Le Sezioni unite, i migranti e il diritto al risarcimento del danno
(nota a Cass., sez. un. 6 marzo 2025 n. 5992)
Sommario: 1. La vicenda processuale - 2. L’ordinanza delle Sezioni unite in punto di giurisdizione - 3. La giurisdizione tra atto politico e atto amministrativo - 4. La sussistenza della giurisdizione quando siano in gioco diritti fondamentali - 5. La sussistenza della giurisdizione quando una parte faccia valere in giudizio un diritto che abbia (anche solo) astratta tutela giuridica - 6. L’ordinanza delle Sezioni unite in punto di legittimazione ad agire - 7. L’ordinanza delle Sezioni unite in ordine al merito dell’azione di risarcimento del danno. Sintesi dei punti principali - 8. Tre osservazioni: la relatività nell’interpretazione delle norme che regolano la materia - 9. Segue: la pronuncia sembra caduta in ambiti nei quali normalmente il ricorso per Cassazione è inammissibile - 10. Segue: le questioni che le Sezioni unite hanno rimesso al giudice del rinvio - 11. Brevissime conclusioni.
1. La vicenda processuale
La vicenda è nota.
Lo Stato italiano precludeva a dei cittadini eritrei, dal 16 al 25 agosto 2018, l’esercizio della loro libertà personale, impedendo, nei primi quattro giorni, che la nave nella quale si trovavano, U. Diciotti, potesse attraccare nei porti italiani, e rifiutando, nei successivi cinque giorni, una volta permesso l’attracco, di concedere loro il consenso allo sbarco a terra.
Alcuni tra loro si rivolgevano così al giudice ordinario italiano per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale subito.
Costituendosi in giudizio, il Ministero dell’Interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri eccepivano in via preliminare il difetto assoluto di giurisdizione, trattandosi a loro dire, nel caso di specie, di un atto c.d. “politico”, e come tale sottratto al controllo giurisdizionale.
Il Tribunale di Roma accoglieva questa eccezione e dichiarava il difetto assoluto di giurisdizione.
Impugnata la sentenza, la Corte di Appello di Roma riformava la decisione del primo giudice, e dichiarava al contrario sussistente la giurisdizione del giudice, in quanto il fatto non poteva, a suo parere, ricondursi ad un atto politico bensì ad uno amministrativo (e come tale, quindi, perfettamente, soggetto al controllo del giudice); tuttavia nel merito riteneva infondate le domande risarcitorie, in quanto non ravvisava nei comportamenti in oggetto alcuna colpa della pubblica amministrazione.
Avverso tale sentenza una sola parte, Kefela Mulugeta Gebru, proponeva ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di ricorso.
Nel giudizio in Cassazione si costituivano di nuovo la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno depositando un controricorso contenente due motivi di impugnazione incidentale condizionata: uno, ancora, attenente alla sussistenza o meno della giurisdizione, l’altro relativo al difetto di legittimazione ad agire della parte attrice, e quindi del ricorrente per Cassazione, trattandosi entrambe di questioni assorbite per il giudice di appello che aveva considerato infondata la domanda di risarcimento del danno.
Il ricorso veniva così trasmesso alle Sezioni Unite, dovendosi giudicare una questione di giurisdizione.
Il Procuratore Generale depositava memoria, concludendo per il rigetto del ricorso principale, assorbita la questione di giurisdizione.
Ciò premesso, è opportuno affrontare preliminarmente le questioni processuali di giurisdizione e legittimazione ad agire, e solo dopo esaminare la decisione di merito.
2. L’ordinanza delle Sezioni unite in punto di giurisdizione
Nell’affrontare la questione di giurisdizione le Sezioni unite asseriscono (contrariamente a quanto aveva statuito il Tribunale di Roma ma conformemente alla posizione della Corte di Appello di Roma) che: “Deve escludersi che nei comportamenti indicati a fondamento della pretesa risarcitoria possano ravvisarsi i tratti tipologici dell'atto politico, come tale sottratto al sindacato giurisdizionale”.
Al riguardo, per qualificare un atto come politico, le Sezioni Unite ricordano che sono necessari alcuni specifici e inderogabili requisiti, fissati peraltro dallo stesso Consiglio di Stato (si richiama la pronuncia Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2022 n. 4636; ma si veda anche, precedentemente, Cons. Stato 11 giugno 2018 n. 3550 e Cass. sez. un. 22 settembre 2023 n. 27177):
─ sotto il profilo soggettivo, l'atto deve provenire da un organo preposto all'indirizzo e alla direzione della cosa pubblica al massimo livello;
─ sotto il profilo oggettivo, l'atto deve essere libero nel fine perché riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici, deve concernere, cioè, la costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione.
Le Sezioni unite hanno poi la premura di sottolineare che: “La nozione di atto politico ha carattere eccezionale, perché altrimenti si svuoterebbe di contenuto la garanzia della tutela giurisdizionale, che la Costituzione assicura come indefettibile e con i caratteri della effettività e della accessibilità”.
Si precisa, infatti, che: “l’impugnabilità dell’atto è la regola”, poiché, ove non fosse così, il potere politico godrebbe di un arbitrio che non è immaginabile in uno Stato di diritto.
E quindi, ancora: “L'esistenza di aree sottratte al sindacato giurisdizionale è confinata entro limiti rigorosi (Cass. Sez. U. 02/05/2019, n. 11588, cit.). Non è, quindi, soggetto a controllo giurisdizionale solo un numero estremamente ristretto di atti in cui si realizzano scelte di specifico rilievo costituzionale e politico; atti che non sarebbe corretto qualificare come amministrativi e in ordine ai quali l'intervento del giudice determinerebbe un'interferenza del potere giudiziario nell’ambito di altri poteri (Cons. Stato, Sez. V, 27 luglio 2011, n. 4502)”.
In concreto, poi, per le Sezioni unite fondamentale è verificare se l’atto in questione si inserisce in un contesto: “di interessi giuridicamente rilevanti”, o, al contrario: “si è in presenza di interessi di mero fatto”; e ciò perché: “L'insindacabilità è il predicato di un atto non sottoposto dall'ordinamento a vincoli di natura giuridica. Ove, viceversa, vi sia predeterminazione dei canoni di legalità, quello stesso sindacato si appalesa doveroso”.
Lo afferma, per le Sezioni unite, anche la Corte Costituzionale con la sentenza 2 aprile 2012 n. 81: “Quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto”; cosicché: “L’azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati”.
Sulla base di queste premesse, concludono le Sezioni unite: “va certamente escluso che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale”.
Si riporta il passo motivazionale finale contenuto nell’ordinanza: “Non lo è perché non rappresenta un atto libero nel fine, come tale riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici concernenti la costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione. Non si è di fronte, cioè, ad un atto che attiene alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali. Si è in presenza, piuttosto, di un atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, al fine di contemperare gli interessi in gioco e che proprio per questo si innesta su una regolamentazione che a vari livelli, internazionale e nazionale, ne segna i confini. Le motivazioni politiche alla base della condotta non ne snaturano la qualificazione, non rendono, cioè, politico un atto che è, e resta, ontologicamente amministrativo”.
3. La giurisdizione tra atto politico e atto amministrativo
Che dire?
Premetto che, anche a mio avviso, la giurisdizione nel caso di specie andava ritenuta esistente.
Tuttavia, par evidente, che la distinzione tra un atto politico e un atto amministrativo con motivazioni politiche è assai labile, e certo si basa su una esegesi che non può considerarsi solo tecnica, o meramente giuridica.
Non si può negare, infatti, che il giudice, nel momento in cui deve qualificare un atto in un senso o nell’altro, possiede un’ampia discrezionalità, che lo può condurre ad una decisione oppure alla sua contraria senza per questo incorrere in gravi vizi logici o in conclusioni contra legem.
Se vogliamo offrire una dimostrazione di ciò, possiamo infatti asserire che, pur muovendo dalle stesse premesse dalle quali le Sezioni unite si sono mosse, si poteva benissimo giungere a contrapposte conclusioni con poche varianti di ragionamento.
Se infatti è politico, secondo lo stesso orientamento del Consiglio di Stato richiamato dalle Sezioni unite, un atto che proviene da un organo preposto alla direzione della cosa pubblica al massimo livello, allora lì facilmente si sarebbe potuto concludere che l’atto/comportamento in oggetto era da considerare politico in quanto posto in essere dal Ministro dell’interno e dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, ovvero da organi dello Stato al massimo livello; e parimenti se è politico l’atto che attiene alla direzione suprema generale dello Stato quando è finalizzato a la costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura, allora lì egualmente si sarebbe potuto concludere che l’atto, in quanto finalizzato alla salvaguardia del territorio nazionale e alla determinazione politico/governativa della gestione dei flussi migratori, era di nuovo da considerare politico, e non semplicemente amministrativo, poiché appunto avente finalità e determinazioni politiche.
Le Sezioni unite, invece, con le medesime premesse, arrivano all’opposta conclusione, e considerano che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare costituisce atto amministrativo e non politico: “perché non rappresenta un atto libero nel fine, come tale riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici”.
Il Tribunale di Roma era andato di contrario avviso ed aveva considerato politico l’atto posto in essere, perché finalizzato al: “perseguimento del preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo ai sensi dell’articolo 9, comma 3 della Legge costituzionale n. 1 del 1989”.
Il discorso crediamo sia chiaro.
Non si tratta in questa sede di stabilire se l’atto in questione ha natura amministrativa oppure politica; si tratta di constatare come la qualificazione dell’atto/comportamento in un senso o nell’altro ha, essa stessa, connotati politici, e ciò nel senso che l’esegesi della fattispecie può indurre, senza errori di percorso logico, a diverse conclusioni, cosicché l’esito dell’attività esegetica, più che essere dipendente dalla realtà obiettiva del sistema giuridico, dipende indiscutibilmente da scelte discrezionali; e la scelta discrezionale delle Sezioni unite è stata quella di considerare l’atto amministrativo e non politico.
4. La sussistenza della giurisdizione quando siano in gioco diritti fondamentali
Le Sezioni unite sono però pienamente condivisibili laddove asseriscono che: “L’azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati”.
Questo è, a mio parere, un punto centrale.
Poiché, infatti, in uno Stato di diritto, nemmeno gli atti politici possono porsi in violazione dei diritti fondamentali dell’uomo; cosicché, se un atto infrange un diritto fondamentale, esso, a prescindere dalla sua natura, deve in ogni caso sottostare al controllo dell’autorità giudiziaria, in quanto la soluzione contraria attribuirebbe al potere esecutivo una libertà da ancien régime inaccettabile in una democrazia (in questo senso, se si vuole, anche il Consiglio di Stato, 27 luglio 2011 n. 4502).
Ed anzi, in un sistema democratico, la natura politica di una infrazione dei diritti fondamentali e/o costituzionali, costituisce aggravante, e non esimente, del comportamento tenuto, considerato che purtroppo, se volgiamo lo sguardo fuori dall’Italia, vediamo che in più parti del mondo, ancor oggi, vengono commesse le più aberranti ignominie proprio in ragione della politica.
Correttamente quindi le Sezioni unite hanno asserito che: “quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto”; peraltro richiamando sul punto la sentenza della Corte Cost. 2 aprile 2012 n. 81.
Le Sezioni unite sono state poi chiare nell’attribuire alla libertà personale il valore di diritto primo inalienabile: “Giova rammentare che la libertà personale, oltre ad essere tutelata dall’art. 13 Cost. quale diritto inviolabile della persona, presidiato dalla riserva di giurisdizione e dalla riserva assoluta di legge, è riconosciuta quale garanzia minima ed imprescindibile di ogni individuo ai sensi dell’art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti umani del 1948, ha trovato una dettagliata tutela, sul piano regionale in seno al Consiglio d’Europa, ai sensi dell’art. 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, e successivamente, a livello internazionale in seno alle Nazioni Unite, ai sensi dell’art. 9 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966. Da ultimo, l’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sancisce il diritto «alla libertà e alla sicurezza» di «ogni individuo”.
E a fronte della violazione di un diritto inalienabile quale quello della libertà personale la giurisdizione deve quindi necessariamente sussistere, e non è pensabile che il diritto alla libertà personale possa essere bilanciato, e quindi compresso, con altre esigenze o altri diritti, ancorché pubblici o diffusi.
Le Sezioni unite hanno scritto al riguardo che non può darsi: “un criterio di bilanciamento tra gli opposti interessi (quello dell’interesse pubblico sottostante alla condotta e quello individuale che ne risulta leso)” poiché: “i diritti della persona (sono) inviolabili e come tali non comprimibili né suscettibili di minorata tutela di compromesso”.
5. La sussistenza della giurisdizione quando una parte faccia valere in giudizio un diritto che abbia (anche solo) astratta tutela giuridica
Direi, inoltre, che l’assunto secondo il quale “quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi”, apre poi ad un altro rilievo confermativo della giurisdizione, ovvero a quello secondo il quale il difetto di giurisdizione non può mai darsi quando chi si rivolge al giudice fa valere dinanzi a lui un interesse giuridicamente protetto.
Mi sembra, infatti, che se il legislatore determina dei canoni di legalità, lì non soltanto l’atto soggiace al controllo di conformità alla legge da parte dell’autorità giudiziaria, ma anche l’attore che si rivolge al giudice fa valere in giudizio un diritto soggettivo, o comunque un interesse giuridicamente protetto.
Qui il tema si innesca con gli argomenti che da sempre i processualisti adottano per delimitare i confini del difetto di giurisdizione.
La dottrina ne dà la seguente nozione: “Il difetto assoluto di giurisdizione (o improponibilità assoluta della domanda) nei confronti della pubblica amministrazione, si ha ogni qual volta sia dedotto in giudizio un interesse di fatto, cioè giuridicamente non protetto dal nostro ordinamento né come diritto soggettivo né come interesse legittimo.” (Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2023, 241).
Il difetto assoluto di giurisdizione si ha, così, nelle ipotesi nelle quali la posizione dedotta in giudizio non trova tutela nell’ordinamento, o, detto in modo analogo, “si tratta in definitiva di ipotesi in cui vengono dedotte dinanzi al giudice situazioni soggettive (interessi semplici) che non sono tutelabili in via giurisdizionale, non avendo la consistenza né di diritti né di interessi legittimi” (così Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, Bari, 2019, I, 116).
Questa posizione è anche quella della Corte di Cassazione, sia meno recente (Cass. sez. un. 30 marzo 2005 n. 6635) sia più recente (Cass. sez. un. 1° giugno 2023 n. 15601; Cass. sez. un. 29 maggio 2023 n. 15058); dal che, ai fini della giurisdizione, si tratta di verificare se la pretesa fatta valere in giudizio abbia natura di interesse semplice oppure la consistenza di un diritto tutelato dall’ordinamento; e la valutazione dell’esistenza o meno di questo diritto va fatta in astratto e non in concreto, ovvero si tratta solo di valutare se vi sono, o non vi sono, nell’ordinamento interno e comunitario, norme di protezione, in quanto in concreto la questione cessa di essere di giurisdizione e diventa di merito.
Ora, nel nostro caso relativo al rifiuto del Governo a dare l’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare, la giurisdizione sussiste non solo perché il potere esecutivo non può violare i diritti inalienabili della persona, ma anche perché, per converso, chi abbia subito un tale trattamento e si rivolge al giudice, proprio in forza di quel sistema giuridico che l’ordinanza tratta tra le pagine 14 e 34, fa valere in giudizio una posizione soggettiva che afferma essere di diritto, e ai fini della giurisdizione è sufficiente che la parte affermi l’esistenza della (anche astratta) violazione di un diritto soggettivo perché la giurisdizione debba positivamente affermarsi.
Di fronte alla domanda: “sono stato privato della mia libertà personale e chiedo il risarcimento del danno”, il giudice può ritenere fondata o infondata la domanda nel merito, ma non potrà ritenere che non vi sia giurisdizione, poiché ciò può accadere solo dinanzi ad: “un interesse di fatto, cioè giuridicamente non protetto dal nostro ordinamento”.
Dunque, non ho dubbi nell’affermare che nel caso di specie la giurisdizione sussisteva e che quindi sul punto la decisione delle Sezioni unite è pienamente condivisibile.
6. L’ordinanza delle Sezioni unite in punto di legittimazione ad agire
L’avvocatura dello Stato ha poi sollevato una seconda questione processuale, che è quella della legittimazione ad agire.
La questione era posta in questi termini: “non è dato sapere se gli odierni ricorrenti siano o meno realmente i naufraghi coinvolti nella vicenda della U. Diciotti non essendo stata allegata e prodotta alcuna documentazione da cui poter evincere tale circostanza”.
Le Sezioni unite rilevavano immediatamente che: “l’eccezione poneva a ben vedere una questione non di legittimazione attiva, ma di titolarità, dal lato attivo, del dedotto credito risarcitorio”; e a tal fine ricordavano i principi già fissati da Cass. 16 febbraio 2016 n. 2951: “La legittimazione ad agire attiene al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare; cosa diversa dalla titolarità del diritto ad agire è la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio; quest’ultima è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all'attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto”.
Dunque, nel caso di specie non si poneva in verità alcuna questione di legittimazione ad agire, poiché la legittimazione ad agire, anche ai sensi dell’art. 81 c.p.c., si basa sulla sola affermazione della parte attrice, e la parte attrice, ricorrente in Cassazione, aveva affermato di essere titolare del diritto fatto valere in giudizio.
La questione si poneva solo con riguardo alla titolarità della posizione soggettiva, ovvero il giudice doveva accertare se chi agiva in giudizio era veramente colui che era stato privato per nove giorni della libertà personale sulla nave U. Diciotti.
La Corte di Appello di Roma non aveva affrontato la questione in quanto aveva ritenuta la richiesta risarcitoria infondata per altri motivi, cosicché il problema della titolarità della posizione soggettiva era stata considerata assorbita.
Al contrario le Sezioni unite, ritenendo invece fondata la richiesta risarcitoria, dovevano pronunciarsi sull’eccezione dell’Avvocatura dello Stato.
Qui le Sezioni unite si sono liberate della questione argomentando sui limiti delle impugnazioni incidentali condizionate.
Esattamente si legge nell’ordinanza: “nel giudizio di cassazione, è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, ancorché in virtù del principio cd. della ragione più liquida, non essendo ravvisabile alcun rigetto implicito, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio (Cass. 23/07/2018, n. 19503, Rv. 650157 – 01; 06/06/2023, n. 15893, Rv. 668115 – 01; in termini convergenti v. anche Cass. 02/07/2021, n. 18832; 03/02/2020, n. 2334; 12/11/2018, n. 28995”.
Direi che la decisione è ineccepibile: la questione di legittimazione attiva non sussiste mentre quella della titolarità della posizione soggettiva spetta al giudice di merito.
Infine, l’eccezione di difetto di legittimazione ha avuto altresì una coda relativa alla validità della procura.
L’Avvocatura dello Stato aveva eccepito che, stante la mancanza della prova della titolarità del rapporto giuridico dedotto in giudizio, anche la procura alle liti andava considerata nulla.
Le Sezioni unite si sono liberate della questione asserendo che si trattasse di questione processuale assorbita, e come tale inammissibile in Cassazione.
Così si legge nell’ordinanza: “Secondo pacifico indirizzo, infatti, che va qui ribadito, il mancato esame da parte del giudice, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza”.
Da aggiungere che l’eccezione di nullità della procura sembra ultronea, perché la procura era stata correttamente rilasciata dal ricorrente, e solo il tema che si poneva era quello della titolarità o meno del rapporto giuridico; se questa titolarità vi è, allora anche la procura è valida; se non vi è, non è la procura che non è valida, ma è l’assenza della titolarità del rapporto giuridico che inficia il processo.
7. L’ordinanza delle Sezioni unite in ordine al merito dell’azione di risarcimento del danno. Sintesi dei punti principali
Si tratta, a questo punto, di analizzare la decisione di merito.
Nel merito le Sezioni unite riconoscono il diritto del ricorrente ad ottenere il risarcimento del danno, e su questo aspetto decidono in senso contrario alla Corte di Appello di Roma e in modo difforme dalle conclusioni della Procura Generale, che aveva infatti chiesto il rigetto del ricorso.
Esattamente, i punti essenziali ci sembrano i seguenti:
a) la Corte di Appello di Roma aveva ritenuto che il ricorrente non avesse allegato sufficienti profili di colpa dell’amministrazione.
Le Sezioni unite ritengono che le allegazioni siano invece sufficienti.
La Corte di Appello di Roma, al fine di escludere la colpa della pubblica amministrazione, nello stesso passo richiamato dall’ordinanza delle Sezioni unite, aveva infatti rilevato che: “Le Autorità nazionali hanno agito in una situazione di opinabilità idonea quantomeno ad escludere o a ritenere del tutto insufficiente la sussistenza della colpa; la condotta lesiva, risoltasi essenzialmente nel ritardo di dieci giorni nella indicazione del POS (Place of Safety) e nel conseguente diniego della autorizzazione allo sbarco si inserisce in un quadro di forte incertezza delle norme internazionali che regolano la materia dello sbarco a seguito di operazioni di soccorso marittimo: incertezza che ha generato un vero e proprio “conflitto” di attribuzioni, specie tra i paesi rivieraschi, ed ha portato all’emersione di vere e proprie controversie internazionali, come quella avvenuta tra Malta e Italia; mancano in particolare regole chiare circa l’individuazione dello Stato che, dopo il primo soccorso, deve farsi carico dei soggetti tratti in salvo”.
Le Sezioni unite vanno di contrario avviso e ritengono che la normativa sia invece chiara e affatto opinabile; ciò viene spiegato nelle pagg. 17 e ss. dell’ordinanza, ove poi a pag. 21 si precisa: “Alla stregua di tali univoche indicazioni si rivela destituita di fondamento già la premessa da cui muove la Corte d’appello, circa l’«assenza di regole chiare circa l’individuazione dello Stato che, dopo il primo soccorso, deve farsi carico dei soggetti tratti in salvo”. E ancora: “Non può dubitarsi allora che la mancata tempestiva indicazione del POS, unitamente alla decisione di non far scendere i 177 migranti per cinque giorni sebbene la nave fosse già ormeggiata nel porto di Catania, costituisca una chiara violazione della predetta normativa internazionale”.
b) La Corte di Appello di Roma, inoltre, precisava che una cosa è il salvataggio in mare nell’imminenza di un pericolo di vita, altra cosa il diritto di attraccare una nave in porto in una fase nel quale non v’è, per i passeggeri, pericolo di vita.
Scriveva infatti la Corte di Appello di Roma: “Un obbligo giuridico direttamente coercibile può ravvisarsi solo con riferimento all’attività di salvataggio in mare, venendo in rilievo il diritto fondamentale alla vita; l’operazione di soccorso in mare non crea un vero e proprio “diritto di ingresso al porto” o di “diritto di sbarco”; le Convenzioni internazionali SAR e SOLAS e le Linee guida IMO, non impongono agli Stati di consentire illimitatamente l’accesso ai propri porti per imbarcazioni soccorse in mare, mantenendo gli stessi il potere di regolare l’ingresso nei territori su cui esercitano la sovranità”.
Anche questo punto non è condiviso dalle Sezioni unite, che precisano: “La Risoluzione MSC.167(78) del 20 maggio 2004 (Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare) esclude che la nave stessa possa esser considerata un POS, se non temporaneamente (par. 6.13: «Una nave di soccorso non dovrebbe essere considerata un luogo sicuro basandosi unicamente sul fatto che i sopravvissuti non sono più in pericolo immediato una volta a bordo della nave. Una nave di soccorso potrebbe non avere strutture e attrezzature adeguate per supportare altre persone a bordo senza mettere a repentaglio la propria sicurezza o prendersi cura adeguatamente dei sopravvissuti. Anche se la nave è in grado di accogliere in sicurezza i sopravvissuti e può fungere da luogo sicuro temporaneo, dovrebbe essere sollevata da questa responsabilità non appena possono essere prese disposizioni alternative») (v. in tal senso Cass. pen. 16/01/2020, n. 6626, relativa al “caso Rackete”; v. anche Cons. Stato n. 1615 del 2025, in motivazione, par. 35)”.
c) Infine la Corte di Appello di Roma aveva ritenuto infondate le domande anche sotto il profilo della prova del c.d. danno-conseguenza.
Le Sezioni unite non negano che la risarcibilità attiene al danno-conseguenza e non alla lesione dell’interesse giuridicamente protetto; tuttavia asseriscono che: “È anche vero però che tale prova ben può essere offerta anche a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti”.
Ed inoltre: “In ipotesi, quale quella di specie, di restrizione della libertà personale, i margini di un ragionamento probatorio di tipo presuntivo, ferma restando la non predicabilità di un danno in re ipsa, risultano particolarmente forti, tanto più per una vicenda dai contorni fattuali chiari come quelli di cui si tratta”.
Concludono così le Sezioni unite che: “L’affermazione della Corte (di Appello di Roma) circa la mancanza di allegazione e prova del danno, non dando conto di tali margini di valutazione, appare pertanto applicare un paradigma in contrasto da quello dettato dal ricordato principio”.
8. Tre osservazioni: la relatività nell’interpretazione delle norme che regolano la materia
Siano consentite talune osservazioni anche in ordine alla decisione di merito.
La prima è che, con riferimento ad essa, io credo si possa affermare quanto ho già rilevato con riguardo alla contrapposizione tra atto politico e atto amministrativo in punto di giurisdizione, ovvero ritengo che il sistema giuridico consenta, in questa materia più che in altre, di porre in essere attività esegetiche che, con pari logicità e correttezza, possano portare ora ad una conclusione ed ora ad un'altra; cosicché la questione è tale da non riuscire ad avere una corretta soluzione giuridica senza che questa non sia anche, al contempo, una soluzione discrezionale.
Di nuovo, alcuni esempi.
a) Le Sezioni unite, in primo luogo, a dimostrazione degli errori nei quali sarebbe caduta la Corte di Appello di Roma, richiamano ampia normativa relativa all’obbligo di soccorso in mare, che si trova disciplinato nel: “c.d. Convenzione SOLAS, acronimo di Safety Of Life At Sea, del 1974, ratificata dall’Italia con legge 23 maggio 1980, n. 313), nella Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare (c.d. Convenzione SAR, acronimo per Search And Rescue, anche nota come Convenzione di Amburgo: ratificata dall’Italia con legge 3 aprile 1989, n. 147, ha trovato concreta attuazione con il d.P.R. n. 662 del 1994, che ha attribuito il servizio di ricerca e soccorso alla competenza primaria del Ministero delle infrastrutture e trasporti che, all’uopo, si avvale del Corpo delle Capitanerie di Porto/Guardia costiera), nonché nella Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay sul Diritto del Mare del 1982 (c.d. Convenzione UNCLOS, acronimo per United Nations Convention on the Law of the Sea, ratificata dall’Italia con legge 2 dicembre 1994, n. 689”.
Queste Convenzioni, tuttavia, sono affermative di principi generali relativi all’obbligo di soccorso in mare; ma restava da vedere se esse potevano applicarsi, e fino a che punto, al caso di specie.
Le domande potevano essere queste:
- i migranti si trovavano in mare, trovandosi in verità in una nave militare italiana dal 16 al 20 agosto e poi nel porto di Catania dal 20 al 25 agosto? Cosa significa trovarsi in mare?
– Erano in pericolo di vita, trovandosi, di nuovo, in una nave militare dal 16 al 20 agosto e nel porto di Catania dal 20 al 25 agosto?
– E ancora, trovandosi in detta situazione, i migranti non erano in un luogo sicuro, c.d. POS?
Dunque la domanda conclusiva poteva essere: la disciplina di quelle convenzioni era interamente applicabile al caso di specie?
Probabilmente sì, è bene hanno fatto le Sezioni unite a ritenerlo, ma è chiaro che, volendo, le Convenzioni potevano essere interpretate diversamente.
Di nuovo la Corte di Appello di Roma aveva invece sostenuto che: “Un obbligo giuridico direttamente coercibile può ravvisarsi solo con riferimento all’attività di salvataggio in mare, venendo in rilievo il diritto fondamentale alla vita; l’operazione di soccorso in mare non crea un vero e proprio “diritto di ingresso al porto” o di “diritto di sbarco”; le Convenzioni internazionali SAR e SOLAS e le Linee guida IMO, non impongono agli Stati di consentire illimitatamente l’accesso ai propri porti per imbarcazioni soccorse in mare, mantenendo gli stessi il potere di regolare l’ingresso nei territori su cui esercitano la sovranità”.
Qualcosa di simile era stata affermata anche dalla Procura Generale: “La Corte di Appello ha correttamente ricostruito i profili giuridici della vicenda in oggetto, non ultimo ha dato atto della insussistenza, in termini di certezza, di un obbligo giuridico – in capo allo Stato competente – di rilasciare il POS ovvero di rilasciarlo entro un determinato termine e secondo determinate modalità”.
b) Le Sezioni unite precisano però che: “la Risoluzione MSC.167(78) del 20 maggio 2004 (Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare) esclude che la nave stessa possa esser considerata un POS, se non temporaneamente”
Ma cosa significa temporaneamente?
I migranti sono stati nella nave nel porto di Catania cinque giorni, dal 20 al 25 agosto 2018.
Cinque giorni, considerata la complessità della situazione, nemmeno negata dalle Sezioni unite, possono essere considerati un tempo superiore a quello che si immagina con l’avverbio temporaneamente?
Le Sezioni unite al riguardo, hanno categoricamente affermato che: “Non può dubitarsi allora che la mancata tempestiva indicazione del POS, unitamente alla decisione di non far scendere i 177 migranti per cinque giorni sebbene la nave fosse già ormeggiata nel porto di Catania, costituisca una chiara violazione della predetta normativa internazionale”.
Tuttavia, si comprende, che a qualcun altro, e nei limiti di quella che è una semplice esegesi delle norme, potrebbe sembrare eccessivo questo giudizio, e potrebbe viceversa ritenere che cinque giorni non siano affatto una chiara violazione della predetta normativa internazionale, soprattutto in considerazione della circostanza che i migranti non si trovavano in mare ma nel porto di Catania, e che non era immaginabile per loro un pericolo di vita.
c) Le Sezioni unite, a conferma delle loro tesi, hanno ricordato la corretta interpretazione che deve darsi dell’art. 5, par. 1, lett f) CEDU, il quale espressamente ammette che la privazione della libertà personale è consentita: “se si tratta dell'arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un procedimento d'espulsione o d'estradizione”.
Le Sezioni unite, per esclude che tale norma possa giustificare il comportamento tenuto dal Governo italiano in quei giorni, ricorda la sentenza Corte EDU Khlaifia and Others v. Italy, la quale aveva affermato che il nostro sistema giuridico “impone che qualsiasi arresto o detenzione abbia una base legale nel diritto interno e, in via prioritaria, nella Costituzione, essendo necessario, in ossequio al principio di certezza del diritto, che le condizioni limitative della libertà personale siano chiaramente intellegibili e che la legge risulti precisa e prevedibile nella sua applicazione nei confronti dei consociati”.
Sulla base di quella pronuncia le Sezioni unite concludevano che: “L’insussistenza di un provvedimento giudiziario o di una successiva convalida delle scelte governative è di per sé sufficiente ad affermare l’arbitrarietà del trattenimento dei migranti ai sensi dell’art. 5 CEDU, atteso che l’art. 13 della Costituzione prescrive il cumulativo soddisfacimento di entrambe le riserve, di giurisdizione e di legge, affinché possa dirsi integrata una legittima restrizione della libertà personale”.
Ora, è evidente, che a qualcuno questa deduzione delle Sezioni unite potrebbe apparire eccessiva, poiché, letta al contrario, significherebbe che a nessun migrante può essere impedito di (liberamente) entrare nel territorio dello Stato se contro di lui non vi è uno specifico provvedimento giudiziario di restrizione della libertà personale ai sensi dell’art. 13 Cost.
d) In breve, non abbiamo nessuna intenzione di entrare nel merito di queste delicate questioni; rileviamo semplicemente che l’esegesi dei combinati disposti di queste norme e dei suoi orientamenti della giurisprudenza, da adottare ai singoli casi concreti, lasciano all’esegeta ampi margini interpretativi; e in seno a detta discrezionalità interpretativa le Sezioni unite hanno scelto di adottare una soluzione diversa da quella che altri giudici avevano precedentemente adottato.
9. Segue: la pronuncia sembra caduta in ambiti nei quali normalmente il ricorso per Cassazione è inammissibile
Mi sembra, poi, se non erro, che le Sezioni unite, in questa occasione, si siano attribuite dei margini di intervento normalmente considerati preclusi, ovvero mi sembra che le Sezioni unite abbiano pronunciato in ambiti nei quali normalmente il ricorso per Cassazione è inammissibile.
Ciò è quanto meno avvenuto, a mio sommesso parere, in punto di danno-conseguenza e in punto di colpa della pubblica amministrazione.
Esattamente mi sia consentito rilevare quanto segue.
a) Sul danno-conseguenza, se da una parte è vero che la prova poteva esser data anche con presunzioni, dall’altra parte però la decisione sembra non aver tenuto conto dei limiti circa il controllo in Cassazione della valutazione delle prove posta in essere dal giudice di merito.
Basti ricordare che la recente Cass. 22 maggio 2024 n. 14207, nel riaffermare che la valutazione della prova è insindacabile in Cassazione, ha fatto il lungo richiamo di tutti i precedenti conformi, così scrivendo: “Non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant'anni: e cioè che "la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione").
E, con più stretto riferimento alle presunzioni, la Corte di Cassazione ha altresì recentemente statuito che: “la valutazione degli indizi compiuta dal giudice di merito è incensurabile non solo quando sia l’unica possibile ma anche quando sia solo una tra le tante plausibili” (così Cass. 22 maggio 2024 n. 14207).
Inoltre nella recentissima Cass. 16 gennaio 2025 n. 1033 si legge: “Il sindacato della Corte di Cassazione sull'attività valutativa delle prove svolta dal giudice di merito è configurabile solo nei casi in cui si applichi il libero apprezzamento in riferimento a una prova, che per legge sia vincolata a determinati criteri di valutazione, o si dichiari di applicare un parametro legale a una prova invece liberamente apprezzabile, senza poter comportare una diversa valutazione della prova da parte del giudice di legittimità”.
Dunque, è pur possibile che la Corte di Appello di Roma abbia errato nel valutare inesistente la prova del danno-conseguenza, ma è parimenti vero, però, se non ci sfugge qualcosa, che la decisione, attenendo alla valutazione della prova, non poteva esser oggetto di controllo in Cassazione.
b) Qualcosa di analogo è successo, sempre a mio sommesso parere, con riguardo alle censure relative alla colpa (o meno) della pubblica amministrazione.
Le critiche che le Sezioni unite muovono alla Corte di Appello di Roma, e che sono contenute nelle pagg. 14/30 dell’ordinanza, sono in gran parte aventi ad oggetto le Convenzioni internazionali in materia, e quindi sono questioni di diritto, ma v’è altresì una parte relativa alla sussistenza o meno della colpa della pubblica amministrazione, che al contrario a me sembra abbia ad oggetto omessi esami di fatti e/o errata motivazione.
Normalmente, la valutazione della colpa è incensurabile in Cassazione, e ricordo genericamente la pronuncia Cass. 7 ottobre 2022 n. 29183: “Ove il giudice di merito, investito da una domanda di risarcimento del danno aquiliano, la rigetti affermando non esservi prova del dolo o della colpa, deve ritenersi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione” (conformi, mi sembrano, Cass. 23 luglio 2003 n. 11453; 20 febbraio 2015 n. 3458).
Come spesso avviene, nei ricorsi per Cassazione lo spartiacque tra fatto e diritto è incerto e confuso, e proprio per ciò, in molti casi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi che, sotto l’apparenza della violazione di legge, in verità tendono a chiedere una revisione dei giudizi di fatto.
In questo caso, però, le Sezioni unite non hanno ritenuto inammissibili le questioni, e sono intervenute su aspetti che attenevano alla motivazione.
Si legge infatti nell’ordinanza: “Non appare condivisibile sul punto la motivazione addotta dalla Corte territoriale”; oppure si legge: “È proprio sotto tale profilo che la valutazione di merito appare monca”; oppure ancora sull’errore scusabile, che le stesse Sezioni unite qualificano come accertamento fattuale: “Su tale piano la valutazione della Corte di merito si appalesa del tutto inadeguata e contraddittoria”, ecc…
Dopo la pronuncia a Sezioni unite Cass. sez. un. 7 aprile 2014 n. 8053 è noto che il controllo della motivazione in Cassazione è limitato alla: "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile"; ovvero è limitato ad aspetti che difficilmente potevano ritenersi presenti nella pronuncia della Corte di Appello di Roma.
E dunque, sia consentito affermare, che in questo caso mi sembra si sia andati oltre questi limiti.
10. Segue: le questioni che le Sezioni unite hanno rimesso al giudice del rinvio.
Infine, sia consentito precisare le questioni che le Sezioni unite hanno rimesso al giudice del rinvio.
Non è secondario ricordarle, e a mio parere sono tre, e non sono di poco conto.
Esattamente:
a) la prima è quella del controllo della titolarità del diritto dedotto in giudizio in capo al ricorrente e della conseguenziale regolarità della procura alle liti che è stata rilasciata al difensore.
Posta la distinzione tra legittimazione ad agire e titolarità del diritto, le Sezioni unite hanno rigettata la prima questione e rimessa la seconda al giudice del rinvio: “possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio”.
Il giudice del rinvio dovrà quindi accertare che il ricorrente sia effettivamente uno dei migranti presenti nella nave U. Diciotti nei giorni compresi tra il 16 e il 25 agosto 2018, e dovrà parimenti verificare se la procura rilasciata al difensore sia effettivamente attribuibile ad una parte titolare del diritto fatto valere in giudizio.
b) La seconda questione rimessa al giudice del rinvio è quella relativa al c.d. danno-conseguenza.
La Corte di Appello di Roma aveva ritenuto che sul punto non fosse stata fornita la prova.
Le Sezioni unite hanno invece statuito che tale prova “ben può essere offerta anche a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti”.
Il giudice del rinvio dovrà quindi accertare se questi elementi presuntivi finalizzati alla prova del danno-conseguenza vi sono agli atti oppure no.
c) Ma, direi, il giudice del rinvio, fermo l’accertamento della violazione delle Convenzioni internazionali già acclarata dalla Sezioni unite, dovrà anche valutare in concreto la sussistenza o meno della colpa della pubblica amministrazione, che mi sembra questione, seppur con tutte le precisazioni contenute nell’ordinanza 6 marzo 2025 n. 5992, da ritenere parimenti rimessa al giudice del rinvio.
Ciò si ricava da quanto le Sezioni unite scrivono nelle pagg. 29 e 30 di detto provvedimento.
Esattamente si legge che: “È proprio sotto tale profilo che la valutazione di merito appare monca, non avendo la Corte territoriale in alcun modo valutato se, al netto della discrezionalità attribuita alla P.A. e della flessibilità delle procedure di sbarco, potesse considerarsi comunque ragionevole il forzato trattenimento a bordo della nave (dapprima per effetto del mancato consenso all’attracco in un porto italiano e quindi per il mancato consenso allo sbarco, una volta attraccata la nave al porto di Catania) protratto per dieci giorni, anche in considerazione delle condizioni logistiche legate alle caratteristiche della nave stessa, al numero degli occupanti, alle condizioni di salute degli stessi, alle fasi pregresse della loro drammatica esperienza, alle condizioni climatiche.”
Poi le Sezioni unite hanno aggiunto: “Correlativamente, sotto il profilo della colpa attribuibile all’amministrazione come apparato, si trattava di valutare -e non è stato fatto- se potesse considerarsi oppure no ascrivibile a criteri di normale prudenza e diligenza, specie in considerazione della natura dei diritti in gioco, il convincimento della tollerabilità di un tale prolungamento del trattenimento dei migranti soccorsi a bordo della nave”.
Dunque, a me sembra che le Sezioni unite, a fronte di una valutazione monca del giudice di appello, impongano al giudice di rinvio di accertare se poteva essere ragionevole o no, alla luce di quanto fissato nelle pagine precedente, e al netto della discrezionalità attribuita alla pubblica amministrazione e alla flessibilità delle procedure di sbarco, il forzato trattenimento a bordo della nave protratto per dieci giorni; ed inoltre il giudice del rinvio dovrà accertare se tale comportamento possa ascriversi a normali criteri di prudenza e diligenza oppure no.
11. Brevissime conclusioni
Che dire in due parole conclusive?
Direi che non sono marginali le questioni che il giudice del rinvio dovrà accertare, cosicché non può dirsi che le Sezioni unite abbiano riconosciuto ai migranti, puramente e semplicemente, il diritto al risarcimento del danno.
Mi sembra infatti vi siano ancora elementi non secondari da chiarire.
Mi è sembrato poi singolare che le Sezioni unite si siano pronunciate su questa vicenda prescindendo dalla decisione assunta in sede penale contro Matteo Salvini dal Tribunale di Palermo.
Il Tribunale di Palermo ha letto il dispositivo, con il quale ha ritenuto che il fatto non sussiste, il 20 dicembre 2024; il Tribunale si è dato 90 giorni per il deposito della motivazione; quindi la motivazione è attesa per la data del 20 marzo 2025.
Non so se era il caso di aspettare qualche giorno per depositare questa decisione, al fine di meglio coordinarla con la sentenza penale, che in gran parte attiene ai medesimi fatti e concerne analoghe questioni di diritto.