Sommario: 1. Massima – 2. Il caso oggetto della pronuncia e i principi affermati dalla Cassazione – 3. Il procedimento di modifica del cognome, nel quadro delle nuove regole di attribuzione del cognome ai figli - 4. Cambiamento del cognome del figlio minorenne e contrasto tra i genitori
1. Massima
L'istanza di modifica del cognome di un minore, in caso di disaccordo tra i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario secondo le disposizioni di cui agli artt. 316, secondo e terzo comma, e 337-ter, terzo comma, c.c. Il giudice è chiamato a valutare l'effettivo interesse del minore e a riconoscere la specifica rappresentanza ad acta ad uno dei genitori per presentare la domanda al Prefetto.
2. Il caso oggetto della pronuncia e i principi affermati dalla Cassazione
Con ricorso ex art. 316, comma 2, e 337-ter, comma 3, c.c., la madre di un minore, affidato in via condivisa a seguito di divorzio, adiva il Tribunale chiedendo l'aggiunta del cognome materno a quello paterno, già attribuito al figlio alla nascita. La ricorrente fondava la propria istanza sulla pronuncia della Corte costituzionale n. 131 del 2022, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’automatismo normativo che prevedeva l’attribuzione esclusiva del cognome paterno al figlio, in difetto di diverso accordo tra i genitori, nonché sul rilevante valore storico-culturale del proprio cognome, discendente da una stirpe citata da Dante nella Divina Commedia.
Il Tribunale aveva in primo gravo rigettato la domanda, ritenendo che, per i figli nati anteriormente alla pronuncia della Consulta, l’attribuzione del doppio cognome non operasse in via automatica. Aveva, inoltre, ritenuto che la domanda dovesse essere indirizzata al Prefetto, ai sensi dell’art. 89 del d.P.R. 396/2000, come sostituito dal d.P.R. 54/2012.
La Corte d’appello, diversamente opinando, accoglieva l’impugnazione, riconoscendo la competenza del giudice ordinario ai sensi dell’art. 316, comma 2, c.c., in caso di disaccordo tra i genitori su decisioni di particolare rilevanza per il figlio e, ritenuto prevalente l’interesse del minore all’aggiunta del cognome materno, disponeva direttamente la modifica dell’atto di nascita.
Il padre proponeva quindi ricorso per cassazione, denunciando il difetto di giurisdizione e la violazione delle norme sulla competenza, sostenendo che la questione avrebbe dovuto essere devoluta alla giurisdizione del Prefetto, e in caso di diniego, eventualmente al giudice amministrativo.
La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha innanzitutto precisato che la domanda formulata nel caso di specie non riguardava l’attribuzione originaria del cognome, ma la successiva modifica dello stesso, per la quale l’art. 89 del d.P.R. n. 396/2000 prevede una procedura amministrativa da promuoversi davanti al Prefetto, risultando dunque incompetente il tribunale adito.
Tuttavia, ha chiarito che tale istanza non possa essere presentata se non sussistendo accordo tra i genitori; di guisa che, in caso di disaccordo sull’opportunità di promuovere tale domanda, è competente il giudice ordinario a decidere ai sensi degli articoli 316, commi 2 e 3, e 337-ter, comma 3, c.c., con riferimento alle scelte di maggiore rilevanza per la vita del minore.
In tale prospettiva, il giudice è chiamato a compiere una valutazione autonoma e sostanziale dell’interesse del minore, tenendo conto del carattere non pretestuoso dell’eventuale dissenso dell’altro genitore, della rilevanza dei motivi sottesi alla richiesta e dell’impatto della modifica sull’identità personale del figlio. Trattasi, in sostanza, di una funzione giurisdizionale distinta rispetto a quella demandata al Prefetto, cui spetterà poi la decisione amministrativa sulla base della domanda eventualmente autorizzata dal giudice.
Ne consegue che l’atto giurisdizionale non può disporre direttamente la modifica del cognome, ma può solo autorizzare il genitore ritenuto più idoneo a presentare, in qualità di rappresentante ad acta, la domanda al Prefetto, ma non certo direttamente disporre la modifica dell’atto di nascita con la modifica del cognome.
Sul piano sostanziale, la Suprema Corte ha comunque confermato la correttezza della valutazione effettuata dal giudice di merito quanto alla prevalenza dell’interesse del minore all’aggiunta del cognome materno, valorizzando elementi quali la storicità del cognome e la mancanza di motivazioni concrete nel rifiuto paterno.
L’analisi della pronuncia della Cassazione, condivisibile nel principio affermato, mette in rilievo la discrasia allo stato esistente tra astratta asserzione del diritto all’identità personale nella sua specifica declinazione di diritto al nome e concreta realizzazione della sua tutela, specie in riferimento all’ipotesi in cui si tratti di un minore e, mancando l’accordo dei genitori, sia necessario – nelle possibili sue differenti declinazioni – l’intervento giudiziale.
In questa prospettiva si tenterà un quadro di sintesi dei differenti profili di intersecazione dell’intervento del giudice ordinario e dell’organo amministrativo, e della partizione delle relative competenze, nel contesto di un quadro di regole e di principi giurisprudenziali non sempre perspicui.
3. Il procedimento di modifica del cognome, nel quadro delle nuove regole di attribuzione del cognome ai figli
È noto che la Corte costituzionale con la sentenza n. 131/2022[1] ha, come da tempo e da più parti auspicato[2], superato il sistema tradizionale di attribuzione del cognome ai figli fondato sulla regola del patronimico, tanto per i figli nati nel matrimonio – in relazione ai quali essa non era espressa, ma desumibile dal sistema[3] – quanto in relazione ai figli nati fuori del matrimonio ove essa era sancita all’art. 262 c.c.
Più volte sollecitata sul punto[4], con la richiamata sentenza la Corte costituzionale, nel concludere per l’illegittimità delle richiamate norme con gli artt. 2, 3 e 29 Cost., ha evidenziato l’intreccio, nella disciplina del cognome, tra il diritto all’identità personale del figlio e il principio di eguaglianza tra genitori, rilevando che la selezione della sola linea parentale paterna “oscura unilateralmente il rapporto genitoriale con la madre”, cosicché l’automatismo imposto dalla richiamata disposizione reca con sé “il sigillo di una diseguaglianza tra i genitori, che si riverbera e si imprime sulla identità del figlio, così determinando la contestuale violazione degli artt. 2 e 3 Cost.” (ibidem)[5].
A seguito dell’intervento della Corte, dunque, il doppio cognome è divenuto la regola, a meno che i genitori non siano concordi nell’attribuire uno solo dei cognomi, consentendo al figlio di vedere emergere mediante il cognome il legame con le famiglie di entrambi i rami genitoriali; il cognome, infatti, collegando l’individuo alla formazione sociale “che lo accoglie tramite lo status filiationis”, deve “radicarsi nell’identità familiare”. In maniera non pienamente condivisibile, nondimeno, tale ultimo diritto risulta cedevole di fronte alla ammissibile scelta concorde dei genitori circa l’attribuzione di uno solo dei cognomi[6].
Se, dunque, e a differenza dell’assetto definito dalla precedente sentenza della corte cost. 286/2016, il contrasto dei genitori trova rimedio non più nell’attribuzione del patronimico, bensì nell’applicazione automatica del doppio cognome; permane però una possibile fonte di conflitto tra i genitori nella determinazione dell’ordine dei cognomi. È la stessa Corte costituzionale n. 131/22 a fare riferimento all’art. 316 c.c., giusta il quale in caso di contrasto “il giudice, sentiti i genitori e disposto l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, tenta di raggiungere una soluzione concordata e, ove questa non sia possibile, adotta la soluzione che ritiene più adeguata all'interesse del figlio”. Adito dai genitori o da uno solo di essi, dunque, il Tribunale interviene entrando nel merito della determinazione del cognome da attribuire al figlio, con una pronuncia che andrà a valere nei confronti dell’ufficiale di stato civile che dovrà attenervisi.
Naturalmente la rimessione al giudice della decisione – inevitabile, almeno finché non intervenga il legislatore a fissare una regola di risoluzione alternativa – si traduce in un ritardo nella formazione dell’atto di nascita del figlio, sia esso matrimoniale o non matrimoniale, “poiché non si vede come l’ufficiale dello stato civile possa darvi corso fino a quando il giudice non si sia pronunciato al riguardo”[7].
Il mutamento delle regole di attribuzione del cognome non è – lo ha espressamente affermato la sentenza 131/22, ma alcun dubbio vi sarebbe in ogni caso potuto esservi – applicabile ai figli nati prima della sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Il che, lo si è osservato, può comportare un trattamento differenziato anche tra fratelli (germani), conducendo ad un trattamento, tra l’altro, suscettibile di ledere l’identità personale anche in senso per così dire orizzontale, obliterando cioè l’identificazione dei fratelli come appartenenti al medesimo nucleo familiare mediante la unitaria identificazione data dall’uso dello stesso cognome, superabile solo mediante la richiesta di modifica.
La sentenza in commento - pur pronunciatasi in riferimento ad una richiesta di modifica del cognome del figlio minorenne, motivata non già dalle prefigurate esigenze di uniformizzazione dei cognomi, bensì dall’interesse del figlio di far emergere il legame con la madre – si inserisce nell’anzidescritto imprescindibile quadro di epocali cambiamenti.
Essa, infatti, vi attinge allorché conferma la decisione della corte d’appello resa ex art. 316-337 ter c.c. recante l’autorizzazione all’aggiunta del cognome materno, ritenendola ben motivata e conforme al “diritto vivente”. Si legge infatti: “In proposito, va osservato che la decisione della Corte di appello è chiaramente e diffusamente motivata, mediante il raffronto tra le ragioni esposte dalla madre, le circostanze dedotte come pregiudizievoli o ostative dal padre, raffronto maturato nel concreto ed esclusivo interesse del minore, e si colloca su un versante conforme ai principi elaborati dalla Corte Costituzionale in tema di doppio cognome e agli orientamenti di questa Corte, giacché ha riconosciuto l'apprezzabilità e la fondatezza della richiesta materna a cui ha dato la netta prevalenza, osservando che: i) il rifiuto paterno appariva emulativo (avendo, peraltro, egli prestato il proprio assenso al doppio cognome, prima della nascita del figlio salvo cambiare idea dopo la nascita); ii) non vi erano ragioni oggettive ed esplicitate; iii) il cognome materno, come non contestato, apparteneva alla famiglia dal tempo di Dante, che la aveva citata nel discorso di Cacciaguida, si connotava per rilievo storico e culturale e sarebbe stato destinato, altrimenti, a scomparire (fol. 5, decr. imp.)”.
Sotto diverso profilo, la Corte di cassazione ribadisce la rigida bipartizione tra il sistema di attribuzione del cognome al momento della nascita e i casi invece in cui si chieda la sua modifica. Viene in altri termini confermata la competenza esclusiva del prefetto in relazione alle richieste di mutamento del cognome dei figli successivi alla formazione dell’atto di nascita (e non dipendenti dal mutamento dello status filiationis), di cui al procedimento ex art. 89 d.p.r. 396/2000, che demanda all’organo amministrativo un potere valutativo, id est “un potere di natura discrezionale, che si esercita bilanciando l'interesse dell'istante (da circostanziare esprimendo le "ragioni a fondamento della richiesta"), con l'interesse pubblico alla stabilità degli elementi identificativi della persona, collegato ai profili pubblicistici del cognome stesso come mezzo di identificazione dell'individuo nella comunità sociale", rispetto alla quale "la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che la posizione giuridica del soggetto richiedente il cambio di cognome abbia natura di interesse legittimo, e che la P.A. disponga del potere discrezionale in merito all'accoglimento o meno dell'istanza (cfr. tra le tante, Cons. Stato, Sez. III, 26-09-2019, n. 6462), tenuto conto che - a fronte dell'interesse soggettivo della persona, spesso di carattere "morale" - esiste anche un rilevante interesse pubblico alla sua 'stabile identificazione nel corso del tempo' (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 15 ottobre 2013, n. 5021; Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2320; Sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2752)” [8].
Ora, in relazione partitamente all’ipotesi in cui l’istanza (a) si fondi sul diritto all’identità personale/familiare del figlio, (b) provenga dai genitori congiuntamente o dal figlio stesso maggiorenne e (c) sia diretta all’aggiunta del cognome materno/paterno e/o alla sostituzione del cognome del figlio attribuito alla nascita con quello dell’altro genitore, non è prevista alcuna previa valutazione da parte del tribunale ordinario, risultando esclusivamente competente l’autorità amministrativa. Nel merito, poi, dovrebbe essere invero piuttosto remoto – ed anche tenuto conto della minore età dell’interessato – che possa opporsi un motivato diniego alla richiesta, prevalendo di norma invece l’interesse del figlio ad acquisire il cognome di entrambi i genitori[9].
In tal senso, l’intervento dell’autorità governativa opera a ben vedere in maniera complementare rispetto alla pronuncia della Corte cost. n. 131/22, consentendo un facile - sebbene non immediato e tantomeno automatico - adeguamento delle situazioni pregresse alla nuova regola del doppio cognome.
Ma più in generale, in relazione alle richieste di modifica del cognome che abbiano ad oggetto la “mera” aggiunta del cognome – il più delle volte materno – ovvero la sostituzione del cognome paterno con quello materno (così come, eventualmente, l’inverso), il margine di discrezionalità della p.a. risulta piuttosto circoscritto; deve aversi riguardo infatti al cambio di passo dettato dalla sentenza 8422/2023 del Consiglio di Stato, che ha censurato la carenza di motivazione del provvedimento con cui il prefetto – senza addurre specifiche esigenze di interesse pubblico – aveva respinto la richiesta di modifica del cognome avanzata da una figlia che, volendo recidere ogni rapporto formale con un padre da sempre assente e inadempiente ai propri doveri, aveva chiesto di portare il solo cognome della madre. Tale arresto ha in sostanza attuato una sorta di inversione dell’onere della prova, fondata sul rilievo giusta il quale “rispetto al figlio, insomma, i cognomi genitoriali sono a priori dotati di valenza identitaria, e la conservano in potenza. Il che significa che quando l’istanza di modifica resta in quel perimetro (nel senso che al cognome ereditato da un genitore si chiede di aggiungere o sostituire l’altro) non spetta al cittadino convincere l’amministrazione della bontà delle ragioni identitarie allegate alla domanda. È piuttosto l’amministrazione a dover evidenziare ‘‘specifiche ragioni di interesse pubblico ostative all’accoglimento dell’istanza’’ [10]. Trattasi di un principio affermato con riguardo al caso di richiesta effettuata dalla figlia in persona, ma senza dubbio applicabile anche allorché la richiesta provenga dai genitori.
Risultano pertanto sfumati i confini qualificatori tra diritto soggettivo ed interesse legittimo; ulteriormente assottigliati, sul piano pratico, dal riconoscimento anche nella giurisprudenza amministrativa della eccezionalità del diniego a fronte della esigenza di tutelare il diritto identitario del figlio.
4. Cambiamento del cognome del figlio minorenne e contrasto tra i genitori
Se questo è il quadro di riferimento, appare ineccepibile la statuizione della cassazione che ha ribadito come la competenza circa il mutamento del cognome spetti all’autorità amministrativa, anche allorché i genitori esercenti la responsabilità, non concordando in ordine all’istanza, previamente si rivolgano al t.o. per dirimere il conflitto.
In tali fattispecie, piuttosto, il disaccordo dei genitori impone di superare il difetto di legittimazione del genitore in ordine al compimento di un atto civile che richiede, ai sensi dell’art. 320 c.c. l’accordo[11], in mancanza del quale occorre una pronuncia autorizzativa resa ai sensi dell’art. 316-337 ter c.c. Sul piano procedimentale, è da segnalare l’intervenuta modifica dell’art. 316 c.c., cosicché ad oggi, inutilmente esperito il tentativo di conciliazione, il giudice non si limita ad indicare il genitore legittimato ad assumere la decisione, come in passato, bensì egli stesso assume la decisione che ritiene più adeguata nell’interesse del figlio. La norma ha dunque attuato l’uniformazione delle modalità di composizione del contrasto tra i genitori non in crisi indicate dall’art. 337 ter comma 3 c.c. per quelli in crisi, conferendo al giudice un potere di intervento e decisionale senz’altro idoneo ad accelerare e semplificare l’impasse decisionale, ma nel contempo (forse troppo) compressivo dell’autonomia dei genitori[12]. Infatti,
Appuntando l’attenzione, almeno per sommi capi, sul merito della decisione, il t.o. dovrà valutare se l’atto compiendo sia o meno conforme all’interesse del minore, anche ascoltando il minore se ultradodicenne e/o capace di discernimento. In linea di principio, l’identità del minore sarà meglio preservata dal doppio cognome, di guisa che la richiesta di aggiunta del cognome sarà sempre da accordare; parimenti potrà ritenersi tale quella di sostituire il cognome materno a quello paterno, almeno ogniqualvolta prevalga l’esigenza di recidere il legame con un genitore che abbia tenuto comportamenti pregiudizievoli per il figlio. In tale ultimo caso il vaglio dovrà essere particolarmente attento, proprio in considerazione del fatto che la richiesta proviene dall’altro genitore e non direttamente dal figlio. Si coglie in tale profilo tutta la delicatezza della materia, che giustifica dunque l’intervento del giudice (quello ordinario) deputato ad apprezzare funditus l’interesse del minore, nel contraddittorio delle parti e se necessario ascoltando il minore, nonché giudice deputato a riconoscere il genitore la specifica “rappresentanza ad acta”.
Appaiono pertanto in sintesi condividibili i passaggi della sentenza in commento ove si legge: “Va rimarcato, in proposito, il diverso spessore della cognizione del giudice ordinario, sempre tenuto a valutare la rispondenza del mancato consenso del genitore all'interesse del minore e il carattere non pretestuoso del diniego del consenso, nonché la concreta compatibilità di quanto richiesto (nel caso di specie, la modifica del cognome) con l'interesse del minore stesso” Rammenta la pronuncia altresì che “una tale attività di ponderazione postula comunque un'istruttoria condotta nel pieno rispetto dei principi del contraddittorio, di proporzionalità, di non automatismo della decisione; si tratta, quindi di un procedimento e di una valutazione ben diversa da quella che, una volta presentata la domanda a seguito di autorizzazione del giudice ordinario, competerà al Prefetto ai sensi della normativa sullo stato civile”.
Tali considerazioni, peraltro, rievocano alcuni passaggi di una recente sentenza del Consiglio di stato[13], che pronunciandosi in relazione alla modifica del cognome del figlio minore a seguito del secondo riconoscimento non contestuale, ha affermato che la competenza esclusiva in capo al t.m. – a discapito dell’autorità amministrativa – trova radice nella esigenza di attuazione dell'interesse della minore “a vedere accolta la domanda di cambiamento del cognome impone di ritenere che l'istanza debba presentarsi al Tribunale per i minorenni, ai sensi dell'articolo 262 c.c., nel contesto di un procedimento che garantisce la tutela dei precipui e prevalenti interessi della minore”.
Sempre che, ça va sans dire, uno dei genitori non sia decaduto dalla responsabilità genitoriale, o ne sia stato limitato nell’esercizio; in tal caso infatti è ex lege legittimato il solo genitore esercente la responsabilità e non verrà affatto in considerazione la previa valutazione del tribunale ordinario, nell’ambito dell’istanza di autorizzazione, della corrispondenza del mutamento del cognome (così come eventualmente della sua aggiunta) all’interesse del minore, che è tenuto a valutare in via diretta ed esclusiva l’istanza. In tale caso, si ritiene, la valutazione dell’organo amministrativo dovrà dunque essere condotta ponderando attentamente le ragioni addotte a fondamento, in maniera senz’altro più pregnante rispetto al caso in cui tale valutazione sia già stata condotta dal tribunale o, e a fortiori, se l’istanza sia presentata con volontà convergente da entrambi i genitori.
Fermo restando da un lato, dunque, la competenza esclusiva del prefetto in ordine al mutamento del cognome per cause diverse dallo status filiationis, e dall’altro lato la necessità, ogniqualvolta il cambiamento riguardi il minore di accertare compiutamente e in concreto se tale cambiamento corrisponda al suo interesse, non vi è chi non veda come necessariamente allo stato in caso di disaccordo dei genitori non possa superarsi alla bisafisicità della procedura, che rischia però di tradursi in una (irragionevole) duplicazione, se si ammette, come parrebbe inevitabile, che il prefetto non possa fare altro che recepire, appiattendovisi, sulle decisioni del t.o. L’affievolimento della discrezionalità amministrativa di cui si è detto in precedenza in relazione alle ipotesi in cui contrasto non vi sia, si presenta con caratteri più marcati nel caso in cui la valutazione del merito del mutamento, anche con riferimento alla corrispondenza dello stesso all’interesse del minore, sia stata effettuata dal tribunale ordinario.
Il che peraltro appare invero in linea con i tracciati percorsi della giurisprudenza amministrativa, in relazione ai quali un attento studioso ha evidenziato come il diritto al nome e il diritto all’identità personale con riferimento al figlio si estrinsecano in una ben precisa maniera, ovvero come “diritto a portare un cognome che, scelto tra le quattro opzioni possibili secondo la Corte costituzionale (doppio cognome col paterno in testa; doppio cognome col materno in testa; mono-cognome materno o mono-cognome paterno), sia il più rispondente alla rappresentazione identitaria di colui che lo deve portare”, di guisa che “in potenza, ciascuna delle quattro opzioni è lecita; e nessuna cessa di esserlo solo perché è stata scartata alla nascita”.
E se si tratta di un diritto - attuato mediante la scelta incondizionata spettante ai genitori, rappresentanti del minore – esso rimane tale anche dopo la nascita, non potendo degradare ad interesse legittimo, almeno allorché la domanda di modifica rimanga all’interno delle predette quattro opzioni[14].
Vista in questa prospettiva la sentenza della Cassazione in commento, seppur corretta, mette in evidenza un formalismo eccessivo del sistema, impostato su un dualismo di intervento che sarebbe forse tempo di superare, con l’occasione dell’auspicato intervento generale (e non oltre rimandabile) del legislatore in materia.
[1] Corte cost. 31 maggio 2022, n. 131, in Fam. e dir., 2022, 871, con nota di Sesta, Le nuove regole di attribuzione del doppio cognome tra eguaglianza dei genitori e tutela dell’identità del figlio, di Al Mureden, Cognome e identità personale
nella complessità dei rapporti familiari, e di Calvigioni, La nuova disciplina del cognome: il ruolo dell’ufficiale dello stato civile; in Giur. it., 2002, 2335, con nota di Diurni, La competizione tra valori identitari nell’attribuzione del cognome alla nascita, e di Sirgiovanni, Una pronuncia storica: l’attribuzione al figlio del cognome di entrambi i genitori (salvo diverso accordo); in Foro It., 2022, 1, 7-8, 2233; Nuova Giur. Civ., 2022, 5, 958.
[2] Cfr. Corte cost. 11 febbraio 1988, n. 176, in Dir. fam. pers., 1988, 670; Corte cost. 19 maggio 1988, n. 586, in Dir. fam. pers., 1988, 1576; Corte cost. 16 febbraio 2006, n. 61, in Familia, 2006, 931, con nota di Bugetti. In dottrina, ex plurimis, De Cicco, Cognome e principi costituzionali, in Sesta - Cuffaro (a cura di), Persona, famiglia e successioni, Napoli, 2005, 209 ss.; Gatto, Cognome del figlio riconosciuto, in M. Bianca (a cura di), Filiazione, Milano, 2014, 34; Bugetti, Riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio. Dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità, in Comm. Scialoja-Branca-Galgano, a cura di De Nova, Bologna, 2020, 245 ss.
[3] A differenza di quanto accade nell'ambito della filiazione legittima, l'attribuzione del cognome al figlio naturale è espressamente regolata all'art. 262 c.c., il quale dispone che, in caso di contemporaneo riconoscimento da parte di entrambi i genitori, è attribuito il cognome del padre; diversamente, il cognome del genitore che per primo lo riconosce. Il secondo comma della norma richiamata statuisce invece che, se la filiazione nei confronti del padre viene riconosciuta o accertata successivamente, il figlio assume il cognome paterno ovvero lo aggiunge a quello materno. La decisione circa l'aggiunta o la sostituzione del cognome, spetta, se il figlio è infrasedicenne, al giudice, viceversa a quest'ultimo. A seguito dell'intervento della Corte costituzionale (Corte cost. 23 luglio 1996, n. 297, in Giust. civ., 1996, 2475, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 262 nella parte in cui non prevede che il figlio naturale, nell'assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo a questo, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale), anche il figlio che sia stato riconosciuto successivamente, ha il diritto di mantenere il cognome originariamente attribuitogli dall'ufficiale di stato civile, ove questo sia divenuto segno identificativo della persona.
[4] Calviglioni, La nuova disciplina del cognome: il ruolo dell’ufficiale dello stato civile, in Fam. e dir., 2022, p. 891. Con la sentenza n. 286 del 2016, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa che imponeva, in via automatica, l’attribuzione del solo cognome paterno al figlio, anche in presenza di un accordo tra i genitori per l’aggiunta di quello materno. Tale pronuncia si colloca nel solco della giurisprudenza della Corte EDU (Cusan e Fazio c. Italia, 7 gennaio 2014, ric. n. 77/07), che aveva ravvisato la violazione degli artt. 8 e 14 CEDU. La Consulta ha censurato l’art. 262, comma 1, c.c., nella parte in cui non consentiva l’attribuzione anche del cognome materno in caso di riconoscimento contestuale da parte di entrambi i genitori. Tuttavia, l’intervento si è limitato a riconoscere la possibilità di aggiunta solo in presenza di un accordo tra i genitori, lasciando irrisolti i casi di disaccordo, nei quali continuava a operare l’automatismo del patronimico. Inoltre, la sentenza non ha attribuito ai genitori né la facoltà di scegliere l’ordine dei cognomi, né quella di attribuire al figlio il solo cognome materno. Pertanto, pur rappresentando un significativo passo verso l’uguaglianza genitoriale, la decisione non ha superato l’asimmetria strutturale del sistema, che permaneva in assenza di accordo.
[5] Cfr. Sesta, Le nuove regole di attribuzione del doppio cognome tra eguaglianza dei genitori e tutela dell’identità del figlio, cit., 880: “A bene vedere, infatti, in forza della regola enunciata dalla sentenza, i genitori sono riconosciuti arbitri della decisione di imporre al figlio il cognome di entrambi oppure quello dell’uno o dell’altro, senza che - in tale ultima ipotesi - sia previsto alcun tipo di apprezzamento e di sindacato dell’interesse del minore, che passivamente subisce una scelta comportante la perdita del cognome di uno dei rami familiari.”
[6] Sesta, op. cit., 881.
[7] Sesta, op. loc. cit.; Calvigioni, op. cit., 895.
[8] Cfr. Consiglio di Stato, Sezione III, 19 settembre 2023, n. 8422 e i richiami giurisprudenziali ivi operati, anche con riguardo ai precedenti della Corte Costituzionale. Si rimanda alla disamina di Musolino, Il cognome dei figli. Istanze pubbliche, unità familiare ed eguaglianza sostanziale dei coniugi, elementi negoziali nel rapporto fra padre e madre, in Riv. not., 2023, 35 ss.
[9] Già prima della 131/22 cfr. Tar Lazio Roma, 26 novembre 2018, n. 11410, che ha statuito come la richiesta del cambiamento di cognome, in ipotesi di soggetto minorenne, deve necessariamente provenire dai soggetti che ne hanno la rappresentanza legale, quindi, nel caso di specie dagli esercenti la potestà genitoriale. Solo nel caso in cui vi sia accordo tra i medesimi deve senza dubbio essere riconosciuta la possibilità di trasmettere ai figli, e quindi, di aggiungere al cognome paterno, anche il cognome materno.
[10] Olivero, Il Consiglio di Stato e la modifica del cognome tra interesse legittimo e diritto soggettivo, in Giur. it. 2024, 1047.
[11] T.A.R. Emilia-Romagna Parma, 6 maggio 2022, n. 115 che ha stabilito che il Prefetto non ha il potere di modificare il cognome del minore, sull'istanza di uno dei due genitori, in assenza di accordo e, anzi, in presenza del dissenso dell'altro genitore. La richiesta di modifica del cognome del figlio minore, integrando un "atto civile", può essere presentata, allora, dai genitori solo nell'esercizio della rappresentanza legale che trova la sua fonte e disciplina nell'art. 320 c.c., di guisa che deve ritenersi a tal fine imprescindibile il consenso di entrambi i genitori, fatto salvo solo il caso in cui uno di essi sia stato privato della potestà genitoriale. Cfr. anche T.A.R. Friuli-V. Giulia Trieste, 7 marzo 2019, n. 105 che ha ribadito come il Prefetto non ha il potere di modificare il cognome del minore, sull'istanza di uno dei due genitori, in assenza di accordo e, anzi, in presenza del dissenso dell'altro genitore. Infatti, in tal caso il Prefetto deve, preso atto del dissenso, sospendere ogni determinazione in merito, in attesa delle decisioni del giudice ex art. 316 c.c., cui la madre (ma anche il padre) può ricorrere per integrare questo indefettibile presupposto del procedimento amministrativo.
[12] Sesta, La riforma e il diritto di famiglia. la prospettiva paidocentrica dal diritto sostanziale al diritto processuale, in Fam. e dir., 2023, 1054; De Cristofaro, Le modificazioni apportate al codice civile dal decreto legislativo attuativo della “Legge Cartabia” (D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149). Profili problematici delle novità introdotte nella disciplina delle relazioni familiari, in Nuove leggi civ. comm.,
[13] Cons. di stato, 8 luglio 2024, n. 6000.
[14] Olivero, op. cit. 1049: “La discrezionalità dell’amministrazione, dunque, continuerà a operare solo al di fuori di quel perimetro; mentre al suo interno dovrà contenersi entro gli stretti margini di un controllo atto a evitare abusi del diritto, che si traducano, ad esempio, in richieste compulsive di variazioni, indizio di una volontà non assennata o non seria”.
Immagine: Edouard Manet, La famiglia Monet nel giardino di Argenteuil, 1874, olio su tela, cm 61 x 99, MET, New York.