conseguenze inattese del sovranismo simbolico sull’interesse nazionale - Elisabetta Lamarque - La ratifica del Protocollo n. 16 alla CEDU: lasciata ma non persa - Carlo Vittorio Giabardo - Il Protocollo 16 e l’ambizioso (ma accidentato) progetto di una global community of courts - Enzo Cannizzaro - La singolare vicenda della ratifica del Protocollo n.16 - Paolo Biavati - Giudici deresponsabilizzati ? Note minime sulla mancata ratifica del Protocollo 16, Sergio Bartole - Le opinabili paure di pur autorevoli dottrine a proposito della ratifica del protocollo n. 16 alla CEDU e i reali danni dell’inerzia parlamentare – e Bruno Nascimbene – La mancata ratifica del Protocollo n. 16. Rinvio consultivo e rinvio pregiudiziale a confronto –. V., volendo, R. Conti, Chi ha paura del Protocollo n.16 -e perché?–in Sistema penale, 28 dicembre 2019.
[71] M. Recalcati, La Torre di Babele simbolo eterno dell'antipolitica, La Repubblica, 12 giugno 2016 e, più di recente, id., Il gesto di Caino, Lezioni magistrali, Carpi, 13 settembre 2019, https://www.youtube.com/watch?v=RkPohFGLvO0&feature=youtu.be&fbclid=IwAR1ywJmYgJZVhHdR49ybnEHjdzs4tIyFbgjnks6OQzKuuoCo1TQ047 k5Ic&app=desktop.
[72] A. Ruggeri, Ragionando sui possibili sviluppi dei rapporti tra le Corti europee e i giudici nazionali (con specifico riguardo all’adesione dell’Unione alla CEDU e all’entrata in vigore del prot. 16), in www.diritticomparati.it, 3 febbraio 2014, e in www.rivistaaic.it, 1/2014 (7 febbraio 2014).
[73] A. Falzea, Complessità giuridica, in AA.VV., Oltre il «positivismo giuridico ». In onore di Angelo Falzea, a cura di P. Sirena, Napoli, 2012, 3 ss.
[74] In Corte cost.n.49/2015 si chiarì, infatti, che “…È perciò la stessa CEDU a postulare il carattere progressivo della formazione del diritto giurisprudenziale, incentivando il dialogo fino a quando la forza degli argomenti non abbia condotto definitivamente ad imboccare una strada, anziché un’altra. Né tale prospettiva si esaurisce nel rapporto dialettico tra i componenti della Corte di Strasburgo, venendo invece a coinvolgere idealmente tutti i giudici che devono applicare la CEDU, ivi compresa la Corte costituzionale. Si tratta di un approccio che, in prospettiva, potrà divenire ulteriormente fruttuoso alla luce del Protocollo addizionale n. 16 alla Convenzione stessa, ove il parere consultivo che la Corte EDU potrà rilasciare, se richiesta, alle giurisdizioni nazionali superiori è espressamente definito non vincolante (art. 5). Questo tratto conferma un’opzione di favore per l’iniziale confronto fondato sull’argomentare, in un’ottica di cooperazione e di dialogo tra le Corti, piuttosto che per l’imposizione verticistica di una linea interpretativa su questioni di principio che non hanno ancora trovato un assetto giurisprudenziale consolidato e sono perciò di dubbia risoluzione da parte dei giudici nazionali.”
[75] R. Conti, Il Protocollo di dialogo fra Alte corti italiane, Csm e Corte Edu a confronto con il Protocollo n. 16 annesso alla Cedu. Due prospettive forse inscindibili, in Questionegiustizia, 29 gennaio 2019.
[76] La prospettiva di “aprire” all’intera platea della giurisdiizone l’esperienza di dialogo della Corte di Cassazione con la Corte edu muove dalle audizioni disposte dalla Nona Commissione del CSM a partire dal 10 aprile 2019 con il coordinatore del gruppo di attuazione del Protocollo della Cassazione, il punto di contatto della Corte edu ed a seguire del focal point con la Corte edu della Cassazione e dei referenti delle Alte Corti nazionali.
[77] Ciò si coglie in altri precedenti della Corte costituzionale, allorché quello stesso giudice ha ritenuto di potersi spingere sul terreno della verifica di convenzionalità di una norma interna anche in assenza di precedenti specifici del giudice europeo – cfr. Corte cost.n.276/2016 che, con riguardo al tema del diritto di elettorato passivo e alla protezione riconosciuta ad esso dalla Convenzione ed in assenza di precedenti specifici della Corte EDU relativi a normative che facciano derivare da condanne penali la perdita dei requisiti di candidabilità e di mantenimento della carica, si è spinta ad individuare in autonomia la linea di tutela offerta a livello convenzionale per valutare la compatibilità con l’art. 117, primo comma, Cost. della normativa oggetto del giudizio –.
[78] V., ancora, C. V. Giabardo, Per la chiarezza di idee in tema di creazione giudiziale di diritto e ruolo della giurisprudenza nel tempo presente (Riflessioni al confine tra filosofia del diritto, diritto comparato e diritto processuale civile), in Giustiziainsieme, 4 settembre 2020, sub par.5.1.
[79] R. Magi, V. Manes e F. Viganò, Conversando con i penalisti su CEDU e dintorni, Intervista a cura di V. Militello e R. Conti, in Giustizia insieme, 8 febbraio 2021.
[80] V., R. Conti, Ruggeri, i giudici comuni e l’interpretazione, cit.
[81] N. Lipari, Diritto civile e ragione, Milano 2019, 74.
[82] Sul ruolo centrate della motivazione delle decisioni ritorna, N. Lipari, Diritto civile e ragione, cit., 66.
[83] Estremamente raffinata, di recente, l’analisi sul tema delle interpretazioni conformi di V. Sciarabba, Spunti di riflessione in tema di “interpretazione conforme”, in Il ruolo della CEDU tra Corte costituzionale, giudici comuni e Corte europea, Roma, 2019.
[84] Webinar organizzato dall’Università degli Studi di Napoli il 22 gennaio 2021 sul tema Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia: attualità e prospettive, in occasione della presentazione del libro curato da F. Ferraro e C. Iannone su Il rinvio pregiudiziale, Giappichelli, Torino 2020.
[85] S. Sciarra, Lenti bifocali e parole comuni: antidoti all’accentramento nel giudizio di costituzionalità, in Federalismi, 3/2012, 41.
[86] Su tale espressione insiste particolarmente il già citato P. Grossi, L’invenzione del diritto, Bari-Roma, 2017, 115 e 127, specificamente ricordando Cass. S.U. n.1946/2017. Analoga attenzione riserva a tale pronunzia N. Lipari, Diritto civile e ragione, cit., 93. V. ancora E. Scoditti, Scoprire o creare il diritto? A proposito di un recente libro, in www.questionegiustizia.com.; C. V. Giabardo, Per la chiarezza di idee in tema di creazione giudiziale di diritto e ruolo della giurisprudenza nel tempo presente (Riflessioni al confine tra filosofia del diritto, diritto comparato e diritto processuale civile), cit.
[87] Sul ruolo dell’interpretazione nell’individuazione dei principi v. T. Mazzarese, Interpretazione della costituzione. Quali i pregiudizi ideologici?, in A. Donati, A. Sassi, Fondamenti etici del processo. Vol. 1 di Diritto privato. Studi in onore di Antonio Palazzo, Torino 2009,439 ss.
[88] Cass., S.U. (pen.), 22 febbraio 2018, n. 8770.
[89] V.M. R. Ferrarese, Introduzione a A. Garapon e J. Lasségue, La giustizia digitale, Bologna, 2021, 19.
[90] P. Calamandrei, La funzione della giurisprudenza nel tempo presente, cit., 604.
[91] R. Bin, Sul ruolo della Corte costituzionale. Riflessioni in margine ad un recente scritto di Andrea Morrone, in Quaderni costituzionali, 2019, n.4, 757.
[92] M. Luciani, L’attivismo, la deferenza e la giustizia del caso singolo, in Questione giustizia, 29 dicembre 2020. In precedenza, id., Diritto giurisprudenziale, limiti dell’interpretazione e certezza del diritto, in Lo Stato, 12/2019, 345 ss. V. anche F. Biondi, Quale dialogo tra le Corti?, in Federalismi.it, 18/2019, 2 ottobre 2019.
[93] Ancora R. Bin, Sul ruolo della Corte costituzionale. Riflessioni in margine ad un recente scritto di Andrea Morrone, cit. Il riferimento è a A. Morrone, Suprematismo giudiziario. Spunti su sconfinamenti e legittimazione della corte costituzionale, in Quad. cost., 2019, pp. 251 ss. Sul medesimo tema v. il confronto tra lo stesso R. Bin e A. Ruggeri nell’intervista su Giudice e giudici nell’Italia postmoderna?, a cura di R.G. Conti, in Giustizia Insieme, 10 aprile 2019 e ancora, A. Ruggeri, Diritto giurisprudenziale e diritto politico: questioni aperte e soluzioni precarie, in Consultaonline,2019, f. 3, 16 dicembre 2019, 713 e 714 in note 26 e 30.
[94] A. Ruggeri, Corte EDU e Corte interamericana dei diritti umani: modelli ed esperienze a confronto, in Itinerari di una ricerca sul sistema delle fonti, XXIII, Studi dell’anno 2018, Torino, 2019,469
[95] Conversando su diritto legislativo e diritto giurisprudenziale, Intervista di Luigi Salvato a Renato Rordorf, in Giustizia insieme, 2 febbraio 2021.
[96] Temi già in passato affrontati in altra sede alla quale si rimanda. V., volendo, R. Conti, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il ruolo del giudice, Roma, 2011; id., I giudici e il biodiritto. Un esame concreto dei casi difficili e del ruolo del giudice di merito, della Cassazione e delle Corti europee, Roma 2015; id, Il sistema di tutela multilivello e l’interazione tra ordinamento interno e fonti sopranazionali, in www.questionegiustizia.com, Rivista on line, 4/2016; id., Scelte di vita o di morte: il giudice è garante della dignità umana?, cit.
[97] M. Fioravanti, Il legislatore e i giudici di fronte alla Costituzione, in Quaderni costituzionali, Fascicolo 1, marzo 2016, 7 ss.
[98] A. Ruggeri, Costituzione e CEDU, alla sofferta ricerca dei modi con cui comporsi in “sistema”, in “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti. XVI. Studi dell’anno 2012, Torino 2013, 246.
[99] P. Calamandrei, La funzione della giurisprudenza nel tempo presente, in Opere giuridiche – Volume I – Problemi generali del diritto e del processo, Roma 2019, 610. Per l’evoluzione del pensiero di Calamandrei sui temi della legalità e del ruolo del giudice v., M. Vogliotti, Legalità, in Enciclopedia del diritto, Annali, VI, Milano 2013, 393.
[100] N. Lipari, Diritto civile e ragione, cit., 98.
[101] R. Conti, Il parere preventivo della Corte Edu (post-Prot. 16) in tema di maternità surrogata, in Questionegiustizia,28 maggio 2019.
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