*In precedenza, sul medesimo tema, Interventi giudiziali e proposte di regolazione in materia di suicidio assistito di Giovanni Di Rosa, Il fine vita tra etica e diritto di Ignazio Fonzo e Il cammino incerto del diritto sul fine vita di Roberto Giovanni Conti.
Sommario: 1. Premessa - 2. Il suicidio in generale: irrilevanza per l’ordinamento penale italiano - 3. Istigazione e aiuto al suicidio - 4. L’omicidio del consenziente: art 579 c.p. e la sentenza della corte costituzionale n. 50/2022 - 5. Un caso concreto di applicabilità dell’art 580 c.p. sotto il profilo dell’istigazione al suicidio - 6. Conclusioni.
1. Premessa
Il quesito posto dal titolo del convegno appare di difficile soluzione in quanto investe considerazioni giuridiche, etiche, filosofiche, storiche e religiose.
In queste poche righe viene riportato il contributo, certamente parziale, di un penalista, di un Pubblico Ministero quotidianamente impegnato nelle aule di giustizia, mediante una non esaustiva, ma ritengo significativa disamina delle principali fattispecie penali in cui può venire in evidenza, ed in effetti è venuto in evidenza, il tema oggetto del convegno, sia mediante brevi accenni ad una vicenda concreta, tuttora sub iudice, che permette di evidenziare come la realtà, al di là del dibattito giuridico sociale etico, politico e religioso che sta sullo sfondo, ponga l’operatore del diritto al cospetto di svariate sfaccettature che possono portare a conseguenza anche non previste e certamente, a mio avviso, assai discutibili.
Il tentativo di fornire una risposta alla domanda iniziale sarà il frutto della ricognizione delle fattispecie penali di cui sopra e, soprattutto, delle sentenze della Corte Costituzionale che hanno affrontato la tematica.
2. Il suicidio in generale: irrilevanza per l’ordinamento penale italiano
In primo luogo viene in considerazione il suicidio, l’atto auto soppressivo autonomo del soggetto che decide di togliersi la vita: l’ordinamento, com’è noto, lo considera un atto né lecito né illecito ma giuridicamente tollerato, sebbene moralmente riprovevole.
Trattasi, come noto, di un fatto che non costituisce reato, ovviamente sia nell’ipotesi ovvia in cui l’evento suicidiario si realizzi, sia in quello in cui la punizione sarebbe comunque possibile, ossia quando l’autore non riesce a realizzare il suo proposito; la mancata punizione dell’aspirante sucida, è evidentemente giustificata solo da ragioni di opportunità politica perché nel periodo storico in cui entrava in vigore il Codice Rocco si registra un rispetto assoluto per il bene vita, non tanto quale forma di tutela avanzata nei confronti dell’individuo in quanto tale, quanto piuttosto per i doveri che l’individuo stesso ha nei confronti della società e della famiglia.
Pertanto un fatto che astrattamente sarebbe punibile perché comunque in contrasto con il rispetto assoluto del bene vita, non viene punito per ragioni di mera opportunità politica.
In questa primissima prospettiva è possibile effettuare una prima, parziale considerazione:
se non vi è un vero e proprio diritto a morire, l’atto auto soppressivo è quantomeno tollerato e non punito, laddove fosse possibile, per ragioni di opportunità.
In ogni caso trattasi di un’ipotesi poco significativa rispetto al tema perché ben più pregnanza hanno le fattispecie di cui all’art 580 c.p. (aiuto al suicidio o istigazione) e art 579 c.p. omicidio del consenziente), che costituiscono un microsistema con il quale il legislatore intende invece punire tutte le condotte di ausilio da parte di terzi per raggiungere il proposito suicida e proteggerli dalle influenze di altri soggetti spinti all’aiuto o all’istigazione, magari per finalità non proprio cristalline.
3. Istigazione e aiuto al suicidio
Art 580 c.p. alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019. Riferimenti al caso dj Fabo.
Una nuova causa di non punibilità a determinate stringenti e tassative condizioni.
Ambito di applicazione.
In primo luogo viene in considerazione la condotta di aiuto materiale al suicidio: è la fattispecie che ha dato vita al dibattito politico e giuridico in corso nella società italiana nonché all’organizzazione di questo convegno, le cui implicazioni non erano neanche lontanamente immaginabili nel 1930.
Il problema è sorto per l’ormai arcinoto caso Cappato che era imputato per aiuto al suicidio avendo accompagnato in Svizzera un soggetto, Dj Fabo, ormai tenuto in vita soltanto attraverso una macchina, completamente paraplegico, che aveva espresso la volontà di praticare il suicidio assistito, legale in Svizzera, in presenza di una complessa procedura che si conclude con l’assunzione da parte della persona di un farmaco letale.
Ebbene, nel corso del processo era stata sollevata questione di costituzionalità e la lettura della sentenza n. 242 del 24/09/2019, che dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art 580 c.p., nella parte in cui non esclude la punibilità di chi aiuta il suicidio altrui in presenza di determinate condizioni, è assai significativa per la risposta alla domanda iniziale.
I punti fondamentali della sentenza sono i seguenti:
1. in primo luogo la causa di non punibilità individuata dalla Corte riguarda solo le condotte di aiuto materiale, esecutivo di una decisione autonomamente e liberamente già presa dalla persona. Non riguarda la fattispecie affine dell’istigazione, pure punita all’interno della fattispecie di cui all’art 580 c.p. .
2. L’aiuto materiale, nel caso concreto, era consistito nell’accompagnare in auto verso la Svizzera l’aspirante suicida il 25/02/2017 con un atto plateale e pubblico, per richiamare l’attenzione della collettività e poi, al ritorno, il politico si era autodenunciato presso i Carabinieri.
3. In via generale, si legge nella sentenza, l’incriminazione dell’aiuto materiale al suicidio, ancorchè non rafforzativo del proposito della vittima, non è di per sé costituzionalmente illegittimo; inoltre, par 2.2 dall’art 2 Cost e 2 CEDU si ricava il dovere dello Stato di tutelare la vita e non quello diametralmente opposto di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere un aiuto a morire; dal diritto alla vita non può derivare il diritto a rinunciare a vivere.
4. La ratio dell’art. 580 c.p., a prescindere dalla visione del legislatore del 1930 ed alla luce dei precetti costituzionali, è quella di tutelare le persone deboli e vulnerabili che l’ordinamento intende proteggere da una scelta estrema ed irreparabile come quella del suicidio. L’art 580 c.p. è posto a presidio di persone che, avendo deciso di suicidarsi, subiscano interferenze di ogni genere, materiali o morali.
5. Premesso quanto sopra in generale, la Corte (par. 2.3) tuttavia individua un’area di non conformità costituzionale della fattispecie criminosa corrispondente all’ipotesi in cui l’aspirante suicida si identifichi, come nel caso oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, in una persona affetta da
a) patologia irreversibile,
b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che trovi assolutamente intollerabili,
c) tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e
d) sia libera di prendere decisioni libere e consapevoli.
6. Si tratta di condizioni che devono essere tutte compresenti, in cui il soggetto si trova si in vita grazie agli sviluppi della scienza medica e della tecnologia in grado di strapparlo alla morte, ma non in grado di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali.
7. Pertanto l’assistenza di terzi nel morire può essere vista dal malato come l’unico modo per sottrarsi, secondo le proprie scelte individuali, ad un mantenimento in vita artificiale e non più voluto cui egli ha il diritto di rifiutare secondo l’art 32 Cost.
8. L’unica forma di riconoscimento legislativo per queste ipotesi è quello che consente di interrompere i trattamenti sanitari, rifiutare le cure, (legge 219/2017) anche se vitali, ma non prevede un intervento diretto del medico che possa porre fine alla sofferenza del paziente, così che lo stesso deve subire un percorso più doloroso e straziante anche per i familiari; pertanto, ragiona la Corte, se l’ordinamento permette di porre fine alle proprie sofferenze mediante interruzione delle cure, non si vede perché, in quelle specifiche condizioni, non lo consenta con l’aiuto di terzi.
9. La conclusione della Corte è che il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce per limitare irragionevolmente la libertà di autodeterminazione del malato, comprese le scelte finalizzate a liberarlo dalle sofferenze ex art 2- 13 e 32 cost. costringendolo ad una sola via per congedarsi dalla vita.
10. La Corte, nell’individuare quindi questa causa di non punibilità, al fine di evitare abusi, individua una procedura, quella già prevista per interruzione dei trattamenti di sostegno vitale, previsti per quelle persone che già versano nelle condizioni sopra individuate per ritenere non punibile l’aiuto al suicidio (art 1 e 2 legge 219/2017), ossia in sintesi: verifica delle capacità di autodeterminazione del paziente, sussistenza di un consenso libero e informato, acquisito nei modi più consoni alle condizioni del paziente, documentata in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o per le persone disabili con modalità che le consentano di comunicare per essere inserito in cartella clinica; inoltre, la volontà è sempre liberamente revocabile. Peraltro, è previsto che il medico prospetti al paziente le conseguenze della propria scelta e le possibili alternative, promuovendo azioni di sostegno, avvalendosi anche di servizi di assistenza psicologica.
Infine, la verifica delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio resta rimessa ad una struttura pubblica del SSN, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
11. Resta non disciplinata la questione dell’obiezione di coscienza del medico perché la declaratoria di costituzionalità si limita a rendere legittimo l’aiuto al suicidio in presenza delle condizioni suindicate, senza prevedere un obbligo in tal senso per il medico e, pertanto, resta rimessa al medico stesso la scelta di aiutare o meno il paziente.
12. In ogni caso: è fin troppo evidente che la Corte riconosce uno spazio di liceità della condotta di aiuto ma solo in presenza di rigorosissime condizioni per evitare abusi.
4. L’omicidio del consenziente: art 579 c.p. e la sentenza della corte costituzionale n. 50/2022
La sentenza riguarda la fattispecie di cui all’ art 579 c.p. a seguito di un’iniziativa referendaria che intendeva liberalizzare l’omicidio del consenziente, con abrogazione parziale della norma incriminatrice; sarebbe rimasto punibile solo l’omicidio del consenziente caratterizzato da ipotesi di consenso viziato, cui applicare le sanzioni dell’omicidio volontario.
La Corte rileva subito che in caso di pronuncia di ammissibilità del referendum e successivo suo esito favorevole, l’omicidio del consenziente risulterebbe liberalizzato a tal punto da renderlo legittimo non solo nei confronti del malato terminale prigioniero del proprio corpo che versi in quelle condizioni enucleate nella sentenza 242/2019, ma anche nei confronti di chi si trovasse in situazioni di generico disagio di diversa natura (familiare, affettiva, sociale, economica) fino al cd tedium vitae; inoltre sarebbero irrilevanti le qualità del soggetto attivo autore dell’omicidio (medico o no) nonché le modalità di prestazione del consenso (più sopra è stata citata la complessa procedura indicata dalla Corte per evitare abusi) i mezzi utilizzati (non solo farmaci indolori ma anche, ad es., armi violente e dolorose).
Premesso quanto sopra, la Corte ribadisce a chiare lettere che il diritto alla vita riconosciuto dall’art 2 Cost è da iscriversi tra i diritti inviolabili e cioè tra quelli che occupano nell’ordinamento una posizione privilegiata in quanto appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana.
Il diritto alla vita concorre a costituire la matrice prima di ogni altro diritto, costituzionalmente protetto della persona.
Vietando a terzi di farsi esecutori di altrui richieste di morte, pur validamente espresse, l’incriminazione dell’omicidio del consenziente consente di proteggere, soprattutto, ma non soltanto, le persone deboli e più vulnerabili che magari in un momento transitorio di difficoltà prendono una decisione non ben meditata ma dalle conseguenze irreparabili.
Quando viene in considerazione il bene vita umana, la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragione di tutela del medesimo bene, risultando sempre necessario un bilanciamento che ne assicuri una tutela minima.
5. Un caso concreto di applicabilità dell’art 580 c.p. sotto il profilo dell’istigazione al suicidio
Si analizzerà ora l’Art. 580 c.p. sotto il profilo della condotta di istigazione, determinazione o rafforzamento del proposito suicida: è un caso concreto oggetto di indagine e occorre valutare quale disciplina sia applicabile.
L’Imputato, in ipotesi accusatoria, determina o rafforza un proposito suicidiario non definitivo, permettendo alla persona offesa di superare le ultime incertezze.
Trattasi, la vittima, di una persona affetta da patologia fisica e da depressione, entrambe non incurabili e irreversibili ma condizionantesi reciprocamente: la depressione, insorta dopo l’insorgenza della patologia fisica, acuisce i dolori della patologia fisica che incide sull’incremento dello stato di depressione..
È ovvio che, curando entrambe le patologie, la situazione sarebbe migliorata e forse la persona non avrebbe ritenuto inevitabile il ricorso al suicidio assistito.
Peraltro la capacità di intendere e volere della vittima risulta piena ma la persona offesa risulta senz’altro maggiormente influenzabile da terzi, proprio a causa della condizione di debolezza dovuta alla duplice patologia:
Allora ci si pone la domanda di quale sia il trattamento giuridico per questo caso, conclusosi tragicamente con il suicidio assistito all’interno della stessa clinica svizzera ove è deceduto Dj Fabo.
Ricorrono per analogia le condizioni indicate dalla corte Costituzionale con la citata sentenza n. 242/2019?
È giustificabile la condotta di un terzo che per fini ideologici propri, rafforzi un proposito suicidiario ancora incerto, contribuendo a rimuovere le ultime resistenze anche religiose della donna, convincendola a praticare la soluzione del suicidio assistito in Svizzera?
La risposta dovrebbe essere senz’altro negativa.
Non è applicabile, infatti, la causa di non punibilità individuata dalla Consulta per l’ipotesi di aiuto materiale al suicidio, trattandosi della diversa ipotesi di determinazione dell’altrui suicidio sub specie di rafforzamento del proposito suicidiario; inoltre, se anche si ritenesse la condotta sopra descritta come una forma di aiuto materiale (mediante consigli, esortazioni, ecc.) mancherebbero tre delle quattro condizioni individuate dalla Consulta (ossia assenza di una patologia irreversibile, assenza di un trattamento di sostegno vitale (la donna si reca da sola in Svizzera, in aereo) assenza di sofferenze fisiche intollerabili.
L’unico presupposto sussistente sarebbe quello della capacità di intendere e volere, ritenuta da diverse perizie come piena ma la persona offesa, proprio per la sua condizione doppiamente patologica è stata considerata vulnerabile ed influenzabile e pertanto maggiormente esposta a condizionamenti e influenze da parte di terzi che possono incidere sul processo decisionale, a questo punto non più autonomo.
6. Conclusioni
Alla luce di quanto detto, appare evidente che non esiste un diritto incondizionato a morire soprattutto se si chiede l’ausilio materiale o morale di altri.
Con un rapporto di regola ed eccezione, può individuarsi all’interno del sistema, un limitato spazio di non punibilità di condotte di mero aiuto materiale nel rispetto di limitate e stringenti condizioni individuate dalla Corte Costituzionale, peraltro necessariamente tutte compresenti, perché l’ordinamento privilegia il bene vita rispetto alla libertà di autodeterminazione individuale, preoccupandosi della sua tutela minima.
Ci si potrebbe chiedere se questa forma di protezione accentuata del bene vita a discapito del diritto all’autodeterminazione individuale, sia tipica di uno Stato Etico, o di uno Stato Autoritario, ancora, nella migliore delle ipotesi, di uno Stato Paternalistico.
Semplicemente, lo Stato Democratico e Costituzionale in cui viviamo è’ uno Stato che ha cura dei soggetti più deboli e cerca di tutelarli soprattutto rispetto a scelte irreparabili come quella del suicidio, anche e soprattutto riguardo chi, per svariate ragioni, non ultima quella del profitto, aiuta o induce altri soggetti più deboli a compiere scelte magari non ponderate adeguatamente, dalle conseguenze tuttavia irreparabili.
In ogni caso, l’eccezione individuata dalla Corte quale ipotesi di non punibilità dell’aiuto al suicidio è una soluzione da ritenersi convincente; d’altra parte, ritengo che forme più radicali di riconoscimento del diritto a morire, inteso come aiuto al suicidio di soggetti che semplicemente si trovano in un momento di difficoltà transitoria, oppure in uno stato di depressione, privati di qualsiasi forma di tutela pubblica, porrebbe seri problemi di coscienza che, da cittadino, mi sembrerebbero difficilmente giustificabili.